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1. Chanson espagnole (in dialetto galiziano): Adios men homino - Andantino (si
bemolle maggiore)
2. Chanson française (in dialetto limosino): Janeta ount anirem gardar - Allegretto
(do maggiore)
3. Chanson italienne (in lingua italiana): M'affaccio alla finestra - Largamente, quasi a
piacere, portando le note (mi bemolle maggiore)
4. Chanson hébraique (in lingua yiddish): Mejerke, main Suhn - Allegro moderato
(mi minore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: Parigi, inizio 1910
Prima esecuzione: Parigi, 1910
https://www.youtube.com/watch?v=f9gw7p3fpJ0
https://www.youtube.com/watch?v=MQNWfvXrzb4
Versione per orchestra
1. Prélude à la nuit - Très modéré (la minore)
2. Malaguena - Assez vif (la minore)
3. Habanera - Assez lent et d'un rythme las (fa diesis minore)
(arrangiamento per orchestra dell’Habanera scritta nel 1895)
4. Feria - Assez animé (do maggiore)
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto
basso, 3 fagotti, sassurrofono o controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba,
timpani, grancassa, piatti, triangolo, tamburello, castagnette, tamburo militare, tam-tam,
xilofono, celesta, 2 arpe, archi
La carriera musicale di Ravel fu fortemente segnata dall'interesse per il colore locale, per
l'esotico e per quei caratteri musicali poco noti o addirittura sconosciuti in Occidente.
Una curiosità raffinata che aveva spinto Ravel ad assumere nel suo linguaggio le
movenze del jazz negro-americano, o giavanesi (il «Pantoum» del «Trio») o le inflessioni
dei canti popolari greci o ebraici; o ad arricchirlo di suggestioni remote e favolose (le
«Chansons madécasses» e «Asie» da «Shéhérazade»).
Senza alcun atteggiamento documentario, ma con il gusto della contraffazione del reale
che per l'intellettuale novecentesco è più autentica della verità oggettiva.
Straordinaria era stata la suggestione esercitata dalla Spagna sulla fantasia degli uomini di
cultura francese: fin dai primi decenni del Romanticismo, essa era stata la terra ideale
delle passioni, dei sogni e delle fughe, popolata di figure emblematiche.
Ravel scrisse l'«Habanera» per due pianoforti nel 1895: siamo di fronte a una pagina di
magistrale fattura, pur nella sua concisione, di stupefacente novità di scrittura armonica,
di una miracolosa originalità di accenti.
Il ritmo della danza spagnola viene enunciato più volte senza che emerga su di esso il
disegno melodico; quasi una riduzione dello 'spagnolismo' a pura ossatura ritmica.
E quando compare il canto, è appena un cenno: non ha ancora quella tipica lunghezza
delle melodie di certi adagi del Ravel maturo. Ne risulta una Spagna asciutta, vigorosa,
quasi dominata da uno strano senso di pudore; come se qualcosa dello spirito basco di
Ravel fosse intervenuto ad attenuare inflessioni e colori di uno spagnolismo turistico.
L'infanzia evocata da Ravel in Ma Mère l'Oye è quella serena, fantastica, fiabesca ma anche
quella delle angosce puerili, spaventata, impotente. All'interno della raccolta si va dunque
da pagine innocenti come Pavane o Laideronnette ad altre inquietanti come Les entretiens de
la Belle et de la Bète o Le Jardin féerique; Petit Poucet, in fondo, segna il momento mediano,
quello della favola che diventa racconto pauroso, in bilico tra angoscia e avventura, con
le sue semplici scale ascendenti che si fanno sempre più lunghe ed importanti a suggerire
lo smarrimento del bimbo di fronte ad una foresta troppo complicata da decifrare senza
briciole di pane.
L'ambiguità dello sguardo rivolto al mondo infantile si riflette nella scrittura orchestrale,
estremamente raffinata, piegata ad annotare con precisione gli effetti timbrici desiderati
anche in brevi brani apparentemente innocenti: il peso di ogni nota nell'insieme è
calcolato con grande accuratezza, non c'è un raddoppio ingiustificato, non un amalgama
che non dia risultati estremamente preziosi.
La genesi di Ma Mère l'Oye è risaputa: Ravel compose l'originale partitura per pianoforte a
quattro mani nel 1908, in omaggio a Mimie e Jean, figli degli amici Godebski. Mimie,
adulta, ha rievocato la consuetudine del musicista amico di famiglia, che era solito
prenderla sulle ginocchia per narrarle di Laideronnette, della Bella e della Bestia e di un
topo regolarmente triste.
La Pavane racconta della Fata Benigna che culla il sonno della principessa. Lo
stratagemma usato da Ravel per accrescere l'aura di mistero è l'uso del modo eolico che,
privo della risoluzione della sensibile sulla tonica, mantiene costantemente sospeso lo
srotolarsi della melodia.
In Petit Poucet (dalla favola di Perrault riassunta, come le altre, in epigrafe sulla partitura),
oltre allo smarrimento del protagonista, è divertente ascoltare gli appelli degli uccellini.
Laideronnette è segnata dall'orientalismo del modo pentatonico, che diventa subito
potentemente evocativo. L’imperatrice d'un'esotica terra di sogno, si spoglia per il bagno
e prodigiosamente si ode tutto un esile e fantastico tintinnare di mille piccoli strumenti
irreali.
La vicenda de La Belle et la Bète è ridotta all'osso, ad una sorta di dialogo amoroso nel
corso del quale la Bella finisce per cedere alle suppliche della Bestia. Il vero volto
dell'affascinante principe prenderà forma quando un glissato farà dissolvere
l'incantesimo.
Nel Jardin féerique il principe azzurro ha risvegliato con un bacio la principessa
addormentata, e tutto un paese di meraviglie sonore si unisce dunque al gaudio,
esultando.
MIROIRS (1904-05)
1. Noctuelles - Très léger (re bemolle maggiore)
Dedica: Leon-Paul Fargue
2. Oiseaux tristes - Très lent (mi bemolle minore)
Dedica: Ricardo Viñes
3. Une barque sur l'océan - D'un rythme souple (fa diesis minore)
Dedica: Paul Sordes
4. Alborada del gracioso - Assez vif (re minore)
Dedica: M. D. Calvocoressi
5. La vallée des cloches - Très lent (do diesis minore)
Dedica: Maurice Delage
Intorno al 1902, Maurice Ravel, allora ventisettenne, entrò a far parte del gruppo di
artisti - pittori, scrittori, musicisti - che ogni settimana, al sabato sera, si riuniva nello
studio parigino di Paul Sordes, un pittore appassionato di musica. Del gruppo facevano
parte Leon-Paul Fargue, Ricardo Vines, Michael Dimitri Calvocoressi, Léon Leclère (più
noto con lo pseudonimo di Tristan Klingsor), Maurice Delage, la cui casa divenne in
seguito la sede delle riunioni. «Ravel - ha scritto Fargue - aveva i nostri stessi gusti, la
nostra stessa follia per l'arte cinese, per Mallarmé e Verlaine, Rimbaud e Corbière,
Cézanne e Van Gogh, Rameau e Chopin, Whistler e Valéry, i Russi e Debussy»; entusiasti
della musica di Debussy, non perdevano una rappresentazione del Pelléas. Ad ogni
riunione del gruppo ognuno presentava agli altri il frutto del proprio lavoro settimanale:
«una sera - ricorda ancora Fargue - in un silenzio da cospirazione Maurice Ravel ci fece
ascoltare la prima esecuzione della sua Pavane e di Jeux d'eau».
E' in questo ambiente di artisti un po' folli che presero forma diversi lavori pianistici di
Ravel, come la Pavane, Jeux d'eau, la Sonatine e Miroirs; anzi, ciascuno dei cinque brani
di Miroirs - composti tra il 1904 e il 1905 ed eseguiti per la prima volta in pubblico da
Ricardo Vines alla Salle Erard il 6 gennaio del 1906 - è addirittura dedicato a uno degli
amici del gruppo degli Apaches: Noctuelles a Leon-Paul Fargue, Oiseaux tristes a Ricardo
Vines, Une barque sur l'océan a Paul Sordes, Alborada del Gracioso a Michael Calvocoressi, La
Vallèe des cloches a Maurice Delage.
Anche se personaggi molto vicini a Ravel e alla sua opera come Marguerite Long, Vlado
Perlemuter e Alfred Cortot hanno concepito questi brani come «intensamente descrittivi
e pittorici», «pittura diretta che si allontana sempre più dal simbolismo di Debussy» ed
esempi «di un'arte descrittiva», sembra oggi molto più appropriato accostarsi a loro
attribuendo ai loro titoli una funzione evocativa, come ha fatto Enzo Restagno: «se si
eccettua Une barque sur l'océan tutta presa, nei grandi arpeggi della mano sinistra, da una sorta di
impeto descrittivo, tutti gli altri brani esibiscono un carattere misterioso che proietta ombre metafisiche».
Con l'eccezione della giovanile Habanera per orchestra (1895), l'Alborada del gracioso è il
primo titolo spagnolo dell'opera di Ravel.
"Alborada", termine corrispondente al francese "aubade" e all'italiano "mattinata", è una
mattutina chitarrata d'amore in forma di serenata d'antica origine, probabilmente
galiziana, riconducibile forse alla pratica trovadorica.
Il "Gracioso", a sua volta, è un personaggio buffo della commedia tradizionale spagnola
di Calderon e di Lope de Vega.
Effetti timbrici precisi – in particolare un’asciuttezza di tocco che sta a metà tra uno
staccato e un martellato rende a meraviglia l'effetto delle strappate alle corde metalliche
della chitarra, il crepitio ostinato delle nacchere.
L'Alborada del gracioso fu trascritta dall'autore per orchestra nel 1918 ed eseguita per la
prima volta il 17 maggio 1919.
La scrittura strumentale, nella sua connotazione virtuosistica, appare assai complessa ed
elaborata sia nell'organico prescelto (con xilofono, due arpe, tre timpani, percussioni,
crotali, nacchere, archi) sia nella ricerca, portata all'estremo, degli impasti timbrici, anche
nell'articolazione degli archi. L'esito è una partitura di diabolica brillantezza e di
virtuosismo di scrittura non meno che sensazionale, tale da esaltare alla valenza più
elevata tutte le risorse più smaglianti di una compagine sinfonica moderna, nonché la
sensibilità, l'intelligenza e l'estro di un direttore carismatico.
Organico: pianoforte
Composizione: 1914 - 1917
Prima esecuzione: Parigi, 1919
Trascrizione per orchestra
1. Prélude - Vif (mi minore)
2. Forlane - Allegretto (mi minore)
3. Menuet - Allegro moderato (mi minore)
4. Rigaudon - Assez vif (do maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, tromba, arpa,
archi
Composizione: giugno 1919
Prima esecuzione: Parigi, 1920
Trascrizione per balletto
1. Forlane - Allegretto (mi minore)
2. Menuet - Allegro moderato (mi minore)
3. Rigaudon - Assez vif (do maggiore)
RAVEL E DEBUSSY
In realtà Ravel, pur sfiorando il mondo incantato di Debussy, ha sempre battuto vie
diverse, sia nell'aspetto armonico sia nel versante espressivo, nonché nella scrittura
strumentale. Del tutto estraneo al retaggio romantico, e anche a Wagner, Ravel
giovanissimo orientò le sue predilezioni a Chabrier e Satie e, oltre a questi, ai
clavicembalisti francesi del Seicento e Settecento.
PELLÉAS ET MÉLISANDE
Dei protagonisti non si sa niente di preciso se non che il vecchio re Arkel ha un figlio
malato che non si vede mai e non si sa dove sia. Geneviève, la madre dei due nipoti
di Arkel, Golaud e Pelléas, è quasi priva di contorni e appare solo fugacemente nella
seconda e nella terza scena del primo atto. Mélisande è una sconosciuta: non si sa da
dove viene, né cosa stia facendo; sposa Golaud (il quale l'aveva trovata piangente in
una foresta in cui ambedue si erano perduti), ma ama Pelléas. Golaud, marito geloso,
uccide Pelléas e provoca, forse indirettamente, anche la morte di Mélisande. I
protagonisti si perdonano reciprocamente delle colpe che non si sa se abbiano
realmente commesso. Si sa solo che avranno subito «la vita e la sorte» come, dopo di
loro, toccherà alla bambina che Mélisande mette alla luce morendo.
Personaggi
Atto I. - Scena I. Una foresta nel fantastico regno d'Allemonde. Golaud, nipote del re
Arkèl, si è smarrito in una fitta foresta e qui incontra, ai bordi di una fontana, una
misteriosa fanciulla, che afferma di essere fuggita da una terra lontana e di chiamarsi
Mélisande; all'invito di lui, di recarsi alla reggia, essa, come trasognata, segue i suoi
passi.
Atto I. - Scena II. Una stanza del castello. Golaud teme l'opposizione del sovrano al
suo proposito di sposare Mélisande; ma sarà il fratellastro Pelléas, accendendo una
fiaccola sulla torre più alta del Castello, a comunicargli l'assenso di Arkèl.
Atto I. - Scena III. Mélisande frattanto non riesce il dissimulare la tristezza che la
opprime; si confida con Geneviève, madre di Golaud, che cerca di rasserenarla e
l'affida a Pelléas con il quale andrà il vegliare Yniold, il figlio adolescente che
Golaud ha avuto dalla prima moglie.
Atto II. - Scena I. Una fontana nel parco del castello. Pelléas e Mélisande si
avvicinano ad una fontana e la fanciulla ricorda l'incontro con Golaud che oggi è suo
sposo. Lancia poi in aria l'anello nuziale, che scivola nell'acqua; il dono del marito
non potrà più essere recuperato.
Atto II - Scena II. Golaud giace ferito nel suo letto in seguito ad una caduta da
cavallo; è assistito amorevolmente dalla giovane sposa, che improvvisamente scoppia
in lacrime. Golaud l'attira dolcemente a sé e così si accorge che al suo dito manca
l'anello. Alle domande di lui Mélisande afferma di averlo smarrito sulla riva del mare
ed accetta l'invito a tentare di recuperarlo, facendosi però, data l'ora tarda,
accompagnare da Pelléas.
Atto II. - Scena III. I due giovani, alla ricerca dell'anello, si ritrovano all'ingresso di
una grotta, al cui interno scorgono tre mendicanti addormentati; Mélisande resta
fortemente impressionata e si allontana sconvolta.
Atto III. - Scena I. Ad una finestra del castello Mélisande si intrattiene con Pelléas;
ella sta ravviando i suoi biondi e lunghi capelli che improvvisamente si riversano e si
avvolgono intorno a Pelléas, che li afferra e li sfiora con le labbra. Sopraggiunge
Golaud; rimprovera i due per l'atto infantile compiuto e poi si allontana turbato ed in
preda a foschi pensieri.
Atto III. - Scena II. I sotterranei del castello. Pelléas avverte nel suo animo un
indefinibile senso di angoscia sin quando, nei sotterranei, si trova in pericolo di
precipitare nell'acqua cupa e stagnante e viene trattenuto da Golaud.
Atto III. - Scena III. Una terrazza. Golaud, il quale comincia a nutrire più di un
sospetto, avverte Pelléas che Mélisande sarà presto madre e che anche la più piccola
emozione potrebbe nuocerle.
Atto III. - Scena IV. La gelosia ora si impadronisce dell'animo di Golaud, che
chiama a sé Yniold per conoscere da lui la verità; ed il fanciullo rivela che spesso
Pelléas e Mélisande si trovano insieme e che un giorno, durante un violento uragano,
vide i loro volti sfiorarsi. Anche ora, sforzando lo sguardo, scorge Pelléas nella stanza
di Mélisande: entrambi, come trasognati si volgono verso la luce.
Atto IV. - Scena I. Pelléas sta per intraprendere un lungo viaggio e Mélisande
accoglie il suo desiderio di incontrarla un'ultima volta; Golaud frattanto, convinto
ormai della colpevolezza della sposa, l'afferra per i lunghi capelli e la getta a terra. Il
re Arkél accorre in aiuto di Mélisande e le chiede se il nipote sia ebbro. "No. Ma non
mi ama più", risponde la donna.
Atto IV. - Scena II. Una fontana nel parco. Yniold cerca una biglia d'oro che ha
perduto; il passaggio di un gregge e del pastore lo mette in angoscia. Mélisande si
avvia all'incontro con Pelléas, nel parco; e qui i due vengono sorpresi da Golaud che,
con la spada in pugno, si precipita su Pelléas, colpendolo a morte. Egli si avventa poi
su Mélisande che, sebbene ferita, riesce a fuggire verso la vicina foresta.
Atto V. - Una camera nel castello. Mélisande, nella sua stanza, si risveglia da un
sonno profondo; la lieve ferita, ma ancora più la recente maternità, l'hanno oltremodo
spossata. Non risponde alle ripetute richieste di Golaud, che vuol sapere se vi fu
colpa nel suo legame con Pelléas; comincia poi a delirare e a piangere, quindi si
spegne dolcemente. Accanto ad essa Golaud turba con i suoi singhiozzi soffocati il
silenzio della morte.
CLAUDE DEBUSSY (1862-1918)
Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 arpe, crotali,
archi
NOCTURNES
Trittico sinfonico per coro femminile e orchestra
1. Nuages (Nuvole)- Modéré (si minore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, timpani,
arpa, archi
2. Fètes (Feste)- Animé et très rythmé (fa minore)
Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3
trombe, 3 tromboni, basso tuba, 2 arpe, timpani, piatti, tamburo militare, archi
3. Sirènes (Sirene)- Modérément animé (si maggiore)
Organico: 3 flauti, oboe, corno inglese, clarinetto, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe,
2 arpe, archi
Composizione: 1897 - 1899
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 27 ottobre 1901
I "Trois Nocturnes pour Orchestre", composti nel 1899, costituiscono il primo grande
trittico orchestrale di Claude Debussy. Sui Nocturnes Debussy scrisse questo testo di
presentazione:
«Il titolo Nocturnes vuole assumere qui un significato più generale e soprattutto più
decorativo. Non si tratta dunque della forma abituale del Notturno, ma di tutto ciò
che la parola contiene di impressioni e di luci particolari. Nuages: è l'aspetto
immutabile del cielo con la lenta e malinconica processione delle nuvole, che termina
in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco. Fétes: è il movimento, il ritmo
danzante dell'atmosfera con bagliori di luce improvvisa, è anche l'episodio di un
corteo (visione abbagliante e chimerica) che passa attraverso la festa e vi si
confonde; ma il fondo rimane, ostinato, ed è sempre la festa con la sua mescolanza di
musica, di polvere luminosa, che partecipa a un ritmo totale. Sirènes: è il mare e il
suo ritmo innumerevole, poi, tra le onde argentate di luna, si ode, ride e passa il
canto misterioso delle sirene».
Il titolo, dunque, ha un significato non tradizionale, e vuole evocare «impressioni e
luci particolari»: non si allude più ad alcuna «azione», nemmeno a quella incerta,
sospesa fra sogno e realtà, delle voluttuose fantasie del fauno. All'ascoltatore non
viene proposto né un «programma» né un riferimento formale noto: si suggerisce una
dimensione senza luogo e senza tempo, in una luce incerta come quella del
crepuscolo. Si può capire l'irritazione di Vincent D'Indy quando lamentava
l'impossibilità di inserire i Nocturnes in una categoria tradizionale:
«Sonata. Niente affatto... Suite. Neppure. Poema sinfonico. Nonostante i titoli...,
nomi assai vaghi, nessun programma letterario, nessuna spiegazione di ordine
drammatico può autorizzare i mutamenti improvvisi di tonalità e le escursioni
tematiche piacevoli, ma non coordinate di questi tre pezzi...».
In Nuages non c'è davvero più traccia di percorsi che conducono da un punto a un
altro secondo una logica discorsiva, che «tendono» a un punto d'arrivo o a un
culmine. In un tempo musicale che acquista un significato nuovo, la forma appare
costruita, per così dire, con il movimento di superfici sonore dai colori cangianti,
dalle mutevoli sfumature timbrico-armoniche. La tripartizione che si coglie anche a
un semplice primo ascolto non ha nulla a che vedere né con uno schema esposizione-
sviluppo-ripresa né con altri tipi di forme legate alla successione ABA'. Nuages inizia
con un andamento quieto: sonorità grigie e vuote sono evocate da clarinetti e fagotti
con un andamento ostinato che si interrompe quando per la prima volta il corno
inglese intona il tema principale, che non conoscerà mai sviluppo, e riapparirà ogni
volta quasi identico a se stesso, oggetto solo di piccole, ma raffinatissime varianti.
Fétes presenta una tripartizione nettamente riconoscibile, fondata su una molteplicità
di elementi, su una mobilità e una varietà lontane dalla sospesa stupefazione di
Nuages. In un flusso continuo, in un ritmo incalzante, in un discorso mobilmente
frammentato si collegano elementi tematici diversi, suggerendo uno spazio musicale
segnato quasi da continui mutamenti di direzione, uno svolgimento non lineare. Tutto
appare irreale e la visione suscita l'impressione di essere ora vicinissima, ora lontana,
in un arcano gioco di subitanei mutamenti (di tempo, di dinamica, di situazioni
timbriche).
In Sirènes è di nuovo presente una forma tripartita, ma tanto modificata da riuscire
più difficilmente riconoscibile. C'è un coro femminile, che evoca, senza testo, la
seduzione del canto delle sirene, la seduzione stessa del mare. Fin dalla prima battuta
dell'introduzione i corni propongono una brevissima cellula in ritmo giambico, che
funge da elemento unificatore. Il primo tema appare al corno inglese, genera un
ostinato mentre le voci cantano una delle loro idee più intense (una seducente
melopea, legata al primo tema da rapporti di affinità) e in seguito si trasforma in
chiave danzante. Nella sezione centrale, «un poco più lento» le voci intonano una
languida trasformazione rallentata del primo tema (mentre la melopea vocale che già
conosciamo passa agli strumenti): il clima espressivo diviene quindi più caldo e
appassionato, e si placa sul ritorno della melopea vocale. Gradualmente si ritorna al
tempo iniziale e senza cesure nette inizia la terza sezione, una sorta di ripresa. Le
voci proseguono il loro seducente «canto di sirene», poi ritorna il languido disegno
della sezione centrale e solo dopo una ventina di battute riappare il primo tema, per
avviare lo spegnersi del pezzo in echi lontani.
LA MER
«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio -
recita una lettera di Debussy - e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante,
ho mantenuto una passione sincera per il mare». L'amore per il mare risaliva ai tempi
dell'infanzia, quando Debussy si recava a Cannes per le vacanze estive, in casa del
padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi felici, il musicista ricordava «la
ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in certi momenti pareva
che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».
Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha
sempre suscitato nell'animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, al di
là delle numerose pagine legate alla misteriosa simbologia dell'acqua sparse nella sua
produzione, abbia pensato al mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo
della sua carriera. Debussy cominciò a comporre la musica nel luglio del 1903,
durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne terminata nell'estate del
1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato per trovare
un po' di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale.
L'abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et
Mélisande, e la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie
di un facoltoso uomo d'affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati
un vero e proprio scandalo dopo il tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A
seguito di queste vicende, che avevano coinvolto un po' tutto l'ambiente artistico di
Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte degli amici d'un tempo, a
cominciare da quello più caro, Pierre Louys.
Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal
naturalismo ottocentesco. «Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le
colline della Borgogna...! - scriveva l'autore - E che tutto sembrerà probabilmente un
paesaggio costruito a tavolino! In effetti ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio
avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere soffoca troppo il nostro
pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà oggettiva, con
l'occhio dell'artista ansioso di descrivere il fenomeno che l'ha impressionato. La sua
musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le
infinite vibrazioni dell'essere di fronte a un'esperienza. «Cerco di fare "altro" -
diciamo delle realtà - che gli imbecilli chiamano "impressionismo", un termine che
viene usato del tutto a sproposito, soprattutto dai critici d'arte, i quali non esitano ad
affibbiarlo a Turner, il più grande pittore di "mistero" che l'arte abbia mai avuto!».
Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l'estetica
simbolista, aveva fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.
1. Chanson espagnole (in dialetto galiziano): Adios men homino - Andantino (si
bemolle maggiore)
2. Chanson française (in dialetto limosino): Janeta ount anirem gardar - Allegretto
(do maggiore)
3. Chanson italienne (in lingua italiana): M'affaccio alla finestra - Largamente, quasi a
piacere, portando le note (mi bemolle maggiore)
4. Chanson hébraique (in lingua yiddish): Mejerke, main Suhn - Allegro moderato
(mi minore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: Parigi, inizio 1910
Prima esecuzione: Parigi, 1910
https://www.youtube.com/watch?v=f9gw7p3fpJ0
https://www.youtube.com/watch?v=MQNWfvXrzb4
Versione per orchestra
1. Prélude à la nuit - Très modéré (la minore)
2. Malaguena - Assez vif (la minore)
3. Habanera - Assez lent et d'un rythme las (fa diesis minore)
(arrangiamento per orchestra dell’Habanera scritta nel 1895)
4. Feria - Assez animé (do maggiore)
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto
basso, 3 fagotti, sassurrofono o controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba,
timpani, grancassa, piatti, triangolo, tamburello, castagnette, tamburo militare, tam-tam,
xilofono, celesta, 2 arpe, archi
La carriera musicale di Ravel fu fortemente segnata dall'interesse per il colore locale, per
l'esotico e per quei caratteri musicali poco noti o addirittura sconosciuti in Occidente.
Una curiosità raffinata che aveva spinto Ravel ad assumere nel suo linguaggio le
movenze del jazz negro-americano, o giavanesi (il «Pantoum» del «Trio») o le inflessioni
dei canti popolari greci o ebraici; o ad arricchirlo di suggestioni remote e favolose (le
«Chansons madécasses» e «Asie» da «Shéhérazade»).
Senza alcun atteggiamento documentario, ma con il gusto della contraffazione del reale
che per l'intellettuale novecentesco è più autentica della verità oggettiva.
Straordinaria era stata la suggestione esercitata dalla Spagna sulla fantasia degli uomini di
cultura francese: fin dai primi decenni del Romanticismo, essa era stata la terra ideale
delle passioni, dei sogni e delle fughe, popolata di figure emblematiche.
Ravel scrisse l'«Habanera» per due pianoforti nel 1895: siamo di fronte a una pagina di
magistrale fattura, pur nella sua concisione, di stupefacente novità di scrittura armonica,
di una miracolosa originalità di accenti.
Il ritmo della danza spagnola viene enunciato più volte senza che emerga su di esso il
disegno melodico; quasi una riduzione dello 'spagnolismo' a pura ossatura ritmica.
E quando compare il canto, è appena un cenno: non ha ancora quella tipica lunghezza
delle melodie di certi adagi del Ravel maturo. Ne risulta una Spagna asciutta, vigorosa,
quasi dominata da uno strano senso di pudore; come se qualcosa dello spirito basco di
Ravel fosse intervenuto ad attenuare inflessioni e colori di uno spagnolismo turistico.
L'infanzia evocata da Ravel in Ma Mère l'Oye è quella serena, fantastica, fiabesca ma anche
quella delle angosce puerili, spaventata, impotente. All'interno della raccolta si va dunque
da pagine innocenti come Pavane o Laideronnette ad altre inquietanti come Les entretiens de
la Belle et de la Bète o Le Jardin féerique; Petit Poucet, in fondo, segna il momento mediano,
quello della favola che diventa racconto pauroso, in bilico tra angoscia e avventura, con
le sue semplici scale ascendenti che si fanno sempre più lunghe ed importanti a suggerire
lo smarrimento del bimbo di fronte ad una foresta troppo complicata da decifrare senza
briciole di pane.
L'ambiguità dello sguardo rivolto al mondo infantile si riflette nella scrittura orchestrale,
estremamente raffinata, piegata ad annotare con precisione gli effetti timbrici desiderati
anche in brevi brani apparentemente innocenti: il peso di ogni nota nell'insieme è
calcolato con grande accuratezza, non c'è un raddoppio ingiustificato, non un amalgama
che non dia risultati estremamente preziosi.
La genesi di Ma Mère l'Oye è risaputa: Ravel compose l'originale partitura per pianoforte a
quattro mani nel 1908, in omaggio a Mimie e Jean, figli degli amici Godebski. Mimie,
adulta, ha rievocato la consuetudine del musicista amico di famiglia, che era solito
prenderla sulle ginocchia per narrarle di Laideronnette, della Bella e della Bestia e di un
topo regolarmente triste.
La Pavane racconta della Fata Benigna che culla il sonno della principessa. Lo
stratagemma usato da Ravel per accrescere l'aura di mistero è l'uso del modo eolico che,
privo della risoluzione della sensibile sulla tonica, mantiene costantemente sospeso lo
srotolarsi della melodia.
In Petit Poucet (dalla favola di Perrault riassunta, come le altre, in epigrafe sulla partitura),
oltre allo smarrimento del protagonista, è divertente ascoltare gli appelli degli uccellini.
Laideronnette è segnata dall'orientalismo del modo pentatonico, che diventa subito
potentemente evocativo. L’imperatrice d'un'esotica terra di sogno, si spoglia per il bagno
e prodigiosamente si ode tutto un esile e fantastico tintinnare di mille piccoli strumenti
irreali.
La vicenda de La Belle et la Bète è ridotta all'osso, ad una sorta di dialogo amoroso nel
corso del quale la Bella finisce per cedere alle suppliche della Bestia. Il vero volto
dell'affascinante principe prenderà forma quando un glissato farà dissolvere
l'incantesimo.
Nel Jardin féerique il principe azzurro ha risvegliato con un bacio la principessa
addormentata, e tutto un paese di meraviglie sonore si unisce dunque al gaudio,
esultando.
MIROIRS (1904-05)
1. Noctuelles - Très léger (re bemolle maggiore)
Dedica: Leon-Paul Fargue
2. Oiseaux tristes - Très lent (mi bemolle minore)
Dedica: Ricardo Viñes
3. Une barque sur l'océan - D'un rythme souple (fa diesis minore)
Dedica: Paul Sordes
4. Alborada del gracioso - Assez vif (re minore)
Dedica: M. D. Calvocoressi
5. La vallée des cloches - Très lent (do diesis minore)
Dedica: Maurice Delage
Intorno al 1902, Maurice Ravel, allora ventisettenne, entrò a far parte del gruppo di
artisti - pittori, scrittori, musicisti - che ogni settimana, al sabato sera, si riuniva nello
studio parigino di Paul Sordes, un pittore appassionato di musica. Del gruppo facevano
parte Leon-Paul Fargue, Ricardo Vines, Michael Dimitri Calvocoressi, Léon Leclère (più
noto con lo pseudonimo di Tristan Klingsor), Maurice Delage, la cui casa divenne in
seguito la sede delle riunioni. «Ravel - ha scritto Fargue - aveva i nostri stessi gusti, la
nostra stessa follia per l'arte cinese, per Mallarmé e Verlaine, Rimbaud e Corbière,
Cézanne e Van Gogh, Rameau e Chopin, Whistler e Valéry, i Russi e Debussy»; entusiasti
della musica di Debussy, non perdevano una rappresentazione del Pelléas. Ad ogni
riunione del gruppo ognuno presentava agli altri il frutto del proprio lavoro settimanale:
«una sera - ricorda ancora Fargue - in un silenzio da cospirazione Maurice Ravel ci fece
ascoltare la prima esecuzione della sua Pavane e di Jeux d'eau».
E' in questo ambiente di artisti un po' folli che presero forma diversi lavori pianistici di
Ravel, come la Pavane, Jeux d'eau, la Sonatine e Miroirs; anzi, ciascuno dei cinque brani
di Miroirs - composti tra il 1904 e il 1905 ed eseguiti per la prima volta in pubblico da
Ricardo Vines alla Salle Erard il 6 gennaio del 1906 - è addirittura dedicato a uno degli
amici del gruppo degli Apaches: Noctuelles a Leon-Paul Fargue, Oiseaux tristes a Ricardo
Vines, Une barque sur l'océan a Paul Sordes, Alborada del Gracioso a Michael Calvocoressi, La
Vallèe des cloches a Maurice Delage.
Anche se personaggi molto vicini a Ravel e alla sua opera come Marguerite Long, Vlado
Perlemuter e Alfred Cortot hanno concepito questi brani come «intensamente descrittivi
e pittorici», «pittura diretta che si allontana sempre più dal simbolismo di Debussy» ed
esempi «di un'arte descrittiva», sembra oggi molto più appropriato accostarsi a loro
attribuendo ai loro titoli una funzione evocativa, come ha fatto Enzo Restagno: «se si
eccettua Une barque sur l'océan tutta presa, nei grandi arpeggi della mano sinistra, da una sorta di
impeto descrittivo, tutti gli altri brani esibiscono un carattere misterioso che proietta ombre metafisiche».
Con l'eccezione della giovanile Habanera per orchestra (1895), l'Alborada del gracioso è il
primo titolo spagnolo dell'opera di Ravel.
"Alborada", termine corrispondente al francese "aubade" e all'italiano "mattinata", è una
mattutina chitarrata d'amore in forma di serenata d'antica origine, probabilmente
galiziana, riconducibile forse alla pratica trovadorica.
Il "Gracioso", a sua volta, è un personaggio buffo della commedia tradizionale spagnola
di Calderon e di Lope de Vega.
Effetti timbrici precisi – in particolare un’asciuttezza di tocco che sta a metà tra uno
staccato e un martellato rende a meraviglia l'effetto delle strappate alle corde metalliche
della chitarra, il crepitio ostinato delle nacchere.
L'Alborada del gracioso fu trascritta dall'autore per orchestra nel 1918 ed eseguita per la
prima volta il 17 maggio 1919.
La scrittura strumentale, nella sua connotazione virtuosistica, appare assai complessa ed
elaborata sia nell'organico prescelto (con xilofono, due arpe, tre timpani, percussioni,
crotali, nacchere, archi) sia nella ricerca, portata all'estremo, degli impasti timbrici, anche
nell'articolazione degli archi. L'esito è una partitura di diabolica brillantezza e di
virtuosismo di scrittura non meno che sensazionale, tale da esaltare alla valenza più
elevata tutte le risorse più smaglianti di una compagine sinfonica moderna, nonché la
sensibilità, l'intelligenza e l'estro di un direttore carismatico.
Organico: pianoforte
Composizione: 1914 - 1917
Prima esecuzione: Parigi, 1919
Trascrizione per orchestra
1. Prélude - Vif (mi minore)
2. Forlane - Allegretto (mi minore)
3. Menuet - Allegro moderato (mi minore)
4. Rigaudon - Assez vif (do maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, tromba, arpa,
archi
Composizione: giugno 1919
Prima esecuzione: Parigi, 1920
Trascrizione per balletto
1. Forlane - Allegretto (mi minore)
2. Menuet - Allegro moderato (mi minore)
3. Rigaudon - Assez vif (do maggiore)
RAVEL E DEBUSSY
In realtà Ravel, pur sfiorando il mondo incantato di Debussy, ha sempre battuto vie
diverse, sia nell'aspetto armonico sia nel versante espressivo, nonché nella scrittura
strumentale. Del tutto estraneo al retaggio romantico, e anche a Wagner, Ravel
giovanissimo orientò le sue predilezioni a Chabrier e Satie e, oltre a questi, ai
clavicembalisti francesi del Seicento e Settecento.
PELLÉAS ET MÉLISANDE
Dei protagonisti non si sa niente di preciso se non che il vecchio re Arkel ha un figlio
malato che non si vede mai e non si sa dove sia. Geneviève, la madre dei due nipoti
di Arkel, Golaud e Pelléas, è quasi priva di contorni e appare solo fugacemente nella
seconda e nella terza scena del primo atto. Mélisande è una sconosciuta: non si sa da
dove viene, né cosa stia facendo; sposa Golaud (il quale l'aveva trovata piangente in
una foresta in cui ambedue si erano perduti), ma ama Pelléas. Golaud, marito geloso,
uccide Pelléas e provoca, forse indirettamente, anche la morte di Mélisande. I
protagonisti si perdonano reciprocamente delle colpe che non si sa se abbiano
realmente commesso. Si sa solo che avranno subito «la vita e la sorte» come, dopo di
loro, toccherà alla bambina che Mélisande mette alla luce morendo.
Personaggi
Atto I. - Scena I. Una foresta nel fantastico regno d'Allemonde. Golaud, nipote del re
Arkèl, si è smarrito in una fitta foresta e qui incontra, ai bordi di una fontana, una
misteriosa fanciulla, che afferma di essere fuggita da una terra lontana e di chiamarsi
Mélisande; all'invito di lui, di recarsi alla reggia, essa, come trasognata, segue i suoi
passi.
Atto I. - Scena II. Una stanza del castello. Golaud teme l'opposizione del sovrano al
suo proposito di sposare Mélisande; ma sarà il fratellastro Pelléas, accendendo una
fiaccola sulla torre più alta del Castello, a comunicargli l'assenso di Arkèl.
Atto I. - Scena III. Mélisande frattanto non riesce il dissimulare la tristezza che la
opprime; si confida con Geneviève, madre di Golaud, che cerca di rasserenarla e
l'affida a Pelléas con il quale andrà il vegliare Yniold, il figlio adolescente che
Golaud ha avuto dalla prima moglie.
Atto II. - Scena I. Una fontana nel parco del castello. Pelléas e Mélisande si
avvicinano ad una fontana e la fanciulla ricorda l'incontro con Golaud che oggi è suo
sposo. Lancia poi in aria l'anello nuziale, che scivola nell'acqua; il dono del marito
non potrà più essere recuperato.
Atto II - Scena II. Golaud giace ferito nel suo letto in seguito ad una caduta da
cavallo; è assistito amorevolmente dalla giovane sposa, che improvvisamente scoppia
in lacrime. Golaud l'attira dolcemente a sé e così si accorge che al suo dito manca
l'anello. Alle domande di lui Mélisande afferma di averlo smarrito sulla riva del mare
ed accetta l'invito a tentare di recuperarlo, facendosi però, data l'ora tarda,
accompagnare da Pelléas.
Atto II. - Scena III. I due giovani, alla ricerca dell'anello, si ritrovano all'ingresso di
una grotta, al cui interno scorgono tre mendicanti addormentati; Mélisande resta
fortemente impressionata e si allontana sconvolta.
Atto III. - Scena I. Ad una finestra del castello Mélisande si intrattiene con Pelléas;
ella sta ravviando i suoi biondi e lunghi capelli che improvvisamente si riversano e si
avvolgono intorno a Pelléas, che li afferra e li sfiora con le labbra. Sopraggiunge
Golaud; rimprovera i due per l'atto infantile compiuto e poi si allontana turbato ed in
preda a foschi pensieri.
Atto III. - Scena II. I sotterranei del castello. Pelléas avverte nel suo animo un
indefinibile senso di angoscia sin quando, nei sotterranei, si trova in pericolo di
precipitare nell'acqua cupa e stagnante e viene trattenuto da Golaud.
Atto III. - Scena III. Una terrazza. Golaud, il quale comincia a nutrire più di un
sospetto, avverte Pelléas che Mélisande sarà presto madre e che anche la più piccola
emozione potrebbe nuocerle.
Atto III. - Scena IV. La gelosia ora si impadronisce dell'animo di Golaud, che
chiama a sé Yniold per conoscere da lui la verità; ed il fanciullo rivela che spesso
Pelléas e Mélisande si trovano insieme e che un giorno, durante un violento uragano,
vide i loro volti sfiorarsi. Anche ora, sforzando lo sguardo, scorge Pelléas nella stanza
di Mélisande: entrambi, come trasognati si volgono verso la luce.
Atto IV. - Scena I. Pelléas sta per intraprendere un lungo viaggio e Mélisande
accoglie il suo desiderio di incontrarla un'ultima volta; Golaud frattanto, convinto
ormai della colpevolezza della sposa, l'afferra per i lunghi capelli e la getta a terra. Il
re Arkél accorre in aiuto di Mélisande e le chiede se il nipote sia ebbro. "No. Ma non
mi ama più", risponde la donna.
Atto IV. - Scena II. Una fontana nel parco. Yniold cerca una biglia d'oro che ha
perduto; il passaggio di un gregge e del pastore lo mette in angoscia. Mélisande si
avvia all'incontro con Pelléas, nel parco; e qui i due vengono sorpresi da Golaud che,
con la spada in pugno, si precipita su Pelléas, colpendolo a morte. Egli si avventa poi
su Mélisande che, sebbene ferita, riesce a fuggire verso la vicina foresta.
Atto V. - Una camera nel castello. Mélisande, nella sua stanza, si risveglia da un
sonno profondo; la lieve ferita, ma ancora più la recente maternità, l'hanno oltremodo
spossata. Non risponde alle ripetute richieste di Golaud, che vuol sapere se vi fu
colpa nel suo legame con Pelléas; comincia poi a delirare e a piangere, quindi si
spegne dolcemente. Accanto ad essa Golaud turba con i suoi singhiozzi soffocati il
silenzio della morte.
CLAUDE DEBUSSY (1862-1918)
Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 arpe, crotali,
archi
NOCTURNES
Trittico sinfonico per coro femminile e orchestra
1. Nuages (Nuvole)- Modéré (si minore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, timpani,
arpa, archi
2. Fètes (Feste)- Animé et très rythmé (fa minore)
Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3
trombe, 3 tromboni, basso tuba, 2 arpe, timpani, piatti, tamburo militare, archi
3. Sirènes (Sirene)- Modérément animé (si maggiore)
Organico: 3 flauti, oboe, corno inglese, clarinetto, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe,
2 arpe, archi
Composizione: 1897 - 1899
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 27 ottobre 1901
I "Trois Nocturnes pour Orchestre", composti nel 1899, costituiscono il primo grande
trittico orchestrale di Claude Debussy. Sui Nocturnes Debussy scrisse questo testo di
presentazione:
«Il titolo Nocturnes vuole assumere qui un significato più generale e soprattutto più
decorativo. Non si tratta dunque della forma abituale del Notturno, ma di tutto ciò
che la parola contiene di impressioni e di luci particolari. Nuages: è l'aspetto
immutabile del cielo con la lenta e malinconica processione delle nuvole, che termina
in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco. Fétes: è il movimento, il ritmo
danzante dell'atmosfera con bagliori di luce improvvisa, è anche l'episodio di un
corteo (visione abbagliante e chimerica) che passa attraverso la festa e vi si
confonde; ma il fondo rimane, ostinato, ed è sempre la festa con la sua mescolanza di
musica, di polvere luminosa, che partecipa a un ritmo totale. Sirènes: è il mare e il
suo ritmo innumerevole, poi, tra le onde argentate di luna, si ode, ride e passa il
canto misterioso delle sirene».
Il titolo, dunque, ha un significato non tradizionale, e vuole evocare «impressioni e
luci particolari»: non si allude più ad alcuna «azione», nemmeno a quella incerta,
sospesa fra sogno e realtà, delle voluttuose fantasie del fauno. All'ascoltatore non
viene proposto né un «programma» né un riferimento formale noto: si suggerisce una
dimensione senza luogo e senza tempo, in una luce incerta come quella del
crepuscolo. Si può capire l'irritazione di Vincent D'Indy quando lamentava
l'impossibilità di inserire i Nocturnes in una categoria tradizionale:
«Sonata. Niente affatto... Suite. Neppure. Poema sinfonico. Nonostante i titoli...,
nomi assai vaghi, nessun programma letterario, nessuna spiegazione di ordine
drammatico può autorizzare i mutamenti improvvisi di tonalità e le escursioni
tematiche piacevoli, ma non coordinate di questi tre pezzi...».
In Nuages non c'è davvero più traccia di percorsi che conducono da un punto a un
altro secondo una logica discorsiva, che «tendono» a un punto d'arrivo o a un
culmine. In un tempo musicale che acquista un significato nuovo, la forma appare
costruita, per così dire, con il movimento di superfici sonore dai colori cangianti,
dalle mutevoli sfumature timbrico-armoniche. La tripartizione che si coglie anche a
un semplice primo ascolto non ha nulla a che vedere né con uno schema esposizione-
sviluppo-ripresa né con altri tipi di forme legate alla successione ABA'. Nuages inizia
con un andamento quieto: sonorità grigie e vuote sono evocate da clarinetti e fagotti
con un andamento ostinato che si interrompe quando per la prima volta il corno
inglese intona il tema principale, che non conoscerà mai sviluppo, e riapparirà ogni
volta quasi identico a se stesso, oggetto solo di piccole, ma raffinatissime varianti.
Fétes presenta una tripartizione nettamente riconoscibile, fondata su una molteplicità
di elementi, su una mobilità e una varietà lontane dalla sospesa stupefazione di
Nuages. In un flusso continuo, in un ritmo incalzante, in un discorso mobilmente
frammentato si collegano elementi tematici diversi, suggerendo uno spazio musicale
segnato quasi da continui mutamenti di direzione, uno svolgimento non lineare. Tutto
appare irreale e la visione suscita l'impressione di essere ora vicinissima, ora lontana,
in un arcano gioco di subitanei mutamenti (di tempo, di dinamica, di situazioni
timbriche).
In Sirènes è di nuovo presente una forma tripartita, ma tanto modificata da riuscire
più difficilmente riconoscibile. C'è un coro femminile, che evoca, senza testo, la
seduzione del canto delle sirene, la seduzione stessa del mare. Fin dalla prima battuta
dell'introduzione i corni propongono una brevissima cellula in ritmo giambico, che
funge da elemento unificatore. Il primo tema appare al corno inglese, genera un
ostinato mentre le voci cantano una delle loro idee più intense (una seducente
melopea, legata al primo tema da rapporti di affinità) e in seguito si trasforma in
chiave danzante. Nella sezione centrale, «un poco più lento» le voci intonano una
languida trasformazione rallentata del primo tema (mentre la melopea vocale che già
conosciamo passa agli strumenti): il clima espressivo diviene quindi più caldo e
appassionato, e si placa sul ritorno della melopea vocale. Gradualmente si ritorna al
tempo iniziale e senza cesure nette inizia la terza sezione, una sorta di ripresa. Le
voci proseguono il loro seducente «canto di sirene», poi ritorna il languido disegno
della sezione centrale e solo dopo una ventina di battute riappare il primo tema, per
avviare lo spegnersi del pezzo in echi lontani.
LA MER
«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio -
recita una lettera di Debussy - e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante,
ho mantenuto una passione sincera per il mare». L'amore per il mare risaliva ai tempi
dell'infanzia, quando Debussy si recava a Cannes per le vacanze estive, in casa del
padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi felici, il musicista ricordava «la
ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in certi momenti pareva
che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».
Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha
sempre suscitato nell'animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, al di
là delle numerose pagine legate alla misteriosa simbologia dell'acqua sparse nella sua
produzione, abbia pensato al mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo
della sua carriera. Debussy cominciò a comporre la musica nel luglio del 1903,
durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne terminata nell'estate del
1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato per trovare
un po' di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale.
L'abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et
Mélisande, e la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie
di un facoltoso uomo d'affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati
un vero e proprio scandalo dopo il tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A
seguito di queste vicende, che avevano coinvolto un po' tutto l'ambiente artistico di
Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte degli amici d'un tempo, a
cominciare da quello più caro, Pierre Louys.
Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal
naturalismo ottocentesco. «Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le
colline della Borgogna...! - scriveva l'autore - E che tutto sembrerà probabilmente un
paesaggio costruito a tavolino! In effetti ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio
avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere soffoca troppo il nostro
pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà oggettiva, con
l'occhio dell'artista ansioso di descrivere il fenomeno che l'ha impressionato. La sua
musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le
infinite vibrazioni dell'essere di fronte a un'esperienza. «Cerco di fare "altro" -
diciamo delle realtà - che gli imbecilli chiamano "impressionismo", un termine che
viene usato del tutto a sproposito, soprattutto dai critici d'arte, i quali non esitano ad
affibbiarlo a Turner, il più grande pittore di "mistero" che l'arte abbia mai avuto!».
Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l'estetica
simbolista, aveva fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.