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BIOCHIMICA DELLA COMUNICAZIONE CELLULARE

1) BASI MOLECOLARI CHE CONTROLLANO IL FOLDING DI PROTEINE E DELLE INTERAZIONI FRA BIOMOLECOLE.
Folding= prendere forma, quindi come le proteine assumono la loro forma nativa.

Quello che determina le interazioni fra molecole sono gruppi funzionali che non necessariamente interagiscono con legami
covalenti; possono interagire con legami non
covalenti, cioè con legami deboli. L’acqua ha un ruolo attivo, quando si parla di interazioni deboli,
l’acqua non può essere considerata. L’ambiente nel quale sono
immerse la maggior parte delle biomolecole (tranne quelle che sono
dentro la membrana cellulare) sono immerse in un ambiente
acquoso. L’acqua è importante anche perché prende parte alle
interazioni e perché ha caratteristiche legate al fatto che non è
carica, neutra. L’acqua però ha un dipolo e questo dipende dalla
distribuzione degli elettroni che sono localizzati più intorno
all’ossigeno rispetto all’idrogeno (ha una minore capacità di attrarre
elettroni): c’è una porzione della molecola con parziale carica+ e una
porzione con parziale carica-. Ciò è fondamentale per le interazioni
tra le molecole di acqua: la porzione con carica negativa di una
molecola di acqua tende ad interagire con la porzione con carica
positiva di una seconda molecola di acqua. Questa interazione tra le
molecole di acqua è un legame debole: IL LEGAME A IDROGENO. I
due atomi di idrogeno sono legati all’atomo di ossigeno con un
legame covalente polare.

L’acqua non è l’unica molecola creare legami a H, la caratteristica dell’ossigeno (l’elettronegatività; quindi la capacità di
attrarre elettroni) non è propria solo dell’ossigeno. L’acqua crea moltissimi legami a H essi sono alla base dello stato fisico
dell’acqua: più legami stato solido, meno legamistato liquido, meno ancorastato gassoso.

L’energia del legame a H, quindi la sua forza, è maggiore quando i due atomi di ossigeno sono disposti su una line rezza con
nel mezzo un H.
Le molecole idrofiliche sono in grado di interagire con le molecole d’acqua: il sale NaCl si sciogli in acqua perché Na+ e Cl-
interagiscono con le molecole di acqua (L’Na+ interagisce con le molecole di acqua orientata dalla parte negativa e il Cl- con le
molecole di acqua orientate dalla parte positiva). Questo è alla base della solubilità. Le molecole idrofobiche non hanno la
capacità di interagire con le molecole di acqua (esempio dell’olio che non si mescola con l’acqua, molecola polare. Le
molecole di acqua quindi interagiscono fra sé e le molecole idrofobiche interagiscono fra sé.) Tale concetto ha alla base
energetica, c’è di mezzo l’entropia: l’acqua è un artefice e un condizionatore dell’entropia molto importante; quando le
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molecole di acqua sono ordinate e collegate fra loro hanno un’entropia più bassa, quando non sono collegate tra loro la loro
entropia aumenta. C’è maggior entropia nell’acqua sotto forma di vapore rispetto all’acqua sotto forma di ghiaccio. È il
numero di interazioni che intervengono fra le molecole di acqua a determinare la maggiore o la minore entropia.

Se la molecola idrofobica non interagisce con le molecole di acqua, essa si neutralizza interagendo fra sé: l’entropia diminuisce
molto e l’energetica della reazione è sfavorevole (goccioline dell’olio in acqua). Se invece c’è una componente di formazione
di legami, essa compensa la perdita dell’entropia. Allo stesso modo, la membrana plasmatica è formata da una componente
idrofobica che tende a rimanere agglomerata fra sé e una componente idrofilica che tende a stare a contatto con il solvente
acquosa. tanto è maggiore la superficie della molecola idrofobica esposta all’acqua, tante di più sono le molecole di acqua
costrette ad interagire fra sé. Si ha quindi una struttura ordinata, energeticamente non conveniente perché diminuisce
l’entropia. Allo stesso modo, se mescolo le goccioline d’olio disposte sull’acqua, queste tendono ad unirsi tra loro perché la
superficie esposta all’acqua della goccia d’olio più grande, è molto più bassa della somma della superficie delle singole
goccioline: la superficie tende ad essere la minore possibile. Di conseguenza, molecole che somigliano ai lipidi di membrana
tenderanno a covalescere ad agglomerarsi fra sé. Se hanno una componente idrofilica essa sarà esposta all’esterno mentre la
componente idrofobica sarà esposta all’interno. Le micelle sono farmacologicamente importanti perché sono adatte per
trasportare in circolo farmaci idrofobici.

I legami a idrogeno più diffusi sono tra un gruppo ossidrile (-OH) e l’acqua; oppure tra il gruppo carbonilico (C=O), il gruppo
principale del backbone di una proteina e l’acqua. I legami a H possono esserci anche tra atomi oltre che tra gruppi atomici e
acqua, essi sono basati sull’elettronegatività degli atomi. I legami a H determinano le interazioni tra le basi del DNA e la
struttura stessa del DNA.

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Le catene laterali degli amminoacidi sono tutte diverse: le caratteristiche chimiche delle catene laterali possono essere
raggruppate.
 LISINA, ARGININA e ISTIDINA (in misura minore) sono basi, hanno catene laterali con gruppi con carica positiva, sono
+
gruppi amminici a pH 7 (fisiologico) e si trovano nella condizione NH3 (invece che NH2, ciò dipende dal pH).
 ACIDO ASPARTICO E GLUTAMMINO hanno catene laterali cariche negativamente e differiscono per la lunghezza della
catena. A pH 7 (per lo stesso motivo per cui lisina, arginina e istidina sono NH3+) loro sono COO- a pH 7, (COOH si dissocia
e diventa COO-).
 SERINA, TREONINA, CISTEINA, METIONINA, ASPARAGINA E GLUTAMMINA sono polari ma non carichi. Presentano catene
laterali che possono interagire con acqua ma non sono cariche. La serina e la treonina possiedono un gruppo ossidrile.
(Anche la tirosina ha un gruppo ossidrile, ma dato che ha un gruppo ossidrile su un anello è un amminoacido idrofobico in
quanto l’anello è ingombrante).
 ALANINA, VALINA, LEUCINA, ISOLEUCINA, TRIPSTOFANO, METIONINA, FENILALANINA, TIROSINA. Sono idrofobici: cioè
hanno i carboni e gli idrogeni che non sono polari e non sono miscibili in acqua; alcuni hanno catene più piccole come
l’alanina, altri hanno catene più grandi come il triptofano.
 Tra gli amminoacidi speciali troviamo la GLICINA, la PROLINA (con catena laterale rigida e forma una specie di anello) e la
CISTEINA.
Condensazione e idrolisi come reazioni opposte.

La reazione di condensazione si crea tra diversi amminoacidi che formano un polimero che è la proteina. La reazione inversa alla
condensazione è l’idrolisi. Le reazioni di condensazione sono tutte energeticamente sfavorevole rispetto alle reazioni di idrolisi;
l’entropia nella condensazione diminuisce (diminuzione del numero di molecole, più amminoacidi una proteina) mentre
aumenta nell’idrolisi (più disordine).
Il legame peptidico è un legame che consente il legame tra gli amminoacidi a prescindere dalla catena laterale degli amminoacidi.
Il legame peptidico si forma tra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico di un secondo amminoacido. Il
carbonio centrale dell’amminoacido, a cui si lega l’idrogeno, il gruppo amminico (N in particolare) e il gruppo carbossilico (C in
particolare), viene definito CARBONIO α, per distinguerlo dal carbonio del gruppo carbossilico. Quando si forma la proteina, né il
gruppo carbossilico, né il gruppo amminico esistono più: il gruppo amminico di un amminoacido interagisce con il gruppo
amminico adiacente e così via.

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Nella proteina rimane un’ossatura di gruppi ripetuti con Cα e un gruppo NH2 (ammino terminale) e un COOH (carbossi terminale).
La direzione della proteina va da N a c terminale.

Le sequenze ripetute C=O, N-H, Cα… creano l’ossatura della proteina chiamata backbone. Tale struttura è un’ossatura privata però
delle catene laterali, quindi il ripiegamento di una proteina non sarà mai così rettilineo e rigido.
Ci sono angoli di rotazione (phi e psi) a monte e a valle del carbonio α, quindi abbiamo un backbone morbido che può ruotare

intorno a determinati angoli.


COME INTERAGISCONO LE CATENE LATERALI DEGLI AMMINOACIDI?
Le catene laterali interagiscono fra loro non con legami covalenti, tranne il caso dell’SH, ma con legami deboli. Alcune possono
creare LEGAMI A H ma esistono anche altre interazioni come il LEGAME ELETTROSTATICO, legame debole non covalente, che
consente l’interazione tra un amminoacido con carica negativa e un amminoacido con carica positiva (interazione tra cariche + e
cariche -). Un altro tipo di legame è il LEGAME IDROFOBICO, ci sono infatti catene laterali idrofobiche, non solubili in acqua: queste
si comportano come le code idrofobiche dell’ipotetico lipide di membrana. Le catene laterali idrofobiche tenderanno quindi a
esporre la minor superficie possibile al solvente acquoso e a legarsi fra loro. Si tratta comunque di un legame che condiziona tutto
il ripiegamento della proteina e le sue capacità.
Le possibili conformazioni e le possibili associazioni tra le catene laterali sono innumerevoli. Anche conoscendo tutte le regole di
avvolgimento di una proteina, le possibili combinazioni sono talmente tante che non è possibile prevedere la sua struttura (ciò è
vero ma fino ad un certo punto).
La carica sulle catene laterali degli amminoacidi dipende dal pH.
Gli amminoacidi carichi sono carichi positivi o negativi purché si sia a pH 7. Inoltre il pH 7 garantisce che siano dissociate (cariche)
le catene laterali degli amminoacidi basici e acidi. Se cambio il pH condiziono lo stato delle catene laterali degli amminoacidi
carichi + e carichi -. L’acido aspartico e l’acido glutammico a pH 7 sono COO-; il gruppo carbossilico che è in catena laterale
dell’aspartico sia del glutammico non è sempre COO-: il fatto che sia COO- o COOH dipende da un fattore chiamato pK che indica il
pH al quale metà delle molecole sono dissociate.
Il gruppo carbossilico dell’aspartico e del glutammico ha il pK uguale a 4,7 che è il punto di dissociazione del gruppo carbossilico: se
salgo sopra 4,7 è COO-, se scendo al di sotto di 4,7 è COOH. Quindi a pH 7 ho COO-; al di sotto di 4,7 ho COOH.
La lisina e l’arginina sono carichi positivamente e hanno gruppi diversi l’uno dall’altro, per non avere la carica della lisina devo
andare sopra a pH 12.
A pH 7 sono sicura di avere tutti le catene laterali positive e negative dissociate e quindi possono fare legami elettrostatici fra loro.

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La carica sulle catene laterali degli amminoacidi dipende dal pH. Gli acidi carbossilici possono perdere facilmente H + in soluzione
acquosa per formare un negativo ione carico, che è indicato dal suffisso come in aspartato o glutammato. Una situazione
comparabile esiste per le ammine, che in soluzione acquosa può assorbire H + per formare uno ione caricato positivamente. Ad un
pH elevato, tendono gli acidi carbossilici da caricare e le ammine scariche. A pH basso, è vero il contrario del carbossilico gli acidi
sono scarichi e le ammine sono addebitate.
3 TIPI DI LEGAMI NON COVALENTI
 LEGAME IONICO, O ELETTROSTATICO O SALINO fra catene laterali cariche – e cariche +
 LEGAMI A IDROGENO si possono formare anche tra le componenti del backbone, dove c’è il gruppo C=O e il gruppo NH
oppure tra il backbone e le catene laterali.
 LEGAMI DI WAN DER WAALS si tratta di debolissime interazioni che dipendono dai dipoli momentanei che si generano
sugli atomi. L’utilità di tale legame esiste come forza negativa: il raggio di wan der waals è il raggio caratteristico di ogni
atomo al di sotto del quale non può sovrapporsi con un altro. Il raggio di wan der waals definisce la dimensione di un
atomo al di sotto della quale non può sovrapporsi con un altro a meno che non si formi un legame covalente. Dipoli
transitori in nuvole di elettroni di tutti gli atomi danno origine a forze attrattive deboli, chiamate interazioni di der Waals.
Ogni tipo di atomo ha un caratteristico raggio di van der Waals al quale si trovano le interazioni di van der Waals con altri
atomi ottimale. Perché gli atomi si respingono l'un l'altro se sono abbastanza vicini insieme affinché i loro gusci elettronici
esterni si sovrappongano, il raggio di van der Waals è una misura della dimensione della nuvola di elettroni che circonda
un atomo. Purchè non ci si sovrapponga al di là del raggio di van der waals i dipoli possono anche costituire componenti
momentanee attrattive.

Nella figura ci sono 2 atomi di carbonio con il loro raggio di van der waals: i due non sono legati in quanto il raggio di van der waals
del carbonio è 0,02, quando non sono legati è 0,04 (0,2+0,2). Con il legame singolo è 0,15 e con il legame doppio è 0,13.

 LEGAMI IDROFOBICI la proteina si ripiega in modo da esporre solo al solvente i gruppi idrofilici.

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I legami deboli sono responsabili delle forze che controllano come una proteina si avvolge ma gli stessi sono anche responsabili di
come le proteine o due molecole interagiscono fra loro. Quando la proteina ha la sua conformazione nativa, finale, che è quella
che permette alla proteina di svolgere la sua funzione, avrà una disposizione di catene laterali che dipende dalla conformazione
che la proteina ha preso. Se la proteina deve interagire con un’altra (sia essa un enzima, o altro) ci interagisce con gli stessi legami
deboli analizzati. Difficilmente le interazioni sono irreversibili, solitamente tutte le interazioni che avvengono a livello biologico
sono reversibili.
Le stesse leggi che regolano le interazioni delle catene laterali dentro la proteina, regolano le interazioni tra due proteine: quando
la catena laterale di una lisina entra in contatto con la catena laterale di un acido aspartico, ci interagisce con un legame debole
elettrostatico, sia che le due catene laterali facciano parte della stessa proteina, sia che siano di due proteine diverse.
I legami deboli, i weak bonds, regolano il folding delle proteine e la capacità di esse di interagire con altre molecole.
INFLUENZA DEI SALI E DELL’ACQUA NELLA FORMAZIONE DEI LEGAMI DEBOLI
L’acqua influisce e non è mai priva di sali in condizioni fisiologiche. Il legame idrofobico esiste solo se il solvente è acquoso. Le
molecole di acqua interagiscono con molte catene laterali: con le catene laterali cariche, schermandole utilizzando le due facce
parzialmente cariche della molecola d’acqua; di conseguenza l’acqua tende a rendere alcuni di questi legami più deboli. L’acqua
può disporsi intorno alla catena laterale NH3+ e in questo modo interferisce con la possibilità della catena NH3+ di interagire con
un gruppo COO-, la quale a sua volta può essere schermata dalle molecole di acqua.
I legami a H e i legami deboli elettrostatici in assenza di acqua sono più forti. L’acqua li indebolisce insieme ai Sali. In caso di sale
NaCl, se ho una catena COO-, tale gruppo può essere salificato dagli ioni sodio e l’NH3+ può essere salificato dagli ioni Cloro. Il sale
è uno stratagemma di laboratorio con il quale si può mollare un’interazione per lo stesso motivo del pH: se aumento la
concentrazione di NaCl esse mollano tutte le interazioni deboli.

Imparare i valori dell’energia libera,


osserva soprattutto le differenze

INTERAZIONE LIGANDO-PROTEINA
Sono le stesse catene laterali degli amminoacidi che sono in grado di regolare l’interazione tra una proteina e un ligando. Il
termine ligando si usa per indicare qualcosa che lega, senza prendere posizione su che tipo di molecola sia: il ligando può essere
un’altra proteina, una macromolecola, uno zucchero, un acido nucleico, ma anche una molecola chimica come un farmaco, un
neurotrasmettitore, un ormone… ogni molecola che può interagire con una proteina. Le regole per avere questi legami reversibili
e a bassa energia, quindi legami deboli, sono le interazioni elettrostatiche, legami H… L’energia di questi legami deboli, nel
complesso, se se ne formano tanti è un’energia di un certo livello; e in base al numero di legami che ci sono, quindi in base
all’energia di legame totale (che si ottiene con un certo numero di legami deboli) si produce una certa forza di interazione che si
traduce con quello che si chiama AFFINITÀ.
FOLDING DELLE PROTEINE
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La variabilità con la quale possono interagire le catene laterali dei vari amminoacidi anche valutando solo il folding della proteina,
quindi solo i legami intracatena è molto elevata. Il folding di una proteina può essere descritto per gradi; essa infatti ha diversi
livelli di organizzazioni crescenti definiti:
 Struttura primaria: struttura al netto del folding, la sequenza di amminoacidi. Quest’ultima è derivabile dal gene e dal
messaggero che ci consentono di sapere quale sarà la successione della proteina codificata da un preciso gene. La
struttura primaria è quindi facilmente prevedibile, purché si conosca il gene. Può essere scritta con i codici degli
amminoacidi a una o a 3 lettere, ma non ha niente a che vedere con la conformazione.
 Struttura secondaria: è un livello organizzativo intermedio; sono dei modi, spesso presenti in più di una proteina e in
proteine anche diverse, in cui sono organizzate porzioni di una proteina. Dall’interno della proteina sono riconoscibili dei
modi di organizzazione che sono essenzialmente 2:
 α-elica, la proteina di avvolge ad elica attorno ad un asse immaginario; inoltre è possibile vedere che l’elica
stessa è stabilizzata da molti ponti H ( oltre che da altri legami) che avvengono fra i gruppi del backbone. E ciò
non deve sorprenderci perché i ponti a H vanno a stabilizzare la struttura a doppia elica del DNA. Gli
amminoacidi che vanno a comporre le eliche, a seconda dell’ambiente del solvente possono essere diversi: se
l’ambiente è acquoso l’elica tenderà ad avere gli amminoacidi con catene laterali idrofiliche più rivolte verso
l’esterno e quelli con catene laterali idrofobiche più rivolte verso la parte interna dell’elica (meno esposta al
solvente); ciò contribuisce a stabilizzare la struttura ad α-elica insieme ai ponti H. Ci sono alcune proteine di
membrana che hanno porzioni di struttura secondaria ad α-elica, che non sono immerse in un ambiente acquoso
ma nella membrana (ambiente idrofobico): le eliche si formano ugualmente ma le composizioni degli
amminoacidi sono diverse; qui gli amminoacidi esterni all’elica sono amminoacidi idrofobici e non idrofilici.
Inoltre, anche in un ambiente non acquoso possono formarsi legami a H che sono ancora più stabili.
 β-foglietto consiste di più filamenti β disposti uno accanto all'altro e collegati tra loro da tre o più legami
idrogeno che formano una struttura planare molto compatta. I backbone accoppiati tra loro formano dei
foglietti, le singole strutture β possono appaiarsi fra loro e formare strutture a foglietto. La direzione della
freccia indica la direzione della catena polipeptidica: la struttura β più comune è la struttura β-antiparallela. La
struttura più comune che collega strutture β-antiparallele (e anche parallele) si chiamano “turn” (c’è una
struttura β, poi un’ansa, poi una struttura β antiparallela, poi un’ansa e poi una struttura β). Anche in questa
struttura sono presenti ponti a H che la stabilizzano.

Le strutture-β sono rappresentate con


alcune frecce: la direzione della freccia,
indica la direzione che va dall’ammino
terminale al carbossi terminale.

Alcune proteina presentano quasi solamente strutture a α-elica e vengono chiamate all-α, altre proteine presentano quasi
esclusivamente struttura-β e si chiamano all-β. Le porzioni di una proteina ad α-elica e a β-foglietto possono comporre una
percentuale variabile della struttura della proteina intera.
 Struttura terziaria: è il folding completo di una proteina che comprende le su strutture secondarie più o meno
organizzate. Ci indica la struttura tridimensionale globale di una proteina.
Una singola catena polipeptidica con un ammino-terminale e un carbossi-terminale ha una struttura primaria, può avere una
struttura secondaria (non è molto necessario) e ha sicuramente una struttura terziaria, cioè la sua struttura nativa che corrisponde
alla struttura che ha. Le proteine possono avere anche una struttura quaternaria.
 Struttura quaternaria: si ha quando più catene polipeptidiche si associano per comporre la struttura funzionale della
proteina, cioè fanno delle subunità della stessa proteina. Si tratta di proteine la cui funzionalità dipende da più di una
catena polipeptidica.
A parte la struttura primaria che definita da amminoacidi legati insieme da legami covaleti (legami peptidici), tutte le altre
strutture sono regolate da legami deboli.
COME I LEGAMI NON-COVALENTI MEDIANO LE INTERAZIONI TRA MACROMOLECOLE

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Ho due proteine A e B che interagiscono con legami deboli fra le loro catene laterali con le stesse regole che hanno determinato il
folding di A e di B. Tale interazione rende la loro struttura finale tridimensionale funzionalmente attiva (stabilizzata da legami
deboli non covalenti con l’eccezione di ponti disolfuro che si creano tra due cisteine che sono legami covalenti). La proteina A può
interagire ad esempio con la proteina B o con una proteina C e il numero di interazioni delle catene laterali nei due casi può
variare. Tale concetto viene indicato con il termine di COMPLEMENTARIETÀ: si basa sul numero di legami che due proteine
possono formare. La complementarietà è scarsamente misurabile a differenza della FORZA DI LEGAME: dipende da quanti legami
si formano; tanti legami debolialta affinità, pochi legami deboli bassa affinità. La “strenght” forza di legame dipende da quanti

legami si formano.
Il concetto di forza e di affinità è molto importante se consideriamo il legame antigene-anticorpo: se hanno un’alta affinità
l’anticorpo rimane legato all’antigene per un tempo molto lungo. L’affinità determina a che tempo e a che concentrazione riesco
ad avere il complesso A-B ad esempio.
IL SITO DI LEGAME DI UNA PROTEINA
Il ripiegamento della catena polipeptidica crea tipicamente una fessura o cavità sulla superficie della proteina. Questa fessura
contiene una serie di catene laterali di aminoacidi disposte in
in modo tale da poter formare legami non covalenti solo con determinati ligandi.
Una proteina che lega l’AMP-ciclico lo fa facendo interagire i gruppi funzionali che trova sull’AMP-ciclico con le catene laterali degli
amminoacidi che sono disposti sul suo sito attivo. I legami tra l’AMP-ciclico e la proteina possono avvenire solo se le catene laterali
sono disposte nella corretta posizione. Bastano pochi movimenti della proteina e minimi spostamenti delle catene laterali a non
rendere possibile la formazione del legame debole tra essa e il ligando.
ENERGIA LIBERA
Poiché i sistemi biologici sono generalmente mantenuti a temperatura e pressione costanti, è possibile prevedere la direzione di
una reazione chimica utilizzando una misura di energia potenziale chiamata energia libera, o G, dal grande chimico americano
Josiah Willard Gibbs (1839-1903), fondatore della scienza della termodinamica. Gibbs ha mostrato che in condizioni di pressione e
temperatura costanti, come generalmente trovato nei sistemi biologici, "tutti i sistemi cambiano in modo tale che l'energia libera è
free
minimizzato. ΔG indica la differenza di energia che c’è tra due differenti stati (ad esempio l’energia che c’è tra due stati di una
proteina, stato non avvolto e stato nativo).
ΔG= Gprodotti-Greagenti
In termini matematici, la legge di Gibbs che i sistemi cambiano per minimizzare l'energia libera è a
insieme di dichiarazioni sulla ΔG:
• Se ΔG è negativo (prodotti G inferiori a G reagenti) per una reazione chimica o
processo meccanico, la reazione o il processo in avanti (da sinistra a destra come scritto) tendono a manifestarsi spontaneamente.
(G dei prodotti più basso del G dei reagenti). Reazione esoergonica.
• Se ΔG è positivo, la reazione inversa (da destra a sinistra come scritto) tenderà a verificarsi. (G dei prodotti è più alta del G dei
reagenti). Reazione endoergonica. C’è necessità di energia.
• Se ΔG è zero, si verificano reazioni sia diretta che inversa a velocità uguali; la reazione
è in equilibrio.

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G è composto dalla sommatoria di energia di legame (Hentalpia), temperatura (T) ed entropia (S): queste sono le component i
che definiscono l’energia liberata. G = H – TS
Se applichiamo tutto questo a processi fisiologici, la temperatura è mantenuta generalmente costante, quindi avrò: ΔG = ΔH - T
ΔS.
Non mi basta conoscere il numero di legami per conoscere ΔG, quindi l’entalpia: quello che alla fine mi definisce la direzionde
della reazione, quindi ΔG, quindi se la reazione è spontanea o meno è l’entropia che ha un valore enorme. Se vado in una
situazione di maggiore ordine ho un’entropia minore e una maggiore entalpia; se vado in una situazione di minore ordine ho
un’entropia maggiore e una minore entalpia.
(In realtà se valutiamo l’energia che sposta un oggetto, essa è solo apparentemente spontanea).

La formazione di legami idrofobici è guidata principalmente da un cambiamento nell'entropia. Cioè, se


una lunga molecola idrofoba viene disciolta in acqua, le molecole d'acqua sono costrette a formare a
gabbia intorno ad esso, limitando la loro libertà di movimento (entropia molto sfavorevole). Questo impone un alto grado di
ordine sui loro disposizione e abbassa l'entropia del sistema (ΔS < 0).
Possiamo riassumere le relazioni tra energia libera, entalpia ed entropia come segue:
• Una reazione esotermica (ΔH < 0) che aumenta l'entropia (DS > 0) avviene spontaneamente
(ΔG < 0).
• Una reazione endotermica (ΔH > 0) si verificherà spontaneamente se ΔS aumenta abbastanza che il termine T ΔS può superare il
DH positivo.
• Se la conversione dei reagenti in prodotti non determina alcuna variazione dell'energia libera (ΔG = 0),
allora il sistema è all'equilibrio; cioè, qualsiasi conversione dei reagenti in prodotti è bilanciata da un'uguale conversione dei
prodotti in reagenti. Molte reazioni biologiche portano ad un aumento dell'ordine, e quindi ad una diminuzione dell'entropia (ΔS <
0). Un esempio ovvio è la reazione che lega insieme gli amminoacidi per formare una proteina. una soluzione di molecole
proteiche ha un'entropia inferiore rispetto a una soluzione dello stesso amminoacidi non collegati, perché la libera circolazione di
qualsiasi amminoacido in una proteina è limitata quando è legato in una lunga catena. Affinché la reazione di legame proceda, una
diminuzione compensatoria dell'energia libera deve avvenire altrove nel sistema.
In che modo l'effetto idrofobico favorisce il ripiegamento delle proteine? Alcuni degli amminoacidi che compongono le proteine
hanno gruppi non polari. Questi amminoacidi non polari hanno una forte tendenza ad associarsi tra loro all'interno della proteina
ripiegata. L'aumento dell'entropia dell'acqua risultante dall'interazione di questi gli amminoacidi idrofobici aiutano a compensare
le perdite di entropia inerenti al processo di piegatura. Le interazioni idrofobiche non sono l'unico mezzo per stabilizzare la
struttura proteica. Molti legami deboli, compresi i legami idrogeno e le interazioni di van der Waals, si formano nel processo di
ripiegamento delle proteine, e di conseguenza il calore viene rilasciato nell'ambiente circostante. Sebbene queste interazioni
sostituiscano le interazioni con l'acqua che si verificano nella proteina spiegata, il risultato netto è il rilascio di calore nell'ambiente
circostante e
quindi una variazione negativa (favorevole) dell'entalpia per il sistema. Il processo di piegatura può verificarsi quando la
combinazione dell'entropia associata all'effetto idrofobico e il cambiamento di entalpia associato ai legami idrogeno e alle
interazioni di van der Waals rende l’energia libera complessiva negativa.
COME DEVO MISURARE L’ENERGETICA DELL’AVVOLGIMENTO DELLA PROTEINA?
Considero il mio stato iniziale (reagente) la proteina composta da tutti i suoi amminoacidi che formano legami temporanei: in
questa situazione l’entropia è altissima e l’entalpia bassa perché i legami si formano e si disfano continuamente, non ho
un’energia di legame tale da controbilanciare l’alta entropia. Quando la proteina si trova nello stato finale (prodotto), nella sua
forma nativa, ho un’entropia molto sfavorevole (ho diminuito il disordine) ma nel frattempo si sono formati legami quindi avrò
un’energia di legame molto alta (entalpia favorevole). Una proteina si avvolge in un livello stabile energeticamente, il ΔG alla fine
deve essere negativo. Alcune proteine possono avvolgersi spontaneamente. Le cellule, anche se ΔG è favorevole, richiedono molta
spesa energetica per garantire il folding corretto delle proteine, quello cioè che è determinato dalla sequenza degli amminoacidi.

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(lezione 2)
L’incapacità delle molecole idrofobiche di interagire con l’acqua, costringe l’acqua ad interagire fra sé e fromare gabbie che sono
entropicamente sfavorite. Le molecole idrofobiche rimangono a loro volta legate per avere un’esposizione minore al solvente
(acqua). L’effetto idrofobico favorisce il folding delle proteine. Quando una catena laterale di un amminoacido forma un legame a
H con l’acqua, quest’ultima indebolisce i legami elettrostatici: se una catena a carica + interagisce con una catena a carica -, quindi
si crea un legame elettrostatico ad alta energia, dobbiamo valutare che per fare quello abbiamo comunque rotto un legame con le
molecole di acqua; il totale è comunque favorevole perché è presumibile che sia la catena a carica+ sia la catena a carica – stessero
facendo debolissimi legami con l’acqua. L’acqua quindi indebolisce i legami elettrostatici e i legami a H perché essa può interagire
con gli stessi gruppi funzionali che possono fare interazioni elettrostatiche o legami a H; quando formano il legame l’acqua se ne
va e quindi dobbiamo sottrarre quell’entalpia di legame delle catene con H 2O, che deve essere rotto per formarne un altro.
Se facciamo un conto energetico del folding di una proteina vediamo che è energeticamente sostenibile: le energie di legameche si
formano con i legami deboli e con eventuali legami covalenti (ponti disolfuro) alla fine hanno la componente di entalpia che
compensa per la diminuzione di entalpia.
Il processo di avvolgimento delle proteine risulta quindi spontaneo perché non richiede energia dall’esterno (ΔG<0).
Sono stati fatti molti esperimenti per dimostrare ciò: le proteine possono avvolgersi da sole e aquistano la loro struttura nativa. Ad
esempio, se prendiamo una proteina molto piccola prodotta in laboratorio (oppure purificata e denaturata, quindi ricondotta alla
condizione di srotolamento)vediamo che è in grado di riavvolgersi nella sua conformazione nativa.
Per denaturare una proteina occorre andare contro alle regole che mantengono il folding della proteina: cambiare il solvente ad
esempio permette di cambiare i legami tra i gruppi oppure aggiungere sale che interferisce con le interazioni elettrostatiche. Come
solvente per denaturare la proteina possiamo usare l’urea oppure il β-mercaptoetanolo, un agente utilizzato per ridurre i ponti
disolfuro: attraverso una reazione di ossidoriduzione vediamo che il pontedisolfuro si riduce rompendosi e il mercaptoetanolo si
ossida. Se l’energetica è favorevole posso lasciare la proteina denaturata in presenza di ossigeno e vedo che i ponti disolfuro si
ricreano dopo poco tempo. Osservo però che nella maggior parte dei casi, quando denaturo una proteina difficilmente poi si
ripiega correttamente: dipende soprattutto dalla diluizione della proteina; se la proteina è mantenuta a concentrazioni alte
quando è srotolata la quantità di proteina avvolta nel modo giusto è molto bassa. In una provetta se ho più proteine denaturate
messe in una soluzione fisiologica (senza urea e mercaptoetanolo) difficilmente si ripiegheranno in modo corretto: questo accade
perché le catene laterali degli amminoacidi di una catena polipeptidica possono interagire con altre catene laterali degli
amminoacidi presenti nelle molteplici proteine presenti nella soluzione senza interagire tra loro a livello della stessa catena
proteica; c’è un’interazione intermolecolare e non intramolecolare e la proteina PRECIPITA. La proteina precipita perché crea molti
legami sbagliati fra tante catene e porta alla formazione di un blocco che non può essere più messo in soluzione. Se tengo la
proteina a bassa diluizione avrò come problema il verificare che non faccia legami intramolecolari errati. Il sistema più sicuro per
verificare che una proteina si sia avvolta nella maniera corretta è il controllo della sua funzione: se la proteina funziona con la
stessa efficacia della proteina nativa significa che si è ripiegata correttamente. Il controllo del folding di una proteina si fa
controllando la sua efficacia.

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Andiamo verso energie basse quindi quando una proteina fa il folding abbiamo un ΔG più basso (la proteina più stabile è quella
con il ΔG più basso). Quando una proteina è all’inzio della formazione siamo in una condizione di alta entropia dove la proteina
non è avvolta e le catene si muovono e assumono conformazioni diverse; l’entalpia è bassa, ci sono pochi legami. Quando la
proteina comincia ad avvolgersi il ΔG diventa sempre più negativo perché la componente entalpica comincia a compensare per la
componente entropica, si cominciano a formare dei legami; l’entropia diminuisce perché la proteina si organizza. Alla fine avremo
un’entropia molto bassa perché abbiamo un’unica specia avvolta in maniera corretta, ma grazie alla formazione dei legami si fa in
modo che il ΔG sia negativo e avremo una sola conformazione a più bassa energia come obiettivo finale. Le pareti dell’imbuto non
sono lisce: questo è importante perché mentre la proteina scende lungo il livello dell’energia e forma legami, alcuni di tali legami
infilano la proteina in una buca energetica perché sono legami sbagliati. Quando si formano legami sbagliati dobbiamo romperli
altrimenti la proteina rimane lì e la perdiamo: se è un processo spontaneo non abbiamo energia per rompere i legami sbagliati!
Teroicamente quindi durante il processo di folding la quantità di proteina che in fondo sarà avvolta in maniera corretta è molto
bassa rispetto al totale; molta viene persa perché si avvolge in maniera scorretta e non posso rompere i legami sbagliati perché
manca energia. Se ho molte proteine sbagliate molto probabilmente interagiscono fra loro e precipitano.
Se una cellula crea proteine dando per scontato che una parte di esse lo perde, dove le mette? L’accumulo di proteine precipitate
dentro la cellula sono la causa di molte malattie come l’Alzheimer che causano la morte di cellule. Il citoplasma di una cellula è
molto fitto quindi sintetizzare una proteina è come farlo dentro ad una provetta piena: oltre ai problemi di ripiegamento della
proteina devo considerare le proteine con cui essa potrebbe interagire nel citoplasma.
Ci sono proteine che sono responsabili del folding delle proteine dai batteri fino all’uomo e che permettono il loro corretto
ripiegamento a spesa di ATP. L’energia per rompere i legami scorretti proviene dall’ATP che la cellula fornisce grazie alle
CHAPERON o CHAPERONINE: si tratta di due categorie principali di proteine che intervengono in momenti diversi della sintesi
proteica.
Le proteine chaperon intervengono durante la fase di sintesi, quindi prima che la proteina sia del tutto sintetizzata (i ribosomi
fanno la proteina che via via cresce sui ribosomi). Le chaperon intervengono legandosi alla catena nascente e impediscono che
essa interagisca con proteine sbagliate riparandola durante tutto il processo di sintesi nei ribosomi. Appartengono alla classe delle
proteine HSP70 (Heat Shock Protein): tali proteine venivano prodotte in misura maggiore quando la proteina era sotto stress; esse
servono per difendere le catene durante la fase di sintesi oltre a impedire la precipitazione delle proteine dentro la cellula. Il
legame delle chaperon con la proteina deve essere rotto dopo che la proteina ha completato il folding consumando ATP.

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Le chaperonine hanno un funzionamento simile alle chaperon: sono dei barilotti (formati da 7 subunità uguali nei batteri e da 8
subunità diverse nelle cellule eucariotiche di proteine HSP60) doppi con due cavità ognuna formata da 7 subunità di HSP60; al cui
interno entra la proteina non ripiegata per poi uscire ripiegata. All’interno dei barilotti si consumano 7 molecole di ATP per ogni
ciclo di proteina che viene fatta: ogni subunità ha un sito per l’ATP che per ogni proteina formata viene scisso in ADP+Pi.

Il barilotto è formato da 7+7 subunità che si giustappongono e poi ha due aperture (una di sopra e una di sotto): la sua struttura si
alza e si abbassa dipendentemente dalla presenza della proteina al suo interno; ha dei cambi di conformazione.
Durante la sintesi delle proteine intervengono sul ribosoma le HSP70, le proteine chaperon, che coprono la proteina durante la
sintesi; quando la proteina è stata completamente sintetizzata e non completamente avvolta in modo corretto, entra dentro i
barilotti di HSP60 (chiamati GROEL nei batteri e TCP nelle cellule eucaritiche, chaperonine in entrambi i casi) per poi uscire con il
giusto ripiegamento. Non tutte le proteine entrano nelle chaperonine, alcune completano il loro folding solo con l’aiuto delle
HSP70. Ancora non sappiamo cosa avviene precisamente dentro ai barilotti delle chaperonine: sappiamo che buona parte della
parete interna dei parilotti è fatta da amminoacidi idrofobiche che possono interagire con amminoacidi idrofobici della proteina. Il
barilotto GROEL presenta anche dei cappucci chiamati GROES: la proteina entra, il barilotto cambia la sua conformazione, GROES
chiude la struttura e rende l’ambiente del barilotto isolato. Si consuma ATP in pochi secondi, il barilotto cambia nuovamente la sua
conformazione, il cappuccio GROES si allontana dalla struttura e la proteina esce con il corretto folding. Lo stesso processo può
avvenire sia di sopra il barilotto sia di sotto. All’interno di un barilotto ci può entrare un’unica proteina, si isola l’ambiente.

Le proteine chaperon e chaperonine aiutano anche nel corretto ripiegamento di proteine denaturate che altrimenti potrebbero
precipitare.

La proteina può avere una funzione che può essere regolata: aumentata o diminuita, accesa o spenta. Gli enzimi non sono sempre
attivi, la loro attività viene regolata con 2 metodi diversi:
 Con modificazioni covalenti attraverso l’aggiunta di un gruppo fosfato. L’attività di molte proteine è legata all’aggiunta o
alla rimozione di un fosfato. Nella glicogenolisi/ glicogenosintesi ci sono molti enzimi regolati in base all’aggiunta o alla
rimozione del fosfato. Gli enzimi che vanno verso la glicogenolisi sono attivi quando sono fosforilati e
contemporaneamente gli enzimi che sono nella via della glicogenosintesi quando sono fosforilati sono inattivi: l’enzima
che fosforila deve fare fosforilazioni in maniera sincrona. La presenza di un fosfato nell’enzima non mi indica la sua
attivazione in ogni caso, indica il cambio della sua attività: questo perché il fosfato è carico ed il legame covalente con il
fosfato (trasportato dalle CHINASI e rimosso dalle FOSFATASI) avviene con l’ossidrile della serina, treonina o tirosina (non
tutti gli amminoacidi vengono fosforilati, solo questi 3). Il fosfato si lega all’OH al posto dell’idrogeno dell’ossidrile: una
catena laterale che prima ha un ossidrile diventa molto carica con il fosfato e quindi dobbiamo aspettarci un cambio di
conformazione. Ad esempio nell’enzima glicogeno-sintetasi nell’ammino-terminale abbiamo 8 cariche negativhe prima
della fosforilazione che poi diventano 12; nel carbossi-terminale ho 8 cariche negative che dopo la fosforilazione
diventano 22.

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 Con modificazioni non covalenti attraverso la capacità degli ioni calcio (e magnesio) di regolare l’attività di enzimi. In
base al legame con il calcio o all’assenza di calcio, la struttura e la funzione della proteina può cambiare.
Un esempio di una proteina estremamente dipendente dal calcio è la CALMODULINA.
La calmodulina è una proteina la cui conformazione cambia molto in base al fatto che leghi o meno il calcio; il suo nome dipende
dal fatto che quando ha legato il calcio o meno è associata ad altre proteine e le sue modificazioni di conformazione (dovute
proprio al legame con il calcio o meno) possono essere trasmesse alle altre proteine stesse. La calmodulina quindi rende
dipendenti dal calcio anche altre proteine semplicemente per il fatto di legarcisi quando ha il calcio legato. La struttura della
calmodulina è prevalentemente ad alfa-elica con due teste che hanno due eliche disposte in modo particolare, con un angolo e
con un ansa al centro che facilita il legame con il calcio: quello che consente alla proteina di legare il calcio è la presenza in
ciascuna ansa di 2 gruppi carbossilici COO- (2 per ogni testa) di un acido aspartico o glutammico. Ciascuna calmodulina, grazie alla
presenta di 4 gruppi carbossilici nelle anse all’interno delle teste può legare 4 atomi di calcio. Il fatto di impegnare 2 catene laterali
di 2 amminoacidi con carica negativa per il legame con il calcio (Ca2+) causa una ripercussione nella struttura della proteina: ci
sarebbero 4 cariche negative che interagirebbero con altre cariche positive se non fossero neutralizzate dal calcio.

Quindi non è sorprendente che si possa cambiare la struttura di una proteina in base al legame con il calcio; il calcio è in grado di
cambiare la struttura delle proteine perché esso impegna catene laterali negative e la disposizione di esse con o senza calcio
modifica la struttura della proteina e quindi la sua funzione.
ESEMPIO TRIPSINA E CHIMOTRIPSINA
La tripsina e la chimotripsina sono enzimi e in particolare delle PROTEASI: enzimi in grado di rompere legami peptidici e quindi il
backbone della proteina. Sono enzimi con una struttura molto simile e sono composti da più subunità; vengono generati da
precursori che vengono attivati a loro volta con tagli proteolitici che permettono di creare una struttura con più catene
polipeptidiche.Tripsina e chimotripsina fanno parte della famiglia delle serina-proteasi: si chiamano così perché hanno un
particolare meccanismo catalitico e per avere la loro funzione è importante la disposizione reciproca delle catene laterali che
permettono di legare i substrati che di svolgere una funzione catalitica. In particolare la chimotripsina è una proteasi che taglia con
una particolare predilezione per zone della proteina dove ci sono amminoacidi idrofobici e ingombranti. Come fanno il taglio? Tali
enzimi devono avere le catene laterali nel sito attivo disposte secondo una triade catalitica in cui c’è sempre una SERINA,
UN’ISTIDINA e un ACIDO ASPARTICO che devono creare fra sé ponti H. È la presenza e la disposizione di questi 3 amminoacidi a
permettere il taglio della proteina.
Un’altra serina-proteasi completamente diversa dalla tripsina e dalla chimotripsina è la SUBTILISINA: appartiene ad una famiglia
differente, ma ha bisogno della triade catalitica come la chimotripsina (anche se gli amminoacidi delle catene laterali sono disposti
nella catena polipeptidica in una posizione diversa). Modificazioni della struttura tridimensionale della proteina si può ripercuotere
nella disposizione della triade catalitica e l’enzima risulta inattivo.

I RECETTORI DI MEMBRANA
I recettori di membrana raccolgono segnali che provengono dall’esterno della cellula e permettono alla cellula stessa di rispondere
a tali segnali. Dal punto di vista dei ligandi (molecole che possono legare i recettori) che possono stimolare i recettori, la prima
differenzazione è fra caratteristiche chimico-fisiche dei ligandi:
 i ligandi possono essere molecole idrofiliche o idrofobiche; questo fa una grande differenza nel signaling dell’uomo;
quando un ligando viene liberato nel sangue vediamo che le molecole idrofiliche viaggiano tranquillamente a differenza
delle molecole idrofobiche che generalmente hanno bisogno di carrier.
 Le molecole idrofobiche anche se hanno difficoltà a muoversi nei liquidi biologici riescono facilmente ad attraversare la
membrana perché sono liposolubili. I ligandi idrofilici hanno bisogno di recettori perché non passano la membrana
passivamente.
Le molecole che legano i recettori di membrana sono quindi per lo più molecole idrofiliche. Oltre ai recettori di membrana
esistono anche i recettori endocellulari di molecole idrofobiche (ormoni steroidi).
MECCANISMI DI SEGNALAZIONE ENDOCRINA, PARACRINA E SINAPTICA

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Con sistema paracrino si indica una condizione in cui la cellula che produce la molecola segnale è abbastanza vicina alla cellula che
lo riceve: il segnale non viene liberato nel circolo sanguigno. La cellula che riceve il segnale viene chiamata anche cellula target
(cellula bersaglio). Il sistema endocrino prevede cellule che producono ormoni e la cellula bersaglio può essere molto distante
dalla cellula che manda il segnale (come una ghiandola): l’ormone viene liberato nel circolo sanguigno. Il sistema sinaptico è un
sistema altamente specializzato dove il contatto avviene attraverso le sinapsi (la cellula che produce il segnale (ormone
presinaptico) prende diretto contatto con la cellula che lo riceve(neurone postsinaptico)); ciò è garantito dalla morfologia dei
neuroni.
Nel sangue, attraverso un meccanismo di segnalazione endocrina, vengono riversati tutti gli ormoni che però agiscono solo su
determinate cellule: le cellule che rispondono al segnale sono quelle che presentano il recettore per quel determinato ormone.
Solo chi deve rispondere ad un segnale ha il recettore per poterlo raccogliere.
Il sistema autocrino è un sistema specializzato del sistema paracrino tipico del sistema immunitario: la cellula produce un segnale e
presenta essa stessa il recettore per quel ligando. Il sistema di segnalazione per contatto cellula-cellula è basato sul fatto che la
molecola segnale e il recettore sono entrambi proteine di membrana. Questi ultimi due meccanismi sono alla base del sistema
immunitario.
MOLECOLE SEGNALE: NEUROTRASMETTITORI
L’acetilcolina è un neurotrasmettitore ma anche un ormone; la glicina; il glutammato; le catecolamine (dopamina, noradrenalina e
adrenalina); la serotonina; l’istamina; l’acido gamma-amminobutirrico (GABA). Vediamo che molti sono amminoacidi (glicina,
glutammato) e molti derivano da amminoacidi (le catecolamine derivano dalla tirosina) (la serotonina deriva dal triptofano).
I ligandi spesso sono usati per fare cose diverse: lo stesso ligando può avere funzioni diverse; recettori diversi permettono allo
stesso ligando di attivare una risposta diversa. Il ligando non è quello che fa il signaling, lo induce.
*famiglia da un punto di vista biochimico-molecolare quando si parla di proteine che appartengono alla stessa famiglia si
intende il fatto che hanno un progenitore in comune. Famiglie di proteine spesso si riconoscono perché sono simili da un punto di
vista strutturale ma possono avere funzioni diverse.
I RECETTORI
Ci sono 3 principali famiglie* di recettori di membrana:
 RECETTORI G-PROTEIN COUPLED (recettori collegati a proteine G): ad esempio i recettori dell’adrenallina (recettori
adrenergici), dell’acetilcolina; si chiamano così perché il loro funzionamento richiede più step. Sono dei recettori con una
struttura particolare e agiscono con una serie di passaggi sulla membrana che permettono di attivare il signaling: legame
del ligando al recettore, cambio di conformazione del recettore indotto dal legame ligando-recettore, legame con la
proteina G suite protein che è in grado di legare l’azione del ligando sul recetttore all’attivazione di un enzima che
determina la risposta nella cellula.
 RECETTORI CHE SONO ENZIMI CON ATTIVITÀ ENZIMATICA: recettori che sono enzimi con attività chinasica specifica per la
tirosina (recettori con attività di tirosina-chinasi); il ligando si lega al recettore e si attiva così un’attività enzimatica che si
traduce in una risposta immediata nella cellula.
 RECETTORI CHE SONO CANALI IONICI (canali ionici regolati da ligando): c’è un mediatore che si lega al canale ionico e la
risposta nella cellula è indotta dal legame del ligando e prodotta dalla capacità del ligando di indurre l’apertura del canale
per gli ioni.

La funzione del recettore è quello di tradurre un segnale che viene dall’esterno in una risposta nella cellula: qualcosa che è fuori
dalla cellula si deve tradurre in qualcosa che è dentro la cellula (RISPOSTA TRANSMEMBRANA). Il ligando ha la funzione di indurre
la risposta transmembrana. Il recettore solitamente ha una faccia esterna a cui si lega il ligando e una faccia interna che si affaccia
nel citoplasma: quando ad esso si lega il ligando cambia la propria conformazione.
Tutti i recettori precedenti sono i recettori per i grow-factors, per i fattori di crescita.
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Nel signaling è importante l’amplificazione del segnale: una molecola di ligando lega un recettore, esso attiva un’enzima (nel caso
di G protein coupled) che produce un substrato (adenilato ciclasi) che a sua volta produce molto AMP ciclico: il sistema si
amplifica. L’AMP ciclico attiva chinasi che fosforilano.
SECONDI MESSAGGERI
L’AMP-CICLICO (fosfato-zucchero-adenina) è un secondo messaggero, è responsabile della risposta cellulare. È definito secondo
messaggero (dentro alla cellula) perché il primo messaggero è il ligando (fuori dalla cellula). L’adenilato ciclasi produce l’AMP-
ciclico a partire dall’ATP con liberazione di 2 fosfati. L’AMP-ciclico può essere rotto, inattivato dalla fosfodiesterasi che rigenera
AMP non ciclico con l’intervento di una molecola d’acqua che rompe la struttura ciclica.
Ci sono poi due secondi messaggeri che lavorano insieme e sono il DIACILGLICEROLO (liberato fuori dalla cellula) e l’INOSITOLO
TRIFOSFATO (zucchero).

RECETTORI G-COUPLED-PROTEIN
Il recettore di membrana raccoglie il segnale che arriva da un signaling-ligand (sono diversi ligandi che funzionano con lo stesso
meccanismo di signaling). Il signaling-ligand si lega al recettore che, in base all’interazione con il ligando, modifica la sua struttura.
La modifica del recettore comporta che il recettore diventa capace di legarsi alle proteine G trimeriche. Le proteine G trimeriche si
chiamano G per il fatto che sono in grado di legare dei nucleotidi guanidici (GTP, GDP): se legano il GDP sono inattive e se legano
GTP sono attive. Le proteine G trimeriche sono proteine switch (interruttori), danno il via alla trasmissione del segnale dentro la
cellula: hanno una subunità alfa più grossa che ha il sito di legame per il GDP o il GTP e due subunità beta e gamma che sono
sempre legate. La subunità alfa lega il GDP quando il ligando non è presente; la subunità alfa lega il GTP quando il ligando si lega al
recettore che muta la sua conformazione e diventa capace di legare la subunità alfa delle G trimeriche che a sua volta cambia
conformazione. La nuova conformazione della subunità alfa della proteina G trimerica (quando il ligando lega il recettore) avrà un
sito per GDP/GTP più grande quindi legherà il GTP (che non entra nel sito della subunità alfa quando la proteina G è inattiva; si
allarga il sito, esce GDP ed entra GTP perché c’è più affinità per esso). La subunità alfa legata a GTP si stacca dalla subunità beta-
gamma: è nella sua forma attiva e svolge la sua attività di proteina switch prendendo contatto con un enzima cruciale di
membrana chiamato enzima effettore. I due enzimi effettori di membrana sono l’ADENILATO CICLASI E LA FOSFOLIPASI C; sono
sotto il controllo delle proteine G trimeriche.
Le proteine G trimeriche che controllano l’adenilato ciclasi si chiamano proteine Gs (dove S sta per stimolatorie). Le proteine Gs
quindi fanno aumentare la concentrazione intracellulare di AMP-ciclico: le proteine Gs si legano all’adenilato ciclasi e lo attivano.
Ci sono proteine che inibiscono la produzione di AMP ciclico da parte dell’adenilato ciclasi e sono le proteine Gi (inibitorie):
inibiscono l’attività dell’adenilato ciclasi. Il signaling per essere efficace deve essere reversibile.
La subunità alfa della proteina G è un enzima: è una GTP-asi, è in grado di staccare il GTP per tornare al GDP, quindi al punto di
partenza, cambiando conformazione nuovamente. La subunità alfa con GDP si ricomplessa con le subunità beta-gamma e così
rimane fino a quando non viene riattivata dal recettore.
STRUTTURA RECETTORI G-PROTEIN COUPLED
Tale famiglia di recettori è chiamata anche SEVEN-PASS: è un’unica catena polipeptidica (con un ammino-terminale interno e con
un carbossi-terminale esterno) che attraversa la membrana 7 volte. Le strutture inglobate dentro la membrana sono eliche, eliche
idrofobiche: con i residui rivolti verso l’esterno idrofobici. Il primo recettore che fu clonato è stato il recettore beta-2 adrenergico.
PROTEINE ENDOCELLULARI DI TRADUZIONE DI SEGNALI
- Chinasi-fosfatasi
- Proteine G switch con attività GTP-asica
- Proteine adattatrici (non sono enzimi): hanno siti di riconoscimento specifici che riconoscono le modificazioni prodotte
nelle proteine. Se c’è un segnale di un signaling che produce una fosforilazione, le proteine adattatrici hanno siti per
riconoscere un sito fosforilato o non fosforilato; a questo punto riconoscono la modifica avvenuta e la mettono in
contatto con altro.
Su una membrana coesistono più recettori: le cellule sono in grado di rispondere a più di un segnale. Di solito i neuroni di ogni
singola sinapsi sono unici.

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Tutti i secondi messaggeri si legano a chinasi chiamate CHINASI DIPENDENTI DA SECONDO MESSAGGERO: se il secondo
messaggero è l’AMP ciclico, esso si lega a chinasi dipendendi da AMP-ciclico, ad esempio si lega alla PKA (chinasi A) che si attiva. La
chinasi A a quel punto, dipendentemente dal proteoma della cellula, può regolare gli enzimi del metabolismo del glucosio (se il
ligando è l’adrenalina ad esempio) oppure avere altre funzioni in altre cellule.

La famiglia di recettori con attività di tirosina-chinasi è caratterizzata da recettori che sono anche enzimi: sono chinasi che
fosforilano tirosine e i loro substrati sono le loro medesime catene; quando arriva il ligando la porzione interna delle catene di tali
recettori viene fosforilata su tirosina e qui interviene la proteina adattatrice, cioè una proteina specifica che riconosce le tirosine
solo se sono fosforilate (invece di averci un OH hanno il fosfato).
Per identificare i possibili residui critici che condizionano la capacità di un recettore di riconoscere la proteina G si usa una
particolare tecnologia: (per ricostruire una proteina occorre conoscere il gene nel messaggero che codifica quella proteina); si
costruiscono dei messaggeri con geni con mutazioni fatte da noi e si aspetta che la cellula con il messaggero mutato produca il
recettore a sua volta mutato. Si osserva quindi se i recettori mutati funzionano quando dò loro un ligando come l’adrenalina: se si
produce l’AMP ciclico come nel recettore non mutato significa che il residuo (amminoacido) che ho mutato non è coinvolto nel
signaling; se non si produce l’AMP ciclico significa che il residuo mutato è coinvolto. Se cambio un residuo in un recettore e non
trovo la funzione, potrei aver cambiato un residuo che non è direttamente coinvolto nella funzione del recettore, ma che ha
portato comunque una modifica e di conseguenza è inibito il legame con le proteine G: una mutazione è direttamente collegata
con un’interazione funzionale.

L’adrenalina è una catecolamina e deriva da modifiche della tirosina. Ci sono farmaci artificiali che somigliano all’adrenalina, alcuni
sono AGONISTI (inducono la stessa azione del ligando naturale) e altri sono ANTAGONISTI (si legano nello stesso sito sullo stesso
recettore, ma invece di produrre l’azione di attivazione la inibiscono).
AFFINITÀ DI LEGAME (Kd): è la forza del legame che deriva dalla costante di equilibrio e viene misurata in moli/litro; tanto più

l’esponente con cui è indicata è negativo, tanto più forte è il legame.


L’affinità di legame del ligando normale per il recettore è media, nell’ordine del micromolare; tutti gli altri ligandi hanno un’affinità
maggiore (i farmaci normalmente devono avere un’affinità di legame per il recettore più alta rispetto al ligando normale). Nel
signaling naturale non ci sono affinità di legame così elevate.
RECETTORI ADRENERGICI G PROTEIN COUPLED
Tali recettori si trovano nei muscoli cardiaco, scheletrico e liscio e i recettori beta sono coinvolti nella glicogenolisi.
I recettori che rispondono all’adrenalina e alla noradrenalina si dividono in 3 gruppi (anche se i beta sono β1,β2 e β3 e gli alfa
sono α1 e α2): tutti rispondono agli stessi ligandi ma sono diversi:
 I RECETTORI β ADRENERGICI(di tipo 1 e 2) sono collegati a Gs: regolano la glicogenolisi e il battito cardiaco (i β bloccanti
sono farmaci che agiscono sui recettori beta adrenergici del muscolo cardiaco). Tutti i recettori β adrenergici agiscono
stimolando l’adenilato-ciclasi.
 I RECETTORI α ADRENERGICI sono divisi in 2 perché non agiscono con lo stesso enzima effettore:
- I recettori adrenergici di tipo α1 hanno come primo effettore la fosfolipasi C; si parla anche si signaling del calcio che
viene rilasciato.
- I recettori adrenergici di tipo α2 hanno come primo effettore l’adenilato-ciclasi ma collegato a Gi, quindi inibiscono
la concentrazione di AMP-ciclico.

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Per dimostrare che tipo di proteina G e che tipo di risposta è legata a recettori che rispondono all’adrenalina è stata utilizzata una
tecnologia: è stato fatto un esperimento con cellule che producevano dei recettori adrenergici; si trattava di cellule che facevano
recettori diversi (una li fa di tipo α2 e altri di tipo β2). Le cellule che esprimono il recettore α2 quando vengono stimolati riducono
l’AMP ciclico e le cellule che esprimono il recettore β2 quando vengono stimolati aumenta l’AMP ciclico. Tale esperimento si basa
sulla creazione di chimere di recettori chimerici: i recettori α2 e β2 hanno le stesse eliche transmembrana e quindi è più facile
formare una chimera; basta prendere un pezzo dei recettori di α2 e un pezzo dei recettori β2. Con i recettori chimerici provavano
a legare i farmaci specifici per gli alfa e per i beta per vedere cosa succedeva nella cellula: se lego al mio recettore chimera un
agonista α e trovo una diminuzione dell’AMPciclico significa che non ho cambiato né il sito di riconoscimento del ligando, né il sito
di riconoscimento della proteina G. Ad un certo punto, dopo diverse prove vedo però che anche se rispondeva agli agonisti α
aumentava la concentrazione di AMP-ciclico: quindi in questo caso il sito di riconoscimento del ligando era rimasto quello del
recettore α, il sito di riconoscimento della proteina G era dei recettori β. Quindi i recettori G coupled protein, nonostante abbiano
la stessa struttura e rispondano allo stesso ligando funzionano in maniera diversa; non sono comunque identici perché possiamo
fare farmaci specifici per ogni recettore (anche i siti per il ligando non sono identici anche se molto simili).

Le 7 eliche del recettore G coupled protein, che attraversano il doppio strato fosfolipidico, non sono in fila da un punto di vista
tridimensionale e addirittura hanno un certo grado di mobilità all’interno della membrana (che non è rigida). Costruendo tale
struttura tridimensionale è stato visto che i recettori beta e alfa sono piuttosto diversi. Inoltre con la visione tridimensionale dei
recettori si riuscì a capire perché in una determinata posizione c’era un aspartico (prima era un enigma): esso stava in una regione
che doveva essere idrofobica e ciò era molto difficile immaginarlo. L’aspartico stava solo apparentemente dentro ad un’elica
idrofobica, esso era esposto al solvente; inoltre era il responsabile del legame con l’NH3 delle catecolamine.

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L’aumento della concentrazione dell’AMP-ciclico è indotto dall’adrenalina/noradrenalina e dai recettori adrenergici collegati alle
proteine Gs. L’aumento della concentrazione dell’AMP-ciclico stimola una chinasi dipendente da secondo messaggero: la PKA, la
proteina chinasi A AMP-ciclico dipendente. Essa, insieme alla corrispettiva fosfatasi, è responsabile della regolazione dello switch
tra la glicogenosintesi e glicogenolisi. La chinasi fosforila enzimi chiave della glicogenolisi: la glicogeno-fosforilasi chinasi che a sua
volta fosforila la glicogeno fosforilasi attivandola (da qui si libera glucosio dal glicogeno). La stessa PKA, quando la cellula aumenta
la concentrazione di AMP-ciclico, fosforila gli enzimi della glicogenosintesi inattivandoli: la PKA fosforila la glicogeno-fosforilasi
bloccandola. Se c’è adrenalina si ha necessità di glucosio e si promuove la glicogenolisi.
Contemporaneamente attraverso la fosforilazione dell’inibitore della proteina fosfatasi, PKA rende attivo l’inibitore della proteina
fosfatasi e la blocca. La fosforilazione ha funzioni opposte nella glicogenolisi e nella glicogenosintesi.
DISPONIBILITÀ DI GLUCOSIO: l’adrenalina è l’ormone della risposta immediata (ormone del fight or flight= combatti e fuggi). Tutti i
suoi recettori reagiscono nella stessa direzione: nei recettori β induce la glicogenolisi e blocca la glicogenosintesi (disponibilità di
glucosio). I recettori β sono localizzati nel muscolo cardiaco (aumenta il battito, più ossigeno nei tessuti e flusso sanguigno più
rapido) e nella muscolatura bronchiale (dilatazione bronchiale, quindi aumenta la capacità di immagazzinare ossigeno):
l’adrenalina quindi legandosi ai recettori crea un’azione sincrona, si produce glucosio e ossigeno necessario per un’azione veloce
ad esempio.
REGOLAZIONE SIGNALING A LIVELLO DELLA MEMBRANA
SISTEMA DI CONTROLLO E DI INTERRUZIONE DEL SEGNALE: esso è in primis regolato dalla disponibilità del ligando (quando esso
diminuisce non c’è più il legame recettore-ligando e il recettore non si attiva). Ci sono poi sistemi di controllo ulteriori: c’è
l’intervento di proteine importanti chiamate β-ARRESTINE in grado di arrestare il signaling dei recettori β-adrenergici. Il
meccanismo di controllo del segnale che viene realizzato dalle β-arrestine prende il nome di desensitizzazione: porta alla capacità
di rendere i recettori insensibili al ligando (si blocca la trasmissione del segnale).
La desenzitizzazione spesso non è un fenomeno completamente fisiologico; in condizioni in cui il signaling è prolungato per un
tempo che non è quello fisiologico intervengono sistemi di desensitizzazione: questo si verifica quando c’è troppa concentrazione
di ligando (che continua a mantenere il complesso ligando-recettore). Si ottiene una situazione in cui c’è una concentrazione di
ligando esagerata o quando c’è troppa affinità tra ligando e recettore. I primi studi sui meccanismi di desensitizzazione sono stati
fatti sui recettori degli oppiacei, che sono recettori G-protein coupled, attraverso l’utilizzo di morfina e altri ligandi. Una
desensitizzazione in determinate situazioni può provocare una incapacità di rispondere al segnale.

DESENSITIZZAZIONE
Può avere livelli più o meno drastici:
1. Quello mediato dalle β-arrestine è relativamente drastico ed è piuttosto fisiologico. Nella porzione carbossi-terminale
(porzioni interna della catena citoplasmatica) dei recettori G-protein coupled ci sono dei siti di fosforilazione (con
amminoacidi come la serina e la treonina che possono essere fosforilate): questi siti vengono fosforilati e tale
fosforilazione spesso è mediata dalle stesse chinasi secondo-messaggero dipendenti che vengono attivate dal recettore
(meccanismo a feedback). Quindi il recettore che viene attivato e attiva le chinasi può essere fosforilato dalle medesime
chinasi che lui stesso attiva e da altre chinasi specifiche. Le β arrestine si legano sui siti del carbossi-terminale fosforilati e
la prima cosa che fanno è arrestare il signaling perché coprono il sito di legame tra il recettore e la proteina G.
Successivamente intervengono le fosfatasi che rimuovono gradualmente i siti fosforilati e il recettore torna attivabile.
2. Ci possono essere dei casi in cui la desensitizzazione diventa a lungo termine: le β arrestine non hanno solo il ruolo di
riconoscere le porzioni fosforilate, ma hanno anche il ruolo di collegarsi ad un sistema chiamato sistema di invaginazione
delle membrane clatrina-dipendente. Il sistema clatrina-dipendente è la capacità della cellula di creare invaginazioni a
livello della membrana che diventano vescicole endosomiali il cui contenuto può essere degradato o riciclato. Le β

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arrestine richiamano il sistema della clatrina sulla membrana dove è presente il recettore: questo sistema porta ad
invaginazioni della membrana con la formazione di vescicole che contengono il recettore (perché lì è la β-arrestina che
richiama il sistema clatrina dipendente). Se le vescicole vengono riciclate il recettore può tornare attivabile sulla
membrana; se le vescicole vengono degradate tale desensitizzazione diventa a lungo termine perché perdo il recettore
che diminuirà sulla membrana. Il recettore in questo ultimo caso deve essere risintetizzato (ci vuole tempo) per fare in
modo che la cellula abbia la stessa capacità di rispondere al segnale.
Le β arrestine hanno una struttura prevalentemente a beta-foglietto e ci sono zone cruciali del loro funzionamento: alcune zone
hanno cariche positivamente che permettono il riconoscimento dei residui fosforilati del recettore; altre zone determinano la
capacità delle β arrestine di riconoscere diversi recettori; c’è una porzione che contiene il sito per legare la clatrina e dà avvio al
processo di internalizzazione clatrina-dipendente.
EFFETTO DELLA CHOLERA TOXIN
La tossicità della colera e della tossina pertosse è data dalla loro capacità di interferire con l’attività delle proteine G trimeriche: la
tossina del colera riconosce la subunità α Gs quando è attivata e quindi rimane bloccata permanentemente attiva; la tossina della
pertosse riconosce la Gi e la blocca permanentemente inattiva. Tali tossine modificano covalentemente le proteine G perché sono
capaci di attaccare un ADP-riboso sulla subunità α: il risultato di entrambe porta ad un aumento dell’AMP-ciclico fuori controllo.
La diarrea causata dalla tossina del colera è legata al fatto che le cellule intestinali continuano a produrre acqua perché l’AMP-
ciclico è fuori controllo.
Le 3 principali classi delle subunità α delle proteine G trimeriche sono:
- Gs: determinano un aumento dell’adenilato-ciclasi
- Gi: determinano una diminuzione dell’adenilato-ciclasi
- Gq: determinano la stimolazione della fosforipasi Cβ
Gli enzimi effettori sono 2:
- Adenilato ciclasi: può essere attivata o inibita
- Fosfolipasi C: può solo essere attivata
ADENILATO CICLASI
È un enzima di membrana legato alla membrana con una serie di eliche che permettono il suo ancoraggio ad essa. Oltre alle eliche
ci sono siti catalitici: domini catalitici. Per dominio di una proteina si intende una porzione della proteina che è indipendente da un
punto di vista strutturale e a volte anche da un punto di vista funzionale e che quindi teoricamente può essere distaccato dalla
proteina stessa. Il dominio dell’adenilato ciclasi anche se isolato mantiene la sua struttura e la sua funzione, continuando inoltre
ad essere controllato dalle subunità α delle proteine Gs.

La subunità α è un’unica catena polipeptidica in cui ci sono 2 porzioni diverse: una porzione viene indicata come DOMINIO RAS-
LIKE, cioè un dominio G monomerico.
COSA SUCCEDE DENTRO LA CELLULA? MECCANISMO DI TRADUZIONE MEDIATO DA Gs
La chinasi A è costituita da 4 subunità: 2 subunità regolatorie e 2 subunità catalitiche, è un classico sistema di regolazione
ALLOSTERICO in cui la struttura quaternaria in assenza di AMP-ciclico presenta le 4 subunità tutte legate; quando si lega l’AMP-
ciclico sui siti delle subunità regolatorie provoca un cambio di conformazione tale che le due subunità catalitiche vengono liberate
e sono attive. La PKC ha un meccanismo di attivazione identico: solo che al posto di legare l’AMP-ciclico lega il calcio.

Le risposte che coinvolgono un aumento dell’AMP-ciclico sono determinate da un recettore che lega Gs: sono recettori diversi che
rispondono a ligandi diversi. Alcuni ormoni che portano a questa risposte sono l’adrenalina (promuove la contrazione muscolare),
il glucacone (promuove la glicogenolisi)…

Se le cellule possono fare cose diverse quando aumenta l’AMP-ciclico dipendentemente dal proteoma (dalle proteine presenti
nella cellula) è anche vero che se ho recettori diversi e messaggeri diversi che in una cellula agiscono attraverso i Gs e aumentano
la concentrazione di AMP-ciclico all’interno della cellula, quest’ultima svolgerà sempre la stessa funzione in risposta anche a
messaggeri diversi.

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ALTRA VIA DI SIGNALING: MECCANISMO DI TRADUZIONE MEDIATO DA FOSFOLIPASI C
Gli step sulla membrana sono identici al meccanismo di traduzione mediato dall’adenilato ciclasi: quello che è diverso è
l’enzima effettore (l’adrenalina può agire attraverso l’adenilato-ciclasi o attraverso la fosfolipasi C). Abbiamo sempre gli step
ligando, ligando-recettore, proteina G trimerica che si attiva e la subunità α della proteina G trimerica che prende contatto

con l’enzima e ne regola l’attività.


Quello che cambia rispetto al meccanismo di traduzione mediato dall’adenilato ciclasi è l’enzima effettore e il secondo
messaggero; ma ci sono dei parallelismi netti sia nella parte recettore-G protein coupled, sia nella parte endocellulare.
C’è sempre il recettore G protein coupled, la proteina G trimerica di tipo Gq (attiva la fosfolipasi C), l’enzima effettore che è la
fosfolipasi C che produce 2 risultati/prodotti: il diacilglicerolo (DAG) e l’inositolo trifosfato (IP3). Il diacilglicerolo è ancorato
alla membrana in quanto contiene una parte lipidica inserita dentro la membrana; invece l’inositolo trifosfato è uno zucchero
2+
che viene liberato dentro il citoplasma. L’inositolo trifosfato induce la liberazione del calcio (Ca ) dalle vescicole del reticolo
endoplasmatico e il calcio (fa esattamente quello che faceva l’AMP ciclico) attiva le chinasi secondo-messaggero dipendenti.
REAZIONI
Sulla membrana la fosfolipasi C è un enzima che reagisce sul fosfatidilinositolo* (ha due catene idrofobiche alifatiche dentro la
membrana e sul versante citoplasmatico una componente idrofilica composta da uno zucchero). La fosfolipasi C taglia il
fosfatidilinositolo ottenendo 2 prodotti: il DIACILGLICEROLO che rimane legato alla membrana e l’INOSITOLO TRIFOSFATO
(che attaccato alla membrana era fosfatidilinositolo 4-5 bifosfato; poi a questo si aggiunge un fosfato in posizione 1).
L’inositolo che viene liperato nel citoplasma è INOSITOLO 1,4,5 TRIFOSFATO (IP3). Il prodotto più importante è l’IP3 che si lega
su recettori, che sono canali ionici, sulla membrana delle vescicole sequestranti calcio del reticolo endoplasmatico e apre i
canali. I canali del calcio si aprono solo se l’IP3 ci si lega. Il calcio è molto più concentrato nelle vescicole sequestranti il calcio e
quando i canali si aprono esso passa dal reticolo endoplasmatico al citoplasma. Nel citoplasma il calcio si lega alla PROTEINA
CHINASI C (PKC): una chinasi secondo messaggero dipendente. La PKC è molto simile alla PKA (2 subunità regolatorie e 2
catalitiche). Quando il calcio viene liberato nel citoplasma, oltre ad attivare la PKC, può modificare la struttura di altre
proteine come la calmodulina. Anche molte proteasi sono dipendenti da calcio, come quelle che regolano l’apoptosi.

20
*i fosfatidilinositolo di membrana sono molto importanti: la loro componente glucidica può essere fosforilata. Le chinasi che
intervengono sono specifiche: la fosfatidilinositolo 4-chinasi ad esempio è in grado di fosforilare la componente dello zucchero
inositolo in posizione 4. La fosfatidilinositolo 5-chinasi fosforila lo zucchero inositolo in posizione 5. La fosfatidilinositolo 3-
chinasi può fosforilare in posizione 3 zuccheri già fosforilati in altre posizioni. Gli zuccheri modificati in posizioni diverse hanno
una capacità di venire riconosciuti in maniera selettiva (a seconda che ci sia un gruppo fosfato o meno) paragonabile a quella
delle proteine (esse vengono fosforilate, cambiano la loro struttura e possono venire riconosciute da qualcosa che ha un sito
di riconoscimento specifico per gli amminoacidi fosforilati). L’azione delle fosfatidilinositolo-chinasi rende la parte
citoplasmatica della membrana in grado di essere o meno riconosciuta da qualcosa dipendentemente dalla fosforilazione
dello zucchero.

Le risposte cellulari collegate ad un signaling endocellulare legato alla liberazione di calcio ad opera di recettori G protein
coupled legati a proteine Gq, ovvero all’enzima fosfolipasi C: secrezione di insulina, conversione del glicogeno in glucosio,
contrazione…
I ligandi che inducono la risposta sono l’acetilcolina (controbilancia l’adrenalina), la vasopressina, la trombina, i fattori di
crescita.
2+
LE VIE DEL AMP-CICLICO E DEL Ca SI REGOLANO A VICENDA
1. La fosforilasi chinasi è calcio-dipendente e AMP-ciclico dipendente: ha una subunità in cui c’è la calmodulina (vedi
struttura).
2. La calmodulina regola l’attività di adenilato-ciclasi oltre che legare il calcio
3. La PKA e PKC regolano canali e pompe per gli ioni
4. Le proteine PKC e PKC possono fosforilare le regioni carbossi-terminale dei recettori G-protein coupled innescando il
sistema di interruzione del segnale.
Molte delle azioni dei recettori G-protein coupled sono azioni metaboliche oppure azioni di liberazioni di neurotrasmettitori da
parte del sistema nervoso: non mirano nella maggior parte dei casi ad un cambio dell’espressione genica delle cellule. Può
succedere questo quando le chinasi secondo messaggero dipendenti (soprattutto la PKA) fosforilano dei fattori di trascrizione che
si spostano dal citoplasma al nucleo chiamati CREB.

SIGNALING DIRETTO AL NUCLEO LEGATO AD UN CAMBIO DELL’ESPRESSIONE GENICA E NON DIRETTO A REGOLAZIONI
CITOPLASMATICHE: RECETTORI CON ATTIVITÀ DI TIROSINA CHINASI (RTK)
I recettori con attività di tirosina-chinasi agiscono attraverso proteine G monomeriche. Le proteine G monomeriche sono proteine
switch e la loro funzione è legare il recettore al signaling endocellulare: lo fanno attraverso il passaggio da una proteina G
monomerica inattiva con il GDP legato ad una proteina G monomerica attiva con il GTP legato. RAS è la proteina G monomerica
più famosa: rispetto alla subunità alfa della proteina G trimerica è molto più breve in lunghezza, circa la metà (proteina RAS: 189
21
amminoacidi; proteina Gαi: 354 amminoacidi). Le proteine RAS possono essere viste come subunità α difettive e non hanno le
subunità β-γ; sono monomeriche.

1. ATTIVAZIONE DELLA PROTEINA G MONOMERICA: essa non è in immediato contatto con il recettore e non è il recettore in
grado di far fare alle G monomeriche lo scambio GDP-GTP. Esse hanno bisogno di una proteina intermedia che fa parte
della famiglia di proteine GEF (G-exchange factor): la GEF induce il cambio fra GDP e GTP e la G monomerica (come RAS)
si attiva con il GTP legato.
2. Alcune GTP-asi staccano per idrolisi un fosfato e la G monomerica torna a legare GDP. Anche le RAS sono GTP-asi ma da
sole hanno un’attività GTPasica bassissima. Per rigenerare la G monomerica con GDP intervengono proteine chiamate
GAP (GTP-ase activating-protein). In questo caso si parla di RAS-GAP.
In alcuni casi ci sono le proteine GDI (dissociation inibitor): prendono contatto con la proteina G monomerica RAS-like inattiva e la
stabilizzano nella forma attiva. Il GEF deve spostare il GDI.
Le G trimeriche presentano il GDI nella subunità β-γ: esse stabilizzano nella forma inattiva le G trimeriche.
CHI ATTIVA UNA G-MONOMERICA? COSA SUCCEDE QUANDO LA G MONOMERICA è ATTIVATA?
STRUTTURA GENERALE E ATTIVAZIONE DEL RECETTORE CON ATTIVITà DI TIROSINA-CHINASI
Il recettore più studiato e più famoso è il recettore dell’epidermal-growth-factor. Il recettore dell’epidermal-growth-factor è stato
il primo ad essere stato studiato perché le sue mutazioni si traducono in tumori: è uno dei marcatori più usati per il tumore al
seno. Ci sono vari recettori appartenenti alla famiglia dell’epidermal-growth factor. Tali recettori sono induttori di proliferazione
cellulare, ma devono essere controllati e non essere fuori controllo. Sono recettori totalmente diversi dai G-protein coupled.
I recettori con attività di tirosina chinasi sono monomeri, quindi proteine singole che attraversano la membrana una sola volta e
hanno una componente interna e una esterna: nella parte citoplasmatica hanno domini catalitici, quindi sono
contemporaneamente recettori ed enzimi, con attività di tirosina-chinasi. Possono quindi
fosforilare le tirosine.

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Quando arriva il ligando i recettori dimerizzano: due catene si avvicinano e formano un omodimero. Il legame del ligando e la
dimerizzazione causano la fosforilazione dei residui di tirosina sulle catene che hanno formato il dimero e attivano la porzione
enzimatica interna e si rende il dominio con attività di tirosina-chinasi interno capace di fosforilare il sito attivo della proteina
adiacente. In questo modo è possibile che una catena fosforili le tirosine dell’altra e viceversa. L’affinità enzimatica di questi
recettori si ha fosforilando la tirosina su una catena adiacente. Una catena fosforila l’altra. Il ligando modifica la conformazione
delle catene monomeriche, induce la dimerizzazione. La dimerizzazione fa si che si abbia la fosforilazione di tirosine nella porzione
citoplasmatica.
Una volta che il recettore è stato fosforilato (dal legame con il ligando e dalla dimerizzazione) c’è RAS-GDP (la proteina G
monomerica inattiva).
Ci sono 2 importanti siti di riconoscimento presenti in proteine adattatrici (non sono enzimi e hanno la funzione di collegare 2 parti
di signaling insieme attraverso siti di riconoscimento). La proteina adattatrice che interviene ha siti di riconoscimento chiamati
SH2: si trovano in molte proteine diverse che però hanno tutte la capacità di far riconoscere alla proteina adattatrice le tirosine
fosforilate del recettore (quindi la proteina riconosce il recettore solo se fosforilato). Nel caso del recettore epidermal-growth
factor la proteina adattatrice è chiamata GRB2 e riconosce dei siti fosforilati grazie ai siti di riconoscimento SH2.
La proteina adattatrice deve sia riconoscere il recettore fosforilato, quindi attivato, e poi deve con siti di riconoscimento diversi,
cioè gli SH3, riconoscere strutture che sono sequenze di POLIPROLINA che alcune proteine hanno. La prolina dato che ha una
catena laterale ciclica, nel momento in cui interagisce con altre catene laterali di altre proline, crea strutture rigide che può essere
riconosciuta come gangi.
La proteina adattatrice GRB2 da una parte si collega al recettore solo se è fosforilato perché riconosce le tirosine tramite SH2 e
dall’altra tramite SH3 riconosce sequenze di poliprolina della proteina SOS (proteina GEF). SOS (proteina GEF) induce lo scambio
GDP-GTP delle proteine G monomeriche. GEF permette a RAS-GDP (legato a GEP) di fare lo switch.
La proteina Ras ora è attiva, cosa cambia nella cellula? Ras attivata dà avvio ad un signaling chiamato signaling delle MAP chinasi,
la cascata delle MAP chinasi: si ha una cascata di chinasi dove il primo enzima che viene attivato è una chinasi, RAF. RAF viene
attivata da RAS e poi fosforila un’altra chinasi chiamata MEK la quale fosforila le MAP chinasi. La chinasi MEK fosforila
contemporaneamente due residui sul substrato MAP chinasi che sono la tirosina 185 e la treonina 183 (le macrochinasi). La
tirosina e la treonina quando sono fosforilate modificano la loro struttura e rendono le MAP chinasi in grado di dimerizzare. Le
MAP chinasi fosforilate sono fattori di trascrizione e non hanno il target enzimatico del citoplasma: sono in grado di entrare dentro
al nucleo. Il loro passaggio dal citoplasma al nucleo dipende dal fatto che sono fosforilate o meno. Le MAP chinasi fosforilano a
loro volta fattori di trascrizione nel nucleo, svolgono qui la loro funzione.

|In laboratorio è possibile controllare se un ligando ha indotto l’attivazione di un recettore con attività di tirosina chinasi: esistono
anticorpi specifici che riconoscono solo il recettore quando è fosforilato sui residui di tirosina. |
RECETTORE DELL’INSULINA (ECCEZIONE)
Osservando le strutture schematiche dei recettori con attività di tirosina chinasi a livello intracellulare si vede che tutti hanno
dominio catalitico; nella parte extracellulare i domini sono piuttosto diversi. Tutti i recettori sono in grado di dimerizzare.

Il recettore dell’insulina non viene indicato come un monomero che poi dimerizza: esso è formato da 4 catene (2 che attraversano
la membrana e che hanno un dominio catalitico interno con attività di tirosina-chinasi (come tutti) e poi ci sono 2 catene
esclusivamente extracellulari collegate fra loro e alle altre due transmembrana con dei legami covalenti che sono ponti disolfuro).
Il recettore dell’insulina non dimerizza ma funzionalmente nasce come se fosse un dimero: ha due domini catalitici vicini nella
parte extracellulare che sono dati dalle due catene transmembrana ancorate a due catene extracellulari (è un dimero strutturale).
La risposta all’insulina segue 2 signaling: un signaling RAS dipendente e un signaling RAS indipendente.
L’insulina nasce da un precursore che è un’unica catena polipeptidica, la PREPROINSULINA: da essa viene tagliato prima un peptide
di segnale e poi un clivage interno rimuove il peptide di connessione (porzione rosa); le due parti tagliate vengono legate da un
ponte disolfuro.

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SIGNALING RAS-INDIPENDENTE (recettore dell’insulina)
L’insulina lega il recettore che si attiva e cambia conformazione; ciò attiva i domini catalitici di tirosina chinasi interne e abbiamo la
transfosforilazione dei residui di tirosina. A questo punto l’IRS1 (insuline-receptor-substrate1), il primo substrato del recettore
dell’insulina, riconosce le tirosine fosforilate attraverso i siti di riconoscimento PTB e si ancora al recettore per l’insulina sulle
tirosine che devono essere fosforilate (altrimenti non c’è l’attacco). L’IRS1 viene a sua volta fosforilato su tirosina e diventa il primo
substrato del recettore. Le tirosine fosforilate dell’IRS1 vengono riconosciute dal sito di riconoscimento SH2 della fosfatidilinositolo
3 chiansi: questo serve a portare la fosfatidilinositolo 3 chinasi in prossimità della membrana dove può esplicare la sua funzione
cioè quella di fosforilare lo zucchero dei fosfatidilinositoli in posizione 3. La proteina chinasi PKB presenta dei siti di riconoscimento
chiamati PH che riconoscono la fosforilazione in posizione 3 dello zucchero del fosfatidilinositolo (riconoscono lo zucchero
fosforilato in posizione 3). La PKB è legata alla membrana con il fosfatidilinositolo e per diventare attiva deve essere a sua volta
fosforilata da chinasi ancorate alla membrana (PDK1 e PDK2). La PKB quando è stata fosforilata da chinasi di membrana diventa
completamente attiva e fosforila la GLICOGENOSINTETASI-CHINASI (GSK) rendendola inattiva. La glicogenosintetasi-chinasi è
inattiva quando è fosforilata ed è attiva quando non è fosforilata.

La GSK3 quando non è fosforilato è un enzima attivo e il suo ruolo è quello


di fosforilare la glicogeno-sintetasi. Il sistema di inibizione dell’enzima
avviene tramite la fosforilazione su una serina: essa quando è fosforilata
viene riconosciuta da un sito dello stesso enzima, in prossimità del sito
attivo. Ciò produce un’auto-inibizione e si chiude l’accesso al sito attivo.

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SIGNALING RAS-DIPENDENTE (recettore dell’ insulina)
L’IRS1 viene fosforilato su residui di tirosina. Le tirosine fosforilate vengono riconosciute da proteine adattatrici che portano poi a
SOS/RAS, poi a MEK e a MAP chinasi. (come i recettori con attività di tirosina chinasi). Dalla via RAS dipendente dell’insulina deriva
la regolazione della proliferazione cellulare, del differenziamento e della sopravvivenza: l’insulina in questo caso si comporta come
un fattore di crescita.

IDENTIFICAZIONE DI UN RECETTORE DI MEMBRANA TRAMITE RADIOATTIVITÀ


Le proteine radioattive venivano marcate con lo iodio 125 che si localizza sull’anello delle tirosine. Se si mette ad incubare cellule
con recettori per l’insulina e l’insulina radioattiva, poi si lava e conta l’insulina radioattiva rimasta sulla membrana perché legata al
recettore. Il tutto si centrifuga e si contano le cellule lavate considerando i folding al minuto che si possono tradurre con
concentrazione di insulina. Si può vedere nel grafico una percentuale di radioattività non specifica, non dovuta e un legame
specifico.

Una sospensione di cellule viene incubata per 1 ora a 4 ° C con l'aumentare concentrazioni di
insulina marcata con 125I; la bassa temperatura viene utilizzata per prevenire endocitosi dei
recettori della superficie cellulare. La curva di legame totale A rappresenta l'insulina
specificamente legato ai recettori ad alta affinità e all'insulina non legata in modo specifico bassa
affinità con altre molecole sulla superficie cellulare. Il contributo aspecifico il legame con il legame
totale viene determinato ripetendo il saggio di legame in presenza di un eccesso di 100 volte di
insulina senza etichetta, che satura tutti i siti specifici ad alta affinità. In questo caso, tutta
l'insulina marcata si lega a siti non specifici, producendo la curva C.

SINAPSI CHIMICHE
Si tratta del contatto tra un neurone presinaptico e un neurone postsinaptico in cui lo scambio del messaggio dipende dalla
liberazione di un neuromediatore (differenza con sinapsi elettriche). Il neuromediatore viene immagazzinato in vescicole dal
neurone presinaptico e poi nel momento in cui il segnale si propaga nel neurone presinaptico esso viene rilasciato nello spazio
intersinaptico. Avviene la fusione delle vescicole contenenti il neuromediatore con la membrana della cellula che lo libera. Dallo
spazio intersinaptico il neuromediatore si lega ai recettori presenti sulla membrana post-sinaptica.
SINAPSI NEUROMUSCOLARE
È quello che permette ad un neurone di comandare la contrazione muscolare del muscolo scheletrico. Un motoneurone prende
contatto con una fibra muscolare: c’è sempre un impulso che permette al neurone di fondere le proprie vescicole contenenti il
mediatore con la membrana, di liberare il neuromediatore che a questo punto verrà raccolto dai recettori della membrana della
fibra muscolare. L’esempio di un recettore presente nella membrana delle fibre muscolari è il recettore nicotinico dell’acetilcolina.
RECETTORE NICOTINICO DELL’ACETILCOLINA
Si tratta di un canale ionico che risponde alla liberazione del neurotrasmettitore acetilcolina da parte del neurone; si tratta di un
canale per il sodio (Na+) che provoca una depolarizzazione della membrana che a sua volta si propaga lungo le vescicole e quando
arriva alle strutture T si ha la liberazione del calcio. Il calcio è essenziale per la contrazione muscolare, ma il primo segnale di tale
signaling è l’apertura dei canali del sodio.
Struttura dei canali ionici ligand-gated: è una famiglia proteica e quindi da un punto di vista strutturale tali recettori si
assomigliano. Tali recettori hanno una struttura quaternaria: ci sono 4 subunità diverse. Nel caso del recettore nicotinico
dell’acetilcolina ci sono 5 subunità: 2 subunità α, 1β,1γ e 1δ; come tutti i recettori c’è un sito di legame per il ligando che fa
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cambiare la conformazione del recettore che in questo caso porta all’apertura del canale. Il neuromediatore acetilcolina nel caso
del recettore nicotinico nella fibra muscolare si lega in 2 siti presenti neli punti di contatto tra le subunità α-δ e le subunità α-γ.

La struttura del recettore circoscrive un canale con cariche negative: permette il passaggio del sodio con carica positiva. Ciascuna
subunità del recettore ha un ammino e un carbossi terminale entrambi extracellulari e poi è fatta da 4 eliche transmembrana
idrofobiche che attraversano il doppio strato fosfolipidico. Considerando le 4 eliche transmembrana (M1,M2,M3,M4) è possibile
vedere che la elica M2 è leggermente diversa in quanto è anfipatica: ha una faccia idrofobica e una faccia idrofilica; infatti l’interno
del canale è idrofilico e tutte le 5 subunità espongono al canale l’elica M2.
Il recettore nicotinico muscolare è stato il primo recettore (canale ionico) ligand-gated studiato. Ha un meccanismo di
funzionamento semplice, può essere chiuso o aperto dipendentemente dal legame con il ligando. Tale recettore lo troviamo nel
sistema nervoso e muscolare (sinapsi tra 2 neuroni o tra un neurone e una fibra muscolare). Il recettore nicotinico muscolare ha 2
caratteristiche:
 ha semplificato lo studio in laboratorio perché è un recettore molto conservato nell’evoluzione, dai pesci fino all’uomo. I
primi recettori che sono stati purificati e hanno posto le basi per il clonaggio dei recettori umani erano recettori degli
organi elettrici delle torpedini (simili alle razze): tali organi elettrici sono al di sotto delle ali delle torpedini e sono in
pratica pile che danno la scossa che serve per paralizzare le prede. La scossa viene data perché gli organi elettrici sono
pieni di recettori nicotinici dell’acetilcolina impilati l’uno sull’altro. Si crea così una corrente.
 Da un punto di vista clinico tale recettore determina l’inizio della contrazione muscolare ed è il bersaglio di autoanticorpi
in una malattia autoimmune, cioè la miastenia gravis. Le persone che hanno questa malattia producono anticorpi diretti
verso il recettore nicotinico-muscolare: questo porta un’incapacità di contrazione dei muscoli scheletrici che nei casi più
rari può portare alla perdita di controllo del diaframma e quindi all’impossibilità di respirare (è una malattia molto nota
che viene tenuta sotto controllo).
Ci sono recettori nicotinici regolati da acetilcolina che invece di trovarsi nelle fibre neuromuscolari si trovano nei neuroni post-
sinaptici. Ci sono sinapsi chimiche tra neuroni che usano l’acetilcolina come neuromediatore e il legame dell’acetilcolina sul
recettore del neurone porta all’ingresso di sodio da parte del canale ligand-gated. Si distinguono dai recettori nicotinici delle fibre
muscolari per il nome delle subunità e sono sempre formati da 5 subunità; sono molto diversi tra loro. La subunità α è quella che
lega il neuromediatore.
Un’eccezione sono dei recettori ligand-gated presenti in alcune zone del cervello chiamati α7: i recettori che contengono le
subunità α7 (α1 sono quelle dei recettori nicotinici muscolari) hanno le 5 subunità uguali, tutte α7; sono gli unici a essere canali
non per il sodio ma per il calcio.
I recettori nicotinici si chiamano così perché la nicotina è un’agonista: la nicotina del tabacco si lega a tali recettori nel sito
dell’acetilcolina. La nicotina che si lega ai recettori nicotinici nelle fibre muscolari causa crampi; la nicotina che si lega ai recettori
nicotinici nel sistema nervoso certrale provoca degli effetti sulla concentrazione.
COME VIENE SINTETIZZATA L’ACETILCOLINA?
Viene sintetizzata nel neurone presinaptico: viene sintetetizzata ad opera di un enzima chiamato COLINA-ACETILTRANSFERASI
partire dall’acetil-coenzima A e la colina. L’acetilcolina come tutti i neuromediatori viene immagazzinata all’interno di vescicole
grazie a trasportatori specifici; le vescicole poi si fondono con la membrana del neurone e liberano il contenuto all’esterno
(quando c’è un segnale nel neurone presinaptico che fa partire la liberazione delle vescicole nello spazio intersinaptico).
L’acetilcolina si libera nello spazio intersinaptico e si lega ai recettori nicotinici nella cellula post-sinaptica aprendo i canali.
COME INTERROMPERE IL SEGNALE?
L’acetilcolina è l’unico dei neuromediatori che viene degradato nello spazio intersinaptico: fuori dalla cellula ci sono enzimi
chiamati ACETILCOLINESTERASI che rompono l’acetilcolina e il risultato è colina+acetato. La colina viene recuperata attraverso
trasportatori nel neurone presinaptico. Gli altri neurotrasmettitori vengono recuperati dal neurone presinaptico e degradati
interamente dentro esso. Tutti gli altri neurotrasmettitori hanno un sistema di RE-UPTAKE: il neurone presinaptico ha un sistema
di retrotrasporto che gli consente di riprendere il neuromediatore.
Gli enzimi come l’acetilcolinesterasi sono farmacologicamente molto importati perché una delle terapie specifiche per la
miastenia gravis è l’uso di farmaci inibitori per l’acetilcolinesterasi: nelle persone che hanno tale malattia gli anticorpi si legano al
recettore nicotinico e induce il sistema clatrina-dipendente che porta all’internalizzazione del recettore-anticorpo e la sua
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degradazione; diminuisce quindi il numero di recettori per l’acetilcolina. Il vantaggio di dare farmaci che inibiscono
l’acetilcolinesterasi porta a stimolare per un tempo più lungo i recettori che ci sono (che sono pochi).
BUNGARUS MULTICINTUS: è un serpente molto velenoso che vive in Thailandia e hanno in comune con i cobra che il loro veleno è
dovuto alla presenza di tossine che sono piccole proteine estremamente stabili e ricche di ponti-disolfuro che sono ligandi specifici
per i recettori nicotinici muscolari: basta poche molecole di tale tossina per paralizzare la preda. Tale tossina ha una enorme
affinità per i recettori nicotinici muscolari e porta a paralizzare la preda istantanemente. Le tossine potevano essere usate per la
purificazione dei recettori nicotinici in laboratorio. È stato fatto un peptide che legava le tossine di serpente e neutralizzava
completamente il legame delle tossine sui recettori.
POTENZIALE DI MEMBRANA
È dato dalla distribuzione diversa della concentrazione di anioni e cationi. In particolare il potassio è maggiormente concentrato
dentro il citoplasma, quindi quando si apre il canale per il K+ esso esce dalla cellula. Il sodio è più concetrato all’esterno della
cellula, quindi quando i canali per il Na+ si aprono entra dentro la cellula. A livello dei neuroni in particolare gli ioni più importanti
per mantenere il potenziale di membrana sono il potassio e il cloro: il cloro è più concentrato all’esterno rispetto all’interno, quindi
quando si aprono i canali per il Cl- esso entra nella cellula. La cellula allon stato di riposo presenta più cariche negative all’interno:
quando il sodio entra causa depolarizzazione ed è il cloro che, appena si aprono i suoi canali, iperpolarizza la membrana
ristabilizzando cariche – (si allontana dalla soglia di stimolazione). Anche l’uscita di potassio porta ad una iperpolarizzazione,
cariche + vanno dall’interno all’esterno e quindi diminuisce la differenza tra negativo e positivo.
RECETTORI LIGAND-GATED canali ionici DEL GABA (ACIDO GAMMA-AMMINOBUTIRRICO)
Il GABA ha recettori che sono G-protein coupled e recettori che sono canali ionici regolati da ligando. Tali canali sono presenti nel
sistema nervoso centrale. Il canale ionico che lega il GABA è un canale per il cloro: quando il GABA si lega ai recettori ligand-gated,
apre il canale e permette l’ingresso del cloro che ha come risultato l’iperpolarizzazione della membrana. Da un punto di vista
farmacologico sono importantissimi: nella maggioranza dei casi i farmaci che agiscono su tali recettori sono agonisti, quindi
aumentano l’azione e l’apertura di questi canali. Tra i farmaci agonisti che agiscono su tali recettori ci sono le BENZODIAZEPINE
(tavor, xanax,valium): sono generalmente definiti farmaci sedativi/depressivi. Altri farmaci agonisti che si legano ai recettori per il
GABA in maniera diversa sono i BARBITURICI, ansiolitici, anticonvulsivi, sedativi. Sia il benzodiazepine che i barbiturici vanno ad
incrementare l’ingresso di cloro con effetto iperpolarizzante; allontanano la soglia di stimolazione. Altri agonisti di questi recettori
sono gli ANESTETICI. Anche l’etanolo ha un effetto agonista su tali recettori.

L’acetilcolina e molti altri neuromediatori (come il GABA) non hanno solo recettori che sono canali inonici regolati da ligando ma
anche recettori legati a G protein coupled. I recettori definiti IONOTROPICI sono i canali ionici relogati da ligando; i recettori
METABOTROPICI sono quelli legati a proteine G. Molti neuromediatori hanno sia i recettori ionotropici sia i recettori
metabotropici.
L’acetilcolina produce come effetti la contrazione del muscolo scheletrico (con recettori nicotinici, ionotropici); i recettori per
l’acetilcolina G-protein coupled, metabotropici, sono presenti nel muscolo cardiaco e sono recettori muscarinici.
MAGGIORI CLASSI DI SOSTANZE CHE DANNO ASSUEFAZIONE
- Nicotina: agonista dei recettori nicotinici
- Oppiacei: la morfina agisce sui recettori degli oppiacei (recettori G protein coupled)
- Cocaina: agisce sui trasportatori di membrana, sul sistema di re-uptake delle catecolamine
- Cannabinoidi: derivati della cannabis
- Etanolo: agonista dei recettori con attività di canali ionici del GABA e della glicina
- Gli allucinogeni (LSD): si lega ad alcuni recettori della serotonina come agonista e fa perdere completamente il
controllo delle immagini e della realtà.
RECETTORE MUSCARINICO: RECETTORE G-PROTEIN COUPLED
I recettori muscarinici hanno la struttura dei recettori G protein coupled: hanno gli ammino-terminali esterni e i carbossi-terminali
interni, 7 eliche transmembrana e un’unica catena polipeptidica. I recettori muscarinici non sono tutti uguali:
 i recettori muscarinici di tipo M2 e M4 sono legati a proteine G di tipo Gi: agiscono sull’adenilato ciclasi inibendo la sua
attività. Tali recettori si trovano nelle cellule muscolari cardiache dove ci sono i recettori β-adrenergici e hanno un effetto
opposto: la stimolazione con l’acetilcolina e con l’adrenalina producono un effetto opposto sulla concentrazione di AMP

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ciclico (aumenta con gli adrenergici, aumentano il battito cardiaco, e diminuisce con i muscarinici). I recettori M2 e M4
hanno un collegamento con la regolazione dei canali del potassio: l’acetilcolina attraverso i recettori M2 e M4 inibisce
l’adenilato ciclasi, diminuisce la concentrazione endocellulare di AMP-ciclico e determina l’apertura dei canali del
potassio (esce dalla cellula).
 I recettori muscarinici di tipo M1, M3 e M5 sono legati alla fosfolipasi C: determinano quindi un aumento della
concentrazione intracellulare di calcio.
GLUTAMMATO
È un importante neurotrasmettitore che ha differenti tipi di recettori: alcuni ionotropici (recettori ligand-gated ion channels) e altri
metabotropici (recettori G protein coupled).
 Tra i recettori ionotropici del glutammato ci sono recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) e recettori AMPA e KAINATE che
insieme vengono indicati come non-NMDA.
Regolazione NMDA e non-NMDA: quando un recettore presinaptico produce il glutammato fa una sinapsi con un neurone post-
sinaptico. Il glutammato viene rilasciato nello spazio intersinaptico e nel neurone post sinaptico si legherà ai recettori ionotropici
NMDA e NON-NMDA. I non-NMDA sono canali per il sodio, gli NMDA sono canali per il calcio. Il glutammato si lega ai recettori
non-NMDA e questi fanno passare il sodio (come il recettore nicotinico): essi però alla prima stimolazione non rispondono,
rispondono solo in seconda battuta perché sono bloccati dalla presenza dello ione magnesio. Lo ione magnesio determina una
stabilizzazione del canale non-NMDA nella sua struttura chiusa, quindi finchè c’è il magnesio i canali non-NMDA non si aprono
anche se si lega il glutammato. Per sbloccare i canali non-NMDA occorre una depolarizzazione: l’aumento della concentrazione
degli ioni sodio provoca un cambio di conformazione dei recettori non-NMDA che determina il distacco dello ione magnesio. Il
canale non-NMDA a questo punto può rispondere al legame del glutammato solo quando la stessa sinapsi è stata stimolata e c’è
stata una depolarizzazione della membrana. Il legame del glutammato con il NMDA determina l’apertura del canale e l’ingreso del
calcio.

 Tra i recettori metabotropici del glutammato ci sono quelli di gruppo 1 e di gruppo 2. Uno dei due gruppi è legato all’adenilato
ciclasi inibitoria Gi e l’altro alla fosfolipasi C.
Il sistema nervoso è molto complesso: se ho un neurone presinaptico che libera un neuromediatore, un glutammato ad esempio, il
signaling che ha indotto la liberazione del neuromediatore nello spazio intersinaptico potrebbe essere un signaling che viene fatto
da un altro neurone che fa una sinapsi con lo stesso neurone ma con un neuromediatore diverso. Ad esempio, se ho un neurone
che produce serotonina dà un segnale al secondo neurone che a sua volta produce glutammato. Il glutammato viene raccolto dal
motoneurone e il segnale del glutammato sul motonerurone fa produrre acetilcolina: alla fine guardo l’effetto dell’acetilcolina ma
a monte ho una fila di possibili signaling.
I recettori tirosina-chinasi non sono coinvolti nel sistema nervoso centrale.
RECETTORE DELLA SEROTONINA
Ci sono molti recettori per la serotonina ad esempio il 5-HT3 è un recettore ligand-gated cation channel. Ci sono i recettori G-
protein coupled con diversi meccanismi:
- Recettori G-coupled protein che inibiscono l’adenilato ciclasi (ragione per cui sono recettori G protein-coupled legati
a proteine Gi);
- Recettori G-coupled protein che stimolano la fosfolipasi C (recettori G protein coupled legati a proteine Gq);
- Recettori G-coupled protein che stimola l’adenilato ciclasi (recettori G protein coupled legati a proteine Gs)
RE-UPTAKE
A differenza dell’acetilcolina tutti i neurotrasmettitori hanno sistemi specifici di re-uptake: la serotonina, noradrenalima,
adrenalina e dopamina hanno lo stesso meccanismo di reuptake. In corrispondenza dello spazio intersinaptico ci sono

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retrotrasportatori che recuperano il neurotrasmettitore riportandolo nel neurone presinaptico. Gli stessi neurotrasmettitori,
dentro il neurone presinaptico, hanno altri trasportatori che permettono il rinserimento dei neurotrasmettitori all’interno delle
vescicole. Ci sono 2 trasportatori, quelli transmembrana che prendono il neuromediatore dallo spazio intermembrana e lo
riportano nel neurone presinaptico e quelli che inseriscono il neurotrasmettitore riciclato nelle vescicole del neurone presinaptico.
I retrotrasportatori che consentono il meccanismo del reuptake appartengono ad una famiglia di proteine di membrana con molte
eliche. Le anfetamine competono con le catecolamine e con la serotonina per il retrotrasporto sui trasportatori di membrana e sui
trasportatori delle vescicole; in questo modo la serotonina rimane nello spazio intersinaptico per un tempo più lungo. La cocaina
inibisce il retrotrasporto della serotonina e della dopamina in particolare.

Nel sistema nervoso centrale l’effetto prodotto da un neurotrasmettitore che si lega ad un determinato recettore piuttosto che ad
un altro si può derivare dall’effetto che si produce con i farmaci agonisti-antagonisti di quel recettore oppure con gli inibitori del
retrotrasporto. Il risultato di agire sui recettori della serotonina è un effetto sulla psicosi; molti recettori diventano target per
farmaci antipsicotici. I farmaci che agiscono sui recettori ligand-gated della serotonina sono potenti antinausea. Il prozac è un
farmaco che funziona come inibitore del trasportatore della serotonina.

SIGNALING MORFOGENICO
Il signaling morfogenico è quel signaling endocellulare controllato da molecole segnale particolari che ha una grossa rilevanza per
tutto il processo di differenziamento cellulare che c’è durante la morfogenesi, lo sviluppo embrionale. Una delle situazioni in cui il
signaling morfogenico è presente anche negli individui adulti è in ogni condizione in cui avviene un processo di rigenerazione dei
tessuti: ciò può avvenire in condizioni fisiologiche ma anche in situazioni patologiche (in particolari nei diversi stadi della
trasformazione neoplastica). Il signaling morfogenico quindi è anche un target farmacologico per tentare di risolvere alcuni
fenomeni della proliferazione e del differenziamento cellulare fuori controllo.
EPITELIAL MESENCHIMAL TRANSITION
Un fenomeno presente sia in condizioni fisiologiche sia in condizioni patologiche è L’EPITELIAL-MESENCHIMAL-TRANSITION: è un
fenomeno che permette a cellule epiteliali di cambiare il loro fenotipo in maniera radicale e diventare cellule con caratteristiche
mesenchimali. Le cellule che compongono gli epiteli sono cellule che hanno contatti netti tra loro, sono cellule polarizzate (a livello
baso-laterale e apicale) e utilizzano tutti i meccanismi di adesione cellula-cellula (desmosomi, giunzioni di vario tipo): di
conseguenza le cellule epiteliali non si muovono e non hanno nessuna capacità di migrazione. Le cellule mesenchimali sono cellule
che si muovono e hanno molte meno adesioni cellula-cellula. L’epitelial-mesenchimal-transition si basa sul cambiamento di cellule
che da epiteliali diventano mesenchimali. Ciò succede quando ci facciamo una ferita sull’epitelio: alcune cellule da un fenotipo
epiteliale passano ad un fenotipo mesenchimale perché occorre ricostruire il pezzo che manca; le cellule acquisiscono una capacità
di migrazione, si spostano e ridifferenziano in epitelio. Quindi il fenomeno dell’epitelial-mesenchimal transition è bidirezionale in
condizioni fisiologiche.
Se abbiamo cellule in coltura che si dividono è molto importante capire se queste cellule hanno un fenotipo più epiteliale o più
mesenchimale: ci sono degli indicatori più o meno precisi di un fenotipo piuttosto cehe un altro. Le caderine E che contribuiscono
all’adesione cellula-cellula sono presenti su cellule che hanno un fenotipo più simile alle cellule epiteliali. Poi ci sono altri indicatori
che hanno sempre a che vedere con le giunzioni delle cellule epiteliali. Gli indicatori di fenotipi più simili alle cellule mesenchimali
sono le caderine N. Anche il citoscheletro è diverso tra una cellula con fenotipo mesenchimale (migrano) e cellula con fenotipo
epiteliale (sono fisse). La capacità di cellule di acquisire la capacità di muoversi è uno dei principali step che porta alla formazione
di metastasi; nei tumori solidi le cellule somigliano alle cellule epiteliali, sono fisse e connesse tra loro (senza un’organizzazione
precisa) ma nel momento in cui acquisiscono la capacità di migrazione possono spostarsi dal loro sito primario possono formare
metastasi.
Le cellule staminali servono per rigenerare i tessuti, sono in grado di rigenerare loro stesse per poi differenziarsi in cellule
dell’epitelio in questione. Nei tumori ci sono popolazioni cellulari che somigliano per certi aspetti alle cellule staminali, le CANCER
STEM CELLS: si dividono meno perché hanno la capacità di autorigenerazione e sono capaci di differenziarsi in cellule della massa
tumorale che si dividono più velocemente. Le cancer stem cells sono più simili al fenotipo delle cellule mesenchimali e sembra che
abbiano un collegamento con le cellule staminali dei tessuti normali: si è pensato che fossero le cellule staminali a trasformarsi in
cancer stem cells; quindi poi la cellula staminale nel momento in cui differenzia differenzia o in una cellula normale o in
un’adenocarcinoma. Queste sono tutte supposizioni.
I signaling morfogenici sono coinvolti nell’epitelil mesenchimal transition, quindi nella capacità di rigenerare tessuti in condizioni
normali o di proliferare in tumori in condizioni patologiche. I signaling hanno 2 proprietà:
- Sono induttori dell’epitelial-mesenchimal-transition
- Regolano lo stato di mantenimento del tipo di cellula staminale in molti tipi cellulari
Questi signaling agiscono sull’espressione genica.
Nella grandissima maggioranza dei casi la mortalità da tumori dipende dalla capacità delle cellule tumorali nei tumori solidi di
spostarsi e di dare origine ad altri tumori; se non avessero questa capacità tutti i tumori potrebbero essere eliminati con un
intervento chirurgico. Le cellule tumorali si staccano (singolarmente o in gruppo) dalla massa tumorale solida verso l’ambiente
peritumorale, nell’ambiente extracellulare; se il processo di metastatizzazione va avanti c’è il processo chiamato INTRAVASATION:
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la cellula si sposta dall’ambiente pericellulare e poi entrano nel circolo sanguigno. Quando escono dal vaso sanguigno
(EXTRAVASATION) possono ridifferenziarsi in cellule simili a quelle epiteliali, formare un’altra massa tumorale solida che è una
metastasi. Le cellule dell’ambiente intorno al tumore, peritumorali, giocano un ruolo a favore delle metastasi. I vasi sanguigni che
si trovano nella massa tumorale sono nuovi, il tumore ha bisogno di organizzare una rete di vasi che permettono la crescita della
massa tumorale: l’epitelio dei capillari della massa tumorale non è perfettamente formato quindi le cellule endoteliali non
aderiscono bene l’una all’altra; sono più permeabili quindi l’intravasation è facilitata. L’extravasation è un meccanismo più
complesso, ma le cellule che hanno caratteristiche mesenchimale riescono a muoversi e possono cambiare forma passando anche
in luoghi stretti nei vasi. È fondamentale avere nuove tecnologie per trovare cellule tumorali circolanti prima che si formi la
metastasi.
I singnaling morfogenici in condizioni fisiologiche hanno come obiettivo principale la rigenerazione dei tessuti danneggiati.
Affinchè le cellule acquisiscano la capacità di rigenerare il tessuto danneggiato, la ferita stessa provoca una serie di stimolazioni e
di segnali. Ciò va di pari passo con i fenomeni della coagulazione e della fibrinolisi (generalmente quando un tessuto si danneggia
sono coinvolti i vasi). L’epitelial-mesenchimal-transition è un processo graduale: ci sono cellule mesenchimali come macrofagi,
fibroblasti… che producono segnali che fanno partire il sistema di rigenerazione dei tessuti; il primo segnale prodotto è il TGF-β
insieme ad altri singaling morfogenici. Nella rigenerazione di tessuti, in particolare delle ossa, interviene un signaling morfogenico
chiamato WNT (wint).
WNT
È un signaling morfogenico. I recettori che entrano in gioco sono sempre più di 1 e a volte molto diversi. Il nome WNT deriva dal
fatto che i primi ligandi furono trovati nella drosophila(wg) e nel topo (int-1). WNT sono ligandi, proteine WNT, sono diverse ma
agiscono in maniera simile: gli effetti sono diversi tessuti.
I recettori di membrana per WNT sono 2: la prima famiglia di recettori si chiama FRIZZLED: struttura simile ai recettori G-protein
coupled con funzione diversa. I recettori frizzled lavorano insieme ai recettori LRP (low density lipoprotein releitet protein), che
sono recettori per le LDL. I recettori LRP hanno un’unica catena polipeptidica che attraversa 1 volta la membrana. I recettori che
legano WNT sono LRP5/6.
1) WNT si lega al recettore FRIZZLED e al recettore LRP. WNT funziona su WNT-β-CATENIN in quanto il trasduttore finale del
segnale di WNT è la β-catenina. La β-catenina è una proteina strutturale che collega il citoscheletro con le giunzioni
aderenti; essa può avere altre funzioni. Quando WNT non c’è la β catenina solubile nel citoplasma viene degradata e le
cellule di tipo epiteliale prima dell’epitelial-mesenchimal-transition hanno la catenina solo con funzione strutturale.
2) La cellula impiega un sistema sofisticato per degradare la β catenina: si tratta di un complesso di proteine che fosforila la
β catenina e la β catenina fosforilata viene ubiquitinata e di conseguenza degradata dal proteasoma. Il complesso di
proteine (come ACP e AXIN) che permettono alla β catenina di essere nella giusta posizione per poter essere fosforilata al
posto giusto da parte delle chinasi come la GLICOGENO-SINTETASI CHINASI 3.
3) Quando arriva WNT si lega a FRIZZLED e a LRP determinando una disaggregazione del complesso proteico coinvolto nella
fosforilazione della β catenina così che la β catenina non viene degradata e si accumula in forma solubile nel citoplasma.
La β catenina dal citoplasma passa nel nucleo ed entra in complessi di trascrizione fondamentali. Uno dei blocchi di geni
sotto il controllo di WNT sono i TCF.
Il signaling di WNT fa in modo che la cellula non degradi più la β catenina in forma solubile nel citoplasma, che può passare nel
nucleo e attivare complessi di trascrizione: se venisse degradata prima i geni che dovrebbero essere attraverso la β catenina non
vengono attivati.

Le cellule di un tessuto epiteliale sono legate dalle giunzioni aderenti formate da alcune caderine (caderine E); quando WNT non
c’è la β catenina ha una funzione strutturale e sta insieme all’α catenina e servono per collegare il citoscheletro alle giunzioni. La β
catenina solubile nel citoplasma, senza WNT, viene fosforilata e poi degradata. In presenza di WNT il complesso proteico formato
da AXIN e APC si disassembla: AXIN si lega alla membrana e la β catenina passa nel nucleo.
Complesso di fosforilazione della β-catenina: APC, AXIN consentono alla β-catenina di essere fosforilata da parte di GLICOGENO-
SINTASI 3 e CASEINA CHINASI per poi viene ubiquitinata e degradata nel proteasoma.
Quando WNT si lega a FRIZZLED e a LRP, il complesso di fosforilazione della β-catenina si sposta vicino ai recettori e l’LRP viene
fosforilato.
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WNT COME VIENE PRODOTTO?
La reglazione del signaling non dipende solo da quanto WNT viene prodotto, ma dipende da una quanti inibitori di WNT ci sono. Ci
sono diverse famiglie di inibitori di WNT: ad esempio la famiglia SFRP (inibitori che somigliano al pezzo di recettore frizzled a cui
WNT si lega; competono con il recettore per il legame di WNT). Le SFRP inibiscono il legame di WNT con frizzled perché funzionano
riproducendo il sito di legame di frizzled legata da WNT. L’altra famiglia inibitore dfi WNT è WIF, impediscono il legame di WNT con
LRP e frizzled. Ci sono poi anche inibitori che invece di legarsi a WNT si legano ai recettori e impediscono il legame di WNT. Altri
inibitori di WNT che si legano a LRP sono DKK e SOST.

WNT come tutti i ligandi che hanno a che vedere con l’epitelial-mesenchimal-transition e con tutti gli eventi fisiologici e patologici
legati, hanno la capacità di legarsi ad altri recettori di membrana: quella dei PROTEOGLICANI-EPARAN SOLFATO (proteine con
catene di glicosamminoglicani solforati).
β-CATENINA
È interamente all-α: la sua struttura è stata chiamata ARMADILLO-REPEATS. Nella β-catenina è possibile individuare zone che
sono importanti per il signaling di WNT e zone che hanno a che vedere con la funzione strutturale della proteina. Ci sono dei siti
che legano l’AXIN e l’APC e altri che legano le E caderine e l’α-catenina.
ESPERIMENTO
In alcuni topi sono stati silenziati alcuni geni per diverse proteine G: questo serve per vedere cosa succede nello sviluppo
embrionale, e quindi qual è il ruolo di WNT. Alcuni topi non nascono e altri invece nascono con un difetto genetico. Il deficit di
WNT1 determina la mancanza delle creste neurali; la mancanza di WNT3 non determina la differenza dei 3 foglietti embrionali
primitivi (i topi non nascono se manca).
Nell’uomo, la mancanza della proteina WNT3 per causa genetica determinano tetramelia (mancanza di sviluppo di braccia e
gambe); Il deficit di LRP5 porta a difetti nello sviluppo dell’osso e problemi di vascolarizzazione dell’occhio. Difetti di AXIN e APC
sono stati trovati nella predisposizione per il cancro al colon.
WNT interviene normalmente nella normale morfologia del colon. La morfologia del colon presenta un epitelio e alternati
nell’epitelio ci sono cripte, formazioni in cui alla base ci sono cellule staminali: sono queste che poi gradualmente si differenziano
in cellule epiteliali, migrano, e ricompongono l’epitelio.

Per evidenziare signaling di WNT devo cercare le β catenine libere nel citoplasma della cellula: ci sono anticorpi anti- β catenine
che si legano alle β catenine e si colorano. La β-catenina colorata con un anticorpo in un tessuto normale si trova nel citoplasma e
le cellule che compongono il tessuto gradualmente la perdono (sono differenziate). In alcuni tumori del colon la β-catenina
ricopre tutto l’epitelio: WNT è attivo e si produce molta β-catenina, disregulation di WNT (vedi immagine sopra).
WNT NELL’OSSO
Le mutazioni di WNT nell’uomo e nel topo portano a difetti molto gravi nello sviluppo dell’osso. WNT serve per controllare la
rigenerazione dell’osso. Quando c’è troppo WNT c’è un’eccessiva formazione dell’osso e quando WNT è al di sotto del valore
normale è legata all’osteoporosi.
SOST è prodotta da cellule che sono gli osteociti (differenzazione degli osteoblasti, deputati insieme agli osteoclasti a mantenere il
turn-overe della rigenerazione dell’osso): gli osteociti hanno una struttura ramificata e hanno la capacità di percepire la tensione
(la slerostin(SOST) ha un’importante funzione nel mantenimento della rigenerazione dell’osso del dente: quando c’è sclerostin il
sistema di WNT viene inibito. Quando c’è una tensione particolare percepita dagli osteociti, c’è una diminuzione di scerostin e
diminuendo si attiva WNT e si inizia la rigenerazione dell’osso).
Un anticorpo monoclonale che viene utilizzato in clinica e che riconosce SOST e inibisce il legame di SCLEROSTING (SOST) su LRP:
questo permette di attivare WNT, toglie l’inibizione di SOST. Tale anticorpo viene studiato per cercare di trovare una cura per
l’osteoporosi.

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SKLEROSTING: lega i recettori LRP impedendo il legame di WNT. Ha la caratteristica di avere numerosi ponti disolfuro e presenta
alcuni amminoacidi con carica + (lisina, arginina) che nella struttura tridimensionale formano nelle proteina degli spot. Tale
distribuzione di cariche positive sono presenti nelle proteine eparin bainding protein, proteine che legano i proteoglicani e gli
eparan solfati. L’eparina è una catena di glicosamminoglicano solforato che viene legata da queste proteine tra cui SCLEROSTING.

SIGNALING DI NOTCH
La pecularità di NOTCH è quella di avere sia il recettore che il ligando come proteine di membrana. Si tratta di un signaling che per
partire ha bisogno di un contatto cellula-cellula: la cellula che ha sulla membrana il ligando e la cellula che ha sulla membrana il
recettore. I Notch receptor sono proteine di membrana che vengono sintetizzate dalle cellule e in particolare tramite le vescicole
del reticolo endoplasmico arrivano nel Golgi, lo attraversano e raggiungono la membrana. Il recettore Notch ha un primo attacco
proteolitico dentro la cellula, è endocellulare: il recettore nasce da un precursore che viene tagliato dentro la cellula, in particolare
quando è racchiuso in vescicole nel Golgi. Sono le FURINE che tagliano la catena che sta migrando verso la membrana.
Successivamente anche se viene operato un taglio e ci sono 2 catene, esse non si staccano e il viaggio del Notch receptor continua
verso la membrana come un eterodimero. Tale recettore rimane nella membrana fino a quando non c’è una cellula che esprime
un Notch ligand.
Quando il Notch ligand lega il Notch receptor si ha un cambio di conformazione del recettore che rende disponibile un ulteriore
sito di taglio che è mascherato fino a che non c’è il legame con Notch ligand (sito di taglio numero 2): si tratta di un sito di taglio di
una delle due catene del Notch receptor sul lato extracellulare della membrana; il taglio viene fatto dalla famiglia di proteasi
ADAM. Poi la parte che non rimane dentro la membrana si allontana (rimanendo legata al Notch ligand viene internalizzato e
degradato dalla cellula che portava il Notch ligand*) e questo determina l’esposizione del taglio numero 3: viene fatto ad opera di
proteasi intrinseche ( γ-SECRETASI) nella membrana e sul lato interno della membrana plasmatica.

L’ultimo taglio avviene nel lato citoplasmatico e taglia tutta la componente citoplasmatica del notch receptor chiamata NOTCH
INTRACELLULAR FRAGMENT: esso quando viene liberato entra nel nucleo ed è essenziale per la formazione di complessi di
trascrizione di geni sotto il controllo di notch.
Il recettore di Notch viene proteolizzato, quindi non c’è possibilità di riutilizzarlo: la cellula deve quindi risintetizzarlo insieme al
Notch ligand. Né il recettore né il ligando sono riutilizzabili.
*l’internalizzazione del Notch ligand con una parte di recettore fa parte del signaling: c’è una forza meccanica determinata dal
fatto che il notch ligand è ancora legato al notch receptor; è la forza meccanica che contribuisce al cambio conformazionale che
porta alla formazione del sito di taglio per le ADAM proteasi.

HEDGEHOG SINGALING (hedgehog= riccio)


I nomi dei ligand di HEDGEHOG sono:

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 SONIC
 DESERT
 INDIAN HEDGEHOG
I ligandi dei recettori hedgehog sono lipoproteine solubili: vengono prodotte a partire da un precursore che viene tagliato per un
auto-clivage che permette di formare 2 frammenti che rimangono legati con un legame covalente; poi il ligand viene modificato
con l’aggiunta di una catena alifatica e di colesterolo. Per questo signaling (come anch per notch e WNT) sono stati fatti studi sulla
drosophila.
Si tratta di un meccanismo di signaling molto conservato, l’unica differenza tra gli insetti e i mammiferi è nella disposizione delle
molecole.
Le proteine di membrana (non proprio recettori) che intervengono nel signaling sono 2: SMO, che è una proteina con struttura da
G protein –coupled e il RECETTORE PATCHED, che ha molte eliche transmembrana ma che non fa parte della famiglia delle G-
protein coupled.
Quando entrambe le proteine (SMO e PATCHED) sono sulla membrana, PATCHED opera un’inibizione sulla proteina SMO. In
assenza di ligand ci sono chinasi in un complesso che comprende anche proteine strutturali che fosforilano CI (Glee nei
mammiferi): essi non vengono completamente degradati, producono alcuni frammenti che vanno nel nucleo che non solo
impediscono la trascrizione dei geni, ma funzionano da repressori.
Quando c’è HEDGEHOG esso si lega a PATCHED e perde la capacità di inibizione du SMO.

La mutazione di proteine come HEDGEHOG causa sconvolgimenti durante lo sviluppo embrionale. Grazie ad alcuni esperimenti
siamo riusciti a capire il ruolo di HEDGEHON durante lo sviluppo embrionale e anche a trovare un inibitore potentissimo per il
signaling di HEDGEHOG che è ancora studiato perché una molecola scaffold (impalcatura) per potenziali molecole antitumorali:
tale inibitore prende il nome di CICLOPAMINA. Il nome di tale molecola è legata al fatto che nella metà del 1900 in una regione
americana, dove c’erano molti animali al pascolo, iniziarono a nascere molti animali malformati (ad esempio presentavano la
ciclopia): questo inizialmente era considerato un mistero. Gli studiosi poi capirono che ciò era causato da un fiorellino tra le piante
che tali animali brucavano che produceva una sostanza velenosissima per gli animali in gravidanza: non era tossica per gli adulti
ma era tossica per gli animali che erano in sviluppo. La sostanza tossica era la cicopamina. La ciclopamina era un fortissimo
inibitore di HEDGEHOG: inibire il singnaling di HEDGEHOG in gravidanza significava non portare a termine lo sviluppo di tessuti e
organi al posto giusto.
Il signaling di HEDGEHOG è strettamente legato ai microtubuli ma negli organismi superiori le cellule hanno una struttura dei
microtubuli chiamata CIGLIO PRIMARIO: qui avviene gran parte del signaling di HEDGEHOG. Il ciglio primario presenta una
struttura con un assonema modificato che non hanno le cellule di drosophila.
Le proteine SMO e PATCHED sono localizzate sulla membrana e in assenza del ligando HEDGEHOG sulla cellula e soprattutto sul
ciglio primario c’è solo la presenza di PATCHED e non di SMO. SMO se non c’è HEDGEHOG viene velocemente internalizzato e
degradato.
In condizioni in cui il signaling non è attivo le chinasi fosforilano le proteine GLI che vengono parzialmente degradate e il loro
frammento che funziona come repressore entra nel nucleo.
Quando c’è il segnale di HEDGEHOG si trova SMO sul ciglio primario e PATCHED lega HEDGEHOG e viene internalizzato. SMO migra
sul ciglio primario: questo coincide con il disassemblaggio del complesso di fosforilazione di GLI che non vengono degradate e i
loro frammenti non reprimono la trascrizione.
Il ruolo del ligando in questo caso è quello di togliere di mezzo una proteina di membrana che ha un ruolo inibitore sull’altra:
HEDGEHOG lega PATCHED e il complesso PATCHED viene internalizzato e degradato; non c’è più l’inibizione di SMO e il GLI non
viene tagliato.

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Una proteina importante per formare il complesso strutturale è la proteina SUFU. Le proteine associate ai microtubuli, la dineina e
la chinesina, intervengono per permettere ad altre proteine di spostarsi lungo i microtubuli: in questo caso permettono alle
proteine del complesso di fosforilazione di spostarsi lungo il ciglio primario. SMO si porta dietro le chinasi, le β arrestine
prendendo contatto sulle chinesine.

Nell’epitelial growh factor, in condizioni fisiologiche in cui c’è una ferita nell’epitelio, le cellule epiteliali diventano gradualmente
cellule mesenchimali. Le cellule mesenchimali circostanti producono segnali per permettere tale cambiamento: i segnali sono WNT
e TGF-β.
SIGNALING DI TGF-β
È un signaling importante sia nella rigenerazione di tessuti, sia nel processo di inizio di metastasi (dal tumore solido si staccano
cellule che acquisiscono capacità di movimento). Il TGFβ viene prodotto nella cellula come precursore che dentro la cellula poi
formano un dimero, un omodimero in cui le due catene di precursore sono legate da un ponte disolfuro. Ci sono sequenze
amminoacidiche (R-G-D: arginina, glicina e aspartico) RGD a livello del TGFβ: tale sequenza è importante perché permette di
legare le INTEGRINE sulla membrana delle cellule. Le integrine sono importanti proteine di membrana che prendono parte al
processo di adesione della cellula alla matrice extracellulare; inoltre le integrine trasmettono anche un signaling endocellulare che
permette alle cellule di muoversi. Il dimero che è stabilizzato da ponti disolfuro viene tagliato dentro la cellula da proteasi che
rompono il precursore. I frammenti che compongono il TGFβ non vengono liberati ma rimangono complessati, con l’altro
precursore iniziale, cioè le due catene che contengono la sequenza RGD (quelle colorate in grigio), in una struttura chiamata
LATENCY COMPLEX. Il latency complex è formato da TGFβ tagliato e da altre proteine della LAP (latency associated protein): è una
struttura formata da 4 catene (2 catene di LAP e due derivanti dal precursore di TGFβ). La proteina quaternaria che si forma può
uscire dalla cellula come SMALL LATENCY COMPLEX, oppure spesso, oltre alle proteine che derivano dal precursore iniziale, si
associa al complesso una proteina chiamata LTBP che si lega con ponti disolfuro allo SMALL LATENCY COMPLEX e forma un
complesso chiamato LARGE LATENCY COMPLEX (small latency complex+ LTBP). Il LARGE LATENCY COMPLEX ha la capacità di
legarsi a ECM (cioè a proteine della matrice extracellulare).

Sia che venga prodotto come small latency complex o come large latency complex, il TGFβ non è attivo e lo diventerà solo quando
si staccherè dal complesso latency (latente): grazie alle proteine della LTBP rimane ancorato alle proteine della matrice
extracellulare in forma inattiva.
QUANDO E COME IL TGFβ ATTIVO VIENE LIBERATO DAL LATENCY COMPLEX
Ci sono diversi meccanismi che consentono l’attivazione di TGFβ:
1. Il TGFβ viene liberato attraverso il legame competitivo con la TROMBOSPONDINA, una proteina che si sostituisce alle
catene del TGFβ legandosi alle proteine LAP; sposta il TGFβ in quanto si lega con maggiore affinità alla proteina LAP. Lo
spostamento del TGFβ è attivo quando c’è un danno al tessuto che deve essere rigenerato. La trombospondina è
prodotta dalle piastrine attivate: le piastrine vengono attivate quando si rompono i vasi e sono in grado di liberare molte
sostanze che contribuiscono al sistema di riparo e di coagulazione.
2. Il TGFβ è molto coinvolto anche nell’epitelial mesenchimal transition che avviene quando le cellule tumorali si staccano
dalla massa tumorale iniziale e acquisiscono un fenotipo mesenchimale. Ci sono altri sistemi per staccare il TGFβ dalla
proteina LAP:
 Un abbassamento di pH facilila il distacco di TGFβ. L’abbassamento del pH è la caratteristica di quasi tutti i tumori
solidi (presentano un ambiente con un pH più basso) che sono in una situazione di ipossia e di stress metabolico.
Il basso pH contribuisce all’avvio della metastasi, induce molte cellule tumorali a staccarsi. La crescita eccessiva
dei tumori porta ad abbassamento del pH che consente la liberazione del TGFβ attivo. Il TGFβ attivo dà il segnale
alle cellule per cominciare a diventare mesenchimali e quindi a migrare.
 Nella liberazione del TGFβ influisce anche la capacità di LAP di legare le integrine: il legame della proteina LAP
sulle integrine presenti su cellule tumorali e su altre cellule come i macrofagi o fibroblasti presenti nell’ambiente

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tumorale, un’ipotesi può essere che, dato che i macrofagi e i fibroblasti dell’ambiente tumorale sono in grado di
muoversi, si crei una specie di forza meccanica che porta al cambio di conformazione e alla liberazione del TGFβ.
Quando il TGFβ si libera e si attiva agisce secondo un sistema paracrino nel recettore delle cellule o secondo un sistema autocrino
e se si lega a cellule di un tumore solido può indurre all’epitelial mesenchimal transition.
I recettori principali per l’attivazione del signaling endocellulare del TGFβ sono i recettori di tipo R1 e recettori di tipo R2.
Quando il TGFβ si lega a R2 si forma un complesso fra i recettori R1 e i recettori R2; sia l’R1 che l’R2 sono delle serina-treonina
chinasi. La formazione di questo complesso porta all’attivazione dell’attività chinasica e alla fosforilazione di serine e di treonine
nella parte endocellulare degli R1 e R1. I recettori R1 e R2 hanno poi la capacità di fosforilare le proteine SMAD. Le SMAD
fosforilate entrano nel nucleo ed entrano nella regolazione di complessi trascrizionali.

TGFβ sta per TRASFORMING-GROWH-FACTOR: è un fattore trasformante


che permette la proliferazione e la trasformazione di cellule che cambiano
fenotipo, da un tipo epiteliale ad un tipo mesenchimale. È un bersaglio
per molti farmaci che devono inibire tumori… come intervenire?

 Si può bloccare la traduzione del TGFβ facendo un polinucleotide


antisenso, tramite una terapia genica. SI blocca la sua sintesi. Da un
punto di vista tecnologico è piuttosto complesso.
 Si cerca di neutralizzare il TGFβ con anticorpi monoclonali che si
legano ad esso e impediscono il suo legame con i recettori
 Costruendo pezzi di proteine ricombinanti che riproducono i recettori
a cui il TGFβ si lega (come una specie di trappola)
 Si trova un farmaco che inibisce l’attività di serina-tirosina chinasi
bloccando la trasmissione del segnale endocellulare. Tale farmaco che
inibisce deve però essere selettivo per le cellule tumorali.

PROTEOGLICANI EPARAN SOLFATI


I proteoglicani hanno una componente proteica e una parte formata da lunghe catene di glicosamminoglicani non ramificate. I
glicosamminoglicani sono catene di zuccheri molto lunghe e la parte proteica è inferiore rispetto a quella glucidica (al contrario
delle glicoproteine). Le catene di zuccheri sono modificabili di conseguenza i proteoglicani sono molto variabili. I proteoglicani
eparan solfati sono legati alla membrana e nella matrice extracellulare sono presenti anche non ancorati alla membrana.
I preoglicani eparan solfati che sono attaccati alle membrane cellulari appartengono a 2 gruppi:
 SINDECANI
 GLIPICANI
Nella matrice extracelulare troviamo i PERLECANI.
La differenza tra sindecani e glipicani, oltre ad alcune differenze sulla composizione delle catene, è che la parte proteica dei
sindecani attraversa la membrana e ha una parte citoplasmatica; i glipicani invece hanno una catena polipeptidica che però è
ancorata ai lipidi di membrana con un legame glicosil-fosfatidilinositolo (che è un tipo di legame che viene rotto dalla FOSFOLIPASI
C) e non hanno una componente citoplasmatica. È difficile pensare che i glipicani possano trasmettere un signaling
transmembrana non presentando una componente citoplasmatica, intramembrana; i sindecani invece hanno una componente
endocellulare.

Tutti i ligandi che legano i sindecani legano anche i glipicani perché essi non si legano alla parte proteica ma alle catene di
glicosamminoglicani che sono molto simili, se non identiche. I ligandi che si legano ai proteoglicani eparan solforati sono: WNT,
TGFβ, HEDGEHOG, NOTCH, FGF.
I proteoglicani solforari possono quindi avere la funzione di CORECETTORI. Inoltre i SINDECANI ma non i glipicani possono indurre
direttamente un signaling intracellulare.

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Una caratteristica che ha complicato lo studio dei proteoglicani eparan solfati è che vengono staccati dalla cellula facilmente:
possono essere staccati e liberati nella matrice extraccellulare attraverso proteasi che tagliano la parte proteica e fanno un
processo di taglio e di liberazione della proteina con le catene legate. Ci sono anche enzimi che tagliano gli zuccheri e in questo
caso parliamo di ENDOGLICOSIDASI.
FUNZIONI PROTEOGLICANI EPARAN SOLFATI
Quindi la loro funzione di recettori di membrana è problematica: dipende dalle condizioni generali in cui possono essere più
attaccati alla membrana o più in soluzione. I proteoglicani eparan solforati interagiscono con la matrice extracellulare perché ci
sono siti su molte proteine della matrice extracellulare che li riconoscono così come riconoscono l’eparina ( ci sono dei siti
dell’eparan solfato che legano le proteine della matrice).
 Uno dei primi ruoli che è stato assegnato ai proteoglicani eparan solfato è quello di facilitare l’adesione delle cellule e il loro
movimento contribuendo all’adesione delle cellule alla matrice extracellulare.
 Inoltre sembra che i proteoglicani interagiscano con le integrine, ma non è per niente sicuro
 Contribuiscono come corecettori all’attivazione di recettori con attività di tirosina-chinasi: i growh factor hanno la capacità di
legare i proteoglicani eparan solfati; così possono legarsi ai recettori con attività di tirosina-chinasi con maggiore efficienza. I
proteoglicani facilitano il legame del growh factor sul recettore.
 I proteoglicani eparan solfati hanno capacità di internalizzazione delle particelle, incluse le LDL: somigliano agli LRP e molti
legandi di LRP legano sia LRP sia i proteoglicani eparansolfati.
STRUTTURA
I glicosamminoglicani sono catene lineari di disaccaridi. Quelli più diffusi nella formazione dei proteoglicani sono il condroidin
solfato e l’eparan solfato: la struttura di essi dipende dai disaccaridi che li formano. I glicosamminoglicani sono attaccati alla
catena proteica in corrispondenza di un OH di una serina. I primi 4 zuccheri della catena di zuccheri sono sempre gli stessi
indipendentemente dal tipo di glicosamminoglicano e sono: XILOSO-GALATTOSIO-GALATTOSIO-ACIDO IADURONICO (e
galattosammina nell’eparan solfato e nel condroitin solfato). Questa ripetizione comporta che l’enzima che attacca le catene alla
proteina è lo stesso.
Gli enzimi che possono modificare gli zuccheri sono gli enzimi che sono capaci di aggiungere e di togliere gruppi solfato. I
glicosamminoglicani sono diversi l’uno dall’altro non solo per i disaccaridi, ma anche per quanto vengono modificati; ci sono varie
posizioni che possono essere solforate e non è detto che tali zone siano solforate perché devono esserci enzimi specifici.
I proteoglicani eparan solfati delle cellule tumorali sono solforati almeno 10 volte tanto: hanno le stesse catene di disaccaridi
(eparan solfato e condroitin solfato) però hanno più solfati rispetto ai proteoglicani delle cellule normali.
L’eparina è solforata in maniera omogenea mentre le catene dell’eparan solfato dei proteoglicani eparan solfati sono solforati in
punti più variabili. Quando un proteoglicano eparan solfato è molto solforato legherà in maniera diversa rispetto a quando non è
solforato: ci sono alcuni ligandi che riconoscono il proteoglicano quando è solforato e quando non è solforato non lo legano. I
ligandi delle cellule tumorali sono diversi e la capacità di legare ligandi è diversa proprio per la maggiore concentrazione di gruppi
solfato.
Gli zuccheri sono carichi - anche quando non ci sono gruppi solfato (perche hanno COO-); quando si aggiungono gruppi solfato la
loro carica diventa ancora più negativa. La disposizione di cariche negative presente nei gruppi carbossilici delle proteine viene
riprodotta dalle cariche – presenti sugli zuccheri: nella struttura dello zucchero la disposizione delle cariche negative è piuttosto
precisa e rigida. Per questo è possibile uno scambio di ligandi tra zuccheri e proteine, in particolare le proteine che legano le
glicosamminoglicani baingind protein: WNT e SCLEROSTING si legano sia a LRP sia ai proteoglicani eparan solfati.
Anche il SARS-COV-2 e l’HIV hanno la capacità di legarsi ai proteoglicani eparan solforati.
Una piccola proteina che funziona da growh factor per le cellule tumorali è la MIDKINA: presenta cariche positive che permettono
il legame con LRP oltre che con i proteoglicani eparan solfati.

SIGNALING DI FGF
I recettori dell’FGF interagiscono con FGF (fibroblast growh factor), ma quando questo interagisce con gli zuccheri presenti sui
proteoglicani eparan solfati, la concentrazione di FGF che serve per avere l’attivazione del recettore diminuisce fortemente. In
questo caso affinchè l’FGF si leghi agli zuccheri del proteoglicano devono essere solforati in una particolare posizione. È stato visto
ciò facendo il complesso tra FGF e un frammento di proteoglicano eparan solforato o di eparina: sono stati identificati i residui con
carica + (lisina, asparagina, arginina) e le loro interazioni con i gruppi solfato presenti nell’eparina (senza i gruppi solfato l’FGF non
si lega al proteoglicano).
Dato che i recettori del grow factor dimerizzino per attivare la loro funzione ha portato a pensare che la presenza di growh factors
sugli zuccheri faciliti la dimerizzazione: con una concentrazione più bassa di ligando si riesce ad avere la dimerizzazione perché i
ligandi sono tutti vicini grazie alla presenza di zuccheri. I proteoglicani eparan solfati aumentano la CONCENTRAZIONE LOCALE di
grow factor che induce il segnale.
Il problema è dato dal fatto che i proteoglicani si possono staccare: o staccano solo la catena proteica oppure sia la catena proteica
sia la parte glucidica. I proteoglicani che si liberano nella matrice extracellulare con la parte glucidica continuano a legare i ligandi
che però si allontanano dal recettore. Sulle catene di proteoglicani nella matrice extracellulare può intervenire una GLICOSIDASI
che stacca la catena con il growh factor attaccato che può tornare in contatto con il recettore e facilitare l’attivazione del ligando.
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Altri enzimi, SOLFATASI, possono staccare i gruppi solfato e questo impedisce il legame con il ligando da parte dei proteoglicani.Le
SOLFATASI se staccano il solfato dal proteoglicano vicino al recettore provocano una diminuzione della sua attività (non ci sono
più ligandi che si legano al proteoglicano e poi al recettore); se però le solfatasi agiscono sulla matrice extracellulare libera
nuovamente il growh factor che può raggiungere il recettore e attivarlo. Nel caso dei GLIPICANI c’è una particolare solfatasi
NOTUM che rompe GPI: i proteoglicani si staccano dalla membrana per la rottura di GPI che li ancora alla membrana.

Dato che gli LRP e i proteoglicani eparan solfati legano gli stessi ligandi come WNT, addirittura i proteoglicani eparan solfato
possono sostituire LRP: possono quindi fare il complesso WNT-FRIZZLED-PROTEOGLICANI EPARAN SOLFATI (al posto di LRP) e
attivare il signaling di WNT.
Nelle cellule tumorali in cui aumentano i proteoglicani eparan solforati legati alla membrana che attivano i signaling, aumentano la
capacità della cellula tumorale di rispondere ai segnali attivati.
Il glipicano 3 è un marcatore usato in clinica perché è molto presente nel tumore al fegato.
C’è un peptide studiato dalla prof che lega molto di più i tessuti tumorali da quelli sani: in particolare lega maggiormente il colon, il
pancreas e la vescica quando ci sono tumori e non quando sono sani. Dato che non basta il confronto visivo sono stati fatti degli
studi che consentissero di trasformare la differenza visiva in differenza numerica da un punto di vista cellulare. Tale peptide legava
soprattutto gli zuccheri solforati in posizione 6; esso è un indicatore dell’aumento del numero di proteoglicani eparan solfati nei
tumori.

BASI MOLECOLARI DEL SIGNALING NEL SISTEMA IMMUNITARIO


L’origine delle cellule del sistema immunitario sono cellule pluripotenti che si sviluppano nel midollo osseo e da cui hanno poi
origine le varie differenti popolazioni cellulari, come la popolazione linfocitaria: hanno un linfoid-progenitor che darà origine alla
suffivisione dei linfociti in linfociti B e linfociti T. Entrambi sono deputati in maniera diversa a riconoscere l’antigene. In base al
riconoscimento dell’antigene passano da uno stato maturo ma naive (un linfocita che non ha mai visto l’antigene) al loro stato di
cellule effettrici. I linfociti B quando diventano cellule effettrici assumono la forma di plasmacellula che produce immunoglobuline,
anticorpi in forma solubile. Il linfocita T diventa activated-T cell e si differenzia in linfociti T-helper e linfociti citotossici. Oltre ai
linfociti ci sono cellule che derivano dai monociti: macrofagi e cellule dentritiche. Poi ci sono gli eritrociti e le piastrine.
Gli organi linfoidi primari sono il TIMO e il MIDOLLO OSSEO e poi ci sono organi linfoidi secondari o periferici che comprendono i
LINFONODI.
Dal midollo osseo e dal timo (dove le cellule sviluppano la tolleranza) le cellule del sistema immunitario migrano negli organi
linfoidi secondari.
Quando i linfociti T e B, quando diventano cellule effettrici da cellule naive cambiano la loro morfologia. Le cellule naive non hanno
un reticolo endoplasmico molto evidente e un grande nucleo; la plasmacellula invece presenta un reticolo endoplasmico molto
sviluppato ed è più grande rispetto al linfocita B naive. Le plasmacellule devono produrre molti anticorpi e molte proteine. Il
linfocita T invece, non cambia molto la sua conformazione.
Noi ci occupiamo di vedere come si passa da linfociti B a plasmacellule e da LINFOCITI T a effettori.
ANTICORPI E RISPOSTA IMMUNITARIA
Per vedere se c’è stata una risposta immunitaria la prima cosa da vedere è la presenza di anticorpi.
La misurazione degli anticorpi è importante per capire se una persona che ha preso il virus o ha fatto il vaccino per il Covid ad
esempio. Nel caso del Covid gli anticorpi si eliminano subito: la poca presenza di anticorpi però non indica che l’organismo non è in
grado di rispondere al virus, soprattutto quando si parla di infezione virale.
Attraverso un test per gli anticorpi:
 Se c’è stata una prima iniezione dell’antigene A (vaccino) si misura la quantità di anticorpi verso l’antigene A: gli anticorpi,
dopo alcuni giorni, si producono e poi gli anticorpi scendono di numero; si produce prevalentemente IgM. (RISPOSTA
PRIMARIA)
 Con una seconda iniezione di vaccino, che viene fatta dopo che gli anticorpi sono in fase di discesa, il numero di anticorpi
aumenta velocemente e si ottengono molti anticorpi. Si produce prevalentemente IgG. (RISPOSTA SECONDARIA)

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 Se dopo 40 giorni (tempo tra la prima e la seconda dose) faccio la seconda dose con un antigene diverso da A, riparto con
una risposta che è la prima che avevo ottenuto. La risposta del sistema immunitario dipende dall’antigene.

Perché la risposta secondaria è più efficiente rispetto alla prima?


I due livelli di risposta sono determinati dal fatto che sia nel caso dei linfociti B, sia nel caso dei linfociti T, ci sono cellule naive che
ancora devono riconoscere l’antigene. Quando arriva l’antigene che le cellule naive sono in grado di riconoscere, con una serie di
meccanismi particolari, queste cellule naive vengono stimolati in modo dipendente dall’antigene. Le cellule effettrici che noi
abbiamo in circolazione sono cellule sempre utili. Se abbiamo cellule in circolazione che diventano cellule effettrici senza aver
avuto la stimolazione da parte dell’antigene è un evento tumorale. Quando la cellula viene stimolata diventa plasmacellula o
cellula T effettrice: però ci sono alcune cellule che producono sia cellule effettrici sia cellule che rimangono CELLULE DELLA
MEMORIA (alcune cellule che non arrivano a completare la loro specializzazione rimangono come cellule della memoria). Le cellule
della memoria non sono più uguali alle cellule naive, sono più simili alle cellule effettrici: questo significa che quando le espongo
una seconda volta all’antigene le cellule della memoria vengono stimolate più velocemente e diventano cellule effettrici. Il sistema
immunitario ha sia cellule della memoria di tipo B e di tipo T che poi possono essere stimolate e produrre cellule effettrici più
velocemente.
RECETTORI DEL SIGNALING DEL SISTEMA IMMUNITARIO
Il signaling presuppone recettori di membrana: il sistema di recettori del sistema immunitario è molto più complesso.
COMPLESSI RECETTORIALI DELLE CELLULE B E DELLE CELLULE T
Hanno entrambe sia una porzione deputata al riconoscimento dell’antigene ( per le cellule B: classica struttura dell’anticorpo,
immunoglobulina che legata alla membrana funziona da recettore) che è estremamente variabile perché i segnali sono molti, e
una parte di proteine trasmembrana responsabili del trasferimento del segnale all’interno della cellula. La grande variabilità di una
parte del recettore permette al nostro sistema immunitario di legare tutto ciò che risulta estraneo.
- Il B cell receptor ha 2 catene α e β con struttura Ig-fold che sono deputati al riconoscimento dell’antigene ; e altre
catene del complesso CD3 (indicate con epsilon, gamma e delta) e del complesso CDz nella parte citoplasmatica
deputate al signaling.
La parte deputata al riconoscimento dell’antigene, (quindi le immunoglobuline di membrana) BCR e il TCR vengono resi variabili
grazie ad un processo che è diverso da tutti gli altri processi che portano alla formazione di proteine per i diversi signaling.

STRUTTURA IMMUNOGLOBULINE
Il B cell receptor presenta la porzione variabile che è un’immunoglobulina. Le immunoglobuline sono formate da una struttura
base: due catene pesanti e due catene leggere identiche tra loro legate da ponti di solfuro che tengono insieme le catene pesanti
tra di loro e una catena pesante con quella leggera. I siti di legame per l’antigene sono 2 e identici e si trovano nella porzione
ammino terminale sia per quanto riguarda la catena pesante sia per quanto riguarda la catena leggera.
Ogni catena è suddivisa in un certo numero di domini che hanno la stessa struttura: Ig fold. Le proteine transmembrana deputate
al signaling endocellulare sono le Igα e le Igβ.
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BCR, un’immunoglobulina di membrana, è sulla membrana delle cellule B vergini (che non hanno mai incontrato l’antigene).
Quando una cellula B vergine ha un B cell receptor sulla membrana che permette di riconoscere un determinato antigene che si
lega a sua volta sull’immunoglobulina di membrana, si arriva al primo step che poi indurrà la proliferazione e la maturazione del
linfocita B in plasmacellula: alla fine si ottengono gli anticorpi gli anticorpi in forma solubile (la pasmacellula smette diprodurre
immunoglobuline di membrana e produce anticorpi solubili).
Le immunoglobuline nel sangue sono state sempre prodotte perché c’è stato un antigene che loro sono in grado di riconoscere: le
immunoglobuline solubili indicano che le immunoglobuline di membrana specifiche per quell’antigene di un linfocita B sono state
stimolate dall’antigene stesso e hanno portato alla plasmacellula.
NEL DETTAGLIO… IMMUNOGLOBULINE
Le immunoglobuline hanno un certo numero di domini e si possono distinguere domini variabili e domini costanti. Il sito di legame
per l’antigene è formato da 2 domini variabili: uno che è all’ammino terminale della catena pesante e l’altro che è all’ammino
terminale della catena leggera. I domini costanti sono invece 1 nelle catene leggere e almeno 3 nelle catene pesanti. Ogni dominio
ha un nome: i domini variabili sono indicati con V (variable) e se sono sulla catena leggera vengono chiamati VL mentre se sono
sulla catena pesante VH. (ogni catena leggera ha 1 dominio VL; ogni catena pesante ha un dominio VH). I siti di legame per
l’antigene sono VL-VH e VL-VH. Il dominio CL è quello costante della catena leggera e i domini costanti della catena pesante sono
CH1,CH2 e CH3.
I domini delle immunoglobuline sono caratterizzate dall’essere all-β, troviamo solo strutture β.

In entrambi i domini ci sono 2 foglietti β (giallo-verde) (blu-rosso) antiparalleli: ci sono anse (turn). Tutti i domini hanno la stessa
struttura: entrambi hanno 2 foglietti β legati ad un ponte disolfuro.
DOMINI VARIABILI VL E VH
Ci sono 2 domini VL-VH e VH-VL: sono molto simili in struttura e in lunghezza; sono fatti da 2 foglietti β legati da un ponte
disolfuro.Tutti i domini delle immunoglobuline variabili e costanti hanno una lunghezza di 110-120 amminoacidi.
La variabilità dei domini variabili è responsabile del riconoscimento dell’antigene, di conseguenza ogni anticorpo ha un sito di
riconoscimento per un antigene specifico. La variabilità non è distribuita nello stesso modo su tuta la lunghezza dei domini
variabili: è concentrata nelle regioni che sono più variabili chiamate IPER-VARIABILY. Ci sono 3 regioni ipervariabili nel VH e nel VL
e intervallate a tali regioni (iper-variabily 1, iper-variabily 2 e iper-variabily 3) ci sono residui che cambiano meno chiamati
FRAMEWORK. Le regioni iper-variabily sono localizzate su loop che connettono 2 strutture β antiparallele (1 loop per ogni regione
variabile). Le regioni variabili vengono chiamate CDR1, CDR2 e CDR3 (CDR= complementarity determining regions) e sono le
regioni che direttamente permettono il legame con l’antigene.
Nell’immunoglobulina si distinguono dei siti che si chiamano SITI FRAGMENT ANTIGEN BINDING detti FAB: quando si tagliava nel
versante ammino-terminale del ponte disolfuro che tiene insieme le due catene pesanti si ottenevano 2 FAB. Ogni segmento FAB
contiene una porzione di catena pesante e tutta la catena leggera, quindi 4 domini VL-CL e VH e CH1
Il frammento FC invece perde i domini variabili e comprende l’immunoglobulina con funzione effettrice (che ha capacità di essere
riconosciuta da recettori specifici su macrofagi e ha la capacità di legare il complemento). Ad esempio, se un batterio induce una
risposta immune, alla fine si producono anticorpi contro quel batterio; gli anticorpi ricoprono il batterio e grazie alle funzioni
effettrici delle immuonglobuline, le porzioni Fc possono essere riconosciute da macrofagi che attivano la fagocitosi.
Un frammento anticorpale che si può ottenere per via ricombinante è FAB 2: si taglia a valle i ponti disolfuro che legano le catene
pesanti e si ottengono quindi i due frammenti FAB che rimangono legati per la presenza di un ponte disolfuro.
DOMINI COSTANTI
Le catene leggere possono avere 2 tipi di dominio costante: di tipo κ (kappa)o di tipo λ (lamda).
La catena pesante è formata da 1 dominio variabile e da 3 domini costanti: le catene pesanti delle immunoglobuline non sono
tutte uguali. Ogni classe di immunoglobuline ha un tipo diverso di catena pesante: le catene pesanti sono indicate con la lettera
che corrisponde alla lettera della classe delle immunoglobuline
- le Ig A hanno una catena pesante di tipo α,
- le igD di tipo delta,
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- le IgE di tipo epsilon,
- le igG di tipo gamma
- le igM di tipo Mi
IgM

Sono proteine complesse formate da 5 strutture che corrispondono alle ImG (immunoglobuline classiche); ogni subunità è identica
alle altre. Le IgM hanno un tipo solo di catena pesante e un tipo solo di catena leggera: la struttura di base prevede due catene
pesanti e due catene leggere ripetute per 5 volte e stabilizzate da ponti disolfuro e da una catena J. L’IgM presenta 10 siti di
legame per l’antigene. Si tratta delle immunoglobuline che vengono prodotte per prime, vengono prodotte nella risposta primaria
(le IgG vengono prodotte nella risposta secondaria). Le IgM hanno un numero di siti di legame per l’antigene molto più alto (IgG
hanno 2 siti di legame per l’antigene). Le IgM sono anticorpi che hanno un’affinità più bassa per l’antigene, una complementarietà
mediamente più bassa rispetto a quella che hanno le IgG. La presenza di più siti permette alle igM di compensare la più bassa
affinità per l’antigene di ogni singolo sito secondo un legame MULTIMERICO.
Ogni anticorpo non riconosce una proteina intera, ma una porzione della proteina chiamata EPITOPO: generalmente in una
proteina c’è un sito di riconoscimento che viene riconosciuto da un anticorpo; tutti i patogeni hanno però proteine di superficie
che sono molto ripetute, di conseguenza essendo anche molto grandi possono legarsi a 2 siti di legame delle IgG o perché
riconosce 2 epitopi identici della stessa proteina o perché riconosce 2 epitopi su due proteine vicine della superficie del batterio.
Le IgM hanno la stessa capacità di creare legami multimerici moltiplicata per 5: di conseguenza anche se un patogeno si stacca da
un sito, può legarsi in quello vicino e finchè un sito dell’igM lega il patogeno, l’anticorpo lega il patogeno. Rispetto alle IgG
aumenta la probabilità di legare l’antigene anche se le IgG hanno un’affinità maggiore per l’antigene sui 2 siti.
Il legame multimerico consente agli anticorpi di legare i patogeni nonostante i singoli siti abbiano un’affinità più bassa.
Le IgM hanno una minore affinità per l’antigene perché le cellule B mentre proliferano aumentano l’affinità degli anticorpi: si
accumulano (via via che le celluleB si dividono) delle mutazioni nelle regioni VDJ (ipermutazione somatica). L’accumulo di
mutazioni può portare ad un aumento di affinità per l’anticorpo o diminuirla oppure mantenerla uguale.
IgA

Le IgA si possono trovare come monomeri o come dimeri. Le Ig A si trovano generalmente sulla superficie delle mucose (gola),
punti di attacco iniziali per gli antigeni. Le IgA vengono composte in forma dimerica con una COMPONENTE SECRETORIA. Le IgA
con la loro componente secretoria vengono liberati nelle mucose per TRANSCITOSI. Le plasmacellule producono IgA in forma
dimerica che poi vengono riconosciute da recettori che si trovano sulla membrana delle cellule epiteliali che ricoprono la mucosa: i
recettori permettono il trasporto attraverso le cellule dell’epitelio delle IgA in modo che vengano eliminate nel lume della mucosa.
La componente secretoria è la porzione del recettore che ha legato le IgA e ne ha permesso la transcitosi.
IgE

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Le IgE hanno la struttura classica delle IgG, quindi monomerica con 2 catene pesanti e 2 catene leggere. Le IgE hanno dei recettori
specifici sulla superficie delle MAST cellule (mastociti), cellule che producono istamina. Le IGE sono responsabili delle risposte
allergiche. Se una persona entra in contatto con il veleno di una vespa sviluppa IgE: la prima volta che ci entra in contatto la
risposta è relativamente bassa e ci sono cellule della memoria di IgE circolanti che sono state prodotte contro il veleno della vespa.
Le IgE quando vengono prodotte rimangono attaccate alla membrana delle MAST-cell perché vengono riconosciute dai loro
frammenti Fc; le mast cellule presenteranno quindi sulla superficie le IgE del veleno della vespa. Se si entra nuovamente in
contatto con il veleno della vespa, esso si lega sulle IgE pronte sulla membrana delle MAST-cellule e attraverso un signaling induce
una risposta che è la liberazione di istamina dai mastociti.
Le IgD
Non esistono come immunoglobuline solubili ma insieme alle IgM sono le immunoglobuline di membrana che costituiscono il B-
cell-receptor.

Le IgG sono più presenti nel sangue e


attraversano la placenta; la capacità di
legare macrofagi e neutrofili è prevalente
nelle IgG e la capacità di legare MAST-cell e
basofili è propria delle IgE. Le IgM attivano
il complemento facilmente.

COME AVVIENE IL LEGAME TRA ANTIGENE E ANTICORPO?


Le CDR (COMPLEMENTARY determining regions) sono principalmente responsabili del legame con l’antigene.
L’antigene viene riconosciuto tramite un riconoscimento strutturale. Un frammento FAB (con 4 domini: 2 variabili uno dalla catena
pesante e uno dalla catena leggera e 2 costanti) presente nei dui domini variabili (giallo e blu nella figura) il sito di riconoscimento
per l’antigene: le catene laterali che entrano in contatto per la formazione del complesso antigene-anticorpo sono stati
sequenziati sia sull’antigene sia sull’anticorpo. L’epitopo non è qualcosa di intrinseco alla proteina ma una proteina ha tanti epitopi
a seconda di quanti sono gli anticorpi con i quali la studiamo.
VARIABILITÀ DELLE IMMUNOGLOBULINE
Prima che ci fosse la definizione del genoma umano e quindi prima che si sapesse con una certa precisione quanti sono i geni e
quanti di essi sono tradotti in proteine, un paradosso fu subito evidente: le proteine sono prodotte sulla base di geni, ma se tutte
le immunoglobuline che noi facciamo avessero seguito questa regola (quindi ogni immunoglobuoina un gene, ogni
immonoglobulina un messaggero tradotto) il numero di geni che dovevano essere contenuti nel genoma umano sarebbe stato
enorme.
Il meccanismo non è questo perché la generazione della variabilità delle immunoglobuline è propria delle immunoglobuline e del
TCR (altra parte di recettore che deve riconoscere l’antigene sui linfociti T). La variabilità delle immunoglobuline è costruita
attraverso il riassortimento di un pannello di geni presenti nei locus dedicati sul cromosoma. Ci sono molti frammenti genici che
codificano per dei pezzi delle regioni variabili delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. La variabilità dei domini
variabili avviene grazie al riassortimento di frammenti V, frammenti D e frammenti J nella catena pesante e frammenti V e
frammenti J nella catena leggera. Alla fine la parte variabile è generato dall’associazione di un frammento V associato ad un
frammento D e ad un frammento J pescandoli dai pannelli di possibili frammenti che sono sul cromosoma. La catena costante può
essere di tipo kappa o lamda nelle catene leggere e di vario tipo nelle catene pesanti. Ciò prende il nome di RIARRANGIAMENTO
GENICO E PROCEDE PER STEP:
prima c’è un riarrangiamento tra il gene D e il gene J: si pesca un gene D e si associa ad uno dei possibili J. Il D-J viene associato ad
un possibile V. Siamo sul DNA e tale meccanismo si basa sul prendere un pezzo di gene e di legarlo ad un altri, tagliando ciò che è
nel mezzo tramite un processo irreversibile. Tale processo avviene durante le fasi di maturazione dei linfociti B. Durante la fase di
sviluppo il linfocita B, prima che sia maturo, produce la sua immunoglobulina: ogni linfocita B, il clone che deriva da quel linfocita
B, se stimolato da origine ad un clone di cellule uguali a lui e produrrà un solo tipo di anticorpo, un solo tipo di catena pesante e un
solo tipo di catena leggera dal punto di vista di variabilità.
L’immunoglobulina di superficie è la GERM-LINE ed è quella che poi diventerà immunoglobulina solubile qualora il linfocita B
venga attivato dall’antigene.

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Il riarrangiamento genico è possibile perché esiste un codice di riconoscimento che permette di associare sequenze che hanno un
codice particolare: un eptamero+23 basi e un nonamero che si può associare solo con un nonamero+12 basi e un nonamero. Solo
una sequenza con codice 23 si potrà associare ad una sequenza con codice 12. Con tale sistema si può associare un gene V e un
gene J se hanno 23-12-12-23-23-12 e il gene D nel mezzo ha 2 12 e si può associare sia da una parte sia dall’altra.
Nei geni che codificano per le catene pesanti troviamo MI-DELTA- GAMMA, la prima è sempre MI.
La CDR1 e la CDR2 sono codificate entrambe dai geni V. La CDR3 è codificata tra il gene D e il gene J.
Quando si è assemlato V-D-J si assembla la catena pesante che lega MI.

RIASSUNTO: Il linfocita B produce durante la sua fase di maturazione fa il processo di riarrangiamento genico che serve per creare
la variabilità delle immunoglobuline, cioè avviene la ricombinazione genica selezionando nelle catene pesanti dai blocchi di geni
1V, 1D e 1J (e scartando gli altri). Questo può succedere grazie alla presenza di un codice di riconoscimento: il gene V riconosce D
che riconosce J (V e J non si riconoscono). Quando si è creato VDJ nella porzione variabile della catena pesante e VJ nella parte
variabile della catena leggera si è composto il dominio variabile o della catena pesante o della catena leggera.
Questo presuppone che il pezzo di DNA tra il gene V selezionato e il gene D selezionato e tra il gene D selezionato e il gene J
selezionato sia tagliato via. Quando il linfocita B immaturo ha attaccato VDJ ad una catena pesante che nel linfocita vergine è
sempre una catena MI o DELTA porta alla formazione di un’immunoglobulina di membrana che è di tipo IgM(non pentamerica, ma
tipica del B-cell receptor) o IgG. La cellula matura B ha fatto la sua immunoglobulina e i domini sulla catena pesante e sulla catena
leggera non possono più essere cambiati perché è gia avvenuto il riassortimento dei geni.

Se il linfocita B viene stimolato dall’antigene poi prolifererà e differenzierà nel suo stato di plasmacellula producendo
un’immunoglobulina che ha la specificità che aveva nella membrana come T-cell receptor.La plasmacellula produce
prevalentemente IgM durante la risposta primaria e poi potrà fare il CLASS-SWITCHING (cambiare la classe) e diventare un IgM che
fa IgM, IgG o IgE. Rimangono poi le cellule della memoria. Il class-switching avviene grazie all’incontro con il linfocita T.

T-CELL-RECEPTOR
Anche in questo caso il recettore è scomposto in un complesso recettoriale dove c’è il recettore propriamente detto T-cell
receptor, deputato al riconoscimento specifico dell’antigene, e poi altre proteine che servono per la trasmissione endocellulare del
segnale.

Il TCR è simile ad un frammento di un’immunoglobulina; è fatto da 2 catene, una catena α e una catena β, ognuna delle quali ha
un dominio variabile Vα e Vβ e un dominio costante Cα e Cβ. Ci sono quindi 4 domini, due variabili e due costanti: i 2 variabili
sono nella porzione esterna ammino-terminale. Si tratta di domini con una struttura Ig-fold (2 foglietti β tenuti insieme da un
ponte disolfuro e nel quale le regioni variabili erano sui loop).
La struttura del TCR ricorda il FAB: come il FAB ha un sito di riconoscimento per l’antigene che è dato dai domini variabili. I due
domini variabili di un’immunoglobulina e di un TCR è possibile vedere che ci sono regioni ipervariabili localizzate in un punto molto
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simile a dove sono le regioni ipervariabili delle immunoglobuline. La variabilità delle TCR è costruita come le immunoglobuline: c’è
sempre un riassortimento di geni.
Sia il linfocita B maturo, sia il linfocita T maturo sono dotati di strutture altamente variabili che possono riconoscere antigeni
diversi.
Il tipo di antigene che viene riconosciuto dal linfocita B, quindi dall’immunoglobulina di membrana e quello che viene riconosciuto
dal linfocita T sono completamenti diversi.
Le immunoglobuline riconoscono le catene laterali di una proteina o i gruppi funzionali di una molecola capaci di interagire con
l’anticorpo.
I linfociti T si dividono in:
 LINFOCITI T CITOTOSSICI: sono cellule killer che riconoscono cellule infettate; uccidono le nostre cellule infettate. Una
cellula infettata produce frammenti peptidici che non sono suoi ma del patogeno che ha infettato la cellula. I linfociti T
citotossici rispondono ad un segnale che è la presentazione di un peptide non self presentato da un MHC di classe 1. I
linfociti T citotossici proliferano, diventano effettrici e vengono stimolati per poter uccidere tutte le cellule infettate di cui
lui riconosce il peptide non self legato all’MHC1.
 LINFOCITI T HELPER: aiutano lo sviluppo di alcune cellule: dei linfociti B o delle antigen-presentig-cell. I linfociti T helper
rispondono alla presentazione di un peptide non self da parte dell’MHC di calsse 2 che solitamente è presente in un
antigen-presenting-cells (macrofago o cellula dendritica).
COSA RICONOSCE UN T-CELL RECEPTOR?
Un TCR riconosce un patogeno intero e spesso vivo.
MOLECOLE DEL COMPLESSO MAGGIORE DI ISTOCOMPATIBILITÀ (MHC)
Esse sono suddivise in 2 classi: le MHC di classe 1 e le MHC di classe 2. Essi sono responsabili della compatibilità dei tessuti e
servono per evitare il rigetto. Il ruolo di MHC1 e MHC2 è il legame di peptidi che derivano dalla proteina non-self e poi la loro
presentazione ai linfociti T.
 Le MHC di classe 1 sono presenti su tutte le cellule nucleate e sono i maggiori responsabili delle reazioni di rigetto verso
tessuti altrui. Sono costituiti da un’unica catena α che attravers la membrana e ha un dominio Ig fold e una regione con
una struttura diversa che è una regione variabile (variabilità non basata sul riassortimento ma sul polimorfismo). Poi è
presente la catena β2 microglobulina dotata di una struttura a Ig fold.
 Le MHC di classe 2, nonostante siano simili da un punto di vista strutturale e funzionale agli MCH di classe 1, hanno una
localizzazione diversa: sono presenti solo su alcune cellule del sistema immunitario (le antigen presentig cell ad esempio).
Sono costituiti da 2 catene, una catena α e una catena β: i due domini Ig fold nella parte vicino alla membrana e 2 regioni
variabili nella parte ammino-terminale (variabilità legata al polimorfismo, ognuno ha le sue catene).

La somiglianza tra MHC1 e MHC2 è legata da una convergenza evolutiva a livello molecolare.
MHC1
Nella regione variabile c’è un solco che è un ANTIGEN-BINDING-GROOVE: c’è un pavimento di strutture a foglietto β e 2 α eliche
che delimitano il solco. Dentro al solco c’è un peptide (un frammento di una proteina) che viene presentato al linfocita T. Il T cell
receptor riconosce un MHC 1 con un peptide non self dentro il solco. L’MHC 1 ha la capacità di legare peptidi con un numero di
amminoacidi con lunghezza fissa (9-10 amminoacidi). Gli MHC di classe 1 legano peptidi più corti rispetto agli MHC di classe 2
perché hanno in più per riconoscere i peptidi alcuni residui ancora che riconoscono i l’ammino-terminale e il carbossi-terminale
del peptide all’MHC1.

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MHC2
Hanno lo stesso meccanismo di presentazione del peptide no-self al linfocita T helper. Essi sono presenti nelle antigen-presenting-
cell (come i macrofagi).Il solco viene costruito metà con la catena α e metà con la catena β. Legano peptidi un po’ più lunghi
rispetto a MHC1.
DA DOVE VIENE IL PEPTIDE CHE PROVIENE IL PEPTIDE NO-SELF CHE VIENE LEGATO DA MHC1 E DA MHC2?
 MHC1:legano peptidi che provengono da proteine sintetizzate dalla cellula (infezioni virali).
 MCH2: legano peptidi che provengono da proteine che sono state inglobate dalla cellula per endocitosi (cosa che i
macrofagi e le cellule dendritiche sanno fare).
MCH1 RISPOSTA INFEZIONI VIRALI MHC2 RISPOSTA AD INFEZIONI BATTERICHE
*l’incontro di MCH1 e di MHC2 con i peptidi è SEMPRE DENTRO LA CELLULA INFETTATA O ATTACCATA DA UN PATOGENO.

Il TCR del linfocita T riconosce le catene laterali perché ha la struttura di un anticorpo: riconosce una struttura tridimensionale e
infatti riconosce il complesso MHC+peptide ma non discrimina fra un MHC di classe 1+ peptide e un MCH di classe 2 + peptide. Ci
sono antigeni specifici.
Il linfocita T citotossico presenta tipici antigeni di membrana che sono CD8; il linfocita T helper presenta tipici antigeni di
membrana CD4. Il CD4 (T-helper) riconosce il MHC di classe 2 e il CD8 (T-citotossico) riconosce il MHC di classe 1.
I CD8 e i CD4 riconoscono la parte costante di MHC.
Il TCR riconosce sia le catene laterali del peptide sia le catene laterali dell’ MHC (un MHC self con un peptide non-self).

DOVE E COME GLI MHC DI CLASSE 1 E DI CLASSE 2 LEGANO I PEPTIDI?


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MHC DI CLASSE 1
In questo caso avviene il riconoscimento dei TCR citotossici con gli MHC di classe 1 e con un peptide non-self (sintetizzato dalla
cellula, infettata con il virus). La cellula viene infettata dal virus: il virus infetta la cellula e utilizza i ribosomi della cellula per
sintetizzare le sue proteine (particelle virali che verranno liberate nella cellula infettata). La cellula produce proteine virali insieme
alle proprie; le proteine virali entrano nel destino generale delle proteine della cellula: sia le proteine sintetizzate dalla cellula sia
quelle virali hanno un turn-over, quindi alcune vengono degradate attraverso il sitema del proteasoma (tante proteasi degradano
le proteine che di conseguenza diventano peptidi). I peptidi prodotti dalla degradazione delle proteine della cellula vengono
eliminati da quest’ultima: vengono inseriti dentro vescicole del reticolo endoplasmico che vanno verso la membrana. Ci sono
trasportatori (che appartengono alla famiglia dei retrotrasportatori ABC:TAP1 e TAP2), sulla membrana delle vescicole del reticolo
endoplasmico, che trasportano i peptidi dal citoplasma dentro le vescicole del reticolo endoplasmatico. Quando le vescicole del
reticolo endoplasmico raggiungono la membrana cellulare, la membrana del reticolo endoplasmatico si fonde con quella della
cellula e si ha l’esposizione delle proteine di membrana sintetizzate dal reticolo endoplasmico e contemporaneamente tutto ciò
che le vescicole trasportavano viene liberato fuori dalla cellula. I peptidi che la cellula produce (se la cellula è stata infettata)
saranno peptidi self e peptidi non-self: quando i peptidi non-self seguono questo percorso si trovano all’interno delle vescicole del
reticolo endoplasmico, passano pre il Golgi, e arrivano sulla membrana. Ogni cellula in tali vescicole ha varie proteine di
membrane con il MHC1: sulle vescicole del reticolo endoplasmico si trovano in contemporanea le catene dell’MHC1, i peptidi e la
β microglobulina. Sul reticolo endoplasmico i peptidi si legano agli MHC di classe 1. Le catene di MHC di classe 1, quando arrivano
sulla membrana, hanno i peptidi già legati.
Anche peptidi self possono legarsi alle catene degli MHC di classe 1 e vengono trasportati sulla membrana: sulla membrana si
trovano solo MHC di classe 1 con peptidi legati perché solo così sono stabili. Tutte le catene di MHC1 che portano peptidi self non
hanno TCR che li riconoscono (a meno che non ci sia qualcosa che induce una reazione autoimmune). Il legame di MHC1 e peptidi
avviene nelle vescicole del reticolo endoplasmico (dove ci sono anche le proteiene CHAPERON che aiutano nell’assemblaggio). Il
TCR può riconoscere il peptide non self e l’MHC1: tale segnale antigene-dipendente permette poi alla cellula citotossica di
diventare cellula effettrice e di proliferare.

Il linfocita T citotossico effettore (differenziato) è ora capace di uccidere la cellula target, cellula nostra che produce peptidi non-
self,(attraverso dei piccoli fori) che ad un certo punto scoppia. Il citoscheletro di actina del linfocita T converge sul punto di
contatto della cellula target aiutando nell’uccisione.

La risposta citotossica contro le nostre cellule self infettate è la risposta che si cercherebbe di indurre quando si cerca di avere una
risposta contro cellule tumorali. Le cellule tumorali devono però esprimere qualcosa che venga riconsciuto come no-self.
MHC DI CLASSE 2
Le proteine che vengono riconosciute dal linfocita T-helper non vengono prodotte da una cellula infettata, ma sono internalizzate
per endocitosi. Se consideriamo una cellula che è un antigen-presenting cell (macrofago o cellula dendritica) che possiede gli MHC
di classe 2, è normalmente una cellula capace di fagocitare un patogeno. Il patogeno viene internalizzato e fagocitato: inizia il
processo di endocitosi. Il processo di endocitosi genera vescicole di internalizzazione (che poi sono endosomi che diventano
lisosomi, con un pH più acido); nella cellula però il trasporto di vescicole è bidirezionale (verso la membrana o dalla membrana al
citoplasma) e quindi alcune vescicole possono fondersi, è un processo complesso. Gli MHC di classe 2 sono proteine di membrana
che vengono sintetizzate e ancorate sulle membrane delle vescicole del reticolo endoplasmatico; passano nel Golgi e arrivano sulla
membrana. In un macrofago le MHC di classe2 vengono sintetizzate come le MHC di classe 1, ma gli MHC di classe 2 fanno il loro
percorso senza legare peptidi. L’assemblaggio degli MHC di classe 2 avviene grazie 3 catene: la catena α, la catena β e una catena
chiamata INVARIANT-CHAINE. L’invariant-chaine è una catena aggiuntiva che si assembla di traverso con le due catene di MHC2
impedendo il legame con i peptidi. Quando le vescicole che vanno verso la membrana con MHC di clase 2 si fondono con le
vescicole che sono gli endosomi che diventeranno lisosomi. Negli endosomi c’è attiva un’attività proteolitica ch epuò rompere le
proteine che sono state internalizzate e c’è un pH acido; il pH acido determina un distacco delle invariant-chaine che viene
degradata dalle proteasi(il cambio di pH influisce sui legami deboli). Sulle vescicole adesso troviamo peptidi che derivano
dall’attività proteolitica sulle proteine internalizzate per endocitosi, la rimozione dell’invariant chaine e di conseguenza nelle
vescicole degli endosomi abbiamo il legame tra peptidi e gli MHC di classe 2. Gli MHC di classe 2 possono legare il peptide che

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deriva dalla degradazione proteolitica presente su vescicole endosomiali che derivano dalle antigen-presenting cell. L’MHC di
classe 2 con il peptide arriva sulla membrana e viene riconosciuto da una cellula T-helper.
SONO I CD4 E I CD8 A RICONOSCERE IL COMPLESSO MHC SUI LINFOCITI T. Ogni volta che un TCR incontra MHC con antigene
interviene CD4 o CD8.
Il riconoscimento dell’antigene da parte del TCR è una parte del SEGNALE 1: segnale antigene dipendente che servirà per far
partire il linfocita T che ha il TCR giusto per riconoscere l’MHC-peptide. Il TCR per fare la sua proliferazione e il suo
differenziamento in linfocita effettore deve essere stimolato: deve esserci un segnale ANTIGENE-DIPENDENTE. Anche il CD4 e il
CD8 fanno parte del segnale antigene dipendente. MA IN REALTà NON BASTA!

Il segnale antigene dipendente non è però sufficiente: per avere l’attivazione occorre un SEGNALE 2. Se c’è solo il segnale 1 il
sistema si blocca per evitare che il sistema immunitario risponda in maniera errata e dia risposte autoimmuni. Non esiste una
proliferazione di linfociti che non siano stati attivati da un segnale antigene dipendente (a meno che non siamo in una
trasformazione neoplastica, leucemia).
SEGNALE 2

Il segnale 2 è dato da proteine B7, proteine presenti sulle antigen-presentig-cell e le proteine CD28 presenti sui linfociti T-helper.
Le proteine B7 sono presenti solo nelle antigen-presenting-cell: altro sistema di controllo. Se avviene il segnale 2 la cellula T-helper
differenzia e diventa una cellula effettrice: aiuta i linfociti B.

La cellula T-helper differenziata sarà essenziale per completare il differenziamento del linfocita B. Quindi la risposta T e la risposta
B sono fortemente intrecciate. Il linfocita B ottiene uno stimolo per cominciare a differenziare dal legame dell’antigene
sull’immunoglobulina di superficie (BCR): questo non è sufficiente (segnale 1 antigene dipendente) e l’unica cosa che la cellula può
fare senza l’aiuto di T-helper è produrre un po’ di IgM.
Il linfocita B incontra il T-helper tramite un contatto cellula-cellula: la cellula T-helper stimolata produce una proteina di membrana
chiamata CD40 ligand, così come il linfocita B stimolato dall’antigene produce il CD40. La cellula T-helper per aiutare la cellula B
deve vederla come se fosse un antigen-presenting cell (i linfociti B sono antigen-presenting cell in maniera molto più selettiva
rispetto ai macrofagi): il complesso BCR (proteina di membrana +antigene) viene internalizzato dalla cellula, degradato per
endocitosi mediata dal recettore BCR. I frammenti dell’antigene internalizzato per endocitosi si legano al MHC di classe 2 che il
linfocita B produce perché fa parte delle antigen-presenting cell. Se avviene l’incontro tra T-helper e linfocita B quest’ultima
diventerà una plasmacellula che può anche fare altre classi di immunoglobuline.
1. L’antigen-presenting-cell fa gli MHC2 , ha legato l’antigene che viene riconosciuto sulla T-helper
2. Le antigen-presenting-cell producono le molecole B7 che sono riconosciute dai CD28 e quindi la cellula T-helper ottiene
tutto il signaling essenziale per poter diventare attivata e produrre il CD40 ligand
3. La cellula B a sua volta attivata ha il CD40 che riconosce il CD40 ligand e ottiene il sengnale per poter proliferare e
produrre immunoglobuline. La cellule T-helper inoltre produrra INTERLOCHINE che hanno recettori specifici sulle cellule B
che permettono di indurre e di guidare lo switch di classe.
(Le interlochine inducono un cambio delle proteasi che compongono il proteasoma (processo di legame MHC e antigene) per
questo il proteasoma durante un’infezione virale è chiamato immunoproteasoma ed è diverso da quello che abbiamo quando non
siamo infetti dal virus)
Nel caso delle cellule B e delle cellule T si producono sempre cellule della memoria che permettono di avere una risposta
secondaria immunitaria più efficiente.

Il sistema immunitario è specificamente tarato per rispondere alle proteine altrimente non parte la risposta T; gli MHC di classe 1 e
2 devono essere proteine. I solchi che presentano sono fatti per riconoscere proteine: la risposta immunitaria non può prescindere

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dalle proteine. Se ci sono le proteine poi ci possono essere anche gli anticorpi per gli zuccheri anche se non è facile. Gli anticorpi
possono riconoscere anche strutture glicosilate o zuccheri, ma dietro allo zucchero deve esserci anche la proteina. La proteina ha 2
chiavi di riconoscimento:
 Chiave strutturale: le immunoglobuline di membrana (BCR) sulle membrane dei linfociti B sono strutture che riconoscono
conformazione.
 Chiave di sequenze: i linfociti T riconoscono frammenti di proteina, sequenze.
COME Può L’ANTICORPO RICONOSCERE UN POLISACCARIDE?
I polisaccaridi oltre ad essere presenti sulla superficie del patogeno sono implicati nella patogenigità del patogeno. In laboratorio si
coniuga lo zucchero ad una proteina non self che possa indurre una risposta: ci sono linfociti B che riconoscono i gruppi funzionali
dello zucchero e lo legano. Quando lo zucchero viene internalizzato, essendo legato alla proteina, nelle vescicole endosomiali
viene degradata la parte proteica e vengono prodotti peptidi. Il linfocita B quindi può presentare al linfocita T helper un peptide
non-self e un MHC di classe 2 e la cellula B a questo punto produce anticorpi contro il polisaccaride presente sulla superficie del
batterio.
CD4 e CD8
Il CD4 ha una struttura Ig fold e riconosce la parte non polimorfica degli MHC di classe 2.
Il CD8 ha 2 catene e ha una struttura leggermente diversa e riconosce la parte non polimorfica degli MHC di classe 1.

MECCANISMI MOLECOLARI DELLE ATTIVAZIONI DEI LINFOCITI T E B

Dobbiamo considerare le proteine del complesso recettoriale: le componenti responsabili della trasmissione del signaling
 Igα e Igβ associate al complesso recettoriale delle cellule B (BCR)
 Proteine del complesso CD3 (ε,δ,γ) associate al complesso TCR + le catene Z che hanno una componente citoplasmatica
maggiore rispetto alle CD3.
Tutte le catene accessorie, le catene responsabili della trasmissione del signaling nelle cellule T e nelle cellule B, hanno strutture
caratteristiche chiamate sequenze ITAM (motivi di attivazione basati sulle tirosine): sono sequenze che contengono tirosine
fosforilabili. Ogni sequenza ITAM presenta 2 tirosine spaziate da una sequenza consenso. Le sequenze ITAM più abbondanti sono
sulle catene Z nei linfociti T mentre le catene del complesso CD3 hanno lo stesso numero di sequenze ITAM di Igα e di Igβ nei
linfociti B.
Le fasi cellulari dei linfociti B e T sono identiche; i fattori di trascrizione che vengono attivati sono gli stessi con procedimenti molto
simili; i geni sono diversi. I primi step sono diversi.
Le tirosine delle sequenze ITAM vengono fosforilate da chinasi sia nei B che nei T appartenenti alla famiglia delle SARC-chinasi
(SRC).
FOSOFORILAZIONE SEQUENZE ITAM: Le SARC-CHINASI hanno un dominio chinasico, un sito di riconoscimento SH2 e un sito di
riconoscimento SH3. Le SARC chinasi possono essere nella forma inattiva o nella forma attiva: la loro attivazione dipende dalla
fosforilazione di 2 residui di tirosina che sono contenuti nel dominio chinasico. Una delle due tirosine è una tirosina activating
(quasi sempre fosforilata), l’altra è la tirosina inibitoria vicina alla carbossi-terminale. Quando la tirosina inibitoria è fosforilata si
lega a SH2 e questo costringe il dominio chinasico a stare avvolto e la SARC chinasi è INATTIVA. Gli SH3 contribuiscono a
mantenere la SARC-chinasi chiusa perché riconoscono sequenze di poliprolina.
Per attivare la SARC-chinasi interviene un CD45, una tirosina fosfatasi e anche un antigene di membrana presente in tutti i linfociti,
che rimuove il fosfato dela tirosina carbossi-terminale nella SARC-chinasi.

SIGNALING ENDOCELLULARE LINFOCITI T


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L’antigen-presenting cell presenta un MHC2 con l’antigene ad una T- HELPER; se ci fosse un MHC1 con l’antigene ci sarebbe un T-
citotossico ma il signaling sarebbe stato uguale: solo che al posto di CD4 il T-citotossico presenterebbe CD8.
1) Parte antigene –dipendente: MHC+peptide viene riconosciuto da TCR. TCR non è in grado di distinguere MHC1 e MHC2, e
per questo se c’è un CD4 TCR si lega per forza a MCH2.
2) Legato a MHC2 c’è il TCR e il CD4.
3) Sia il CD4 sia il CD8 hanno legato nella parte intracellulare una SARC-chinasi chiamata LCK. Il CD45 agisce su LCK
attivandola.
4) La SARC-chinasi attivata viene portata sulle tirosine che dovrà fosforilare: tirosine ITAM grazie al trasporto permesso dal
CD4 (che si lega alla parte non polimorfica dell’MHC2)
5) LCK fosforila tutte le tirosine presenti sulle ITAM
6) LSK fosforila anche ZAP70, una SARC chinasi che ha più siti SH2 ed è capace di legarsi alle ITAM quando sono fosforilate.

7) ZAP70 si lega alle tirosine fosforilate e ha più siti SH2 disposti in modo da riconoscere entrambe le tirosine.
8) ZAP70 dopo essersi legata viene fosforilata a sua volta da LCK e a questo punto ZAP70 attivata fosforilerà le sue proteine
substrato che sono LAT e SLP76.
9) LAP E SLP76 sono proteine scaffold che in questo signaling sono fondamentali.
Successivamente c’è di mezzo un signaling associato a proteine G monomeriche.
10) LAP e SLP76 fosforilate portano all’attivazione della fosfolipasi Cγ che per essere attiva deve essere fosforilata da itk
chinasi che è una TEK-chinasi che a loro volta riconoscono i siti di riconoscimento su SLP76 e LAT e sulla membrana
riconoscono i fosfatidilinositoli.

11) La fosfolipasi Cγ , che è legata a SLP76 e LAT, produce l’inositolo trifosfato che ha i recettori sulle vescicole del reticolo
endoplasmatico e permette la liberazione di calcio.

VIA DEL CALCIO


Sulle proteine scaffold SLP76 e LAT, convergono la fosfolipasi Cγ e le TEK chinasi. Le TEK chinasi fosforilano la fosfolipasi Cγ che
viene attivata e porta alla liberazione di calcio per mezzo della PKC. La PKC fosforila un fattore di trascrizione importante che è
NFKB. Il calcio attiva anche una fosfatasi chiamata CALCINEURINA che attiva un fattore di trascrizione importante chiamato NFAT
(viene attivato quando non è fosforilato). I fattori hanno la capacità di migrare tra il citoplasma e il nucleo e l’accumulo di NFAT nel
citoplasma sta ad indicare che è fosforilato.
Per costruire il terzo fattore di trascrizione c’è sicuramente un signaling regolato dalle MAP chinasi che è AP1. AP1 è un
eterodimero fatto da 2 proteine JUN e FOS: entrambe per essere attivate e formare l’eterodimero dipendono dalle MAP chinasi
(via regolata dal signaling di B7 e CD28).

SIGNALING ENDOCELLULARE LINFOCITI B

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In questo caso mancano le catene Z, sulle quali convergono e si legano le ZAP70 nei linfociti T e che permettevano che la ZAP70 si
trovasse vicino alle SARC-chinasi. In questo caso manca il CD4 e il CD8: l’assemblaggio che porta le SARC-chinasi vicino alle tirosine
che deve fosforilare. Come possono le SARC chinasi fosforilare le ITAM non essendoci il CD4 e il CD8?
Il signaling dei linfociti B è particolarmente efficiente quando c’è un cross-linking di 2 T-cell receptor. Il cross linking dei T cell
receptor avviene perché lo stesso antigene viene riconosciuto da 2 B cell receptor che vengono accostati l’uno all’altro. Il cross
linking si può verificare o perché la proteina presenta sequenze identiche ripetute dato che è dimerica oppure perché è un
patogeno che si lega a B cell receptor e presenta più proteine identiche ripetute. Il fatto di avere 2 B cell-receptor che si avvicinano
l’uno all’altro è come se avessimo il CD4 che si avvicina ad ITAM: uno dei B cell receptor porta la chinasi vicino alle tirosine
dell’altro; le SARC chinasi possono fosforilare anche le tirosine di un B cell receptor adiacente.

Quando le tirosine sono state fosforilate interviene SYK (che appartiene alla stessa famiglia di ZAP70) che ha siti di riconoscimento
doppi per riconoscere le tirosine fosforilate. Grazie al cross-linking ci sono 2 SYK, uno vicino all’altro: la fosforilazione che attiva
SYK avviene con le chinasi vicine o anche tra loro (transfosforilazione). Da qui in avanti il signaling è uguale al signaling del linfocita
T. SYK va a fosforilare le proteine scaffold adattatrici; c’è un signaling legato alla liberazione del calcio… i fattore di trascrizione
sono gli stessi.

ATTENZIONE:Tutte le cellule presentano l’MHC1 quindi tutte le cellule infettate possono diventare un target per le cellule T
citotossiche: in realtà al momento in cui si attiva il citotossico naive il primo segnale di attivazione che porta una cellula naive a
diventare una cellula effettrice non può essere effettuato da tutte le cellulequesto perché non c’è B7. Quindi quando c’è
un’infezione virale ci sono cellule cellule dendritiche che vengono infettati dai virus: la cellula dendritica si infetta e questo
rappresenta il primo passaggio di attivazione dei linfociti T citotossici. I linfociti T citotossici vengono attivati dalle cellule
dendritiche: a quel punto i linfociti T citotossici possono uccidere qualunque altra cellula senza CD7 e CD28. In questo caso si tratta
di cellule dendritiche che presentano MHC1. B7 e CD28 è essenziale per avere l’attivazione di T-helper e di T citotossici.

Il CD28 quando ha legato B7 viene fosforilato su tirosine, probabilmente anche dalle SARC-chinasi. Le tirosine fosforilate sul CD28
possono essere riconosciuti dal sito di riconoscimento GRB2 (proteina adattatrice che lega SOS e che attiva poi RAS) e da qui in
avanti c’è la cascata delle MAP-chinasi tipica dei recettori con attività di tirosina chinasi. Le tirosine fosforilate possono essere
riconosciute anche dalla fosfatilinositolo 3 chinasi (uguale alla via RAS-indipendente insulina) che fosforila il fosfatidilinositolo e
permette di fosforilare la PKB (attivata da altre chinasi).
Con il B7-CD28 ci sono 2 nuove strade: le MAP chinasi e la PKB.

Il fosfatidilinositolo si incrocia con l’atro signaling: Le TEK chinasi hanno siti di riconoscimento pH per il fosfatidilinositolo
fosforilato in posizione 3 come le PKB. Le TEK chinasi quindi si legano da una parte ai fosfatidiliinositoli di membrana e dall’altra
alle SLP76 che le permette di fosforilare la fosfolipasi C gamma.

IL segnale 2 che riguarda l’attivazione dei linfociti T è essenziale e determina la possibilità di attivazione di un linfocita che dipende
dall’interazione tra le molecole B7 e le molecole CD28 presenti sui linfociti.
La cellula T mentre si differenzia nella cellula effettrice HELPER o CITOTOSSICA esprime una proteina chiamata CTLA-4 che si
sostituisce al CD28. Il CTLA4 è noto come un checkpoint: hanno la capacità di legare allo stesso modo delle CD28 le molecole B7. Le
molecole CTLA4 non trasmettono un segnale e il risultato è che la cellula comincia a produrre un segnale di spengimento. La
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proliferazione dei linfociti non è infinita: le cellule attivate innescano un sistema di controllo che permette ai linfociti di avere una
vita limitata. Via via che si divide il linfocita attivato produce CTLA4 e i cloni attivano così un sistema di spengimento.
IMMUNOTERAPIA
È una terapia che cerca di sfruttare e di aumentare la capacità del sistema immunitario di eliminare le cellule tumorali. Le cellule
tumorali sono cellule nostre e il sistema immunitario essendo svilppato per non rispondere contro cellule self non le riconosce
come pericolose. Il CTLA4 è molto importante per l’immuoterapia perché uno dei primi interventi per curare i tumori è stato
bloccare il CTLA4: gli anticorpi monoclonali che venivano fatti inibivano questo meccanismo di spegnimento (CHEKPOINT
INIBITORS) e prolungavano per un tempo più lungo l’esistenza di linfociti attivati. Il sistema CTLA4 non è l’unico sistema per
limitare la vita dei linfociti, ci sono il PD1 sui linfociti effettori e il PD1 lingand presente sulle antigen presenting cell o sulle cellule
nei nostri tessuti: questo checkpoint è importante perché si può trovare anche sulle cellule tumorali. Il checkpoint PD1-PD1 ligand
è un livello di blocco successivo rispetto al blocco di CTLA4. Il CTL4 blocca il linfocita nella fase di attivazione, il sistema PD1-PD1
ligand blocca il linfocita nella funzione effettrice. Il signaling di PD1 e PD1-ligand è dato da fosfatasi: ci sono domini che invece di
essere chinasi sono tirosina-fosfatasi, si attivano fosfatasi che vanno contro alle chinasi che inducevano il segnale di attivazione.
Esistono anticorpi monoclonali che sono diretti verso PD1 o verso PD1 ligand e impediscono il secondo checkpoint.
Se riesco ad avere una cellula T in grado di uccidere una cellula tumorale, quindi una cellula CD8 attivata da una cellula antigen-
presenting-cell e se riesco a riconoscere un peptide prodotto dalla cellula tumorale come se fosse non self potrei avere la cellula
attivata da B7-CD28 che può uccidere le cellule tumorali.Via via che il clone T citotossico prolifera inizia e continua a produrre
CTLA4 e meno CD28 e di conseguenza si interrompe la proliferazione del clone che sparirà.

RICOLLEGANDO TUTTO
Il patogeno che entra dentro la cellula B naive viene ricosciuto dai BCR: se si tratta di un batterio viene contemporaneamente
fagocitato dai macrofagi e se si tratta di un virus viene intercettato dalle cellule dendritiche che si infettano e presentano i peptidi
virali in corrispondenza degli MHC di classe 1 attivando i linfociti T citotossici che diventano cellule effettrici. Da un lato quindi
abbiamo il riconoscimento dell’epitopo B (patogeno intero) da parte dei linfociti B e dall’altro lato il processo di attivazione dei
linfociti T dipende dalla sequenza ( se è un virus sarà legato all’MHC1 e se è un batterio sarà legato a MHC di classe 2);
contemporaneamente c’è l’attivazione di un B naive e le attivazioni da parte delle antigen presenting cell dei linfociti T helper e
citotossici.
Il linfocita B ha bisogno di un linfocita T per arrivare ad essere una cellula effettrice che produce immunoglobuline diverse dalle
IgM: il linfocita B (che ha la capacità di internalizzare il patogeno attraverso gli anticorpi), frammenta le proteine del patogeno in
vescicole in endocitosi e i peptidi vengono ripresentati sugli MHC di classe 2. Il linfocita B viene attivato dal cross-linking: inizia a
produrre CD40. Il CD40 è la chiave per riuscire ad avere il segnale 2 da parte dei T helper.
Il primo processo di attivazione dei T e dei B hanno poi un punto di incontro: il segnale 2 di B deriva dall’incrociare una cellula T-
helper. La cellula B sulle sue molecole MHC2 presenta peptidi che sono epitopi T (riconosciuti dal TCR della cellula T-helper); a
questo punto la cellula B andrà in fondo alla sua fase di differenziamento e porterà alla plasmacellula che produce
immunoglobuline anche non IgM.

Ci sono alcuni antigeni chiamati T-INDIPENDENTI: sono spesso degli zuccheri. La risposta contro li zuccheri è per forza T-
indipendente perchè solo il peptide si presenta al T-helper. Lo zucchero può essere legato alla proteina, ma mai singolo. In alcuni
casi è possibile con zuccheri complessi, che fanno un forte cross-linking sui B-cell receptor, ottenere una stimolazione della cellula
B che la porta a diventare plasmacellula che però produce una limitata quantità di IgM.
CELLULE EFFETTRICI
Il differenziamento dei linfociti T porta su due linee diverse attivate in maniera diversa: i linfociti T-citotossici attivati da MHC1 e i
linfociti T-helper attivati da MHC2. Gli helper si possono a loro volta dividere in 2 sottopopolazioni: i TH1 e i TH2.
I TH2 producono le molecole effettrici che sono attivatrici delle cellule B: varie interlochine che determineranno la classe di
immunoglobuline che il linfocita B sarà in grado di fare. Le antigen presenting cell invece presentano il peptide ai TH1 con il CD40; i
TH1 effettori (che sono stati stimolati da antigen presenting cell) riprendono contatto via CD40-CD40 ligand con l’antigen
presenting cell e questa volta stimolano i macrofagi a diventare più efficienti.

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l’interleuchina maggiormente comune a tutti i linfociti, che è quella più importante dal punto di vista della proliferazione è
l’interleuchina 2. viene prodotta da tutti i linfociti solo quando sono attivati, sotto il controllo di questi fattori di trascrzione.
l’interleuchina spinge tutto il clone verso la proliferazione e il differenziamento. Attraverso due modi: paracrino autocrino. Il
linfocita che è stato attivato non solo incomnicnia a produrre interleuchina 2, ma comincia a produrre “il recettore per
l’interleuchina 2”. in realtà produce una subunità del recettore dell’interleuchina2, che è costituito da 3 differenti subunità: alfa,
beta e gamma. I linfociti naive producono le subunità beta e gamma. Le subunità beta e gamma da sole non permettono il legame
efficace con l’interleuchina2. Quindi il linfocita naive non ha prodotto la subunità alfa quindi non è capace di produrre
interleuchina 2. al momento in cui viene attivato, inizia a produrre interleuchina 2 ma anche la subunità alfa. Fa un recettore
completo dell’interleuchina che permette di legare l’interleuchina 2 e rispondere poi all’interleuchina2. Questo permette di avere
un effetto sia autocrino che paracrino. Paracrino perche il linfocita attivatoi produce l’interleuchina 2, e altri linfociti possono
rispondere all’interleuchina 2. Per garantire che l’interleuchina 2 faccia proliferare solo i linfociti attivati, se il linfocita non è stato
attivato, l’effetto paracrino dell’interleuchina 2 mon lo sente perche non ha la subunità alfa. Viceversa un linfocita attivato,
produce sia l’interleuchina che la subunità alfa, può rispondere lui stesso alla sua stessa interleuchina 2 che produce e tutti i
linfociti che sono convogliati nel sito dell’infiammazione o tutti i linfociti con la subunità alfa possono rispondere all’interleuchina
2.

le cellule dendritiche quando sono state attivate negli organi linfoidi inducono una grossa quantità di molecole B7 e quindi sono
particolarmente efficaci nello stimolare le cellule che diventeranno linfociti attivati. Il linfocita attivato produrrà interleuchina 2 la
quale con il suo recettore può proliferare sia se stesso che gli altri linfociti intorno.

il linfocita t citotossico deve essere attivato dalle cellule dendritiche negli organi linfoidi perché ci sono le molecole B7. Una volta
che è stato attivato produce l’interleuchina 2 e il recettore e prolifera. Si differenzia e sarà in grado di uccidere le cellule bersaglio
anche in assenza di segnale di costimolazione. In figura vediamo Un macrofago che ha ingerito dei batteri, presenta il frammento
dei batteri in associazione con gli MHC2. Inizia a produrre molecole B7, quindi diventa efficace per dare il segnale di
costimolazione che deriva da un incontro tra la cellula t helper che ha CD7 e CD28 e lei presenterà peptidi in associazione con
MHC2 che verranno riconosciuti dal TCR. Questa è una cellula naive helper. A questo punto può differenziarsi e diventare TH1. Il
TH1 produce il CD40L che permette di distingure una t helper niave da una t helper attivata che invece ce l’ha. Il TH1 attivato
produce interleuchine.

(descrizione) le cellule citotossiche diventano effettori o armed, che potrà uccidere una cellula infettata da un virus con vari
sistemi (apopotosi, lisi) su cellule che non possiedono più il B7. La cellula TH1 effettrice il suo destino finale è quello di stimolare i
macrofagi di uccidere meglio i batteri ma sopratutto di esprimere le molecole B7 e MHC 1 E 2 fondamentali per la presentazione
del peptide dalla degradazione del patogeno che è stato inernalizzato. I TH2 aiuta la ellula b a diventare plasmacellula, prima
linfoblastoche prolifera e fa lo switch di classe e poi diventa plasmacellula che smette di dividersi, producendo immunoglobuline
solubili sostanzialmente. Le immunoglobuline devono essere prodotte in forma liposolubile.

(descrizione) i linfociti acquisiscono la capacità di passare e fuorisucire dal circolo sanguigno grazie a molecole di adesione. Il
contatto tra un linfocita CD8 e la cellula che dovrà poi uccidere avviene attraverso molecole di adesione che gli permettono di
ritolare sopra un epitelio senza scontrarsi casualmente con le cellule 58 LYN è una chinasi SRC prevalentemente dei linfociti B. il
CD45 associato alle membrane dove si trovano le chinasi SRC, tipo LCK o LYN, permette di acere uno switch tra una compomente
attivata e una compomente non attivata delle chinasi SRC. Lo switch dalla forma inattiva a quella attiva lo fa il CD45. La forma
inattiva è presente la tirosina C terminale che viene riconoscita dalla SRC. Ma se ce CD45, questo rimuove la tirosina c terminale e
permette di aprire il sito attivo e di rendere la SRC chinasi attiva. LYN è la chinasi fondamentale che permette la fosforilazione di
tutte le tirosine sui segnemtni ITAM.

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