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Testatina sinistra 253

Il viaggio celeste in Paolo.


Tradizione di un genere letterario
giudaico apocalittico
o prassi culturale in contesto
ellenistico-romano?

Adriana Destro - Mauro Pesce

Premessa
Nella Seconda lettera ai Corinzi Paolo parla di un “viaggio celeste”
che egli stesso ha sperimentato:

«verrò alle visioni (optasiai) e alle rivelazioni (apokalypseis) del Signore.1


Conosco (oida) un uomo in Cristo2 che, quattordici anni3 fa – se nel
(en) corpo o fuori (ektos) del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito4
(arpagenta) fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se nel (en) corpo
o senza (chôris) del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito (êrpagê) in
paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare
(12,1-4).

1
  Cf 1 Cor 1,7; 14,6.26; 2 Cor 12,1.7; Gal 1,12.16; 2,2; Fil 3,15. Cf. anche Ef 1,17.
2
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Vedi la nota discussione sul tipo di conoscenza presuppsto in 2 Cor 5,16: «cosic-
chè da questo momento non conosciamo (oidamen) nessuno secondo la carne e se anche
abbiamo conosciuto (egnôkamen) Cristo secondo la carne, ma ora non più lo conosciamo
(ginôskomen)».
3
  Il tema dei quattordici anni ritorna stranamente anche un’altra volta nelle note
autobiografiche di Paolo in realzione a una rivelazione: «Dopo quattordici anni, andai di
nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai
però in seguito ad una rivelazione» (Gal 2,1-2).
4
  L’uso del verbo “essere rapito” implica che ad un certo momento Paolo sia stato
investito da un forza esterna a lui: Paolo è investito da una scelta divina. Costruzione di
un’autorità particolare mediante questa scelta
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L’oggetto della nostra analisi è il viaggio celeste di Paolo5 come


fenomeno religioso e non riguarda in primo luogo i motivi per i quali
Paolo parla della sua esperienza né la sua specificità paolina.
Il cosiddetto “viaggio celeste” è un elemento interno a fenomeni reli-
giosi attestati in aree geografiche e culturali molto ampie e presente anche
in gruppi o testi non specificamente o prevalentemente religiosi (come il
Poema di Parmenide o i Dialoghi di Luciano). Alan F. Segal ha potuto af-
fermare che «considerare questo pattern come il risultato inevitabile delle
struttura della mente è forse esagerato, ma è possibile vedere il viaggio

5
  Su 2  Cor 12, 1-4 e il viaggio celeste in Paolo: M.D. Goulder, “Visions and
Revelations of the Lord (2 Corinthians 12:1-10)”, in T.J.Burke - J.K. Elliott (eds.),
Corinthians. Studies on a Community in Conflict. Essays in Honour of Margaret Thrall,
Leiden, Brill, 2003, 303-312; Ph. H. Menoud, “L’écharde et l’ange satanique (2 Cor
12,7)”, in Studia Paulina. In honorem Johannis De Zwaan Septuagenarii, Harlem, De
Erven F.Bohn, 1953, 163-171; C.R.A. Morray-Jones, “Paradise Revisited (2 Cor 12:1-
12): The Jewish Mystical Background of Paul’s Apostolate. Part 1: The Jewish Sources;
Part 2: Paul’s Heavenly Ascent and its Significance”, HTR 86, 1993, 177-217; 265-292;
B. Heininger, Paulus als Visionär. Eine religionsgeschichtliche Studie, HBS 9, Freiburg
u.a.; V. Jegher-Bucher, “’The Thorn in the Flesh’/’Der Pfhal im Fleisch’: Conside-
rations About 2 Corinthians 12,7-10 in Connection with 12,1-3”, in: S.E.Porter -
Th.H.Olbricht (eds.), The Rhetorical Analysis of Scripture. Essays from the 1995 London
Conference, JSNT SS 146), Sheffield, Sheffield Academic Press, 1996, 388-397; G. Qui-
spel, “L’extase de Saint Paul”, in: A.A. Shismanian - D.Shismanian (eds.), Ascension
et Hypostases initiatiques de l’âme. Mystique et eschatologie à travers les traditions religieuses.
Tome I. Acts du Colloque internationale d’histsoire des religions “Psychanodia”, Paris, Les
Amis de I.P.Couliano, 2006, 381-392; V.K. Robbins, “The Legacy of “ Corinthians
12:2-4 in the Apocalyse of Paul”, in T.J.Burke - J.K. Elliott (eds.), Corinthians. Studies
on a Community in Conflict. Essays in Honour of Margaret Thrall, Leiden, Brill, 2003,
327-339 ; J. D. Tabor, Things Unutterable: Paul’s Ascent to Paradise in its Greco-Roman,
Judaic, and Early Christian Contexts, Lanham, MD, University Press of America, 1986;
O. Wischmeyer, “2 Korinther 12,1-10. Ein autobiographiscsh-theologischer Text des
Paulus”, in Von Ben Sira zu Paulus. Gesammelte Aufsätze, Hrsg. Von E.-M. Becker, Tü-
bungen, Mohr Siebeck, 277-288, 2004; J-P. Ruiz, “Hearing and Seeing but not Saying:
A Look at Revelation 10:4 and 2 Corinthians 12:4”, Society of Bibical Literature 1994
Seminar Papers, Atlanta Georgia, Scholars Press, 1994, 182-202; J.M. Scott, “The Trium-
ph of God in “ Cor 2.14: Additional Evidence of Merkabah Mysticism in Paul”, NTS
42, 1996, 260-281; A.F. Segal, “Paul and Ecstasy”, Society of Bibical Literature 1996
Seminar Papers, Atlanta Georgia, Scholars Press, 1996, 555-580; M. Smith, “Ascent to
the Heavens and the Beginning of Christianity”, in Id., Studies in the Cult of Yahweh.
Volume Two. New Testament, Early Christianity, and Magic, edited by S.J.D. Cohen,
Leiden, Brill, 1996, 47-67.
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celeste dell’anima, la sua conseguente promessa di immortalità e il corol-


lario necessario di periodici viaggi estatici al cielo come la costellazione
mitica dominante della tarda antichità classica».6 Questo tipo di espe-
rienze «era stato ulteriormente popolarizzato e si trovava ovunque nella
letteratura della tarda repubblica e del primo impero»7.
In un celebre numero della rivista Semeia del 1979 diretto da John
Joseph Collins che porta il titolo Apocalypse: The Morphology of a Genre8
troviamo un inventario dei testi iraniani, giudaici, cristiani, gnostici e greco
romani di apocalisse.9 Collins propose un modello di classificazione che
prevedeva quattro elementi principali: 1. Il modo in cui avviene la rive-
lazione: a. il medium (visivo, uditivo, viaggio ultramondano attraverso i
cieli, negli inferi o in regioni lontane); b. un mediatore ultramondano; c.
il destinatario umano (uso di uno pseudonimo, atteggiamento del desti-
natario, sua reazione). 2. Il contenuto della rivelazione (che può avvenire
o secondo un asse temporale o secondo un asse spaziale) 3. Parenesi. 4.
Elementi conclusivi.
Il viaggio celeste era quindi considerato da Collins solo come uno dei
modi attraverso i quali si ottiene una rivelazione. Il suo sistema classifi-
catorio tende all’individuazione di un genere letterario. Il nostro metodo
di analisi tende invece all’individuazione di una forma religiosa nei suoi
aspetti esperienziali e sociali.
Il merito di Collins è tuttavia di avere mostrato che il genere della
rivelazione apocalittica è diffuso in aree molto diverse sia greche ed elle-
nistico-romane, sia medio-orientali antiche tra il 250 a.E.V. e il 250 E.V.

6
  A.Segal, “Heavenly Ascent in Hellenistic Judaism, Early Christianity and their
Environment”, ANRW II.23.2, Berlin, de Gruyter, 1980, 1388
7
  J.J. Collins (ed.), “Apocalypse: The Morphology of A Genre”, Semeia 14
(1979).
8
  Il viaggio celeste al terzo cielo per ottenere rivelazioni e doni soprannaturali si
trova del resto già nell’epopea babilonese del re Etana: S. Langdon, The Legend of Etana
and the Eagle: or the Epical Poem “ The City They Hated”, Paris, P. Geuthner, 1932; M.
Haul, Das Etana-Epos: ein Mythos von der Himmelfahrt des Königs von Kis, Göttingen,
Seminar für Keilschriftforschung der Universität Göttingen, 2000; B.Hrouda, “Zur
Darstellung des Etana-Epos in der Glyptik”, Winer Zeitschrift für die Kunde des Mor-
genlandes 86 (1996) 157-163.
9
  J. Schwartz, Biographie de Lucien de Samosate (Collection Latomus, Vol. 83),
Bruxelles 1965.
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Il viaggio celeste, in particolare, non è un fenomeno giudaico esclusivo.


Come vedremo, inoltre, la sua presenza in Filone porta ad escludere che
sia un elemento tipico dei soli ambienti giudaico-apocalittici.
Le nostre domande sono le seguenti: in che modo gruppi religiosi
differenti sono in contatto fra loro, assumono gli uni dagli altri elementi
e forme religiose - come ad esempio il viaggio celeste - e si influenzano a
vicenda? In che misura Paolo assume dal suo ambiente ellenistico-romano
o giudaico il modello, l’esperienza e la pratica del viaggio celeste? E da
quali ambienti lo assume? E lo assume da un solo ambiente o da molte-
plici ambienti interrelati fra loro?

Il viaggio di Menippo
1. Verso il 160-165, in un periodo non lontano dal Dialogo con Tri-
fone di Giustino, Luciano di Samosata10 scriveva il dialogo Icaro-Menippo
o sulle nuvole.11 Luciano parla in questo scritto del viaggio celeste come di
una concezione mitologica universalmente conosciuta, tanto che proprio
tramite essa egli può presentare le sue critiche alla filosofia del tempo.
Descrivendo l’ascensione al cielo di Menippo, Luciano parla solamente
della Luna, del Sole e del cielo più alto. Si tratta dunque soltanto di tre
cieli, non dei nove cieli che possiamo trovare nel Sogno di Scipione di Ci-
cerone (i sette pianeti, la terra e il cielo dove abita la divinità). Non siamo
in presenza neppure della visione astronomica di Tolomeo che scriveva
all’incirca in quegli anni. Sappiamo infatti che Tolomeo nell’Almagesto

  “Icaromenippo o l’uomo sopra le nubi”, in Dialoghi di Luciano a cura di Vincenzo


10

Longo, Volume secondo, Torino UTET, 847-885.


11
  «Abordant […] le problème de la position de Mercure et de Vénus dans la série
des planètes, Ptolémée avait estimé plus probable l’opinion des astronomes anciens qui
les plaçaient entre la lune et le soleil» (M.-P.Lerner, Le monde des sphères. I. Genèse et
triomphe d’une représentation cosmique, Paris, Les Belles Lettres, 2008, 70). Sull’astrono-
mia antica cf. A. Jeremias, Babylonisches im Neuen Testament, Leipzig, Hinrichs’sche
Buchhandlung, 1905; G. Luck, Arcana Mundi. Magic and the Occult in the Greek and
Roman Worlds. A collection of Ancient Texts, Baltimore, John Hopkins University Press,
1985; O. Neugebauer, “The ‘Astronomical’ Chapters of the Ethiopic Book of Henoch
(72 to 82). Translation and Commentary”, in M. Black, The Book of Enoch or I Enoch,
Leiden, Brill, 1985, 386-415; J.-P. Verdet, Histoire de l’astronomie ancienne et classique,
Paris, PUF, 1998.
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e nelle Ipotesi aveva collocato Mercurio e Venere tra la Luna e il Sole.12


Se Luciano avesse avuto conoscenza di questa concezione non avrebbe
posto così vicino il Sole alla Luna, senza alcun pianeta intermedio. La sua
ironia si concentra anzitutto sulla impossibilità per un uomo di salire fino
al luogo di Zeus che sta al di sopra di tutti i corpi celesti: sarebbe neces-
sario fabbricarsi ali artificiali più funzionali di quelle di Icaro. Anche le
distanze ipotetiche tra Terra, Luna, Sole e cielo di Zeus sono oggetto di
derisione:

«dalla terra alla luna, dunque, c’erano tremila stadi13 [560 chilometri
circa], ed è stata la mia prima tappa; di lì, poi, su fino al sole cinque-
cento parasanghe circa14 [2775 chilometri circa], mentre, dopo ancora,
l’ascesa al cielo vero e proprio e alla rocca di Zeus potrebbe compiersi,
per un’aquila libera nel suo volo, in una giornata».

Luciano tocca poi tutta una serie di temi che ritroviamo in diversi testi
che parlano di viaggi celesti: si chiede come sia possibile vedere dall’alto
la terra e la vita che vi si svolge. Come sia possibile conoscere in alto ciò
che avviene in basso, come sia possibile agli Dèi conoscere e accogliere
le preghiere degli uomini, quale sia il destino ultimo dell’uomo e quale
la struttura dell’universo. Luciano denuncia e deride la contraddizione
tra l’affermazione che dalla Luna il veggente veda la Terra piccolissima, e
l’altra secondo cui il veggente è in grado di scorgere ogni particolare di ciò
che si svolge sulla Terra (13). Tuttavia, è interessante che, nel descrivere il
momento in cui il veggente è in grado di vedere dalla Luna quello che si

12
  Lo stadio equivaleva a un pò più di 185 metri.
13
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La parasanga, misura persiana, equivaleva a 30 stadi, Cioè 5550 metri circa. Quin-
di dalla luna al sole la distanza era di circa 2750 chilometri. Cf. Aristarco di Samo
(-310 -230), Sulle dimensioni e le distanzes del Sole e della Luna.
14
  Dicevamo prima che Giustino scrive all’incirca nello stesso periodo di Luciano.
Anche Giustino presenta una critica radicale alla filosofia basata sul fatto che i filosofi
non pervengono se non a conclusioni eternamente contraddittorie fra loro e senza solu-
zione per i problemi fondamentali del destino dell’uomo (Dialogo capp. 1-7). La critica
alla filosofia è un topos che è ripreso dai cristiani, - si pensi all’inizio del romanzo pseudo-
clementino (in cui Clemente cerca invano la soluzione tra le diverse scuole filosofiche:
Riconoscimenti, 3,1- 4,7) - ma non per arrivare ad un esito scettico: serve per fondare la
solidità della risposta offerta dalla fede in Gesù Cristo. In ogni caso, in ambito cristiano
e giudaico il viaggio celeste non è affatto in crisi nel II secolo.
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svolge sulla Terra, egli descriva un elemento che troviamo in diversi testi
che parlano del viaggio celeste: il veggente vede all’improvviso una grande
luce. «Appena sbattei le ali, subito attorno a me splendette una grandis-
sima luce e mi si mostrarono tutte le cose che erano prima celate» (15).
Luciano prende in giro questa affermazione, proprio perché si tratta di un
topos dei testi di ascensione.
2. In sostanza, Luciano dimostra di conoscere diversi aspetti dei testi
di ascensione: il fatto, ad esempio, che l’accesso ai cieli superiori sia sor-
vegliato da guardiani, che vi sia una porta di ingresso:

«lasciato il sole a destra e compiuto il mio volo attraverso le stelle, mi


trovai il terzo giorno vicino al cielo e pensai dapprima di passare, così
direttamente, dentro; credevo infatti di sottrarmi facilmente alla sorveg-
lianza essendo per metà aquila, e sapevo che l’aquila fin dai tempi antichi
era intima di Zeus; poi riflettei che mi avrebbero scoperto ben presto,
perché l’altra ala che portavo era di avvoltoio. Insomma, giudicando
che la cosa migliore fosse non correre pericoli, mi avvicinai e bussai alla
porta (thyran). Ermete udì e, saputo il mio nome, andò in fretta a dirlo
a Zeus; poco dopo fui introdotto, timoroso e tremante, e trovo tutti
seduti in riunione, nemmeno loro senza pensieri, giacché li preoccupava
alquanto il mio viaggio a sorpresa e si aspettavano che entro breve tempo
sarebbero arrivati tutti gli uomini, provvisti di ali nello stesso modo».

Il timore di accedere alla vista della divinità, fondamentale in molti


testi di ascensione, viene ridicolizzata e al posto di una visione straordi-
naria viene descritta una riunione di divinità preoccupate della situazi-
one.
In sostanza, Luciano presenta una critica radicale al viaggio celeste.
Invece di essere uno strumento di fondazione e legittimazione delle verità
filosofiche e religiose esso diventa la chiara dimostrazione della crisi della
filosofia e della religione.15

  Sul viaggio celeste nella letteratur giudaica antica: L.Arcari, “Sui rapporti tra
15

Apocalissi ‘con viaggio ulraterreno’ e ‘senza viaggio ultraterreno’. Indagine per una ‘sto-
ria’ del ‘genere apocalittico’”, Henoch 26, 2004, 64-84; I. Gruenwald, Apocalyptic and
Merkavah Mysticism. AGSU 14. Leiden, Brill, 1980; D. J.Halperin, The Merkabah in
Rabbinic Literature, AOS 62, New Haven, American Oriental Society, 1980; M. Him-
melfarb, Ascent to Heaven in Jewish and Christian Apocalypses, New York-Oxford, Ox-
ford University Press, 1993; N.Janowitz, The Poetics of Ascent, Theories of Language in
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Il viaggio celeste in alcuni testi cristiani e gnostici: una “tradizione”


giudaica?
1. Il nostro punto di vista parte dal I secolo, e in particolare da alcuni
testi protocristiani: la Seconda lettera ai Corinti (12,1-12); l’Ascensione di
Isaia (6-11); il Vangelo del Salvatore. Non possiamo ignorare il fenomeno
del viaggio celeste in alcuni testi gnostici (La Parafrasi di Sem NH VII,1;
il trattato “Zostriano” NH VIII,1; l’Apocalisse copta di Paolo NH V,2).
Due sono le domande riguardanti il cristianesimo primitivo. a) Come
dobbiamo considerare i rapporti tra questi testi? b) Le loro descrizioni
di viaggi celesti sono solo topoi, luoghi letterari o, al contrario, riflettono
esperienze religiose, forme di pratica religiosa?
Nella letteratura giudaica antica esistono diversi testi sicuramente
giudaici che parlano di viaggio celeste. Alcuni di questi testi sono ante-
cedenti alla Seconda lettera ai Corinti, (e perciò anche alla Ascensione di
Isaia, al Vangelo del Salvatore e ai testi gnostici); ad esempio1 Henoch
1-36; 40,52-54; 60-61 (Libro delle parabole); 72-82 (Libro dei luminari);
Testamento di Levi 2-5 (di datazione difficile, posta l’ipotesi di inserzioni
“cristiane”). 16
Alcuni sono più o meno contemporanei, come i testi di Filone. Altri
sono immediatamente posteriori a Paolo e più o meno contemporanei
all’Ascensione di Isaia, come ad esempio l’Apocalisse di Abramo 15-32; 2

a Rabbinic Ascent Text, SUNY Press, Albany, 1989; R. Macy Lesses, Ritual to Gain
Power. Angels, Incantations, and Revelation in Early Jewish Mysticism (Harvard Theo-
logical Studies), Trinity Press International, Harrisburg, Pennsylvania, 1998; G. W. E.
Nickelsburg, Resurrection, Immortality and Eternal Life in Intertestamental Judaism.
HTS 26. Cambridge, MA, Harvard University Press, 2006; A.J. Saldarini, “Apocalyp-
ses and ‘Apocalyptic’ in Rabbinic Literature and Nysticism”, in Collins, “Apocalypse:
The Morphology of A Genre”, 187-205; G. Scholem, Jewish Gnosticism, Merkabah My-
sticism and the Talmudic Tradition. 2d ed. New York, 1960; J. D. Tabor, “Returning to
the Divinity: Josephus’s Portrayal of the Disappearance of Enoch, Elijah, and Moses”, JBL
108, 1989, 225–38; J. E. Wrigth, The Early History of Heaven, New York, Oxford Uni-
versity Press, 2000; J. E. Wrigth, “Bibical Versus Israelite Images of the Heavenly Re-
alm”, JSOT 93, 2001, 55-71; Id., “Whiter Elijah? The Ascension of Elijah in Biblical and
Extrabiblical Traditions”, in: E.G. Chazon, D. Satran and R. A. Clemente (eds.),
Things Revealed. Studies in Early Jewish and Christian Literature in Honor of Michael E.
Stone, Brill, Leiden, 2004,123-147.
16
  H.W.Attridge, ,“Greek and Latin Apocalypses”, in J.J. Collins (ed.), “Apo-
calypse: The Morphology of A Genre”, Semeia 14 (1979), 159-186.
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Baruch; 2 Henoch 8,1; Testamento di Abramo10-15 (8-12 nella recensione


B); Apocalisse di Sofonia. Altri, infine, sono chiaramente posteriori: come
3 Henoch; i testi hekhalotici (Saldarini 1979) e i brani rabbinici che par-
lano del viaggio al pardes (Chaghiga 14b).
La questione è la seguente: la Seconda lettera ai Corinti, l’Ascensione
di Isaia, il Vangelo del Salvatore e i testi gnostici fanno parte di una linea
di trasmissione intragiudaica della forma religiosa, della pratica religiosa
(o del topos letterario) del viaggio celeste, come molti specialisti della let-
teratura giudaica e cristiana ritengono? O invece è necessario fare ricorso
ad un altro modello di interpretazione, diverso da quello di tradizione
lineare diacronica? Il viaggio celeste di Paolo va compreso all’interno di
una forma religiosa diffusa nel suo ambiente ellenistico-romano del quale
anche gli ambienti giudaici del tempo fanno parte?

Il viaggio celeste in testi greci e latini: una “tradizione” religiosa in-


dipendente?
1. All’interno della cultura greco-romana il “viaggio celeste” è at-
testato, come è noto, in numerosi testi. Harold W.Attridge17 ne fece a
suo tempo un inventario. Ne esaminiamo qui solo alcuni, tralasciando
testi anche molto importanti come quelli del Corpus ermetico perché di
troppo difficile datazione.18
a. Fondamentale è il testo del Poema di Parmenide (VI secolo a.E.V.).
In esso si parla di un viaggio che Parmenide compie su un carro trascinato
da cavalli e guidato da fanciulle. Il carro abbandona le regioni della notte
e va verso quelle della luce. Una porta sbarrata viene aperta e Parmenide
viene accolto da una Dea la quale gli comunica la rivelazione filosofica
fondamentale: «bisogna che tu impari a conoscere ogni cosa, sia l’animo

  A.D. Nock - A.J.Festugière, Corpus Hermeticum [Testo critico, introduzione e


17

traduzione francese], 2 voll. Trattati I-XIII, 1945 (ristampa 1960). Voll. III-IV, 1954;
Corpus Hermeticum, Edizione e commento di A. D. Nock e A.-J.Festugière, édition des
textes coptes et commentaire de Ilaria Ramelli, Milan, Bompiani, 2005.
18
  Cf anche H.Diels - W.Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti. Vol. I,
Bari-Roma, Laterza, 268-271 (la traduzione ivi pubblicata è di Pilo Albertelli).
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inconcusso della ben rotonda verità, sia le opinioni dei mortali nelle quali
non risiede legittima credibilità» (vv.28-30).19
Non è descritto un attraversamento dei cieli, ma una ascensione e un
passaggio dal giorno alla notte, un cambiamento dal buio allo splendore. C’è
la descrizione della porta sbarrata del cielo, sede delle divinità e della verità
e luogo di rivelazione. Straordinariamente importante per stabile i rapporti
fra culture diverse è la descrizione del carro su cui viaggia Parmenide: le sue
ruote sono di fuoco. Non sfuggirà che di fuoco è il carro su cui Elia sale al
cielo (2 Re 2,11) come di fuoco sono le quattro ruote dei cherubini in Eze-
chiele (10,1-18). Non può essere coincidenza casuale che il viaggio celeste
in queste due culture così diverse avvenga mediante un carro caratterizzato
dal fuoco. Bisogna ipotizzare un contatto e una relazione.
b. Fondamentale è anche un testo di Platone, Repubblica 614b-621d20
(siamo nel 370 a.E.V. circa) sul quale però non possiamo soffermarci a lungo.
Il viaggio celeste di Er, figlio di Armenio, viene da lui compiuto nei
dieci giorni in cui ucciso in battaglia resta morto prima di ritornare in
vita. Ciò sembrerebbe implicare che solo i morti possono fare un simile
viaggio. I cieli vengono descritti in 616e-617b e si parla anche della mu-
sica armoniosa che emanano (617b). La rivelazione riguarda il destino
dell’uomo. Le punizioni e i premi che l’attendono e la reincarnazione a
cui sono sottoposte le anime. Er compie il viaggio e riceve la rivelazione
“senza corpo”. Tutto quello che viene sperimentato nel cielo viene dimen-
ticato (perché gli uomini che sono sottoposti alla reincarnazione sono
costretti a bere l’acqua del Lete prima di tornare in terra, salvo Er che non
beve e perciò può ricordare, 621b).

c. Cicerone, Somnium Scipionis21


Con questo testo ci troviamo circa un secolo prima della Seconda
lettera ai Corinzi, in ambiente romano. In cielo, Scipione ha la visione

19
  Platone, La repubblica, a cura di Giuseppe Lozza, Milano, Mondadori, 1990,
822-845; Cicéron, La république. Tome II. Livres II-VI, Texte établi et traduit par Es-
ther Bréguet, Paris Les Belles Lettres, 2002, 103-118.
20
  Cicéron, La République, IIe éd., E.Bréguet, Paris, 2002; A.Traglia (a cura di),
Cicerone, Il sogno di Scipione, Roma, Bonacci, 1962.
21
  Non sfuggirà la somiglianza con la tematica di 2 Cor 12,4: « parole indicibili che
non è lecito ad alcuno pronunziare».
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del suo antenato e di suo padre: vede il cielo e ascolta la musica delle
sfere celesti.
È interessante che Macrobio, che trasmette il De Repubblica di Ci-
cerone, prima del sogno di Scipione abbia inserito un’interpretazione che
mette in relazione tale sogno con il racconto platonico di Er (Cicerone,
Repubblica VI, 8). Del resto non è certo un caso che ambedue i viaggi
celesti siano situati alla fine di due opere che trattano della vita politica
(quella di Platone con il racconto di Er e quella di Cicerone con il sogno
di Scipione).
Il momento iniziale del viaggio mostra un certo interesse di Cicerone
per il sogno come mezzo di rivelazione (si vedano i capitoli relativi nel
De Divinatione, XX, 39 e ss.) Scipione soprattutto ottiene la rivelazione
del senso della vita. Il corpo è una prigione da cui bisogna essere liberati,
dopo la morte, per poter ritornare nel luogo da dove le anime provengono.
Il cielo più alto. Bisogna allora conoscere quale sia «la via che porta in
cielo». È l’esercizio della giustizia e la pietà soprattutto verso la patria:

«Così anche tu coltiva la giustizia e la pietà, la quale pur essendo già di


grande importanza nei rapporti con i genitori ed i familiari, lo è gran-
dissima nei confronti della patria; una tal vita è la via che porta in cielo
(«ea vita via est in caelum») e che unisce a quelli che già vissero e che
liberati dal corpo, abitano il luogo che vedi» (16).

Macrobio, introducendo il testo di Cicerone, affronta esplicitamente


una questione che è simile alla nostra: il viaggio celeste è semplicemente
una finzione narrativa o una esperienza realmente avvenuta: «ma un per-
sonaggio fittizio e la artificiosa novità del fatto ed una scena architettata
apposta per la finzione contaminarono con la menzogna la soglia stessa
della ricerca del vero?» (Cic. Rep. VI,8). Macrobio nega che il racconto
di Platone e il sogno di Scipione siano una finzione.
In ogni caso due sono i punti che sono importanti per noi qui. a) Il
sogno di Scipione sta in relazione molto stretta con il testo della Repub-
blica di Platone. Sembra quindi ricollegarsi a una tradizione con la quale
condivide tutta una serie di tematiche; b) Scipione “sogna”. Nel sogno si
trova già nel cielo. Non abbiamo alcuna descrizione della salita attraverso
i cieli. I cieli però sono descritti nei § 17-19. Si tratta di sette sfere o cerchi
al di sopra dei quali sta il cielo più alto, la via lattea, che è esso stesso Dio.
E al di sotto dei quali sta il nono cerchio, quello della terra. Le sette sfere
Testatina sinistra 263

«ruotano in senso opposto al cielo» (17). Le sfere muovendosi danno


luogo ad una musica cosmica (come è ripetuto in molti testi da Platone
agli scritti ermetici)

«che le orecchie degli uomini non sono in grado di accogliere» (19).22

In questi capitoli del Sogno troviamo tutto un insieme di esperienze


psico-somatiche che Scipione sperimenta nei cieli.23
c) Il Demone di Socrate di Plutarco,24 è un’opera scritta verso il 90
del I secolo e perciò all’incirca contemporanea del Vangelo di Luca, della
Visione di Isaia (contenuta nei capitoli 6-11 dell’Ascensione di Isaia, di cui
parleremo poi) e poco anteriore al Vangelo di Giovanni. In esso, si narra
che Timarco scende nell’antro di Trofonio. Timarco

«Disse che, sceso nel recesso dell’oracolo, dapprima si era trovato immerso
in una profonda oscurità; poi, levata una preghiera, era rimasto a giacere a
lungo, senza comprendere chiaramente se era sveglio o se stesse sognando.
Tuttavia, aveva provato la sensazione che, nello stesso momento in cui si
produceva un improvviso rumore, la sua testa fosse colpita e le suture del
cranio cedessero, lasciando l’anima libera di uscire. E come quella si allonta-
nava, mescolandosi felice all’aria tersa e pura, gli pareva che respirasse allora
per la prima volta» (22).25

22
  Si potrebbe accennare anche a Seneca, Consolatio ad Marciam cap. 26. In realtà
il viaggio celeste è solo quello dell’anima del giusto che sale alla sede del cielo: «Puro e
senza lasciare nullo di suo sulla terra è fuggito, e se ne è, nella sua totalità allontanato;
fermatosi per un po’ sopra di noi, mentre si spurga e scuote via i difetti, che gli si erano
attaccati, e tutta la muffa della vita mortale, poi alzatosi verso il cielo, corre fra le anime
felici. Lo ha accolto un sacro assembramento: gli Scipioni ed i Catoni e, fra coloro che
hanno tenuto in non conto la vita e liberi per grazia della morte, il padre tuo, o Marcia»
(25,1-2) Lucio Anneo Seneca, I Dialoghi. Volume secondo. A cura di Giovanni Vian-
sino, Milano, Mondadori, 1993, 89. Cfr. Sénèque, Dialogues. Consolations, Texte établi
et traduit par René Waltz, Paris, Les Belles Lettres, 2003, 50-51.
23
  Plutarque, Oeuvres Morales. Tome VIII, Texte établi et traduit par Jean Hani,
Paris, Les Belles Lettres, 2003; Seguiamo la traduzione italiana di: Plutarco, Il Demo-
ne di Socrate. I ritardi della punizione divina, con un saggio di Dario del Corno, Milano,
Adelphi, 1982 (ristampa 2005).
24
  Plutarco, Il Demone di Socrate, 102; cfr. Jean Hani, Plutarque. Le Démon de
socrate (Moralia vol. VIII), Paris, Le Belles Lettres, 2003, 108.
25
  Plutarco, Il Demone di Socrate, 108.
264 Testatina sinistra

Alla fine del viaggio, Plutarco descrive ancora una volta l’esperienza
psico-somatica di Timarco:
«Taciutasi la voce, Timarco disse che avrebbe voluto voltarsi per vedere
chi fosse a parlare; ma avendo provato nuovamente un forte dolore al
capo, come se fosse stato compresso con la forza, non poteva più né
intendere, néé sentire alcunché intorno a lui; poco dopo ritornò in sé,
e si rivide giacere presso l’ingresso di Trofonio, dove egli si era coricato
all’inizio» (22 = 592 E).26

Si sdraia quindi e in stato di semiveglia, per due notti e un giorno,


sperimenta un viaggio attraverso i cieli. In questo viaggio, conosce la strut-
tura del cosmo (l’Ade, la terra e i cieli sovrastanti), come i corpi celesti
sono costituiti e sono stati generati e da chi sono custoditi e sorvegliati),
soprattutto viene a conoscere la natura dell’uomo (l’anima, l’intelletto e
il demone) i destini delle anime, il loro mescolarsi con il corpo e liberarsi
da esso, le capacità conoscitive dell’uomo.
2. In tutto questo insieme di testi esistono importanti accenni alla
concreta esperienza psico-somatica in cui avviene il viaggio celeste, sia
per quanto riguarda il momento iniziale o di preparazione, sia per le
esperienze sensoriali durante il «viaggio», sia per il momento finale di
ritorno in sé. Il viaggio permette sempre di ottenere la conoscenza di una
dottrina esoterica circa la struttura del cosmo, la natura dell’uomo e il suo
destino finale. Su tutto questo torneremo nella conclusione. Di Plutarco
abbiamo, del resto, un’altra descrizione di un viaggio celeste nel I ritardi
della punizione divina 22-33.27
e) Oltre al testo di Poimandres, del Corpus Hermeticum, vogliamo ri-
cordare la cosiddetta Liturgia di Mitra.28 Il testo spiega agli iniziati che de-

  Plutarco, Il Demone di Socrate. I ritardi della punizione divina, 164-175. Cf


26

Segal, “Heavenly Ascent” , 1346.


27
  Papyri Graecae Magicae: Die griechischen Zauberpapyri. Edizione e traduzione di
Karl Preisendanz. 2 Aufl. A cura di Albert Henrichs, vol. 1, Stuttgart, Teubner,
1973, 88-101; H. D. Betz, The “Mithras Liturgy”: Text, Translation, and Commentary
(Studien und Texte zu Antike und Christentum,18), Tübingen, Mohr Siebeck, 2003; A.
Dieterich, Eine Mithrasliturgie, 3d ed., Ed. O. Weinreich, Leipzig, Teubner, 1923.
28
  Cf la traduzione del testo in Origene, Contro Celso a cura di Pietro Ressa,
Brescia, Morcelliana, 2000, 446-449; Vedi anche: E. V. Gallagher, Divine Man or
Testatina sinistra 265

vono ascendere ai cieli come il viaggio si svolga. E’ stato spesso contestato


che questo testo abbia a che fare con i rituali mitraici, ma è stato anche
sostenuto che invece si adatta bene a questi riti che prevedono l’ascesa al
cielo dell’anima come anche sostengono Celso e Porfirio (Origene, Contra
Celsum, 6. 21-22;29 Porfirio, De antro nympharum, 5-630). Secondo Celso,
nell’iniziazione di Mithra «c’è una raffigurazione simbolica delle due riv-
oluzioni nel cielo, quella delle stelle fisse e quella assegnata ai pianeti, e
del passaggio dell’anima attraverso di esse. La raffigurazione è questa: una
scala con sette porte, sopra alla quale c’è un’ottava porta» (Contro Celso 6,
22).31 La teoria mitraica dell’ascensione dell’iniziato attraverso i sette cieli�
era certamente ampiamente diffusa dal I secolo prima dell’Era Volgare e
ne abbiamo una raffigurazione nel mosaico del Mitreo di Ostia.

Differenze fra testi greco-romani e cristiani


Sembra chiaro che la concezione del viaggio celeste nei testi greco-ro-
mani faccia parte di una tradizione che è indipendente da quella giudaica.
Non possiamo invece affermare la stessa cosa per i testi giudaici cristiani
e gnostici. Essi potrebbero dipendere dalla tradizione greco romana o da
fonti comuni. In questo caso la spiegazione per comprendere il contesto
culturale del viaggio celeste di Paolo andrebbe trovata nel contatto tra
gruppi religiosi in una medesima area geografica e culturale che permette
gli influssi reciproci e le mutuazioni. Il modello di spiegazione non è
più quello della tradizione o della trasmissione, ma quello del contatto e
della convivenza. Ciò non esclude l’influsso di ambienti giudaici, purché
si sia consapevoli che anche questi ambienti, testi o personalità giudaiche
vivono all’interno di una situazione culturale ellenistico-romana di cui
fanno parte e da cui sono influenzati.

Magician?: Celsus and Origen on Jesus. SBLDS 64. Missoula, Montana, 1982.
29
  Porfirio, L’antro delle ninfe, a cura di Laura Simonini, Milano, Adelphi,
1986.
30
  Cf P.Ressa in Origene, Contro Celso, 447 nota 125.
31
  Cf. G.Sfameni Gasparro, “I misteri di Mitra”, in A.Bottini (a cura di), Il Rito
segreto. Misteri in Grecia e a Roma, Milano, Electa, 2005, 99-101
266 Testatina sinistra

Punti essenziali del viaggio celeste di Paolo


a) Antica è la questione se Paolo parli di un viaggio celeste al terzo
cielo, e di un secondo viaggio al paradiso. Oppure si tratti di un’unica
esperienza.32 A favore di un solo viaggio, sta il fatto che in molti testi
giudaici il paradiso è situato al terzo cielo.33 Paolo ripeterebbe due volte
l’affermazione di avere fatto un viaggio celeste per calcare l’accento sulla
straordinarietà dell’esperienza o per spiegare che il paradiso si trova al terzo
cielo (o che per entrare nel paradiso bisogna arrivare al terzo cielo). Ora,
il paradiso secondo Luca 23,43 è il luogo dove abitano i giusti («oggi
sarai con me nel paradiso»). In Apoc 2,7 è il luogo dove sta l’albero della
vita del cui frutto mangeranno i giusti credenti, i «vincitori». Probabil-
mente è il luogo dove abitano anche i patriarchi: il povero della parabola
quando muore è portato dagli angeli a mangiare al posto di onore, sul
seno di Abramo (secondo Lc 16,22). I numerosi testi giudaici che parlano
del paradiso sono tutt’altro che concordi sulla sua localizzazione, sulle
persone che lo abitano e sugli elementi interni che lo caratterizzano. Ciò
è del resto ovvio trattandosi di un prodotto tipico della immaginazione
religiosa. È perciò difficile stabilire fino a che punto Paolo condivida le
opinioni dei diversi testi.34

b) Si tratta di una vera e propria esperienza e non di una rappresen-


tazione puramente letteraria. Paolo parla in prima persona di ciò che ha

  A favore di due viaggi sta la ripetizione della frase introduttoria e il fatto che
32

Paolo parla di visioni (optasiai) e rivelazioni (apocalypseis) al plurale sia quando introduce
le sue esperienze («verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore», 12,1), sia quando
le commenta: («perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni»,
12,7). Ma il plurale potrebbe essere usato da Paolo per sottolineare che egli parla di una
sola esperienza, ma ne ha avute però molte altre (cf M.E.Thrall, The Second Epistle to
the Corinthians. Vol. II, T&T Clark, Edinburgh 2000, 783). Sulla “ Corinti, cf anche:
P. Barnett, The Second Epistle to the Corinthians, Eerdmans, Grand Rapids Michigan,
1984; Ph.E. Hughes, Paul’s Second Epistle to the Corinthians, London - Edinburgh,
Marshall, Morgan & Scott, 1962.
33
  Vedi J.D. Tabor, “Heaven, Ascent to”, in Anchor Bible Dictionary III, 91-94; Cf.
I. De Vuippens, Le Paradis Terrestre au troisième ciel. Exposé historique d’une conception
chrétienne des premiers siècles, Paris, Librairie Saint-François d’Assise - Freiburg Suisse,
Librairie de l’Oeuvre de S.-Paul, 1925.
34
  Cf. J.H. Charlesworth, “Paradise”, Anchor Bible Dictionary V,154-155.
Testatina sinistra 267

vissuto,35 non è un autore che racconta il viaggio celeste di un personaggio


del passato. «E’ perché egli sta raccontando la sua propria esperienza che
egli può datare l’evento: “14 anni fa”».36 Dovremmo essere più consape-
voli del fatto che si tratta di una delle poche testimonianze dirette di una
persona che racconta ciò che ha vissuto offrendo anche dettagli tutt’altro
che secondari sul come essa è avvenuta. Siamo di fronte ad un documento
di estremo interesse, proprio dal punto di vista esperienziale. D’altro canto
le «rivelazioni» sono, per 1 Cor 14,6.26, uno dei “carismi”.37 L’esperienza
di cui Paolo parla deve essersi verificata circa agli inizi degli anni Quar-
anta, se questa parte della Seconda lettera ai Corinti è stata scritta come
sostiene Margareth Thrall, nei mesi Agosto-Settembre del 56.38

c) È probabile, ma non certo, che l’oggetto delle visioni e rive-


lazioni ottenute con il viaggio celeste fosse Gesù stesso. In 12,1 Paolo
parla di «visioni e […] rivelazioni del Signore». Il genitivo è soggettivo
o oggettivo?39 E’ Gesù che permette le visioni e le rivelazioni o queste
hanno per oggetto il Signore stesso? Propendiamo per la seconda ipotesi.
Ma senza una certezza. Se Paolo ha visto il Signore Gesù e ne ha ricevuto
rivelazioni dobbiamo supporre che la localizzazione del Signore per lui

35
  Cosi diversi autori fra cui Thrall, The Second Epistle to the Corinthians. Vol. II,
775-776 («actual personal experience»); A. Pitta, La seconda lettera ai Corinzi, Roma,
Borla, 2006, 483.
36
  Thrall, The Second Epistle to the Corinthians. Vol. II, 782.
37
  Cfr. anche Pitta, La seconda lettera ai Corinzi, 486.
38
  M.E.Thrall, The Second Epistle to the Corinthians. vol. I, T&T Clark, Edinbur-
gh, 1994, 3-77; cf anche B. Heininger, “Paulus und Philo als Mystiker? Himmelreisen
in Vergleich (2Kor 12,2-4; SpecLeg III 1-6)”, in R.Deines - K.-W. Niebuhr (hrsg.),
Philo und das Neue Testament. Wechselseitige Wahrnehmungen, Mohr Siebeck, Tübingen,
2004, 191). Siamo d’accordo con quanti negano che Paolo voglia criticare l’esperienza
del viaggio celeste mostrando, che di esso non bisogna vantarsi particolarmente o che
addirittura ne voglia presentare una critica. Il fatto che egli dica che ha udito parole indi-
cibili non vuol dire che tali esperienze sono da sminuire (contro ad esempio Heininger,
“Paulus und Philo”, 192). Ci sembra da escludere l’ipotesi sostenuta da M.Smith, “Ascent
to the Heavens”, 63-67 che l’uomo che ha fatto il viaggio celeste secondo Paolo sia non
lui stesso, ma Gesù.
39
  Non ci convincono le osservaziunoni di chi sostiene che si tratti di un genitivo
“generale” in cui Gesù è nello stesso tempo soggetto e oggetto, ambito e contenuto (Pit-
ta, La seconda lettera ai Corinzi, 487).
268 Testatina sinistra

sia il paradiso? In questo caso il paradiso non può non essere il cielo più
alto e questo significa che Paolo condivide una astronomia dei tre cieli.
Oppure la localizzazione nel terzo cielo è provvisoria per il Signore, che
sta in quel cielo mentre lotta per la vittoria finale? Nulla ci permette di
avvalorare questa ipotesi.

d) Un’altra questione è se Paolo pensi ad una cosmologia di soli tre


cieli (come abbiamo trovato anche in Luciano) Luna, Sole e cielo supre-
mo dove abita la divinità, o se invece pensi ad un viaggio in cui raggiunge
solo il terzo cielo, ben sapendo che ve ne sono altri al di sopra. L’Apocalisse
copta di Paolo sembra interpretare questo passo in questo secondo senso.40
Ma ciò avviene perché il suo autore possiede una cosmologia diversa da
quella di Paolo. Non c’è alcun motivo per volere uniformare la cosmologia
di Paolo a quella della più tarda Ascensione di Isaia di cui parleremo tra
breve e che conosce bene la teoria dei sette cieli. Paolo può avere assunto
questa concezione dei tre cieli dal suo ambiente ellenistico-romano.
Nel Testamento di Levi 2-3 (nella versione del testo a), il terzo cielo è
il più alto.41 Il Secondo libro di Enoch (nella versione del testo A, 3-22) ha
sette cieli, ma il paradiso è situato al terzo cielo (8,1)42 mentre al quarto è
situata la luna e il sole (11,1). Nel III libro di Baruch, che immagina sette
celi, il terzo cielo è quello del Sole.43 Anche nell’Apocalisse di Mosè (Vita
di Adaamo e Eva) 37.40 il paradiso è al terzo cielo.

40
  «Allora lo Spirito santo che stava parlando con lui lo rapì in lato al terzo cielo e
egli passo oltre al quarto cielo» (NHC V, 19, 20-25).
41
 �������������������������������������������������������������������������������������������
Il terzo cielo è quello «più splendente e più puro. Quando sarai salito lassù, sarai vici-
no al Signore» (2, 9-10); nel terzo cielo che è la «sede più alta di tutte», «c’è la grande gloria
che è al di sopra di ogni santità» (3, 4). In realtà, in 3,5-8 si parla di tre cieli che stanno sotto
il più alto cielo sede di Dio e quindi l’astronomia sacra del Testamento di Levi non è chiaris-
sima. Sembrerebbe che «i santi» abitino nel terzo cielo. Il che vorrebbe dire forse che il pa-
radiso è situato al terzo cielo. P.Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. I, Torino, UTET,
790-793. «Le texte primitif du Testament de Lévi ne comportati, en effet, que trois cieux,
puisque, selon I,8, le troisième ciel, dont la hateur est infinie, ne peut, de toute évidence, être
que le dernier» (M.Philonenko, Testament des douze patriarches, in A.Dupont-Sommer
- M.Philonenko, La Bible. Écrits Intertestamentaires I, Paris, Gallimard, 1987, 836).
42
  «Mi fecero salire al terzo cielo e mi posero al centro del paradiso» (8,1).
43
 ���������������������������������������������������������������������������������������
«È nel terzo cielo che il sole circola e che dispensa la luce all’universo. Ma aspet-
ta e vedrai la gloria di Dio» (7,2) secondo la traduzione di Jean Riau, in A.Dupont-
Sommer - M.Philonenko, La Bible. Écrits Intertestamentaires I, 1157.
Testatina sinistra 269

Secondo A.Panaino (1995, 215-217) la divisione in tre cieli è meso-


potamica e influenza sia l’Iran, sia l’India, sia la Grecia a cominciare da
Anassimandro e Parmenide. Con Anassimandro si avrebbe non tanto
una ricerca astronomica, quanto piuttosto «speculativa», filosofica
(1995, 216).44 Panaino si rifà all’antico studio di W. Bousset45 per sos-
tenere che il Testamento di Levi II ss; 2 Cor 12; Enoch slavo 8; Apocalisse
di Mosè (Vita greca di Adamo) 37 dipendono da «uno sfondo iranico-
mesopotamico».46
In sostanza, tutte queste osservazioni convergono verso l’affermazione
che l’astronomia dei tre cieli che Paolo presuppone sarebbe di origine
mesopotamica e avrebbe influenzato diverse aree geografico culturali, tra
cui quella greca, come già abbiamo visto in Luciano. Per lo meno, come
conclusione minima, possiamo affermare che la presenza di una cosmolo-
gia dei tre cieli non spinge le affermazioni di Paolo in 2 Cor 12,2 esclu-
sivamente o primariamente verso un ambiente giudaico.

e) Paolo dice di essere stato “rapito” al terzo cielo: ha perciò speri-


mentato il viaggio celeste a causa di un intervento esterno a lui. Paolo usa

44
 �������������������������������������������������������������������������������
Secondo Panaino, siccome l’astronomia greca era ai suoi tempi ancora «primiti-
va», «è più probabile che la cosmologia di Anassimandro fosse ancora speculativa, come
suggeriscono Kird-Raven-Schofield […] e probabilmente più interessata a scoprire un’ar-
monia geometrica dell’universo, che divenne la base per lo sviluppo dell’astrononia greca
[…] Come abbiamo visto, Diels per la cosmologia di Anassimandro, ma anche Bousset
[…] e West […] per l’ordine iranico suppongono un background di tipo shamanico, cosa
che per Anassimandro in particolare è molto difficile, nonostante egli immaginasse i cor-
pi astrali come buchi. Infatti, nella sua dottrina non abbiamo alcun riferimento all’ascen-
zione dell’anima, ma solo un’affermazione di Teodoreto (II-V E.V.) secondo la quale la
psychê è “di natura aerea” […]».
45
  W. Bousset, “Die Himmelsreise der Seele”, ARW 4 (1901) 136–69. Cf anche:
L. Bieler, THEIOS ANER: Das Bild des “Göttlichen Menschen” in Spätantike und
Frühchristentum. 2 Vols. Vienna, 1935–36; C. Colpe, “Die ‘Himmelreise der Seele’ als
philosophische und religionsgeschichtliche Problem”, in E. Fries (hsgb.), Festschrift für
Joseph Klein zum 70. Geburtstag, Göttingen, 1967, 85-104; R. Reitzenstein, Helleni-
stic Mystery-Religions: Their Basic Ideas and Significance. Trans. J. E. Steely. PTMS 15,
Pittsburgh, Pickwick, 1978; E. Rohde, Psyche: The Cult of Souls and Belief in Immorta-
lity Among the Greeks, trans. W. B. Hillis. 8th ed., New York, 1925.
46
  A.Panaino, “Uranographica Uranica 1. The Three Heavens in the Zoroastrian
Tradition and the Mesopotamian Background”, in Au carrefour des religions. Mélanges
offerts à Philippe Gignoux, Res Orientales VII (1995), 219.
270 Testatina sinistra

il verbo arpazô47 che è lo stesso verbo con il quale descrive come i viventi
al momento della risurrezione finale in 1 Thess 4,17 siano rapiti in cielo.48
Il tema del rapimento al cielo si trova anche nella liturgia di Mitra, di cui
abbiamo già parlato, molto probabilmente più tarda. Ma la rappresen-
tazione dell’ascesa al cielo nel mitreo di Ostia presuppone sette cieli.

f ) Di estrema importanza sono gli accenni di Paolo a ciò che egli ha


sperimentato. Paolo ripete due volte che non sa se il viaggio sia avvenuto.
Ritorniamo alla frase «se nel corpo (en sômati) non lo so, se fuori (12,2)
(o senza, 12,3) il corpo non lo so lo sa Dio» deve avere un significato
tutto particolare proprio perché è ripetuta due volte. Anzitutto, Paolo
sembra sapere che esperienze di questo tipo possono avvenire in due modi
diversi. Quando il viaggio avviene “fuori” o “senza” il corpo, il corpo
rimane sulla terra, mentre una parte dell’essere umano viene trasportato
nei cieli. Nel primo caso invece è tutto il corpo che viaggia nei cieli.49 È
probabile che il fatto che Paolo parli della propria esperienza come se
fosse stata fatta da una persona diversa da sé, evitando perciò di attribuire
a se stesso l’esecuzione del viaggio celeste, abbia come scopo di esprimere
l’aspetto per il quale questa esperienza implica l’intervento di un forza
soprannaturale che il soggetto subisce. M.Thrall, suggerisce che l’uso della
terza persona «derivi originariamente dalla natura dell’esperienza stessa,
cioè dal fenomeno estatico del dislocamento dell’ego».50
Il fatto che Paolo dica che “non sa” se ha fatto il viaggio celeste col
corpo significa o che si tratta di un’esperienza nella quale la percezi-
one corporea viene sospesa oppure che dopo l’esperienza sopravviene
una perdita di memoria, o che una parte della memoria non trasmette
quello che è successo. Siamo molto vicini alla descrizione che Plutarco fa
dell’esperienza di Timarco. Paolo ha però memoria di avere sentito «pa-

47
  Il verbo esprime un’azione a cui non si può opporre resistenza (arpazô in F.D.
Danker, A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Lite-
rature, Third Edition, Chicago and London, University of Chocago Press, 2000, 2b)
48
  Il verbo è usato anche in Apocalisse 12,5 per indicare il trasferimento verso Dio
del figlio della donna.
49
 �������������������������������������������������������������������������������������
L’uso della terza persona «deriva originariamente dalla natura dell’esperienza stes-
sa, cioè dal fenomeno estatico del dislocamento dell’ego» (Thrall, The Second Epistle
to the Corinthians. Vol. II, 782).
50
  Thrall, The Second Epistle to the Corinthians. Vol. II, 782.
Testatina sinistra 271

role inenarrabili, arrêtha rhêmata». «Arrêtos (come ricorda M.Thrall51)


è un termine adoperato nei testi religiosi greci per i riti iniziatici (cf Ero-
dono Hist V, 83, Euripide, Bacchae II,471-472).52 Tutti questi aspetti ci
portano ad escludere quelle interpretazioni che vedono in questo passo
paolino un puro motivo letterario.
Paolo non fa alcun accenno ad una preparazione del viaggio celeste,
né a tecniche dell’estasi. Si può, tuttavia, dubitare che il viaggio celeste
avvenga all’improvviso. Nelle comunità paoline si parla a lungo di liturgie
profetiche - che però sono collettive - e il passo della Prima Lettera ai
Corinti (2,6-16) parla esplicitamente di rivelazioni che Paolo sperimenta
insieme ad un gruppo ristretto di «perfetti».
Bisogna però notare che in nessuno dei brani in cui parla dei carismi
comunitari e delle manifestazioni pneumatiche, Paolo ha presente la pro-
fezia, la glossolalia, la gnosis, ma non accenna mai al viaggio celeste. I suoi
viaggi celesti non sembrano avere una funzione comunitaria. Ma in realtà
anche la glossolalia per Paolo può presentarsi senza funzione comunitaria.
In questo caso il glossolalo non deve neppure comunicare all’assemblea
la rivelazione ricevuta (1 Cor 14, 27-28). Ci si può legittimamente do-
mandare se fra i termini che Paolo usa per definire i fenomeni di contatto
con il soprannaturale ve ne siano alcuni che si applicano a quello che noi
chiamiamo, con termine forse un po’ troppo artificiale, “viaggio celeste”.
Ma questa è una ricerca tutta da fare.

g) Paolo parla dei suoi viaggi celesti all’interno di un brano narra-


tivo rivolto ai membri della ekklêsia di Corinto. Il passo è polemico per-
ché Paolo combatte contro i predicatori suoi avversari che sono arrivati
a Corinto e che si vantano di essere «Ebraioi, israêlitai, […] ministri di
Cristo» (2 Cor 11,22-23). Da questo punto in vista, Paolo non si sente
in nulla inferiore a loro. Il brano è, però, anche apologetico perché Paolo si
difende in due modi: a) mostrando la sua straordinaria carriera di predica-
tore dedito fino alla morte al suo compito e b) sostenendo di avere avuto
straordinarie rivelazioni e visioni «del Signore» e, in più, una rivelazione

51
  Ivi, 795-796.
52
  G. Lo Russo, La Seconda Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione e commento,
Bologna EDB.
2007, 292.
272 Testatina sinistra

personale di Gesù. Tutto ciò mostra che paolo fa giocare la sua esperienza
del viaggio celeste in un contesto relazionale comunitario.
Non si può del resto escludere che il ricorso al “viaggio celeste” - in
funzione apologetica e legittimante - fosse dovuto al fatto che i membri
della ekklêsia di Corinto praticassero, per la loro appartenenza alla reli-
giosità greco-romana, questo tipo di esperienza religiosa, o che fossero
proprio i predicatori ebrei avversari a vantarsi di queste esperienze. Lo
scenario sarebbe comunque quello di una forma religiosa abbastanza dif-
fusa a Corinto tra gruppi religiosi diversi.

h) Ci si può domandare se la frase “conosco in Cristo” autorizzi


un’interpretazione misterica della religiosità di Paolo. Il dibattito nove-
centesco relativo alla questione se Paolo dipenda da una religiosità mis-
terica è del resto imponente. L’inserimento «in Cristo» pone l’individuo
sotto l’azione della potenza soprannaturale e una delle azioni di questa
potenza è di rapire Paolo al terzo cielo.53
Molto importante nel brano riferito è la teoria religiosa secondo
la quale «la mia [è Cristo che parla] potenza si manifesta pienamente
nella debolezza. Mi vanterò quindi [è Paolo che parla] benvolentieri delle
mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,
9). Qui emerge una religiosità per la quale l’obiettivo fondamentale è di
ottenere in sé stessi la dynamis soprannaturale. Ciò si ottiene mediante
l’inserimento en christô. L’opposizione debolezza / potenza è formulata in
termini teologici. Ma Paolo si riferisce con essa ai fatti concreti della sua
esperienza. La debolezza nella carne è esemplificata dalle sue esperienze
autobiografiche
Quale può essere la base reale, esperienziale di queste formulazioni
teologiche e mitologiche o ideologiche? Crediamo stia nel porsi in una
condizione di debolezza per potere essere afferrati dalla potenza sopran-
naturale sotto forma di rivelazioni, capacità taumaturgica, capacità profe-

53
  Ci permettiano di ricordare che noi interpretiamo il giovannismo come religione
della rinascita affine alle religioni dei misteri e al pitagorismo (Destro - Pesce, Come
nasce una religione. Antropologia e esegesi del Vangelo di Giovanni, Bari-Roma, Laterza,
2000, 98-109).
Testatina sinistra 273

tica. Anche il rapimento nel viaggio celeste fa parte della manifestazione


della dynamis soprannaturale che possiede l’individuo debole.54

i) L’esperienza del viaggio celeste si trova in un altro giudeo del I


secolo, forse più anziano di Paolo di una generazione, Filone di Alessan-
dria, un personaggio profondamente imbevuto della cultura ellenistica.55
Nel De opificio mundi Filone, commentando il brano della Genesi
secondo cui Dio fece l’uomo a sua «immagine e somiglianza», parla
dell’anima dell’uomo che è «invisibile, nonostante veda ogni cosa ed ha
un’essenza che è non discernibile nonostante possa discernere l’essenza di
ogni altra cosa ed è capace con arti e scienze di crearsi grandi strade che
portano in diverse direzioni». L’anima, infatti, «sollevata in alto con ali,
e contemplando l’aere e le sue passioni, è portata in alto fino all’etere e
alle orbite del cielo e dei pianeti e percorre i cori delle stelle fisse secondo
le leggi perfette della musica, seguendo l’amore - guida di sapienza - e
avendo superato ogni essenza percepibile da sensi, pervene a ciò che è
percepibile dalla mente» (69-71). Dopo avere contemplato i modelli e
le idee delle cose sensibili in tutta la loro realtà e bellezza, l’anima, dice
Filone, è presa da uno stato di entusiasmo: «afferrata da una sobria ubria-
catura come i coribanti, riempita da un altro desiderio e da un migliore
amore dal quale è sospinta all’apice massimo delle cose intellegibili fino a
quando pensa di raggiungere il grande re». Alla fine l’anima è riempita
dallo splendore divino.

54
  Secondo Heininger, “Paulus und Philo”,203 sarebbero tipici della letteratura
apocalittica giudaica due elementi: che lo scopo del viaggio sia andare nel paradiso e
che Paolo non sappia se l’esperienza è avvenuta col corpo o senza il corpo, l’interesse per
il moltiplicarsi dei cieli (ivi, 192), ma questi elementi si trovano nella letteratura greco-
romana dei viaggi celesti. Non condividiamo neppure l’impostazione di P.R.Gooder,
Only the Third Heaven? 2 Corinthians 12.1-10 and Heavenly Ascent, T&T Clark, Lon-
don-New York,2006,31 la quale non intende paragonare l’ascesa celeste di Paolo se non
con testi dell’apocalittica giudaica o meglio della «Judaeo-christian tradition». Esclude
dal confronto il Testamento di Abramo e l’Apocalisse di Abramo perché non contengono
una vera e propria descrizione dell’attraversamento dei cieli. Ma in realtà neppure 2 Cor
12,1-3 la contiene.
55
  Cf. P. Borgen, “Heavenly Ascent in Philo. An Examination of Selected Passa-
ges”, in J.H.Charlesworth - C.A.Evans (eds.) The Pseudepigrapha and Early Biblical
Interpretation, Sheffield, 1993, 246-268; M. Dean-Otting, Heavenly Journeys. A Stu-
dy of the Motif in Hellenistic Jewish Literature, Frankfurt, Peter Lang, 1984.
274 Testatina sinistra

Tutta una serie di verbi al passivo: sollevata, portata, afferrata, ri-


empita, sospinta (artheis, feretai, kataschetheis, gemistheis, parapemftheis),
descrive gli atti attraverso i quali l’anima è forzata ad ascendere, anche se
ciò che la muove e sospinge è un desiderio divino interno ad essa. L’ascesa
non è solo prodotta dall’anima, ma è indotta dalla forza divina che sta
in essa e che viene liberata dalla contemplazione filosofica e dal viaggo
celeste stesso che colloca l’anima in un ambiente profondamente diverso
da quello del mondo.
Sembra chiaro che la pratica del viaggio celeste viene qui addotta
come spiegazione di una visione religioso-filosofica ed espressa nei termi-
ni di questa visione. È l’esistenza di questa pratica che diventa strumento
di dimostrazione apologetica della verità del testo biblico. È poi fonda-
mentale che la descrizione degli stati psico-somatici dell’anima durante
il viaggio celeste vengano compresi alla luce dell’esperienza della pratica
religiosa dei coribanti. Qui sembra essere la pratica religiosa corrente che
permette di interpretare l’esperienza dell’anima nel viaggio celeste e non
la filosofia medioplatonica.
Sembra anche chiaro che Filone si muove al di fuori di una presunta
“tradizione” giudaica del viaggio celeste. Filone parla di viaggio celeste
anche in Specialibus Legibus III,1-2, ove riporta una propria esperienza
personale. Il suo viaggio consiste nel fatto che la sua anima è portata fino
«al sole, alla luna e a tutto il cielo e il cosmo»:

«mi sembrava essere sempre portato in alto in aria secondo un certo


desiderio divino dell’anima e andare in giro con il sole la luna e tutto il
cielo e il cosmo».

Filone sperimenta dall’alto del cielo una visione delle cose del mondo:

«guardando dall’alto, dall’etere, e volgendo come da una torre di os-


servazione l’occhio della mente guardai le contemplazioni indicibili (tas
amuthêtous theôrias) di tutte le cose che sono sulla terra mi considerai
felice essendo sfuggito di forza ai mali della vita mortale».

Certo, le contemplazioni «indicibili» o «non esprimibili in rac-


conto» mostrano somiglianza con le «parole ineffabili» di Paolo. Ma
dobbiamo guardarci da una ingenua comparazione diretta tra due testi.
Testatina sinistra 275

L’inesprimibilità dell’esperienza è comune a diversi testi appartenenti ad


ambiti culturali abbastanza diversi.
Il viaggio celeste di Filone non appare all’improvviso, è preparato
e indotto da una meditazione filosofica concentrata solo su oggetti di-
vini (theiois logois kai dogmasin). È un’esperienza che si manifesta ad un
certo punto all’interno di questa ricerca filosofica. È la dimensione divina
dell’anima che lo suscita: «mi sembrava essere portato in alto secondo
un certo desiderio divino (epitheiasmos) dell’anima». Ciò che il viaggio
permette è una visione di tutte le realtà del mondo, la contemplazione
dall’alto dei cieli. L’anima percepisce di essere nei cieli in una realtà che le
è connaturale e di essere così sfuggita alla dimensione mortale del mondo.
Non siamo lontani dall’atmosfera spirituale e religiosa del Sogno di Scipi-
one di Cicerone. Il viaggio celeste appare come un’esperienza religiosa che
è profondamente legata ad un’atmosfera religiosa in cui l’uomo cerca di
conoscere e sperimentare gli aspetti più alti e nobili di se stesso. Non si
tratta di una pratica eccentrica e marginale.
Sostenere che in Paolo il viaggio celeste non è preparato e indotto
come in Filone perché avviene invece in modo subitaneo e per opera
di Dio sarebbe ingenuo. Lo scopo di Paolo in 1 Cor 12, 1-4 non è di
mostrare come si possa ottenere questa esperienza, né descriverne i con-
tenuti. Ciò che Paolo vuole fare sapere è ciò di cui effettivamente parla:
che è arrivato al terzo cielo e al paradiso, che vi è stato trasportato da una
potenza divina, che non sa se ciò sia avvenuto nel corpo o fuori dal corpo
e che ha udito parole inesprimibili. Sono questi i cinque elementi che
erano probabilmente importanti nel contesto di Corinto. Forse i suoi av-
versari Ebraioi e discendenti dal seme di Abramo hanno simili esperienze
e Paolo vuole dimostrare di non essere da meno. In questo caso il suo
riferimento è un’esperienza di viaggio celeste di tipo giudaico palestinese.
Ma il fatto che dei seguaci di Gesù, Giudei palestinesi, abbiano esperienze
di viaggio celeste non ci dice ancora nulla sulla natura delle loro espe-
rienze e soprattutto non ci dice affatto che Paolo abbia avuto esperienze
del tipo che loro avevano. Un giudeo ellenizzato come Paolo può avere
fatto l’esperienza di viaggio celeste secondo parametri e pratiche culturali
di tipo ellenistico romano profondamente fuse con gli elementi della re-
ligiosità giudaica. Infine, non bisogna dimenticare che Paolo parla ad abi-
tanti di Corinto, forse prevalentemente non Giudei. Il che significa che
egli presuppone che essi sappiano cosa è un viaggio celeste al terzo cielo.
276 Testatina sinistra

Il fatto che egli ipotizzi che il suo viaggio possa essere avvenuto «fuori
del corpo» o «senza il corpo» significa che egli non esclude di rappre-
sentare la sua esperienza ai Corinzi come se la sola anima possa avere fatto
il viaggio celeste, mentre il corpo rimaneva sulla terra, esattamente come
Filone - in base ad una concezione ellenistica - immagina. E se Filone
immagina che siano gli occhi dell’anima ad avere la contemplazione delle
cose del mondo, perché non dovremmo pensare che anche Paolo ritenga
che siano le orecchie dell’anima ad ascoltare parole inesprimibili? Come
giustamente nota A.A. Orlov, Paolo dimostra una «conoscenza dei due
tipi di ascesa, nel corpo come anche al di fuori di esso».56

Ascensione di Isaia
Non possiamo qui occuparci estesamente di un testo protocristiano
di estrema rilevanza per lo studio del viaggio celeste: l’Ascensione di Isaia
databile probabilmente tra la fine del I e l’inizio del II secolo e forse lo-
calizzata ad Antiochia in Siria.57

56
  A. A. Orlov, The Enoch-Metatron Tradition, Tübingen, Mohr, 2005, 183. Del-
la medesima opinione è anche P.Schäfer, “New Testament and Hekhalot Literature:
The Journey into Heaven in Paul and in Merkavah Mysticism”, in Id., Hekhalot Studies,
Tübingen, Mohr, 1988, 237: Paolo lascia aperte ambedue le possibilità. Non ci sembra
quindi giustificato il parere di A.Pitta, La seconda lettera ai Corinzi, 489 per il quale
Paolo lascerebbe «irrisolta la questione del dilemma sul proprio stato somatico», perché
«ignora il livello di scissione interiore che lo conduce, con tutto il proprio essere sino
al terzo cielo e preferisce attribuire tale conoscenza soltanto a Dio». Il problema non è
quello filosofico della separazione o meno tra psychê e sôma, ma quello della esperienza
del viaggio celeste, dell’esperienza di un distacco di una parte di sé da sé stesso che avvie-
ne in questo tipo di contatto con il modo soprannaturale. In 2 Enoch, secondo Orlov
l’ascensione del veggente è col corpo, ma ciò rappresenta una evoluzione della cosiddetta
tradizione enochica (The Enoch-Metatron Tradition, 182-184).
57
  P. Bettiolo, A.Kossova, C.Leonardi, E.Norelli, L.Perrone (eds.), Ascen-
sio Isaiae. 2 voll. (CCSA, 7-8), Brepols, Turnhout, 1995. La seconda parte dell’opera, i
capitoli 6-11, era con tutta probabilità conosciuta dall’ultimo redattore del Vangelo di
Giovanni e ha giocato un ruolo non secondario nei dibattiti che caratterizzano le diverse
tendenze del giovannismo. Esso fa parte di una costellazione di testi fra cui il Vangelo di
Giovanni le tre lettere di Giovanni, l’Apocalisse, il Vangelo di Tommaso (cf A. Destro -
M. Pesce, “Constellations of Texts in Early Christianity.The Gospel of the Savior and
Johannist Writings”, Annali di storia dell’Esegesi 22 /2 (2005) 337-353.
Testatina sinistra 277

L’importanza storica di questo testo sta nel fatto che esso descrive con
molta attenzione alcuni aspetti del modo in cui un veggente sperimentava
il viaggio celeste. Abbiamo quasi una descrizione di un fenomeno di tipo
latamente estatico. Il viaggio avviene all’interno di una specie di liturgia
profetica nella quale il profeta (Isaia) che subisce il viaggio è attorniato da
un gruppo consapevole di quanto sta avvenendo:

«E mentre Isaia parlava con Ezecchia parole di verità e di fede, tutti loro
udirono una porta che (qualcuno) apriva e la voce dello Spirito. Il re
convocò tutti i profeti e tutto il popolo che si triovava là ed essi vennero,
e Michea, il vecchio Anania, Gioele e Yasub erano seduti alla destra di
Isaia. 8 E accadde che quando udirono la voce dello Spirito santo, tutti
si prostrarono sulle proprie ginocchia e glorificarono il Dio di verità,
l’Altissimo, colui che abita nel mondo altissimo. Egli abita in alto. Santo
che riposa tra i santi. 9. Ed essi resero gloria a colui che aveva dato una
tale porta in un mondo straniero e che l’aveva data ad un uomo. Ora,
mentre egli parlava nello Spirito santo e tutto il mondo ascoltava, egli
tacque e il suo spirito fu portato in alto. Quanto a lui egli non vedeva gli
uomini che erano di fronte a lui. I suoi occhi erano aperti, ma la bocca
taceva. Lo spirito della sua carne era stato portato in alto. Ma il suo re-
spiro era in lui perché vedeva una visione. E l’angelo che era stato inviato
perché potesse vedere non era di questo firmamento, né degli angeli
della gloria di questo mondo, ma era venuto dal settimo cielo. Tutto il
popolo lì presente, salvo il cerchio dei profeti, credette che Isaia fosse
stato tolto via. Ora la visione che egli vide non era di questo mondo,
ma del mondo che è nascosto a ogni carne. Isaia, dopo che ebbe visto
questa visione, la riportò ad Ezechia e a Yasub, suo figlio, e anche agli
altri profeti che erano venuti. Ma i principi, gli eunuchi, e il popolo non
ascoltarono salvo Schebna, lo scriba, Joachim e Asaf, il memorialista,
poiché essi erano operatori di giustizia, e il buon odore dello Spirito
era in loro. Ma il popolo non udì poiché Michea e Yasub, figli di Isaia,
l’avevano fatto uscire quando la saggezza di questo mondo gli era stata
tolta, come se fosse morto».

Questi elementi di fenomenologia dell’estasi (il fatto che il viaggio


si verifichi durante una liturgia profetica collettiva in cui un profeta sta
profetando; il fatto che egli all’improvviso cessi di parlare, che i suoi oc-
chi siano a aperti, che il respiro rimanga nel corpo, il fatto, infine, che il
viaggio si verifichi senza il corpo, che rimanga sulla terra mentre lo spirito
278 Testatina sinistra

è portato in cielo) obbligano a ipotizzare che il testo sia prodotto da am-


bienti profetici che parlano delle proprie pratiche religiose e non si tratti
soltanto di motivi letterari e teologici astratti.
D’altra parte, l’accurata descrizione dell’ascesa attraverso i cieli, la loro
caratterizzazione fisica e religiosa (come i sorveglianti ad ogni cielo, le
porte, gli angeli che vi abitano, e così via) presentano i tratti letterari di
altri testi giudaici. E’ perciò innegabile una parentela letteraria con testi
giudaici di ascensione. Ma la parentela è strettissima anche con l’ambiente
greco-romano. L’Ascensione di Isaia ha una cosmologia dei sette cieli, che
diventano nove includendo l’aere e il cielo dove abita Dio, esattamente
come nel Sogno di Scipione di Cicerone. I sette cieli non sono però con-
cepiti come divinità, in ognuno di essi abitano schiere di angeli che stanno
alla destra e alla sinistra di un trono angelico che preside a ciascun cielo.
Questi due elementi sono perciò da tenere insieme: un gruppo pro-
fetico che pratica l’esperienza del viaggio celeste, e che lo rappresenta tut-
tavia secondo moduli letterari ampiamente diffusi sia in ambienti giudaici
che in ambienti ellenistico-romani.
Il ricorso allo schema culturale del viaggio celeste è, nell’Ascensione
di Isaia, in funzione di un dibattito abbastanza localizzato. Si tratta di
discussioni tra gruppi protocristiani e il loro ambiente giudaico o an-
che solo tra diverse tendenze protocristiane. Questi dibattiti caratteriz-
zano gli ambienti giovannisti profetici forse ad Antiochia di Siria. Un
primo motivo per il quale il viaggio celeste si rende necessario è per di-
mostrare che nel cielo supremo non abita solo Dio e lo Spirito santo, ma
da sempre anche il Diletto, che scenderà poi sulla terra trasformandosi
in diverse figure angeliche fino ad assumere la forma dell’uomo Gesù.
Il fatto che il profeta biblico Isaia veda accanto a Dio il Diletto quando
arriva al cielo più alto vorrebbe essere la dimostrazione inconfutabile in
un contesto giudaico della verità della fede in Gesù Cristo, e nello stesso
tempo legittima l’interpretazione cristologia della profezia biblica. Ma
il fatto che Isaia abbia visto il Diletto al di sopra dei cieli, molti secoli
prima dell’incarnazione, serve anche a dirimere i dibattiti relativamente
all’identità di Gesù: messia, uomo, figlio dell’Uomo, logos, figlio pre-esist-
ente, sono tante opzioni in questione.
Il medium prescelto per l’operazione, quello del viaggio celeste e
dell’estasi profetica, indica quanto questo medium fosse accettabile in
certi ambienti giudaici e protocristiani o forse anche semplicemente el-
Testatina sinistra 279

lenistici in Siria verso la fine del I secolo. Questo schema culturale sembra
funzionale e adatto a inserirsi bene in un preciso contesto e ad assumere
ruoli precisi in esso.
Nonostante le forti differenze rispetto al testo di Paolo di 2 Cor 12,1-
4 (ad esempio sette cieli e non tre, descrizione dei cieli ecc.) il fatto che
per l’Ascensione di Isaia il viaggio celeste avvenga senza il corpo ci dà qual-
che informazione in più per comprendere l’affermazione di Paolo.

Vangelo del Salvatore


Non abbiamo neppure modo, qui, di soffermarci a lungo su un testo
molto significativo per il viaggio celeste in ambito protocristiano, il Van-
gelo del Salvatore.
Nel 1999 veniva pubblicato per la prima volta da Charles W.Hedrick e
Paul A. Mirecki un vangelo sconosciuto in un manoscritto acquisito negli
anni Sessanta dal Museo egiziano di Berlino Charlottenburg.58 Si tratta

58
  Ch. W. Hedrick - P. Mirecki, The Gospel of the Savior. A New Ancient Gospel
(California Classical Library), Polebridge Press, Sonora, 1999. Sul Vangelo del Salvatore
cf S. Emmel, “The “Gospel of the Savior”: A New Witness to the Strasbourg Coptic
Gospel”, Bulletin de l’AELAC 12 (2000) 10-19; Id., “Unbekanntes Berliner Evangelium
= The Strasbourg Coptic Gospel: Prolegomena to a New Edition of the Strasbourg Frag-
ments”, in: H.-G. Bethge, S.-Emmel, K.L.King, and I. Schletterer (eds.), For the Chil-
dren, Perfect Instruction. Studies in Honor of Hans-Martin Schenke on the Occasion of the
Berliner Arbeitskreis für koptisch-gnostiche Schriften’s Thirtieh Year, Leiden-Boston, Brill,
2000, 353-374; Id., “The Recently Published Gospel of the Savior (“Unbekanntes Berli-
ner Evangelium”): Righting the Order of Pages and Events”, Harvard Theological Review
95, 2000, 45-72; Id., “Preliminary Reedition and Translation of the Gospel of the Savior:
New Light on the Strasbourg Coptic Gospel and the Stauros-Text from Nubia”, Apoc-
rypha 14 (2003) 9-53; Id., “Ein altes Evangelium der Apostel taucht in Fragmenten aus
Ägypten und Nubien auf ”, Zeitschrift für Antikes Christentum 9 (2005) 85-99. J.Frey,
“Leidenskampf und Himmelresise. Das Berliner Evangelienfragment (Papyrus Berolensis
22220) und die Gethsemane-Tradition”, BZ 46 (2002) 71-96; Ch. W. Hedrick, “Ca-
veat to a ‘Righted Order’ of the Gospel of the Savior”, HThR 96 (2003) 229-238; P.
Nagel, “Gespräche Jesu mit seinem Jüngern vor der Auferstehung” – Zur Herkunft
und Datierung des ‘Unbekannten Berliner Evangelium’, ZNW 94 (2003) 215-257; U.-K.
Plisch, Verborgene Worte Jesu – verworfene Evangelien. Apokryphe Schriften des frühen
Christentums, Berlin, 20022, 27-34; Id., “Zu einigen Einleitungsfragen Berliner Evange-
liums (UBE)”, Zeitschrift für Antikes Christentum 9 (2005) 64-84; H.-M. Schenke,
“Das sogenannte ‘Unbekannte Berliner Evangelium’ (UBE), Zeitschrift für Antikes Chri-
stentum 2 (1998), 27-34.
280 Testatina sinistra

dell’ultimo vangelo scoperto prima del Vangelo di Giuda. I frammenti di


papiro ritrovati contengono la traduzione in copto di un testo greco. Essi
ci restituiscono una sezione relativamente ampia che va presumibilmente
dall’ultima cena in poi. Il testo non presenta caratteri gnostici. L’impianto
sembra tipicamente giovanneo, ma con una forte tendenza ad integrare
nella struttura giovannista importanti elementi sinottici (come ad esem-
pio la preghiera nel Getzemani).
Nel Vangelo del Salvatore il viaggio celeste assume un’importanza
particolare: lo ritroviamo tre volte (100, 33-35; 113,1-59; 122,61-64). Il
passo più importante è il primo

Il salvatore ci disse: “O mie membra sante, miei semi benedetti […]


pregate [circa 24 righe lacunose e intraducibili] (I discepoli parlano):
[…] sulla montagna. Anche noi diventammo come i corpi spirituali. I
nostri occhi si aprirono in ogni direzione e il luogo fu svelato davanti
a noi. Vedemmo i cieli aprirsi l’uno dopo l’altro. I custodi delle porte
si misero in agitazione. Gli angeli si spaventarono e [si misero in fuga
…] pensando che sarebbero periti tutti quanti. Noi vedemmo il nostro
Salvatore penetrare attraverso tutti i cieli; [con il suo] piede [posto soli-
damente sulla montagna insieme con noi, mentre la sua testa penetrava nel
settimo] cielo. [circa 12 righe lacunose intraducibili] 101 […] da tutti i
cieli. Allora davanti a noi apostoli questo mondo diventò come tenebre.
E noi diventammo come [quelli] tra gli eoni [immortali], mentre i nos-
tri [occhi attraversavano tutti] i cieli e noi eravamo rivestiti della potenza
della nostra apostolicità e vedemmo il nostro salvatore quando raggiunse
il settimo cielo.

Il brano descrive una esperienza che attraversa varie fasi: a) una tras-
formazione degli apostoli in corpi spirituali (33-35); b) una visione: «I
nostri occhi si aprirono in ogni direzione e il luogo fu svelato davanti a
noi» (36-39); c) una salita attraverso i cieli e attraverso le porte dei cieli
sorvegliate da angeli. «Vedemmo i cieli aprirsi l’uno dopo l’altro. I custodi
delle porte si misero in agitazione. Gli angeli si spaventarono e [si misero
in fuga …] pensando che sarebbero periti tutti quanti» (40-48); d) gli
apostoli vedono il salvatore che ha attraversato i cieli (49-51).
Sia che si tratti di una reinterpretazione della trasfigurazione (cfr.
Hedrick-Mirecki, 1999, 96) intesa come viaggio celeste, sia che si tratti
di una esperienza di viaggio celeste ottenuta dagli apostoli durante la vita
di Gesù, sia che si tratti di un insegnamento che il risorto trasmette at-
Testatina sinistra 281

traverso un viaggio celeste, sembra chiaro che per il Vangelo del Salvatore il
viaggio celeste è uno strumento conoscitivo ed (esperienziale) essenziale.
Quale sia la funzione e quale sia la necessità del viaggio celeste è problema
ulteriore.
Il Vangelo del Salvatore sembra aver sviluppato una soluzione al prob-
lema sistemico giovannista del come si ottenga la conoscenza soprannatu-
rale. In 113, 1-59 ritorna il viaggio celeste e anche in 122,61-64. Questo
ultimo brano offre probabilmente la spiegazione della funzione sistemica
del viaggio celeste nel Vangelo del Salvatore: «Io vi porterò al cielo con me
e vi insegnerò» (61-63). Si tratta di un viaggio del Soter insieme con i suoi
apostoli. E’ tramite questo viaggio che si ottiene la conoscenza della dot-
trina. Sembra che ci troviamo di fronte ad un gruppo che elabora le prop-
rie concezioni religiose non solo mediante tecniche esegetiche delle parole
del salvatore e della Sacra Scrittura ebraica in modo ispirato come avviene
in Giovanni59 ma anche attraverso l’esperienza e la ricerca dell’estasi.

Alcune osservazioni d’insieme


1. In alcuni testi, non certo in tutti, il viaggio celeste sembra alludere
a un’esperienza o pratica – una performance.60 Non è solo relazionabile a
una teoria filosofico-teologica o un motivo letterario.
Considerati come atti performativi, i “viaggi celesti” narrati ci of-
frono segni di diversità notevoli proprio dal punto di vista della pratica.
Ad esempio, nel Demone di Socrate di Plutarco si tratta di un fenomeno
in condizioni corporali precise: dapprima il sonno nell’antro di un de-
mone (il che farebbe pensare ad un’incubazione), poi un forte malessere,
un forte dolore di testa. nel Sogno di Scipione si tratta di un sogno che
avviene durante un sonno molto pesante, durante un stato (supposto) di
immobilità e inerzia corporea. Nell’Ascensione di Isaia il viaggio avviene
nel contesto di una liturgia profetica in cui Isaia profetizza e poi tace, cade
a terra ma respira, ha la bocca chiusa ma ha gli occhi aperti. In Filone è la
contemplazione delle cose non materiali che può indurre l’esperienza.

59
  Cf. l’analisi di Gv 2,22 in A. Destro - M. Pesce, “Il profetismo e la nascita di
una religione: il caso del Giovannismo”, in: G.Filoramo (a cura di), Carisma profetico,
fattore di innovazione religiosa, Brescia, Morcelliana, 2003, 87-106.
60
  Cf V. Turner, Antropologia della performance, Bologna, Il Mulino, 1993.
282 Testatina sinistra

Ciò che però è comune a tutte queste forme è che:


a) il “viaggio celeste” comporta un distacco o separazione di una
“parte” dell’uomo (lo spirito, l’intelletto, l’anima ad esempio) dal resto del
corpo e dalle altre facoltà conoscitive e motorie del soggetto coinvolto.
Questo distacco, come si è visto, ha un notevole effetto fisico: produce
un’assenza di coscienza, uno stato tra il sonno e la veglia, un’incapacità a
distinguere come l’evento realmente abbia luogo (ad esempio con, senza o
al di fuori del corpo). In Plutarco ad esempio leggiamo:

«Dapprima si era trovato immerso una profonda oscurità; poi levata una
preghiera, era rimasto a giacere a lungo, senza compendere chiaramente
se era sveglio o se stesse sognando. Tuttavia aveva provato la sensazione
che, nello stesso momento in cui si produceva un improvviso rumore, la
sua testa fosse colpita e le suture del cranio cedessero, lasciando l’anima
libera di uscire» (Plutarco, Il demone di Socrate, 22, 590c).

Nella performance - se si intende il fenomeno del viaggio come una


prassi - si può supporre possano intervenire stati di marginalità e impo-
tenza della persona “in viaggio” (e più precisamente della sua anima), per
propria inerzia o a causa di forze esterne - le cosiddette other-than-hu-
man persons.61 In Plutarco, l’anima filtra attraverso le fessure e vola via. Il
soggetto è privato di una parte essenziale, muta il suo stato percettivo e
ciò lo conduce verso un’altra condizione.
b) Il distacco prevede poi un ritorno e una ricongiunzione tra le parti
della persona. Il depotenziamento e la marginalità sul piano umano, creati
del distacco, sono seguiti da una reintegrazione umana importante, una
rifunzionalizzazione del soggetto. Anche il ritorno prevede degli stati
fisico-psichici particolari. Nel Demone di Socrate, Plutarco scrive:

«avendo provato nuovamente un forte dolore al capo, come se fosse


stato compresso con la forza, non poteva più né intendere né sentire
alcunché intorno a lui; poco dopo ritornò in sé e si rivide giacere presso
l’ingresso di Trofonio, dove egli si era coricato all’inizio». (22; 592e).

61
  (cf A. I. Hallowell, “Ojibwa Ontology, Behavior, and World View”, in Den-
nis and Barbara Tedlock (eds), Teachings from the American Earth, New York, Li-
veright, 1975, 141-179.
1960 e G. Harvey, Shamanism: A Reader, London - New York, Routledge, 2003,
9-11.
Testatina sinistra 283

c) L’obbiettivo del viaggio è raggiungere una concoscenza di realtà fon-


damentali e nascoste. La conoscenza è naturalmente, in senso generale, la
base della “autorità”, della capacità di trasmettere, influenzare, persuadere
e dunque aggregare o porre confini.62 Il risultato del viaggio è dunque
cognitivo, e sostanzialmente relativo a realtà religiose. Su questa base la
ri-funzionalizzazione del soggetto è parte significativa che contribuisce
alla definizione di nuove relazioni.
La conoscenza può essere cioè ottenuta soltanto andando in luoghi
particolari del cosmo normalmente inaccessibili. La logica del viaggio si
basa dunque su una dislocazione, raramente spontanea o autonoma (si
parla di rapimenti, di essere trasportati). In ogni caso, il “viaggio celeste”
tende a una meta visualizzata dalle parole, che ha delle caratteristiche
topografiche precise fondamentali (il cielo al disopra di tutti i cieli, o
i cieli dei pianeti come nel Sogno di Scipione), il terzo cielo (come in
Paolo) o altro. In questa dislocazione, come si è detto, avviene un frazi-
onamento della persona. Solo una parte dell’uomo è in grado di costituire
un’interfaccia con le realtà nascoste e le parti più rilevanti del cosmo.

d) Chi fa il “viaggio celeste” è molto spesso uno specialista (profeta,


theios anêr, filosofo, ecc.), ma non sempre (ad esempio Scipione). La ti-
pologia potrebbe essere molto interessante proprio per i riferimenti alle
tendenze pratiche ed esperienziali. Un professionista ha codici di com-
portamento definiti, oppure cambia i suoi procedimenti abitudinari, per
motivi particolari. Il soggetto “ in viaggio” ha capacità differenti proprio
a partire da cosa normalmente fa. A volte vede, altre ode, sente odori,
parla o tace

2. Il viaggio celeste è una pratica che sta alla base del costituirsi di un
gruppo, di una comunità o di una communitas nel senso di V.Turner?
I testi greco-latini esaminati sono opere letterarie, filosofiche o teo-
logico-religiose (Platone, Cicerone o Plutarco) in cui si esprimono visioni
e meditazioni complesse. Ciò sembra deporre a favore del fatto che i testi
riguardano esperienze di carattere eminentemente individuali ed intellet-

62
  Qui il rinvio a B. Lincoln, Authority: Construction and Corrosion, Chicago,
University of Chicago Press, 1994 è obbligato ed essenziale (ma non possiamo qui di-
scuterne).
284 Testatina sinistra

tuali. In questi testi, il “viaggio celeste” è praticato da individui singoli.


Anche, in questi casi, tuttavia, non si può escludere che la pratica servisse,
a volte, ad aggregare e a caratterizzare gruppi religiosi speciali. In Plutarco,
ad esempio, questa esperienza è tipica di coloro che sono in grado di dis-
taccare in modo forte l’intelletto dall’anima e di avere un rapporto con il
proprio démone. Si nominano gli “uomini divini” (theioi andres), le per-
sone migliori, le più elevate. E questo ovviamente può costituire un ceto,
uno strato di individui in una società, definire confini e appartenenze.63
Nei testi proto-cristiani (come nel caso dell’Ascensione di Isaia e del
Vangelo del Salvatore) il carattere aggregativo sembra invece più svilup-
pato. Il viaggio celeste sembra essere una caratteristica di gruppi profetici,
che posseggono tecniche interpretative e fanno ricorso a questa modal-
ità come ad un meccanismo di costruzione ideale delle comunità (con
ricadute identitarie precise). Da questo punto di vista, non ci sembra
esigua o poco influente la diversità religiosa e sociale rispetto ai dati offerti
da Cicerone e da Plutarco.

3. Un’altra osservazione. La non uniformità e la non permanenza del


modello di viaggio celeste depone a sfavore della tradizione dello schema
del viaggio celeste. Ogni esempio, tra quelli riportati, sembra fare a caso
a sé, presentarsi con caratteristiche specifiche forti. Ciò ci spinge a pren-
dere le distanze dal concetto o schema interpretativo di tradizione che
immagina che all’interno della cultura giudaica si tramandi la concezione,
la prassi o il modello letterario del “viaggio celeste” dal Libro dei Re al I
Libro di Enoch, a Paolo, all’Ascensione di Isaia, al Vangelo del Salvatore e
ai testi gnostici cristiani.

63
  Questo è valido anche, seppure con concezioni diverse, per Cicerone nel Sogno
di Scipione. La rivelazione ottenuta in sogno serve per introdurre Scipione nell’ambito di
quegli uomini dediti alla cura non solo della famiglia e degli amici, ma di tutta la res pu-
blica. Questi individui costituiscono lo strato più elevato e nobile della società. E’ chiaro
che l’ideale ciceroniano unisce insieme l’aspetto religioso individuale con quello politico
pubblico. E’ vero che l’ideale dell’uomo è andare in cielo dove finalmente l’anima sarà
libera dalla prigione del corpo, ma questo distacco non può esere scelto liberamente. È la
divinità che decide quando la liberazione deve avvenire. L’uomo deve nel frattempo de-
dicarsi alla virtù politica. È plausibile quindi che il “viaggio celeste” contribuisca a creare
uno strumento di inclusione nei processi della promozione civica (un rito di iniziazione
?) ma non dà luogo ad una aggregazione sociale stabile o permanente, nel senso di com-
munitas basata sulla condivisione sui legami di fraternità e parità fra aderenti.
Testatina sinistra 285

Supponiamo invece che il modello esplicativo sia quello per così dire
dei traffici culturali a vasto raggio (vedi lista dei “fattori comuni” appena
data) all’interno di una epoca estesa, da Cicerone (54 a.C), a Paolo (50-
55 d.C.), all’ Ascensione di Isaia (80-100 d.C.) fino a Luciano (160-165
d.C.) e al Vangelo del Salvatore (intorno al 200 o forse dopo), e di varie
aree culturali egeografiche (Roma, Grecia, Asia minore con Tarso, e poi
Antiochia di Siria e ancora altrove). In sostanza, spostando lo sguardo,
si possono trovare situazioni culturali simili che, pur non eliminando le
specificità e differenze, escludono però ogni tipo di linearità o di trasmis-
sione solo interna ad un’unica presunta “tradizione”.
Ipotizziamo che il “viaggio celeste” corrisponda ad uno schema reli-
gioso, ad una prassi religiosa diffusa in ampie aree dove diversi gruppi re-
interpretano a proprio modo un medesimo strumento religioso-culturale,
che “conserva” alcuni caratteri riconoscibili nella mutevolezza delle situ-
azioni e delle epoche.64
Il nostro modello di analisi parte dunque:
(a) dall’individuazione di un’esperienza psico-somatica che sta
all’inizio e permette il viaggio celeste e
(b) dal rapporto che questa esperienza ha con le formulazioni teoriche
con le quali viene rappresentata. L’esperienza viene compresa e trasmessa
infatti mediante concetti culturalmente accettati in una determinata situ-
azione culturale. Paolo, ad esempio, formula la sua esperienza mediante
la concezione del rapimento, del rapporto fuori del corpo - con il corpo,
la cosmologia dei tre cieli, le antichissime concezioni tradizionali del par-
adiso, il pattern di parole indicibili. Tutti elementi comprensibili dai suoi
destinatari Corinzi in base alla loro cultura ellenistico-romana.
(c) Ma ciò che varia da situazione a situazione è anche la funzione
dell’esperienza all’interno delle strutture relazionali in cui si colloca colui
che compie il viaggio celeste. A volte il viaggio ha funzione legittimante
all’interno di un gruppo, altre volte serve al singolo per essere certo di un
suo compito religioso, altre volte per convalidare una concezione filosofica
o una teodicea, altre volte per avvalorare un modello di comportamento

64
  A.F.Segal ha sostenuto che è esistita «a mythical structure of katabasis and ana-
basis, which was shared by most cultures of their time. However, the mythical structure
was developed in specific ways according to individual cultural traditions» (Segal, “He-
avenly Ascent”, 1387).
286 Testatina sinistra

sociale. Altre volte ha la funzione di un rito di iniziazione o preparazi-


one che introduce il viaggiante all’interno di un gruppo di eletti o di un
gruppo particolare di persone.
Presuppone sempre l’idea di un appello diretto al sistema religioso-
culturale che fonda una società e quindi fonda l’autorità del viaggiante
(che non si sente sottomesso alla mediazione delle istituzioni religiose
che forniscono l’interpretazione ufficiale del sistema culturale). Anche
nel caso di Paolo l’appello al viaggio celeste è in funzione di una critica
ad alcuni aspetti del sistema religioso giudaico e di una legittimazione
di se stesso proprio per il fatto di avere accesso diretto ai valori che fon-
dano il sistema. In alcuni casi la legittimazione è prevalentemente interna
alla propria esperienza e serve per riassicurala e fondarla, in altri è invece
prevalentemente giocata in ambito comunitario.

Due i punti per una conclusione.


a) Il viaggio celeste non va identificato semplicemente con la rivelazi-
one. Nella sua morfologia del genere letterario rivelativo, J.J.Collins lo ha
considerato come uno dei “media” attraverso cui si ottiene la rivelazione.
Nella sua classificazione abbiamo così rivelazioni con viaggio ultraterreno
(tra cui quello celeste) o senza di esso. La sua classificazione in sostanza
non è nient’altro che un modello politetico, in cui il viaggio celeste è uno
degli elementi che possono ritrovarsi in fenomeni rivelativi, ma possono
anche non verificarsi, senza che il fenomeno rivelativo cessi di essere tale.
Il viaggio celeste è però un fenomeno in sé che non si riduce a quello di
rivelazione, anche se può essere esaminato dal punto di vista rivelativo.
Esso può e deve essere classificato indipendentemente dal concetto di ri-
levazione.65

  J.D.Tabor, Things Unutterable: Paul’s Ascent to Paradise in its Greco-Roman, Ju-


65

daic, and Early Christian Contexts, Lanham, MD, University Press of America, 1986, ad
esempio, ha proposto tutt’altro modello (a. Ascent as an Invasion of Heaven; b. Ascent to
Receive Revelation; c. Ascent to Immortal Heavenly Life; d. Ascent as a Foretaste of the
Heavenly World). Noi abbiamo sopra proposto una classificazione del fenomeno come
esperienza organizzata ritualmente. Anche altri schemi interpretativi sono stimolanti. Un
parallelo lontano è costituito dallo shamanesimo - un fenomeno tutt’altro che circoscritto
o unitario - che ci spinge ad ipotizzare altre circostanze. Lo shamanismo (cf. Harvey,
Shamanism) si caratterizza per il distacco di parte delle facoltà percettive dell’uomo dal
resto del corpo (estasi). Il viaggio altrove dello shamano è importantissimo. In base a tec-
Testatina sinistra 287

b) A noi sembra, complessivamente, che il viaggio celeste sia una


forma religiosa molto densa e molto rielaborata in tutto il mondo antico
medio-orientale, greco e romano. Non stupisce perciò di trovarlo anche
all’interno di diversi gruppi giudaici e successivamente nei diversi tipi di
tendenze e comunità protocristiane, tra cui anche in Paolo. Questa forma
di esperienza e pratica religiosa va posta accanto ad altre estremamente
diffuse, come la preghiera o il sacrificio, nessuna delle quali è caratteristica
esclusiva di una sola religione o gruppo religioso. Questa pratica fa parte
dell’insieme degli atti religiosi di cui uomini e donne del mondo antico
disponevano per raggiungere gli scopi religiosi che si proponevano. In
ogni cultura, in ogni religione e in ogni gruppo questa pratica ha assunto
(come del resto è capitato anche per la preghiera o il sacrificio) contenuti,
forme, funzioni e scopi differenti.

niche corporali induttive, si determinano le condizioni per un viaggio lontano dal corpo,
al quale poi comunque si tornerà. Il distacco permette quindi la dislocazione in regioni,
spesso celesti, da cui dipendono le sorti degli uomini. La performance è vistosa, enfatiz-
zata e corporalmente invasiva (malori, tremori, convulsioni, ecc). L’esperienza è mediata
da strumenti e da altri apparati espressivi (danze, canti, salti, lesioni, ecc). Lo shamano
è uno specialista, segue un maestro, spesso ha una predestinazione (che si rivela nel suo
corpo), è sottoposto ad un training. Il suo profilo può arricchirsi di molti altri caratteri.
Durante il viaggio, lo shamano entra in contatto con le forze (other-than-human-persons)
che dominano il mondo e ne ottiene protezione o riesce a sottometterle ai propri scopi.
Ottiene una conoscenza con la quale entra poi in relazione con i suoi. Tutti questi ele-
menti sono in parte paralleli a quelli del viaggio celeste, che abbiamo esaminato in alcuni
testi romani, greci e protocristiani. Ma tutto ciò non fa dello shamano (che fronteggia
il cosmo) un omologo del veggente che acquista conoscenza e del politico che si occupa
della res publica, se non in modo incompleto e indiretto. Ogni conclusione è provvisoria
e valutabile solo attraverso la comparazione precisa fra i casi.

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