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“LE AVVENTURE DEL VECCHIETTO CON LA 600”

spiegato ai ragazzi delle medie.


(il comico tra affabulazione e tecnica; come nasce un personaggio e una storia)

PRESENTAZIONE
Buongiorno ragazzi! Mi chiamo Pierluigi Sbaraglia, sono un giornalista e uno scrittore. Sono
l'autore di questo libro di racconti, “Le avventure del Vecchietto con la 600”. Ma soprattutto, come i
vostri professori, che mi hanno invitato qui a parlarvi di “comico: tra affabulazione e tecnica”, sono
un insegnante.

AFFABULAZIONE TRA GIORNALISMO E PROSA


Voglio cominciare col dirvi che l'affabulazione, ovvero la trama, il susseguirsi di fatti che
s'intrecciano, che incuriosiscono, e che si svolgono verso un “vediamo come va a finire”, esiste
nella prosa e non esiste nel giornalismo.
Vediamo il perchè! Vi racconto una storia, una storia vera, che tempo fa è finita sui giornali.

“Un padre molto preoccupato per il proprio figlio si alza nel cuore della notte. Suo figlio, appena
diciottenne, è uscito con gli amici di sabato sera, e ancora non è rientrato. Il telefono è staccato.
La mamma è ancora più preoccupata, è molto nervosa, così il papà decide di prendere la
macchina e andare in giro per locali a cercare il figlio. Comincia un lungo peregrinare, ma del
ragazzo non c'è traccia. Il padre inizia a chiedere in giro per la città, ma non sa bene neanche di
cosa chiedere. Il ragazzo è uscito con amici più grandi, non sa che macchina abbiano, non sa chi
siano, che faccia abbiano. Il padre comincia ad innervosirsi, non sa che pesci prendere e comincia
a girare a vuoto per la città. Torna a casa, chiede alla moglie se il figlio è rientrato ma ancora
nessuna traccia. La mamma è sempre più agitata e il papà prende di nuovo la macchina per
tornare in giro a cercare. Fa nervosamente tre quattro volte il giro dell'isolato, è sempre più
preoccupato e preda di oscuri presagi. Più diventa agitato più commette disattenzioni nel guidare,
non vede il rosso, è il rosso del semaforo, spinge la macchina oltre l'incrocio col semaforo rosso,
dall'altra parte sta arrivando un'altra vettura, più piccola, non ce la fa a frenare, l'impatto è
inevitabile, le due auto si schiantano. Il nostro papà ha una vettura piuttosto grossa, non s'è fatto
niente, è illeso, non ha un graffio. Sembrerebbe non potersi dire altrettanto dell'altra vettura,
piuttosto malconcia. Il nostro papà scende e si fa verso l'altra auto, distrutta, per prestare aiuto tra i
rottami e i vetri infranti. Apre lo sportello e chi trova? Trova suo figlio!”

Ora io so che qualcuno di voi, forse più di uno, nel sentire questa storia, ha avuto una stretta al
cuore. E l'ha avuta nel momento finale, conclusivo, e l'ha avuta a seguito di una serie di fatti
concitati che si susseguono e che creano una suspense, una suspense che infine si scioglie
e ...”boom”, esplode.
Tutto quello che precede l'esplosione è affabulazione.
E adesso vediamo perchè, nel giornalismo, non c'è affabulazione.
Titolo di giornale:

E' accaduto nella notte, mentre lo cercava per locali


Padre scontra con un'altra auto: è quella del figlio
Sconcerto dell'uomo nell'aprire la portiera dopo l'impatto
Nel giornalismo non c'è affabulazione perchè sappiamo tutto dall'inizio. La fine è nota. Immaginate
di stare per entrare al cinema. Andate a vedere un film giallo. Uno degli spettatori che escono
mentre voi entrate vi fa: “L'assassino ...è il maggiordomo!” Ecco che vi ha rovinato il film. Che
gusto c'è nel vedere un giallo se sapete da principio chi è l'assassino? Nessun gusto. Perchè la
prosa si nutre di affabulazione. Il giornalismo no. Nel giornalismo l'assassino lo sai dall'inizio.

IL CLIMAX
Avete mai sentito il detto “Dulcis in fundo?”.

Il dolce, alla fine. E' un detto latino, o meglio pseudo-latino, perchè sembra che i romani non
l'abbiano mai usato. Comunque, a noi interessa capire perchè il dolce, cioè il meglio, viene sempre
alla fine. Se noi partissimo, come nel giornalismo, con il dare il meglio, la parte più gustosa della
storia, all'inizio, il lettore non avrebbe alcuna voglia di andare avanti nella lettura. Nell'articolo di
giornale si legge fino in fondo, e vi dico che questo accade quasi mai (ci si ferma spesso ai titoli)
semmai per sapere qualche dettaglio interessante o pruriginoso, cioè estremamente curioso.

Se scrivi un romanzo, o un racconto, dovrai dare il meglio alla fine, il dulcis in fundo. Lo stesso se
prepari un fuoco d'artif icio: nel finale i botti si moltiplicano e s'intensif icano, nei colori e nel rumore.
Questo concetto, che è tale dai tempi di Omero fino al cinema di Hollywood, si chiama Climax,
parola greca, che signif ica “scala”:

sali sali e arrivi al ...culmine. Dulcis in fundo.


Pensate all'Odissea di Omero, che avete studiato in prima media: Ulisse va per avventure per
vent'anni, infine torna ritrova suo figlio, sotto mentite spoglie va alla gara con l'arco, vince, fa strage
di Proci, ritrova sua moglie Penelope e persino il suo vecchio cane che gli fa le feste e muore di
gioia. Climax. Dulcis in fundo.

Pensate a “La vita è bella” di Roberto Benigni: alla fine arrivano gli americani e il bambino Giosuè,
dopo mille peripezie, si salva! Climax. Dulcis in fundo.

IL COMICO
Ora ragazzi parliamo di un particolare genere di narrativa: quella comica. Lavorando come
sceneggiatore per documentari presso la DeAgostini ho avuto modo di frequentare un corso di
sceneggiatura, ovvero di scrittura di testi per ogni tipo di storia animata: dai fumetti al cinema, dal
teatro ai cartoon, dal documentario alla televisione. I miei maestri mi hanno insegnato che per
scrivere comico bisogna pensare a un uomo seduto su un albero. Quest'uomo, se è
semplicemente seduto, non fa ridere. Forse potrebbe far ridere vederlo cadere. Ma questo non è
certo. Se infatti scopriamo che l'uomo si è fatto male, non riesce a rialzarsi, è ferito ...allora non c'è
niente da ridere. Quello che fa sicuramente ridere è l'uomo seduto su un ramo, che taglia con la
sega il ramo su cui è seduto.
Per capire meglio il perchè pensiamo ai cartoni animati. Tutti voi conoscerete senz'altro il canale
K2. Pensiamo ai suoi cartoni di punta: Space Goofs, I Dalton e Mr Bean.

Che cosa hanno in comune? Tutti questi protagonisti sono “maldestri”, “imbranati”. Fa ridere
l'uomo che taglia il ramo su cui è seduto perchè il prototipo della comicità è dato dall'essere
maldestri e imbranati. Difficilmente il protagonista di una storia comica sarà bello, agile,
competente, adeguato, integrato, figo. E' più facile che sia il suo contrario. Fa ridere Zorro o il
sergente Garcia?

LO SFIGATO E LO SFACCIATO
Creare un protagonista maldestro/imbranato è l'ingrediente fondamentale per una storia comica.
Possiamo però scegliere tra un maldestro cui le cose vanno male, che chiameremo “sfigato”, e un
maldestro cui le cose vanno bene, cui daremo l'epiteto di “sfacciato” (infatti ha una fortuna
sfacciata).
Eccone alcuni esempi.

Sfigato uguale: Willy il Coyote, Gatto Silvestro, i Dalton.

Sfacciato uguale: Checco Zalone, Homer Simpson, Mr Bean.


Al cinema il prototipo dello sfigato è Fantozzi, dello sfacciato è Forrest Gump.

Nella letteratura che studiate alla scuola media lo sfigato è “Zeno”, de “La coscienza di Zeno” di
Italo Svevo, di cui vi consiglio di leggere almeno il brano della triplice proposta di matrimonio rivolta
a tre sorelle nella stessa sera (ovviamente ricevendo il no delle più belle e il sì della bruttina).

Lo sfacciato è invece Pinocchio: una sorta di angelo custode, che sia la fata o il fato, lo salvano
sempre dalle peggiori situazioni in cui si caccia.

A separare sfigato e sfacciato è infatti una dea bendata: la Fortuna. Come ci ricorda un gran
talento comico, il compianto cantante comico degli Skiantos, Freak Antoni:

“LA FORTUNA E' CIECA MA LA SFIGA CI VEDE BENISSIMO”.

COME SI CREA UN MALDESTRO – L'HANDICAP


Quando ho creato il Vecchietto con la 600, per caratterizzarlo comicamente come maldestro, nel
mio caso un maldestro sfacciato, ho fatto ricorso a un handicap. Cos'è dunque un handicap. Per
lungo tempo la scienza medica ha utilizzato questo termine per definire una condizione di
menomazione. Il termine è oggi superato, tanto che in ambito medico e sociale si parla di
disabilità.
L'handicap è utilizzato in alcuni sport come il golf e l'ippica. Al cavallo migliore si aggiungono
zavorre di piombo per appesantirlo, in maniera tale da offrire a tutti uguali possibilità di vittoria.
L'handicap è quindi un peso, uno svantaggio. Il termine handicap nasce da “hand in cap”, mano
nel cappello. Era un antico gioco d'azzardo: dovevi infilare la mano in un cappello, e senza vedere,
estrarre delle monete che avevano uguale grandezza ma diverso valore.

La zavorra, la difficoltà, lo svantaggio, l'handicap che ha il Vecchietto con la 600 è proprio il non
riuscire a vedere bene. E' miope, e perciò maldestro.
La miopia lo porta a prendere fischi per fiaschi, quindi andiamo diritti ad un altro fondamentale
ingrediente della comicità: l'equivoco.

L'EQUIVOCO

Nell'antichità, ai tempi del teatro greco e latino, quello degli equivoci era addirittura un genere
letterario: “La commedia degli equivoci”.
Oggi sapete bene che commedia signif ica storia divertente, mentre tragedia è una storia triste che
fa piangere o rif lettere. Breve digressione: perchè allora quella di Dante Alighieri che si studia in
seconda media è chiamata “Divina Commedia” visto che non fa affatto ridere e racconta storia di
profondo dolore? Presto detto: tragedia è un percorso narrativo che comincia bene e finisce male;
commedia è il suo contrario: inizia male e finisce bene. Così Dante, passando dall'Inferno al
Paradiso, può ben dire di aver scritto una ...commedia. Fine digressione.
Come funzionava l'antica “Commedia degli equivoci”? Chi scriveva una commedia degli equivoci
aveva a disposizione un meccanismo narrativo semplice ed efficace: lo scambio di persona. Ci
sono due personaggi che si somigliano, o che vengono scambiati l'uno per l'altro. Entrambi fanno
cose non sapendo dell'esistenza del sosia, creando quella confusione che fa ridere e che in
genere (ricordate il climax?) si chiarisce nel finale. Dall'antichità questo meccanismo è rimasto
invariato e gode ancora di grande successo. Basti pensare al più grande autore di teatro di ogni
tempo, William Shakespeare, e al suo “Molto rumore per nulla”, o al cinema comico dei nostri
tempi, con “Fracchia la belva umana”.

In Fracchia, alter ego di Fantozzi, l'umile impiegato sfigato ha un sosia: la belva umana, un
criminale incallito scaltro e terribile.
Lo scambio di persona in Shakespeare riguarda invece la giovane Ero, promessa sposa del bel
conte Claudio. Il cattivo di turno, Don Juan, organizza un misfatto, proprio attraverso uno scambio
di persona, per far credere a tutti che la dolce e rispettabile Ero tradisca il nobile Claudio. Ero poi si
finge morta per vendicarsi dell'insulto e dell'infamia subita. Alla fine tutto l'intreccio di equivoci si
dipana in una conclusione festosa e ridanciana.

IL VECCHIETTO CON LA 600


Eccoci dunque al personaggio che ho creato: il Vecchietto con la 600. E' un maldestro combina-
guai che lascia la strada per correre libero sulla pista di atterraggio dell'aeroporto intralciando la
discesa dell'aereo proveniente da Barcellona.

E' un maldestro del tipo sfacciato, a cui tutto va bene: finisce addirittura per diventare un eroe del
Risorgimento insieme a Garibaldi!
Ed è un maldestro che agisce maldestramente a causa dello svantaggio della miopia, generando
confusione sulla base di un equivoco: dovendo portare da mangiare alle zebre il Vecchietto
scambia un campo da calcio per lo zoo, entrandovi con la sua 600 nel bel mezzo di una partita.
Ed eccoci al climax: il Vecchietto fa goal!

FINE

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