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Riassunto:

“PROCESSI COGNITIVI, MOTIVAZIONE E APPRENDIMENTO” (Cornoldi,


Meneghetti, Moè, Zamperlin)
CAPITOLO 1: “Le basi del funzionamento cognitivo e dell’apprendimento”
• Quali sono i processi cognitivi implicati nell'apprendimento?
• Quali orientamenti psicologici si sono occupati della mente e come è stata studiata?
• Come si sviluppa la mente?
• Quali potrebbero essere le applicazioni nel contesto di
apprendimento/insegnamento?

1. Lo studio psicologico della mente


Riflettere sulle basi del funzionamento della mente significa porsi il problema del modello
epistemologico di come la mente possa essere approcciata. Per quanto possa sembrare
ovvio studiare la mente in modo diretto, molti approcci psicologici preferiscono focalizzarsi
su aspetti correlati. Questa definizione era cara all’approccio comportamentista. L’oggetto
della psicologia può essere ricondotto all’attività psichica consapevole, ma anche al
comportamento o agli stati fisiologici concomitanti L'apprendimento può essere definito nei
termini dei cambiamenti non solo delle conoscenze principalmente inferibili attraverso il
linguaggio, ma anche dei comportamenti instabili con cui una persona reagisce a una stessa
situazione.

• Il comportamentismo = sosteneva che non possiamo studiare direttamente la


mente, perché non è osservabile con criteri oggettivi, ma dobbiamo limitarci a
osservare i cambiamenti nei comportamenti
• Le neuroscienze = preferiscono dare fondamento all’indagine sui processi psichici
individuandone i correlati fisiologici e neurali → es. nel caso dell’apprendimento
vengono osservati mutamenti chimici dell'organismo e il cambiamento
nell’organizzazione cerebrale.
• La psicoanalisi = ritiene che la parte fondamentale della mente sia rappresentata
dagli stati non consapevoli
• La psicologia cognitiva = mette al centro i processi e le abilità cognitive della mente
Per quanto questi approcci abbiano offerto importanti contributi allo studio della mente e
dell’apprendimento, il focus dell’indagine psicologica debba rimanere la mente attraverso
tutte le fonti e metodologie utili. La ricerca su processi cognitivi, motivazione e
apprendimento deve prendere atto che l’attività psichica rilevante può anche essere
inconsapevole. Ormai è appurato che molti fenomeni psichici sono non consapevoli.
Consideriamo due esempi: gli stati brevi e gli apprendimenti impliciti → tradizionalmente si
riteneva che una unità di tempo minima tipica richiesta a un'esperienza psichica perché
potesse essere significativa fosse dell'ordine del mezzo secondo. Non è vero: esempi di
processi mentali rilevanti che hanno una durata nettamente inferiore sono i sistemi
temporanei di memoria o le fissazioni oculari durante la lettura. Nel caso della lettura anche
senza fare riferimento ai movimenti oculari, ci si può rendere conto della complessità, con
una semplice riflessione sulle operazioni necessarie alla mente per leggere una riga di testo

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→ alcuni esempi: esaminare le proprietà percettive del testo stampato, riconoscere lettere
e gruppi di lettere, riconoscere parole, attribuire significato alle parole etc.
Poiché sono processi altamente rilevanti per la comprensione del funzionamento psichico,
dobbiamo trovare il modo per studiarli. In questo caso la psicologia si è avvalsa dell’analisi
dei tempi rapidi con cui la mente risponde a singole operazioni e della differenza fra questi
tempi, dello studio dei comportamenti associati e anche dei correlati biologici. Un altro
importante esempio di processo psicologico non consapevole è rappresentato
dall’apprendimento implicito → un caso famoso di apprendimento implicito è rappresentato
dall’acquisizione di regole e regolarità.

2. La nascita della psicologia scientifica e lo studio comportamentale degli


apprendimenti semplici
La data di nascita della psicologia scientifica può essere il 1879, grazie a WUNDT che
fondò presso l’Università di Lipsia, in Germania, il primo laboratorio di Psicologia
sperimentale. Wundt utilizzava la tecnica dell’introspezione, cioè studiava la mente
individuando gli stati di coscienza e possibilmente scomponendoli → questa metodologia
non era condivisa, infatti furono avanzate critiche a questa metodologia con particolare
riferimento alla sua soggettività, al fatto che osservando la nostra psiche essa risulta
modificata dall' atto stesso di osservarla, alla deformazione che può verificarsi
nell’osservazione e scomposizione di eventi psichici che perdono dinamicità e unità.
Quindi, in ambito nord-americano nasce l’approccio comportamentista, avviato con la
pubblicazione di un articolo programmatico di WATSON, nel 1913, che prendeva spunto
dalla riconosciuta importanza dello studio del comportamento animale e dall’assunzione
darwinista di una continuità fra uomo e animale.
Approccio comportamentista
- Condizionamento classico: mostra come alla base degli apprendimenti possa
esserci un’associazione semplice fra due eventi che compaiono più volte in maniera
contigua temporalmente → Pavlov, 1916.
Emissione di una risposta naturale in presenza di uno stimolo non naturale. Es. la
salivazione del cane in risposta ad un suono.
L'animale, che inizialmente
produceva saliva (risposta
incondizionata) solo in
concomitanza dell’emissione in
bocca del cibo (stimolo
incondizionato), in un secondo
momento salivava (risposta
condizionata) anche la semplice
comparsa di un segnale
(campanella), per se stesso
irrilevante (neutro), ma diventato rilevante (stimolo condizionato) per il fatto che più volte
aveva immediatamente preceduto la presenza del cibo.
- Condizionamento operante: è sufficiente che a un comportamento spontaneo
facciano seguito conseguenze rilevanti per il sistema motivazionale dell’individuo
(rinforzi), perché la probabilità di produzione del comportamento muti → Skinner,
1938. Secondo i comportamentisti, gran parte di quello che noi siamo è risultato di
apprendimenti, e il condizionamento costituirebbe la base anche degli apprendimenti

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complessi. Esempio: SKINNER BOX → Un ratto viene condizionato ad abbassare
una leva, quando riceve del cibo in associazione con tale gesto, al contrario smette
di toccarla se riceve una scossa elettrica
In tutti i casi in cui non è possibile stimolare apprendimenti attraverso la stimolazione dei
processi cognitivi, le tecniche di modificazione del comportamento basate sul
condizionamento appaiono utili.
Tuttavia, come già Chomsky [1957] rilevava molti anni fa per il caso del linguaggio, non tutti
gli apprendimenti sono basati sull’acquisizione di associazioni.
Inoltre, è stato messo in luce come anche i meccanismi associativi più semplici in realtà
coinvolgono complessi processi cognitivi.

3. Le basi biologiche e il processo


maturativo
Il processo di sviluppo e apprendimento
interagisce
- con le strutture biologiche che
l’individuo possiede nel patrimonio genetico
ereditato dai genitori
- con l’ambiente
Nel bambino c’è una forte capacità di
apprendere (plasticità del cervello), piuttosto
che un rigido sistema di conoscenze a priori
e diventa centrale lo studio dell’interazione
fra predisposizioni innate e ambiente.

4. Meccanismi della mente e funzioni esecutive


Abbiamo detto che la psicologia ha affrontato secondo diversi orientamenti psicologici il
tema del funzionamento mentale e dell’apprendimento. Possiamo riconoscere i seguenti
orientamenti:
1) comportamentismo → focus dell’analisi deve essere il comportamento e le sue
modificazioni
2) neuroscienze cognitive → il funzionamento della mente può essere compreso solo
se si fa riferimento alle sue basi biologiche
3) psicoanalisi → studio degli stati non consapevoli
4) psicologia cognitiva → focus sui processi e sulle abilità cognitive della mente
Tutti e quattro gli orientamenti offrono spunti importanti per la comprensione
dell’apprendimento. La psicologia cognitiva costituisce l'orientamento centrale, più
rappresentativo ed usato quando si vuole studiare il funzionamento della mente e
l'apprendimento motivato non solo di associazioni semplici ma anche di contenuti e abilità
complesse. Per questo motivo, andremo ad analizzare i meccanismi fondamentali che
sottostanno al funzionamento della mente e che fanno riferimento a: memoria, percezione,
attenzione, pensiero, linguaggio, metacognizione, motivazioni ed emozioni.
Due aspetti che sono in qualche modo trasversali ai vari ambiti:
a) la velocità di elaborazione: si riferisce a quanto la mente è veloce nel compiere le
sue attività. Si ritiene che le operazioni complesse della mente siano risultato della
combinazione di molte operazioni semplici: solamente veloce, può riuscire a

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combinare più operazioni e avere tempo e spazio mentale per effettuarle tutte ed
eventualmente affrontare situazioni complesse.
b) le funzioni esecutive: sono funzioni che controllano e gestiscono il funzionamento
della mente. Queste funzioni sono associate all'attività dei lobi frontali, cioè della
parte anteriore del cervello.
In tutte le attività mentali si può riconoscere un ruolo delle funzioni esecutive, ma esso
appare particolarmente evidente nell’attenzione, nel ragionamento e nella memoria. Anche
le funzioni esecutive evolvono con la crescita e quindi possono spiegare i cambiamenti
evolutivi nella capacità mentale.

5. Modelli di analisi delle operazioni della mente e delle difficolta di apprendimento


Apprendimento e difficoltà di apprendimento possono essere analizzate non solo dal punto
di vista classico dello sviluppo, per cui le capacità di apprendimento evolvono in
corrispondenza col passaggio da una fase di sviluppo una successiva, ma anche in base a
una analisi longitudinale dell’apprendimento, ha una logica computazionale o un modello
neuropsicologico (vedi tabella a pagina 25).

6. Lo sviluppo delle abilità di apprendimento


Con lo sviluppo cambia:
1. la capacità di recepire e rappresentare le stimolazioni
2. i meccanismi sottostanti che sorreggono gli apprendimenti (memoria di lavoro,
velocità di elaborazione, funzioni esecutive)
3. le conoscenze utilizzabili
4. le strategie
5. la metacognizione.
Secondo Bruner il bambino piccolo impara facendo, il bambino più grande rappresentandosi
concretamente e poi attraverso modalità più astratte. Questo dimostra la necessità di una
centratura dell’insegnamento sulle caratteristiche dello studente e prevede che l'insegnante
stabilisca esiti, mezzi e confini indirizzando la modalità attraverso cui si forma la conoscenza
e quindi l'apprendimento. Possiamo anche ricollegarci a Dewey per cui lo studente diventa
artefice e costruttore delle proprie conoscenze anche attraverso la sperimentazione
concreta per poi rappresentarsi in modo personale la conoscenza.

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CAPITOLO 2: “Attenzione e percezione”
• Che cosa si intende per attenzione e percezione? Come sono in relazione tra loro?
• quali sono le funzioni dell’attenzione?
• Quali sono i principali principi alla base della percezione?
• Come si sviluppano l'attenzione e la percezione?
Siamo continuamente immersi nell'ambiente che ci offre molteplici stimoli visivi, uditivi,
olfattivi, tattili e gustativi ma solo alcuni di essi catturano la nostra attenzione. È attraverso
l'attenzione selettiva che gli stimoli vengono elaborati e se ne attribuisce un significato. La
percezione ci permette di attribuire il significato agli stimoli esterni; Infatti è grazie la
percezione che riusciamo a individuare un volto tra i rami degli alberi, un sorriso in una fila
di bottiglie. In alcuni casi l'attribuzione di significato non è immediata per l'ambiguità dello
stimolo: si tratta del profilo di un oca o di un coniglio? (fig. 2.2c) L'attenzione la percezione
sono due dimensioni cognitive in relazione tra loro, legate con altri processi cognitivi, come
memoria e pensiero. L'attenzione è quel processo cognitivo che ha un ruolo centrale nel
selezionare gli stimoli presenti nell'ambiente e che permette di percepire alcuni di questi.
l'attenzione ha quindi un ruolo fondamentale nei processi di elaborazione percettiva.

1. L’attenzione
Definizione → È Un insieme di processi e funzioni solitamente distinti in: attenzione selettiva,
mantenuta, focalizzata, divisa, soggetta a spostamento etc.
L'attenzione selettiva rappresenta l'aspetto più importante ed è quel processo che opera
una selezione tra tutte le informazioni che in un dato istante colpiscono i nostri organi di
senso (stimoli esterni) e/o i nostri ricordi (stimoli interni) consentendo soltanto ad alcuni di
accedere ai successivi stadi di elaborazione. Possiamo considerare l'attenzione selettiva
come un'abilità che filtra e organizza le informazioni, in modo da rispondere in maniera
adeguata quando è necessario. I sistemi sensoriali e il cervello dispongono dei mezzi per
selezionare le informazioni che pervengono ai nostri sensi. Questo è anche favorito dal fatto
che orientiamo fisicamente i nostri recettori sensoriali al fine di privilegiare alcuni stimoli. La
ricerca suggerisce l'esistenza nell’attivazione di tre processi:
1) attivazione generale del sistema di elaborazione volto a favorire l’intercettazione di
cambiamenti nell’ambiente
2) focalizzazione delle risorse di elaborazione verso informazioni oggetto del nostro
interesse
3) gestione delle risorse attentive.
Le funzioni dell’attenzione
1) Attenzione selettiva coinvolge maggiormente il processo di focalizzazione
2) Attenzione divisa coinvolge maggiormente il processo di gestione delle risorse
attentive
3) Attenzione sostenuta coinvolge maggiormente il processo di attivazione

1) L’ATTENZIONE SELETTIVA
È la capacità di concentrarsi ed elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti per
gli scopi che perseguiamo. Una metodologia usata per lo studio dell’attenzione selettiva e
l'analisi dei movimenti dell’occhio che prevedono saccadi, cioè repentini spostamenti degli
occhi, ma anche fissazioni, cioè brevi periodi durante i quali gli occhi sono relativamente
immobili. i movimenti oculari hanno un ruolo rilevante per comprendere come vengono

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elaborati in ingresso le informazioni che sono centrali soprattutto per alcuni aspetti
dell'apprendimento come la lettura e la comprensione del testo (in genere è possibile
distinguere uno studente con difficoltà di lettura e di comprensione anche in base al tipo di
saccade e fissazione). Fenomeni dell’attenzione selettiva:
a) Focalizzazione: quando uno stimolo particolarmente saliente cattura l’attenzione. Un
esempio in grado di spiegare questo fenomeno è quando una vittima di
un'aggressione si focalizza sull’arma del criminale ed è in grado di descrivere
accuratamente l'aspetto dell'arma ma sembra ricordare molto poco degli altri aspetti
della scena, compreso il volto del criminale il che suggerisce che l'attenzione si è
focalizzata sull’arma.
b) Cocktail party: consiste nella capacità di selezionare gli stimoli sonori su cui dirigere
l’attenzione, ignorando o attenuando gli altri. Esempio: quando siamo in una
situazione molto affollata, cerchiamo di udire e comprendere la voce della persona
con cui stiamo parlando, ignorando allo stesso tempo le voci e i rumori intorno. Un
restringimento del focus attentivo aumenta la nostra capacità di elaborazione delle
informazioni rilevanti durante l'esecuzione di compiti cognitivi: è ciò che permette a
uno studente di rispondere alle domande in un aula di un insegnante nonostante il
chiacchiericcio dei compagni. L'efficienza della selezione dipende dall' interazione di
due meccanismi: uno di attivazione che opera prima della selezione e uno di
inibizione della risposta per l'informazione non rilevante.
c) Cecità da disattenzione: consiste nel non notare altri stimoli dell’ambiente
potenzialmente importanti
d) Cecità al cambiamento: è l’incapacità delle persone di notare dei cambiamenti nella
scena. SIMONS e CHABRIS hanno riportato una dimostrazione di questo fenomeno:
ai soggetti di un esperimento è stato mostrato un filmato in cui tre giocatori con la
maglia nera si passavano una palla tra loro e altri tre giocatori con la maglia bianca
si passavano un'altra palla → e’ stato chiesto ai soggetti di contare i passaggi di palla
che coinvolgevano una delle due squadre → il 50% dei soggetti non si era accorto
della presenza di un individuo travestito da gorilla che passava tra i giocatori, si
fermava al centro, batteva i pugni sul petto e poi usciva.

2) L’ATTENZIONE DIVISA
È la capacità che consente di suddividere le nostre risorse attentive su più compiti
contemporaneamente. Dipende:
1. dal tipo e dalla natura dei compiti
2. da quante risorse attentive richiedono tali compiti
3. dal grado di automatizzazione degli stessi → es. guidare l’aiuto, ascoltare musica e
colloquiare.
Quando un compito richiede un basso controllo attentivo significa che è altamente
automatizzato punto l’automatizzazione si verifica come risultato della pratica. Tuttavia, in
presenza di uno stimolo imprevisto durante la guida, porta a riattivare tutte le risorse
attentive per poter selezionare le azioni più adeguate.

3) L’ATTENZIONE SOSTENUTA
È la capacità di prestare attenzione per un periodo prolungato ed è influenzata da
caratteristiche personali e caratteristiche dello stimolo. Fenomeni dell’attenzione
sostenuta:

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a) Abituazione: diminuzione delle risorse attentive verso lo stimolo, quando è immutato
e prevedibile → A causa di questo fenomeno l'attenzione sostenuta può diminuire.
b) Disabituazione: riduzione dell’abituazione per il cambiamento, anche molto piccolo,
di uno stimolo familiare → A causa di questo fenomeno l'attenzione sostenuta può
aumentare (es. battito di mani, lavoro di gruppo, cambio di tono di voce, frasi con
caratteri diversi).

1.1 L’attenzione nel sistema cognitivo: attenzione come filtro


Per comprendere le funzioni dell’attenzione, gli studiosi hanno proposto che l'attenzione
funzioni come un filtro e hanno usato la metafora del collo di bottiglia. I filtri permettono
di visionare e selezionare le informazioni in entrata e di escludere le informazioni non
necessarie. Tuttavia, le teorie si discostano tra loro rispetto alla collocazione e le
caratteristiche del filtro.
1) Teoria del filtro precoce
• l’informazione non rilevante non viene ulteriormente elaborata e decade
passivamente entro pochi secondi
• il filtro agisce come una sorta di “collo di bottiglia” tra l’input sensoriale e l’output
comportamentale, posizionato subito dopo i registri sensoriali

2) Teoria del filtro attenuato


• il filtro, piuttosto che bloccare l’elaborazione di tutta l’informazione che non
corrisponde ai criteri di selezione, attenua o riduce la forza delle informazioni a cui
non si presta attenzione

3) Teoria del filtro tardivo


• prevede che il sistema analizzi completamente tutta l’informazione e ne valuti in
seguito la salienza
• tutti gli stimoli vengono elaborati completamente e identificati, ma solo alcuni
raggiungono il livello di risposta
Tutte e tre le teorie sono fondate e si applicano a casi diversi. Ci sono prove sperimentali a
conferma dell'una o dell'altra teoria.
1) A supporto della teoria del filtro precoce ci sono risultati che si basano sulla procedura
dello shadowing = prevede che la persona ripeto un messaggio che ha sentito. Se
una persona ascolta due messaggi con la richiesta di ripeterne uno, essa è in grado
di rievocare il messaggio ripetuto ma non l'altro udito → Questo è a sostegno della
perdita precoce dell’informazione.
2) Esistono prove empiriche del fatto che il nostro sistema percettivo elabora
parzialmente gli stimoli sfuggiti all'attenzione → è molto probabile che sentiamo il
suono del nostro nome anche quando viene pronunciato in una conversazione a cui
non stiamo badando. La mancanza di attenzione non blocca interamente gli stimoli
ma piuttosto li attenua.
3) Ci sono evidenze anche a favore della teoria della selezione tardiva → effetto Stroop
a sostegno della selezione tardiva → un esempio che evidenzia questo effetto è il
seguente:
a) TRE TRE TRE
b) TRE TRE

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è più facile l'alternativa a) → questo si verifica perché uno stimolo incongruente
richiede maggior tempo di essere lavorato perché il numero tre, che non dovrebbe
essere letto, viene comunque percepito e non immediatamente perso.
Nell’esperimento di Stroop, al soggetto vengono mostrate delle parole scritte con
colori diversi. Il compito consiste nel pronunciare ad alta voce il nome del colore
dell'inchiostro con cui è scritta la parola. Il colore è quindi l'informazione rilevante per
lo svolgimento del compito, mentre il significato della parola è l'informazione non
rilevante. Gli stimoli presentati nel compito possono essere di tipo neutro (quando si
visualizza solo il testo o solo il colore), congruente (quando la parola rosso è scritta
in rosso) e incongruente (quando la parola rosso è scritta in verde). il tipo di risultato,
chiamato effetto Stroop, consiste nel produrre una risposta più lenta nel caso della
condizione incongruente e più veloce nel caso della condizione congruente a
dimostrazione che le informazioni incongruenti sono comunque elaborate.

1.2 Processi controllati vs automatici


1) I processi controllati
• sono alla base dei comportamenti che richiedono un alto investimento di risorse atte
native, che si basano sulla consapevolezza e sull’intenzionalità di raggiungere uno
scopo;
• richiedono maggior tempo
• possono essere eseguiti bene solo uno alla volta
• hanno il vantaggio di poter essere modificati nel breve periodo per cercare di adattarsi
ad ambienti e situazioni nuove.
2) I processi automatici
• Lo svolgimento di compiti per effetto della pratica può diventare automatizzato, cioè
gestito da processi automatici
• ricadono al di fuori della nostra consapevolezza, non richiedono sforzo attentivo o
intenzioni precise
• non sottraendo attenzione, permettono alla mente di destinare tutte le proprie
capacità attentive alle attività svolte contemporaneamente.
Molti apprendimenti di base dovrebbero assumere le caratteristiche dei progetti automatici,
come leggere, calcolare, ascoltare.
- I processi di controllo volontario possono subire l’interferenza dei processi di controllo
automatico e questi vengono chiamati errori di attenzione.
- Si possono verificare gli errori di modo quando eseguiamo un azione che sarebbe
opportuna in una situazione diversa da quella in cui viene effettivamente eseguita,
come ad esempio togliersi gli occhiali anche se non li sta portando;
- gli errori di cattura dovuti all’attivazione erronea di uno schema, ad esempio quando
si entra in un aula ma poi non si sa perché si è entrati. Questi errori di attenzione
evidenziano anche il ruolo del contesto di presentazione degli stimoli e del luogo in
cui viene svolta l'azione.
In che modo sono guidati i processi attentivi? NORMAN e SHALLICE Ipotizzano l'esistenza
del SAS = Sistema Attentivo Supervisore, in grado di controllare le sequenze di azioni e di
monitorare se richiedono un certo grado di controllo. Il SAS Esercita un controllo volontario,
avendo accesso sia al mondo esterno che alle intenzioni di un individuo e può intervenire

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sul processo di selezione competitiva portando un’attivazione aggiuntiva dell’azione che si
intende eseguire.

2. La percezione
L'attenzione aiuta la percezione. Fondamentali funzioni del sistema percettivo sono quelle
di determinare a quale stimolo sensoriale prestare attenzione e, una volta che il sistema
attentivo operato una selezione e focalizzazione su un determinato stimolo, di elaborarlo.
Definizione: è quel processo attraverso il quale le informazioni raccolte dagli organi di senso
sono organizzate in oggetti, eventi o situazioni e vengono elaborati in unità dotate di
significato per il soggetto. La percezione è diversa dalla sensazione che è la mera
interazione tra stimoli provenienti dal mondo fisico e i recettori sensoriali.
La percezione rappresenta quindi un processo costruttivo di strutturazione delle
sensazioni uditive, visive, tattili, olfattive, gustative, che ha lo scopo di formare una
rappresentazione dotata di significato usando spesso tale rappresentazione per risolvere
problemi che si verificano naturalmente come spostarsi nello spazio, riconoscere e afferrare
oggetti.
Una distinzione centrale nella percezione è quella tra processi:
a) dal basso verso l’alto o di tipo bottom-up
vale a dire un’elaborazione guidata dalle informazioni sensoriali. Quando prevale il processo
di bottom up ogni stimolo possiede informazioni sensoriali sufficientemente specifiche da
renderne possibile il riconoscimento senza l'intervento dei processi cognitivi superiori.
Gli psicologi della Gestalt furono i primi a studiare la percezione e a individuare le principali
regole di come vengono organizzati e dotati di significato gli stimoli del mondo esterno. Fra
le numerose organizzazioni possibili dello stimolo si verificherà quella che possiede la forma
migliore.

b) dall’alto verso il basso o di tipo top-down


vale a dire un’elaborazione guidata da altri processi cognitivi come la memoria, motivazioni
e stati emotivi.
Questo processo si verifica quando lo schema di conoscenza influenza il modo con cui viene
percepito un dato stimolo o situazione nell’ambiente. Si tratta della teoria costruttivista di
Bruner: dato che non vediamo delle semplici configurazioni ma vediamo oggetti complessi
, e necessaria una attiva ricerca della migliore interpretazione possibile delle caratteristiche
disponibili.

2.1 Quando la percezione è bottom-up


Figura di Rubin
Tra le funzioni della percezione c'è quella di riconoscere oggetti e
scene del mondo esterno. Gli psicologi della Gestalt (“forma” o
“struttura organizzata”) hanno individuato le regole e le leggi
secondo cui gli elementi sono organizzati secondo una “buona
forma” Per poter riconoscere gli stimoli è centrale discriminare la
figura dallo sfondo (vedi pag. 40 con immagini).
Nella percezione, sono centrali le COSTANZE PERCETTIVE = il
fatto che gli oggetti rimangiano percettivamente invariati
mantenendo la stessa grandezza, colore e forma anche quando cambiano le dimensioni
delle immagini proiettate sulla retina o cambia il tipo di luce che la retina riceve.

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L'organizzazione percettiva degli elementi in relazione al contesto nel quale lo stimolo
percepito (figura 2.6 pagina 42 del libro). Non sono solo le proprietà delle figure o del
contesto a richiamare un’interpretazione piuttosto che un'altra. Possono infatti agire le
caratteristiche dell'individuo o il suo stile cognitivo. Gli stili cognitivi si riferiscono alle
preferenze che ha una persona per un certo modo di elaborare l'informazione: chi ha uno
stile globale preferisce guardare la forma complessiva, chi ha uno stile analitico preferisce
fissarsi sui dettagli. L'analisi del contesto e una modalità che il sistema percettivo utilizza
per individuare dare significato gli elementi
Principi di organizzazione percettiva
a) Principio di vicinanza
Gli stimoli vicini tendono essere strutturati o raggruppati insieme punto
nella figura si evidenzia come a parità di condizioni, tendono a essere
vissuti come costituenti un unità percettiva elementi vicini piuttosto che
lontani.
b) Principio di somiglianza
In un insieme di elementi quelli che si somigliano tendono a essere
percepiti come un'unica figura e separati dagli altri che sono percepiti
come sfondo. Infatti, nella figura i quadratini grigi formano una croce.
c) Principio di buona continuazione
Si impone come unità percettiva quella il cui margine offre il minor
numero di cambiamenti o interruzioni. Nella figura possiamo notare come
i punti, quando connessi, risultano in una linea che curva gradualmente
formando un unità percettiva.

d) Principio di chiusura
La chiusura design la tendenza a completare una figura in modo che abbia
una forma complessiva coerente. Infatti, nella figura si all’impressione di
due triangoli: uno chiaro che si sovrappone uno con margini neri. Questo
effetto è dato dalla tendenza delle tre linee ad angolo a chiudersi in un
triangolo e dei settori semicircolari a completarsi in tre dischi che rende
necessario il formarsi del triangolo bianco, dietro al quale si possono
operare i completamenti.
e) Principio di contiguità o destino comune
la contiguità e la vicinanza nel tempio nello spazio; la contiguità è spesso
responsabile della percezione di una cosa che ne causa un'altra. Ne è un
esempio la percezione di movimento stroboscopico. Se viene illuminato un
punto A e successivamente un punto B l'osservatore ha la percezione di uno spostamento
da A a B del punto luminoso e non di due punti distinti.
f) Principio di regione comune o contrasto cromatico
gli stimoli presenti all’interno di un area comune tendono a essere considerati come
gruppo. Sulla base della somiglianza o vicinanza le stelle dovrebbero far parte di un
gruppo i cerchi di un altro tuttavia gli sfondi definiscono le regioni che creano tre gruppi
di oggetti.

2.2 Quando la percezione è top-down

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Nella vita reale, quando percepiamo un oggetto, è raramente necessario conoscerne tutti i
dettagli visivi; il più delle volte possiamo focalizzarci solo su alcuni dettagli, quelli utili al
nostro scopo. Es: Nel caso di un volto, potremmo voler raccogliere i dati necessari a capire
chi sia quella persona oppure voler focalizzarci sui dettagli della sua espressione per capire
il suo umore.
Il ruolo dei processi top down è rilevabile anche in caso di lettura di numeri e lettere. Quando
il materiale non è familiare prevalgono i processi dal basso verso l'alto; diversamente,
quando il materiale diviene più familiare possiamo usare la nostra conoscenza pregressa
riducendo le fissazioni la durata delle stesse. Tuttavia, questo può portare a una perdita
rilevante di informazioni e quindi ha delle notevoli distorsioni percettive.
Un esempio estremo del processo top down nella percezione è l’ASTRAZIONE =
conversione delle informazioni sensoriali acquisite tramite gli organi di senso in categorie
più ampie già immagazzinate in memoria. L'informazione schematizzato richiede meno
spazio ed è perciò più veloce da maneggiare. Un esempio di come la percezione di oggetti
reali sia suscettibile a essere schematizzata è dimostrato da un classico studio di
Carmichael, Hogan e Walter. gli autori presentarono visivamente un gruppo di persone degli
stimoli ambigui accompagnati da un etichetta che esplicitava il significato. Per lo stesso
stimolo ad alcuni partecipanti veniva assegnato un etichetta, mentre ad altri una diversa. lo
stimolo presentato in figura 2.7a (pagina 44) poteva essere associato a un’etichetta verbale
come tende di una finestra o rombo di un rettangolo. Alla richiesta di riprodurre ciò che
avevano visto, la riproduzione grafica di queste persone rispecchiava quanto avevano
creduto di percepire.

3. Lo sviluppo dell’attenzione e della percezione


Sia i processi di attenzione che quelli di percezione si sviluppano molto precocemente sin
dai primi mesi di vita.
1) Per quanto riguarda l'attenzione sostenuta, la capacità di mantenere l'attenzione su
una stessa attività riesce col tempo: i bambini di 2-3 anni trascorrono molto meno
tempo su un'attività rispetto a bambini più grandi.
2) per quanto riguarda l'attenzione selettiva, fino a 7 anni i bambini presentano
attenzione sia a stimoli rilevanti che irrilevanti, mentre i ragazzi di 13 anni sono in
grado di prestare selettivamente attenzione a certi stimoli ignorando al contempo altri
stimoli potenzialmente distraenti. Questo è in relazione con la capacità cognitiva di
sapere inibire alcune informazioni per favorire l'attivazione di altre. I bambini in età
scolare sono maggiormente in grado di mettere in pratica i processi inibitori rispetto
ai bambini più piccoli.
3) Per quanto riguarda la percezione, le ricerche hanno studiato l'abilità di discriminare
gli stimoli già dai primi mesi di vita. Tra i 2 e i 12 mesi il sistema visivo del neonato
matura rapidamente e il neonato è in grado di riconoscere anche molto precocemente
le figure purché abbiano una sufficiente quantità di contrasto chiaro scuro. Sin dalla
prima infanzia interagiscono processi percettivi di tipo bottom-up e quelli top-down.

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CAPITOLO 3: memoria
• Quali sono i diversi tipi di memoria e a cosa servono?
• Quali sono le principali strategie di memoria?
• Che cos'è la metamemoria?
• Come si sviluppano la memoria e le strategie di memoria?

1. Funzioni della memoria ed elaborazione iniziale dell’informazione


Definizione: “non è un polveroso magazzino” di fatti, ma un sistema attivo che ci permette
di codificare, elaborare, conservare e recuperare le informazioni. La memoria è composta
da una serie di sistemi interconnessi complessi, al punto che non abbiamo una memoria ma
tante memorie. Le principali funzioni della memoria sono tre:
1) CODIFICA: con l’input in ingresso il sistema si attiva per elaborare le informazioni
trasformandolo in un formato che potrà essere conservato in memoria e poi
riconosciuto.
2) IMMAGAZZINAMENTO: consiste nel mettere e mantenere in memoria l’input
codificato
3) RECUPERO: l'informazione viene ritrovata dall’archivio al fine di essere utilizzata.
Per comprendere come avvengono i processi di codifica, immagazzinamento e recupero
delle informazioni, sono necessari dei modelli di riferimento.
Un modello classico, che sancì la nascita del cognitivismo, è quello di ATKINSON e
SHIFFRIN → l'informazione proveniente dal mondo esterno viene gestita da tre sistemi di
memoria:
a) memoria sensoriale
b) memoria a breve termine
c) memoria a lungo termine
Ogni sistema è caratterizzato da una funzione specifica, una capacità e una durata. Il
modello specifica anche una serie di processi di controllo, come ad esempio l'uso di
strategie Implicate nell’elaborazione e nel passaggio da un sistema all'altro
dell'informazione.

a) memoria SENSORIALE
È una sorta di fotografia istantanea che trattiene le informazioni solo per il brevissimo
tempo necessario a eventualmente spostarle nel secondo sistema di memoria: MBT. le
informazioni vengono codificate nello stesso formato di presentazione e vengono trattenute
allo stato grezzo. Si ritiene che per ogni sistema sensoriale vi sia uno specifico deposito
sensoriale. Ad esempio:

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- le informazioni provenienti dal sistema visivo vengono immagazzinati nella memoria
iconica
- le informazioni provenienti dal sistema uditivo vengono immagazzinate nella
memoria ecoica.
la memoria iconica ed ecoica sono due parti della memoria sensoriale.

b) memoria A BREVE TERMINE (MBT)


Solo una piccola parte di ciò che vediamo o sentiamo resta nella nostra memoria arrivando
alla memoria a breve termine, che è il magazzino di memoria in cui un numero limitato di
informazioni rimane per una breve durata (circa 15-25 secondi). La memoria a breve termine
non è solo un archivio temporaneo ma anche un sistema che permette di attuare un primo
processo di controllo per elaborare le informazioni.
Questo è ben individuato con il concetto di MEMORIA DI LAVORO:
• permette di attuare una prima elaborazione delle informazioni contenute nella
memoria a breve termine. Ad esempio, ripetersi un numero di telefono per ricordarlo
(reiterazione)
• permette di aggiornare, inibire e alternare fra più compiti per poter meglio elaborare
le informazioni
• la ML è distinta in sottosistemi con funzioni specifiche:

1. il loop (ciclo)fonologico
Permette di elaborare e mantenere l'informazione linguistica. contiene due componenti:
- un magazzino fonologico, in grado di mantenere l'informazione acustica e verbale
per tempi brevissimi
- un meccanismo di ripetizione, deputato alla ripetizione sub vocalica.
tale meccanismo interviene per mantenere più a lungo l'informazione nel magazzino
fonologico e per ricodificare in codice fonologico parole scritte o figure. Ha un ruolo
importante nella lettura, nella comprensione del linguaggio, nell’acquisizione del lessico,
nell'apprendimento di una lingua straniera.

2. il taccuino visuo-spaziale o memoria di lavoro visuo-spaziale (MLVS)


Mantiene ed elabora temporaneamente stimoli con caratteristiche visuo spaziali, come
immagini di elementi semplici ma anche figure. La memoria di lavoro visuo-spaziale (MLVS)
ha un importante ruolo nell’apprendimento fonologico a lungo termine come lo sviluppo del
lessico nei bambini o la rapidità di acquisizione della lingua straniera negli adulti; il
linguaggio e le conoscenze semantiche sono conoscenze cristallizzate che si accumulano
lungo termine. Ha Un ruolo importante nella formazione di immagini mentali e nella
collocazione spaziale di elementi ed è quindi utile nella memorizzazione di immagini.

3. buffer episodico
Provvede all’immagazzinamento temporaneo di informazioni conservate in codice
multimodale come scene ed episodi. Il buffer finge da intermediario tra sottosistemi con
codici diversi e li combina in rappresentazioni unitarie.
4. esecutivo centrale

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È il sottosistema che coordina gli altri tre sottosistemi, integra le informazioni e seleziona
strategie volontarie e coscienti. L'esecutivo centrale e coordinato dal sistema attentivo
supervisore (SAS) che svolge un azione di controllo volontario coniugando le informazioni
provenienti dal mondo esterno con le intenzioni di un individuo. Per misurare la capacità
della memoria di lavoro si usano prove di SPAN che si riferiscono al numero di elementi
presentati che la persona riesce a ricordare nell'ordine esatto → più è lunga la serie di cifre
ricordate senza errori maggiore è la capacità di mantenere ed elaborare temporaneamente
informazioni verbali. Il modello di memoria di lavoro di Baddley permette di spiegare la
relazione tra ML e MLT e in particolare il passaggio delle informazioni da un sistema all'altro.
Maggiore è l’utilizzazione delle conoscenze già possedute connessa al materiale da
codificare, minore e il carico dei sistemi temporanei e questo permette di riuscire a gestire
e integrare meglio il materiale in ingresso. Questo è uno dei motivi per cui è importante nelle
prime fasi di apprendimento attivare le conoscenze precedenti sull'argomento per poter
meglio gestirle in fase di codifica e consentire la memorizzazione. La relazione tra ML e
MLT e stata confermata dagli studi sugli effetti di posizione seriale → in genere le persone
ricordano meglio le ultime parole di una lista di parole da loro letta, seguite da quelle iniziali,
mentre quelle centrali vanno più facilmente perse.

MODELLO DI BADDLEY

c) memoria A LUNGO TERMINE (ML) [paragrafo 2]


I sistemi temporanei sono una sorta di stazione di passaggio in cui l'informazione può essere
trasferita nella memoria a lungo termine. La memoria a lungo termine riguarda le
informazioni conservate per intervalli di tempo che variano da alcuni minuti a tutta la vita:
funge da meccanismo magazzino duraturo per la conoscenza. Possono essere distinti due
grandi categorie di memoria a lungo termine:
1) PROCEDURALE
È la memoria per le abilità e le abitudini cioè la conoscenza su come fare qualcosa senza
essere necessariamente consapevoli di dove e come abbiamo appreso tali conoscenze →
es. guidare la macchina.
2) DICHIARATIVA
È la memoria per le informazioni personali e fattuali. può essere suddivisa in:

14
A. memoria semantica
funziona come un dizionario mentale di conoscenze di base indipendente da riferimenti
spazio-temporali ed è il sistema attraverso cui noi immagazziniamo le nostre conoscenze
sul mondo. Sono contenuti nella memoria semantica conoscenze linguistiche, matematiche,
geometriche.
B. memoria episodica
è la memoria che permette di collocare le informazioni a livello spazio-temporale → fanno
parte di questo tipo di memoria i ricordi di dettagli temporali e spaziali di un certo evento →
es. come eravamo vestiti il primo giorno di scuola. una particolare forma di memoria
episodica e la memoria autobiografica che si riferisce a ricordi di eventi di vita personale.

Un’altra importante distinzione è fra:


- memoria retrospettiva = relativa al ricordo delle cose e di eventi del passato
- memoria prospettica = riguarda il ricordo dell’intenzione precedenti di compiere
azioni nel futuro. La memoria prospettica è una funzione preposta a definire degli
schemi di comportamento, a mantenerli a livello consapevole al fine di pianificare
correttamente e tradurli in azioni concrete al momento opportuno → es. Ricordarti di
compiere un certo comportamento quando si verifica un determinato evento: quando
torno a casa devo ricordarmi di scrivere al prof.

La memorizzazione a lungo termine Viene favorita da una codifica semantica basata sul
significato. Ad esempio, dopò aver sentito una frase la maggior parte di quello che riusciamo
a ricordare è il suo significato e non l'esatto espressione letterale.
Un'altra funzione importante della memoria è l’immagazzinamento.
Uno dei modi per migliorare la memorizzazione consiste nel lavorare sul significato del
materiale. Tanto più si attribuisce significato il materiale durante il processo di codifica,
migliore sarà la traccia mnestica, cioè la fissazione del ricordo del materiale.
Nonostante le informazioni siano state immagazzinate le persone possono avere delle
difficoltà a ritrovarlo in memoria. Questo riguarda un'altra funzione della memoria a lungo
termine e cioè quella di recupero.

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Ci sono vari fattori che aiutano a spiegare il fallimento del processo di recupero (fenomeno
del “ce l’ho sulla punta della lingua”). alcune situazioni possono accentuare questo
fallimento, come quando non si codifica inizialmente in modo significativo il materiale oppure
ci si basa sugli aspetti letterali di un testo piuttosto che sul suo significato. Anche gli aspetti
emotivi e motivazionali possono accentuare il mancato recupero → il recupero è più difficile
quando è diverso il contesto rispetto a quello della fase della codifica. il recupero è
maggiormente difficile se viene richiesta una prova di ricordo attivo (domande a risposta
aperta) rispetto a un compito di riconoscimento dove le informazioni presentate fungono da
suggerimenti per attivare le conoscenze. Anche il fenomeno dell'interferenza tra vecchie e
nuove informazioni può impedire il corretto recupero. La condizione di recupero può essere
favorita da:
• una codifica approfondita del materiale
• un buono stato emotivo
• una congruenza del contesto in fase di codifica e recupero
• fornire indizi per il recupero.
Tuttavia, accade spesso che alcune informazioni che erano contenute nella memoria siano
andate perse in maniera irreversibile cioè si verifica quello che viene chiamato oblio.

2. Strategie di memoria e metamemoria


La memoria non è un sistema statico ma modificabile e può essere migliorata attraverso
l’uso di strategie, cioè procedure finalizzate a elaborare il materiale in codifica e migliorare
il loro grado di recupero.
1) Reiterazione meccanica: consiste nel ripetere più volte, in modo meccanico, al
livello vocalico o sub-vocalico le informazioni da ricordare. È una strategia semplice
che può essere funzionale con un certo tipo di materiale è richiesta (es. ricordare una
lista di informazioni), ma non con altri materiali da memorizzare (es. ricordare una
certa formula chimica).
2) Ripetizione elaborata: consiste nel ripetere il materiale cercando di comprenderlo e
collegarlo alla informazioni possedute.
3) Organizzazione del materiale: questa strategia implica il raggruppamento o la
classificazione degli stimoli in sistemi significativi.
4) Associazione: consiste nel collegare le nuove informazioni da ricordare a
conoscenze pregresse.
5) Mediazione: riguarda la trasformazione di qualcosa di difficile da ricordare in
qualcosa di più facile attraverso l'individuazione di un terzo elemento (mediatore) che
favorisce l'associazione tra due elementi.
6) Creazione di storie: creare storie concatenando le parole da memorizzare.
7) Formazione di immagini mentali: rappresentazioni usate per facilitare la codifica di
informazioni sia visive che verbali. Pensando al significato di una parola possiamo
trasformarla in un immagine mentale e in questo modo la parola trasformata in un
immagine viene più facilmente ricordata punto le immagini aiutano a ricordare e
anche rappresentarsi elementi e concetti. Secondo PAIVIO, la memorizzazione di
materiale significativo può usufruire del codice verbale, del codice immaginativo o di
entrambi. si possono formare immagini mentali singole, interattive (più immagini di
oggetti messi in relazione tra loro) o bizzarre 9più immagini di oggetti messi in

16
relazione bizzarra tra loro). le immagini interattive sono le più efficaci e anche quelle
bizzarre possono avere un effetto positivo sul ricordo.
Infine, ci sono altre strategie che sono riferite al processo di studio, come l'uso di uno
schema, del riassunto, della memorizzazione intervallata, della pratica al recupero (capitolo
13).

LA METAMEMORIA
È la conoscenza e il controllo dei processi di memoria → Flavell e Wellman
Comprende:
a) conoscenze e abilità che riguardano ciò che il soggetto sa e crede
b) strategie che il soggetto usa
c) la motivazione che lo spinge
La teoria metacognitiva sostiene che se una persona ha una buona metamemoria, questa
sarà maggiormente in grado di analizzare la natura del problema, scegliere le strategie più
adatte in modo flessibile, spendere la necessaria quantità di risorse cognitive, disporli in
modo produttivo e mostrare una buona prestazione mnestica. La metamemoria costituisce
il punto di partenza della teoria metacognitiva perché questa nasce dallo studio delle
strategie di memoria.

3. Lo sviluppo dei sistemi di memoria, delle strategie di memoria e della metamemoria


La capacità di memoria di lavoro aumenta progressivamente dai 4- 5 anni fino a
raggiungere nell’adolescenza una capacità simile a quella dell'adulto.
Le abilità di memoria procedurale e dichiarativa si sviluppano in modo precoce, mentre la
memoria autobiografica ha un andamento diverso. È raro ricordare eventi della propria
infanzia prima dei 2 anni ed è più frequente riuscire a ricordare eventi verificatesi tra i 2 e i
5 anni. Dai 6 anni si assiste a un notevole miglioramento delle abilità di ricordare eventi
personali e non. tuttavia, le difficoltà a ricordare che riguardano tutte le età possono riflettere
un’inadeguata codifica avvenuta quando si era piccoli. La capacità della memoria
autobiografica aumenta dai due anni anche per la comparsa dell’uso del linguaggio e di
schemi concettuali. L'aumento della capacità di narrare spontaneamente porta a una
maggiore organizzazione dell’ordine temporale e causale delle esperienze.
l'integrazione tra memoria episodica e semantica e favorita dalla capacità di organizzare
fatti ed eventi della propria vita in script che consistono in rappresentazioni generali di una
tipica sequenza di eventi. Lo script è una modalità utile per i bambini dai due anni per
organizzare interpretare le loro esperienze e fare previsioni su ciò che possono aspettarsi
in occasioni simili. Lo sviluppo della memoria può essere attribuito a una serie di fattori, fra
cui:
• aumento delle capacità di base (come velocità di elaborazione)
• ampliamento delle conoscenze
• uso di strategie
• expertise. essere esperti in un determinato ambito migliora il ricordo delle
informazioni non solo conosciute ma anche nuove. Dal momento che i bambini più
grandi hanno più conoscenze sulla maggior parte degli argomenti, ne consegue che
più facilmente li elaborano e compiono uno sforzo inferiore per attivare le conoscenze
che possiedono e per codificare le informazioni in ingresso.

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Le strategie hanno un ruolo importante nello spiegare lo sviluppo cognitivo dei bambini e
offrono una spiegazione del fatto che progressivamente il ricordo intenzionale diventa
migliore del ricordo incidentale. Una delle prime strategie di memoria che si sviluppa e la
ripetizione che compare verso i 7 anni. In seguito verso i 9-10 anni si sviluppa l'utilizzo
dell'organizzazione. Più avanti si sviluppano strategie basate sull’elaborazione in cui gli
elementi da ricordare vengono elaborati in modo da assumere un significato e vengono
collegati ad altre conoscenze già in possesso. Se anche i bambini conoscono queste
strategie possono avere delle difficoltà a metterlo in pratica.
È possibile che il bambino conosca una certa strategia ma non si è in grado di usarla
spontaneamente perché richiede troppo sforzo. Questo viene denominato deficit di
produzione.
È possibile che se pure il bambino utilizza una strategia questo non sia soci a miglioramenti
significativi nelle prestazioni mnestiche. Questo fenomeno Viene chiamato deficit di uso e
riguarda l'incapacità a trarre beneficio da una strategia utilizzata.
La conoscenza e l'uso di strategie sono in relazione con le conoscenze che un bambino ha
della propria memoria e dei suoi processi cioè della metamemoria. Le ricerche hanno
evidenziato che già a 3-4 anni il bambino ha delle idee sulla propria memoria.
Un contenuto viene meglio memorizzato se:
• prima di presentarlo, si stimola chi apprende a riattivare le conosce possedute in
memoria su quel dato contenuto
• è presentato in modo “accattivante”
• è elaborato in modo profondo
• è elaborato sia con una modalità verbale che visuo-spaziale
Inoltre, è importante:
• supportare chi apprende nel conoscere i principali sistemi di memoria e le loro
funzioni.
• promuovere un atteggiamento metacognitivo verso la propria memoria e l’uso delle
strategie.
• far fare esperienza nell’uso flessibile delle strategie, a seconda delle caratteristiche
del soggetto che apprende, del materiale e del test di verifica su quel materiale

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CAPITOLO 4: pensiero
• Quali strutture sono alla base del pensiero? In che maniera il pensiero interagisce
con il linguaggio?
• Che cosa significa ragionare? Quali sono le principali forme di ragionamento? Come
si prendono le decisioni?
• Quali sono le caratteristiche del problem solving e come si può arrivare alla sua
soluzione?
• Come si sviluppa il pensiero?
Pensare ci aiuta a organizzare le informazioni in memoria in concetti e categorie, ci permette
di rappresentarli, di risolvere problemi per la buona riuscita nell’apprendimento in situazioni
problematiche della vita di ogni giorno.

1. Strutture del pensiero: immagini mentali e concetti


Il pensiero è dato da un insieme di processi che rendono disponibili nella nostra mente
informazioni su sui lavorare (gestite dalla ML) e permette di costruire rappresentazioni
mentali di un problema o di una situazione, o modello mentale.
Tali rappresentazioni possono assumere una forma proposizionale (parole e affermazioni)
o basarsi su immagini
1.1 Immagini mentali
Quando cerchiamo di ricordare qualcosa o quando vogliamo risolvere un problema, può
capitare che delle immagini ci saltino in mente o che noi stessi compiamo uno sforzo per
generarle. Tra le varie funzioni delle immagini mentali c'è anche quella di aiutare il pensiero,
per esempio a rappresentare una situazione, pianificare una serie di azioni, risolvere un
problema.
Le immagini mentali sono delle rappresentazioni mentali, che possono essere spontanee
o intenzionali, colorate, tridimensionali → questo permette di considerarle come oggetti.
Possono essere analogiche rispetto alle proprietà del mondo fisico (mantenere le dimensioni
dell’oggetto reale) Es. Quanti libri riuscireste a mettere nella vostra libreria?
Dato che le immagini mentali possono avere un ruolo centrale nel rappresentare la
situazione e il quesito ad affrontare, e importante precisare che si tratta di un'abilità soggetta
a notevoli differenze individuali: ci possono essere persone che sanno elaborare immagini
mentali molto vivide e altre che hanno scarse abilità immaginative. Per rilevare l'abilità
immaginativa di una persona si possono usare dei questionari come il Vividness of visual
imagery questionnaire (VVIQ) → in cui è richiesto di immaginare delle scene o situazioni
riportando su una scala da 1 a 5 quanto vividamente si riesce a immaginarle. Si usano anche
prove di visualizzazione e di immaginazione che richiedono di affrontare compiti effettivi. Le
abilità immaginative possono essere migliorate con specifici interventi finalizzati a
sviluppare abitudini, processi e strategie. Sono utilizzate per:
a) una maggiore e migliore memorizzazione delle informazioni
b) rappresentare una situazione, pianificare una serie di azioni, prendere una decisione
o risolvere un problema
1.2 Concetti
Il concetto è stato descritto in vari modi, ma principalmente con riferimento a un insieme di
caratteristiche che accomunano potenzialmente una serie di esemplari. Il concetto alla
funzione di unificare varie caratteristiche di singoli oggetti organizzando in memoria le
informazioni in modo economico. Generalmente quando un concetto raccoglie una serie di

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concetti più specifici, si parla di categoria. Concetti e categorie si formano per il processo
di categorizzazione che è quel processo di classificazione delle informazioni in categorie
dotate di significato. Per classificare si imparano delle regole o ci si avvale di inferenze che
possono essere di due tipi:
a) di tipo induttivo → quando si attivano informazioni del concetto che si attribuiscono
all’esemplare → es. ha il pelo e quattro zampe e quindi è un cane
b) di tipo deduttivo → quando un attributo di un esemplare viene generalizzato → es.
allattamento per identificare la categoria di mammifero; “branchie” per identificare il
concetto di “pesce”
L'insieme delle caratteristiche dei migliori esemplari del concetto è definito prototipo poiché
ha in sé un nucleo che comprende le caratteristiche essenziali per far parte di un concetto.
Es. Il prototipo di mammifero è il cane punto può accadere quindi che alcune caratteristiche
dei concetti restano comunque scarsamente definite e si dice che rimangono fuzzy.
• quindi i concetti sono un insieme di caratteristiche associate a uno specifico
oggetto/esemplare.
• aiutano a riconoscere un oggetto come esemplare di una categoria e attribuirvi le
proprietà tipiche

1.2 Pensiero e linguaggio


Un elemento essenziale dell'attività del pensiero è rappresentato dall’acquisizione ed all'uso
dei concetti. Tali concetti sono quasi sempre descritti da parole che non sono solo l'esito
finale e secondario del processo di concettualizzazione, ma sostengono il processo stesso
punto un celebre sostenitore dell'apporto del linguaggio per lo sviluppo del pensiero fu lo
psicologo russo Vygotskij → il linguaggio viene usato principalmente nell’interazione con
altre persone che possono facilitare l'apprendimento di concetti nuovi, ma anche favorire
operazioni più complesse dell'attività di pensiero. Il linguaggio interagisce con il pensiero
anche a livelli più elevati come quando un certo ragionamento una certa decisione vengono
facilitati dal pensiero ad alta voce o dalla stesura di note scritte.

2. Ragionamento
Le immagini mentali e i concetti sono modi con cui si esprime il pensiero e il loro uso
permette di comprendere altre forme di pensiero come il ragionamento e la risoluzione di
problemi. Una forma di pensiero e il ragionamento che si distingue in deduttivo e induttivo.
a) DEDUTTIVO
Il ragionamento deduttivo è quel processo in cui la conclusione è necessariamente vera,
qualora le premesse siano vere o viceversa. La tipologia principale di questo ragionamento
è il sillogismo che si basa su due premesse dalle quali si arriva a una conclusione; la verità
o la falsità di tale conclusione dipende da conoscenze già intrinsecamente presenti nelle
premesse. Per risolvere un sillogismo è possibile avvalersi di modelli mentali in cui si
elaborano delle rappresentazioni generali delle premesse per produrre una conclusione.
Secondo la teoria dei modelli mentali il ragionamento deduttivo si articola in quattro fasi:
1) comprensione delle premesse
2) integrazione delle premesse
3) estrazioni delle conclusioni
4) ricerca di contro esempi
Sono stati distinti vari tipi di sillogismo fra cui:
A. sillogismo categorico → composti da:

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- premessa maggiore → tutti i bovini sono animali
- premessa minore → alcuni bovini sono mucche
- conclusione → tutte le mucche sono animali.
È comune che le persone commettano errori in determinate circostanze → molto spesso
alcuni sillogismi vengono considerati validi perché la conclusione e in accordo con le
credenze comuni.
B. sillogismo lineare
esprime relazioni tra vari ordini. La conclusione può essere raggiunta collegando la prima e
la seconda premessa con il termine medio che ricorre in entrambe ad esempio: Anna è più
alta di Maria (premessa 1), Teresa è più bassa di Maria (premessa 2). La conclusione e che
Anna è più alta di Teresa → per trarre la conclusione è necessario comprendere la relazione
di altezza tra Anna e Teresa. La ricerca ha evidenziato che sono più semplici i sillogismi che
richiedono un unico ordinamento di termini perché c'è una maggiore corrispondenza tra
premesse e conclusione, sono più complessi sillogismi che prevedono due o più ordini
possibili. Spesso per risolvere i sillogismi lineari ci avvaliamo di immagini mentali.
C. sillogismo condizionale
c'è una premessa detta ipotetica con una forma denunciato condizionale “se p allora q” e
una premessa in cui c'è una affermazione che esprime la proposizione p o q in forma
affermativa o negativa. Questo sillogismo è rappresentato da un compito sperimentale, detto
compito di selezione, individuato da Wason che richiede di verificare la validità di un ipotesi
espressa dalla regola condizionale “se p allora q”. Si presentano i partecipanti
dell'esperimento quattro carte, ciascuna delle quali ha in una facciata una lettera e nell'altra
un numero. I soggetti si trovano di fronte a due carte con lettere e a due con cifre (E, K, 4,
7). A ciascun soggetto viene comunicata la seguente regola condizionale: “Se una carta a
una consonante su un lato, allora hai il numero pare sull'altro”. il compito del soggetto era
di verificare se l'affermazione condizionale fosse vera o falsa girando il numero di carte
necessarie per verificare la regola. In questo compito la risposta corretta è girare solo due
carte: E e 7. Infatti, se dietro alla carta E c'è un numero dispari la regola è falsa; se dietro la
carta 7 c'è una vocale, la regola è falsa; Qualunque carta abbiano vocale sul lato è un
numero dispari sull'altro viola la regola.
Nel ragionamento di tipo ipotetico deduttivo le persone cercano la validità delle regole con
delle conferme che fanno più fatica a pensare di non confermare la stessa con esempi
falsificanti.
Tuttavia, si è visto che la maggior parte delle persone dimostra di ragionare correttamente
se il compito viene presentato con riferimento a situazioni concrete familiari. Es. “Se una
persona beve birra deve avere più di 19 anni” [carte → birra, coca cola, 16, 22]. Quale carta
si gira se ogni cartoncino all'età della persona su un lato e che cosa beve nell'altro? La
maggior parte dei soggetti compie le scelte corrette e gira i cartoncini birra e 16. Incorriamo
frequentemente in errori perché tendiamo ad associare le premesse alla plausibilità delle
conclusioni e a confermare le ipotesi, più che non confermarle. Tuttavia, la pratica sembra
migliorare la prestazione.

b) INDUTTIVO
Il ragionamento induttivo è un'attività di pensiero in cui una regola viene inferita da una serie
di esempi specifici o osservazioni. La probabilità è alla base del ragionamento induttivo. È
noto che le persone non valutano in maniera corretta la probabilità degli eventi e dunque
compiono errori. Alla base di questi errori c'è l'uso delle euristiche cioè di scorciatoie di

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pensiero per raggiungere una soluzione. Tra le euristiche individuate ci sono le euristiche
della rappresentatività, della disponibilità e dell’ancoraggio-aggiustamento.
• Euristica della rappresentatività
si verifica quando si tende a dare maggior peso all’ipotesi che appare maggiormente
rappresentativa della sua categoria. Es. si ipotizza più probabile che esca alla roulette
“rosso, nero, rosso, rosso, nero” piuttosto che “rosso, rosso, rosso, rosso”. Tuttavia, le due
sequenze hanno la stessa probabilità.
• Euristica della disponibilità
porta a stimare la probabilità di un determinato evento sulla base della facilità con cui
vengono alla mente esempi di quell’evento. La maggiore disponibilità in memoria delle
informazioni fa sì che queste siano giudicate più frequenti. Es. “Nella lingua inglese ci sono
più parole che iniziano con la lettera R o che hanno la R come terza lettera?” → Siamo
portati a dire che esistono più parole che iniziano con quella lettera anche se in realtà non
è così.
• Euristica dell'ancoraggio-aggiustamento
il giudizio è influenzato dalle informazioni fornite inizialmente che tendono a essere
confermate anche successivamente rispetto a tutto ciò che le contraddice o le mette in
discussione. Es. se c'è una fonte autorevole che presenta lo studente in un certo modo, è
più facile confermare questo dato.
Le euristiche spesso vengono messe in atto per compiere scelte e decisioni nei vari ambiti,
quindi quando si traggono conclusioni in merito ad alcuni eventi siamo molto meno razionali
di quello che crediamo.

3. Il problem solving
Un problema sorge quando una creatura vivente ha un obiettivo, ma non sa come
conseguirlo. Quando uno non può muoversi da una data situazione alla situazione
desiderata semplicemente agendo deve fare ricorso al pensiero. Il problem solving a tre
componenti principali individuate da Cherubini:
a. Rilevazione del problema → in cui è necessario rendersi conto che una certa
situazione implica un problema. A volte capita di trovarsi di fronte a un problema e
non saperlo riconoscere. L'identificazione del problema è data da un confronto tra
l'ambiente attuale e i propri obiettivi.
b. Rappresentazione del problema → in cui è necessario definire e rappresentare il
problema in modo adeguato, anche basandosi sul recupero di conoscenze
precedenti
c. Ricerca della soluzione → in cui si controllano le ipotesi precedentemente formulate
e si pianificano i processi di soluzione. Una strategia basilare di soluzione implica
un'analisi, ossia la scomposizione del problema complesso in più parti, una sintesi,
in cui si ricompongono in modo utile i diversi elementi. È importante monitorare
l'attività in corso con verifiche frequenti per decidere se effettivamente ci si sta
avvicinando allobiettivo.se non viene raggiunto l'obiettivo c'è qualcosa di sbagliato
nella rappresentazione iniziale o nelle premesse generate dai controlli.
Per la risoluzione di problemi si possono utilizzare procedure semplificate:
• analisi mezzi-fini → identificare le differenze tra lo stato di cose attuali e l'obiettivo
desiderato; individuare le azioni in grado di ridurre la differenza.

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• generazione e verifica → generare una strategia, valutarne i risultati e se questi non
coincidono con l'obiettivo generale un'altra strategia
• ricerca per astrazione → rappresentare il problema con grafici, diagrammi o analogie
• ricerca in salita → selezionare lo stato successivo solo se si migliora la condizione
attuale.

Esistono due tipologie di problemi:


a) problemi ben strutturati, che per la loro soluzione richiedono una serie preordinata
di mosse
b) problemi poco strutturati che non si risolvono seguendo una serie di passaggi: il
punto di arrivo non è già dato, ma deve essere trovato o inventato (es. come
appendere una candela al muro con una scatola di fiammiferi). Per questi problemi è
necessario un pensiero produttivo o basato sull’insight. La difficoltà di soluzioni per
insight può essere causata dalla fissità funzionale = essere fissati sulla funzione
usuale di un oggetto che limita soluzioni alternative; inoltre altri ostacoli possono
essere di tipo culturale, emotivo e di apprendimento.
MODELLO DEL PROBLEM SOLVING MATEMATICO → LUCANGELI

4. Il pensiero creativo
L’insight presenta delle relazioni con una forma di pensiero definito creativo o divergente
caratterizzato dal fatto che viene prodotto qualcosa di originale e che ha un valore
riconosciuto. Il pensiero divergente è attivato nelle situazioni che permettono più vie d'uscita
o di sviluppo → diversamente, il pensiero convergente viene attivato nelle situazioni che
permettono un'unica risposta pertinente (come le categorizzazioni e il ragionamento
sillogistico).
Es. Domanda che stimola il pensiero divergente → in che modo potrebbero essere utilizzate
le bottiglie di plastica usate? Questa domanda permette di produrre risposte del tutto nuovi
punto i principali aspetti che contraddistinguono il pensiero divergente sono: fluidità,
flessibilità, originalità, elaborazione e valutazione.
Il pensiero divergente può essere sostenuto da alcuni stili cognitivi come l'essere
indipendente dal campo e dallo stile intuitivo e nonna sistematico.
Nell’insight c’è una registrazione attiva dell’informazione che ne permette la comprensione
e gli elementi vengono riorganizzati, ristrutturando le loro relazioni per arrivare a una
soluzione.

5. Lo sviluppo del pensiero


Il pensiero inteso come formazione di concetti e immagini mentali inizia a svilupparsi quando
il bambino è in grado di rappresentarsi mentalmente un oggetto, un evento, cioè con le

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prime forme di simbolizzazione e questo avviene a partire dai due anni anche se alla base
c'è l'esperienza senso motoria che inizia sin dalla nascita. Il pensiero inteso come
formazione di concetti (categorizzati) e immagini mentali inizia intorno ai 2 anni. Secondo il
modello proposto da Piaget gli schemi e modelli mentali acquisiscono piene caratteristiche
di astrazione e reversibilità a partire dagli 11 anni, età in cui si sviluppa appieno il pensiero
ipotetico deduttivo che permette di fare inferenze, compiere ragionamenti di tipo induttivo e
deduttivo formulando ipotesi e verificando possibilità per arrivare a una conclusione e alla
soluzione di problemi. L'abilità di ragionare e problem solving sono precoci e rilevabili già
dai primi anni di vita. La formazione di rappresentazioni semplificate degli eventi e delle
situazioni per affrontare un problema può comparire abbastanza precocemente ma sembra
evidenziarsi a partire dai 6-7 anni. A tale proposito, la teoria del fuzzy-trace propone che le
persone codifichino le esperienze su un continuum che va da tracce letterali (verbatim) a
tracce sfuocate (gist) che preservano il contenuto essenziale in assenza di tutti i precisi
dettagli. I bambini sembrano codificare e affrontare situazioni problematiche utilizzando
tracce verbatim fino ai 5-6 anni e successivamente verso i 6-7 anni sono più inclini a usare
traccia basate su concetti semplificati (gist).
I bambini prescolari hanno prestazioni migliori nelle domande verbatim rispetto alle
domande gist; i bambini di classe seconda della scuola primaria hanno prestazioni più
elevate per le domande gist, evidenziando la preferenza per modalità di soluzioni che
tengono conto dei concetti semplificati. Le prime forme di ragionamento si sviluppano nella
prima infanzia come conoscenza implicita. Via via esse diventano sempre più esplicite fino
ai 7-8 anni. La mia esperienza con compiti di ragionamento permette di diventare esperti
cioè più abili a ragionare, individuare la natura dei problemi, a definirlo in termini di principi
generali e a trovare una soluzione.
La formazione di rappresentazioni semplificate degli eventi e delle situazioni
(categorizzazioni) per affrontare un problema compare precocemente, ma sembra
evidenziarsi a partire dai 6 e 7 anni.
L’ampia esperienza con compiti di ragionamento permette di diventare esperti, cioè più abili
a ragionare e a trovare una soluzione.

Applicare
- Far sperimentare il problem-solving e le procedure di risoluzione di un problema in
vari ambiti
- Presentare e far sperimentare i diversi modi con cui si può arrivare a una soluzione
in modo sistematico o intuitivo
- Proporre esperienze di categorizzazione, costruzione di immagini mentali, di
ragionamento e di problem solving (con oggetti) già alla scuola dell’infanzia.

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CAPITOLO 5: “Intelligenza e differenze individuali nei processi cognitivi”
• Che cos'è l'intelligenza?
• Quali sono le principali teorie dell'intelligenza?
• Quali sono le principali differenze individuali nei profili intellettivi?
• Come si sviluppa l'intelligenza?
L'intelligenza rappresenta una funzione molto complessa che coinvolge una serie di aspetti
cognitivi di base e superiori.

1. Definire l’intelligenza
L'intelligenza è un ambito di studio complesso. Diventa difficile trovare una definizione
globalmente accettata di cosa si possa intendere per intelligenza, anche per la presenza di
numerose e differenti idee che fanno idealmente capo ad alcune posizioni teoriche
fondamentali che sono venute a sedimentarsi nel corso del XX secolo e tuttora animano il
dibattito scientifico. Tuttavia, è possibile identificare due accezioni fondamentali che
potremmo chiamare generali e differenziali.
a) L'intelligenza come accezione generale pone l'accento su ciò che è comune agli
esseri viventi. Il termine intelligenza deriva dal verbo latino intelligere che si riferisce
ha la capacità di comprendere la realtà, contrapposta alla disposizione a subirla oh
non riuscire a decifrarla.
b) L'intelligenza come accezione differenziale pone l'accento su ciò che differenza al
individui nella capacità di affrontare i compiti cognitivi. Ci si riferisce alla presenza in
certe persone di caratteristiche che sono assenti in altre. Le teorie dell'intelligenza
hanno l'ambizione di considerare le differenze tra individui che vanno oltre alle
specifiche funzioni come ricordare, pensare, per individuare differenze di carattere
generale, fra gli individui, all’interno di nuclei organizzati di abilità. Questa accezione
di intelligenza spiega perché siano stati introdotti i test di intelligenza = un insieme di
prove capaci di operare differenziazioni fra gli individui. Queste prove possono
includere aspetti sia verbali sia visuo spaziali che, a seconda della teoria di
riferimento possono fornire una misura unica (QI = quoziente di intelligenza) oppure
variegata (multipla) dell'intelligenza.
Alcuni la concepiscono come una quantità fissa di abilità, difficilmente modificabile e
migliorabile, quindi come un'entità; altri ritengono possa essere modificata in seguito a
opportune stimolazioni, che sia quindi incrementale. Non è unitaria, generale, statica,
innata.

2. Teorie e forme dell’intelligenza


Per orientarsi nel panorama di come viene considerata l’intelligenza è utile fare riferimento
alle varie teorie proposte che possono essere classificate in cinque classi:

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1) Teorie UNITARIE
Che cosa rende un bambino di 10 anni diverso da un bambino di 5? È per questo motivo
che molti testi di intelligenza utilizzano a item logici. Uno dei principali promotori di una teoria
unitaria dell’intelligenza è stato Spearman [1904] che dimostrò come un’ampia serie di
differenti variabili (punteggi a test intellettivi diversificati, valutazioni scolastiche, stime
dell’intelligenza) presentava un quadro comune che rimandava a un’abilità unitaria.
Le sue deduzioni si sono basate su dati statistici e
osservazioni fatte su numerosi individui che mostravano
come chi brillava in una prova generalmente brillava nelle
altre prove; questo valeva anche per chi manifestava
difficoltà. Questo risultato suggeriva la presenza di
un'abilità generale integrata da abilità di secondo ordine. La
dimensione generale, chiamata «fattore generale g»,
costituirebbe il quid essenziale dell’intelligenza, integrato
da abilità specifiche legate ai singoli compiti. Il «fattore
generale g» è stato definito e misurato in molti modi, e il
quoziente intellettivo globale ne è stato considerato una
buona stima.
Un esempio di test per la misura dell’intelligenza come abilità unitaria sono le «Matrici
progressive di Raven» in cui vengono presentate delle matrici contenenti delle figure e il
compito consiste nel completare la matrice selezionando quale delle figure alternative
potrebbe completarla correttamente.

2) Teorie GLOBALI-MATURATIVE
Tali teorie considerano l’intelligenza come un costrutto caratterizzato da un insieme di
funzioni generali che si sviluppano parallelamente con l’età. Secondo questo approccio
non è necessaria una presa di posizione teorica che cerchi di spiegare cosa effettivamente
sia l'intelligenza, ma vi è una generale ricerca di quei fattori che la rappresentano
maggiormente e che spiegano le differenze legate all'età durante lo sviluppo.
Le originali scale Binet-Simon [1904] e Wechsler (Wechsler Intelligence Scale) sono
ispirate da questo approccio. Sono scale composte da varie prove di difficoltà crescente e
di tipo diverso (sia verbale che visuo-spaziale), che nel loro insieme dovrebbero spiegare le
differenze in base all’età e al livello intellettivo.

3) Teorie MULTICOMPONENZIALI
Definite anche «multiple», si contrappongono alle teorie unitarie dell’intelligenza. Criticano
l’ipotesi che il fattore «g» (e il derivato QI globale) possa essere completamente
rappresentativo dell’intelligenza di una persona → esistono infatti persone con valori di QI
globale molto simili, ma caratterizzate da specificità nettamente più spiccate di altre. Si è
cercato quindi di costruire dei modelli dell’intelligenza in grado di tener conto di varie forme
dell'intelligenza separabili tra loro che dovrebbero rappresentare una panoramica della
composizione delle nostre abilità intellettive.
Alcuni dei maggiori autori dei modelli multicomponenziali dell’intelligenza sono:
a) Thurstone e Thurstone [1941]
b) Gardner [1983]
c) Sternberg e Spear-Swerling [1997].

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GARDNER [1983] ha individuato 8 forme di intelligenza, ognuna con le proprie
caratteristiche distintive:
1. intelligenza linguistica
riguarda la sensibilità al suono e ai significati delle parole → es. giornalisti, avvocati, poeti
2. intelligenza musicale
riguarda la sensibilità al suono e alla composizione musicale → es. direttori d’orchestra,
compositori
3. intelligenza logico-matematica
riguarda l'uso e le identificazione di relazioni astratte con un riferimento essenziale nella
conoscenza numerica → es. programmatori, scienziati, matematici
4. intelligenza spaziale
riguarda l'abilità di percepire l'informazione visiva o spaziale, di trasformarle modificarla e di
ricreare immagini visive anche senza la disponibilità dello stimolo fisico originale → es.
artisti, giocatori di scacchi
5. intelligenza corporeo-cinestetica
riguarda l'uso del corpo o di sue parti per risolvere problemi, manipolare oggetti esterni →
es. danzatori, coreografi, giocolieri, ginnasti
6. intelligenza intrapersonale
riguarda la capacità di analizzare interiormente e di operare distinzioni nei propri pensieri e
sentimenti → grandi scrittori dotati di introspezione e psicologi (Freud)
7. intelligenza interpersonale
riguarda la capacità di riconoscere e operare distinzioni relativamente a sentimenti, pensieri
e intenzioni altrui → es. abilità di interagire, a fini umanitari, con il interiorità altrui (Gandhi)

Un’altra teorizzazione di intelligenza multicomponenziale è stata proposta da STERNBERG,


che individua tre forme di intelligenza:
1. intelligenza «analitica» → capacità astratte, di ragionamento logico
2. intelligenza «pratica» → capacità di usare e applicare in contesti concreti quanto la
mente ha preso
3. intelligenza «creativa» → capacità di individuare strade nuove e soluzioni originali
Le teorie multiple però presentano dei problemi: le abilità descritte spesso non risultano né
indipendenti tra di loro né equidistanti e inoltre non sembrano avere la stessa importanza
nella vita di tutti i giorni o per il funzionamento adattivo della persona. Il superamento della
contrapposizione creatasi tra teorie unitarie e multiple e stata tentata attraverso la strada
costruita tramite le teorie gerarchiche.

4) Teorie GERARCHICHE
Tali teorie prevedono che un vasto insieme di abilità possa essere categorizzato in
specifiche distinte forme (come nelle teorie multicomponenziali dell’intelligenza), ma queste
abilità si pongono a differenti livelli gerarchici e nel loro insieme rimandano a un fattore più
centrale e importante, inteso, in un certo senso, come il fattore «g» degli unitaristi.
Ne è un esempio la teoria di CARROLL, secondo la quale c'è:
a) lo strato III più elevato (fattore g)
b) lo strato II con 9 abilità ampie
c) lo strato I con abilità ristrette.
Da questa teoria sono derivate varie formulazioni che vanno sotto il nome di teorie CHC
perché prendono spunto dalle iniziali dei cognomi dei tre autori (Cattell, Horn, Carroll).

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Le scale Wechsler sono riconducibili alle teorie dell’intelligenza:
1. globali e unitarie perché propongono un QI globale
2. multiple perché offrono misure anche su aspetti differenziati
3. gerarchiche perché questi aspetti possono essere organizzati gerarchicamente.

TEST WISC-IV → Si tratta del test psicologico più usato al mondo, può essere ricondotto
anche un approccio gerarchico all'intelligenza in quanto suppone che diversi subtest
afferiscono a quattro distinte ampie abilità, le quali a loro volta afferiscono a un'abilità più
generale (fattore g). Le quattro abilità sono di:
- comprensione verbale
- memoria di lavoro
- ragionamento percettivo
- velocità di elaborazione.
Il test WISC-IV si basa su un nuovo approccio alla valutazione cognitiva, il modello di
intelligenza (CHC) Theory of Cognitive Abilities, che prevede abilità ampie e abilità ristrette.
Si attua il passaggio dalla concezione dell'intelligenza come fattore generale g, alla sua
concettualizzazione come insieme di abilità molteplici, che modifica l'importanza attribuita
al Quoziente Intellettivo Totale, accresce il numero dei punteggi compositi da calcolare e ne
aumenta la specificità.
È abbandonata la distinzione tra scala verbale e di performance, si riduce l'importanza del
QIT e assumono maggiore rilevanza gli Indici di comprensione verbale (CV), ragionamento
visuo-percettivo (RP), memoria di lavoro (ML) e velocità di elaborazione (VE):
- dagli indici di comprensione verbale (CV) e ragionamento visuo-percettivo (RP) si
ricava l’Indice di Abilità Generale (IAG);
- dagli indici memoria di lavoro (ML) e velocità di elaborazione (VE) si ricava l’Indice
di Competenza Cognitiva (ICC).

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a) INDICE DI COMPRENSIONE VERBALE (ICV) → È una misura della formazione del
concetto verbale. Valuta l’abilità di ascoltare una domanda, attingere informazioni
dall’educazione ricevuta (formale e informale), ragionare, rispondere ed esprimere i
pensieri ad alta voce. Somiglianze, vocabolario e comprensione.
b) INDICE DI RAGIONAMENTO VISUOPERCETTIVO (IRP) Misura di ragionamento
non verbale e fluido, sostituisce l’Indice di Organizzazione Percettiva della WISC-III.
Valuta la capacità di esaminare un problema, sfruttare abilità visivo motorie e visuo-
spaziali, organizzare i pensieri, creare soluzioni e verificarle. È inoltre possibile,
attraverso questo indice, rilevare le preferenze per le informazioni visive, il sentirsi a
proprio agio nelle situazioni nuove e inaspettate, o la preferenza ad imparare
attraverso l’azione. Disegno con i cubi, concetti illustrati e ragionamento con le matrici
c) INDICE DI MEMORIA DI LAVORO (IML) Sostituisce l'indice di Libertà dalla
distraibilità della WISC-III. Valuta la capacità di memorizzare nuove informazioni,
immagazzinarle nella memoria a breve termine, di concentrarsi e di manipolare tali
informazioni per arrivare a dei risultati e per stimolare il ragionamento. Tale indice
risulta essere sensibile all’ansia. È collegato all’apprendimento, alla realizzazione e
alla capacità di automonitoraggio. Memoria di cifre e riordinamento lettere-numeri
d) INDICE DI VELOCITA’ DI ELABORAZIONE (IVE) Valuta l’abilità di focalizzare
l’attenzione, la rapidità di analisi, la capacità di discriminazione e la capacità di
ordinare sequenzialmente le informazioni visive. Richiede persistenza e capacità di
pianificazione, ma è sensibile alla motivazione, alla difficoltà di lavorare sotto la
pressione del tempo e anche alla coordinazione motoria. Cifrario e ricerca di simboli
e) INDICE DI ABILITA’ GENERALE (IAG) L’IAG raggruppa i subtest che si ritiene
forniscano una rappresentazione più pura dell’intelligenza cristallizzata ed elimina
quei subtest che misurano ML e VE, che talvolta risultano molto deficitari e
determinano una sottostima del QIT. L’IAG è stato proposto come alternativa al QIT
quando questo non è interpretabile (differenza tra indice più alto e più basso >1,5ds)
e quando la differenza tra CV e RP
f) INDICE DI COMPETENZA COGNITIVA (ICC) Si ritiene che rappresenti una serie di
funzioni il cui elemento comune è costituito dalla competenza con cui una persona
elabori determinati tipi di informazione cognitiva utilizzando la velocità visiva e il
controllo mentale. IML + IVE Nei DSA spesso punteggi più bassi rispetto ad IAG.

5) Teorie COGNITIVE

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Le teorie unitarie basate su operazioni del pensiero astratto furono messe in discussione
per il fatto che il pensiero si basa su abilità ancora più primitive. Tra le abilità di base che si
sono dimostrate essere in relazione a compiti di ragionamento e soluzione di problemi, c'è
la memoria di lavoro cioè la capacità di teneramente più elementi contemporaneamente e
di lavorare su di essi.
Es. La capacità di soluzione dei problemi può essere messa in relazione con la quantità di
elementi che una persona riesce a tenere presenti e a manipolare contemporaneamente.
Chi ha maggiore memoria di lavoro è maggiormente in grado di immagazzinare subrisultati
e principi di soluzione; in questo modo di fronte a un ragionamento complesso, può operare
una scomposizione e procedere per passi.
Tra le abilità di base c’è la memoria di lavoro che sembra rendere ragione di molte
operazioni cruciali dell’intelligenza
• la velocità di elaborazione può dipendere da quanto efficientemente si riesce a
mantenere in memoria la regola richiesta per il confronto e gli elementi da confrontare
• l’adeguatezza delle funzioni esecutive è in relazione con l’efficienza della memoria di
lavoro
• la capacità di soluzione di problemi è in relazione alla quantità di elementi che una
persona può elaborare contemporaneamente

2.6 Modello a cono delle quattro componenti dell’intelligenza basata sul controllo
della memoria di lavoro
Il modello a cono tiene conto della multicomponenzialità dell'intelligenza includendo le
strutture intellettive di base organizzati in modo gerarchico e anche aspetti non cognitivi
(esperienza, aspetti motivazionali-culturali ed emotivi-metacognitivi).
Il modello ha una forma conica ed evidenzia che le abilità intellettive alla base del cono
sono:
- strettamente legate alla specificità del materiale su cui operano (come aspetti verbali,
visivi, spaziali)
- meno condizionate dalla capacità di controllo della memoria di lavoro
Questo modo di funzionare dell’intelligenza è integrato da tre tipi di fattori esterni alle
strutture intellettive di base:
1. esperienza → Agisce maggiormente negli strati inferiori dove le abilità sono
specifiche e direttamente influenzate dal tipo di contenuto su cui la mente deve
operare.
2. fattori motivazionali-culturali → sembrano agire a più livelli sulle operazioni
intellettive, suscitando interesse, propensione ad applicarsi, scelte di campo. Su di
essa sembrano agire fattori culturali che orientano le motivazioni intellettive e le
decisioni sugli aspetti da valorizzare
3. fattori emotivi-metacognitivi → rappresentano il modo in cui una persona
percepisce e conosce la propria mente; questi fattori incidono soprattutto sui processi
altamente controllati.

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3.Il quoziente intellettivo
I test di intelligenza permettono di ottenere un punteggio specifico che in seguito a una serie
di calcoli viene trasformato in un punteggio (chiamato punteggio standard) che per le sue
caratteristiche permette di confrontare gruppi e identificare i profili differenti di individui. Il
punteggio ottenuto a un test permette di identificare il quoziente intellettivo. In origine il
quoziente intellettivo permetteva di calcolare se un bambino fosse in grado di svolgere dei
compiti corrispondenti alla sua età cronologica oppure avesse competenze pari a quelle di
bambini di età superiore o inferiore; il concetto chiave era quello di età mentale. Questo è
stato il criterio individuato da BINET e SIMON per differenziare bambini più o meno
intelligenti e inserirli in classi di bambini della loro stessa età oppure di età inferiore. I due
autori avevano proposto una serie di situazioni esame che permettevano di identificare
quanto l'età cronologica coincidesse con l'età mentale o quanto si discostasse. Il calcolo del
quoziente intellettivo si badava sul rapporto età mentale/età cronologica x 100. l'intelligenza
di un bambino X veniva definita in termini di età mentale e cioè dell'età in cui normalmente
un bambino sa compiere le operazioni intellettive svolte da X. Questa modalità di calcolo
del QI è stata completamente superata e oggi l'eccezione di consente intellettivo è quella di
punteggio di deviazione = in cui non si fa riferimento ad altre età ma alla fascia spesso del
bambino, in termini di quanto si distanzia dal valore medio del quoziente intellettivo. La
distribuzione dei punteggi del quoziente intellettivo può essere raggruppata all’interno di una
curva con una classica distribuzione a campana che ha un punteggio medio di 100 e un
indice di deviazione utilizzato di 1. Il QI che deriva dalla somministrazione di un test di
intelligenza permette di identificare le differenze tra le persone, vale a dire le persone che
si collocano nella parte centrale della curva o quelle nella parte estrema (rispettivamente
ritardo mentale o plusdotati.
4. Differenze individuali nei profili di intelligenza
Curva a Campana con rappresentazione dei punteggi del QI (media = 100, deviazione
standard = 15) e individuazione di gruppi con profili intellettivi differenti (da confermare però
con altri indici clinici che confermino l’appartenenza ai gruppi.

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La distribuzione a campana dei
punteggi del quoziente intellettivo
evidenza che la maggior parte della
popolazione, quasi il 70%, ha un
quoziente intellettivo compreso fra
85 e 115 che rappresenta la fascia
della cosiddetta normalità.
I casi di bambini con disturbi specifici
dell'apprendimento rientrano
anch'essi nella parte centrale o superiore della curva in quanto presentano una discrepanza
tra livello intellettivo (buono) e livello di apprendimento di alcune aree, come la lettura o il
calcolo (scarse). quindi queste persone hanno la caratteristica di avere nel complesso un
QI nella norma e si caratterizzano per difficoltà specifiche di alcune funzioni le quali possono
essere anche evidenziate da alcuni subtest di intelligenza che sono particolarmente coinvolti
nell'apprendimento. Possono risultare punteggi bassi nei subtest che riguardano la memoria
di lavoro e la velocità di elaborazione, ma punteggi nella norma o anche superiori nelle prove
che implicano il ragionamento.
I casi di persone con un funzionamento intellettivo limite (FIL) o Borderline hanno un QI
compreso tra 70-85 ma sono oggi ulteriormente caratterizzati per l'assenza di punti di forza
nell’intelligenza e nell’apprendimento e per una serie di altre debolezze. Benché la fascia
interessata rappresenti più del 13% della popolazione sono pochi quelli che ricevono la
diagnosi di FIL.
Solo il 2% della popolazione ha un QI inferiore a 70 e quindi potrebbe ricevere una diagnosi
di disabilità intellettiva (ritardo mentale); anche in questo caso però la diagnosi viene data
solo se compaiono anche altri elementi e questo spiega perché l'incidenza stimata del
ritardo mentale sia attorno all’1%.
La curva a campana è simmetrica e più del 13% della popolazione ha punteggi di QI tra 115
a 130, evidenziando un profilo intellettivo vivace e circa il 2% ha un quoziente intellettivo
superiore a 130 rappresentando la categoria dei plusdotati.
La curva a campana sembrerebbe offrire un quadro preciso di come gli esseri umani si
distribuiscono per abilità intellettiva. Questo consente una serie di deduzioni come il fatto
che il numero degli individui che hanno un'intelligenza superiore a un certo valore dalla
media è esattamente uguale a quello degli individui che l'anno di un identico valore sotto la
media.
Le persone che si collocano gli estremi della curva, cioè con disabilità intellettiva da un lato
e plusdotati dall'altro, presentano profili interpretabili all’interno non solo del quoziente
intellettivo globale e delle teorie unitarie, ma anche con riferimento ai punteggi diversificati
e alle teorie multicomponenziali o gerarchiche. L'analisi dei profili di queste tipologie di
persone appare centrale per comprendere cosa sia l'intelligenza → sono casi prototipici
dell'assenza o della massima espressione dell'intelligenza.

4.1 Disabilità intellettiva


Una persona con disabilità intellettiva presenta una debolezza generalizzata che riguarda
molti aspetti del funzionamento intellettivo, cioè presenta difficoltà in tutti o quasi tutti gli
aspetti intellettivi esaminati. Le varie componenti dell'intelligenza non sono del tutto
indipendenti e alcune componenti sono compromesse più di altre. La debolezza di un

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individuo con disabilità intellettiva sembra comparabile ha l'intelligenza di un bambino di età
molto inferiore alla sua età anagrafica.

4.2 Forme eccezionali di intelligenza


Un equivoco che si può creare è quello di confondere genio e superdotato e di porsi quesiti
che facciano riferimento alle teorie dell'intelligenza. Il genio è una persona particolarmente
dotata per una forma particolare di intelligenza? In questo caso daremmo ragione a una
teoria multipla dell'intelligenza; oppure il genio è una persona eccezionale che è superiore
agli altri in tutte o quasi tutte le forme più alte di funzionamento della mente? In questo
secondo caso daremo ragione a una teoria unitaria dell’intelligenza.
Mentre la superdotazione intellettiva può essere ricondotta semplicemente alla
prestazione in compiti intellettivi, la genialità e prodotta da una combinazione non solo di
capacità intellettive notevoli, ma anche di specifiche funzioni e abilità molto elevate e
particolari caratteristiche di personalità. Nel genio sono presenti 5 fattori fondamentali:
1) caratteristiche cognitive generali particolari
2) specifiche abilità in particolari forme intellettive
3) creatività
4) caratteristiche di personalità centrate sul conseguimento di certe competenze e
prodotti
5) contesto culturale favorevole.
Bisogna distinguere tra:
a) talentosi = persone con forme altamente specifiche di intelligenza
b) creativi = persone che riescono a trovare soluzioni e forme di espressione valide
originali a cui nessun altro aveva pensato
c) geni = persone riconosciute per i loro prodotti, apprezzati in un certo contesto storico
e sociale e che sembrano essere risultato della combinazione di fattori eterogenei
d) dotati o superdotati = persone che ottengono prestazioni molto elevate nella quasi
totalità dei compiti intellettivo importanti, compresi compiti cognitivi nuovi e di diversa
natura
e) superesperti = persone altamente esperte in singole attività.

5. Aspetti evolutivi dell’intelligenza e il ruolo dell'esperienza


L'intelligenza intesa come aspetto globale o come insieme di sottocomponenti incrementa
con l'età in progressione graduale. In età adulta alcune abilità di intelligenza vengono
mantenute come quelle che si consolidino perché frutto dell’esperienza e di aspetti culturali
rappresentanti della componente cristallizzata dell'intelligenza (Gc), mentre altre abilità
come le prove che si basano sulla velocità di elaborazione e la memoria di lavoro o la
gestione e rotazioni di stimoli visuo spaziali sono più suscettibili al declino. Si apre quindi la
questione di quanto l'intelligenza possa essere migliorata per l'effetto di interventi. La
risposta potrebbe sembrare negativa visto che è condivisa l'idea che l'intelligenza sia stabile
ed ereditabile con stime fino al 70%. Infatti, è stato dimostrato che gemelli monozigoti sono
molto simili in intelligenza anche se sono separati precocemente. Inoltre, le prestazioni a un
test di intelligenza proposto molto precocemente, quando il peso dell’istruzione scolastica
ricevuta era ancora ridotto, era in grado di predire il successo scolastico e lavorativo a
distanza di anni. Tuttavia, i bambini e i ragazzi sono inseriti all'interno di un contesto culturale
e familiare che influisce nel suo sviluppo intellettivo, soprattutto se è carente: si pensi ai casi
di forte deprivazione nei primi anni di vita OA bambini che vivono in contesti culturali poco

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stimolanti. Le agenzie educative come la scuola, con stimolazioni specifiche, possono
contribuire a incrementare l'intelligenza contrastando gli effetti negativi della scarsa
stimolazione familiare o culturale o incentivando lo sviluppo di un bambino che si trova in un
contesto culturale stimolante. In un contesto educativo come quello scolastico è importante
tener conto delle effettive abilità dell'individuo ma anche delle sue abilità potenziali. Questo
concetto espresso con zona di sviluppo prossimale è alla base di un approccio secondo cui
lo sviluppo delle funzioni cognitive superiori come l'intelligenza è il risultato dell’interazione
dell'individuo e degli strumenti fornitigli dall’ambiente. Es. Due individui con pari quoziente
intellettivo non sono intellettualmente uguali se presentano differenti capacità di valersi
dell’esperienza. Un contesto culturale stimolante e un contesto educativo attento a queste
esigenze può contribuire a modificare il decorso dell’intelligenza ma soprattutto il suo uso
effettivo.

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CAPITOLO 6: “La metacognizione”
• Cos’è la metacognizione?
• Cosa si intende per monitoraggio metacognitivo? Come si può promuoverlo?
• Quali sono le caratteristiche delle teorie entitaria o incrementale?
• In cosa consistono gli stili attributivi? Come si sviluppano? Che effetti producono?
Le riflessioni su come funziona la mente e soprattutto su come funziona la mia mente sono
manifestazioni della metacognizione, un costrutto che si riferisce alla riflessione e al
controllo sui processi cognitivi.

1. Conoscere il funzionamento della propria mente


La conoscenza metacognitiva è l'insieme di idee sviluppate da ciascun individuo sul
funzionamento della mente in generale e in particolare sulla propria. Può includere
- autovalutazioni
- strategie
- nozioni
- credenze
- pensieri
- percezioni.
Ci si può inoltre auto valutare come più o meno capaci e di conseguenza nutrire aspettative
di successo o il timore di non farcela. Nell'insieme di questi processi risultano importanti le
previsioni e le stime espresse prima, durante e dopo il compito:
1) stime di successo
2) stime di conoscenza
3) stime di sapere.

STIME METACOGNITIVE
a) Rappresentano dei metagiudizi sulle nostre conoscenze → quando gli studenti
devono rispondere alle domande a crocette vi sono due contrapposte modalità che
portano alcuni a rispondere solo in caso di certezza, altri a produrre comunque una
qualche risposta. Questo aspetto motivazionale può favorire quelli in cui la
percentuale di indovinare le risposte e alta, sfavorendo persone più caute. L'effetto
si massimizza nei test a tempo quando la cautela porta a riflettere o nei test in cui la
risposta sbagliata non viene penalizzata. Una strategia utile potrebbe essere quella
di chiedere le ragioni delle risposte date anziché solo di fare una Crocetta sulle
singole opzioni.
b) spesso sovra-stimiamo le nostre prestazioni, una tendenza che si riduce con
l’esperienza → Non siamo tutti abili nello stimare e spesso sovrastimiamo le nostre
prestazioni. Tale tendenza alla sovrastima si riduce con l'esperienza che porta a fare
stime più accurate in successive richieste. Ne consegue che per compiti nuovi o la
cui difficoltà non è ben compresa si tende a stimare in modo errato la propria
prestazione → il che può avere delle ricadute anche sul piano motivazionale.
Familiarizzare con il compito, avere esperienze con tipologie di materiali simili a quelli
da apprendere, sperimentare diverse strategie risulta utile per favorire corrette
autovalutazioni.
c) l’esperienza è un fattore importante nell’influenzare le stime metacognitive → un
importante fattore che può influenzare le stime metacognitive e la consapevolezza di
avere affrontato diversi compiti di simile natura e verificato che tipicamente una certa

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strategia funziona. Anche il confronto con gli altri, esperienze fallimentari o istruzione
diretta possono incidere.
d) incide sulla qualità delle stime anche la familiarità: più un compito ci è familiare più
riusciamo a stimare accuratamente di farcela ad affrontarlo.
Nonostante tutti gli sforzi per favorire l'accuratezza nelle stime metacognitive, possono
sussistere degli errori sistematici. Fra i più frequenti vi sono le euristiche della disponibilità
e della rappresentatività. Es. si può stimare più difficile memorizzare un termine in lingua
straniera, anziché in italiano, anche quando questo non è vero: magiare ci si trova davanti
a termine in inglese con un etimo simile alla lingua italiana e un termine in italiano
particolarmente complesso. Tali scorciatoie di giudizio possono influenzare le previsioni,
sovra o sottostimandole.

2. Monitorare il funzionamento della propria mente


Con monitoraggio o controllo metacognitivo s’intende l’insieme dei processi auto-regolativi
adottati per verificare la corretta applicazione e l’efficacia di una attività o strategia,
eventualmente decidendo un cambiamento del proprio agire per la risoluzione del compito.
Il monitoraggio include una riflessione metacognitiva associata a un determinato processo
di controllo.
Processi di controllo → le capacità di valutare la qualità e la correttezza del compito che si
sta eseguendo in modo continuo, anche per decidere se cambiare strategia o sostenere i
propri sforzi.
Brown (1978) individua 4 processi:
1) Predizione del livello di prestazione, stima della difficoltà, anticipazione del risultato
2) Pianificazione, organizzare tutte le azioni che conducono all’obiettivo da raggiungere
3) Monitoraggio, controllare l’attività cognitiva nel corso del suo svolgimento, “on-line”
4) Valutazione dell’uso di una strategia nella globalità, non fase per fase
La soluzione di un problema richiede di rappresentarsi il compito, predire la propria
prestazione, pianificare l'attività cognitiva, rendersi consapevoli dell’efficacia delle azioni
programmate, adattare le strategie e gli obiettivi. Saper predire la propria prestazione e
capire quali strategie sono efficaci, saperle applicare, valutarne l’effettiva utilità e la corretta
utilizzazione sono fra le principali e cruciali abilità richieste. Conta anche avere chiaro lo
scopo e il tipo di prova da affrontare.

MODELLO DI BORKOWSKI E MUTHUKRISHNA [1992]


Il confronto con i compiti stimola la
selezione e l’adozione di una o più
strategie, la cui applicazione genera un
risultato più o meno positivo. La
valutazione favorisce percezioni,
motivazioni e rappresentazioni, che
portano ad affrontare (o evitare) compiti
della stessa natura in situazioni future.

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3. Teorie implicite: posso migliorare o sono fatto così?
a) TEORIA ENTITARIA
Non sono portato per questa cosa, questa
materia non la capirò mai → frasi di questo tipo
sono espressioni che denotano una teoria
metacognitiva statica o entitaria delle abilità,
Come competenze che o si posseggono o non si
hanno. Questa convinzione entità Ria è comoda
perché consente di giustificare eventuali difficoltà
o in successi ed eventualmente di non investire in
ambiti in cui si pensa di non poter riuscire. Questa
convinzione ha tuttavia una serie di risvolti
decisamente poco funzionali all'apprendimento sul piano emotivo e motivazionale. Infatti,
può favorire l'ansia da prestazione o ingenerare la tendenza a scegliere compiti facili.
L’intelligenza è intesa come un’entità intrinseca, concreta e immutabile.

b) TEORIA INCREMENTALE
Si contrappone alla teoria entitaria →
la teoria incrementale porta a
credere che le abilità siano in
crescita, che l'esercizio,
l'esperienza, l'applicazione
comportino o possano determinare
un miglioramento delle proprie
conoscenze e competenze. Tale
credenza porta a valutare come
particolarmente cruciale e
fondamentale l'impegno,
preferibilmente strategico in modo che le abilità vengono messe a frutto e sviluppate. Tale
teoria si accompagna a vissuti emotivi piacevoli e di sfida. L’insuccesso non scalfisce la
visione di sé, perché si traduce in un rimando alle proprie incapacità. A essere sbagliata non
è la propria persona ma eventualmente le modalità attraverso cui il compito è stato
affrontato. L’intelligenza è intesa come una qualità dinamica che può essere sviluppata.
La teoria incrementale favorisce una positiva rappresentazione di sé come persona che
apprende, migliora, può farcela e sostiene un approccio motivato al compito. A determinare
la teoria e mantenerla e l'ambiente attraverso i feedback e gli obiettivi che trasmette:
- Sei il solito distratto → favorisce teoria entitaria
- Ti sei distratto. Come potresti fare per stare più attento? → favorisce teoria
incrementale.
Le convinzioni o teorie entità entitarie e incrementali sono in relazione con gli obiettivi alla
dimostrazione o alla padronanza. Questi obiettivi si riferiscono non tanto a cosa si vuole,
quanto alla riflessione metacognitiva sul perché lo si vuole punto essi valgono per chi
apprende ma anche perché favorisce l'apprendimento. C'è chi è mosso principalmente dal
dimostrarsi bravo, cioè da obiettivi di dimostrazione e c'è chi invece vuole soprattutto

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imparare, insegnare, conoscere, cioè a obiettivi di padronanza del compito. A questi può
aggiungere un terzo obiettivo con caratteristiche apparentemente intermedie ma in realtà
funzionali a un obiettivo di padronanza: ottenere risultati come feedback della
appropriatezza del proprio lavoro, non per dimostrare o per ottenere giudizi positivi degli
altri. la tabella riporta una sintesi delle caratteristiche dei tre diversi tipi di obiettivo
distinguendo anche le situazioni di avvicinamento (affrontare il compito) da quelle di
allontanamento (evitarlo).
Si dividono in:
a) obiettivi di padronanza
b) obiettivi di dimostrazione
c) obiettivi di risultato

4. Stili attributivi: perché è successo questo?


Di fronte a un risultato positivo o negativo viene naturale chiedersene le ragioni. Nel fare
questa riflessione metacognitiva si attinge a una serie di pensieri fra cui “è sempre così?”
“succede solo a me?” → si fanno valutazioni di stabilità, costanza, specificità che portano a
individuare le ragioni interne o esterne a sé, più o meno controllabili e stabili. Nel tempo tali
riflessioni diventano abitudini cognitive confluendo in uno stile attributivo ovvero nella
tendenza ad applicare lo stesso modello in una pluralità di situazioni. Si possono individuare
diversi stili interpretativi del proprio successo e dell'insuccesso che hanno importanti effetti
sulla vita emotiva e sulle capacità di rimotivarsi dopo l’insuccesso piuttosto che desistere.
L’insuccesso è fonte di demotivazione, che può essere attenuata o eliminata con la sua
attribuzione al mancato o inadeguato impegno. In tal caso l’insuccesso può addirittura
rimotivare portando a voler riparare la situazione nella consapevolezza di esserne capaci.
A questo stile attributivo si associa infatti spesso una teoria incrementale delle proprie
abilità. Risulta quindi particolarmente efficace promuovere uno stile attributivo che consenta
di vivere positivamente anche le situazioni di insuccesso ed eventualmente ridimensionare
la tendenza a percepirsi incapaci. Le ragioni che vengono individuate possono essere
interne o esterne, più o meno controllabili e stabili.

La TEORIA ATTRIBUTIVA
Il processo attributivo consiste nel considerare un risultato proprio o altrui e, sulla base di
informazioni possedute, esperienze passate, altri fattori individuali e motivazionali, attribuire

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quel risultato a una o più cause, ad esempio all’impegno, all’abilità personale, alla facilità
del compito.
Comprende elementi cognitivi ed emotivo-motivazionali, quindi le attribuzioni possono
essere considerate come le reazioni cognitive individuali al successo o al fallimento.

Modello di Weiner
(1985): le
attribuzioni
possono essere
distinte in base a
tre dimensioni:
locus of control,
stabilità e
controllabilità.
Incrociando tali
dimensioni
possono ottenersi otto possibili attribuzioni.

Nel tempo tali


riflessioni diventano
uno «stile» stabile in
più situazioni.
Gli stili hanno
importanti effetti
sulla vita emotiva e
sulla capacità di
rimotivarsi o
desistere dopo un
insuccesso.
Si possono
identificare diversi
stili autoattributivi
del proprio successo e dell’insuccesso:
• «impegno»
• «impotente»
• «negatore»
• «pedina»

5. Lo sviluppo della metacognizione


Stimare le proprie conoscenze abilità, soppesare diverse alternative strategiche, monitorare
il proprio funzionamento cognitivo sono processi che a livello elementare possono essere
svolti anche dai bambini piccoli, ma implicano alte capacità di pensiero che si formano nel
tempo.

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Il gioco simbolico si riferisce al far finta di e presuppone la permanenza dell'oggetto, ovvero
la consapevolezza che cose, situazioni, persone esistono indipendentemente dalla nostra
possibilità di coglierle con i sensi → sono rappresentate e quindi possono essere pensate.
Le abilità di gioco simbolico vengono acquisite nel secondo anno di vita e si affinano nel
tempo.
Il pensiero narrativo si riferisce alla capacità di costruire e comprendere delle storie e di
utilizzare nessi causali e collegamenti temporali e spaziali per la rappresentazione della
realtà e quindi sostiene la capacità precoce di memoria autobiografica.
Il pensiero narrativo facilita anche la rappresentazione della realtà interiore e quindi degli
aspetti emotivi, degli atteggiamenti nel loro esplicarsi e trasformarsi. Più esso è sviluppato
e include la rappresentazione di sé, più riusciamo a conoscerci e capirci. È la narrazione
che può unire ciò che è spezzato e dare il senso di continuità. Ad esempio, dopo un
insuccesso nel riuscire a memorizzare un paragrafo, è possibile raccontare e raccontarci
cosa abbiamo fatto, che modalità abbiamo scelto, come è andata e le conseguenze che
l’approccio adottato ha prodotto.
Normalmente il pensiero narrativo si sviluppa a partire dai 3 anni con l'emergere della
capacità di cogliere i nessi causali o almeno la sequenza temporale fra due eventi di cui
l'uno determina l'altro. Successivamente verso i 5-6 anni viene a costruirsi la capacità di
generare da sé le proprie storie, che è l'abilità necessaria per poi raccontarsi come funziona
la propria mente. Negli anni successivi la capacità di raccontarsi si affina includendo le
astrazioni metacognitive: penso a ciò a cui sto pensando. Il pensiero narrativo può essere
promosso dall'adulto raccontando episodi reali o verosimili che includono delle riflessioni sul
proprio funzionamento mentale o su piani d'azione: “Quando ero anch’io alla scuola
superiore mi è successo che...mi sentivo...probabilmente perché…”. Naturalmente con il
tempo si possono omettere parti e stimolare gli studenti a produrre le loro interpretazioni.
La teoria della mente consiste nella capacità di porsi dal punto di vista dell'altro → una
tipica situazione che viene proposta ai bambini piccoli è la seguente: sono presenti in una
stessa stanza due bambole che chiameremo A e B. Sopra il tavolo c'è un gioco → A esce
dalla stanza, nel frattempo, B sposta l'oggetto e lo colloca dentro a un cassetto. Segue la
domanda: “Quando A rientrerà dove penserà che si trovi il gioco?”. I bambini che hanno
sviluppato la teoria della mente diranno sopra il tavolo: non può sapere che è stato spostato.
Prima però dell'età critica, circa quattro anni e mezzo, i bambini diranno nel cassetto.
La capacità di rappresentarsi che cosa ha in mente un'altra persona favorisce i processi
metacognitivi.
Si chiama teoria della mente in quanto consente di prevedere e comprendere gli stati mentali
dell'altro, attraverso la rappresentazione di pensieri, credenze, desideri ed emozioni.
Pertanto, a costruire precursori e consentire lo sviluppo della metacognizione vi sono:
1) capacità di fingere
2) capacità di raccontare e raccontarsi la propria storia
3) capacità di porsi in diverse prospettive così da poter interpretare e stimare effetti oltre
che potenziali cause del proprio agire e pensare.
Il ruolo dell'adulto nello stimolare tali processi è cruciale.

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CAPITOLO 7: “La motivazione”
• Che cosa significa essere motivati? Motivati si nasce o si diventa?
• Che cosa ci fa sentire competenti? Come si può promuovere la motivazione alla
competenza?
• Che cosa rende attraente un compito? Come trasmettere il valore di imparare?
• È possibile stimolare curiosità e interesse? Attraverso quali modalità?

1. I motivi impliciti
Definibili come «tratti di motivazione», si riferiscono a delle disposizioni di base che ci
portano a essere attratti da stimoli o compiti piuttosto che altri.
Secondo Murray, sono riferiti a tre obiettivi:
a) riuscita → il motivo alla riuscita spinge a desiderare di affrontare un compito in cui
sentirsi competenti e ad avere successo, ma porta anche al timore di intraprenderlo
pensando alla possibilità di un fallimento
b) dominanza → spinge a voler sentire che si ha il controllo della situazione, che le
proprie idee e proposte vengono seguite e che non si è dominati da altri, ma le paure
associate possono portare ad assumere un atteggiamento opposto.
c) affiliazione → porta a proporti per il desiderio di essere accettati accolti ma può
anche condurre al ritiro sociale nel timore di essere esclusi.

I motivi impliciti sono disposizioni presenti in tutti gli esseri umani. Ogni persona di qualsiasi
età, sia pur con intensità e modalità differenti, è motivata alla riuscita, alla dominanza e alla
affiliazione.
Ci sono inoltre differenze individuali nella forza dei vari motivi. A determinare l’intensità
dei motivi e a modularli ci sono tre fattori:
1) biologico, costituzionale → ci contraddistingue fin dalla nascita
2) la stima di successo (nel riuscire, dominare, essere accettati o viceversa fallire,
essere dominati o rifiutati)
3) le emozioni anticipate (quanto soddisfatto o arrabbiato, sereno o triste suppongo
mi sentirò se vedrò appagati o meno i motivi).
A determinare le stime di successo o insuccesso e le emozioni anticipate sono le esperienze
per gres, le rappresentazioni di sé e le reazioni dell'ambiente ai propri risultati e
comportamenti nei vari ambiti. Di seguito vedremo alcuni di questi aspetti che determinano
il tradursi del motivo in motivazione e comportamento. I motivi infatti sono latenti, sono
predisposizioni su cui si innestano tutti i successivi processi motivazionali.
Es. è noto che a volte gli studenti manifestano la paura di sbagliare → a determinarla e
rafforzarla è il motivo alla riuscita attraverso un meccanismo del tipo: ho bisogno di successo

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e timore dell'insuccesso, siccome penso di non essere competente, immagino scenari di
fallimento e decido di non cimentarmi per il timore di fallire.
È pertanto cruciale conoscere le rappresentazioni di sé ed eventualmente promuoverle al
fine di massimizzare il dispiegarsi della motivazione attraverso forme di avvicinamento che
conducano al soddisfacimento del motivo implicito.

2. La percezione di competenza
Un'importante rappresentazione di sé è la percezione di competenza, cioè il «sentirci
capaci», che si ricollega al saper fare e quindi alla conoscenza di strategie e alla pratica
pregressa con il compito.
Sentirci capaci di affrontare un compito costituisce una forte spinta motivazionale.
All’origine del percepirsi competenti c’è la motivazione alla riuscita che porta ad affrontare
compiti e a voler dominare le situazioni attraverso specifici comportamenti che si traducono
nel voler fare da soli. A determinare uno sviluppo o un blocco della percezione di
competenza sono i comportamenti degli adulti che possono supportare ostacolare il
processo. Adulti che si intromettono, non lasciano fare o concludere, fanno capire che non
sei portato e bloccano i tentativi di padronanza e portano alla fine hanno sviluppare quella
percezione di essere competenti che rende fiduciosi nell’affrontare i compiti. Non sempre
uno studente si cimenta autonomamente nelle varie attività in maniera spontanea, anzi
spesso è necessario incoraggiarlo. Risulta fondamentale, ogni volta che questi tentativi di
padroneggiare e di affrontare il compito vengono manifestati, sostenere e valorizzare queste
spontanee espressioni di competenza. Il metamessaggio da trasmettere è che conta il
provarci non il risultato. L'aspetto che si sta sostenendo non è infatti il buon esito ma la
motivazione ad affrontare il compito.
Solo chi fa in prima persona può sentirsi competente → se fanno gli altri per noi ci sentiremo
decisamente meno competenti e sarà facile sviluppare la percezione di non essere capaci.
È importante infatti lasciar fare gli errori, invitare a scoprirli a rimediarvi al fine di giungere a
un successo che non è tanto il buon risultato, ma la soddisfazione di aver conquistato il
proprio apprendimento.

I TENTATIVI DI PADRONANZA
Approvati e sostenuti: adulto che lascia Non favoriti, né sostenuti, anzi bloccati,
provare e non s’intromette sviliti, non lasciati liberi: adulto intrusivo o
Aumentano: direttivo o controllante Aumentano
- percezione interna di controllo: so - bisogno di essere approvati
fare, ci riesco Piacere e sistema di - ansia di non riuscire
autoricompensa: - attesa di fallimento
- desiderio di padroneggiare i compiti - desiderio di non dimostrarsi
- motivazione alla competenza incapaci: evitamento
- motivazione al compito Diminuiscono
Diminuisce: bisogno di approvazione - percezione interna di controllo: non
esterna so fare, non ci riesco
- motivazione al compito

3. L’autoefficacia

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La percezione di competenza è in relazione con la percezione di autoefficacia. La
percezione di efficacia, definita anche come percezione di controllo della situazione, è
anticipatoria e specifica per un dato compito/situazione. La percezione di autoefficacia è’ un
importante fattore motivante. Avere la convinzione che il proprio agire può modificare la
situazione, anziché convincersi che comunque non ci si può fare nulla è decisamente fonte
di autoefficacia. Si tratta di quello che Bandura definisce l'esercizio del controllo. Per
promuovere l'auto efficacia è possibile far leva su quattro aspetti (definiti da Bandura):

PASSO CARATTERISTICHE
1 affrontare compiti e situazioni e avere successo
2 vedere altri che riescono
3 persuasione verbale: convincersi di riuscire
4 gestione dell’emotività negativa

1) affrontare il compito → è importante anche ottenere un buon risultato. A tal fine


risulta cruciale associare un intervento strategico a uno motivazionale. Sapere come
fare e cosa fare aumenta la percezione di fattibilità e consente di mettersi in gioco
2) vedere altri che riescono o pensare a noi stessi in altre situazioni simili in cui siamo
riusciti. Tutto questo alimenta la percezione di potercela fare e genera emozioni
anticipate di soddisfazione e una percezione motivante di sfida
3) è importante ciò che ci diciamo ovvero il linguaggio interiore, con pensieri di tipo
negativo (sbaglierò anche questa volta) oppure positivo (ce la farò)
4) è naturale che affrontare i compiti generi una serie di emozioni, alcune piacevoli altre
spiacevoli. Il vissuto emotivo negativo spesso rende difficile l'esecuzione del compito
perché si traduce in rappresentazioni, pensieri e un linguaggio interiore che occupano
le risorse di memoria di lavoro rendendo più difficile, lenta o impossibile la efficace
elaborazione di informazioni. Saper gestire il proprio vissuto emotivo rende possibile
lo sviluppo e la promozione dell'autoefficacia.
Tuttavia, queste stime di fattibilità del compito non sono sufficienti punto e importante che
ciò che decidiamo di affrontare abbia valore per noi e non ci costi troppo.

4. La teoria aspettative x valori


“A che serve studiare questa cosa?” → Gli studenti possono anche essere capaci ma
possono non trovare interessanti e utili le cose che vengono loro proposte. Le aspettative
di fattibilità sono molto importanti ma non bastano. È questo l'ha assunto cardine della
teoria aspettative x valori, secondo la quale la motivazione è il frutto della moltiplicazione
fra aspettative di riuscita e valore dato al compito o alla situazione.

• Le aspettative dipendono dalla percezione di competenza ed alle stime di fattibilità,


ma anche dal tipo di attribuzione formulata.

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• Contano anche i valori e l'importanza assegnata al compito, che dipendono dagli
obiettivi e dalle aspettative proprie e altrui.
• Se l'ambiente rafforza l'importanza di studiare o affrontare specifiche materie anche
lo studente svilupperà la stessa percezione di valore. È quindi importante soffermarsi
sui valori e comprendere quali siano. ECCLES e WIGFIELD ne elencano quattro
sfaccettature
DIMENSIONE ESEMPI
Valore intrinseco-piacevolezza Mi piace studiare
Utilità Conoscere la…serve nella vita
Importanza del risultato È importante per me andare bene in…
Costo È troppo difficile studiare…

Le dimensioni del valore vanno dal piacere che si prova nell’affrontare un compito o
studiare una materia o insegnare una disciplina a dimensioni decisamente più estrinseche,
legate al risultato che si può ottenere. Contano quindi l'utilità e il risultato in quell’ambito
specifico. È importante però anche una dimensione che ha ricevuto particolare attenzione
da parte degli studiosi di motivazione → il costo. Una materia o un argomento possono
risultare utili e importanti, ma se costa troppa fatica affrontarli allora il risultato sarà negativo
ovvero di demotivazione.

5. Curiosità e interesse: come stimolarli?


Un'importante fonte di valore e la piacevolezza verso il compito che può venire stimolata da
curiosità e interesse. La curiosità, secondo Berlyne [1971], è un bisogno innato osservabile
nel bambino fin da piccolo e anche nelle specie animali, che porta a esplorare l'ambiente.
Ci incuriosiscono le cose nuove e un po’ intriganti. La curiosità è transitoria, perché
svanisce non appena è stata data risposta ai quesiti e quindi bisogna costruire un'altra
situazione sfidante per incuriosire.
L’interesse, invece, è stabile e si sviluppa nel tempo, andando a fissarsi su certi temi o
argomenti. È Necessario distinguere un interesse Ehi:
- individuale: predisposizione stabile che caratterizza ognuno in modo diverso
- situazionale: che è favorito dagli elementi forniti dall' ambiente ed allo stimolo. Fra
questi ci sono la comprensibilità e la percezione che l'argomento ha valore, non lo si
conosce, ma si potrebbe realisticamente acquisire.
È utile:
• proporre situazioni sfidanti
• promuovere elementi di novità e complessità
• comprendere il compito o la situazione
• percepire che l’argomento/evento ha valore.
Il ruolo dell'insegnante potrebbe essere quello di stimolare il piacere del nuovo e della
scoperta facendo sì che sia una curiosità ottimale, cioè calibrata a livello di conoscenze già
acquisite e di strumenti concettuali posseduti per impadronirsene, quindi all’interno dell’area
prossimale di sviluppo. La novità riesce infatti a risultare attraenti e se non è troppa, né
troppo poca.

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CAPITOLO 8: “Emozioni”
• Perché ci emozioniamo?
• Che relazione esiste fra obiettivi ed emozioni?
• In cosa consiste la spirale di positività?
• Si possono controllare le emozioni? Come?
Durante una prova alcuni studenti sono decisamente troppo ansiosi, altri paiono annoiati.
Perché?
Nei giorni successivi correggete la verifica e scoprite che più di metà della classe non ha
ben compreso alcune cose su cui davvero vi eravate soffermati a lungo. Come reagireste?
Infine, distribuendo in classe le verifiche, alcuni studenti si arrabbiano, altri si rattristano,
qualcuno resta indifferente. Cosa può spiegare queste diverse reazioni emotive?

1. L’origine delle emozioni: la teoria controllo-valore


Perché di fronte a uno stesso compito c'è chi va in ansia mentre altri affrontano
positivamente la situazione e altri ancora si annoiano? Una risposta viene dalla TEORIA
CONTROLLO-VALORE proposta da PEKRUN, secondo il quale vi sono due antecedenti
cognitivi delle emozioni:
a) la percezione di controllo → significa sentire di essere capace, sapere come fare e
riconoscere che il buon risultato dipende da sé stessi.
b) il valore → si riferisce il significato e all’importanza data al compito o alla situazione.
Le due dimensioni sono in relazione moltiplicativa per cui si accrescono vicendevolmente e
sono necessarie entrambe per cogliere la sfumatura emotiva. A seconda dei livelli di
percezione di controllo (percepire di essere capaci e di riuscire) e di valore (riconoscere
importante la riuscita, il compito) emergono le emozioni di piacevolezza, ansia o noia.
- alti livelli di percezione di controllo e di valore danno origine al divertimento alla gioia
→ stati emotivi piacevoli che favoriscono un approccio positivo al compito
- bassi livelli di percezione di controllo, ma alta percezione di valore determinano ansia
- bassi livelli di valore indipendentemente dalla percezione di controllo possono
determinare la noia.
Appare importante sostenere le 2:00 percezioni di valore e di controllo. Ciò può avvenire
agendo sugli antecedenti distali che si riferiscono alla:
1) qualità dell'istruzione → efficacia didattica, comunicativa, strategica
2) supporto dell’autonomia → promuovere uso strategie efficaci
3) comunicazione di obiettivi, aspettative e valori da parte dell'ambiente.

2. Le emozioni si trasformano: la teoria comunicativa


• Le emozioni servono principalmente a comunicare agli altri le nostre impressioni e
intenzioni

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• comunicano significati a noi stessi
• ci offrono una interpretazione della situazione
• le reazioni emotive ci dicono cosa è importante per noi
• le emozioni servono a comunicare agli altri le nostre impressioni e intenzioni
• comunicano significati a noi stessi, ci suggeriscono chi siamo e cosa è importante
per noi

Una interessante teoria che riguarda la funzione comunicativa delle emozioni è quella
proposta da OATLEY e JOHNSON-LAIRD, Secondo i quali le emozioni dipendono dal livello
di raggiungimento degli obiettivi che si stanno perseguendo. Le emozioni ci comunicano a
che punto siamo e quali obiettivi sono importanti per noi punto l'intensità dell'emozione
provata ci suggerisce quanto è per noi rilevante l'obiettivo.

All'inizio l'emozione tipica è la tristezza a cui si associa la percezione di obiettivo perso o


irraggiungibile. Tale emozione segnala che ci pare di non poter mai concretizzare un
obiettivo importante per noi. Tuttavia, seguendo un percorso circolare, se iniziamo a
cimentarci potremmo passare dalla tristezza alla paura, riferita alla percezione di incertezza:
potremmo farcela a raggiungere l'obiettivo ma ci sono delle possibilità di non riuscire che
preoccupano e possono rendere ansiosi. A questo punto, si potrebbe essere vinti dalla
paura, abbandonare il compito o provarci, ma non riuscire per tornare nello stato di tristezza.
Diversamente, se affrontassimo la situazione dalla paura si passerebbe alla rabbia, cui
corrisponde la percezione di obiettivo ostacolato. Diversamente alla paura, la rabbia è più
attivante, spinge ad agire per rimuovere o superare l'ostacolo. Dalla rabbia si possa il
coinvolgimento che può tradursi in un'esperienza di flusso, cioè in una sensazione
completa di benessere e padronanza del compito. Diversamente, si può ritornare
all’incertezza e alla paura. Spesso dal coinvolgimento ci si lascia trasportare fino alla
conclusione del compito per provare soddisfazione. dalla soddisfazione ci si rimotiva per
affrontare con meno tristezza e paura ulteriori compiti. Tuttavia, ci può essere il caso in cui
si profilino ulteriori ostacoli che fanno ritornare alla rabbia e il processo può bloccarsi senza
raggiungere mai la piacevolezza di vedere che si sta raggiungendo il termine e quindi la
soddisfazione per l'obiettivo centrato.
La teoria comunicativa mostra che la rabbia e l'ansia sono espressioni di interesse mettendo
in evidenza quanto l'obiettivo sia importante per noi. il modello suggerisce che la
soddisfazione sarà tanto maggiore quanto più avremmo attraversato affrontato momenti di
paura di rabbia ed evidenzia le ragioni emotive per cui è così difficile cominciare → all'inizio
si provano solo emozioni spiacevoli; solo i successione si arriva ai vissuti emotivi piacevoli.

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3. Le emozioni piacevoli
Esistono molte
emozioni a
carattere
piacevole la cui
funzione è
fondamentale
per il benessere
e anche per
aiutare a
elaborare
affrontare il
vissuto emotivo
più spiacevole.
Sono importanti perché ampliano un repertorio di azioni e pensieri e favoriscono quindi
l'apprendimento, l'attenzione, la voglia di cimentarsi e mettersi in gioco. Costruiscono
importanti risorse durature, come ottimismo e resilienza, che ci rendono più pronti a provare
ulteriori emozioni piacevoli. Provare emozioni piacevoli ci rende più pronti a vivere
esperienze e a leggere, interpretare e reagire alle situazioni in modo da provare ancora più
emozioni piacevoli secondo il modello rappresentato nella figura. Le emozioni piacevoli non
sono il contrario di quelle spiacevoli. L'importante è che le emozioni piacevoli siano più delle
spiacevoli, il che porterebbe ad affrontare il compito anziché desistere. Per sostenere
l'apprendimento, è importante non tanto e non solo ridurre le emozioni spiacevoli ma anche
incrementare le piacevoli. Lo stato emotivo spiacevole può aiutare ad affrontare le emozioni
spiacevoli.

4. L’entusiasmo
«Un fuoco dentro» è l’etimologia di entusiasmo.
Essere entusiasti significa essere carichi di positività e avere voglia di comunicare ciò che
ci rende così attivi. L'entusiasmo a sua volta conduce a voler comunicare ciò che di bello
abbiamo sentito e visto punto è possibile anche agire entusiasticamente pur non provando
una così profonda gioia → esiste una differenza tra entusiasmo sperimentato e sentito e
dimostrazione di entusiasmo attraverso comportamenti relativi alla sfera della
comunicazione non verbale. L’entusiasmo manifestato viene percepito dagli studenti, ne
cattura l’attenzione e favorisce un vissuto emotivo piacevole che, a sua volta, facilita
l’apprendimento.
Indicatori dell’entusiasmo
voce rapida, variata verso l’alto, con cambi improvvisi e importanti, ritmica,
intonata
occhi aperti, luminosi, scintillanti, scattanti, danzanti
gesti frequenti, ampi, variati nel ritmo, riguardanti tutto il corpo

5. Conoscere e controllare le proprie emozioni


Può capitare di dover regolare, cioè controllare le proprie emozioni per renderle funzionali
ad affrontare le situazioni. Tale processo di regolazione a un costo che prende il nome di

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emotional labor = costo del controllo emotivo. Esso richiede un lavorio sul proprio vissuto
emotivo a due possibili diversi livelli → profondo o superficiale.
– profondo → si attua una rivalutazione della situazione e delle possibili Interpretazioni
che determina una reale modifica del vissuto emotivo
– superficiale → viene modulata solo l'espressione comportamentale, sopprimendo la
naturale manifestazione del vissuto emotivo provato.
Nel caso dell'elaborazione profonda la focalizzazione e sugli antecedenti, cioè sui fattori che
generano l'emozione, mentre per l'elaborazione superficiale la focalizzazione è solo sulla
risposta. L'emozione risulterà trasformata e poi espresse in modo autentico solo se ci sarà
stata una preliminare riflessione e modulazione dei significati. In caso contrario l'emozione
sarà solo soppressa superficialmente. L'elaborazione profonda favorisce il benessere,
mentre ripetuti sforzi di soppressione in assenza di una rivalutazione delle cause
dell'emozione possono stressare fino a condurre a fenomeni di affaticamento ed
esaurimento. Il modello di GROSS mostra che è possibile modificare il proprio vissuto
emotivo e sottolinea l'importanza di riflettere sulle proprie esperienze emotive e di
comunicare le emozioni per riuscire a elaborarle e controllarle. Tale controllo riguarda
emozioni che già troviamo. È interessante comprendere anche ciò che causa le emozioni,
ovvero i precursori e può risultare interessante il modello di origine delle mozioni proposto
da FRIJDA. Perché quell’episodio fa arrabbiare alcuni e altri no? Si direbbe che non siano
gli eventi di per sé emozionarci, ma altri fattori, individuati da Frijda nella codifica e
nell’interpretazione. Contano gli obiettivi, i potenziali ostacoli che si esperiscono e le
informazioni che si hanno al fine di giudicare un evento emotigeno e generatore di emozioni
di varia natura.
Ogni emozione unica perché unici sono i contesti e i pensieri e sentimenti di quel momento.
non sono le persone a farci emozionare ma siamo noi a decidere che emozione provare.
Per una adeguata gestione delle emozioni, servono capacità come: riuscire a ben
rappresentarsi la situazione, tenere conto di più aspetti contemporaneamente, ragionare su
cause e conseguenze, anticipare potenziali scenari. Tale processo può risultare
particolarmente difficile per bambini che sperimentano spesso a causa delle loro difficoltà
situazioni negative, non possiedono risorse sufficienti e strategie adeguate per interpretare
correttamente e gestire adeguatamente le loro emozioni.

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CAPITOLO 9: “Socializzazione e apprendimento”
• Quali sono i bisogni fondamentali? Come si esplicano e valorizzano?
• Che cosa favorisce l'auto-regolazione?
• In cosa consistono gli obiettivi sociali?
• Attraverso quali meccanismi funziona l'apprendimento cooperativo?
Il gruppo classe favorisce lo scambio di idee e competenze. L'apprendimento condiviso da
più persone non sempre garantisce risultati migliori rispetto allo studio individuale, ma rende
il processo una costruzione sociale. L'apprendimento si realizza in un contesto sociale che
lo promuove e che lo determina. esistono fattori ambientali che favoriscono contrapposti ad
altri che rallentano il processo. Dunque contano molto i compagni come risorsa.

1. Il supporto sociale all'apprendimento e l’imitazione


La deprivazione sociale nei primi anni di vita può avere conseguenze drammatiche sulla
maturazione e sull’apprendimento del bambino. La presenza di un'altra persona, mentre
il bambino acquisisce i primi apprendimenti, può aiutare a sviluppare capacità di
autoregolazione e perfezionare le acquisizioni, attraverso feedback e aiuti ricevuti. Un altro
meccanismo sociale fondamentale che accompagna l'apprendimento del bambino è
rappresentato dall’imitazione. Il bambino fin da piccolo e’ portato a imitare gli altri e quindi
a sviluppare capacità che siano svolte da altre persone, purché alla portata della sua
maturazione biologica e cognitiva (neuroni specchio.
La teoria dell'apprendimento sociale di Bandura costituisce un riferimento fondamentale.
L'autore ha descritto in modo esemplare l'apprendimento (modeling) che si riscontra
osservando il comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello, mettendo
anche in luce come attraverso l'osservazione possiamo apprendere comportamenti anche
negativi, come per esempio quelli aggressivi. L'apprendimento osservativo richiede che
l'osservatore dirige l'attenzione verso il modello con il quale deve identificarsi. Questo
processo di identificazione e’ legato anche ad aspetti affettivi e al gioco di ruoli o personaggi
rappresentati dall' osservato. L'apprendimento per osservazione resta una chiave
fondamentale dell'apprendimento a tutte le età. I fattori che influiscono sul modellamento
sono:
- somiglianza delle caratteristiche personali tra osservatore e modello
- il grado in cui può avvenire l'identificazione
- la competenza e l’autorevolezza del modello.

2. Il bisogno di relazione
Una fondamentale teoria che specifica l'importanza della relazione nel favorire il benessere
e la motivazione e quella proposta da Ryan e Deci nota come Self-Determination Theory
(SDT). secondo questa teoria e cruciale soddisfacimento e la nonna frustrazione di tre
bisogni innati, fondamentali e universali:
a) relazione
b) competenza
c) autonomia.
Secondo la teoria, è possibile favorire benessere motivazione non solo facendo sentire le
altre persone competenti, capace di scegliere e approvate per gli sforzi, ma anche evitando
messaggi o atteggiamenti che trasmettono senso di incompetenza. La metafora usata dagli
autori e che la soddisfazione dei bisogni e come una vitamina, mentre la frustrazione è come

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un veleno, a sottolineare che la soddisfazione nutre il naturale bisogno di avere relazioni
che sostengono gli sforzi per essere capaci e autonomi, mentre la frustrazione attivamente
ci fa sentire fuori posto. Non è sufficiente che i tre bisogni siano soddisfatti, ma occorre che
ci sia equilibrio nella soddisfazione di essi.
BISOGNO SODDISFAZIONE FRUSTRAZIONE
Relazione Sentirsi accolti e accettati, Esperire un senso di non
sostenuti negli sforzi connessione o di esclusione
Competenza Riuscire, percepire di sapere Sentire di non essere capaci, di non
come fare avere strumenti per riuscire
Autonomia Poter scegliere come Sentire di essere obbligati a fare
organizzare la propria attività delle cose, senza possibilità di
gestirle e magari anche non
capendo le ragioni per farle

Per soddisfare e non frustrare i tre bisogni si tratterebbe di creare un ambiente caring = che
fa sentire accolti per i tentativi di costruire la propria motivazione. Le caratteristiche di questo
tipo di ambiente sono state delineate da REVEE che ha proposto le cinque modalità
rappresentate nella figura.

E’ supportivo dell'autonomia,
della competenza e della
relazione, l'insegnante che
non usa un linguaggio
controllante, ma supportivo,
che rispetta i tempi
individuali, non fa pressione
e non mette fretta, che fa
sentire competenti e
valorizza lo sforzo e il
progresso, che consente di
scegliere, sostenendo
l'iniziativa, che spiega le
ragioni per svolgere i compiti
che magari sembrano insignificanti o solo faticosi e che soprattutto rispetta e non giudica le
emozioni negative.

Nel bambino e’ insito il bisogno:


- di sentirsi artefici delle proprie azioni;
- di competenza;
- di autonomia;
- di relazione.
Se il soggetto vive in una situazione di libera scelta, accresce e mantiene la motivazione per
il compito, se sente l’imposizione dall’esterno si sentirà meno autodeterminato e motivato.
Es. ricerca di Boggiano & Pittman.

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3. Ambienti supportivi e autoregolazione
L’autoregolazione consiste nella capacità di gestire da sé strategie e motivazioni funzionali
alla riuscita, saper svolgere compiti e attività considerati importanti e a cui si dà valore. Per
acquisirla si attua un processo di «internalizzazione» che consiste in gradi diversi di
regolazione del proprio agire (da etero-regolata ad auto-regolata). Spesso l'auto regolazione
della motivazione segue una traiettoria che inizia all'esterno della persona e
progressivamente viene interiorizzata.
1) In questi casi, all'inizio la motivazione e regolata esternamente, ovvero serve un
controllore o «motivatore» che sostiene e trasmette significati e valori ed eventualmente
fornisce rinforzi o incoraggiamenti: la persona non si motiverebbe se non ci fosse una
qualche forma di controllo esterno.
2) Il passaggio successivo è quello della regolazione introiettata in cui non vi è più la
necessità di un motore esterno, ma ancora sono presenti delle perplessità, caratterizzate
da pensieri incerti (non vorrei ma lo faccio) e le principali spinte sono a non deludere, a
non fare brutta figura.
3) A seguire ci sono due forme di regolazioni più intrinseche. La prima e’ per
identificazione, la seconda per integrazione.
a) identificazione → porta a fare perché ci si sente quella persona
b) integrazione → porta a sentire che l'attività è parte di sé: non posso farne a meno, mi
viene naturale motivarmi e auto regalarmi. Si passa pertanto dalle prime due modalità
che portano ad agire perché si deve alle ultime due in cui si agisce perché si vuole.
E’ l'ambiente a favorire l'internalizzazione e a portare verso una progressiva
integrazione dell'attività nella sfera di sé. Tale crescita nella autoregolazione
automotivazione corrisponde a un sentire sempre più l'attività come parte di sé.
In tutto questo processo è importante il ruolo della struttura data dall'ambiente, definita come
chiarezza negli obiettivi, nelle strategie, nelle modalità, nei limiti, nei risultati attesi e anche
come disponibilità a fornire feedback costruttivi. Vi possono essere ambienti a:
- alta struttura = e’ chiaro ciò che ci si aspetta e vengono eventualmente definiti mezzi
e modalità, suggeriti anche da messaggi che indirizzano identificare la struttura
- bassa struttura = in cui il tutto risulta meno definito.
Struttura e orientamento supportivo dell’autonomia dello studente sono due condizioni
fondamentali per motivare l'alunno. Le due dimensioni, struttura e supporto, si incrociano
dando origine a quattro tipologie.
orientamento Struttura e chiarezza di obiettivi e Struttura e chiarezza di
mezzi alta obiettivi e mezzi bassa
Supportivo, autonomia Sostiene gli sforzi per il accoglie i bisogni di
raggiungimento degli obiettivi in competenza, autonomia e
modo autonomo e competente relazione
controllante fa pressione, minaccia e non favorisce paure, senso di
soddisfa i bisogni di competenza, colpa, vergogna e
autonomia e relazione incertezza

L’ottimale per motivare e creare un clima relazionale funzionale sarebbe chiarire il progetto
virgola in un ambiente caring ovvero che faccia sentire accolti, che sia aperto e supportivo,
attento alle difficoltà, problematicità, che poi faccia sentire capaci e che dia possibilità di
scelta. Tale ambiente supportivo andrebbe implementato con attenzione al singolo.

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4. Obiettivi sociali, rappresentazioni di se’ e autostima
L'apprendimento si svolge in un contesto sociale. Con «obiettivo sociale» si intende uno
scopo rivolto agli altri, e quindi non solo e unicamente al fine individuale del proprio
apprendere. È possibile distinguere quattro tipologie di obiettivi che derivano dall'incrocio di
due dimensioni: orientamento e scopo. Tali obiettivi possono agire sinergicamente con gli
obiettivi di apprendimento oppure anche entrare in conflitto. È evidente Che la situazione
ottimale e quella in cui c'è una congruenza di intenti e logicamente l'ambiente scolastico
potrebbe puntare a rafforzare queste sinergie anziché contrapposizioni.

Orientamento Appartenenza (scopo) Valutazione (scopo)


A se’ approvazione da parte del compiacere e assecondare
gruppo e senso di inclusione virgola non dispiacere rifare
ciò che gli altri si aspettano
e non nuoce a loro
Agli altri solidarietà e senso di essere membro produttivo e
vicinanza e identificazione utile di un gruppo, di cui
con un gruppo favorire il benessere
Oltre agli imprescindibili obiettivi sociali, contano le rappresentazioni di sé. Siano
rappresentazioni di sé presenti (chi sono) e future (chi vorrei essere). queste
rappresentazioni sono molto importanti poiché definiscono la spinta al cambiamento punto
la discrepanza fra chi sono e chi sento dovrei essere risulta essere una forte fonte di
motivazione. Ci possono essere diversi tipi di reazioni emotive e spinte al cambiamento a
seconda di chi si aspetta quale rappresentazione di sé. Risulta pregnante la discrepanza fra
rappresentazioni attuali e ideali di sé ovvero il percepire di voler essere migliori o diversi da
come si e’, che possono spingere a superare l’insoddisfazione applicandosi per realizzare
ciò che si desidera e si pensa essere capaci di raggiungere. Un positivo atteggiamento verso
la scuola può favorire l'idea che si può cambiare nella direzione del proprio sé ideale. Una
divergenza fra sé ideale e sé attuale può tuttavia produrre anche disagio con
l'abbassamento dell' autostima.
Con il termine AUTOSTIMA si intende la valutazione e valorizzazione globale di sé.
Autostimarsi significa piacersi e anche ritenersi capaci. Alla base ci sono due dimensioni
parafrasabili in:
- io posso (self-competence) = percezione di competenza e di autoefficacia
- io valgo (self-liking) = è la convinzione di valore ed importanza data al compito e al
sé che apprende.
Entrambe dipendono dal supporto fornito dall'ambiente attraverso meccanismi che possono
promuovere o bloccare la crescita dell'autostima:
• reflected appraisal (mi valuto sulla base della considerazione degli altri) → si
riferisce al modo attraverso cui costruiamo la nostra autostima ovvero riflettendo su
di noi le valutazioni e rimandi che gli altri ci danno
• contingent self-worth (valgo e mi sento apprezzato se ottengo buoni risultati) →
riguarda la tendenza ad accrescere la propria autostima solo in caso di buoni risultati
e a credere di non valere se non si riesce o le cose vanno male. Tali modalità rende
l'autostima instabile e fluttuante in base ai risultati e progressi
• trasmissione di convinzioni self-defining (i risultati dicono chi sono) o self-
enhancing (le eventuali difficoltà mi consentono di migliorare) → consente, in seguito

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a insuccessi, Di accrescere l'autostima facendo sviluppare l'idea che quella può
essere l'occasione per migliorare anzi che è una dimostrazione di incapacità. Al fine
di accrescere l'autostima è importante rimandare un immagine di persona che può e
che vale.

5. L’apprendimento mediato dai compagni


L assunto di base dell approccio costruttivista è che lo studente è artefice, protagonista e
costruttore attivo della propria conoscenza e che fra le principali modalità per sviluppare
questo approccio attivo e costruttivo vi sono la collaborazione fra compagni, il dialogo,
l'esperienza diretta e dialogata alla scoperta della conoscenza. In un contesto cooperativo
e possibile fare a capire cose che in autonomia sarebbero state oltre le capacità dei singoli.
Viene così sfruttata la zona di sviluppo prossimale ovvero quella sfera di capacità non
ancora padroneggiate che sarebbero state sviluppate in seguito ma che possono emergere.
Ciò può avvenire attraverso il modeling e lo scaffolding e adottando alcune metodologie.
L'obiettivo generale delle diverse forme di apprendimento mediato socialmente consiste nel
creare un ambiente-piattaforma efficace per il successivo insegnamento e trasmissione di
contenuti. È importante promuovere l’agentività, ovvero la percezione di essere
protagonista della costruzione delle proprie conoscenze.
Si parla di apprendimento mediato dai compagni per tutte le occasioni in cui un certo
apprendimento è stato possibile grazie al fatto che lo studente collaborava (cooperava) con
altri studenti.
La partecipazione attiva può implementarsi attraverso:
• brainstorming → esprimere in un gruppo le idee spontanee su un certo argomento
• perspective taking → porsi dal punto di vista dell’altro: cosa avresti fatto se fossi stato
al suo posto?
• l’uso sociale del pensiero narrativo → raccontare le proprie scoperte e conoscenze.
L’atteggiamento dell’insegnante dovrebbe essere:
• aperto e caratterizzato da un’attenzione rivolta a ciascun alunno e a ogni argomento
prodotto
• mirato a capire ciò che ognuno vuole esprimere
• volto a favorire la relazione empatica fra sé e l’alunno e fra gli alunni stessi.
Le cosiddette tecniche di peer tutoring e apprendimento cooperativo sono altamente
strutturate e attente alle caratteristiche degli studenti più fragili. Tipicamente si comincia
creando un clima di classe e insegnando agli studenti a lavorare insieme, poi si procede con
attività cooperative semplici, spesso a coppia e quindi si passa al lavoro con gruppetti più
ampli (cerca quattro alunni, a ciascuno dei quali viene assegnato un compito preciso). negli
anni sono state sviluppate anche altre tecniche specifiche che favoriscono la
responsabilizzazione e la costruzione di gruppi efficaci.

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CAPITOLO 13: “Studio autonomo e strategico”
• Che cosa significa studiare?
• C'è differenza tra strategie, metodo di studio, apprendimento e compiti per casa?
• Ci sono strategie e metodi di studio più validi di altri?
• Si può e si deve insegnare a studiare? Quando?
Definizione di Anderson: «Studiare è un particolare tipo di apprendimento intenzionale in cui
è richiesto di leggere attentamente il testo (o ascoltare una lezione) al fine di comprendere
e memorizzare le informazioni utili per eseguire una prova».
STUDIARE e APPRENDERE non sono la stessa cosa e l'attività di studio ha delle
peculiarità.
- Lo studio richiede intenzionalità e anche autoregolazione, e’ lo studente che decide
cosa e come studiare in modo autonomo e utilizzando diverse modalità. Spesso lo
studio viene identificato con lo svolgimento dei compiti per casa. Compiti come
rispondere a domande dopo averlo letto e capito un testo, svolgere un problema di
geometria, fare un disegno dal vero, suonare un pezzo musicale non sono da
considerarsi studio in senso stretto. Lo studio non si identifica nemmeno con il
concetto di studio di una disciplina da parte degli esperti del settore.
- L'apprendimento include il caso dello studio, ma può avvenire anche in altro modo,
in maniera incidentale, per osservazione o anche in modo inconsapevole.
Il ruolo e la mediazione del docente e fondamentale e occupa un notevole spazio temporale
nella promozione dell'apprendimento scolastico, tuttavia l’apprendimento autogestito dallo
studente e’ importante e con il crescere dell'età e l'esperienza diviene più ampio e
significativo.
Lo studio, quindi, è una particolare forma di apprendimento intenzionale e autonoma che
lo studente mette in atto per proprio conto.
Lo studio autonomo è un processo che si articola in fasi e coinvolge abilità:
• cognitive: attenzione, pensiero, comprensione, memoria, scrittura
• metacognitive: consapevolezza di come si studia, di quali strategie utilizzare, di
monitoraggio e autoregolazione
• motivazionali: interesse per lo studio, valorizzazione dell’oggetto di studio, percezione
di competenza
• emotive: presenza di emozioni positive associate allo studio, capacità di gestire l’ansia
e le difficoltà che si incontrano durante lo studio
A partire dai primi studi sulla metacognizione Sono stati elaborati diversi modelli che
considerano l'interazione tra i diversi aspetti implicati al fine di descrivere le caratteristiche
della persona competente e strategica nello studio, come ad esempio il modello del GOOD
STRATEGY USER. Piu recentemente e’ stato elaborato Un modello metacognitivo
multicomponenziale sulla cui base sono stati costruiti degli strumenti per valutare le abilità
di studio di alunni dalla classe terza della scuola primaria alla prima secondaria di primo
grado (AMOS 8-15) e per la scuola secondaria di secondo grado e l'università (AMOS
Nuova Edizione).

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Modello delle componenti cognitive e metacognitive implicate nello studio
Il modello
prende in
considerazione
un sistema
metacognitivo
complesso che
incide sui
processi di
studio, insieme
alle
conoscenze
pregresse sull’argomento, rilevanti ma sullo sfondo, e alle abilità cognitive.

Le componenti del modello sono sostanzialmente tre:


1) autoregolazione
2) strategicità
3) convinzioni
L'insieme dei processi autoregolativi ha un peso centrale nello spiegare le modalità con cui
vengono implementati i processi di studio e che interagiscono con la dimensione più
specificatamente strategica dello studente. La strategicità si esplica attraverso tre aspetti:
a. la conoscenza metacognitiva che riguarda quali strategie conosce lo studente e
quanto pensa siano utili per imparare
b. il controllo metacognitivo, ovvero, l’uso effettivo delle strategie
c. la «coerenza strategica» che riguarda l’armonica corrispondenza tra i giudizi di utilità
e l’uso effettivo delle strategie
Analisi del modello:
• autoregolazione e uso di strategie funzionali permettono di affrontare il compito di
studio richiesto.
• sull’autoregolazione e sulla strategicità incidono le componenti emotivo-motivazionali
di carattere metacognitivo (convinzioni) che riguardano le idee che lo studente
possiede relativamente alla sua mente che apprende e il livello di fiducia nelle proprie
abilità → questi due aspetti incidono sugli obiettivi di apprendimento che lo studente
si pone, riferite alla prestazione o all’acquisizione di conoscenze e sui modi in cui
spiega i suoi successi o insuccessi scolastici (attribuzione).
• le convinzioni incidono sugli obiettivi di apprendimento e sulle attribuzioni.
Il modello è adatto a rappresentare la situazione di uno studente di successo ma anche
quella di uno con difficoltà. Può anche essere usato in senso evolutivo e didattico per
analizzare il possibile percorso di uno studente che da principiante diviene esperto.
2. Le fasi dello studio, abilità, strategie
Le principali fasi di studio sono:
1) ORGANIZZAZIONE INIZIALE/PIANIFICAZIONE
In questa fase si prende visione del materiale da studiare (testi, appunti, slide) e si
stabiliscono gli obiettivi in relazione:
a. al tempo a disposizione (planning)

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b. ai risultati che si vogliono raggiungere (preparazione superficiale o
approfondita)
c. alle caratteristiche del compito finale
In questa fase le strategie utili sono:
• attivazione conoscenze pregresse
• strategie di lettura (esplorativa)
• strategia del porsi domande anticipatorie
• strategia della pratica distribuita e piano di studio → suddivisione dello studio
in più momenti.
A seconda di queste strategie, lo studente può visionare velocemente tutto il materiale di
studio e rendersi conto della quantità effettiva, del livello di difficoltà e interesse
dell'argomento e di quanto sa gia in merito. Al fine di rendere più efficiente l'organizzazione
dello studio può essere inoltre utile elaborare un piano scritto.

2) COMPRENSIONE DEI TESTI O DELLE LEZIONI ED ELABORAZIONE


APPROFONDITA
In questa fase ci si concentra sulla comprensione del materiale scritto (libri, appunti, altro)
e sulla sua elaborazione approfondita attraverso varie strategie. In questa fase le strategie
utili sono:
• strategie di lettura
- scorsa rapida del testo → permette di avere un'idea generale dell'argomento di un
paragrafo o capitolo e verificare le ipotesi fatte con le domande iniziali
- lettura lenta e analitica → si usa per comprendere a fondo i materiali
- a salti → efficace per trovare singole informazioni di cui si ha bisogno o rivedere parti
specifiche del testo.
• sottolineatura o evidenziazione delle informazioni rilevanti. Questa strategia
diviene efficace si è svolta durante la seconda lettura, lenta e analitica. L'utilizzo di
colori, simboli, linee diverse sono utili nella misura in cui corrisponderà a una
elaborazione personalizzata che fa riferimento ai criteri scelti
• strategia del porsi domande (prima e dopo)
- le domande poste prima servono per attivare sia conoscenze pregresse sia interessi
e quindi a rendere attiva la lettura
- le domande poste dopo non solo hanno lo scopo di verificare la comprensione dei
contenuti e la propria capacità di rielaborazione ed esposizione verbale ma svolge
uno la funzione di riorganizzare i contenuti appresi
• annotazioni scritte → le annotazioni dal testo non servono a fissare un contenuto,
ma ad elaborarlo e aiutano il ripasso. Queste annotazioni vengono di solito fatte in
modo sequenziale, alternando la lettura alla scrittura. La scrittura è un'attività di
pensiero che ha degli esiti positivi sull’apprendimento; tuttavia si devono fare alcune
osservazioni importanti. La competenza di scrittura si acquisisce con il tempi in
relazione all’esperienza educativa, quindi annotare diviene una strategia funzionale
di studio solo se lo studente ha acquisito un certo livello di abilità. La strategia dovrà
essere utilizzata in modo flessibile in relazione al materiale di studio.
• schemi grafici o mappe → rappresentano una strategia di elaborazione del
materiale che Ha l'obiettivo di rappresentare in maniera visiva e sintetizzata le
informazioni contenute in più pagine del testo. Lo schema riporta le informazioni

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rilevanti selezionati in precedenza, evidenzia con simboli i legami fra esse e le
organizza secondo una logica spaziale, gerarchica, categoriale. Si possono quindi
elaborare diversi schemi a seconda del testo o argomento → per essere davvero
efficaci questi schemi devono aver messo in gioco molte operazioni cognitive. Gli
schemi infatti migliorano la comprensione e poi il ricordo del materiale nella misura
in cui lo studente in prima persona organizza graficamente le informazioni. Non è
funzionale per questo motivo usare schemi altrui.

3) MEMORIZZAZIONE
In questa fase le informazioni che sono state comprese ed elaborate vengono ulteriormente
«trattate» per garantire che siano depositate nella memoria a lungo termine e possano poi
essere utilizzate al momento di affrontare una prova.
In questa fase le strategie utili sono:
• ripetizione meccanica
• ripetizione elaborativa
• associazione
• immaginazione
• mnemotecniche
La ripetizione è la strategia più comunemente utilizzata. La ripetizione elaborativa è anche
ampiamente a utilizzata e può essere svolta sia ad alta voce oppure mentalmente. C'è la
tendenza a pensare che si ricorda di più perché si ascolta la nostra voce quando invece è il
livello di elaborazione che garantisce la memoria.

4) RIPASSO
Rappresenta la fase conclusiva del processo di studio e riveste un ruolo importante perché
permette di raggiungere due obiettivi:
1. il consolidamento ulteriore in memoria delle informazioni studiate
Per realizzare questo scopo, possono essere utili strategie delle fasi precedenti come la
ripetizione oppure il riesame di parti sottolineate, di schemi e annotazioni scritte.
2. il controllo, attraverso l’autovalutazione, di quanto si è preparati su un certo
argomento
Per questo scopo, oltre alle precedenti strategie, è particolarmente utile auto-interrogarsi
senza avere il testo sotto gli occhi → porsi delle domande utilizzando i titoli dei paragrafi o
dei capitoli.

3. Il metodo di studio
Il termine METODO DI STUDIO indica una sequenza ordinata e coordinata di strategie.
Spesso sono sintetizzati da un acronimo (una sigla) che indica la sequenza delle operazioni
da svolgere.
• Il metodo SQ4R [Robinson 1970] → prevede di sfogliare il materiale, porsi delle
domande iniziali, leggere una prima volta per avere un'idea generale, rileggere
analizzando bene il testo, ripetere appena finito di leggere e infine ripassare.
• Il metodo MURDER [Dansereau 1985; 1988] → risulta centrale l'aspetto emotivo con
cui ci si approccia al compito di studio e valorizza anche l'apprendimento cooperativo
fra studenti come fattore che incide sul clima positivo del gruppo di allievi e quindi

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sulla motivazione. I pasti fondamentali previsti da questo metodo sono: l'iniziale
instaurarsi di un atteggiamento mentale ed i vissuti emotivi positivi diretti allo studio,
il leggere cercando di comprendere e cogliere le idee principali, il ricordare senza più
guardare il testo, il controllare il testo per cogliere eventuali errori o omissioni, il
mettere in atto strategie per memorizzare e il ripassare. Il metodo prevede sia
strategie generali sia strategie di supporto. Gli studi sperimentali condotti sul metodo
hanno messo in luce che le strategie generali sono valide indipendentemente dal
contenuto, ma che gli studenti incontravano difficoltà nel trasferire le strategie ai loro
libri di testo. Sono quindi state elaborate delle strategie più specifiche (DICEOX) che
rappresenta con un acronimo le 6:00 categorie di informazioni rilevanti per la
comprensione di una teoria scientifica
• Il metodo ReQuest [Manzo 1969] → gli studenti e gli insegnanti legge uno
mentalmente il brano, si pongono delle domande relative a quanto letto
• Il metodo REAP [Eanet e Manzo 1976] → prevede di leggere i contenuti, tradurli in
parole proprie, annotare e ragionarci sopra rifacendosi alle annotazioni scritte, la
parte fondamentale del metodo
• Il metodo DRTA-Directed Reading and Thinking Activity [Stauffer 1975] → si richiede
che il lettore predica il contenuto del materiale che sta per leggere, Lega mentalmente
per cercare elementi a favore delle proprie predizioni, verifichi attraverso dei
ragionamenti la veridicità delle proprie aspettative
• Il metodo Structured Overview → consiste nella preparazione di uno schema
anticipatorio del contenuto del testo da parte dell'insegnante, nella presentazione e
discussione dello schema prima della lettura e nella lettura e confronto con lo
schema.
Questi ultimi metodi si concentrano prevalentemente sulla fase della comprensione del testo
e le indicazioni fornite sono rivolte in modo particolare al docente piuttosto che allo studente.
Il difetto di tutti questi metodi è rappresentato dalla loro rigidità.
Nel contesto italiano sono stati elaborati diversi programmi di tipo metacognitivo per
insegnare a studiare. Questi, rispetto ai precedenti, sono più flessibili e meno orientati
esclusivamente alle tecniche di studio e considerano centrale il ruolo dello studente.

• «Imparare a studiare 2» [Cornoldi, De Beni e Gruppo MT 2001]


per la scuola secondaria di primo grado e del biennio di secondo grado. Articolato in 4
macroaree a loro volta composte da 21 sottoaree:
a) strategie di apprendimento e studio
b) stili cognitivi
c) metacognizione
d) atteggiamento verso la scuola e studio

• «Studiare meglio e riuscire all’università» [De Beni, Zamperlin, Fabris e Meneghetti


2015]
Per studenti dell'università, ma anche della scuola secondaria di secondo grado. Si
aggiugono:
a) motivazione (fase di avvio del metodo)
b) riflessione metacognitiva e automonitoraggio
c) gestione dell’ansia e sviluppo della resilienza

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d) studio delle materie scientifiche

• «Studio efficace per ragazzi DSA: un metodo in 10 incontri»


Si rivolge a studenti fra i 9 e i 15 anni con DSA. Prevede aree su:
a) strategie di studio/lettura
b) prendere appunti
c) organizzazione e flessibilità
d) ripasso.

4. Strategie e metodi di studio: livello di efficacia


Esistono strategie e metodi di studio più efficaci di altri su cui 15 entrare gli sforzi del
processo di apprendimento/insegnamento? In una rassegna di Dunlosky e colleghi [2013]
sono state prese in considerazioni le 10 strategie di studio maggiormente utilizzate dagli
studenti ed è stata indagata la loro efficacia.

Come si può notare dall’immagine, alcune strategie risultano particolarmente efficaci per la
buona riuscita nello studio come la pratica distribuita, che consiste nell’organizzare la
distribuzione dello studio nel tempio in funzione del materiale e di quando si deve sostenere
la prova e l’autointerrogazione.
Altre strategie si collocano a un livello moderato di utilità come la pratica intervallata, il fare
associazioni, evidenziare, sottolineare, riassumere. Tuttavia, questi dati non inficiano l'uso
di queste ultime strategie ma indicano come esse debbano essere contestualizzate in base
al materiale e al tipo di richieste.
Quali conclusioni si possono trarre? È importante che lo studente conosca molte strategie
per scegliere quelle più adatte in relazione:
- alle diverse fasi dello studio
- alle sue caratteristiche individuali (età, stili, abilità)
- al materiale
- all’interesse
- al tipo di verifica.

5. Stili cognitivi

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Un aspetto che può incidere sui differenti risultati di apprendimento riguarda l'utilizzo da
parte degli studenti di diversi stili cognitivi di elaborazione dell'informazione. La ricerca sugli
stili cognitivi si è centrata sullo studio delle differenze individuali di tipo qualitativo ed è
iniziata negli anni '50 con i lavori di Bruner, di Guilford e di Goodenough.
Definizione: per stile cognitivo si intende la modalità di elaborazione che il soggetto adotta
in modo prevalente, che permane nel tempo e si generalizza a compiti diversi. Lo stile
cognitivo è una tendenza costante a usare una determinata classe di strategie.

1. Stile globale/analitico
Concerne la preferenza di una persona per una percezione del dettaglio o dell’insieme

2. Stile dipendente/indipendente dal campo


riguarda l'elaborazione percettiva ma anche la risoluzione di problemi.
- Il soggetto dallo stile dipendente possiede una percezione poco differenziata e
fortemente dominata dall ‘organizzazione del campo
- il soggetto dallo stile indipendente non si lascia influenzare dal contesto e ha un
atteggiamento più autonomo

3. Stile verbale/visuale
riguarda la preferenza di un soggetto a utilizzare il codice linguistico oppure quello visuo
spaziale

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4. Stile convergente/divergente
concerne la differenza tra:
- un soggetto che, a partire dalle conoscenze possedute, procede seguendo una linea
logica condivisa e converge verso una risposta prevedibile e unica
- un soggetto che procede in modo divergente, creativo generando più risposte
originali e flessibili

5. Stile sistematico/intuitivo
si riferisce al ragionamento, al modo in cui il soggetto per viene a scoprire una regola.
- Il sistematico procede gradualmente prendendo in esame un elemento alla volta
- l’intuitivo procede per ipotesi che cerca di confermare o confutare

6. Stile impulsivo/riflessivo

si basa sui tempi decisionali e riguardo i processi


di valutazione e decisione nella risoluzione di un
compito di una certa difficoltà. La polarità
riflessiva viene considerata più adattiva
Impulsivo: passa subito all’azione nella
soluzioni di problemi senza valutare e ponderare
tutte le possibili alternative;
riflessivo: prende in considerazione tutte le
alternative. Dal test si distinguono sulla base
dell’accuratezza delle risposte e del tempo
impiegato

7. Evoluzione e sviluppo delle abilità di studio


Lo studio è un processo in continua evoluzione che da sotto processi semplici passa a
processi più complessi articolati in cui interagiscono molte strategie fino a costituire piani
complessi. Il contesto scolastico è sicuramente quello dove è possibile svolgere un percorso
strutturato inizialmente più semplice poi più complesso in relazione alle diverse discipline

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Nella classe terza primaria: i bambini iniziano uno studio più sistematico e cominciano a
svilupparsi strategie di studio. In quarta e quinta primaria il numero delle strategie proposte
può arricchirsi in stretta relazione con lo sviluppo di altre abilità e competenze, come la
comprensione orale e scritta, l'espressione scritta e l’abilità logica. Tra il secondo e il terzo
anno della scuola secondaria di primo grado: migliora la consapevolezza metacognitiva e
l’autoregolazione nello studio.
Uno studio autonomo, strategico e flessibile si consolida negli ultimi anni della secondaria
di secondo grado. Il processo di studio non si acquisisce una volta per sempre ma può
migliorare e cambiare nel corso della vita scolastica e formativa.

COME VALUTARE LE ABILITA’ DI STUDIO E LA MOTIVAZIONE


ALL’APPRENDIMENTO?
AMOS (Abilità e Motivazione allo studio; Cornoldi et al., 2005), batteria di strumenti,
versione 8-15 anni e versione scuola secondaria di secondo grado e università. Ha lo scopo
di rilevare abilità e motivazioni allo studio, al fine di individuare precocemente atteggiamenti
disfunzionali all’apprendimento. È una batteria che tiene conto dell’insieme complesso di
relazioni che esistono fra fattori metacognitivi, strategici, cognitivi ed emotivo-motivazionali
che fanno di ciascun alunno, uno studente competente. È uno strumento articolato, formato
da diverse prove che possono essere somministrate insieme o separatamente,
collettivamente ed individualmente.

AMOS 8-15
• Questionario su utilità e uso delle strategie di studio (QS1 e QS2)
• Questionari su convinzioni (QC1I, QC2F, QC3O) e attribuzioni (QCA)
• Questionario sull’approccio allo studio (QAS)
• Prova di studio (PS1) III, IV, V elementare
• Prova di studio (PS2) III, IV, V elementare
• Prova di studio (PS3) scuole medie- I superiore
• Prova di studio (PS4) scuole medie- I superiore

a) QUESTIONARI SU UTILITÀ E USO DELLE STRATEGIE DI STUDIO (QS1 E QS2)


Questo strumento contiene due questionari che consentono di verificare se gli studenti
conoscono l’utilità di alcune strategie (QS1) e se le usano quando si approcciano al
materiale di studio (QS2). I due questionari si compongono di 22 strategie funzionali, e 10
disfunzionali. Attraverso la somministrazione di entrambi i questionari, è possibile valutare
tre indici relativi alla conoscenza e alla consapevolezza delle strategie di studio da parte
degli studenti:
1) le convinzioni di efficacia delle strategie funzionali e disfunzionali (QS1);
2) la stima di uso delle strategie funzionali e disfunzionali (QS2); 3) la coerenza
strategica, cioè il confronto fra QS1 e QS2 (discrepanza sé reale/sé ideale).

b) QUESTIONARIO SULLE TEORIE DELL’INTELLIGENZA (QC1I)


Il Questionario sulle teorie dell’intelligenza (QC1I) consiste di 4 affermazioni relative alla
modificabilità dell’intelligenza rispetto alle quali lo studente deve esprimere il suo grado di
accordo attraverso una scala a 4 punti: d’accordo, un po’ d’accordo, un po’ contrario,
contrario.

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Seguendo i criteri di correzione si ottiene un punteggio unico in cui un alto punteggio
(massimo 16) corrisponde ad una teoria incrementale dell’intelligenza, un basso punteggio
(min 4) corrisponde ad una teoria dell’entità.

c) QUESTIONARIO SULLA FIDUCIA NELLA PROPRIA INTELLIGENZA (QC2F)


Il Questionario sulla fiducia (QC2F) consiste in 3 gruppi di 4 affermazioni ciascuno. Lo
studente sceglie, all’interno di ogni gruppo, quale delle 4 affermazioni è più vera per lui.
Seguendo i criteri di correzione si ottiene un punteggio complessivo in cui un alto punteggio
(massimo = 12 punti) corrisponde ad un’alta fiducia nella propria intelligenza e abilità,
mentre un punteggio basso (minimo = 3 punti) corrisponde ad una bassa fiducia nella
propria intelligenza.

d) QUESTIONARIO SUGLI OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO (QC3O)


Il Questionario sugli obiettivi dell’apprendimento (QC3O) consta di 5 affermazioni che lo
studente deve considerare e su cui esprimere un suo giudizio personale. Rispetto alle prime
quattro affermazioni lo studente deve esprimere un grado di accordo con una scala a 4 punti
(d’accordo, un po’ d’accordo, un po’ contrario, contrario), rispetto alla quinta deve scegliere
i due compiti che preferisce svolgere tra i quattro elencati ed indicare anche l’ordine di
preferenza.
Si ottiene un punteggio unico in cui un alto punteggio (massimo= 20) corrisponde ad una
alta concezione dell’apprendimento basato su obiettivi di padronanza mentre un basso
punteggio (minimo= 5) corrisponde ad una concezione dell’apprendimento basato su
obiettivi di prestazione.
e) QUESTIONARIO SULLE ATTRIBUZIONI (QCA)
Il Questionario di attribuzione (QCA) consta di 8 domande, 4 riferite a situazioni di successo
scolastico (item dispari) e 4 a situazioni di insuccesso (item pari). Per ognuna lo studente
deve indicare tra 5 cause proposte (impegno, abilità, aiuti, caratteristiche del compito,
fortuna) le due più importanti secondo lui.
Dal questionario si ottengono 10 punteggi separati relativi ai 5 tipi di attribuzioni causali in
situazione di successo e di insuccesso.

f) QUESTIONARIO SULL’APPROCCIO ALLO STUDIO (QAS)


Questo questionario consta di 49 item che rappresentano dei comportamenti riferibili alle 7
aree fondamentali che caratterizzano un buon approccio allo studio:
1) motivazione;
2) organizzazione del lavoro personale;
3) elaborazione strategica del materiale;
4) flessibilità allo studio;
5) concentrazione;
6) ansia;
7) atteggiamento verso la scuola.
Attraverso il QAS vengono indagate quindi le componenti emotive-motivazionali dello studio
(aree 1, 6 e 7), quelle strategiche/cognitive (aree 3 e 4), quelle di autoregolazione e
pianificazione (aree 2 e 5).
Si ottengono punteggi parziali, utili per rilevare gli aspetti critici da approfondire a livello
diagnostico e su cui è possibile effettuare un trattamento mirato, e un punteggio totale, che

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è un indice che permette la valutazione, attraverso un dato unico, dell’approccio di studio
dei ragazzi, consentendo di effettuare dei confronti all’interno del gruppo classe.

g) Prove di studio
Le prove di studio contenute in questa batteria (PS1 = Parchi; PS2 = Abitazioni) sono utili
per rilevare e verificare l’attività di studio, e quanto uno studente può definirsi abile.
Quando uno studente si approccia ad un nuovo materiale da studiare, normalmente decide
in modo autonomo obiettivi e modalità di organizzazione.
Questa è la prima fase che caratterizza lo studio; le altre due prevedono lettura,
comprensione ed elaborazione del testo, e memorizzazione, rievocazione e ripasso del
materiale.
È importante valutare bene la capacità di comprensione di un testo di uno studente: la
memorizzazione, che viene agevolata e facilitata grazie alla conoscenza e all’uso di
strategie funzionali, è difatti possibile se l’aspetto della comprensione è stato soddisfatto; a
sua volta l’accesso alla comprensione è possibile se lo studente conosce e sa utilizzare
flessibilmente altre strategie, come scorrere i titoli, guardare le figure e le didascalie,
avanzare ipotesi sul contenuto, individuare le parti importanti, porsi domande.
Le prove di studio dell’AMOS sono articolate in due parti, di cui la prima richiede lo studio di
un testo, e la seconda il rispondere ad alcune domande.
Le domande a loro volta sono articolate in:
• A– “Scelta titoli”, che serve per misurare la capacità di individuare le parti più
importanti di un testo (la gerarchia del testo);
• B– “Domande aperte”, che richiede l’aver colto gli aspetti più significativi del testo, al
fine di memorizzarli e successivamente esporli;
• C– “Domande vero/falso”, atte a valutare la conoscenza e la ritenzione di specifiche
informazioni contenute nel testo (prova di memoria di riconoscimento).
Per la parte A viene attribuito 1 punto per ogni scelta corretta; per la parte B sono previsti
da 1 a 2 punti per ogni risposta in base a quanto può ritenersi corretta e completa (le risposte
sbagliate sono valutate 0); per la parte C si attribuisce 1 punto per la risposta giusta e -1
punto per ogni risposta sbagliata.

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AMOS SUPERIORI E UNIVERSITÀ

L’ AMOS è una batteria per la valutazione delle abilità di studio, degli stili cognitivi e delle
componenti emotive e motivazionali dell’apprendimento, che permette di rilevare i punti di
forza e di debolezza delle modalità di studio. Permette, inoltre, di avviare percorsi mirati a
promuovere metodi efficaci e a sostenere gli aspetti emotivi e motivazionali dello studente.
STRUTTURA DELLO STRUMENTO →
a) Questionari autovalutativi:
- Q. strategie di studio (QSS)
- Q. approccio allo studio (QAS)
- Q. stili cognitivi (QSC)
- Q. convinzioni (QC)
- Q. ansia e resilienza (QAR)

b) Prove di apprendimento:
- Prova oggettiva di studio
- Memoria di figure
- Prova di studio (solo per Università)

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(vedi ultima slide di questo blocco per scaricare il documento).

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