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Famiglie immigrate e cure dell'infanzia

Il sostegno alle strategie familiari

Rapporto di ricerca

di Claudia Perlmuter
cperlmuter@gmail.com

Maggio 2000
1

Famiglie immigrate e cure dell'infanzia


Il sostegno alle strategie familiari

INDICE

Introduzione
- Il contesto, le motivazioni e le finalità del lavoro
- Il percorso di approfondimento

L'organizzazione della cura, le scelte, gli orientamenti ed i supporti delle famiglie


immigrate
- "Prima i figli, poi il lavoro"
- Le soluzioni di accudimento
- Quando le soluzioni "obbligate" diventano "accettabili"
- Alla ricerca di equilibri sempre più stabili
- "Possibilmente, il primo anno di vita in famiglia"
- Le madri a tempo pieno
- Quando si affida il bambino ad un servizio specifico per l'infanzia immigrata
- Il benessere dei piccoli
- La "naturale" competenza materna: il bambino tra "occhio di mamma" e "occhio di pediatra"
- L'educazione del bambino
- Quando s'incontrano delle famiglie italiane disponibili

Le strategie di intervento in favore delle famiglie immigrate con figli piccoli


- Le problematiche da affrontare
- Le strategie messe in atto
- Un'ipotesi di lavoro

Allegati
Traccia utilizzata per le interviste alle famiglie
Schede delle caratteristiche principali delle famiglie intervistate (Roma e Firenze)
2

INTRODUZIONE

Il contesto, le motivazioni e le finalità del lavoro

L'ormai avviato processo di stabilizzazione dei flussi immigratori, assieme alla


diversificazione delle correnti verificatasi nell'ultimo decennio con l'arrivo di cittadini
provenienti dall'est europeo, ha fatto emergere nel nostro paese, come è stato segnalato da più
parti, questioni di non facile soluzione.
La presenza stabile ed in continuo aumento di famiglie immigrate "ricongiunte" o
"neo formate" e, quindi, di bambini "stranieri" che arrivano "da lontano" o che sempre più
frequentemente nascono in Italia, è stata oggetto nell'ultimo decennio di descrizioni ed analisi
che, seppur considerate ancora insufficienti, hanno offerto dei contributi alla comprensione di
fenomeni "nuovi" per la società italiana. Da un lato, sono state messe in evidenza la portata e
le implicazioni del confronto culturale che la presenza di bambini impone, in modo
dirompente, sia ad ogni famiglia immigrata1 che alle comunità locali; dall'altro, sono state
indicate le difficoltà che incontrano i cittadini immigrati che si trovano a "fare famiglia" e i
bambini che crescono in ambienti "diversi", più o meno estranei rispetto a quello d'origine.2
Di pari passo agli sforzi conoscitivi, sono stati sviluppati tentativi per rispondere alla
molteplicità di problemi che, progressivamente, emergevano dall'universo familiare immigrato
e, tra questi, alle difficoltà che incontra la maggior parte delle madri immigrate nel conciliare
impegni di cura ed impegni di lavoro. La riflessione sulle esperienze che si andavano
compiendo ha abbastanza presto messo in luce i limiti degli interventi "di emergenza" in
quanto si configurano come risposte temporanee a problemi costanti. Si è in proposito
compreso che le azioni messe in atto non risultavano efficaci perché necessarie, ma potevano
esserlo solo se riconoscevano "dignità" di soggetto anche ai destinatari e, di conseguenza,
assumevano un carattere progettuale.
In modo quasi paradossale, la presenza di nuclei familiari con bambini, pur
accentuando la necessità di interventi di tipo emergenziale, ha messo in evidenza aspetti

1
Basti ricordare con Laura Zanfrini che "stili educativi, modelli di divisione del lavoro fra generi, modalità
tradizionali di allocazione del potere tra coniugi e le generazioni, prassi di distribuzione del tempo fra funzioni
produttive e funzioni riproduttive richiedono tutti di essere rielaborati obbligando il gruppo familiare a gestire
temporanee situazioni critiche." (Zanfrini L.; Leggere le migrazioni, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 57).
2
Vedi, tra altri, i contributi contenuti in Scabini E., Donati P (a cura di); La famiglia in una società multietnica,
Vita e Pensiero, Studi interdisciplinari sulla famiglia n.12, Milano, 1993; Favaro G., Ferrero A. e Tognetti M,
Minori immigrati identità, bisogni, servizi, Servizi Sociali, Anno XXV n. 2/98, Fondazione Emanuela Zancan;
Favaro G e Genovese A. (a cura di), Incontri di infanzie. I bambini dell'immigrazione nei servizi educativi,
CLUEB, Bologna, 1996; Favaro G., Colombo T, I bambini della nostalgia, Mondadori, Milano, 1993; Favaro G.,
Bambine e bambini di qui e d'altrove, Guerini e Associati, Milano, 1998.
3

complessivi che difficilmente potevano essere ignorati. Da un lato, l'impossibilità di dare


risposte specifiche e frammentate quando ci sono dei soggetti che vanno a coinvolgere una
pluralità di servizi e che, in diversi modi, interagiscono con tutte le fasce di popolazione
locale. La presenza, in questo caso, non s'impone solo a chi può o deve stabilire delle relazioni
(gli operatori di servizi sociali, asili nido, scuole, consultori familiari, ospedali, ecc.), s'impone
alle comunità locali nelle loro diverse articolazioni di strutture, servizi, spazi di incontro e di
scambio. D'altro lato, è stato possibile osservare che le espressioni di vita quotidiana delle
famiglie e dei bambini, pur nelle differenti rielaborazioni culturali, accomunano tutti i tipi di
nuclei, immigrati ed italiani, e pertanto possono costituire dei punti di relazione, situazioni su
cui articolare dei percorsi di integrazione3.
In breve, la riflessione e la sperimentazione sviluppatesi nelle diverse realtà italiane nel
corso degli anni '90 hanno permesso di definire i caratteri delle questioni con cui siamo
chiamati oggi a misurarci. Queste possono essere viste come altri problemi che si sommano a
quelli già esistenti. Noi riteniamo, invece, che le difficoltà che incontrano i cittadini immigrati
che cercano di "mettere radici" oggi in Italia possono costituire un'occasione preziosa per
riprendere in mano temi centrali per la vita delle nostre comunità e, tra questi, i modi con cui
ci si rapporta con l'infanzia e, di conseguenza, si prospetta il nostro futuro. In effetti, com'è
stato osservato per altre questioni poste dalla presenza degli stranieri in Italia, l'esperienza dei
migranti può risultare per più di un verso istruttiva dal momento che, fungendo da "specchio"
della società "ospitante", ne mette in luce non solo potenzialità e debolezze ma anche i portati
del passato e delle sue tradizioni culturali, organizzative e politico amministrative. 4
Le considerazioni sin qui esposte sintetizzano brevemente il contesto in cui si colloca
il nostro interesse per la cura dell'infanzia immigrata e, di conseguenza, il compito che ci
siamo proposti di svolgere: contribuire ad individuare strategie "sostenibili" per affiancare le
famiglie immigrate nei loro compiti di cura.
Il nostro lavoro è mosso da una riflessione più ampia che l'Ispes ha svolto a metà
degli anni '90, con il sostegno finanziario della Fondazione Bernard van Leer, nell'ambito del
progetto denominato "Famiglie immigrate e comunità locali" diretto da Mario Dossoni. In
quell'occasione si è cercato di comprendere quali fossero i processi di "apprendimento
reciproco" e, quindi, di "integrazione" in atto nelle diverse realtà territoriali italiane; processi
che hanno per protagonisti le famiglie immigrate, i servizi locali pubblici e privati e le famiglie
italiane.
A partire dalle forme di autorganizzazione delle comunità di immigrati, dalle strutture
di servizio e dalle interazione esistenti tra famiglie immigrate e famiglie locali, sono state
individuate ed analizzate esperienze che, nelle regioni italiane in cui maggiore è la presenza di

3
Al termine integrazione sono in genere attribuiti diversi significati. Noi lo intendiamo come il risultato di processi
di interazione in cui i soggetti coinvolti (immigrati e locali), attraverso un agire basato su di una propria identità
e su proprie capacità di scelta, hanno la possibilità di confrontarsi, di apprendere reciprocamente e di definire
propri itinerari di "avvicinamento culturale".
4
Cfr. Tosi A., "Abitare/coabitare. Gli immigrati extracomunitari e le politiche abitative in Italia", in Tosi A.,
Abitanti. Le nuove strategie dell'azione abitativa, Il Mulino, Bologna, 1994, pp.199-230.
4

nuclei immigrati, hanno cercato di dare risposta alle loro esigenze ed a quelle dei bambini.
Unitamente all'evidenziazione di interessi e disponibilità presenti in modo differenziato nelle
diverse realtà locali, l'analisi delle esperienze ha messo in luce la pluralità di modi con cui, da e
nella prospettiva di ciascun soggetto, si può ritenere di "essere risorsa" per la famiglia
immigrata e per i suoi/nostri bambini.
Specificatamente in relazione al compito che abbiamo inteso affrontare, da quel
lavoro è scaturita un'indicazione generale che si può riassumere nel modo seguente: la
questione degli interventi da mettere in atto in favore delle famiglie immigrate non può essere
posta in termini di individuazione di quali "servizi" o "prestazioni", nuovi o rinnovati,
debbano essere offerti nei differenti contesti territoriali o per le diverse tipologie e necessità
delle famiglie. Essa dovrebbe essere affrontata, invece, in termini di come possono essere
utilizzate le disponibilità e le risorse esistenti o attivabili, comprese quelle delle stesse famiglie
immigrate, perché, all'interno delle differenti situazioni, si creino opportunità materiali e di
relazione tali da, primo, permettere alle famiglie di far fronte ai diversi aspetti relativi alla cura
ed alla gestione dei figli piccoli e, secondo, inneschino o sviluppino dei percorsi di
"avvicinamento culturale"5, anziché aumentare o promuovere l'isolamento, l'esclusione,
l'emarginazione o la dipendenza.

Il percorso di approfondimento

Esplicitato il modo in cui è stato inteso il compito che ci siamo assunti, indichiamo
come è stato organizzato e si è svolto il lavoro.
Dall'esame degli elementi di cui potevamo disporre grazie alla precedente ricerca ed a
quelle fatte da altri, è emersa innanzi tutto la necessità di integrarli con informazioni che
potevano provenire da uno sguardo più puntuale sul modo con cui le famiglie immigrate si
organizzano ed interagiscono con l'ambiente sociale per assolvere ai propri compiti di cura. A
tale scopo abbiamo predisposto e realizzato una ricerca di tipo qualitativo finalizzata a
raccogliere, tramite interviste focalizzate, l'esperienza di famiglie immigrate impegnate nella
cura dei figli (0-3 anni).
Più specificatamente, l'approfondimento ci avrebbe dovuto consentire di mettere in
evidenza punti di forza ed elementi di difficoltà di due diverse dimensioni dell'impegno di
cura delle famiglie. Da un lato, quindi, le diverse organizzazioni della custodia del bambino
(le soluzioni di accudimento) e, dall'altro, il complesso di scelte che riguardano l'allevamento
o cura del piccolo (le strategie di cura).

5
Percorsi che intendiamo, ovviamente, investano sia le famiglie e le comunità di immigrati che le famiglie e le
comunità locali.
5

Rispetto alle strategie di cura, abbiamo ritenuto, secondo ipotesi ormai assodate, che
queste si strutturino dinamicamente in relazione a due diversi ordini di fattori. Primo, le
rappresentazioni sui bisogni del bambino, sulla natura e la dinamica dello sviluppo, sul ruolo
genitoriale e degli altri soggetti e, secondo, la dimensione e la densità delle reti sociali
informali e formali ed i legami che la famiglia stabilisce con gli altri soggetti con cui è in
relazione (parenti, amici della stessa nazionalità o italiani, altre famiglie, gruppi di volontariato,
singoli professionisti quali pediatri, assistenti sociali, educatrici e servizi sociali, sanitari,
educativi).
In particolare, abbiamo considerato che gli ambiti intorno ai quali i genitori potevano
eventualmente esprimere delle preoccupazioni, sviluppare dei rapporti con i loro "partners"
ed associare istanze, persone o luoghi privilegiati, sono:
- la salute intesa come cura dei disturbi e delle malattie;
- il controllo della crescita fisica;
- l’alimentazione;
- il riposo;
- l’acquisizione di comportamenti di autonomia legati alla nutrizione ed all'igiene;
- il raggiungimento di traguardi nello sviluppo motorio, attesi o sostenuti;
- lo sviluppo del linguaggio e l’apprendimento della lingua o delle lingue;
- l’acquisizione di comportamenti sociali, di regole e di valori;
- lo sviluppo emotivo, le manifestazioni e le relazioni affettive;
- l’acquisizione di conoscenze e abilità intellettive (l'apprendimento legato, in genere, al
gioco).
In considerazione degli elementi sopra indicati le interviste sono state strutturate in
modo tale da raccogliere informazioni sull'organizzazione dell'accudimento del bambino, sulle
concezioni ed i comportamenti di cura dei genitori e sui rapporti che, eventualmente, le
famiglie avevano instaurato con altri soggetti.6
Le esperienze raccolte sono quelle di 21 famiglie immigrate, l'una diversa dall'altra ma
accomunate dalla presenza di un bambino o di una bambina, nato/a in Italia, di età compresa
tra 3 mesi e 3 anni. I nuclei sono stati scelti in relazione a due criteri principali. Il primo
riguarda l'adozione di soluzioni di accudimento diverse dal ricorso ai servizi "tradizionali" per
l'infanzia (l'asilo nido comunale)7 e dall'allontanamento-separazione del bambino dalla
famiglia (istituzionalizzazione o affidamento familiare o eterofamiliare). Specificatamente,
eravamo interessati a quelle forme che ritenevamo meno esplorate, in particolare, a chi si era
trovato o si trovava a soddisfare i bisogni del piccolo all'interno della famiglia con l'eventuale
supporto di parenti, amici, conoscenti, ecc., e a quelli che lo facevano con il sostegno dei
centri per l'infanzia immigrata/disagiata organizzati dal volontariato. L'occupazione delle
madri ha costituito, invece, il secondo criterio. In tal senso abbiamo cercato di interpellare
madri "a tempo pieno" e lavoratrici (disoccupate, occupate part-time o a tempo pieno) nei

6
Vedi in allegato: Traccia per la realizzazione delle interviste alle famiglie
7
Per quanto riguarda il rapporto tra famiglie immigrate e asilo nido pubblico Vedi Favaro G. e Genovese A.; Op.
Cit.
6

settori in cui trovano più facilmente impiego le donne immigrate: il servizio domestico,
l'assistenza ad anziani ed, in generale, i servizi alla persona.
Le esperienze sono state raccolte in due centri urbani, metà a Roma e l'altra metà
8
Firenze ; realtà sostanzialmente diverse non solo per dimensione territoriale ma anche per la
diversa presenza ed articolazione dei servizi per l'infanzia e la famiglia, accomunate, tuttavia,
da alti tassi di irregolarità amministrativa tra la popolazione immigrata e dalla presenza di
servizi specifici per i figli di "famiglie in difficoltà", per lo più straniere ma anche italiane,
promossi e gestiti dal volontariato organizzato con il sostegno finanziario delle
amministrazioni comunali.
Come tutti sappiamo, sono molti gli elementi che rendono l'esperienza di ogni
famiglia unica ed irripetibile ma più o meno vicina a quella di altre. Sinteticamente, nel nostro
caso, come si può osservare dalle schede che riassumono le caratteristiche principali dei nuclei
intervistati (vedi allegati), sei (6) delle esperienze raccolte corrispondono a famiglie
monogenitoriali (solo madre nubile o separata con figlio o figli) e quindici (15) a famiglie nucleari.
Complessivamente, il 50% dei genitori si trovava ad affrontare per la prima volta la cura di un figlio;
gli altri nuclei erano, invece, composti dalla coppia o da madri sole con due o tre figli
conviventi e, in qualche caso, dalla coppia o da madri con un figlio convivente (il bambino
piccolo) ed altro o altri più grandi lasciati o rimandati nei paesi di origine.
Per quanto concerne le origini dei genitori, in 13 dei 15 casi in cui la coppia era
convivente, entrambi provenivano dallo stesso paese, e solo due famiglie erano formate da
stranieri di diversa provenienza conosciutisi in Italia. Complessivamente sono dieci i paesi di
provenienza dei genitori, con prevalenza di quelli dell'America Latina (5 madri peruviane, 1
ecuadoriana e 1 domenicana), seguiti dall'Albania (3), dal Marocco (2), dalla Romania (2), dalle
Filippine (2), dalla Somalia (2), dal Ghana (1), dalla Polonia (1) e dalla Bielorussia (1). Rispetto
alla maggiore o minore rappresentatività delle esperienze considerate in relazione alla pluralità
di provenienze, pare opportuno indicare che, in ragione dei criteri adottati per l'individuazione
delle famiglie, ed in modo particolare l'occupazione delle madri, non sono state raccolte
esperienze di famiglie cinesi, piuttosto numerose nell'area fiorentina.
Per quanto riguarda le differenti storie familiari, la maggior parte delle famiglie (13) si
è costituita nel paese d'origine; 7 i nuclei in cui l'arrivo in Italia è stato congiunto, 4 i percorsi
cosiddetti tradizionali (prima l'uomo) e 2 quelli "al femminile" (prima la donna). In questi dati
sono comprese anche le famiglie che si sono "spezzate" in Italia (2 casi).
Le madri interpellate - sono loro che hanno per la maggior parte risposto alle nostre
domande - avevano un'età compresa tra 22 e 47 anni (nove i casi d'età tra 22 e 29 anni; otto
quelli tra 30 e 39 anni e quattro di più di 40 anni); una scolarizzazione medio alta (in un caso
studi primari, in 14 casi studi secondari superiori ed in 5 casi studi universitari) ed una
permanenza in Italia che andava da un minimo di 2 anni ad un massimo di 14, con 9 casi

8
Hanno collaborato all'individuazione delle famiglie ed alla realizzazione delle interviste, per la città di Firenze, la
Dott.ssa Anna Proto Pisani e, per la città di Roma, il Dott. Walter Nanni che ha, inoltre, realizzato una prima
analisi delle informazioni fornite dalle famiglie.
7

d'immigrazione abbastanza recente (tra 2 e 4 anni), altri 10 con un periodo medio-lungo che
va dai 5 ai 9 anni e solo 2 casi d'immigrazione di lunga data (più di 10 anni). Rispetto alla loro
occupazione al momento dell'intervista, 4 si sono dichiarate casalinghe, 16 lavoratrici nel
settore dei servizi domestici o dell'assistenza ad anziani, di cui 1 disoccupata, 2 occupate
saltuariamente, 5 lavoravano part-time ed 8 a tempo pieno, infine, una svolgeva attività di
lavoro professionale autonomo.
I padri "conviventi" avevano, invece, tra 26 e 45 anni, una scolarizzazione medio-alta
(13 i padri con studi secondari superiori e 2 con studi universitari compiuti) ed una
permanenza in Italia che andava da un minimo di 2 ad un massimo di 13 anni (2 casi tra 2 e 4
anni, 10 casi tra 5 e 9 anni ed altri 3 tra 10 e 13 anni). La loro condizione lavorativa era
caratterizzata, in relazione a quella delle madri, da una maggiore precarietà occupazionale
(disoccupazione, lavori saltuari). Le qualifiche più diffuse erano quelle di operaio generico (7
casi), manovale-muratore (4 casi) e collaboratore domestico (2 casi). Inoltre, sono stati trovati
più casi di pendolarismo; il lavoro - trovato lontano dalla città di residenza - costringeva alcuni
padri a stare fuori casa durante tutta la settimana, ed in un caso all'allontanamento per lunghi
periodi.
I figli delle famiglie interpellate cui fanno riferimento le nostre interviste avevano, in 9
casi, tra 3 e 14 mesi, e negli altri 15 tra 1 anno e mezzo e 3 anni. Tre delle famiglie intervistate
avevano due figli di età inferiore ai tre anni. Dodici bambini erano figli "unici" (primogeniti o
non convivevano con altri fratelli), il resto aveva uno o due fratelli. Tra i figli unici, nelle
famiglie residenti a Roma prevalgono i maschi - sei casi su sette - ed in quelle residenti a
Firenze le bambine, presenti in quattro casi su cinque. In 3 delle 9 famiglie in cui erano
presenti più figli, la differenza di età tra gli ultimi nati ed il fratello immediatamente più grande
era superiore a 6 anni.
Diverse e mutevoli nel tempo sono risultate le soluzioni di accudimento sperimentate dalle
famiglie intervistate. Tenendo conto di due variabili principali, la figura o le figure che si
prendono cura del bambino e lo spazio/ambiente in cui il piccolo trascorre tutta o parte della
giornata, i tipi di soluzione sperimentati sono i seguenti:
a) a casa con la mamma (raramente col babbo), che occasionalmente ricorre all'aiuto per la custodia del
bambino, secondo i casi, di figli più grandi, parenti, amici o conoscenti, oppure porta con sé il bambino
al lavoro: 8 casi;
b) in famiglia, cura materna con l'aiuto continuato di parenti, connazionali conviventi o amici italiani: 5
casi;
c) cura materna nella casa dei datori di lavoro: 2 casi in passato;
d) cura materna in casa o istituto di accoglienza (eventuale aiuto di altre mamme e di volontari): 5 casi di
cui 3 esperienze in atto e 2 passate;
e) affidamento diurno del bambino ad un servizio specifico per le famiglie immigrate: 10 casi, di cui 3 a
Firenze (Centro diurno per minori l'Aquilone) 7 a Roma (6 in atto all'Asilo Nido Piccolo Mondo ed
1 ad un'esperienza ad un altro centro, ma in passato).
Prima di concludere con gli elementi che possono differenziare o accomunare le
esperienze delle famiglie interpellate, è necessario fare un breve cenno alla loro condizione
8

abitativa. Per tutte le famiglie intervistate l'alloggio costituiva un elemento problematico, anche
se con gradi diversi di gravità ed urgenza: dall'assenza di una sistemazione autonoma e, quindi,
la permanenza in istituti o centri assistenziali (alcune madri sole), a condizioni di
sovraffollamento (la maggioranza) o, ancora, a problemi legati alla presenza di umidità,
all'assenza di riscaldamento o di sicurezza all'esterno e, ovviamente, ai costi dell'alloggio ed
alla mancanza di un contratto regolare di affitto. Circa il 70% delle famiglie (se si escludono
quelle che risiedevano nelle case di accoglienza) divideva il proprio alloggio con altri. La
coabitazione, considerata "male necessario" in vista di una sistemazione autonoma e
definitiva, avveniva in forme molto diverse ed interessava, secondo i casi, parenti o
connazionali, singole persone ed interi nuclei familiari.

Dalla prima lettura delle esperienze familiari raccolte è sorta l'esigenza di verificare o
approfondire alcuni elementi che emergevano riguardo ai tipi di supporto che, singole
famiglie, gruppi organizzati e le strutture di servizio, offrono o possono offrire alle famiglie
immigrate per la cura dei bambini. A tale proposito sono state realizzate altre interviste ad
alcuni testimoni privilegiati:
- una famiglia albanese, residente in un comune limitrofo al capoluogo toscano, che aveva
potuto contare, dalla nascita del primo figlio, del sostegno di una famiglia italiana;
- una famiglia italiana appartenente ad un gruppo di volontariato organizzato che aveva
affiancato famiglie immigrate con figli piccoli;
- la responsabile dell'Asilo Nido Piccolo Mondo di Roma, servizio utilizzato da 6 delle
famiglie da noi intervistate;
- un operatore del Comune di Bologna, che aveva seguito un'esperienza denominata
"Oltre il nido la Barca", di supporto all'autogestione da parte di famiglie immigrate per
l'integrazione dell'offerta del nido comunale, e che si era inoltre occupato della gestione
di una nuova prestazione comunale, il "Progetto un anno in famiglia", di cui hanno
usufruito anche alcune famiglie immigrate.

Dall'analisi e dalla riflessione sulle esperienze raccolte abbiamo tratto degli elementi,
che presentiamo nel dettaglio nei prossimi paragrafi, in ordine a:
a) i riferimenti in base ai quali le famiglie scelgono le soluzioni di accudimento e creano
degli "ambienti" che ritengono sufficientemente adeguati per la crescita del proprio
figlio/a;
b) gli elementi che favoriscono/ostacolano, nelle differenti situazioni di interazione che si
creano tra famiglie immigrate e ambiente, la possibilità che le famiglie siano "soggetto"
della cura del bambino, vale a dire mantengano quel margine di "autonomia", di
decisione, di flessibilità indispensabile all'elaborazione culturale, organizzativa e
relazionale che implica l'esercizio della funzione di cura.
9

L'ORGANIZZAZIONE DELLA CURA, LE SCELTE, GLI ORIENTAMENTI ED


I SUPPORTI DELLE FAMIGLIE IMMIGRATE CON FIGLI PICCOLI

"Prima i figli, poi il lavoro"


"I genitori italiani non sono molto diversi dai filippini, perché tutti e due vogliono bene ai figli e li mettono al
primo posto. Gli italiani ci giudicano bene, anche se quando mi vedono e sanno che sono filippina pensano
subito al lavoro, mi chiedono quanto prendo, se sono libera per fare delle pulizie, e questo mi dà un po'
fastidio" (R6)

Quando ci si accosta alle problematiche della condizione dei cittadini immigrati, si è


solitamente portati a definire delle priorità in relazione ad un elemento che si ritiene
principale, sia per le motivazioni che in molti casi portano a lasciare il paese d'origine - il
miglioramento di condizioni di vita difficili dal punto di vista materiale -, sia per il valore che
esso ha rispetto all'inserimento sociale nel paese d'approdo. Ci si riferisce, ovviamente, al
lavoro.
Relativamente alla questione della conciliabilità della cura dei figli con gli impegni di
lavoro delle madri e, in minor misura, dei padri immigrati, le testimonianze raccolte hanno
messo in evidenza la necessità di considerare in termini meno lineari questo difficile rapporto.
Nonostante le precarie condizioni economiche di molte famiglie, sicuramente più gravi nei
nuclei monogenitoriali, abbiamo trovato in particolare madri che rinunciano al lavoro o
riducono i tempi di lavoro (di un lavoro, bisogna ricordare, per la maggior parte precario e
dequalificato e per molte frustrante rispetto alla propria preparazione scolastica e
professionale), non solo in ragione della responsabilità che queste si assumono mettendo al
mondo un figlio, oppure del fatto che i bambini piccoli hanno bisogno di una presenza
costante che può essere garantita - sempre secondo molte delle nostre intervistate - più
soddisfacentemente dalla mamma, ma anche perché dalla genitorialità, madri e padri
immigrati traggono (o ritengono di poter trarre) un'identità da giocare nel proprio percorso di
integrazione.
C'è in molte interviste un'indicazione in tal senso, in particolare quando si valutano in
termini positivi o negativi i rapporti con persone, operatori e servizi, come indicano le
testimonianze sotto riportate, in relazione al riconoscimento della propria famiglia, della
propria condizione di madre, quindi da ciò che si pensa faccia "simili" agli altri, "avvicini",
porti ad essere considerati "non come stranieri ma come tutti gli italiani".
"Gli italiani che incontriamo si fanno quasi sempre una buona opinione di noi, perché si vede subito che siamo
una famiglia felice, che stiamo bene insieme. Ad esempio, quando passeggiamo per strada, il bambino ogni
tanto salta in collo al padre e gli dice 'ti voglio bene', allora vedi che gli italiani sorridono e ci guardano con
simpatia". (R11)
10

"Quando la signora dove lavoravo mi ha licenziata (a causa di assenze dovute a problemi di salute del
bambino) ci sono rimasta male perché mi ha dimostrato di non capire le esigenze che ha una mamma." (R5)

Se una richiesta forte di riconoscimento di "diversità" c'è, dalle nostre interviste


appare in molti casi legata alle condizioni materiali, cioè al fatto che siano tenuti in
considerazione dagli altri (p.e. dal pediatra e dai servizi per l'infanzia), eventualmente, la
scarsità di mezzi per acquisire beni e servizi necessari per la cura dei figli ed alcuni vincoli
derivati dagli impegni di lavoro.
In sintesi, a noi sembra di poter cogliere dalle riflessioni e dai racconti delle famiglie
un invito a stare attenti a considerare le loro scelte familiari per la custodia dei figli e, quindi,
le loro eventuali richieste, rigidamente determinate dagli impegni lavorativi, forse, e in
relazione a quanto sono per loro importanti i bambini, sono più "elastiche" di quello che,
nelle apparenze, non sembrino.

Le soluzioni di accudimento
Come abbiamo avuto modo di indicare nell'introduzione, le soluzioni alla custodia del
bambino adottate dalle famiglie intervistate possono essere ricondotte alle seguenti "forme
tipo":
a) a casa con la mamma (raramente col babbo), che occasionalmente ricorre all'aiuto per la
custodia del bambino, secondo i casi, di figli più grandi, parenti, amici o conoscenti,
oppure porta con sé il bambino al lavoro;
b) in famiglia, cura materna con l'aiuto continuo di parenti, connazionali conviventi o amici
italiani;
c) cura materna nella casa dei datori di lavoro;
d) cura materna in casa o istituto di accoglienza (eventuale aiuto di altre mamme e di
volontari);
e) affidamento diurno del bambino ad un servizio specifico per le famiglie immigrate.
Rispetto a queste diverse forme, ci sembra innanzi tutto necessario fare notare la
pluralità di "situazioni" che si possono trovare all'interno di ciascuna di esse, il che ci mette in
guardia dal pensare che determinate soluzioni di accudimento siano esclusive di alcune forme
familiari.
Consideriamo i casi delle famiglie monogenitoriali. Tre fattori principali: la posizione
lavorativa delle madri, la condizione abitativa e gli eventuali supporti informali e formali su
cui possono contare, si combinano in modo tale da far sì che ci sia chi si trova ad accudire il
figlio o i figli in casa di accoglienza, chi lo fa nella propria abitazione con diversi tipi di aiuti
e/o portando con sé il figlio al lavoro (come indica la testimonianza della mamma di una
bambina di 3 mesi e di altri due figli di 9 e 12 anni riportata qui di seguito), chi accudisce il
bambino in casa dei datori di lavoro e, ancora, chi ha la possibilità di dividere l'impegno di
cura con un servizio per l'infanzia immigrata.
11

"Sono essenzialmente io che sto con la bambina. A volte quando non la posso portare con me al lavoro, la
tiene suo padre. Qui ho una sorella con tre bambini, che a volte mi aiuta: ogni tanto viene lei, oppure vado da
lei e le porto la bimba. Ogni tanto mi aiuta la famiglia con la quale abito, ma anche loro non possono
aiutarmi molto, al massimo per due ore ogni tanto. E poi la bambina non sta volentieri con nessuno" (FI10)

Ci sembra importante indicare anche che, non necessariamente le condizioni di


minore autonomia o di maggiore disagio sono in relazione ad immigrazioni recenti: non
sempre col tempo le situazioni migliorano, spesso si complicano, come si può vedere dalla
testimonianza di una mamma somala che si trova in Italia da sette anni.
"Abito qui da giugno, ma a luglio ed agosto sono andata via. Ero già stata in questa casa di accoglienza
quando ero incinta, dopo che ho partorito mi hanno mandato nell'altra casa dove stanno le mamme con i
bambini appena nati. Dopo nove mesi che è nata la bambina ho trovato un lavoro fisso per un anno e mezzo,
dove sono stata con la bambina. Quando questo lavoro è finito sono stata con mia sorella per tre o quattro
mesi e poi sono tornata qua (nella casa di accoglienza). A luglio ed agosto sono andata a lavorare e ho portato
la bambina con me, poi ora a settembre siamo tornate qui." (FI8)

Quando le soluzioni "obbligate" diventano "accettabili"


Rispetto alle diverse condizioni in cui si vengono a trovare le famiglie monogenitoriali
con bimbi piccoli, ci si può domandare se ce ne siano alcune più accettabili di altre secondo le
famiglie intervistate.
Qualche elemento importante in proposito ci sembra di poter evidenziare. Le
differenti soluzioni appaiono agli occhi delle madri più o meno accettabili, non solo o non
tanto rispetto ad una valutazione di quel che implicano, in quel preciso momento per la
madre ed il bambino, ma rispetto a ciò che si prefigura possano essere le condizioni che
verranno a determinarsi, per sé e per i figli, in futuro. Quindi, se si pensa di poter superare
abbastanza velocemente la condizione di difficoltà che ha portato, per esempio, ad una
"scelta obbligata" quale il ricorso ad una struttura di accoglienza, o ad una difficile richiesta
di aiuto a parenti o amici, questa "costrizione" è vissuta con maggiore serenità, viene
razionalizzata e può, perciò, essere utilizzata per elaborare e mettere in atto strategie di cura,
prestare attenzione ai segnali del bambino. Il contrario sembra succedere nei casi in cui si
viva in modo precario una "soluzione" ritenuta abbastanza soddisfacente, per esempio
perché si sa che a un certo punto bisognerà cambiare lavoro o lasciare la casa di accoglienza
e non si sono individuate altre possibilità.
Una domanda a questo punto sorge spontanea, dato il rilievo che assume in
condizioni di precarietà la possibilità di prospettarsi un percorso di autonomia "relativa" per
sé e per i figli. Come fanno queste famiglie a costruirlo? Sono sole o accompagnate in questa
difficile impresa? Quello che sinteticamente emerge dalle esperienze "positive" che abbiamo
incontrato - e di cui offriamo una lunga testimonianza a conclusione di questo paragrafo - è
che la possibilità di sviluppare una progettualità, di intravedere delle alternative, è data dal non
essere rinchiusi all'interno di un circuito separato, che diventa "emarginante" e crea
12

dipendenza e, quindi, dal partecipare a situazioni in cui ci si possa sentire un po' "capaci" o
"competenti".
Tornando al grado di "accettabilità" delle differenti situazioni in cui si possono
trovare le madri sole con bambini, è necessario aggiungere che esso dipende anche dalla
qualità dei supporti formali ed informali su cui possono contare. Le nostre famiglie ci hanno
fatto capire bene, p.e., che i servizi sociali e le Case di accoglienza non funzionano tutti allo
stesso modo e che, accanto a quelli che offrono "un tetto, un piatto di minestra e, nei migliori
dei casi, qualche ora di custodia del bambino", ci sono servizi pubblici e privati che hanno
cercato, in modi diversi, di "personalizzare" l'assistenza e di costruire quelle forme di
affiancamento cui abbiamo fatto cenno nel precedente paragrafo, affiancamento che è
risultato particolarmente efficace allorquando si sono potuti integrare interventi formali con
supporti ed aiuti informali.
"Quando sono arrivata a Firenze, per un anno intero abbiamo abitato in una casa (di un ente religioso di
assistenza) … noi pagavamo la casa… la mia prima bambina che allora era piccola non poteva andare
all'asilo. Io non potevo lavorare seriamente e con regolarità perché nessuno mi seguiva la bambina. Prendendo
questa piccola cameretta sono stata abbandonata a me stessa… Poi mi hanno detto di andare dall'assistente
sociale … le ho raccontato i miei problemi, che cercavo un lavoro, che senza lavorare mi sentivo inutile, che per
la bambina piccola non era bene stare sempre e solo con il fratello più grande ma che le avrebbe fatto del bene
stare con dei bambini della sua età all'asilo nido… Ma l'assistente sociale mi chiedeva di mio marito…
mentre io ero andata da lei per avere delle indicazioni per me e per la bambina. Poi c'è stata l'ultima
gravidanza in cui ho avuto molti problemi…, quindi ho trascorso un periodo in una casa di accoglienza
(gestita da una congregazione di religiose), era l'unica soluzione possibile, un luogo dove entravano le madri in
gravidanza. C'erano tante ragazze da sole, di tutte le parti del mondo, incinte o con bambini piccoli… un
posto triste… Sono entrata all'Istituto degli Innocenti quando la piccola aveva un mese ed io ero sfinita
psichicamente… Loro mi hanno spinta a vivere per conto mio, a trovare una casa. Si sono resi conto che io
sono una persona che ha bisogno di vivere in piena libertà, di avere una casa per conto proprio, una persona
che se la può cavare benissimo a vivere con i bambini e a lavorare… Quando abitavo già qui, in questa casa, e
non dipendevo da nessuno, e avevo qualche problema o necessità, come la malattia di una bambina, chiamavo
qualcuna delle educatrici, delle persone che stanno lì. Allora mi mandavano i volontari degli Innocenti, persone
che io conoscevo già bene. Questo è durato per due anni… Quando c'è qualcosa che mi può interessare me lo
fanno sapere, come per esempio i corsi Now. Per la prima volta in vita mia mi sono sentita a mio agio, in
Italia intendo…. Ci sono delle organizzazioni, come gli Innocenti, e anche altre, che prima aspettano,
valutano se le madri sono in grado di farcela da sole… ." (FI9)

Alla ricerca di equilibri sempre più stabili


Abbiamo potuto notare, inoltre, che in molti casi le soluzioni sono precarie, si
modificano nel tempo abbastanza velocemente in relazione al mutare delle condizioni
materiali dei nuclei ed all'aumento o riduzione delle possibilità di fare ricorso ad aiuti esterni.
Tra le esperienze raccolte, ecco quella di una coppia filippina con una figlia di trenta mesi:
"Per un periodo di tempo, dopo il parto, sono stata io a casa, poi abbiamo fatto domanda all'asilo comunale
ma ci hanno detto che non c'era posto, è ancora in lista di attesa. Dopo un po' di tempo, visto che non
trovavamo nessuna sistemazione, l'abbiamo mandato dalle suore della parrocchia di S. Leone Magno. Lì c'è
stato per circa un anno, a pagamento, ma quando è arrivata mia cugina …(che è venuta con una borsa di
studio), che vive a casa nostra ed è libera la mattina, abbiamo fatto i conti e abbiamo deciso di fare dei sacrifici
13

con il lavoro e tenere il bambino in casa. Quando il bambino andava in giro di qua e di là era diventato
nervoso." (R6)

Riguardo alle diverse forme di organizzazione della custodia quotidiana ed ai


cambiamenti che si decide o si è costretti ad apportare nell'arco dei primi anni di vita del
bambino, è stato possibile osservare che, in molti casi, solo dopo aver sperimentato quella
determinata organizzazione o il ricorso ad una nuova forma di custodia, emergono o si
mettono in evidenza i risvolti negativi (malesseri, perdita di relazioni, ecc.) che questi hanno
avuto per il bambino, e che alcune madri hanno segnalato - come si può vedere nella
precedente testimonianza - indicandoci delle attenzioni nei confronti del benessere dei figli.
Sembra possibile ritenere che l'elaborazione da parte della coppia o della mamma di
ritmi di vita e condizioni ambientali che crede, in base a propri riferimenti, adeguati per il
bambino piccolo si manifesti maggiormente al momento in cui la soluzione adottata, qualsiasi
essa sia, consente di tenere "abbastanza separati" gli impegni di cura dagli impegni di lavoro.
E ciò sembra avvenire allorquando si ha sufficiente certezza dei supporti, vale a dire si sa su
chi si può contare e nei termini in cui si può contare. Fatto, questo, che riteniamo importante
rispetto all'utilizzo di aiuti informali, e su cui torneremo più avanti.

"Possibilmente, per lo meno il primo anno di vita in famiglia"


Un cenno alle diverse soluzioni adottate dalle famiglie nucleari. Abbiamo trovato tra
le famiglie intervistate esperienze di tutte le soluzioni elencate all'inizio, compresi il ricorso alla
casa di accoglienza e la cura materna in casa del datore di lavoro, situazioni di separazione
"forzata" della mamma e del bambino dal padre, determinate dalla mancanza di alloggio e per
le quali, poiché ritenute "momentanee", sembra valere il discorso sull'accettabilità fatto in
precedenza per i nuclei monogenitoriali, in breve: "non va male se sappiamo che finisce
presto".
Nelle famiglie nucleari, secondo le esperienze raccolte, ci può essere una maggiore
disponibilità di risorse interne - materiali e di cura - grazie alla "presenza" del padre, ma
questa non va data per scontata in ragione della diffusa precarietà della posizione lavorativa
dei maschi. In due casi in cui i padri erano collaboratori domestici, abbiamo riscontrato una
condivisione con le madri dell'accudimento del bambino.
Nonostante le differenti situazioni dei nuclei intervistati (madri lavoratrici full time o
part-time, con lavoro saltuario o casalinghe), nell'insieme ci sembra di poter cogliere degli
sforzi di articolazione dell'accudimento - il che non vuol dire che le cose vadano poi
effettivamente così - sulla base del principio: "possibilmente, per lo meno il primo anno di
vita in famiglia". Detta tendenza sembrerebbe confermata dal numero significativo, in
relazione a quello delle nascite, di famiglie immigrate residenti nel comune di Bologna che,
secondo i dati del 1997, hanno beneficiato del "contributo integrativo dello stipendio per
madri e padri interessati a usufruire dell'aspettativa facoltativa dopo la nascita" (Progetto un
anno in famiglia).
14

Le motivazioni di questa scelta possono essere, ovviamente, varie. Le famiglie da noi


intervistate esprimono una concezione non nuova e abbastanza diffusa che, comunque, vale
la pena segnalare: nella primissima infanzia solo la madre ed eventualmente altre figure
familiari possono garantire ciò di cui ha bisogno il bambino (amore, attenzione costante,
protezione). A partire dal secondo o terzo anno di vita il bambino può essere affidato ad un
altro, in particolare ad un servizio per l'infanzia, purché ci si possa "fidare". L'affidamento ad
altri può avvenire - c'è sembrato di capire - perché il bambino è più autonomo, ha necessità di
giocare, di avere spazi più ampi, di stare con altri bambini e, non ultimo, perché le mamme
possono fare dei sacrifici e non lavorare ma solo fino a un certo punto.
"Io sto cercando di sacrificarmi e di non lavorare per stare insieme alla bambina. E' anche importante che il
bambino cresca in famiglia dove gli vogliono bene, circondato da persone che lo amano e stanno attente a quello
che fa, se si fa male, se fa le cose nel modo giusto… Abbiamo deciso di prenderci cura personalmente della
bambina fino a quando avrà almeno un anno, poi io cercherò un lavoro e affideremo la bambina ad un asilo-
nido… Crediamo che sia meglio per la bambina. Non siamo d'accordo a portare la bambina troppo presto
all'asilo" (R9)

"Io sto a casa, non lavoro, preferirei stare con la mia bambina per uno, due anni, finché la posso lasciare da
sola con qualcuno (…) ci vuole fiducia per poter lasciare il bambino con qualcuno." (FI3)

"Io voglio occuparmi per ora della bimba… quando sarà più grandicella la manderò all'asilo… Per il
momento, mi sarebbe sufficiente poter lavorare qualche ora, economicamente ci aiuterebbe moltissimo. Il lunedì
mattina posso andare a lavorare perché mio marito si occupa della bambina." (FI1)

"All'inizio, dice il padre, non volevo lasciare il bambino in un asilo nido italiano, non mi fidavo, non ero
convinto che ci stesse bene. Quando ha compiuto un anno e mia moglie ha trovato un secondo lavoro e io ho
iniziato ad avere più lavoro come muratore abbiamo deciso di provare a lasciare il bambino all'asilo, a
condizione che, se dopo qualche giorno non si trovava bene lo toglievamo." (R11)

"Per il momento la bambina sta per la maggior parte del tempo con la nonna. Abbiamo scelto così, non
abbiamo cercato né provato altre soluzioni ma stiamo pensando all'asilo per quando avrà un anno e mezzo,
due." (FI4)
Per concludere con i gli elementi emersi circa quest'orientamento, pare opportuno
segnalare che le testimonianze precedenti riguardano, nella maggioranza dei casi, famiglie i cui
figli sono unici. Inoltre, quelle che hanno ipotizzato il ricorso al nido non avevano mai
"incontrato" questo servizio e, quando interpellate, hanno dichiarato di non sapere, né come
si fa a iscrivere il bambino al nido, né a quale nido avrebbero potuto mandarlo.

Le madri a tempo pieno


Altro dato rilevante che riguarda l'universo variegato delle famiglie nucleari è quello
relativo alla condizione delle madri che per tutta la giornata si prendono cura del bambino o
dei bambini. Le osservazioni delle nostre intervistate confermano le indicazioni di altre
ricerche circa il loro isolamento, le loro fatiche, ma ci dicono anche qualcosa sui loro desideri
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e sforzi per superare una condizione che, forse, con qualche "accorgimento", potrebbe essere
resa più soddisfacente per i genitori e per i bambini.
"Io devo stare a casa tutto il giorno per gli orari di lavoro di mio marito, lavora di notte, bisogna mangiare
presto, andare a dormire presto. Qualche volta qualcuno viene a suonare la sera, ma non abbiamo tanto
tempo. Magari trovassi qualcuno con cui poter parlare, di cui mi fido, con cui trascorrere qualche ora. Qui,
durante il giorno tutti sono via, non stanno quasi mai a casa." (FI3)

"Ai bambini piace giocare….alle volte mi stancano, loro vogliono uscire, giocare, ma non sempre è possibile.
Dove possiamo andare? Siamo chiusi in casa… Ho cercato un posto dove portarli, ma è tanto caro, è privato.
Sarebbe una cosa importante per loro ma anche per me... (…) io darei volentieri qualche cosa, per esempio
4/5 mila lire, per poter avere qualche ora libera. Per fare qualsiasi cosa io devo aspettare che venga mio marito
il fine di settimana, anche se quando lui c'è, io vorrei uscire perché sto qui tutta la settimana, invece lui è
stanco e vorrebbe restare a casa con i bambini e con me…" (FI2)

Quando si affida il bambino ad un servizio specifico per l'infanzia immigrata


I servizi cui facevano ricorso alcune delle famiglie intervistate sono: l'Asilo nido
Piccolo Mondo di Roma, struttura attiva dal 1988, promossa e gestita (attualmente in
convenzione con il comune) da una Congregazione religiosa femminile per conto dalla Caritas
diocesana ed il Centro per minori l'Aquilone di Firenze, struttura attiva dal 1991, promossa e
gestita (attualmente in convenzione con il Comune) dall'Associazione Progetto S. Agostino,
associata alla Compagnia delle Opere. In entrambi i casi i bambini accolti erano una trentina,
per la maggior parte figli di famiglie straniere di diversa provenienza ma anche figli di famiglie
italiane in situazione di difficoltà. Tutti e due servizi sono nati come "strutture di volontariato
puro", per venire incontro alle esigenze di donne immigrate che, dati gli impegni di lavoro,
trovano difficoltà nella custodia dei figli piccoli. Attualmente continuano ad avvalersi di
volontari che affiancano, in diverso modo, gli operatori retribuiti. Entrambi, anche, chiedono
un contributo economico alle famiglie commisurato alle possibilità di ogni nucleo.
Le famiglie intervistate che utilizzavano questi servizi ci sono state indicate dagli
operatori. Tra queste, ci sono dei nuclei (in qualche caso monogenitoriale) in cui le madri
lavorano a tempo pieno ed altri in cui le madri lavorano part-time o saltuariamente. In
particolare a Roma ed in misura minore a Firenze, molte famiglie risiedevano lontano dal
servizio, quindi erano costrette a lunghi spostamenti urbani, piuttosto difficoltosi a Roma.
Questi spostamenti riducevano i piccoli margini di tempo che i genitori in genere utilizzano
per gli impegni domestici (cura della casa, spesa, ecc.) e per le relazioni familiari, nonché
gravavano, nei casi delle madri collaboratrici familiari ad ore, su ritmi di vita già molto serrati,
come si può leggere nella descrizione della giornata tipo di una famiglia intervistata riportata
in seguito. In proposito, ci sembra opportuno sottolineare che le interviste confermano che,
anche solo una più articolata distribuzione territoriale dei servizi, magari di dimensioni più
piccole, potrebbe contribuire a rendere più agevole la vita delle famiglie.
Giornata-tipo: La mamma si sveglia alle 6.30, si veste e si lava, prepara il bimbo e vanno all'asilo, dove
il bambino è lasciato alle 8.30. Dopo aver lasciato il bambino all'asilo si reca presso la famiglia dove lavora
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dalle 9.00 alle 12.00. In genere salta il pranzo perché non ha molto tempo di pausa tra una famiglia e l'altra.
Mangia un panino. Arriva nella seconda casa alle 13.00. Alle 16.00 termina il lavoro in famiglia e alle
17.00 va a riprendere il bambino all'asilo-nido. Verso le 18.00 sono in casa e lei comincia a cucinare per la
cena. Prima di cenare vuole sempre dedicare un'oretta per giocare con il bambino. Alle 19.00 cenano insieme,
mentre l'altra famiglia con cui abitano ha orari diversi. Dopo cena guardano un po’ di televisione. Verso le
21.30-22.00 sono già a letto.

Che cosa ci siamo proposti di raccogliere dalle esperienze delle famiglie intervistate
che hanno adottato questo sistema, per così dire "misto", di accudimento dei figli? In breve, le
domande che ci siamo posti sono: Come ci arrivano? In che misura e come il servizio
risponde alle loro esigenze "particolari", che abbiamo ipotizzato - secondo quanto indicato da
altri approfondimenti - fossero di flessibilità nelle procedure di accesso e negli orari e di
"personalizzazione" (tenere conto delle scelte e delle particolari condizioni delle famiglie).
Infine, ci siamo domandati che cosa significasse per le nostre intervistate "condividere" la
custodia dei figli con il servizio e far crescere i figli in una situazione di multiculturalità.
Iniziamo dalla prima questione. Ci arrivano, in quasi tutti i casi, dopo aver cercato una
sistemazione nelle strutture pubbliche. Ne vengono a conoscenza, nella maggior parte dei
casi, attraverso altri servizi o operatori/persone di riferimento delle organizzazioni di
volontariato che li gestiscono; eventualmente tramite perenti e famiglie della stessa
provenienza che li hanno utilizzati o li utilizzano. Una differenza sostanziale tra la struttura di
Firenze e quella di Roma è che, nel primo caso, le famiglie hanno accesso solo se, attraverso il
Servizio Sociale comunale, dimostrano la propria condizione di difficoltà. A Roma, invece, il
percorso di accesso alla struttura è gestito in autonomia dall'ente assistenziale.
La decisione di affidare il bambino al servizio, invece, matura in modi diversi nelle
differenti famiglie, come si può osservare dalle testimonianze che seguono:
"Abbiamo cercato di trovare un posto all'asilo perché, a un certo punto abbiamo capito che se io non
cominciavo a lavorare non ce l'avremmo fatta a tirare avanti. Prima siamo andati in Comune, ma mi hanno
chiesto il permesso di soggiorno e allora non mi sono fatta più vedere, è stato un peccato perché l'asilo era vicino
a casa e mi avrebbe fatto comodo poter portare il bambino lì. Poi sono andata al centro di ascolto Caritas della
Parrocchia, da lì mi hanno mandata al centro stranieri della Caritas, dove però mi hanno detto che all'asilo
nido Piccolo Mondo non c'era posto e dovevo mettermi in fila ma io non l'ho fatto perché ho pensato che non ci
sarebbe stato mai il posto… Dopo circa un mese mi sono presentata direttamente all'asilo e ho scoperto che si
era liberato un posto e ho subito iscritto il bambino." (R3)

"Una mia parente che sa tutto mi ha detto: 'guarda amica mia, il tuo bambino è cresciuto e, se vuoi, questo è
il momento che impari l'italiano, che vada all'asilo'. Mi ha consigliato di andare all'ufficio asili nido, ci sono
andata, ho fatto domanda ma non c'era posto. Ho continuato a cercare. Ho incontrato una signora, anche lei
marocchina, che ha il bambino all'Aquilone e che mi ha detto che per far prendere il bambino qui è necessario
avere un'assistente sociale. Sono andata al Comune e ho preso contatto con l'assistente sociale alla quale ho
chiesto un aiuto non solo per l'asilo ma per tutto, per esempio per la nostra casa che è molto umida…" (FI7)

"Ho deciso di portarlo all'asilo per poter andare a lavorare e anche perché potesse imparare subito l'educazione
e avere un ritmo di vita più regolato. E' stata una Suora italiana che mi ha detto che c'era questo asilo nido e
che i bambini si trovavano bene, mi ha detto anche di informarmi all'Ufficio stranieri della Caritas, che io già
conoscevo, ho la tessera della Caritas. Prima, però, ero andata in Comune a chiedere un posto, mi hanno
chiamata qualche mese dopo perché se n'era liberato uno e mi hanno chiesto di pagare due rate anticipate. Io
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non sapevo che avrei dovuto pagare due rate anticipate, non avevo i soldi e così ho rinunciato. Poi mi hanno
chiamata all'asilo nido Piccolo Mondo perché si era liberato un posto." (R6)

Che cosa abbiamo trovato in termini di flessibilità e personalizzazione? Da un lato,


una risposta in tempi abbastanza brevi all'urgenza che le famiglie manifestano, con possibilità
di inserimento anche per periodi limitati, e degli accorgimenti o attenzioni per facilitarne
l'accesso e l'uso.
"Quando si è liberato un posto all'asilo la suora è venuta personalmente a dircelo perché noi non abbiamo il
telefono e a lei dispiaceva che perdessimo il posto." (R1)
"Io mi sono sempre trovata bene qui, sono bravi, gentili, fanno tanto per i bambini (…) anche quando ho
avuto bisogno mi hanno aiutata, per esempio se non posso portare i soldi entro il 10, li posso portare anche
dopo, anche fino al 20 o al 30 del mese." (FI6)

In relazione agli orari di accoglienza dei bambini e all'utilizzo in termini di tempo che
ne fanno le famiglie abbiamo, però, trovato delle analogie con quelli dei nidi comunali.
L'offerta, da questo punto di vista, non risulta sostanzialmente diversa da quella dell'ente
pubblico. Questo, però, costituisce un problema per la maggior parte delle famiglie romane
intervistate, che avrebbero desiderato maggiore flessibilità per quanto riguarda, sia l'entrata
(da consentire in un tempo più ampio) sia l'uscita, da spostare magari fino alle 19,30.
L'utilizzo di un servizio per l'infanzia impone, in genere, alle famiglie di rapportare
con i propri portati culturali indicazioni ed orientamenti relativi alla cura e all'educazione del
bambino che "circolano" nel servizio. Noi non abbiamo trovato, nelle parole dei genitori
intervistati, indicazioni in tal senso, ma abbiamo invece riscontrato manifestazioni di
"tensioni" da parte del servizio in relazione a comportamenti dei genitori rispetto
all'alimentazione ed all'igiene dei bambini: "In genere, ha indicato la nostra testimone, c'è poca
informazione delle famiglie sui temi della profilassi sanitaria e della prevenzione. Anche a livello culturale ci
sono delle carenze e lacune. Bisognerebbe educare le mamme per una pulizia e un'igiene corretta del
bambino.(…) L'igiene alimentare dei bambini è un altro grosso problema. I nostri bambini vengono da
situazioni culturali diverse, si trovano in un contesto diverso di tradizioni alimentari. Dopo la nascita, le
madri escono con uno schema nutrizionale dall'ospedale e non lo aggiornano più, continuano a dargli da
mangiare sempre le stesse cose. Il pediatra dell'Ospedale Bambin Gesù con cui siamo in contatto ha scoperto
molte situazioni di allergia, di diete sbagliate. In questo momento abbiamo la metà dei bambini presenti
nell'asilo che hanno problemi di allergia. Spesso le madri non collaborano."
Nei casi esaminati, le famiglie affidano il bambino e si fidano: lo ritengono un luogo
"pulito", "ordinato", "professionale", dove gli operatori sono "gentili" e "attenti". Il confronto
"culturale" come in tutti i servizi per l'infanzia, avviene, ma è un lavoro in cui il genitore
appare solo, e che viene svolto sulla base degli elementi che egli trae dalla relazione che
stabilisce con gli operatori e da quello che il bambino "riporta a casa". In proposito, la
testimonianza sotto riportata ci indica la "necessità" di fronte alla quale possono trovarsi le
famiglie di distribuire e separare, tra loro ed il servizio, funzioni e ruoli educativi, forse, per
evitare un confronto che risulterebbe faticoso e non alla pari e dal quale, probabilmente,
potrebbero trarre una propria immagine di inadeguatezza.
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"La bambina deve imparare a giocare, e qui all'asilo gioca tanto, impara tutti i giochi possibili. Qui, all'asilo
impara molto, cose nuove, è molto sveglia. Noi le insegniamo le cose più facili: a comportarsi bene, a non
gridare, a non piangere, le leggiamo le favole e i libri, le mostriamo le fotografie dei nostri genitori" (FI6)
Difficilmente la presenza di più culture si presenta agli occhi dei genitori come una
risorsa. Non sappiamo in che modo lo sia effettivamente per i bambini. Per la maggior parte
delle famiglie intervistate, che desidererebbero che i loro figli incontrassero piuttosto dei
bambini italiani, questa è una scelta obbligata. Le occasioni di incontro tra famiglie non sono
le stesse nelle diverse strutture, ad ogni modo risultano "difficili", come lo spiegano gli stessi
genitori:
"Non ho molte occasioni di incontrare altri genitori, anche perché all'asilo Piccolo Mondo le mamme vengono a
prendere i bambini in orari diversi, poi, dato che i rumeni sono diversi dai filippini e non si incontrano mai tra
di loro, non c'è occasione di fare molte amicizie." (R1) - Mamma casalinga

"Mi piacerebbe che l'asilo organizzasse delle feste o degli incontri nei quali conoscere le altre mamme, ma, in
realtà, c'è poco tempo per conoscere le altre mamme, tutte scappano via velocemente." (R5)

Relativamente alla cosiddetta "partecipazione" dei genitori, crediamo opportuno fare


notare che l'utilizzo del servizio da parte di mamme che lavorano saltuariamente o a ore
potrebbe essere visto come un'opportunità per favorire, attraverso il loro contributo p.e. a
momenti di vita con i bambini, alla preparazione di materiali e dell'ambiente, ecc., lo sviluppo
di forme di reciprocità tra il servizio ed i suoi "utenti" ed eventuali interazioni tra le differenti
culture presenti all'asilo. Entrambi i servizi utilizzano dei "volontari", ma non sono emerse
durante le interviste occasioni in cui essi abbiano cercato di individuare e di promuovere
quella "disponibilità" a collaborare, a nostro avviso potenzialmente presente, da parte delle
stesse famiglie che li utilizzano.
Ultimo elemento che riteniamo di dover segnalare, che emerge in generale
dall'approfondimento ma che si manifesta in modo più grave per la situazione romana in
ragione delle "strategie" di politica sociale dell'ente pubblico e delle organizzazioni di
volontariato, è la difficoltà che questi servizi hanno a stabilire delle collaborazioni con i servizi
territoriali e, in qualche caso, con quelli di privato sociale non gestiti dalle stesse
organizzazioni.
"…la struttura pubblica non si è mai mossa per venire incontro all'asilo. Sanno che ci siamo ma non hanno
mai fatto degli sforzi seri per coinvolgerci e metterci in rete. Ad esempio, non siamo mai stati contattati
dall'asilo nido e dalla scuola materna comunale, e invece penso che dovrebbe esserci un continuo contatto tra di
noi e l'asilo comunale, anche per chiedere informazioni sulle famiglie (…) C'è troppa burocrazia e non c'è
lavoro di rete. (…) Negli ultimi due anni, l'unico tentativo di approccio c'è stato in occasione di una ricerca
sulle strutture assistenziali realizzata dall'Ufficio Speciale Immigrazione del Comune di Roma (…), ma non
c'è stato un seguito." (intervista alla responsabile dell'A. N. Piccolo Mondo)
Questa difficoltà ha portato i servizi a cercare l' "autosufficienza", al ricorso alle
disponibilità presenti nel volontariato, per esempio per l'assistenza o consulenza di pediatri e
specialisti, per la formazione e l'eventuale aggiornamento del personale e dei volontari, ma
anche per dare risposte a necessità materiali, di alloggio, ecc. delle famiglie. Spesso i rapporti
che questi servizi hanno, poiché di riferimento per le famiglie, vanno a costituire la rete di
19

servizi delle famiglie che li utilizzano. Le famiglie immigrate rischiano di trovarsi all'interno di
un sistema separato per gli immigrati/disagiati e, nelle migliori delle ipotesi, su di loro ricade il
compito di integrare e mediare tra servizi o prestazioni pubblici e di volontariato.
In breve, i rischi che questa soluzione da "specifica" (flessibile-multiculturale) diventi
"soluzione di separazione" degli immigrati/disagiati sembrano alti.

Il benessere dei piccoli


"Perché la bambina (3 mesi) stia bene bisogna portarla ogni tanto dal pediatra, farla mangiare, farle fare un
po' di ginnastica, portarla fuori." (FI10)

Da qualche tempo si è potuto comprendere che l'uso che le famiglie, specie quelle in
difficoltà socio economica, fanno degli "aiuti" di cui possono disporre per la custodia dei figli,
argomento che abbiamo trattato nei precedenti paragrafi, rinvia non tanto alla valutazione
delle esigenze del bambino ed a quelle familiari in generale quanto, invece, al modo in cui tale
aiuto viene offerto; il che vuol dire, quando si tratta di un servizio, ai vincoli derivanti dalla
sua organizzazione. In tal senso, le soluzioni di accudimento ci dicono poco rispetto a come
pensano i genitori debbano crescere i propri figli e su come sia necessario prendersi cura dei
piccoli.
Abbiamo perciò cercato, attraverso domande specifiche, di interrogare le nostre
famiglie sugli aspetti che ritenevano più importanti in questo momento della crescita e dello
sviluppo del bambino, su come loro pensavano di aiutarlo a crescere, su quali opportunità e
stimoli offrivano o credevano di dover offrire, su quali erano al riguardo le loro
preoccupazioni e con chi le dividevano.
Relativamente ai temi su cui concentrano l'attenzione e le pratiche i genitori, le nostre
famiglie indicano quelli che in genere s'individuano per tutte le famiglie che hanno figli
piccoli. Quindi, per primo, il benessere fisico dato, in particolare (come la testimonianza
riportata all'inizio ci segnala), da una buona alimentazione, dal controllo della crescita, dalla
cura di eventuali malattie, dalla possibilità di "stare all'aria aperta" e, in minor misura, da ritmi
di vita regolari e da un buon riposo. In relazione al maturare delle competenze dei piccoli e
dalla presenza-assenza di fratelli, il gioco con altri bambini e le relazioni tra fratelli diventano
elementi centrali delle attenzioni e delle pratiche dei genitori. C'è parso di capire in proposito
che ogni famiglia attribuisca maggiore o minore rilevanza a ciascuno di essi in relazione,
primo, alle reali condizioni di salute del bambino ed a ciò che egli esprime o manifesta
(presenza di malattie, il bambino che mangia poco o che dorme male) e, secondo, alla
valutazione delle condizioni in cui si trovano a vivere, in particolare, alla ristrettezza degli
spazi domestici ed alla loro insalubrità (umidi, senza riscaldamento, ecc.). Aspetti, questi
ultimi, la cui gravità è stata più volte segnalata da ricerche realizzate in ambito sanitario.
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"Quando il bambino non andava all'asilo aveva difficoltà a addormentarsi perché rimaneva troppo tempo
dentro casa, non prendeva abbastanza aria, non c'era abbastanza spazio per giocare e quindi non si stancava
abbastanza." (R3)
Crediamo che, in relazione alle condizioni abitative, non possiamo dire se anche per
"abitudini culturali", "il fuori", rappresentato dai giardini quando esistono altrimenti dalle
piazze, assuma in molte famiglie una valenza determinante nell'organizzazione delle routine
quotidiane di cura e nell'uso del "tempo libero". Quando presenti, spesso i padri dividono con
le madri il compito di portare fuori la sera i bambini. Le famiglie cercano gli spazi più adatti
(attrezzati, puliti), dunque non necessariamente quelli più vicini alla propria abitazione,
prendono anche dei mezzi pubblici per arrivarci.
Agli spazi all'aperto vengono, però, attribuiti anche altri significati. Essi rappresentano
per molte famiglie, oltre che luoghi d'incontro tra connazionali, gli unici spazi in cui i figli
possono incontrare bambini italiani; incontri desiderati dai genitori ma che risultano per lo più
casuali e sporadici.
"I bambini non hanno occasione di incontrare molti bambini…solo al parco pubblico incontrano dei bambini
italiani. Mio marito li porta il pomeriggio tardi, se non lavora, oppure la domenica; appena può cerca di uscire
dall'appartamento e far fare una passeggiata ai bambini." (R1)

La "naturale" competenza materna: il bambino tra "occhio di mamma" e


"occhio di pediatra"

"A me possono dire: fai questo o fai quel altro, ma io faccio quello che credo che va bene alla mia bambina,
sono io che vivo con la mia bambina, so quando sta bene e quando non sta bene e, quindi so cosa devo fare. A
me per esempio non piace darle delle medicine, se sono costretta gliele do per un po' di tempo, ma non per tutto
il periodo che dice il medico." (FI3)
Abbiamo trovato nella maggior parte delle madri una sorta di "rivendicazione" di un
"sapere materno" e di conoscenze che provengono da eventuali maternità precedenti e da un
contatto attento con i figli. In tal senso, le madri si ritengono capaci di controllare la crescita
dei figli ("capisco, so come sta, so se sta bene, perché lo vedo, l'osservo, ci sto con lui, ho
imparato a conoscerlo) e sembrano affrontare questo compito, in generale, con sufficiente
serenità. Ci sono, però, per le primipare, momenti particolari in cui "bisogna saper fare
determinate cose" (le prime cure), oppure prendere decisioni su conoscenze che ritengono di
non avere o di avere in modo incerto (p. e. sui regimi alimentari, su quando e come insegnare
il controllo delle funzioni fisiologiche). Rispetto a questi momenti abbiamo potuto osservare
due elementi significativi. Il primo è che molto spesso si verifica uno "scontro" con la cultura
professionale, quella dei pediatri, le principali figure di riferimento per la cura del bambino
anche per le nostre mamme, come il racconto di una di loro sta a testimoniare.
"…faccio quello che io penso sia bene per la bambina. Il pediatra, quando l'ho portata all'inizio, mi ha detto
di darle delle pappe, ma io ho visto che poteva mangiare più cose e le ho dato più cose. Io ancora l'allatto un
po', non so fino a quando l'allatterò. In Ecuador mia madre ci ha allattati sino a due anni, due anni e mezzo.
Il pediatra mi ha domandato se l'allattavo ancora (a 12 mesi), quando gli ho detto di sì mi ha detto 'molto
bene'. Inizialmente mi aveva detto che la dovevo allattare sino ai sette mesi. Io gli ho detto che fin che posso
21

l'allatto. Per la pesata, qui pesano prima e dopo la poppata. A me questo non andava bene per cui non l'ho
fatto. Non mi andava bene perché, se la bilancia non segna quello che voglio io, incomincio a preoccuparmi.
Così mi sono detta, meglio non la peso. E' come se venisse la disperazione, perché vorrei che stia bene. Penso
che a poco a poco cresce." (FI1)

Il "conflitto" con i pediatri non è quasi mai un conflitto aperto perché, come hanno
indicato molte delle intervistate, non c'è possibilità di dialogo con i medici (hanno fretta, sono
molto formali, non capiscono le preoccupazioni delle mamme). E' così che le mamme
cercano di trovare il medico più disponibile (molte famiglie hanno cambiato più volte
pediatra, alcune ne hanno più di uno, quello della mutua e uno privato, si rivolgono a quello
del nido e agli ospedali) e di confrontare le indicazioni dei professionisti con pareri di altri.
Secondo i casi esaminati, questo conflitto tra "sapere informale" della mamma e "sapere
professionale" del pediatra pare si risolva in due modi diversi, con risultati che non si possono
del tutto prevedere per il bambino: o la madre segue letteralmente, in modo rigido, le
indicazioni del pediatra, accantonando proprie conoscenze e la capacità di valutare che cosa è
più opportuno per il figlio; oppure adotta soluzioni "miste", quindi solo in parte le
"prescrizioni" che vengono date.
Il secondo elemento significativo osservato in relazione ai momenti e situazioni
d'incertezza che riguardano la cura del bambino è quello relativo a come, dal racconto delle
madri, questi si sono potuti risolvere in modo soddisfacente.
Per le pratiche di puericultura, in primo luogo, si tratta di occasioni in cui le madri
hanno avuto "sostegno" da parte di madri italiane che, in qualche caso, si sono offerte
individualmente o come famiglia (vedi la prima testimonianza sotto riportata) ed in altri, sono
state incontrate nelle strutture di accoglienza e facevano parte di gruppi di volontariato,
questo è il caso del secondo racconto riportato.
"Io, al momento della nascita di Aldo, sono stata aiutata molto da un'amica italiana, mi ha aiutata tanto, è
venuta in ospedale quando io dovevo partorire e poi mi ha aiutata in casa. Mi ha insegnato a cambiare il
bambino, veniva ogni volta che lo dovevo cambiare. Il primo bagno glielo abbiamo fatto insieme, perché io avevo
paura ed ho continuato ad averla fino a quando il bambino ha avuto sei mesi. Lei mi ha aiutato anche per
l'allattamento, siccome i primi giorni a casa piangeva tanto, lei mi ha detto che sicuramente aveva fame….
Mio marito aveva conosciuto suo marito … così, quando sono arrivata io ci hanno invitati a mangiare a casa
loro. Lei è brava, dolce. E' più grande di me, ha 42/43 anni. Io le sono tanto riconoscente perché mi ha
aiutata tanto. Anche per quanto riguarda i vestiti del bambino, la carrozzina." (Leda, albanese)

"I mesi trascorsi con la bambina nella Casa di Accoglienza sono stati molto importanti perché lì ho imparato
parecchio, moltissimo. Io avevo paura, volevo sapere di più perché non mi succedesse niente con la bambina. Lì
ho visto le altre mamme e ho imparato. Mi sono sentita protetta. Nelle nostre famiglie non è la stessa cosa di
qui. Io non sapevo nulla di tutto questo, per esempio di come bisogna curare l'ombelico, che bisogna avvolgerlo
con una garza, oppure come si fa il bagnetto. Mi sono sentita sicura perché ho potuto vedere, per esempio, il
primo bagnetto gliel'hanno fatto. La Signora Lucia mi ha insegnato, e così, poco a poco s'impara. Il fatto
positivo di quella casa di accoglienza è che ci sono persone adulte perché, in generale, nel volontariato sono tutti
giovani. Lì c'erano delle signore volontarie che sono anche madri e ci sono anche le altri madri che hanno figli
più grandicelli." (FI1)
22

Alcune madri hanno potuto fare ricorso al sostegno di altre donne della famiglia
allargata, quando presenti in Italia e disponibili (p.e. sorelle più grandi, cugine), ed in qualche
altro caso sono state delle madri connazionali, incontrate nelle case di accoglienza, che hanno
permesso loro di "riappropriarsi" di pratiche di cura appartenenti alle culture d'origine.
"L'altra donna somala di questa casa mi ha insegnato cosa fare con la bambina se ha più caldo o ha più
freddo: come riscaldarla o raffreddarla. Poi mi ha insegnato a farle un massaggio di olio e limone per quando
ha la febbre, per rinfrescarla un poco. Questa è una cosa che faceva anche mia madre in Somalia, e che io
avevo dimenticato. Mi ha insegnato a massaggiarla, a trattarla al risveglio, a rinfrescarla, a metterle le creme."
(FI8)

Nei momenti, invece, in cui l'esigenza delle madri è stata quella di avere
un'informazione o confrontare le proprie conoscenze con quelle di altri, esse si sono in
genere rivolte, per primo, alla famiglia allargata (magari telefonando all'estero) ed a
connazionali, se disponibili. In un secondo momento, e nella misura delle possibilità di
contatto, le madri immigrate hanno cercato di sapere anche come fanno o come avrebbero
fatto le madri italiane.

L'educazione del bambino

"Io voglio che lui cresca metà italiano e metà del nostro paese. Io sono una mamma moderna, come si dice,
voglio che lui guardi al mondo da più finestre e non da una sola, voglio che scelga la sua strada, voglio dargli la
libertà, essere come una guardia che se c'è un pericolo interviene…. Noi prendiamo delle cose che ci piacciono
dell'educazione italiana e le mescoliamo con l'educazione del nostro paese e con la nostra religione, soprattutto".
(FI7)
Tra gli elementi principali rilevati inerenti l'educazione del bambino possiamo indicare
ciò che i genitori considerano essere i loro compiti. Fra i più segnalati risultano: offrire un
ambiente sereno, dare prospettive per il futuro (sicurezza), trasmettere dei valori (una buona
educazione) ed offrire possibilità d'istruzione. Elementi che si definiscono in modo
strettamente legato alle proprie storie d'infanzia e della migrazione (le famiglie con più
difficoltà di inserimento sono quelle che segnalano la sicurezza del futuro come l'aspetto più
importante che i genitori debbono assicurare ai figli).
Riguardo a come si pongono i genitori intervistati rispetto all'educazione che loro
hanno ricevuto, la maggioranza prende distanza dai propri genitori. Con sfumature diverse,
tutti salvano aspetti legati ai valori, all'amore, alla dimensione etica dei contenuti trasmessi,
pesano le differenze tra le condizioni di vita all'epoca e quelle attuali e mettono in discussione
le pratiche educative dei loro genitori quando i modelli di relazione con i figli delle famiglie
d'origine ed i loro sistemi disciplinari, troppo rigidi, non tenevano sufficientemente conto dei
pareri e della personalità dei bambini. In breve, la maggior parte si dichiara "genitori
moderni".
23

"Penso di fare diversamente dai miei genitori, non perché loro non avessero voglia di fare ma non era possibile
perché noi eravamo in tanti, sei sorelle ed un fratello, come facevano ad accontentare tutti? Siamo cresciuti bene
lo stesso, il mangiare, il necessario lo abbiamo avuto. Non posso dire di fare come loro perché loro non hanno
avuto i mezzi. Dal punto di vista dell'educazione loro sono stati bravi con noi. Mia madre e mio padre sono
stati bravi, io ed altri tre miei fratelli siamo andati all'università, per i miei genitori, così come per me, è
importante fare studiare i figli." (FI2)

"Rispetto a come hanno fatto i miei genitori, penso di aver preso le cose più giuste, quelle che vanno sempre
bene. Alcune delle cose che io faccio con mio figlio sono le stesse che facevano i miei genitori con me, però educare
in figli in Italia è diverso da educarli in Perù, il sistema è molto diverso. In Perù è più rigido mentre in Italia è
più moderno, meno severo." (R8)

La trasmissione degli elementi della cultura di origine, (i principi legati alla religione
per alcuni genitori musulmani e per i cattolici praticanti, e la lingua, le tradizioni alimentari, la
musica, ecc. per tutti), è ritenuto dai nostri intervistati compito della famiglia, quindi,
responsabilità dei genitori. In tal senso, ed in relazione a quanto ed a quali elementi ciascuna
famiglia pensa sia importante trasmettere ai figli, i genitori si attivano, creano delle
opportunità (incontri con connazionali, scelta della lingua da usare a casa, letture di storie,
ascolto di cassette, ecc.). Solo nel caso di un genitore tra quelli di religione musulmana che
abbiamo incontrato, sono state manifestate preoccupazioni rispetto alle difficoltà che in
futuro può avere la famiglia per trasmettere ai figli, in un ambiente così diverso, la propria
religione e visione del mondo.
Relativamente a questo "problema", diventato il nodo a partire dal quale si è spesso
ritenuto di dover affrontare la questione della socializzazione dei figli degli immigrati, e che ha
portato a prese di posizioni "inconciliabili" come la situazione francese starebbe a dimostrare,
la nostra piccola ricerca offre uno spunto di riflessione a nostro avviso interessante.
Mettendo in relazione le preoccupazioni espresse dalla famiglia su indicata, che non
utilizza un servizio per l'infanzia, che appare piuttosto isolata, con difficoltà ad avere rapporti
con famiglie italiane per gli orari di lavoro del padre e le scarse opportunità che offre
l'ambiente (vedi testimonianza riportata a pag. 15 Fi3), con l'elaborazione sull'educazione del
figlio che esprime un'altra famiglia della stessa provenienza (Marocco) e religione (la cui
testimonianza è offerta all'inizio del paragrafo), famiglia che utilizza un servizio per l'infanzia e
ha avuto "precocemente" la possibilità di incontrare altre famiglie italiane e straniere, ci
sembra lecito ipotizzare che le "questioni" in precedenza indicate potrebbero essere più
facilmente affrontate, e quindi meno problematiche, lavorando non tanto sul "conflitto"
quanto sulle condizioni di interazione che possono essere create a partire dalla primissima
infanzia. E qui ritroviamo la dimensione preventiva più generale di un'attenzione per la
condizione dell'infanzia e dei genitori immigrati che si trovano a svolgere compiti di cura.
C'è, in effetti, nella maggior parte dei genitori che hanno avuto la possibilità di
stabilire un rapporto con famiglie italiane, una maggiore consapevolezza del fatto che i figli
diventeranno "un po' di qui ed un po' come noi" e questo, sembra faccia anche piacere,
perché potranno sapere più lingue, "guardare il mondo da più finestre".
24

Quando s'incontrano delle famiglie italiane disponibili…


In merito al rapporto tra famiglie immigrate e famiglie italiane cui si è fatto cenno in
precedenza, ci preme sottolineare che non intendiamo gli incontri casuali e sporadici che,
come i nostri intervistati hanno segnalato, i genitori immigrati hanno con quelli italiani nei
giardini, nella sala d'attesa del pediatra o del consultorio familiare, in autobus, dalla
parrucchiera o per le scale di casa. Il rapporto è, invece, il prodotto di interazioni continuate
che, più spesso, si sviluppano all'interno di "relazioni di aiuto"; relazioni che qualche volta ma
non sempre - come abbiamo potuto capire da una mamma che ci ha raccontato che "mentre la
sua amica italiana aiutava nei compiti i bambini più grandi lei si prendeva cura dei bambini più piccoli" (dei
bambini di entrambe) si possono trasformate in "relazioni di aiuto reciproco".
"Una volta una signora con un bambino piccolo si è avvicinata a me, aveva riconosciuto me e la piccola. Lei
era stata con me in ospedale e ha partorito nello stesso momento mio. Con questa signora e con i suoi figli ci
siamo ritrovati ai giardini, in un modo che sembra incredibile, prima non eravamo amiche. Ora i bambini più
grandi vanno ai campi estivi insieme. Con lei è interessante parlare perché è intelligente e buona e mi aiuta in
certe occasioni, una volta mi ha tenuto le bambine la notte, perché il più grande partiva tardi la notte e io
dovevo accompagnarlo. Poi ha tenuto le bambine anche tutta la giornata perché voleva che io mi riposassi."
(FI9)

Per concludere, le esperienze di interazione raccolte, quelle che abbiamo appena


indicato ed altre già presentate in relazione ai supporti alle mamme nel periodo perinatale
(vedi testimonianze a p. 21), ci hanno permesso di cogliere i seguenti elementi principali:
1. la presenza di una "disponibilità" di famiglie italiane, forse più ampia di quello che può
superficialmente apparire, basata non solo sulla capacità di essere "solidale" da parte di
chi offre aiuto, ma anche sulla comprensione di quello che si può "trarre" dalla
relazione con l'altro;
"…da tutta quest'esperienza la mia famiglia ed il gruppo di famiglie cui appartengo hanno tratto
una grandissima ricchezza: io ritengo che i miei figli siano stati fortunati a dover dividere i propri
giocattoli, la loro camera, i loro affetti più cari (la loro mamma ed il loro babbo) con dei bambini in
tutto estranei a loro. Sono contenta che per un pezzetto di vita la mia casa sia stata inondata di
queste luci e di questi colori, di gente che sostanzialmente è molto lontana ma che, in effetti, è a noi
molto vicina nel desiderio che l'uomo sia preso e valorizzato per quello che è." (E. Cristofori,
Associazione Famiglie per l'Accoglienza - Firenze)
2. la difficoltà di "far incontrare" le disponibilità esistenti con chi le potrebbe utilizzare,
dato il carattere prevalentemente casuale di questi incontri;
3. la qualità del supporto che in molti casi le famiglie italiane hanno potuto offrire, e che
sembra derivare da:
- la possibilità di fornire aiuti di diverso genere (aiuti materiali, informazioni,
sostegno emotivo, integrazione sociale), in particolare quando le famiglie
incontrate facevano parte di gruppi o reti più o meno formalizzati di famiglie;
25

- la possibilità di garantire continuità di presenza ed il modificarsi della stessa


(flessibilità), secondo le necessità ed esigenze che poteva esprimere la madre o la
famiglia immigrata;
- la presenza di alcune competenze relazionali nelle persone che offrono supporto,
quali il non essere intrusivi, il rispetto, il saper mantenere la distanza, la capacità di
osservazione, ma anche l'empatia.
26

LE STRATEGIE D'INTERVENTO IN FAVORE DELLE FAMIGLIE


IMMIGRATE CON FIGLI PICCOLI

Le problematiche da affrontare

Nel corso del nostro approfondimento sono state messe in luce alcune "aree di
criticità" nell'organizzazione e nella gestione della cura dei bambini piccoli da parte delle
famiglie immigrate che non risultano sostanzialmente diverse da quelle che emergono dalle
analisi della condizione di molte famiglie italiane. Diversi sono, tuttavia, le disponibilità
interne ai nuclei ed i supporti su cui, nella maggior parte dei casi, le famiglie immigrate
possono contare, nonché le opportunità di interazione con le diverse espressioni delle
comunità locali, condizione, quest'ultima, determinante per la definizione di propri percorsi di
integrazione.
Sinteticamente, le problematiche inerenti all'organizzazione e alla gestione della cura
dei figli da parte delle famiglie immigrate che riteniamo debbano trovare modalità di risposta
adeguate sono:
a) L'individuazione di forme di custodia o supporti per l'accudimento dei bambini piccoli
che consentano alle donne immigrate di separare sufficientemente il lavoro dalla cura
dei figli e, quindi, di poter operare delle scelte tenendo conto di quello che si ritiene
opportuno o adeguato per i bambini.
b) Le difficoltà di accesso e d'utilizzo dei servizi per l'infanzia e per le famiglie, anche
quando questi si pensano specifici e flessibili.
c) Le difficoltà ad affrontare "gli imprevisti" ed i momenti critici collegati alla nascita ed
alle prime fasi di sviluppo e apprendimento del bambino.
d) La difficoltà della maggior parte delle famiglie (quelle che non utilizzano servizi per
l'infanzia) di far fare ai figli, specie a partire dal secondo anno di vita, esperienze ritenute
indispensabili per la loro crescita (motorie, di gioco e di socializzazione).
e) La ristrettezza e l'occasionalità delle opportunità di confronto, sia per i genitori che per i
bambini, tra famiglie immigrate e famiglie italiane.
f) La gestione dei "confronti culturali" che si manifestano, in particolare, tra il "sapere
informale delle madri" ed il "sapere tecnico dei professionisti" di area sanitaria ma anche
educativa.
27

Le strategie messe in atto

Le questioni sopra indicate non sono del tutto nuove. Esse sono state, per lo meno in
parte, messe in evidenza da altri approfondimenti ed hanno costituito, con sfumature ed
accentuazioni diverse secondo le specificità locali e il peso attribuito ad ognuna di esse,
l'oggetto di esperienze che nell'ultimo decennio si sono proposte di sostenere o affiancare le
famiglie immigrate nei loro compiti di cura.
Tre soggetti: il pubblico, gli organismi di privato sociale e, in qualche caso, le forme di
autorganizzazione degli immigrati, si sono attivati, o per mandato istituzionale, o perché
ritenevano di poter assumere una parte negli interventi. Le analisi delle strategie messe in atto
da questi diversi soggetti, compiute in parte nell'ambito del "Progetto famiglie immigrate e
comunità locali", in parte attraverso i tentativi che abbiamo messo in atto tra il 1996 ed 1997
per sostenere le iniziative per l'infanzia organizzate dalle associazioni di immigrati, ma anche
grazie all'approfondimento realizzato in occasione di questa ricerca, ci hanno permesso di
individuare problematicità tali da ritenere che i percorsi finora individuati difficilmente
possono permettere di rispondere contemporaneamente alla pluralità di esigenze sopra
indicate. In breve, tra i nodi critici delle strategie d'intervento finora percorse pare opportuno
indicare che:
a) esistono dei limiti, non solo alla creazione di servizi aggiuntivi dovuti a difficoltà di
ordine finanziario, ma anche all'adozione di forme organizzative che rendano le diverse
strutture di accoglienza per l'infanzia, pubbliche e privare, "flessibili" quanto le variegate
esigenze delle famiglie lo richiederebbero;9
b) l'offerta dei servizi è spesso utilizzata dalle famiglie immigrate, non tanto in funzione di
quanto essi rispondono alle loro esigenze particolari e, quindi, anche indipendentemente
dalle complicazioni organizzative e dalle implicazioni culturali che dal loro utilizzo
possono derivare, ma prevalentemente in virtù della loro gratuità e della manifesta
disponibilità umana dei suoi operatori. In questo modo molte iniziative, pubbliche e
private, rischiano di creare dipendenza, di indurre le famiglie all'accettazione acritica di
quanto viene loro offerto e di inibire le loro capacità di reazione e di scelta;
c) le difficoltà presenti nel sistema dei servizi italiani non hanno permesso alla maggior
parte dei servizi specificatamente messi in atto per rispondere ad esigenze di assistenza
ed ai bisogni legati alla cura dei figli delle famiglie immigrate, di svolgere la funzione che
si erano proposti di mediazione e di facilitazione dell'accesso ai servizi per tutta la

9
In proposito ci sembra emblematica una sperimentazione denominata "Oltre il nido della Barca", realizzata a
Bologna per un periodo di sei mesi presso i Centri per le Famiglie e predisposta, utilizzando le disponibilità dei
servizi territoriali, di volontari e delle stesse madri straniere coinvolte, per garantire l'accudimento dei bambini
nelle ore serali 17/20,30 in cui le famiglie erano impegnate, a turni, in attività lavorative. La sperimentazione,
che doveva avere un seguito attraverso l'apertura serale di un nido del quartiere per quelle mamme che facevano
dei turni, con la gestione mista (volontari e operatore) sperimentata nei centri, si è conclusa perché, non riuscendo
a trasferire l'esperienza al nido, i problemi posti dal trasferimento dei bambini dal nido alla sede del Centro, prima
garantito da volontari ed in seguito con un mezzo messo a disposizione dell'Amministrazione comunale, sono
diventati insormontabili.
28

popolazione. In questo senso si può ritenere che si sia venuta a creare una sorta "doppio
binario" entro il quale si è di fatto "scaricato" sui servizi "specifici" il soddisfacimento
delle richieste delle famiglie immigrate. In questo quadro, anche le iniziative
autorganizzate dalle associazioni di immigrati, siano esse monoculturali o multiculturali,
rischiano paradossalmente di diventare, anziché risposte articolate ad una serie di
esigenze particolari, ovvero opportunità per favorire l'integrazione delle famiglie,
condizioni e strumenti di esclusione;
d) raramente le azioni di solidarietà presenti o che si sviluppano nelle diverse forme di
organizzazione delle comunità di immigrati sono rivolte a soddisfare esigenze delle
famiglie con bambini piccoli. Inoltre, molte delle iniziative o dei tentativi messi in atto,
in particolare dall'associazionismo delle donne immigrate, più che espressioni di
solidarietà tra famiglie si configurano come azioni finalizzate all'autopromozione
dell'imprenditorialità in un settore, come quello della cura dell'infanzia, in cui si ritiene
possibile spendere o sviluppare una propria professionalità;
e) difficilmente gli sforzi compiuti dalle strutture di servizio per creare occasioni di
confronto tra famiglie straniere e famiglie italiane hanno permesso l'instaurarsi di
rapporti di scambio. Secondo gli approfondimenti compiuti riteniamo che risultati in tal
senso non si ottengano all'interno di processi formali ma in occasioni in cui per lo meno
una delle parti è impegnata a fare qualcosa per l'altra. Come abbiamo avuto modo di
indicare, lo scambio si è verificato nei momenti in cui famiglie italiane o singoli cittadini
hanno "accompagnato", "affiancato" o "aiutato" famiglie immigrate in situazione di
difficoltà rispetto all'accudimento ed alla cura dei bambini.

Un'ipotesi di lavoro

Secondo l'ottica assunta, esplicitata nell'introduzione di questo documento, riteniamo


che, in relazione ai risultati della ricerca, in questo momento i nodi problematici della
condizione delle famiglie immigrate con figli piccoli possano essere affrontati cercando di
promuovere o rinforzare l'azione di un altro attore collettivo, diverso da quelli a partire dai
quali si sono sino ad ora sviluppate le differenti strategie d'intervento.
In tal senso, crediamo che gruppi di famiglie italiane, adeguatamente sostenuti,
possano diventare e proporsi come elemento propulsore di micro-situazioni di co-gestione,
vale a dire di "servizi di prossimità" per l'infanzia e per le famiglie, straniere ed italiane, che si
possono creare, secondo le disponibilità locali, in spazi pubblici o in spazi privati.
A nostro avviso la sperimentazione di questa strategia potrebbe consentire, attraverso,
in primo luogo, la preparazione-formazione di famiglie interessate e, in secondo luogo,
mediante la definizione e la messa in atto di azioni programmate e gestite congiuntamente
dalle famiglie in collegamento con i servizi locali esistenti, di:
29

- qualificare e diffondere forme di sostegno di famiglie verso altre famiglie;


- individuare e mettere in atto forme di custodia comunitaria dei bambini;
- creare o aumentare, attraverso un diverso o più qualificato utilizzo delle
disponibilità e degli spazi esistenti, opportunità di crescita (di gioco, di esperienza
e di incontro) per i bambini;
- creare delle ragioni e delle occasioni di confronto e di scambio tra famiglie italiane
e famiglie immigrate e tra saperi informali, non codificati, e saperi tecnici o
professionali;
- collegare le forme di supporto informale con le azioni e gli interventi delle
strutture di servizio.
30

Allegato

LE STRATEGIE DI CURA ED EDUCAZIONE


DELLE FAMIGLIE IMMIGRATE CON FIGLI PICCOLI

INDICAZIONI PER LA REALIZZAZIONE DELLE INTERVISTE


SCHEMA DEI CONTENUTI

I) IL NUCLEO FAMILIARE: CARATTERISTICHE


I.a) Composizione:
• Come l’intervistato ritiene sia composta la sua famiglia
• Quali sono le persone che coabitano: parenti e altri
• Figli: numero, età e sesso. E’ importante l’età precisa del bambino/a a cui si riferiscono le
domande
• Genitori: età

I.b) Scolarizzazione dei genitori: le possibilità sono:


senza scolarizzazione
studi primari
studi secondari
formazione professionale
studi universitari

I.c) Occupazione dei genitori


• Settore e tipo di occupazione della madre e del padre: per esempio
casalinga/disoccupato-a/in cerca di lavoro/domestico/operaio-a
industria/manovale/lavoratore agricolo/artigiano-a in proprio/impiegato-a/
commerciante/imprenditore, ecc.
• Tempi di lavoro attuali dei genitori, in particolare della madre:
part time o full time da.... a...
occasionale/stagionale/continuativo
• Luogo di lavoro dei genitori, in particolare della madre: per esempio
nel proprio domicilio/ a domicilio, ed eventuale lontananza dal luogo di lavoro

I.d) Abitazione
Localizzazione nella città: centro/periferia/comune limitrofe...
Da quanto tempo risiedono nell’abitazione in cui vivono attualmente
Eventuale valutazione dell’intervistato dell’adeguatezza dell’abitazione rispetto alle esigenze
della famiglia

I.e) Storia familiare


Paese ed eventuale area geografica di provenienza dei genitori
Motivazioni dell’emigrazione
Tempo o tempi di arrivo in Italia dei membri della famiglia
Eventuali percorsi nel territorio italiano o in Europa
Costituzione della famiglia: conoscenza tra i coniugi, luogo del “matrimonio” e della nascita
del figlio o dei figli (è importante per il bambino a cui si riferisce l’intervista)
31

II) CARATTERISTICHE DELLA SOLUZIONE DI ACCUDIMENTO


ADOTTATA (per il bambino o bambina di meno di 4 anni)

II.a) Tipo di soluzione in atto


• Chi?:cura della madre o dei genitori/ ed eventuale ricorso ad altri supporti:
- parentela: nonni/zii - altri figli grandi
- amicizie: stesso gruppo etnico o italiani singoli o famiglie
- “volontari”: singoli o famiglie
- servizi offerti da singoli o famiglie italiani o stranieri: accudimento retribuito
- servizi offerti da istituzioni pubbliche o private

• Tempi e azioni di ciascuno nell’arco di una giornata feriale (si può prendere come
riferimento quella di ieri o dell’altro ieri) ed in una giornata festiva (in cui i genitori non
lavorano): il mattino, il pranzo, il pomeriggio, la cena/la sera

Possibili domande: “Mi potrebbe raccontare come vi siete organizzati con vostro figlio/figlia? Chi si occupa
del bambino la mattina, a pranzo, ecc.? Dove trascorre i diversi momenti della giornata? Per esempio, mi
può raccontare la giornata di ieri/l’altro ieri (feriale) e una giornata festiva.

II.b) Motivazioni della soluzione/organizzazione adottata ed altre eventuali


soluzioni provate
Possibili domande “Come ha o avete deciso di:
ricorrere all’aiuto di ......
di portarlo a .......”
“Avete cercato o provato altre soluzioni? Quali? Perché non hanno funzionato o
avete cambiato?”

II.c) Canali/tramiti che hanno facilitato o permesso l’individuazione e


l’attivazione di eventuali aiuti/supporti esterni
Possibile domanda: “Vi ha aiutato qualcuno a trovare, a scegliere, ecc.?”

II.d) Alternative in caso di problemi o difficoltà


Possibile domanda : “Si è mai trovata/o di fronte al problema di non avere con chi lasciare suo figlio/sua
figlia? (p.e. si è ammalata lei o si è ammalato il bambino, doveva andare in qualche posto in cui non poteva
portare il bambino). Come lo ha risolto?

III. CONCEZIONI E COMPORTAMENTI EDUCATIVI E DI CURA


III.a) Rilevanza attribuita dai genitori ai diversi aspetti della crescita e del
benessere del bambino
Gli aspetti della crescita da tenere presente sono: la salute(cura di malattie e disturbi); il
controllo della crescita fisica (come ci si rende conto che il bambino stia crescendo bene),
l’alimentazione, il riposo/sonno, l’acquisizione di comportamenti di autonomia relativi al
mangiare e all’igiene personale (controllo degli sfinteri), l’acquisizione di abilità e
competenze motorie, l’apprendimento della lingua, l’acquisizione di comportamenti sociali e
32

di regole, lo sviluppo di relazioni affettive e le manifestazioni delle emozioni, nonché


l’acquisizione di abilità “intellettive” e di conoscenze (l’imitazione, le costruzioni, il
riconoscimento delle parti del corpo, la conoscenza di elementi della realtà , ecc.)

P.D: Quali sono gli aspetti che ritiene (ritenete) più importanti o che la (Vi) preoccupano di più in questo
momento della crescita del suo (vostro) bambino?
Quali sono le cose che, secondo lei/Voi il suo bambino deve imparare in questo momento per crescere bene?
Come fa a capire che il suo bambino sta crescendo bene?

III.b) Attività del bambino


P.D.: “Quali sono le attività o i giochi che vostro figlio fa in questo periodo? Ha degli oggetti/giocattoli
preferiti?
“Ci sono dei giochi che la mamma e il papà fanno con il bambino? Quali? Quando?
(Se si tratta di bambino di più di 12 mesi):”Vostro figlio/vostra figlia ha occasione di incontrare altri
bambini? In quali occasioni? Quali bambini incontra-frequenta? Che cosa fanno insieme?

III.c) Dubbi e problemi rispetto alla cura e all’educazione: quali? quali risorse
per affrontarli
P.D: “Ha avuto nell’ultimo anno (o dal quando è nato il bambino) dei dubbi rispetto alla crescita di suo
figlio? Se sì, di che tipo? Ne ha parlato con qualcuno o si è rivolta a qualcuno? A chi?

III.d) Ruolo e risorse dei genitori


P.D. : Quali pensa siano le cose che debbano fare i genitori perché i figli crescano bene a questa età?
“Rispetto al suo modo di fare la mamma/il papà, pensa di fare come hanno fatto i suoi genitori? Quali sono
le cose che fa come loro? Quali sono quelle che fa diversamente?

IV. RAPPORTI CON GLI “ALTRI”

IV.a) Rapporti con gli eventuali “altri” che si prendono cura del bambino
P.D.: Quali sono gli aspetti che ritiene più positivi di quello che (... l’amica, il parente, altra famiglia, il
centro per l’infanzia) offre a (o fa con) il suo bambino? C’è anche qualcosa di negativo? Quale?

IV.b) Rapporti con i servizi socio-sanitari: conoscenza, utilizzo e valutazione di


affidabilità ed efficacia
Sa se ci sono, ed eventualmente quali sono, servizi che si occupano della salute del bambino? Ha o ha avuto
occasione di utilizzare qualcuno (il pediatra, il Consultorio...)? Quale? Ha avuto quello che si aspettava? Se
sì o no, perché?

IV.c) Rapporti con altri genitori


P.D: Lei/Voi ha o avete occasione di incontrare altri genitori? In quali momenti? (p.e. nella sala di attesa
di.., nei giardini pubblici, in occasione di feste, ecc.) Chi sono? Parlate di cose che riguardano i Vostri figli?
Per esempio? Le è stato utile o le è utile averli incontrato o incontrali (o parlare con loro)?

IV.d) Percezione della valutazione degli altri


P.D.: Come pensa Lei che: i suoi vicini, le famiglie italiane che conosce e gli operatori (pediatra, educatrice,
assistente sociale, o altri dei servizi che l’hanno conosciuta) valutino il modo in cui lei/voi crescete vostro figlio
o vi occupate del vostro bambino?
FAMIGLIE INTERVISTATE - ROMA

MADRE PADRE (solo se convivente) FIGLI CONVIVENTI

Paese In Italia Paese In Italia N° e Soluzioni di cura (per i piccoli)


Interv. Età Studi Occupazione attuale Età Studi Occupazione attuale Età
provenienza dal… provenienza dal … sesso Attuale Altre forme sperimentate

Universitari 2F 24 m Servizio per l'infanzia Piccolo


R1 Romania 27 Casalinga in attesa di poter lavorare 1996 Romania 32 Sec. Super. Lavori artigianali vari a domicilio 1996 In famiglia, cura materna
incompiuti F 9 m. Mondo - dalle 8,30 alle 16

Universitari 2 F 8 anni Servizio per l'infanzia Piccolo


R2 Ghana 33 Primari COLF a tempo pieno 1986 Ghana 36 Operaio a Milano 1986
incompiuti F 18 m Mondo - dalle 8 alle 16,30

In famiglia, cura materna


Servizio per l'infanzia Piccolo con supporto di
R3 Romania 23 Sec. Super. Saltuaria - COLF a ore 1997 Romania 31 Sec. Super. Precaria - muratore 1997 1M 18 m
Mondo - dalle 8,30 alle 16 connazionale convivente
1 giorno alla settimana
Servizio per l'infanzia Piccolo
R4 Filippine 43 Sec. Super. COLF a ore - Tempo Pieno 1985 Filippine 39 Sec. Super. COLF a ore -Tempo Pieno 1987 1M 31 m
Mondo - dalle 9 alle 17
Servizio per l'infanzia Piccolo In famiglia con il
2F 36 m
R5 Perù 25 Sec. Super. COLF a ore - Tempo Pieno 1993 Perù 26 Sec. Super. Precaria - muratore 1990 Mondo dalle 8,30 alle 17 supporto di una famiglia
M 24 m di amici
Dai 18 e 7 mesi rispettivamente
In famiglia, cura materna e
In Istituto di suore, a
R6 Filippine 30 Sec. Super. COLF a ore - Tempo Pieno 1994 Filippine 32 Sec. Super. COLF e artigiano in cooperativa 1994 1M 30 m paterna con supporto cugina della
pagamento, per 1 anno
mamma
In Istituto di accoglienza
R7 Bielorussia 32 Universitari COLF a ore - Part time 1997 1M 11m.
madre/bambino
Servizio per l'infanzia Piccolo
R8 Perù 29 Sec. Super. COLF a ore - Tempo Pieno 1994 1M 14 m.
Mondo - dalle 8,30 alle 17
Casalinga - in attesa di poter tornare Operaio e, nel tempo libero, portiere
R9 Perù 27 Sec. Super. 1993 Perù 32 Sec. Super. 1993 1 F 3 m. In famiglia cura materna
a lavorare d'albergo
- Cura materna con il
supporto della nonna nei
primi 3 mesi
Operaio tecnico a T. P (fuori casa - Cura materna con il
R10 Perù 42 Sec. Super. COLF a ore 1991 Romania 45 Sec. Super. 1992 1M 36 m. Asilo Nido comunale
da Lu a Ve) supporto di un'amica
italiana
- Quando necessario, al
lavoro con la mamma
- In famiglia con il padre
Assistenza anziani in cooperativa - (sino a 12 mesi)
R11 Perù 39 Universitari 1991 Perù 45 Sec. Super. Saltuaria - Muratore, operaio 1993 1M 46m Scuola materna e cure paterne
turni
- Al nido comunale
2
FAMIGLIE INTERVISTATE - FIRENZE

MADRE PADRE (solo se convivente) FIGLI CONVIVENTI

Paese In Italia Paese In Italia N° e Soluzioni di cura (per i piccoli)


Interv. Età Studi Occupazione attuale Età Studi Occupazione attuale Età
provenienza dal… provenienza dal … sesso Attuale Altre forme sperimentate

- in casa di accoglienza
F1 Ecuador 22 Sec. Super. Saltuaria - COLF a ore 1995 Perù 30 Sec. Super. Operaio in azienda - Tempo Pieno 1993 1 F 30 m In famiglia - Cura materna
- al lavoro con la mamma

Casalinga (in attesa di poter 2 M 14 m


F2 Albania 28 Universitari 1995 Albania 37 Sec. Super. Muratore (in altra città) 1991 In famiglia - Cura materna
lavorare) M 34 m

Casalinga (in attesa di poter Universitari 2M 5 anni


F3 Marocco 30 Sec. Super. 1996 Marocco 36 Fornaio (turni di lavoro del forno) 1990 In famiglia - Cura materna
lavorare) incompiuti F 11 m
Libera professionista - settore In famiglia - con supporto della
F4 Albania 31 Universitari 1991 Albania 45 Universitari Medico in clinica privata - turni 1991 1F 8m
informatica nonna

Cura materna in casa di - asilo nido


F5 Somalia 45 Primari COLF - disoccupata 1992 1F 36 m
accoglienza madre/bambini - dalla zia in Olanda
3M 18 anni
Centro per bambini "L'aquilone"
F6 Albania 37 Sec. Super. COLF a ore - Tempo Pieno 1991 Albania 44 Sec. Super. Manovale 1991 M 9 anni
dalle 7.45 alle 17,30
F 30 m
Centro per bambini "L'aquilone" In famiglia con supporto
F7 Marocco 25 Sec. Super. COLF a ore solo la mattina 1996 Marocco 33 Sec. Super. Operaio dalle 8 alle 18 1989 1M 28 m
dalle 9 alle 16 (dai 12 mesi) di parenti e vicina italiana
Centro per bambini
In casa di accoglienza con la L'aquilone
Assistenza Anziani a ore 2/3 volte la
F8 Somalia 26 Sec. Super. 1996 1F 36 m mamma ed eventuale supporto
settimana Dai 9 ai 28 mesi con la
del padre
mamma al lavoro
3M 13 anni
In famiglia cura materna con il In casa di accoglienza
F9 Polonia 47 Terziari Assistenza Anziani e COLF a ore 1990 F 6 anni
supporto del fratello più grande con la mamma
M 35 m

3F 12 anni In famiglia, cura materna con


Rep. supporto della zia e del padre
F10 32 Sec. Super. COLF a ore 3 giorni la settimana 1995 M 9 anni
Dominicana Al lavoro con la mamma quando
F 3 mesi non si può fare diversamente

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