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D’AMORE
PITTURA
NUZIALE
NEL
QUATTROCENTO
FIORENTINO
a cura di
Claudio Paolini
Daniela Parenti
Ludovica Sebregondi
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ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
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VIRTÙ PITTURA
NUZIALE
NEL
D’AMORE QUATTROCENTO
FIORENTINO
Alessandra Malquori
La produzione di cassoni nuziali istoriati nella Firenze del Quattrocento aveva come strano un’intrigante rielaborazione compiuta contaminando due testi di Boccaccio: il
scopo primario, nell’assetto sociale della città, rendere visibile e quasi palpabile il Teseida e il De casibus virorum illustrium. I due fronti e i rispettivi laterali comparvero
prestigio di chi li aveva commessi. Aristocratici, potenti borghesi, ricchissimi mercanti, per la prima volta nel 1883, alla vendita della Collezione Toscanelli a Firenze1; sul
nel momento in cui i cassoni sfilavano a seguito del corteo nuziale nelle vie della città, pannello principale del primo era illustrata L’invasione della Grecia a opera di Serse2
rendevano esplicito ai loro concittadini il potere economico e politico che la loro fa- [Figg. 1 e 5] e sui due laterali i duelli di Arcita e Palemone narrati nel Teseida [Figg.
miglia era in grado di esercitare. Tale produzione suntuaria permetteva anche, con 3 e 4]; sul fronte del secondo, andato poi distrutto, era Il Trionfo dei Greci sui Persiani3
grande “allettamento dell’occhio”, di dare spazio al gusto e a quell’interesse tutto fio- [Fig. 2] e le due testate presentavano Il ritorno trionfale di Teseo dalla guerra contro
rentino per i temi eruditi di gran moda al tempo, perché legati alla fortuna dei clas- le Amazzoni [Fig. 6] e Le nozze di Emilia, temi sempre ispirati al Teseida4. Fu Ernst
sici che dall’inizio del secolo venivano via via scoperti, copiati e tradotti dai primi H. Gombrich5 per primo a notare che le scene riguardanti Serse nell’Invasione di-
umanisti, oppure a temi ispirati alla poesia e alla prosa del tempo. In particolare i sog- pendevano dal De casibus6, mentre Paul Watson7 si rese successivamente conto che
getti ispirati alle opere di Francesco Petrarca e di Giovanni Boccaccio, nella vasta Il Trionfo dei Greci sui Persiani e le scene laterali con le Storie di Emilia potevano de-
produzione di oggetti d’arredo, mostrano un’evidente sfasatura cronologica tra la dif- rivare dal Teseida8. Il pannello con L’invasione della Grecia conservato oggi a Ober-
fusione dei testi e l’effettiva attenzione per i medesimi temi illustrati. La pittura di cas- lin mostra in un’ampia veduta Grecia e Asia Minore con il ponte di barche che durante
sone, negli limiti di ciò che rimane e delle nostre attuali conoscenze, offre l’opportunità la seconda guerra persiana collegava le sponde del Mare Egeo con la Propontide e
di considerare nel confronto il piano della diffusione delle immagini e della fortuna di il Ponto Eusino; Serse, indicato dal nome, è raffigurato a cavallo con lo scettro, seguito
alcuni temi rispetto al piano della diffusione e conoscenza dei testi. dalla flotta diretta in Grecia. A sinistra, sulla costa, infuria la battaglia mentre alcuni
La coppia di cassoni dipinti da Apollonio di Giovanni per le nozze, celebrate nel prigionieri persiani si sottomettono a Cimone (Cymon), generale ateniese, e un gio-
1463, di una figlia di Giovanni Rucellai, Caterina, con Piero di Francesco Vettori, mo- vane (Pericles) incita i cavalieri all’assalto dei nemici. Nel pannello oggi distrutto era
1
79
In apertura:
1. Apollonio di Giovanni,
L’invasione della Grecia
a opera di Serse, c. 1463,
particolare di Fig. 5.
2. Apollonio di Giovanni,
L’entrata trionfale ad Atene
dei carri di Temistocle,
di Cimone e di Pericle,
c. 1463, tavola distrutta.
Già Collezione Wittmann.
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3 4 6
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oggetto14, Rucellai può esser considerato una figura di spicco 7. Altichiero,
Trionfo della Gloria,
della società mercantile del Quattrocento che, per quanto at- 1379.
Parigi, Bibliothèque
tenta al rinnovamento spirituale di quegli anni, poteva perve- Nationale, ms. Lat. 6069 F.
nire alla cultura umanistica solo con ritardo e in modo
8. Bottega di Altichiero,
impacciato. Come ha mostrato Alessandro Perosa, egli è l’esem- Trionfo della Gloria,
1388 c.
pio di come la cultura fiorentina si muovesse su livelli diversi e Parigi, Bibliothèque
Nationale, ms. Lat. 6069 I.
come, contrariamente a quanto si crede, questi non arrivassero
a convergere. Lo Zibaldone era, nelle parole dello stesso Ru-
cellai, un’«insalata di più erbe» destinata ai figli perché rice-
vessero ammaestramento di più cose. Egli lo compose in due
periodi differenti della sua vita, procedendo quindi con attitu-
dini mentali diverse15; in ogni caso, in esso egli vi svolse rara-
mente considerazioni autonome prendendo sempre spunto da
«autorità» che non leggeva direttamente dai testi (Seneca, Ci-
cerone, etc.) ma da florilegi medievali e da excerpta, ossia da
quei compendi cui prima alludevo.
7 Uno degli aspetti più interessanti e più sconcertanti che
emerge dalle sue pagine, è che nello Zibaldone le stesse opere
i committenti a tale genere di produzione. Dagli studi sulle biblioteche private e sul- volgari di Leon Battista Alberti − che a ragion di logica avreb-
l’effettivo possesso di libri da parte di mercanti, borghesi e artigiani a Firenze emerge bero dovuto essere lette dall’amico mercante direttamente dagli
un quadro desolante: si possedevano pochi libri, nel numero di uno o due, in genere scritti di lui, come ci aspetteremmo in virtù della loro amicizia,
di carattere devoto, ivi compresa la Bibbia . Considerando la complessità e la quan-
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delle loro affinità politiche e delle importanti commissioni che
tità dei temi raffigurati sugli oggetti di mobilio è legittimo domandarsi se una così Alberti architetto aveva ricevuto dallo stesso per il Palazzo, la
grande erudizione fosse poi così patentemente diffusa negli strati più alti della ricca Cappella del Santo Sepolcro e la facciata di Santa Maria No-
borghesia cittadina e se corrispondesse davvero, in modo effettivo, alla conoscenza vella − in realtà a Giovanni erano sconosciute. Egli accoglie le
capillare e diffusa degli scritti letterari di questi autori. I Cassoni Rucellai-Vettori of- teorie dell’umanista nello Zibaldone attraverso un rifacimento
frono lo spunto per fare qualche ulteriore considerazione. molto diffuso negli ambienti della borghesia cittadina e noto
La figura del ricco mercante Giovanni Rucellai − che spicca tra i contemporanei come Trattato del Governo di Angelo Pandolfini16. Rucellai si
per la curiosità intellettuale e l’estro di aver scritto non tanto un Libro di conti o di Ri- ispirava dunque ai pensieri dell’amico, che circolavano tuttavia
cordanze, come solitamente facevano i mercanti, ma un’opera letterariamente più negli ambienti umanistici ma su un piano estraneo e sconosciuto
complessa, lo Zibaldone − si presta più di altre a essere presa come significativo a quello del ricco borghese, committente facoltoso, culturalmente
esempio del procedere parallelo di due mondi differenti. Grazie agli studi di cui è stato attento. Le frequentazioni degli umanisti gli erano precluse e
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così, il povero Rucellai, per far sue le parole dell’Alberti, doveva servirsi e far trascri-
vere dai suoi copisti il rifacimento dei Libri della famiglia attribuito a Pandolfini17.
Per questa commissione è stata invece trascurata la figura di Piero Vettori, che po-
trebbe aver giocato un ruolo più significativo di Rucellai come ideatore del programma
figurativo18. Accenno ad alcuni tratti del suo carattere grazie alle parole del figlio
Francesco – il ben più noto amico di Machiavelli – che ne compose la Vita19. Fran-
cesco narra che Piero, fino al momento delle sue nozze, aveva potuto dedicarsi con
grande cura agli studi letterari che dovette interrompere per la morte del padre, nella
necessità di occuparsi delle «faccende della casa et della mercatantia»20. Piero dun-
que «attese… alle lettere latine in modo che in quelle fece assai profitto e scrisse versi
ancora nell’ultima età; nelle lettere greche ancora s’essercitò, et era di tale ingegno
che in quello sarebbe stato eccellente se per le occupazione gli fussi stato lecito at-
tendervi. Fece anche versi in volgare molto buoni, et in prosa molto bene scrisse; e co-
minciava istoria de’ tempi sua, la quale lasciò imperfetta»21. Questa propensione per
gli studi e le lettere, evidentemente più riscontrabile nella famiglia dei Vettori che in
quella dei Rucellai, giustificherebbe meglio a mio avviso la complessa elaborazione
del programma figurativo dei due cassoni. Proprio esaminando questi due forzieri ci 8
rendiamo conto che i temi scelti erano ispirati con grande disinvoltura a testi antichi
(Erodoto, Valerio Massimo, etc.) e moderni (Boccaccio, ma anche Petrarca22), mo- prestigio culturale che sentiva necessari per rappresentare se stesso e i suoi; quelle
strando una grande libertà di rielaborazione. Le raffigurazioni istoriate nei cassoni in- immagini potevano sottendere anche una morale edificante, un messaggio che era
dicano come i temi e le immagini – figurativi e letterari – si mescolassero in infinite parte integrante di questi oggetti di moda; il tutto senza attingere a una cultura as-
contaminazioni, dettate dalle predilezioni culturali e dal gusto dei committenti. similata direttamente sui testi.
Ma i termini di una fortuna figurativa così imponente, che viaggiava su percorsi Anche se gli artisti più abili potevano conoscere i soggetti delle storie da illustrare
che prescindevano probabilmente anche dalle fonti scritte, restano a oggi ancora attingendo personalmente da florilegi e da compendi in volgare, di certo gli appren-
da indagare. Nel quotidiano uso delle botteghe spesso i cassoni, eseguiti in gran disti e gli artigiani, lavorando quotidianamente su questi temi, molto si avvalevano
numero, di per sé costituivano una variegata serie di manufatti da mostrare, per cui della tradizione orale. Ancora più essenziali per loro dovevano essere i modelli che
i clienti avevano sotto gli occhi un repertorio di combinazioni di forte impatto visivo circolavano nelle botteghe: bozzetti, disegni, miniature, modelli di disparato genere,
da cui prendere spunto per un forziere da far eseguire, o per scegliere direttamente copie disegnate, xilografie, almanacchi, oltre alla produzione più corsiva di arredi,
un oggetto già consono a ciò che si desiderava. Inoltre su un cassone quasi ulti- che veniva portata avanti quando non c’erano commissioni più importanti da seguire.
mato e di “produzione corrente” era sempre possibile apporre gli stemmi familiari Era probabilmente questa la base delle “invenzioni”, ossia delle composizioni che, ne-
personali. Era l’avvenenza delle immagini, la composizione – ossia l’invenzione – cessariamente, erano ispirate a una tradizione figurativa, legata quindi alle immagini
ad accattivare il cliente che vedeva espressi quei parametri di modernità, eleganza, più che alla tradizione testuale, se non indirettamente attraverso molte mediazioni.
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e quanto narrato nel poema da Petrarca: il poeta infatti descrive solo il Trionfo di
Amore, con dettagli sommari rispetto alla minuziosa serie di particolari che verrà ri-
presta nelle illustrazioni successive. In una lettera di Matteo de’ Pasti inviata nel 1441
a Piero de’ Medici, che gli aveva richiesto di miniare un codice dei Trionfi, l’artista
chiede al committente quali elementi preferisse per la composizione23. Sono gli anni
in cui ha inizio la fortuna figurativa del tema e la richiesta ci mostra come la descri-
zione del primo carro sia servita da “canovaccio” per l’invenzione degli altri cinque
e dei relativi cortei24. È evidente che a quella data ancora non esistesse un’icono-
grafia attestata e che gli illustratori dovevano far ricorso a tradizioni figurative note
per “allestire” la composizione arricchendola di attributi opportuni in base a una
pretesa “pertinenza simbolica”; così per gli animali da traino furono scelti casti uni-
corni nel Trionfo di Castità, lugubri bufali nel Trionfo della Morte, longevi elefanti per
quello della Fama e via dicendo25. Un’ultima notazione è che lo schema iconogra-
9 fico dei Trionfi non può essere legato alle indicazioni del testo letterario perché pre-
senta una diversa tipologia compositiva nelle raffigurazioni dei carri, talvolta anche
Ne sono riprova alcune intricate tangenze che mostrano l’ambivalente commi- nella medesima sequenza: essi possono essere visti secondo uno schema frontale, op-
stione di vari elementi: nel caso dei Trionfi, genericamente ritenuti dettati dall’opera pure di profilo, o in fine in diagonale, quando il carro è di tre quarti (si vedano le fi-
letteraria di Petrarca, assistiamo infatti a un vero busillis. Petrarca compose il poema gure 1a-b nel saggio di Andrea Staderini, qui in catalogo). Come ha notato Antonio
allegorico in versi tra il 1350 e il 1374, anno della sua morte, con continui ripen- Pinelli «la varietà degli schemi è la spia più vistosa delle ramificate ed eterogenee ra-
samenti e lasciandolo inconcluso. Sotto forma di sogno il poeta assiste alla visione dici di questa serie iconografica»26.
del carro trionfante di Amore, seguito da un corteo di personaggi storici e mitici, Una di queste è riscontrabile nel Trionfo della Fama, la cui rappresentazione pare
vinti da tale passione. A questa prima visione fa seguito una seconda, in cui è mutuata da una celebre serie di miniature che fanno da frontespizio al De viris illu-
Laura a sedere sul carro nelle vesti di Castità, anch’essa con un seguito di figure stribus di Petrarca in alcuni manoscritti veneti databili tra il 1379 e il 1400. Il primo
allegoriche. Segue un combattimento in cui Laura-Castità vince Amore; ma so- di essi (1379), conservato a Parigi, scritto da Lombardo della Seta, l’allievo di Pe-
praggiunge il Trionfo con la Morte, che avrà la meglio su Castità, che a sua volta trarca che portò a termine l’opera incompiuta del maestro27, presenta la miniatura del
sarà vinta dalla Fama, col suo corteo di Uomini Illustri. Tale schema prosegue con Trionfo della Gloria [Fig. 7] in cui, sotto l’aspetto di una donna alata, la Gloria ap-
la Fama vinta dal Tempo e questo, infine, sarà sconfitto dall’Eternità, impersonata pare in cielo su una biga al di sopra di un corteo di cavalieri che la attorniano, e
dalla mistica visione di Dio. getta loro corone di alloro: «…infra gran gente / donna pareva lì leggiadra e pura.
Il tema dei sei Trionfi avrà una grande fortuna figurativa sui forzieri istoriati e nei / Tutti li soprastava veramente, / di ricche pietre coronata e d’oro, / nell’aspetto ma-
codici miniati solo a partire dagli anni ’40 del Quattrocento, quindi con una cesura gnanima e possente. / Ardita sopra un carro tra costoro / grande e trionfal lieta
di oltre cinquant’anni rispetto alla stesura dell’opera. Un altro aspetto singolare re- sedea, / ornato tutto di frondi d’alloro»28. Due geni alati cavalcano i destrieri che ti-
lativo a questo tema è che non vi è una derivazione diretta tra l’invenzione figurativa rano il carro, mentre altri volteggiano suonando la tuba. Nel secondo manoscritto,
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9. Bottega di Altichiero, probabilmente databile attorno al 138829, il Trionfo della Glo-
Trionfo della Gloria,
c. 1340. ria è sempre il frontespizio del De viris di Petrarca, ma in una di-
Darmstadt, Hessische
Landesbibliothek, versa redazione latina [Fig. 8]. La personificazione della Gloria
ms. Ital. 101.
è sempre alata, sempre su un carro frontale tirato da bianchi de-
10. Apollonio di Giovanni, strieri, ma l’immagine è compresa in una sorta di mandorla o,
Trionfo della Fama,
c. 1460. meglio, in un cerchio: «a sesta / un cerchio si movea grande e
Firenze, Biblioteca
Riccardiana, ritondo / da’ piè passando a lei sopra la testa. / Né credo che
ms. 1129, c. 33r.
sia cosa in tutto ’l mondo / villa, paese, dimestico o strano /
che non paresse dentro da quel tondo»30. Nella miniatura tut-
t’intorno svolazzano i genietti alati con le tube, e al di sotto si ac-
calcano i cavalieri, incoronati d’alloro. Ai lati e al di sopra della
mandorla che recinge il carro allegorico si legge «Gloria» («Era
sopra costei, e non invano / scritto un verso che dicea leggendo:
/“Io son la Gloria del popol mondano”»)31. L’ultima miniatura è
il frontespizio della versione volgare di Donato degli Alban-
zani32; è di qualità inferiore e presenta alcune varianti: la Glo-
ria non ha ali né corone d’alloro, ma con la destra impugna una
spada e con la sinistra sostiene un genietto alato: «Mirando que-
sta gente in man tenea / una spada tagliente, con la quale / che
il mondo minacciasse mi parea. / Il suo vestire a guisa impe-
riale / era, e teneva nella man sinistra / un pomo d’oro, e ’n
trono alla reale / vidi sedeva»33.
I tre frontespizi miniati sono pertinenti al contenuto generale
del De viris che parla di uomini famosi, ma in realtà non illu-
strano i passi dello scritto petrarchesco: il Trionfo della Gloria
trae invece precisa ispirazione da un altro poema allegorico,
l’Amorosa visione di Boccaccio. Composto attorno al 1342, in
quest’opera l’autore immagina di essere condotto in sogno da
una donna in un castello, sulle cui pareti sono dipinti tre Trionfi,
uno dei quali è quello della Gloria. La descrizione di questo
trionfo corrisponde alla raffigurazione delle miniature pado-
vane, in particolare a quella di Darmstadt [Fig. 9]. La Gloria 10
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«possente» siede su un carro trionfale circondata da Uomini Illustri, nella destra tiene Le opere sopra menzionate confermano il diverso e continuo alternarsi degli ele-
la spada e nella sinistra una mela d’oro. A spiegare il genietto nella mano nella Glo- menti che così variamente abbiamo visto costituirsi, dipendenti da un modello figu-
ria nel codice di Darmstadt ci soccorre la Shorr che propone una soluzione al mistero: rativo o da una fonte letteraria, correttamente o scorrettamente intesa. Questa
la studiosa suppone un errore di lettura per cui «pomo d’oro» sia stato letto «homo continua ripresa e rielaborazione di elementi nella raffigurazione dei temi è forse
d’oro» e quindi reso figurativamente come tale34. l’aspetto più affascinante perché rende palpabile la vitalità e la libertà con cui si
È dunque sicuro il nesso tra le miniature che fanno da frontespizio al De viris di dava espressione e significato a queste immagini. Una vitalità e una libertà che
Petrarca e l’Amorosa visione di Boccaccio. Tralascio ovviamente la questione – tut- traeva spunto da tutti gli elementi del quotidiano, in una città che viveva la riscoperta
tavia in tema col nostro iniziale dilemma – di una possibile dipendenza di questo degli antichi e dei grandi nelle cerimonie pubbliche, nelle feste, nelle chiese e anche
Trionfo della Gloria da un’opera perduta di Giotto, rammentata dalle fonti, che raf- negli angoli più segreti delle dimore.
figurava la Gloria mondana, da cui le stesse miniature potrebbero avere preso Come è stato detto39, fin dal Trecento Firenze era diventata la città-guida nel campo
spunto35. Ciò che mi preme sottolineare è come l’invenzione del Trionfo della Glo- degli allestimenti effimeri, come del resto, nel campo della pittura, dei carri trionfali;
ria, frontale, compreso nel «cerchio», e con genietti alati, o cupidi, o pomi d’oro, quest’interesse acquista un primato del tutto particolare quando alcuni scritti del-
abbia costituito il modello per la tradizione figurativa del Trionfo della Fama in molte l’epoca, in modo indiretto o apertamente, sottolineano il parallelismo tra i Trionfi an-
opere, tra cui deschi e cassoni. tichi e la festa per eccellenza, quella dedicata a san Giovanni, protettore della città.
A Firenze questa iconografia ricorre nel manoscritto, miniato da Apollonio di Gio- Quanto tale opinione dipendesse dalle suggestioni campanilistiche per rivendicare le
vanni attorno agli anni ’60 del Quattrocento, con i Trionfi del Petrarca36 [Fig. 10]. Nel antiche e nobili origini di Firenze, e quanto invece dovesse a una tradizione ancora
frontespizio ritroviamo il cerchio coronato da tube che accoglie la figura allegorica viva, non è possibile dire in questa sede, ma certo è che le celebrazioni pubbliche
assisa su un trono. Al di sopra, tra due ali, si legge «Gloria mundi»: ha nella destra erano vissute dall’intera comunità e costituivano forme privilegiate di recezione e di
la spada e nella sinistra un genietto alato, e sotto di lei si accalcano numerosi Uomini spettacolarizzazione, per cui un’immagine non si costituiva più necessariamente su
Illustri, da Ercole a Scipione, da Aristotile a Virgilio. Questa miniatura è elemento de- una fonte scritta ma, paradossalmente, poteva divenire lo spunto per la rivalutazione
sunto da quella tradizione figurativa costituitasi alle soglie del Quattrocento nei co- di un testo letterario.
dici della corte dei da Carrara e che si sviluppò negli anni ’40, con i sei Trionfi dello Con quest’ultima considerazione vorrei riprendere una questione lasciata in so-
stesso Apollonio 37
del 1442, o con lo splendido desco da parto dello Scheggia ese- speso, e che purtroppo non troverà in questa sede una soluzione definitiva. Mi riferi-
guito per le nozze Medici-Tornaquinci attorno al 144838. Sul recto del desco è raffi- sco a quello scarto di oltre cinquant’anni che separa la stesura dei Trionfi petrarcheschi
gurato il Trionfo della Fama [cat. 25] in cui una giovane donna vestita di bianco dalla straordinaria fioritura del tema su tavole e cassoni. Sulla scia dell’uso del termine
domina la scena dall’alto, in piedi su un carro a forma di globo dalle cui piccole aper- «trionfale» nelle parole di Goro Dati quando descrive la festa di san Giovanni40, o il
ture bordate di rosso escono esili tube alate. La donna ha grandi ali variopinte e il parallelo esplicito di Flavio Biondo per la stessa festa con i Trionfi romani antichi41,
capo incorniciato da un nimbo ottagonale, come si deve alle personificazioni. È a viene fatto di ricordare il Trionfo celebrato nel 1459 a Firenze in onore di Pio II42, o la
piedi nudi e a braccia aperte; nella destra ha la spada, nella sinistra un piccolo cu- sfilata per il Duca di Montefeltro del 147143, per sottolineare una volta di più la con-
pido bendato che sta per scoccare il suo dardo. Sotto di lei fanno circolo numerosi taminazione di vari elementi per l’elaborazione di significati commisurati alla loro frui-
guerrieri, molti con armature, che la omaggiano con il saluto romano. E dietro uno zione pubblica, nonché alla necessità di inventare immagini − effimere o dipinte − che
splendido e sinuoso paesaggio di monti, boschi e un golfo marino. li trasmettessero con efficacia.
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Al di là dell’interesse per i Trionfi mostrato da Piero de’ Medici negli anni ’40, lo discontinuo, con rimandi e citazioni, si costituiva con ricchezza e varietà. Non pos-
stesso uso del termine «trionfale» nelle parole dei contemporanei mi paiono un signifi- siamo quindi escludere che la grande fortuna figurativa dei Trionfi, ispirati che fossero
cativo indizio di come la cultura letteraria del “classici” antichi e moderni fosse vissuta alle opere di Petrarca o di Boccaccio, abbia determinato la rivalutazione successiva di
visceralmente nel quotidiano, come il saluto romano dei cavalieri alla Gloria nel desco un poema altamente simbolico, che al tempo stesso lasciava spazio all’estro degli arti-
da parto dello Scheggia. In questo senso ogni aspetto della cultura, anche se in modo sti di esprimere con le immagini una fantasiosa e allusiva trasfigurazione della realtà.
Per le vivaci discussioni, per l’amicizia e il prezioso aiuto desidero ringraziare Eliana Carrara, Francesca de 18
Su Piero di Francesco Vettori: DEVONSHIRE JONES 1972, pp. 1-9; KENT 1977, pp. 96-99;
Luca, Carlo Falciani, Valerio Pacini, Anna Padoa Rizzo, Giovanni Pagliarulo, Daniela Parenti, Cristina Reggioli, BÖNINGER 2003, pp. 143-151.
Massimiliano Rossi, Olivier Rouchon e Andrea Staderini. 19
Vita di Piero Vettori, BNCF, ms. Landau Finaly 74, cc. 2r-4v, pubblicato in VETTORI 1972, pp.
249-257.
1
FIRENZE 1883, pp. 15-16, dove si dice che i cassoni provenivano da Villa La Magia presso Fi- 20
VETTORI 1972, pp. 249.
renze. 21
Ibidem.
2
Il pannello principale (cm 40 x 153) si trova a Oberlin (Ohio), Allen Memorial Art Museum 22
Nel Trionfo della Fama (II, 25-36) Petrarca evoca le guerre persiane e l’esaltazione di Cimone
(inv. n. 43.239). Per questo e per le altre parti dei cassoni si vedano: ROSSI 1999, pp. 157-158 e di Temistocle e nelle Rime (XXVIII, 91-102) ricorda le gesta di Serse e la battaglia di Salamina.
e le schede pp. 208-210; WATSON 1979-1980, pp. 3-25; CALLMANN 1974, pp. 20-21; 56-57; 23
GILBERT 1988, pp. 29-31.
61-62; GOMBRICH 1973, p. 18 e sgg.; CALLMANN 1995, pp. 39-40. 24
SHORR 1938, pp. 100-103.
3
Il pannello (cm 40 x 153), già Collezione Wittmann, fu distrutto durante la seconda guerra mon- 25
SHORR 1938, p. 107; PINELLI 1985, pp. 301-302.
diale; si veda ROSSI 1999, pp. 208-210. 26
PINELLI 1985, p. 302.
4
BALDASSARRI 1999, pp. 210-211. 27
Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. Lat. 6069 F; SHORR 1938, pp. 103-104; CARADENTE 1963,
5
GOMBRICH 1973, pp. 18-42; il contributo uscì nel 1955. p. 24 e sgg.; GILBERT 1977, p. 59 e sgg.; PINELLI 1985, pp. 297-299; ma anche RICHARDS 2000,
6
BOCCACCIO, De casibus virorum illustrium, III, 6. pp. 123-134.
7
WATSON 1979-1980, pp. 3-25. 28
BOCCACCIO, Amorosa visione, VI, 47-54 (cit. in BOCCACCIO ed. 1944, p. 37).
8
BOCCACCIO, Teseida II, 25-49; V, 64-82; VIII, 89-110; IX, 1-9. 29
Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. Lat. 6069 I; SHORR 1938, pp. 103-104; GILBERT 1977, p.
9
Ad esempio la presenza di Pericle che nelle cronache universali è spesso ritenuto contempo- 59 e sgg.; PINELLI 1985, pp. 297-299; RICHARDS 2000, pp. 123-134.
raneo di Serse. La personalità di Apollonio di Giovanni meriterebbe maggiore attenzione per ciò 30
BOCCACCIO, Amorosa visione, VI, 67-72 (cit. in BOCCACCIO ed. 1944); SHORR 1938, pp. 103-104.
che riguarda la sua cultura figurativa e letteraria, forse legata a un circolo di umanisti: GOMBRICH 31
BOCCACCIO, Amorosa visione, VI, 73-75 (cit. in BOCCACCIO ed. 1944).
1973, p. 31 e sgg. 32
Darmstadt, Landesbibliothek, ms. Ital. 101; SHORR 1938, pp. 103-104; GILBERT 1977, p. 59 e
10
Watson e Gombrich legano invece il significato ultimo di questa commissione a una rievo- sgg.; PINELLI 1985, pp. 297-299; RICHARDS 2000, pp. 123-134.
cazione della caduta di Costantinopoli (1453); GOMBRICH 1973, p. 36; WATSON 1979-1980, 33
BOCCACCIO, Amorosa visione, VI , 55-61 (cit. in BOCCACCIO ed. 1944).
pp. 21-22. 34
SHORR 1938, p. 104.
11
Sulla pittura di storia si veda GUERRINI 1985, pp. 43-93; in particolare su Erodoto si vedano: 35
Su questo, cfr. GILBERT 1977, pp. 31-72.
SABBADINI 1967, I, pp. 47-49; e WATSON 1979-1980, p. 8. 36
BRF, ms. 1129, c. 33r; databile tra il 1459 e il 1461; CALLMANN 1974, p. 58, n. 13.
12
ROSSI M. 1999, p. 154. 37
BMLF, ms. Pal. 72, c. 84r; CALLMANN 1974, pp. 11-14; n. 2, pp. 52-53.
13
BEC 1984; CIAPPELLI 1989 con bibliografia precedente. 38
MUSACCHIO, in NEW YORK 2008, pp. 154-156.
14
Per lo Zibaldone si veda Giovanni Rucellai 1960 e più in generale Giovanni Rucellai 1981. 39
PINELLI 1985, pp. 281-350; VENTRONE 1992, pp. 21-53; VENTRONE 2009, pp. 23-47.
15
Per la redazione dello Zibaldone e per il commento dell’opera si vedano: PEROSA 1960 e 40
DATI 1735, VI, pp. 84-89; PINELLI 1985, p. 314 e sgg.
PEROSA 1981. 41
BIONDO 1511, pp. 3, 233; PINELLI 1985, p. 308 e sgg.
16
PEROSA 1981, pp. 111-120. 42
SCAPECCHI 1983, pp. 71-76; PINELLI 1985, p. 306.
17
PEROSA 1960, pp. 3-19; 139-143. 43
PINELLI 1985, p. 328; VENTRONE 1992, pp. 21-53.
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