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Rapporto di ricerca
di Claudia Perlmuter
cperlmuter@gmail.com
Maggio 2000
1
INDICE
Introduzione
- Il contesto, le motivazioni e le finalità del lavoro
- Il percorso di approfondimento
Allegati
Traccia utilizzata per le interviste alle famiglie
Schede delle caratteristiche principali delle famiglie intervistate (Roma e Firenze)
2
INTRODUZIONE
1
Basti ricordare con Laura Zanfrini che "stili educativi, modelli di divisione del lavoro fra generi, modalità
tradizionali di allocazione del potere tra coniugi e le generazioni, prassi di distribuzione del tempo fra funzioni
produttive e funzioni riproduttive richiedono tutti di essere rielaborati obbligando il gruppo familiare a gestire
temporanee situazioni critiche." (Zanfrini L.; Leggere le migrazioni, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 57).
2
Vedi, tra altri, i contributi contenuti in Scabini E., Donati P (a cura di); La famiglia in una società multietnica,
Vita e Pensiero, Studi interdisciplinari sulla famiglia n.12, Milano, 1993; Favaro G., Ferrero A. e Tognetti M,
Minori immigrati identità, bisogni, servizi, Servizi Sociali, Anno XXV n. 2/98, Fondazione Emanuela Zancan;
Favaro G e Genovese A. (a cura di), Incontri di infanzie. I bambini dell'immigrazione nei servizi educativi,
CLUEB, Bologna, 1996; Favaro G., Colombo T, I bambini della nostalgia, Mondadori, Milano, 1993; Favaro G.,
Bambine e bambini di qui e d'altrove, Guerini e Associati, Milano, 1998.
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3
Al termine integrazione sono in genere attribuiti diversi significati. Noi lo intendiamo come il risultato di processi
di interazione in cui i soggetti coinvolti (immigrati e locali), attraverso un agire basato su di una propria identità
e su proprie capacità di scelta, hanno la possibilità di confrontarsi, di apprendere reciprocamente e di definire
propri itinerari di "avvicinamento culturale".
4
Cfr. Tosi A., "Abitare/coabitare. Gli immigrati extracomunitari e le politiche abitative in Italia", in Tosi A.,
Abitanti. Le nuove strategie dell'azione abitativa, Il Mulino, Bologna, 1994, pp.199-230.
4
nuclei immigrati, hanno cercato di dare risposta alle loro esigenze ed a quelle dei bambini.
Unitamente all'evidenziazione di interessi e disponibilità presenti in modo differenziato nelle
diverse realtà locali, l'analisi delle esperienze ha messo in luce la pluralità di modi con cui, da e
nella prospettiva di ciascun soggetto, si può ritenere di "essere risorsa" per la famiglia
immigrata e per i suoi/nostri bambini.
Specificatamente in relazione al compito che abbiamo inteso affrontare, da quel
lavoro è scaturita un'indicazione generale che si può riassumere nel modo seguente: la
questione degli interventi da mettere in atto in favore delle famiglie immigrate non può essere
posta in termini di individuazione di quali "servizi" o "prestazioni", nuovi o rinnovati,
debbano essere offerti nei differenti contesti territoriali o per le diverse tipologie e necessità
delle famiglie. Essa dovrebbe essere affrontata, invece, in termini di come possono essere
utilizzate le disponibilità e le risorse esistenti o attivabili, comprese quelle delle stesse famiglie
immigrate, perché, all'interno delle differenti situazioni, si creino opportunità materiali e di
relazione tali da, primo, permettere alle famiglie di far fronte ai diversi aspetti relativi alla cura
ed alla gestione dei figli piccoli e, secondo, inneschino o sviluppino dei percorsi di
"avvicinamento culturale"5, anziché aumentare o promuovere l'isolamento, l'esclusione,
l'emarginazione o la dipendenza.
Il percorso di approfondimento
Esplicitato il modo in cui è stato inteso il compito che ci siamo assunti, indichiamo
come è stato organizzato e si è svolto il lavoro.
Dall'esame degli elementi di cui potevamo disporre grazie alla precedente ricerca ed a
quelle fatte da altri, è emersa innanzi tutto la necessità di integrarli con informazioni che
potevano provenire da uno sguardo più puntuale sul modo con cui le famiglie immigrate si
organizzano ed interagiscono con l'ambiente sociale per assolvere ai propri compiti di cura. A
tale scopo abbiamo predisposto e realizzato una ricerca di tipo qualitativo finalizzata a
raccogliere, tramite interviste focalizzate, l'esperienza di famiglie immigrate impegnate nella
cura dei figli (0-3 anni).
Più specificatamente, l'approfondimento ci avrebbe dovuto consentire di mettere in
evidenza punti di forza ed elementi di difficoltà di due diverse dimensioni dell'impegno di
cura delle famiglie. Da un lato, quindi, le diverse organizzazioni della custodia del bambino
(le soluzioni di accudimento) e, dall'altro, il complesso di scelte che riguardano l'allevamento
o cura del piccolo (le strategie di cura).
5
Percorsi che intendiamo, ovviamente, investano sia le famiglie e le comunità di immigrati che le famiglie e le
comunità locali.
5
Rispetto alle strategie di cura, abbiamo ritenuto, secondo ipotesi ormai assodate, che
queste si strutturino dinamicamente in relazione a due diversi ordini di fattori. Primo, le
rappresentazioni sui bisogni del bambino, sulla natura e la dinamica dello sviluppo, sul ruolo
genitoriale e degli altri soggetti e, secondo, la dimensione e la densità delle reti sociali
informali e formali ed i legami che la famiglia stabilisce con gli altri soggetti con cui è in
relazione (parenti, amici della stessa nazionalità o italiani, altre famiglie, gruppi di volontariato,
singoli professionisti quali pediatri, assistenti sociali, educatrici e servizi sociali, sanitari,
educativi).
In particolare, abbiamo considerato che gli ambiti intorno ai quali i genitori potevano
eventualmente esprimere delle preoccupazioni, sviluppare dei rapporti con i loro "partners"
ed associare istanze, persone o luoghi privilegiati, sono:
- la salute intesa come cura dei disturbi e delle malattie;
- il controllo della crescita fisica;
- l’alimentazione;
- il riposo;
- l’acquisizione di comportamenti di autonomia legati alla nutrizione ed all'igiene;
- il raggiungimento di traguardi nello sviluppo motorio, attesi o sostenuti;
- lo sviluppo del linguaggio e l’apprendimento della lingua o delle lingue;
- l’acquisizione di comportamenti sociali, di regole e di valori;
- lo sviluppo emotivo, le manifestazioni e le relazioni affettive;
- l’acquisizione di conoscenze e abilità intellettive (l'apprendimento legato, in genere, al
gioco).
In considerazione degli elementi sopra indicati le interviste sono state strutturate in
modo tale da raccogliere informazioni sull'organizzazione dell'accudimento del bambino, sulle
concezioni ed i comportamenti di cura dei genitori e sui rapporti che, eventualmente, le
famiglie avevano instaurato con altri soggetti.6
Le esperienze raccolte sono quelle di 21 famiglie immigrate, l'una diversa dall'altra ma
accomunate dalla presenza di un bambino o di una bambina, nato/a in Italia, di età compresa
tra 3 mesi e 3 anni. I nuclei sono stati scelti in relazione a due criteri principali. Il primo
riguarda l'adozione di soluzioni di accudimento diverse dal ricorso ai servizi "tradizionali" per
l'infanzia (l'asilo nido comunale)7 e dall'allontanamento-separazione del bambino dalla
famiglia (istituzionalizzazione o affidamento familiare o eterofamiliare). Specificatamente,
eravamo interessati a quelle forme che ritenevamo meno esplorate, in particolare, a chi si era
trovato o si trovava a soddisfare i bisogni del piccolo all'interno della famiglia con l'eventuale
supporto di parenti, amici, conoscenti, ecc., e a quelli che lo facevano con il sostegno dei
centri per l'infanzia immigrata/disagiata organizzati dal volontariato. L'occupazione delle
madri ha costituito, invece, il secondo criterio. In tal senso abbiamo cercato di interpellare
madri "a tempo pieno" e lavoratrici (disoccupate, occupate part-time o a tempo pieno) nei
6
Vedi in allegato: Traccia per la realizzazione delle interviste alle famiglie
7
Per quanto riguarda il rapporto tra famiglie immigrate e asilo nido pubblico Vedi Favaro G. e Genovese A.; Op.
Cit.
6
settori in cui trovano più facilmente impiego le donne immigrate: il servizio domestico,
l'assistenza ad anziani ed, in generale, i servizi alla persona.
Le esperienze sono state raccolte in due centri urbani, metà a Roma e l'altra metà
8
Firenze ; realtà sostanzialmente diverse non solo per dimensione territoriale ma anche per la
diversa presenza ed articolazione dei servizi per l'infanzia e la famiglia, accomunate, tuttavia,
da alti tassi di irregolarità amministrativa tra la popolazione immigrata e dalla presenza di
servizi specifici per i figli di "famiglie in difficoltà", per lo più straniere ma anche italiane,
promossi e gestiti dal volontariato organizzato con il sostegno finanziario delle
amministrazioni comunali.
Come tutti sappiamo, sono molti gli elementi che rendono l'esperienza di ogni
famiglia unica ed irripetibile ma più o meno vicina a quella di altre. Sinteticamente, nel nostro
caso, come si può osservare dalle schede che riassumono le caratteristiche principali dei nuclei
intervistati (vedi allegati), sei (6) delle esperienze raccolte corrispondono a famiglie
monogenitoriali (solo madre nubile o separata con figlio o figli) e quindici (15) a famiglie nucleari.
Complessivamente, il 50% dei genitori si trovava ad affrontare per la prima volta la cura di un figlio;
gli altri nuclei erano, invece, composti dalla coppia o da madri sole con due o tre figli
conviventi e, in qualche caso, dalla coppia o da madri con un figlio convivente (il bambino
piccolo) ed altro o altri più grandi lasciati o rimandati nei paesi di origine.
Per quanto concerne le origini dei genitori, in 13 dei 15 casi in cui la coppia era
convivente, entrambi provenivano dallo stesso paese, e solo due famiglie erano formate da
stranieri di diversa provenienza conosciutisi in Italia. Complessivamente sono dieci i paesi di
provenienza dei genitori, con prevalenza di quelli dell'America Latina (5 madri peruviane, 1
ecuadoriana e 1 domenicana), seguiti dall'Albania (3), dal Marocco (2), dalla Romania (2), dalle
Filippine (2), dalla Somalia (2), dal Ghana (1), dalla Polonia (1) e dalla Bielorussia (1). Rispetto
alla maggiore o minore rappresentatività delle esperienze considerate in relazione alla pluralità
di provenienze, pare opportuno indicare che, in ragione dei criteri adottati per l'individuazione
delle famiglie, ed in modo particolare l'occupazione delle madri, non sono state raccolte
esperienze di famiglie cinesi, piuttosto numerose nell'area fiorentina.
Per quanto riguarda le differenti storie familiari, la maggior parte delle famiglie (13) si
è costituita nel paese d'origine; 7 i nuclei in cui l'arrivo in Italia è stato congiunto, 4 i percorsi
cosiddetti tradizionali (prima l'uomo) e 2 quelli "al femminile" (prima la donna). In questi dati
sono comprese anche le famiglie che si sono "spezzate" in Italia (2 casi).
Le madri interpellate - sono loro che hanno per la maggior parte risposto alle nostre
domande - avevano un'età compresa tra 22 e 47 anni (nove i casi d'età tra 22 e 29 anni; otto
quelli tra 30 e 39 anni e quattro di più di 40 anni); una scolarizzazione medio alta (in un caso
studi primari, in 14 casi studi secondari superiori ed in 5 casi studi universitari) ed una
permanenza in Italia che andava da un minimo di 2 anni ad un massimo di 14, con 9 casi
8
Hanno collaborato all'individuazione delle famiglie ed alla realizzazione delle interviste, per la città di Firenze, la
Dott.ssa Anna Proto Pisani e, per la città di Roma, il Dott. Walter Nanni che ha, inoltre, realizzato una prima
analisi delle informazioni fornite dalle famiglie.
7
d'immigrazione abbastanza recente (tra 2 e 4 anni), altri 10 con un periodo medio-lungo che
va dai 5 ai 9 anni e solo 2 casi d'immigrazione di lunga data (più di 10 anni). Rispetto alla loro
occupazione al momento dell'intervista, 4 si sono dichiarate casalinghe, 16 lavoratrici nel
settore dei servizi domestici o dell'assistenza ad anziani, di cui 1 disoccupata, 2 occupate
saltuariamente, 5 lavoravano part-time ed 8 a tempo pieno, infine, una svolgeva attività di
lavoro professionale autonomo.
I padri "conviventi" avevano, invece, tra 26 e 45 anni, una scolarizzazione medio-alta
(13 i padri con studi secondari superiori e 2 con studi universitari compiuti) ed una
permanenza in Italia che andava da un minimo di 2 ad un massimo di 13 anni (2 casi tra 2 e 4
anni, 10 casi tra 5 e 9 anni ed altri 3 tra 10 e 13 anni). La loro condizione lavorativa era
caratterizzata, in relazione a quella delle madri, da una maggiore precarietà occupazionale
(disoccupazione, lavori saltuari). Le qualifiche più diffuse erano quelle di operaio generico (7
casi), manovale-muratore (4 casi) e collaboratore domestico (2 casi). Inoltre, sono stati trovati
più casi di pendolarismo; il lavoro - trovato lontano dalla città di residenza - costringeva alcuni
padri a stare fuori casa durante tutta la settimana, ed in un caso all'allontanamento per lunghi
periodi.
I figli delle famiglie interpellate cui fanno riferimento le nostre interviste avevano, in 9
casi, tra 3 e 14 mesi, e negli altri 15 tra 1 anno e mezzo e 3 anni. Tre delle famiglie intervistate
avevano due figli di età inferiore ai tre anni. Dodici bambini erano figli "unici" (primogeniti o
non convivevano con altri fratelli), il resto aveva uno o due fratelli. Tra i figli unici, nelle
famiglie residenti a Roma prevalgono i maschi - sei casi su sette - ed in quelle residenti a
Firenze le bambine, presenti in quattro casi su cinque. In 3 delle 9 famiglie in cui erano
presenti più figli, la differenza di età tra gli ultimi nati ed il fratello immediatamente più grande
era superiore a 6 anni.
Diverse e mutevoli nel tempo sono risultate le soluzioni di accudimento sperimentate dalle
famiglie intervistate. Tenendo conto di due variabili principali, la figura o le figure che si
prendono cura del bambino e lo spazio/ambiente in cui il piccolo trascorre tutta o parte della
giornata, i tipi di soluzione sperimentati sono i seguenti:
a) a casa con la mamma (raramente col babbo), che occasionalmente ricorre all'aiuto per la custodia del
bambino, secondo i casi, di figli più grandi, parenti, amici o conoscenti, oppure porta con sé il bambino
al lavoro: 8 casi;
b) in famiglia, cura materna con l'aiuto continuato di parenti, connazionali conviventi o amici italiani: 5
casi;
c) cura materna nella casa dei datori di lavoro: 2 casi in passato;
d) cura materna in casa o istituto di accoglienza (eventuale aiuto di altre mamme e di volontari): 5 casi di
cui 3 esperienze in atto e 2 passate;
e) affidamento diurno del bambino ad un servizio specifico per le famiglie immigrate: 10 casi, di cui 3 a
Firenze (Centro diurno per minori l'Aquilone) 7 a Roma (6 in atto all'Asilo Nido Piccolo Mondo ed
1 ad un'esperienza ad un altro centro, ma in passato).
Prima di concludere con gli elementi che possono differenziare o accomunare le
esperienze delle famiglie interpellate, è necessario fare un breve cenno alla loro condizione
8
abitativa. Per tutte le famiglie intervistate l'alloggio costituiva un elemento problematico, anche
se con gradi diversi di gravità ed urgenza: dall'assenza di una sistemazione autonoma e, quindi,
la permanenza in istituti o centri assistenziali (alcune madri sole), a condizioni di
sovraffollamento (la maggioranza) o, ancora, a problemi legati alla presenza di umidità,
all'assenza di riscaldamento o di sicurezza all'esterno e, ovviamente, ai costi dell'alloggio ed
alla mancanza di un contratto regolare di affitto. Circa il 70% delle famiglie (se si escludono
quelle che risiedevano nelle case di accoglienza) divideva il proprio alloggio con altri. La
coabitazione, considerata "male necessario" in vista di una sistemazione autonoma e
definitiva, avveniva in forme molto diverse ed interessava, secondo i casi, parenti o
connazionali, singole persone ed interi nuclei familiari.
Dalla prima lettura delle esperienze familiari raccolte è sorta l'esigenza di verificare o
approfondire alcuni elementi che emergevano riguardo ai tipi di supporto che, singole
famiglie, gruppi organizzati e le strutture di servizio, offrono o possono offrire alle famiglie
immigrate per la cura dei bambini. A tale proposito sono state realizzate altre interviste ad
alcuni testimoni privilegiati:
- una famiglia albanese, residente in un comune limitrofo al capoluogo toscano, che aveva
potuto contare, dalla nascita del primo figlio, del sostegno di una famiglia italiana;
- una famiglia italiana appartenente ad un gruppo di volontariato organizzato che aveva
affiancato famiglie immigrate con figli piccoli;
- la responsabile dell'Asilo Nido Piccolo Mondo di Roma, servizio utilizzato da 6 delle
famiglie da noi intervistate;
- un operatore del Comune di Bologna, che aveva seguito un'esperienza denominata
"Oltre il nido la Barca", di supporto all'autogestione da parte di famiglie immigrate per
l'integrazione dell'offerta del nido comunale, e che si era inoltre occupato della gestione
di una nuova prestazione comunale, il "Progetto un anno in famiglia", di cui hanno
usufruito anche alcune famiglie immigrate.
Dall'analisi e dalla riflessione sulle esperienze raccolte abbiamo tratto degli elementi,
che presentiamo nel dettaglio nei prossimi paragrafi, in ordine a:
a) i riferimenti in base ai quali le famiglie scelgono le soluzioni di accudimento e creano
degli "ambienti" che ritengono sufficientemente adeguati per la crescita del proprio
figlio/a;
b) gli elementi che favoriscono/ostacolano, nelle differenti situazioni di interazione che si
creano tra famiglie immigrate e ambiente, la possibilità che le famiglie siano "soggetto"
della cura del bambino, vale a dire mantengano quel margine di "autonomia", di
decisione, di flessibilità indispensabile all'elaborazione culturale, organizzativa e
relazionale che implica l'esercizio della funzione di cura.
9
"Quando la signora dove lavoravo mi ha licenziata (a causa di assenze dovute a problemi di salute del
bambino) ci sono rimasta male perché mi ha dimostrato di non capire le esigenze che ha una mamma." (R5)
Le soluzioni di accudimento
Come abbiamo avuto modo di indicare nell'introduzione, le soluzioni alla custodia del
bambino adottate dalle famiglie intervistate possono essere ricondotte alle seguenti "forme
tipo":
a) a casa con la mamma (raramente col babbo), che occasionalmente ricorre all'aiuto per la
custodia del bambino, secondo i casi, di figli più grandi, parenti, amici o conoscenti,
oppure porta con sé il bambino al lavoro;
b) in famiglia, cura materna con l'aiuto continuo di parenti, connazionali conviventi o amici
italiani;
c) cura materna nella casa dei datori di lavoro;
d) cura materna in casa o istituto di accoglienza (eventuale aiuto di altre mamme e di
volontari);
e) affidamento diurno del bambino ad un servizio specifico per le famiglie immigrate.
Rispetto a queste diverse forme, ci sembra innanzi tutto necessario fare notare la
pluralità di "situazioni" che si possono trovare all'interno di ciascuna di esse, il che ci mette in
guardia dal pensare che determinate soluzioni di accudimento siano esclusive di alcune forme
familiari.
Consideriamo i casi delle famiglie monogenitoriali. Tre fattori principali: la posizione
lavorativa delle madri, la condizione abitativa e gli eventuali supporti informali e formali su
cui possono contare, si combinano in modo tale da far sì che ci sia chi si trova ad accudire il
figlio o i figli in casa di accoglienza, chi lo fa nella propria abitazione con diversi tipi di aiuti
e/o portando con sé il figlio al lavoro (come indica la testimonianza della mamma di una
bambina di 3 mesi e di altri due figli di 9 e 12 anni riportata qui di seguito), chi accudisce il
bambino in casa dei datori di lavoro e, ancora, chi ha la possibilità di dividere l'impegno di
cura con un servizio per l'infanzia immigrata.
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"Sono essenzialmente io che sto con la bambina. A volte quando non la posso portare con me al lavoro, la
tiene suo padre. Qui ho una sorella con tre bambini, che a volte mi aiuta: ogni tanto viene lei, oppure vado da
lei e le porto la bimba. Ogni tanto mi aiuta la famiglia con la quale abito, ma anche loro non possono
aiutarmi molto, al massimo per due ore ogni tanto. E poi la bambina non sta volentieri con nessuno" (FI10)
dipendenza e, quindi, dal partecipare a situazioni in cui ci si possa sentire un po' "capaci" o
"competenti".
Tornando al grado di "accettabilità" delle differenti situazioni in cui si possono
trovare le madri sole con bambini, è necessario aggiungere che esso dipende anche dalla
qualità dei supporti formali ed informali su cui possono contare. Le nostre famiglie ci hanno
fatto capire bene, p.e., che i servizi sociali e le Case di accoglienza non funzionano tutti allo
stesso modo e che, accanto a quelli che offrono "un tetto, un piatto di minestra e, nei migliori
dei casi, qualche ora di custodia del bambino", ci sono servizi pubblici e privati che hanno
cercato, in modi diversi, di "personalizzare" l'assistenza e di costruire quelle forme di
affiancamento cui abbiamo fatto cenno nel precedente paragrafo, affiancamento che è
risultato particolarmente efficace allorquando si sono potuti integrare interventi formali con
supporti ed aiuti informali.
"Quando sono arrivata a Firenze, per un anno intero abbiamo abitato in una casa (di un ente religioso di
assistenza) … noi pagavamo la casa… la mia prima bambina che allora era piccola non poteva andare
all'asilo. Io non potevo lavorare seriamente e con regolarità perché nessuno mi seguiva la bambina. Prendendo
questa piccola cameretta sono stata abbandonata a me stessa… Poi mi hanno detto di andare dall'assistente
sociale … le ho raccontato i miei problemi, che cercavo un lavoro, che senza lavorare mi sentivo inutile, che per
la bambina piccola non era bene stare sempre e solo con il fratello più grande ma che le avrebbe fatto del bene
stare con dei bambini della sua età all'asilo nido… Ma l'assistente sociale mi chiedeva di mio marito…
mentre io ero andata da lei per avere delle indicazioni per me e per la bambina. Poi c'è stata l'ultima
gravidanza in cui ho avuto molti problemi…, quindi ho trascorso un periodo in una casa di accoglienza
(gestita da una congregazione di religiose), era l'unica soluzione possibile, un luogo dove entravano le madri in
gravidanza. C'erano tante ragazze da sole, di tutte le parti del mondo, incinte o con bambini piccoli… un
posto triste… Sono entrata all'Istituto degli Innocenti quando la piccola aveva un mese ed io ero sfinita
psichicamente… Loro mi hanno spinta a vivere per conto mio, a trovare una casa. Si sono resi conto che io
sono una persona che ha bisogno di vivere in piena libertà, di avere una casa per conto proprio, una persona
che se la può cavare benissimo a vivere con i bambini e a lavorare… Quando abitavo già qui, in questa casa, e
non dipendevo da nessuno, e avevo qualche problema o necessità, come la malattia di una bambina, chiamavo
qualcuna delle educatrici, delle persone che stanno lì. Allora mi mandavano i volontari degli Innocenti, persone
che io conoscevo già bene. Questo è durato per due anni… Quando c'è qualcosa che mi può interessare me lo
fanno sapere, come per esempio i corsi Now. Per la prima volta in vita mia mi sono sentita a mio agio, in
Italia intendo…. Ci sono delle organizzazioni, come gli Innocenti, e anche altre, che prima aspettano,
valutano se le madri sono in grado di farcela da sole… ." (FI9)
con il lavoro e tenere il bambino in casa. Quando il bambino andava in giro di qua e di là era diventato
nervoso." (R6)
"Io sto a casa, non lavoro, preferirei stare con la mia bambina per uno, due anni, finché la posso lasciare da
sola con qualcuno (…) ci vuole fiducia per poter lasciare il bambino con qualcuno." (FI3)
"Io voglio occuparmi per ora della bimba… quando sarà più grandicella la manderò all'asilo… Per il
momento, mi sarebbe sufficiente poter lavorare qualche ora, economicamente ci aiuterebbe moltissimo. Il lunedì
mattina posso andare a lavorare perché mio marito si occupa della bambina." (FI1)
"All'inizio, dice il padre, non volevo lasciare il bambino in un asilo nido italiano, non mi fidavo, non ero
convinto che ci stesse bene. Quando ha compiuto un anno e mia moglie ha trovato un secondo lavoro e io ho
iniziato ad avere più lavoro come muratore abbiamo deciso di provare a lasciare il bambino all'asilo, a
condizione che, se dopo qualche giorno non si trovava bene lo toglievamo." (R11)
"Per il momento la bambina sta per la maggior parte del tempo con la nonna. Abbiamo scelto così, non
abbiamo cercato né provato altre soluzioni ma stiamo pensando all'asilo per quando avrà un anno e mezzo,
due." (FI4)
Per concludere con i gli elementi emersi circa quest'orientamento, pare opportuno
segnalare che le testimonianze precedenti riguardano, nella maggioranza dei casi, famiglie i cui
figli sono unici. Inoltre, quelle che hanno ipotizzato il ricorso al nido non avevano mai
"incontrato" questo servizio e, quando interpellate, hanno dichiarato di non sapere, né come
si fa a iscrivere il bambino al nido, né a quale nido avrebbero potuto mandarlo.
e sforzi per superare una condizione che, forse, con qualche "accorgimento", potrebbe essere
resa più soddisfacente per i genitori e per i bambini.
"Io devo stare a casa tutto il giorno per gli orari di lavoro di mio marito, lavora di notte, bisogna mangiare
presto, andare a dormire presto. Qualche volta qualcuno viene a suonare la sera, ma non abbiamo tanto
tempo. Magari trovassi qualcuno con cui poter parlare, di cui mi fido, con cui trascorrere qualche ora. Qui,
durante il giorno tutti sono via, non stanno quasi mai a casa." (FI3)
"Ai bambini piace giocare….alle volte mi stancano, loro vogliono uscire, giocare, ma non sempre è possibile.
Dove possiamo andare? Siamo chiusi in casa… Ho cercato un posto dove portarli, ma è tanto caro, è privato.
Sarebbe una cosa importante per loro ma anche per me... (…) io darei volentieri qualche cosa, per esempio
4/5 mila lire, per poter avere qualche ora libera. Per fare qualsiasi cosa io devo aspettare che venga mio marito
il fine di settimana, anche se quando lui c'è, io vorrei uscire perché sto qui tutta la settimana, invece lui è
stanco e vorrebbe restare a casa con i bambini e con me…" (FI2)
dalle 9.00 alle 12.00. In genere salta il pranzo perché non ha molto tempo di pausa tra una famiglia e l'altra.
Mangia un panino. Arriva nella seconda casa alle 13.00. Alle 16.00 termina il lavoro in famiglia e alle
17.00 va a riprendere il bambino all'asilo-nido. Verso le 18.00 sono in casa e lei comincia a cucinare per la
cena. Prima di cenare vuole sempre dedicare un'oretta per giocare con il bambino. Alle 19.00 cenano insieme,
mentre l'altra famiglia con cui abitano ha orari diversi. Dopo cena guardano un po’ di televisione. Verso le
21.30-22.00 sono già a letto.
Che cosa ci siamo proposti di raccogliere dalle esperienze delle famiglie intervistate
che hanno adottato questo sistema, per così dire "misto", di accudimento dei figli? In breve, le
domande che ci siamo posti sono: Come ci arrivano? In che misura e come il servizio
risponde alle loro esigenze "particolari", che abbiamo ipotizzato - secondo quanto indicato da
altri approfondimenti - fossero di flessibilità nelle procedure di accesso e negli orari e di
"personalizzazione" (tenere conto delle scelte e delle particolari condizioni delle famiglie).
Infine, ci siamo domandati che cosa significasse per le nostre intervistate "condividere" la
custodia dei figli con il servizio e far crescere i figli in una situazione di multiculturalità.
Iniziamo dalla prima questione. Ci arrivano, in quasi tutti i casi, dopo aver cercato una
sistemazione nelle strutture pubbliche. Ne vengono a conoscenza, nella maggior parte dei
casi, attraverso altri servizi o operatori/persone di riferimento delle organizzazioni di
volontariato che li gestiscono; eventualmente tramite perenti e famiglie della stessa
provenienza che li hanno utilizzati o li utilizzano. Una differenza sostanziale tra la struttura di
Firenze e quella di Roma è che, nel primo caso, le famiglie hanno accesso solo se, attraverso il
Servizio Sociale comunale, dimostrano la propria condizione di difficoltà. A Roma, invece, il
percorso di accesso alla struttura è gestito in autonomia dall'ente assistenziale.
La decisione di affidare il bambino al servizio, invece, matura in modi diversi nelle
differenti famiglie, come si può osservare dalle testimonianze che seguono:
"Abbiamo cercato di trovare un posto all'asilo perché, a un certo punto abbiamo capito che se io non
cominciavo a lavorare non ce l'avremmo fatta a tirare avanti. Prima siamo andati in Comune, ma mi hanno
chiesto il permesso di soggiorno e allora non mi sono fatta più vedere, è stato un peccato perché l'asilo era vicino
a casa e mi avrebbe fatto comodo poter portare il bambino lì. Poi sono andata al centro di ascolto Caritas della
Parrocchia, da lì mi hanno mandata al centro stranieri della Caritas, dove però mi hanno detto che all'asilo
nido Piccolo Mondo non c'era posto e dovevo mettermi in fila ma io non l'ho fatto perché ho pensato che non ci
sarebbe stato mai il posto… Dopo circa un mese mi sono presentata direttamente all'asilo e ho scoperto che si
era liberato un posto e ho subito iscritto il bambino." (R3)
"Una mia parente che sa tutto mi ha detto: 'guarda amica mia, il tuo bambino è cresciuto e, se vuoi, questo è
il momento che impari l'italiano, che vada all'asilo'. Mi ha consigliato di andare all'ufficio asili nido, ci sono
andata, ho fatto domanda ma non c'era posto. Ho continuato a cercare. Ho incontrato una signora, anche lei
marocchina, che ha il bambino all'Aquilone e che mi ha detto che per far prendere il bambino qui è necessario
avere un'assistente sociale. Sono andata al Comune e ho preso contatto con l'assistente sociale alla quale ho
chiesto un aiuto non solo per l'asilo ma per tutto, per esempio per la nostra casa che è molto umida…" (FI7)
"Ho deciso di portarlo all'asilo per poter andare a lavorare e anche perché potesse imparare subito l'educazione
e avere un ritmo di vita più regolato. E' stata una Suora italiana che mi ha detto che c'era questo asilo nido e
che i bambini si trovavano bene, mi ha detto anche di informarmi all'Ufficio stranieri della Caritas, che io già
conoscevo, ho la tessera della Caritas. Prima, però, ero andata in Comune a chiedere un posto, mi hanno
chiamata qualche mese dopo perché se n'era liberato uno e mi hanno chiesto di pagare due rate anticipate. Io
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non sapevo che avrei dovuto pagare due rate anticipate, non avevo i soldi e così ho rinunciato. Poi mi hanno
chiamata all'asilo nido Piccolo Mondo perché si era liberato un posto." (R6)
In relazione agli orari di accoglienza dei bambini e all'utilizzo in termini di tempo che
ne fanno le famiglie abbiamo, però, trovato delle analogie con quelli dei nidi comunali.
L'offerta, da questo punto di vista, non risulta sostanzialmente diversa da quella dell'ente
pubblico. Questo, però, costituisce un problema per la maggior parte delle famiglie romane
intervistate, che avrebbero desiderato maggiore flessibilità per quanto riguarda, sia l'entrata
(da consentire in un tempo più ampio) sia l'uscita, da spostare magari fino alle 19,30.
L'utilizzo di un servizio per l'infanzia impone, in genere, alle famiglie di rapportare
con i propri portati culturali indicazioni ed orientamenti relativi alla cura e all'educazione del
bambino che "circolano" nel servizio. Noi non abbiamo trovato, nelle parole dei genitori
intervistati, indicazioni in tal senso, ma abbiamo invece riscontrato manifestazioni di
"tensioni" da parte del servizio in relazione a comportamenti dei genitori rispetto
all'alimentazione ed all'igiene dei bambini: "In genere, ha indicato la nostra testimone, c'è poca
informazione delle famiglie sui temi della profilassi sanitaria e della prevenzione. Anche a livello culturale ci
sono delle carenze e lacune. Bisognerebbe educare le mamme per una pulizia e un'igiene corretta del
bambino.(…) L'igiene alimentare dei bambini è un altro grosso problema. I nostri bambini vengono da
situazioni culturali diverse, si trovano in un contesto diverso di tradizioni alimentari. Dopo la nascita, le
madri escono con uno schema nutrizionale dall'ospedale e non lo aggiornano più, continuano a dargli da
mangiare sempre le stesse cose. Il pediatra dell'Ospedale Bambin Gesù con cui siamo in contatto ha scoperto
molte situazioni di allergia, di diete sbagliate. In questo momento abbiamo la metà dei bambini presenti
nell'asilo che hanno problemi di allergia. Spesso le madri non collaborano."
Nei casi esaminati, le famiglie affidano il bambino e si fidano: lo ritengono un luogo
"pulito", "ordinato", "professionale", dove gli operatori sono "gentili" e "attenti". Il confronto
"culturale" come in tutti i servizi per l'infanzia, avviene, ma è un lavoro in cui il genitore
appare solo, e che viene svolto sulla base degli elementi che egli trae dalla relazione che
stabilisce con gli operatori e da quello che il bambino "riporta a casa". In proposito, la
testimonianza sotto riportata ci indica la "necessità" di fronte alla quale possono trovarsi le
famiglie di distribuire e separare, tra loro ed il servizio, funzioni e ruoli educativi, forse, per
evitare un confronto che risulterebbe faticoso e non alla pari e dal quale, probabilmente,
potrebbero trarre una propria immagine di inadeguatezza.
18
"La bambina deve imparare a giocare, e qui all'asilo gioca tanto, impara tutti i giochi possibili. Qui, all'asilo
impara molto, cose nuove, è molto sveglia. Noi le insegniamo le cose più facili: a comportarsi bene, a non
gridare, a non piangere, le leggiamo le favole e i libri, le mostriamo le fotografie dei nostri genitori" (FI6)
Difficilmente la presenza di più culture si presenta agli occhi dei genitori come una
risorsa. Non sappiamo in che modo lo sia effettivamente per i bambini. Per la maggior parte
delle famiglie intervistate, che desidererebbero che i loro figli incontrassero piuttosto dei
bambini italiani, questa è una scelta obbligata. Le occasioni di incontro tra famiglie non sono
le stesse nelle diverse strutture, ad ogni modo risultano "difficili", come lo spiegano gli stessi
genitori:
"Non ho molte occasioni di incontrare altri genitori, anche perché all'asilo Piccolo Mondo le mamme vengono a
prendere i bambini in orari diversi, poi, dato che i rumeni sono diversi dai filippini e non si incontrano mai tra
di loro, non c'è occasione di fare molte amicizie." (R1) - Mamma casalinga
"Mi piacerebbe che l'asilo organizzasse delle feste o degli incontri nei quali conoscere le altre mamme, ma, in
realtà, c'è poco tempo per conoscere le altre mamme, tutte scappano via velocemente." (R5)
servizi delle famiglie che li utilizzano. Le famiglie immigrate rischiano di trovarsi all'interno di
un sistema separato per gli immigrati/disagiati e, nelle migliori delle ipotesi, su di loro ricade il
compito di integrare e mediare tra servizi o prestazioni pubblici e di volontariato.
In breve, i rischi che questa soluzione da "specifica" (flessibile-multiculturale) diventi
"soluzione di separazione" degli immigrati/disagiati sembrano alti.
Da qualche tempo si è potuto comprendere che l'uso che le famiglie, specie quelle in
difficoltà socio economica, fanno degli "aiuti" di cui possono disporre per la custodia dei figli,
argomento che abbiamo trattato nei precedenti paragrafi, rinvia non tanto alla valutazione
delle esigenze del bambino ed a quelle familiari in generale quanto, invece, al modo in cui tale
aiuto viene offerto; il che vuol dire, quando si tratta di un servizio, ai vincoli derivanti dalla
sua organizzazione. In tal senso, le soluzioni di accudimento ci dicono poco rispetto a come
pensano i genitori debbano crescere i propri figli e su come sia necessario prendersi cura dei
piccoli.
Abbiamo perciò cercato, attraverso domande specifiche, di interrogare le nostre
famiglie sugli aspetti che ritenevano più importanti in questo momento della crescita e dello
sviluppo del bambino, su come loro pensavano di aiutarlo a crescere, su quali opportunità e
stimoli offrivano o credevano di dover offrire, su quali erano al riguardo le loro
preoccupazioni e con chi le dividevano.
Relativamente ai temi su cui concentrano l'attenzione e le pratiche i genitori, le nostre
famiglie indicano quelli che in genere s'individuano per tutte le famiglie che hanno figli
piccoli. Quindi, per primo, il benessere fisico dato, in particolare (come la testimonianza
riportata all'inizio ci segnala), da una buona alimentazione, dal controllo della crescita, dalla
cura di eventuali malattie, dalla possibilità di "stare all'aria aperta" e, in minor misura, da ritmi
di vita regolari e da un buon riposo. In relazione al maturare delle competenze dei piccoli e
dalla presenza-assenza di fratelli, il gioco con altri bambini e le relazioni tra fratelli diventano
elementi centrali delle attenzioni e delle pratiche dei genitori. C'è parso di capire in proposito
che ogni famiglia attribuisca maggiore o minore rilevanza a ciascuno di essi in relazione,
primo, alle reali condizioni di salute del bambino ed a ciò che egli esprime o manifesta
(presenza di malattie, il bambino che mangia poco o che dorme male) e, secondo, alla
valutazione delle condizioni in cui si trovano a vivere, in particolare, alla ristrettezza degli
spazi domestici ed alla loro insalubrità (umidi, senza riscaldamento, ecc.). Aspetti, questi
ultimi, la cui gravità è stata più volte segnalata da ricerche realizzate in ambito sanitario.
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"Quando il bambino non andava all'asilo aveva difficoltà a addormentarsi perché rimaneva troppo tempo
dentro casa, non prendeva abbastanza aria, non c'era abbastanza spazio per giocare e quindi non si stancava
abbastanza." (R3)
Crediamo che, in relazione alle condizioni abitative, non possiamo dire se anche per
"abitudini culturali", "il fuori", rappresentato dai giardini quando esistono altrimenti dalle
piazze, assuma in molte famiglie una valenza determinante nell'organizzazione delle routine
quotidiane di cura e nell'uso del "tempo libero". Quando presenti, spesso i padri dividono con
le madri il compito di portare fuori la sera i bambini. Le famiglie cercano gli spazi più adatti
(attrezzati, puliti), dunque non necessariamente quelli più vicini alla propria abitazione,
prendono anche dei mezzi pubblici per arrivarci.
Agli spazi all'aperto vengono, però, attribuiti anche altri significati. Essi rappresentano
per molte famiglie, oltre che luoghi d'incontro tra connazionali, gli unici spazi in cui i figli
possono incontrare bambini italiani; incontri desiderati dai genitori ma che risultano per lo più
casuali e sporadici.
"I bambini non hanno occasione di incontrare molti bambini…solo al parco pubblico incontrano dei bambini
italiani. Mio marito li porta il pomeriggio tardi, se non lavora, oppure la domenica; appena può cerca di uscire
dall'appartamento e far fare una passeggiata ai bambini." (R1)
"A me possono dire: fai questo o fai quel altro, ma io faccio quello che credo che va bene alla mia bambina,
sono io che vivo con la mia bambina, so quando sta bene e quando non sta bene e, quindi so cosa devo fare. A
me per esempio non piace darle delle medicine, se sono costretta gliele do per un po' di tempo, ma non per tutto
il periodo che dice il medico." (FI3)
Abbiamo trovato nella maggior parte delle madri una sorta di "rivendicazione" di un
"sapere materno" e di conoscenze che provengono da eventuali maternità precedenti e da un
contatto attento con i figli. In tal senso, le madri si ritengono capaci di controllare la crescita
dei figli ("capisco, so come sta, so se sta bene, perché lo vedo, l'osservo, ci sto con lui, ho
imparato a conoscerlo) e sembrano affrontare questo compito, in generale, con sufficiente
serenità. Ci sono, però, per le primipare, momenti particolari in cui "bisogna saper fare
determinate cose" (le prime cure), oppure prendere decisioni su conoscenze che ritengono di
non avere o di avere in modo incerto (p. e. sui regimi alimentari, su quando e come insegnare
il controllo delle funzioni fisiologiche). Rispetto a questi momenti abbiamo potuto osservare
due elementi significativi. Il primo è che molto spesso si verifica uno "scontro" con la cultura
professionale, quella dei pediatri, le principali figure di riferimento per la cura del bambino
anche per le nostre mamme, come il racconto di una di loro sta a testimoniare.
"…faccio quello che io penso sia bene per la bambina. Il pediatra, quando l'ho portata all'inizio, mi ha detto
di darle delle pappe, ma io ho visto che poteva mangiare più cose e le ho dato più cose. Io ancora l'allatto un
po', non so fino a quando l'allatterò. In Ecuador mia madre ci ha allattati sino a due anni, due anni e mezzo.
Il pediatra mi ha domandato se l'allattavo ancora (a 12 mesi), quando gli ho detto di sì mi ha detto 'molto
bene'. Inizialmente mi aveva detto che la dovevo allattare sino ai sette mesi. Io gli ho detto che fin che posso
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l'allatto. Per la pesata, qui pesano prima e dopo la poppata. A me questo non andava bene per cui non l'ho
fatto. Non mi andava bene perché, se la bilancia non segna quello che voglio io, incomincio a preoccuparmi.
Così mi sono detta, meglio non la peso. E' come se venisse la disperazione, perché vorrei che stia bene. Penso
che a poco a poco cresce." (FI1)
Il "conflitto" con i pediatri non è quasi mai un conflitto aperto perché, come hanno
indicato molte delle intervistate, non c'è possibilità di dialogo con i medici (hanno fretta, sono
molto formali, non capiscono le preoccupazioni delle mamme). E' così che le mamme
cercano di trovare il medico più disponibile (molte famiglie hanno cambiato più volte
pediatra, alcune ne hanno più di uno, quello della mutua e uno privato, si rivolgono a quello
del nido e agli ospedali) e di confrontare le indicazioni dei professionisti con pareri di altri.
Secondo i casi esaminati, questo conflitto tra "sapere informale" della mamma e "sapere
professionale" del pediatra pare si risolva in due modi diversi, con risultati che non si possono
del tutto prevedere per il bambino: o la madre segue letteralmente, in modo rigido, le
indicazioni del pediatra, accantonando proprie conoscenze e la capacità di valutare che cosa è
più opportuno per il figlio; oppure adotta soluzioni "miste", quindi solo in parte le
"prescrizioni" che vengono date.
Il secondo elemento significativo osservato in relazione ai momenti e situazioni
d'incertezza che riguardano la cura del bambino è quello relativo a come, dal racconto delle
madri, questi si sono potuti risolvere in modo soddisfacente.
Per le pratiche di puericultura, in primo luogo, si tratta di occasioni in cui le madri
hanno avuto "sostegno" da parte di madri italiane che, in qualche caso, si sono offerte
individualmente o come famiglia (vedi la prima testimonianza sotto riportata) ed in altri, sono
state incontrate nelle strutture di accoglienza e facevano parte di gruppi di volontariato,
questo è il caso del secondo racconto riportato.
"Io, al momento della nascita di Aldo, sono stata aiutata molto da un'amica italiana, mi ha aiutata tanto, è
venuta in ospedale quando io dovevo partorire e poi mi ha aiutata in casa. Mi ha insegnato a cambiare il
bambino, veniva ogni volta che lo dovevo cambiare. Il primo bagno glielo abbiamo fatto insieme, perché io avevo
paura ed ho continuato ad averla fino a quando il bambino ha avuto sei mesi. Lei mi ha aiutato anche per
l'allattamento, siccome i primi giorni a casa piangeva tanto, lei mi ha detto che sicuramente aveva fame….
Mio marito aveva conosciuto suo marito … così, quando sono arrivata io ci hanno invitati a mangiare a casa
loro. Lei è brava, dolce. E' più grande di me, ha 42/43 anni. Io le sono tanto riconoscente perché mi ha
aiutata tanto. Anche per quanto riguarda i vestiti del bambino, la carrozzina." (Leda, albanese)
"I mesi trascorsi con la bambina nella Casa di Accoglienza sono stati molto importanti perché lì ho imparato
parecchio, moltissimo. Io avevo paura, volevo sapere di più perché non mi succedesse niente con la bambina. Lì
ho visto le altre mamme e ho imparato. Mi sono sentita protetta. Nelle nostre famiglie non è la stessa cosa di
qui. Io non sapevo nulla di tutto questo, per esempio di come bisogna curare l'ombelico, che bisogna avvolgerlo
con una garza, oppure come si fa il bagnetto. Mi sono sentita sicura perché ho potuto vedere, per esempio, il
primo bagnetto gliel'hanno fatto. La Signora Lucia mi ha insegnato, e così, poco a poco s'impara. Il fatto
positivo di quella casa di accoglienza è che ci sono persone adulte perché, in generale, nel volontariato sono tutti
giovani. Lì c'erano delle signore volontarie che sono anche madri e ci sono anche le altri madri che hanno figli
più grandicelli." (FI1)
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Alcune madri hanno potuto fare ricorso al sostegno di altre donne della famiglia
allargata, quando presenti in Italia e disponibili (p.e. sorelle più grandi, cugine), ed in qualche
altro caso sono state delle madri connazionali, incontrate nelle case di accoglienza, che hanno
permesso loro di "riappropriarsi" di pratiche di cura appartenenti alle culture d'origine.
"L'altra donna somala di questa casa mi ha insegnato cosa fare con la bambina se ha più caldo o ha più
freddo: come riscaldarla o raffreddarla. Poi mi ha insegnato a farle un massaggio di olio e limone per quando
ha la febbre, per rinfrescarla un poco. Questa è una cosa che faceva anche mia madre in Somalia, e che io
avevo dimenticato. Mi ha insegnato a massaggiarla, a trattarla al risveglio, a rinfrescarla, a metterle le creme."
(FI8)
Nei momenti, invece, in cui l'esigenza delle madri è stata quella di avere
un'informazione o confrontare le proprie conoscenze con quelle di altri, esse si sono in
genere rivolte, per primo, alla famiglia allargata (magari telefonando all'estero) ed a
connazionali, se disponibili. In un secondo momento, e nella misura delle possibilità di
contatto, le madri immigrate hanno cercato di sapere anche come fanno o come avrebbero
fatto le madri italiane.
"Io voglio che lui cresca metà italiano e metà del nostro paese. Io sono una mamma moderna, come si dice,
voglio che lui guardi al mondo da più finestre e non da una sola, voglio che scelga la sua strada, voglio dargli la
libertà, essere come una guardia che se c'è un pericolo interviene…. Noi prendiamo delle cose che ci piacciono
dell'educazione italiana e le mescoliamo con l'educazione del nostro paese e con la nostra religione, soprattutto".
(FI7)
Tra gli elementi principali rilevati inerenti l'educazione del bambino possiamo indicare
ciò che i genitori considerano essere i loro compiti. Fra i più segnalati risultano: offrire un
ambiente sereno, dare prospettive per il futuro (sicurezza), trasmettere dei valori (una buona
educazione) ed offrire possibilità d'istruzione. Elementi che si definiscono in modo
strettamente legato alle proprie storie d'infanzia e della migrazione (le famiglie con più
difficoltà di inserimento sono quelle che segnalano la sicurezza del futuro come l'aspetto più
importante che i genitori debbono assicurare ai figli).
Riguardo a come si pongono i genitori intervistati rispetto all'educazione che loro
hanno ricevuto, la maggioranza prende distanza dai propri genitori. Con sfumature diverse,
tutti salvano aspetti legati ai valori, all'amore, alla dimensione etica dei contenuti trasmessi,
pesano le differenze tra le condizioni di vita all'epoca e quelle attuali e mettono in discussione
le pratiche educative dei loro genitori quando i modelli di relazione con i figli delle famiglie
d'origine ed i loro sistemi disciplinari, troppo rigidi, non tenevano sufficientemente conto dei
pareri e della personalità dei bambini. In breve, la maggior parte si dichiara "genitori
moderni".
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"Penso di fare diversamente dai miei genitori, non perché loro non avessero voglia di fare ma non era possibile
perché noi eravamo in tanti, sei sorelle ed un fratello, come facevano ad accontentare tutti? Siamo cresciuti bene
lo stesso, il mangiare, il necessario lo abbiamo avuto. Non posso dire di fare come loro perché loro non hanno
avuto i mezzi. Dal punto di vista dell'educazione loro sono stati bravi con noi. Mia madre e mio padre sono
stati bravi, io ed altri tre miei fratelli siamo andati all'università, per i miei genitori, così come per me, è
importante fare studiare i figli." (FI2)
"Rispetto a come hanno fatto i miei genitori, penso di aver preso le cose più giuste, quelle che vanno sempre
bene. Alcune delle cose che io faccio con mio figlio sono le stesse che facevano i miei genitori con me, però educare
in figli in Italia è diverso da educarli in Perù, il sistema è molto diverso. In Perù è più rigido mentre in Italia è
più moderno, meno severo." (R8)
La trasmissione degli elementi della cultura di origine, (i principi legati alla religione
per alcuni genitori musulmani e per i cattolici praticanti, e la lingua, le tradizioni alimentari, la
musica, ecc. per tutti), è ritenuto dai nostri intervistati compito della famiglia, quindi,
responsabilità dei genitori. In tal senso, ed in relazione a quanto ed a quali elementi ciascuna
famiglia pensa sia importante trasmettere ai figli, i genitori si attivano, creano delle
opportunità (incontri con connazionali, scelta della lingua da usare a casa, letture di storie,
ascolto di cassette, ecc.). Solo nel caso di un genitore tra quelli di religione musulmana che
abbiamo incontrato, sono state manifestate preoccupazioni rispetto alle difficoltà che in
futuro può avere la famiglia per trasmettere ai figli, in un ambiente così diverso, la propria
religione e visione del mondo.
Relativamente a questo "problema", diventato il nodo a partire dal quale si è spesso
ritenuto di dover affrontare la questione della socializzazione dei figli degli immigrati, e che ha
portato a prese di posizioni "inconciliabili" come la situazione francese starebbe a dimostrare,
la nostra piccola ricerca offre uno spunto di riflessione a nostro avviso interessante.
Mettendo in relazione le preoccupazioni espresse dalla famiglia su indicata, che non
utilizza un servizio per l'infanzia, che appare piuttosto isolata, con difficoltà ad avere rapporti
con famiglie italiane per gli orari di lavoro del padre e le scarse opportunità che offre
l'ambiente (vedi testimonianza riportata a pag. 15 Fi3), con l'elaborazione sull'educazione del
figlio che esprime un'altra famiglia della stessa provenienza (Marocco) e religione (la cui
testimonianza è offerta all'inizio del paragrafo), famiglia che utilizza un servizio per l'infanzia e
ha avuto "precocemente" la possibilità di incontrare altre famiglie italiane e straniere, ci
sembra lecito ipotizzare che le "questioni" in precedenza indicate potrebbero essere più
facilmente affrontate, e quindi meno problematiche, lavorando non tanto sul "conflitto"
quanto sulle condizioni di interazione che possono essere create a partire dalla primissima
infanzia. E qui ritroviamo la dimensione preventiva più generale di un'attenzione per la
condizione dell'infanzia e dei genitori immigrati che si trovano a svolgere compiti di cura.
C'è, in effetti, nella maggior parte dei genitori che hanno avuto la possibilità di
stabilire un rapporto con famiglie italiane, una maggiore consapevolezza del fatto che i figli
diventeranno "un po' di qui ed un po' come noi" e questo, sembra faccia anche piacere,
perché potranno sapere più lingue, "guardare il mondo da più finestre".
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Le problematiche da affrontare
Nel corso del nostro approfondimento sono state messe in luce alcune "aree di
criticità" nell'organizzazione e nella gestione della cura dei bambini piccoli da parte delle
famiglie immigrate che non risultano sostanzialmente diverse da quelle che emergono dalle
analisi della condizione di molte famiglie italiane. Diversi sono, tuttavia, le disponibilità
interne ai nuclei ed i supporti su cui, nella maggior parte dei casi, le famiglie immigrate
possono contare, nonché le opportunità di interazione con le diverse espressioni delle
comunità locali, condizione, quest'ultima, determinante per la definizione di propri percorsi di
integrazione.
Sinteticamente, le problematiche inerenti all'organizzazione e alla gestione della cura
dei figli da parte delle famiglie immigrate che riteniamo debbano trovare modalità di risposta
adeguate sono:
a) L'individuazione di forme di custodia o supporti per l'accudimento dei bambini piccoli
che consentano alle donne immigrate di separare sufficientemente il lavoro dalla cura
dei figli e, quindi, di poter operare delle scelte tenendo conto di quello che si ritiene
opportuno o adeguato per i bambini.
b) Le difficoltà di accesso e d'utilizzo dei servizi per l'infanzia e per le famiglie, anche
quando questi si pensano specifici e flessibili.
c) Le difficoltà ad affrontare "gli imprevisti" ed i momenti critici collegati alla nascita ed
alle prime fasi di sviluppo e apprendimento del bambino.
d) La difficoltà della maggior parte delle famiglie (quelle che non utilizzano servizi per
l'infanzia) di far fare ai figli, specie a partire dal secondo anno di vita, esperienze ritenute
indispensabili per la loro crescita (motorie, di gioco e di socializzazione).
e) La ristrettezza e l'occasionalità delle opportunità di confronto, sia per i genitori che per i
bambini, tra famiglie immigrate e famiglie italiane.
f) La gestione dei "confronti culturali" che si manifestano, in particolare, tra il "sapere
informale delle madri" ed il "sapere tecnico dei professionisti" di area sanitaria ma anche
educativa.
27
Le questioni sopra indicate non sono del tutto nuove. Esse sono state, per lo meno in
parte, messe in evidenza da altri approfondimenti ed hanno costituito, con sfumature ed
accentuazioni diverse secondo le specificità locali e il peso attribuito ad ognuna di esse,
l'oggetto di esperienze che nell'ultimo decennio si sono proposte di sostenere o affiancare le
famiglie immigrate nei loro compiti di cura.
Tre soggetti: il pubblico, gli organismi di privato sociale e, in qualche caso, le forme di
autorganizzazione degli immigrati, si sono attivati, o per mandato istituzionale, o perché
ritenevano di poter assumere una parte negli interventi. Le analisi delle strategie messe in atto
da questi diversi soggetti, compiute in parte nell'ambito del "Progetto famiglie immigrate e
comunità locali", in parte attraverso i tentativi che abbiamo messo in atto tra il 1996 ed 1997
per sostenere le iniziative per l'infanzia organizzate dalle associazioni di immigrati, ma anche
grazie all'approfondimento realizzato in occasione di questa ricerca, ci hanno permesso di
individuare problematicità tali da ritenere che i percorsi finora individuati difficilmente
possono permettere di rispondere contemporaneamente alla pluralità di esigenze sopra
indicate. In breve, tra i nodi critici delle strategie d'intervento finora percorse pare opportuno
indicare che:
a) esistono dei limiti, non solo alla creazione di servizi aggiuntivi dovuti a difficoltà di
ordine finanziario, ma anche all'adozione di forme organizzative che rendano le diverse
strutture di accoglienza per l'infanzia, pubbliche e privare, "flessibili" quanto le variegate
esigenze delle famiglie lo richiederebbero;9
b) l'offerta dei servizi è spesso utilizzata dalle famiglie immigrate, non tanto in funzione di
quanto essi rispondono alle loro esigenze particolari e, quindi, anche indipendentemente
dalle complicazioni organizzative e dalle implicazioni culturali che dal loro utilizzo
possono derivare, ma prevalentemente in virtù della loro gratuità e della manifesta
disponibilità umana dei suoi operatori. In questo modo molte iniziative, pubbliche e
private, rischiano di creare dipendenza, di indurre le famiglie all'accettazione acritica di
quanto viene loro offerto e di inibire le loro capacità di reazione e di scelta;
c) le difficoltà presenti nel sistema dei servizi italiani non hanno permesso alla maggior
parte dei servizi specificatamente messi in atto per rispondere ad esigenze di assistenza
ed ai bisogni legati alla cura dei figli delle famiglie immigrate, di svolgere la funzione che
si erano proposti di mediazione e di facilitazione dell'accesso ai servizi per tutta la
9
In proposito ci sembra emblematica una sperimentazione denominata "Oltre il nido della Barca", realizzata a
Bologna per un periodo di sei mesi presso i Centri per le Famiglie e predisposta, utilizzando le disponibilità dei
servizi territoriali, di volontari e delle stesse madri straniere coinvolte, per garantire l'accudimento dei bambini
nelle ore serali 17/20,30 in cui le famiglie erano impegnate, a turni, in attività lavorative. La sperimentazione,
che doveva avere un seguito attraverso l'apertura serale di un nido del quartiere per quelle mamme che facevano
dei turni, con la gestione mista (volontari e operatore) sperimentata nei centri, si è conclusa perché, non riuscendo
a trasferire l'esperienza al nido, i problemi posti dal trasferimento dei bambini dal nido alla sede del Centro, prima
garantito da volontari ed in seguito con un mezzo messo a disposizione dell'Amministrazione comunale, sono
diventati insormontabili.
28
popolazione. In questo senso si può ritenere che si sia venuta a creare una sorta "doppio
binario" entro il quale si è di fatto "scaricato" sui servizi "specifici" il soddisfacimento
delle richieste delle famiglie immigrate. In questo quadro, anche le iniziative
autorganizzate dalle associazioni di immigrati, siano esse monoculturali o multiculturali,
rischiano paradossalmente di diventare, anziché risposte articolate ad una serie di
esigenze particolari, ovvero opportunità per favorire l'integrazione delle famiglie,
condizioni e strumenti di esclusione;
d) raramente le azioni di solidarietà presenti o che si sviluppano nelle diverse forme di
organizzazione delle comunità di immigrati sono rivolte a soddisfare esigenze delle
famiglie con bambini piccoli. Inoltre, molte delle iniziative o dei tentativi messi in atto,
in particolare dall'associazionismo delle donne immigrate, più che espressioni di
solidarietà tra famiglie si configurano come azioni finalizzate all'autopromozione
dell'imprenditorialità in un settore, come quello della cura dell'infanzia, in cui si ritiene
possibile spendere o sviluppare una propria professionalità;
e) difficilmente gli sforzi compiuti dalle strutture di servizio per creare occasioni di
confronto tra famiglie straniere e famiglie italiane hanno permesso l'instaurarsi di
rapporti di scambio. Secondo gli approfondimenti compiuti riteniamo che risultati in tal
senso non si ottengano all'interno di processi formali ma in occasioni in cui per lo meno
una delle parti è impegnata a fare qualcosa per l'altra. Come abbiamo avuto modo di
indicare, lo scambio si è verificato nei momenti in cui famiglie italiane o singoli cittadini
hanno "accompagnato", "affiancato" o "aiutato" famiglie immigrate in situazione di
difficoltà rispetto all'accudimento ed alla cura dei bambini.
Un'ipotesi di lavoro
Allegato
I.d) Abitazione
Localizzazione nella città: centro/periferia/comune limitrofe...
Da quanto tempo risiedono nell’abitazione in cui vivono attualmente
Eventuale valutazione dell’intervistato dell’adeguatezza dell’abitazione rispetto alle esigenze
della famiglia
• Tempi e azioni di ciascuno nell’arco di una giornata feriale (si può prendere come
riferimento quella di ieri o dell’altro ieri) ed in una giornata festiva (in cui i genitori non
lavorano): il mattino, il pranzo, il pomeriggio, la cena/la sera
Possibili domande: “Mi potrebbe raccontare come vi siete organizzati con vostro figlio/figlia? Chi si occupa
del bambino la mattina, a pranzo, ecc.? Dove trascorre i diversi momenti della giornata? Per esempio, mi
può raccontare la giornata di ieri/l’altro ieri (feriale) e una giornata festiva.
P.D: Quali sono gli aspetti che ritiene (ritenete) più importanti o che la (Vi) preoccupano di più in questo
momento della crescita del suo (vostro) bambino?
Quali sono le cose che, secondo lei/Voi il suo bambino deve imparare in questo momento per crescere bene?
Come fa a capire che il suo bambino sta crescendo bene?
III.c) Dubbi e problemi rispetto alla cura e all’educazione: quali? quali risorse
per affrontarli
P.D: “Ha avuto nell’ultimo anno (o dal quando è nato il bambino) dei dubbi rispetto alla crescita di suo
figlio? Se sì, di che tipo? Ne ha parlato con qualcuno o si è rivolta a qualcuno? A chi?
IV.a) Rapporti con gli eventuali “altri” che si prendono cura del bambino
P.D.: Quali sono gli aspetti che ritiene più positivi di quello che (... l’amica, il parente, altra famiglia, il
centro per l’infanzia) offre a (o fa con) il suo bambino? C’è anche qualcosa di negativo? Quale?
- in casa di accoglienza
F1 Ecuador 22 Sec. Super. Saltuaria - COLF a ore 1995 Perù 30 Sec. Super. Operaio in azienda - Tempo Pieno 1993 1 F 30 m In famiglia - Cura materna
- al lavoro con la mamma