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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «L’ORIENTALE»

DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANE E SOCIALI

STUDI FILOSOFICI

XXXVII 2014

BIBLIOPOLIS
STUDI FILOSOFICI XXXVII 2014
DIRETTORE RESPONSABILE: Alberto Postigliola
COMITATO DIRETTIVO: Lorenzo Bianchi, Rossella Bonito Oliva, Biagio de Giovan-
ni, Maria Donzelli, Giampiero Moretti
COMITATO SCIENTIFICO: Carmela Baffioni, Mauro Bergonzi, Giuseppe Cataldi,
Amedeo Di Maio, Roberto Esposito, Stefano Gensini, Girolamo Imbruglia,
Francesca Izzo, Giuseppe Landolfi Petrone, Giacomo Marramao, Arturo
Martone, Luigi Mascilli Migliorini, Antonio Rainone, Giulio Raio, Luigi
Stanzione, Elena Tavani, Massimo Terni, Maurizio Torrini. – Membri stranie-
ri: Bronislaw Baczko (Genève), Charles Burnett (London), Clive Cazeaux
(Cardiff), Michel Delon (Paris), Jean Ferrari (Dijon), Daniel Fulda (Halle
(Saale)), Pierre Guenancia (Dijon), Ute Guzzoni (Freiburg), Catherine Larrè-
re (Paris), Jean Mondot (Bordeaux), Maria-Cristina Pitassi (Genève), Jean
Starobinski (Genève), Jürgen Trabant (Berlin, Bremen)
REDATTORE CAPO: Antonella Sannino
REDAZIONE: Pasquale Arfé, Viola Carofalo, Nicoletta de Scisciolo, Elisabetta
Mastrogiacomo, Tiziana Pangrazi, Mariassunta Picardi, Mara Springer,
Alessandro Stavru
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se e con cinque parole chiave, sempre in inglese, contestualmente al Direttore
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fici personali al fine di sottoporla alla doppia procedura di blind peer review.
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Studi Filosofici ha periodicità annuale

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Autorizzazione del Tribunale n. 2402 del 25-6-1980


SOMMARIO

SAGGI
MONIA MANCINELLI, La materia primordiale nel pensiero di
Teodorico di Chartres e di Clarembaldo d’Arras 9
MASSIMILIANO CHIANESE, La psicologia naturalis di Pietro
Pomponazzi nell’ Expositio super I De anima 41
ELEONORA BARRIA-PONCET, Montesquieu, collectionneur des
«Philosophi» et voyageur à la rencontre des «philo-
sophes» italiens 61
ANTONIO GURRADO, Una polemica di Voltaire con i Gesuiti: il
caso delle fonti sul Paraguay 79
VINCENZO BOCHICCHIO, Orientarsi nel pensare e nell’agire. Sen-
timento cosmopolitico e destinazione dell’uomo nella
filosofia kantiana 115
TIZIANA PANGRAZI, Vis magnetica contra Vim veneficam:
Athanasius Kircher ‘fonte’ di Ernesto De Martino 139
SILVIA MARIA ESPOSITO, L’unité des Flammes. Analisi della
rivista «Acéphale» 157
DIEGO FUSARO, Heidegger lettore di Marx. La metafisica mar-
xiana come verità dell’idealismo 179
MASSIMO DELL’UTRI, Il funzionalismo in filosofia della mente:
sua ascesa e caduta nella vicenda di un protagonista 201
ANTONIO RAINONE, Eziologia dell’agire, ragionamento mezzo-
fine e pianificazione 215
VALERIA MARZOCCO, Causalità senza necessità. Neuroscienze,
azione, senso comune 235
6 SOMMARIO

NOTE, INTERVENTI, RECENSIONI


SONIA ISIDORI, I ‘primi gesuiti’ tra eresia e inquisizione 253
DEBORA SICCO, Scritti voltairiani (1775-1776) 269
SIMONE VALLEROTONDA, Estetica della biologia 275
PAOLO QUINTILI, Una passeggiata dialettica nelle scienze 283
CRISTIANO SPILA, Il libretto della vita dopo la morte 287
ALESSIA FARANO, Bioetica e alleanza terapeutica 289

INDIRIZZI DEGLI AUTORI 295


SONIA ISIDORI

I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE1

La regola 13 proposta da Ignazio da Loyola nelle Regole per sentire con la


Chiesa stabilisce che: «Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo cri-
terio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchi-
ca»2. Così, si svela come l’ubbidienza alla Santa Sede e il rispetto dell’ortodossia
cattolica non siano ‘doti naturali’ dell’ordine ignaziano, bensì conquiste intellet-
tuali di brillanti menti in continuo dialogo, e spesso in dissenso, con i diversi at-
tori sociali della cultura cinquecentesca, al fine di definire un loro spazio all’in-
terno della Chiesa controriformista. Questo è il punto di partenza imprescindibi-
le per comprendere le dinamiche che si instaurarono tra la nascente Compagnia
di Gesù e le istituzioni ecclesiastiche dell’età moderna, in particolar modo con i
tribunali inquisitoriali. Ad esso fa riferimento uno degli aspetti che più caratteriz-
zarono l’identità gesuita: la flessibilità, o meglio la duttilità, sul piano dottrinale3.
Questa peculiarità si intuisce sin dalle vicende giovanili che legarono Igna-
zio da Loyola all’ambiente ereticale ed erasmiano della Spagna del Cinquecento,
magistralmente ricostruito da Marcel Bataillon in Erasme et l’Espagne4. Esse co-
stituirono le principali criticità per gli storici della Compagnia: gli inizi come
contador major presso Juan Velázquez de Cuéllar; le illuminazioni di Manresa,
che gli costarono i primi sospetti d’appartenenza alla setta di Pedro Ruiz e Isa-

1
Il presente contributo si inserisce all’interno del Dottorato di Ricerca in Studi Inter-
nazionali dell’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’– XXIX ciclo, nel quale la scriven-
te presenta un progetto di ricerca sulle relazioni tra la Compagnia di Gesù e i tribunali inqui-
sitoriali tra Cinque e Seicento, con particolare attenzione all’Italia, controllata dalla Congre-
gazione del Sant’Ufficio, e all’America spagnola, soprattutto al Vicereame del Perù, sottoposto
alla giurisdizione dell’Inquisizione di Lima.
2
Cfr. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, P. SCHIAVONE (a cura di), Cinisello Balsamo,
Edizioni Paoline 1988.
3
Cfr. S. PAVONE, «Gesuiti, Italia», in A. PROSPERI, Dizionario Storico dell’Inquisizione, Pi-
sa, Edizioni della Scuola Normale Superiore 2010, vol. 2, pp. 665-669.
4
Sui movimenti religiosi erasmiani nella Spagna d’età moderna si veda: M. BATAILLON,
Erasme et l’Espagne. Recherches sur l’histoire spirituelle du XVI° siècle, Paris, Droz 1937.
254 SONIA ISIDORI

bel de la Cruz; i tre processi inquisitoriali subiti ad Alcalá de Henares tra il no-
vembre 1526 e il maggio 1527; la carcerazione e il conseguente processo a Sala-
manca nel 1527 nel convento dei frati domenicani di San Esteban per la dub-
bia ortodossia degli Esercizi Spirituali; la spontanea comparitio del 1529 dinanzi
al consultore della facoltà di Teologia della Sorbonne, Matthieu Ory; la conse-
gna all’inquisitore domenicano Liévin, nel 1535, del manoscritto ignaziano; il
processo veneziano del 1537 e quello romano del 1538; infine, le molte accuse
d’eterodossia, fra cui quella di Melchor Cano. Esperienze personali che si tra-
dussero in raffinate strategie di dissimulazione, sul versante teologico, e di adat-
tamento alle forme di potere, sul piano politico.
Nel quadro di questa feconda riflessione, qui solo accennata, si inserisce
quel filone di studi che può essere sintetizzato nei termini di un ‘antigesuitismo
di ritorno’5, ossia di un rinnovato interesse, soprattutto da parte laica, per le
complesse dinamiche che hanno caratterizzato la formazione identitaria della
Compagnia di Gesù e le sue strategie relazionali, in special modo con le istitu-
zioni repressive del Cinque e Seicento, nell’ambito della diffusione e dell’inse-
gnamento della dottrina cristiana; questioni tuttora irrisolte o parzialmente esa-
minate, nonostante la ricca storiografia disponibile. Mi riferisco in particolare al
volume dedicato da Guido Mongini alla vexata quaestio delle accuse di eresia
mosse ai primi gesuiti («Ad Christi similitudinem»: Ignazio di Loyola e i primi ge-
suiti tra eresia e ortodossia)6 e al libro in cui Ana Carolina Hosne traccia un pro-
filo delle missioni dei gesuiti in Cina e Perù tra la fine del Cinquecento e i pri-
mi del Seicento (The Jesuit Missions to China and Peru, 1570-1610. Expectations
and appraisals of expansionism)7.
I due testi, pur diversissimi per tematiche e taglio, sono accomunati dal
soggetto di riferimento, la Compagnia di Gesù; dalla contiguità cronologica (gli
anni 1540-70 per il Mongini, il quarantennio che segue per la Hosne) e dalla
inevitabile presenza di riferimenti a tematiche cruciali, come le questioni dottri-
nali o il problema delle strategie di conversione. Una lettura consequenziale di
questi due contributi storiografici permette di chiarire le radici teologiche e in-
tellettuali dell’operato dei primi gesuiti e, in particolar modo, del ministero mis-
sionario, nelle pratiche e nelle modalità che lo hanno reso un modello vincente
di evangelizzazione nel mondo. Un buon test, insomma, per fare luce su una fa-
se della storia del nuovo istituto particolarmente tesa e vibrante, oltre che ricca-
mente documentata da fonti edite e inedite.

5
P. BROGGIO, «Potere, fedeltà e obbedienza. Johann Eberhard Nithard e la coscienza della
regina nella Spagna del Seicento», in F. ALFIERI, C. FERLAN (a cura di), Avventure dell’obbedienza
nella Compagnia di Gesù. Teoria e prassi fra XVI e XIX secolo, Bologna, Il Mulino 2012, p. 167.
6
G. MONGINI, «Ad Christi similitudinem»: Ignazio di Loyola e i primi gesuiti tra eresia e or-
todossia. Studi sulle origini della Compagnia di Gesù, Alessandria, Edizioni dell’Orso 2011, p. 175.
7
A.C. HOSNE, The Jesuit Missions to China and Peru, 1570-1610. Expectations and ap-
praisals of expansionism, London and New York, Routledge 2013, p. 195.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 255

La tesi del volume di Mongini è chiara: secondo lui c’è stata «una pecu-
liare, intrinseca, ‘eresia’ gesuitica, un vero e proprio nucleo, sfuggente e ambiguo
ma costitutivo, di irriducibilità della Compagnia all’ortodossia romana di ma-
trice controriformistica e inquisitoriale»8 che ha qualificato non soltanto l’espe-
rienza religiosa ignaziana, ma anche il modo de proceder e di hablar dell’ordine.
Lo dimostra attraverso l’analisi di un cospicuo numero di fonti (testi a stampa,
testi manoscritti a uso interno ed epistole) che nel primo trentennio di vita del-
la Compagnia i più autorevoli membri dell’ordine hanno prodotto, a testimo-
nianza della propria ortodossia, coscienti della necessità di allontanare la propria
immagine istituzionale da quella che si era formata durante il periodo delle per-
secuzioni inquisitoriali9. In tutti questi documenti è evidente una spinta all’au-
tocensura, che può far pensare a un vero e proprio ‘nicodemismo storiografi-
co’10, e che consente all’autore di rilevare preoccupazioni che vanno al di là del-
la difesa di una identità culturale e religiosa particolare, peraltro rivendicata co-
stantemente dalla Compagnia. Si pensi alle pagine dedicate dall’autore al modo
de hablar dei gesuiti e al rilievo che rivestono gli inviti ai confratelli a sorveglia-
re il proprio linguaggio in funzione della autodifesa preventiva dalle accuse di
alumbradismo11.
Che d’altronde i primi gesuiti fossero sensibili al problema di distinguersi
dagli ‘illuminati’ castigliani è documentato con dovizia di testimonianze dalle
forti somiglianze tra gli insegnamenti ignaziani e molti dei modelli di esperien-
za religiosa caratteristici degli alumbrados. Soprattutto perché questa è stata un’e-
resia dai confini labili

8
G. MONGINI, op.cit., p. 57.
9
Oltre alle fonte edite nei Monumenta Historica Societatis Iesu (MHSI) si veda: M.
DEL PIAZZO, Nuovi documenti del processo subito da S. Ignazio nel 1538, in «Archivio della So-
cietà Romana di Storia Patria», 89, 1966, pp. 133-140; M. DEL PIAZZO - C. DE DALMADES, Il pro-
cesso sull’ortodossia di S. Ignazio e dei suoi compagni svoltosi a Roma nel 1538. Nuovi documen-
ti, in «Archivum Historicum Societatis Iesu», XXXVIII, 1969, pp. 431-453; M. ORTEGA CO-
STA, San Ignacio de Loyola en el «Libro de alumbrados»: nuevos datos sobre su primero proceso, in
«Arbor», 107, 1980, pp. 163-174; L. FERNÁNDEZ, Inigo de Loyola y los alumbrados, in «Hispa-
nia Sacra», 35, 1983, pp. 585-680; J. L. GONZÁLES NOVALÍN, La Inquisición y la Compañia de
Jesus, in «Anthologica annua», XXXVII, 1990, pp. 11-56; F. FITA, Los tres procesos de San Igna-
cio de Loyola en Alcalá de Henares. Estudio critico, in «Boletín de la Real Academia de la histo-
ria», XXXIII, 1998, pp. 319-349; S. PASTORE, Un’eresia spagnola: spiritualità conversa, alum-
bradismo e Inquisizione (1449-1559), Firenze, Olschki 2004; ID., I primi gesuiti e la Spagna:
strategie, compromessi, ambiguità, in «Rivista storica italiana», CXVII, 2005, pp. 158-178; J. O’
MALLEY, I primi gesuiti, Milano, «Vita e pensiero» 1999; S. PAVONE, I gesuiti. Dalle origini alla
soppressione. 1540-1773, Bari, Laterza 2009; ID., «Alumbradismo», in A. PROSPERI, Dizionario
storico dell’Inquisizione, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore 2010, vol. 1, pp. 47-51;
ID., «Ignazio di Loyola, santo», in A. PROSPERI, op. cit., vol. 2, pp. 759-761.
10
G. MONGINI, «Ad Christi similitudinem», cit., pp. 43-44.
11
Ivi, pp. 74-81.
256 SONIA ISIDORI

difficile per gli storici che si sono occupati del fenomeno, ma anche per
gli stessi inquisitori, impegnati per più di vent’anni a districare i fili di
un’eresia cangiante e multiforme, varia almeno quanto i personaggi che
la vissero e la interpretarono12.

Ad accomunarli non era solo il dexamiento o dejamiento. Facevano parte


delle rispettive sensibilità l’insofferenza verso forme di devozione esteriori e ri-
tualizzate, il rifiuto del sapere scolastico, la democratica apertura a strati sociali
solitamente esclusi dalla spiritualità (donne, illetterati, conversos, etc.), la ricerca
individuale e senza intermediari di un dialogo con il divino, l’ostilità verso le
istituzioni dedite al controllo della dottrina cattolica, la segretezza. Inoltre, uno
dei punti più controversi della proposta religiosa ignaziana, nel quale è chiaro il
lascito degli alumbrados, è la centralità riservata alle ‘elezioni’, vere e proprie ‘il-
luminazioni interiori’, in grado di suggerire all’esercitante la volontà divina, do-
po un’attenta discretio spirituum. Negli Esercizi spirituali sono descritte come la
meta ultima di un graduale percorso di meditatio e sequela Christi.
Ancora, era quantomeno discutibile nella spiritualità ignaziana, dal punto
di vista dei modelli teologico-religiosi controriformistici, l’invito, tipico della
tradizione luterana, a decifrare il sibillino linguaggio di Dio senza la mediazio-
ne delle autorità ecclesiastiche. Cionostante, negli Esercizi viene introdotta, a di-
fesa di questo relativismo interpretativo, la figura del direttore spirituale

as help given by one believer to another that enables the latter to pay at-
tention to God’s personal communication to him or her, to respond to
this personally communicating God, to grow in intimacy with this God,
and to live out the consequences of the relationship13.

In un certo qual modo, una proposta religiosa simmetrica a quella calvi-


nista, che affidava allo Spirito Santo la funzione di guida pastorale della comu-
nità ecclesiastica14.
Infine, dal punto di vista sociale, il percorso suggerito da Ignazio da Lo-
yola andava incontro alla facile accusa di distogliere dai propri compiti il popo-
lo minuto. Doveri e fatiche della vita quotidiana non si saldavano agevolmente
con l’invito alla contemplazione e all’ascesi15.

12
S. PASTORE, Un’eresia spagnola: spiritualità conversa, alumbradismo e Inquisizione
(1449-1559), Firenze, Olschki 2004, p. 108.
13
W. BARRY, W. COLLONY, The Practice of Spiritual Direction, San Francisco, Harper &
Row 1982, p. 8.
14
Si veda J. BOON-CHAI TAN, Retaining the Tri-perspective of History, Theology and Me-
thod in Spiritual Direction: a Comparative Study of Ignatius of Loyola and John Calvin, Phd The-
sis, Fuller Theological Seminary, 2014.
15
Il termine ascetismo indica quella pratica detta anche ascesi esteriore caratterizzata da
atti di rinuncia, penitenza, mortificazione e austerità (come digiuni, astinenza da cibi e be-
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 257

Altri aspetti del pensiero religioso di Ignazio non esattamente riconduci-


bili all’ortodossia controriformistica si intravvedono in una sua celebre lettera,
indirizzata a Francesco Borgia il 20 settembre 1548, che chiariva al giovane ge-
suita come regolarsi con le pratiche ascetiche e i digiuni durante lo svolgimento
degli esercizi. Attraverso un linguaggio elevato e a tratti oscuro, Ignazio spiega-
va al discepolo che, per quanto certe pratiche non fossero dannose, era bene ab-
bandonarle presto e interessarsi a ministeri più utili ed elevati, preferendo sem-
pre ciò che «dispone más al servicio y alabança de nuestro criador y senor». In
tal maniera, nella religiosità gesuita la validità degli esercizi esteriori era valutata
in un’ottica strumentale e pro tempore, ovvero entro quello che Mongini defini-
sce come ‘funzionalismo spirituale’16.
A questo concetto si può ricondurre, secondo Mongini, il profondo ‘gra-
dualismo’ degli Esercizi

secondo una prospettiva che si potrebbe definire antropologica, perché


legato ai diversi tempi e gradi di maturazione del cammino di conver-
sione che risultano dalle diversità delle nature individuali, dalle irriduci-
bili specificità e soggettività umane degli esercitanti17.

Innanzitutto, vi era la divisione in tappe del percorso spirituale; poi, la dif-


ferenziazione degli esercizi da assegnare a seconda del livello culturale. Era qui,
d’altra parte, uno dei lasciti del pensiero religioso di Isabel de la Cruz: anche il
suo insegnamento poggiava su strategie gradualistiche, che distinguevano tra
principiantes e ynstrutos e tolleravano disciplinas e ayunos nelle fasi iniziali.
Non è un caso, inoltre, se dalla consultazione di uno dei testi manoscritti
che circolarono maggiormente nei collegi della Compagnia, i Diálogos en los cua-
les se tratan algunos ejemplos de personas que habiendo salido de la religión de la
Compañía de Jesús, han sido castigados severamente de la mano del señor, poi tra-
dotti in italiano in due differenti versioni18, ho constatato come l’autore citi con

vande, veglie, flagellazioni, cilici, ecc.), nonché dalla separazione assoluta dal mondo median-
te prescrizioni particolari (silenzio, solitudine, ecc.); in un’ottica negativa mirante all’elimina-
zione del peccato. Con ascesi, invece, si fa riferimento all’aspetto positivo dell’acquisto della
perfezione e dell’ascensione verso Dio, e all’azione interiore volta a tale scopo, mediante l’ab-
negazione e l’esercizio delle virtù cristiane (in particolare dell’umiltà) e della preghiera (ora-
zione mentale, meditazione, esame di coscienza, contemplazione, etc.), sotto la guida di un di-
rettore spirituale. In tal senso, non presuppone necessariamente l’allontanamento materiale dal
mondo, ma il semplice distacco da esso. Cfr. Dizionario di Filosofia, Treccani, 2009. Disponi-
bile online all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/ascesi_(Dizionario-di-filosofia)/.
16
G. MONGINI, «Ad Christi similitudinem», cit, pp. 134-145.
17
Ivi, p. 99.
18
Le due traduzioni in italiano sono consultabili nell’Archivum Romanum Societatis
Iesu (ARSI): P. RIBADENEIRA, Dialogi nei quali si racconta l’infelice esito d’alcuni che sono usciti
dalla Compagnia di Gesù composti dal Padre Pietro Ribadeira della medesima compagnia traspor-
tati dalla lingua castigliana nell’italiana da Padre Diego de Zuñiga della medesima Compagnia,
258 SONIA ISIDORI

frequenza, tra le caratteristiche comuni da imputare ai dimessi dall’ordine, l’a-


bitudine a praticare ‘le divotioni, le penitenze, le mortificationi’, l’anelito ‘a
maggior rigore, e penitenze’, o l’abitudine di uno che «faceva grandi penitenze e
si batteva crudelmente, e con tanta vehemenza; che pareva, che si volesse far’in
pelli», a riprova, da un lato, della diffusione di pratiche di tipo ascetico tra i com-
ponenti della Compagnia delle origini, e, dall’altro, della percezione negativa
che esse assumevano.
Dalla lettera al Borgia emerge anche un’ultima importante questione, uti-
le per chiarire le modalità con cui si attua l’‘eresia gesuita’: il problema degli
adiaphora. Nella teologia cristiana, con questo termine si intendono le ‘cose in-
differenti’ ai fini della salvezza dell’anima, una riduzione al minimo dei funda-
menta fidei. All’interno di questa prospettiva teologica, l’ascetismo dell’età mo-
derna, in quanto collezione di pratiche esteriori, poco utili al raggiungimento di
un’intima unione con Dio, era inserito dai gesuiti tra gli adiaphora; poiché il so-
lo e irrinunciabile pilastro dell’esperienza cristiana era per loro la fede nel ‘nostro
Signore’.
La radicalità di questo espediente teologico trova la sua più importante ap-
plicazione all’interno dell’attività missionaria. A ciò si riferisce l’Apologia exerci-
tiorum (1554-1556) di Jerónimo Nadal. Il gesuita maiorchino ribadisce in que-
sto testo la validità universale dell’accomodatio gesuita, riducendo il nucleo del-
la religione cattolica a pochi fundamenta fidei, che potevano perfino esser accet-
tati da eretici e infedeli. Una posizione così estrema non mancò di provocare rea-
zioni aspre, soprattutto tra i domenicani, che furono i più coerenti e decisi av-
versari di quelle pericolose novità.
Gli eventi più dolorosi che caratterizzarono la vita di Ignazio da Loyola e
gli accidentati percorsi che segnarono i passi iniziali della Compagnia sono la ri-
prova delle difficoltà incontrate dai primi gesuiti, che cercarono di difendersi dal-
la diffusa sensazione d’avversione e ostilità attraverso il confronto con la Chiesa
primitiva e il richiamo alle persecuzioni che essa subì. Costante fu il ricorso dei
primi gesuiti al paragone con gli apostoli e con le prime comunità cristiane: ne è
indizio la scelta del nome dell’ordine, ma anche la stessa Formula Instituti (1539),
successivamente confluita nelle Constitutiones, con i suoi frequenti riferimenti al-

Vitae 93; ID., Esempi di alcune persone, che uscite dalla Religione della Compagnia di Gesù sono
state da Dio castigate. Descritti in forma di Dialoghi, dal Padre Pietro Ribadeira della medesima
Compagnia. Trasportati dallo Spagnolo nel 1677, FG Mss, 46. L’originale spagnolo è P. RIBADE-
NEIRA, Diálogos en los cuales se tratan algunos ejemplos de personas que habiendo salido de la reli-
gión de la Compañía de Jesús, han sido castigados severamente de la mano del señor. Escritos por el
P.e P.o de Ribadeneyra de la Misma Compañía, in ARSI, FG Mss. 67. Si veda anche S. PAVONE,
«I dimessi della compagnia negli anni del generalato di Francesco Borgia: una nuova questio-
ne storiografica», in E. G. HERNÁN - M. DEL PILAR RYAN, Francisco De Borja y su tiempo. Polí-
tica, religíon y cultura en la edad moderna, Valencia – Roma, Albatros Ediciones - Institutum
Historicum Societatis Iesu 2011, pp. 465-479.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 259

la Chiesa delle origini. D’altra parte, non mancavano nella loro esperienza quo-
tidiana e nei modelli di vita religiosa da essi prescelti i punti di contatto con i pri-
mi cristiani: come gli apostoli, i gesuiti erano votati all’evangelizzazione delle gen-
ti, non indossavano un abito comune, non avevano l’obbligo della preghiera co-
rale, vivevano d’elemosine e non avevano una fissa dimora. Perfino la loro orga-
nizzazione istituzionale e gerarchica ricalcava il modello apostolico.
Non era, in assoluto, una novità nella vita della Chiesa. Il richiamo al mo-
dello delle prime comunità cristiane, ben attestato fin dal medioevo, fu avverti-
to anche dagli Ordini nati nel primo Cinquecento. Il fascino di proposte di rin-
novamento spirituale in qualche modo sovversive, comuni anche agli ambienti
eterodossi e perciò mal viste dalle istituzioni ecclesiastiche, si ritrova sin dai pa-
dri del deserto al monachesimo cenobita, e ancora nei benedettini e negli ordi-
ni mendicanti del XII secolo, fino ai barnabiti e alla Compagnia di Gesù. Que-
st’ultima è forse l’esempio più riuscito in ambiente cattolico, all’interno della
cornice storico-politica e religiosa del Cinquecento europeo, di questa tensione
tra istanze di rinnovamento e desiderio d’appartenenza a una comunità ecclesia-
stica, forte della sua funzione normativa e stendardo dell’ortodossia cristiana19.
Questi, in sintesi, sono i passaggi salienti di una ricerca seria e convincen-
te, che documenta sia la complessità dell’esperienza di Ignazio e dei primi ge-
suiti, sia lo sforzo compiuto dai vertici della Compagnia per difendersi da accu-
se di eresia per niente campate in aria e dalla ostilità diffusa all’interno della
Chiesa verso un modo di vivere l’esperienza religiosa originale e diverso da quel-
li correnti, in una fase difficile e tesa per il cattolicesimo romano.
Il tema centrale su cui invece ruota il volume di Ana Carolina Hosne è
quello delle missioni extraeuropee della Compagnia tra il tardo Cinquecento e
il primo Seicento. Il punto di contatto tra le due ricerche sono le strategie di
evangelizzazione: sulla loro definizione non poterono non pesare le controverse
posizioni religiose dei primi gesuiti. D’altra parte che le attività missionarie fos-
sero il principale ministero della Compagnia di Gesù è evidente sin dalla Regi-
mini militantis Ecclesiae, la bolla con cui papa Paolo III nel 1540 approvò il nuo-
vo istituto. In essa, trovava spazio considerevole, sì da essere da alcuni conside-

19
Sui Padri del Deserto e sul monachesimo, M. DUNN, The Emergence of Monasticism:
From the Desert Fathers to the Early Middle Ages, Oxford, Blackwell Publishers 2000; G. PEN-
CO, Il monachesimo. Valori e modelli, Scritti monastici 2008; R. PARRINELLO, Comunità mona-
stiche a Gaza tra IV e VI secolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 2010. Sugli ordini men-
dicanti, M. H. VICAIRE, L’imitation des Apôtres. Moines, chanoines et mendiants (IVe-XIIIe siècles),
Paris, Les éditions du Cerf 1963, pp. 77-90; E. GRUNDMANN, Movimenti religiosi nel Medioevo.
Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel
XII e nel XIII secolo e sui presupposti storici della mistica tedesca, Bologna, Il Mulino 1980; L.
PELLEGRINI, Che sono queste novità? Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XIII-XIV),
Napoli, Liguori 2005; G. G. MERLO, Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul france-
scanesimo medievale, Santa Maria degli Angeli, Edizioni Porziuncola 2007.
260 SONIA ISIDORI

rato come un quinto voto, l’obbligo di insegnare la dottrina cristiana ai fanciul-


li e ai rudes. Non a caso, risale già al 1541, a pochissima distanza dall’approva-
zione papale, la prima missione verso le Indie orientali di San Francesco Save-
rio, invitato dal re portoghese Giovanni III a evangelizzare le popolazioni delle
sue colonie. Da allora, i gesuiti diffusero nel mondo il loro messaggio pastorale
in maniera capillare: in Brasile nel 1549, nel 1568 in Perù, in Cina nel 1582;
ma anche nelle tante pieghe della incerta cristianizzazione dell’Europa e dell’Ita-
lia, presto qualificate dall’icastico conio gesuita come Indias de por acá.
È in questi orizzonti che spazia il volume della Hosne, incentrato sul con-
fronto tra due diversi spazi missionari della Compagnia come il Perù e la Cina,
e sull’esame delle biografie e delle idee religiose dei due missionari-teologi che
più ne caratterizzarono le strategie evangeliche, José de Acosta e Matteo Ricci.
L’arco temporale di riferimento si estende dal 1571 al 1610: quarant’anni co-
perti in gran parte dal generalato di Claudio Acquaviva, ispirato da ideali uni-
versalistici e apostolici e da abili strategie di adattamento ai contesti locali, che
permisero alla Compagnia di Gesù un radicamento globale20.
L’accostamento tra i due celebri missionari è reso possibile dalle loro ca-
ratteristiche comuni: hanno frequentato collegi gesuiti e, di conseguenza, sono
imbevuti di una raffinata cultura umanistica; hanno scritto, sulla base dei detta-
mi tridentini, i catechismi di riferimento delle rispettive missioni; si sono dovu-
ti confrontare con giochi di potere e istruzioni provenienti dai loro superiori,
dalle autorità locali e da quelle legate ai diritti di patronato reale.
L’analisi più feconda della Hosne riguarda i due catechismi, la Doctrina
Christiana y Catechismo di José de Acosta e il Tianzhu Shiyi di Matteo Ricci: due
dei più chiari esempi di accomodatio gesuita, ovvero di quella strategia di evange-
lizzazione volta ad adattare il messaggio cristiano ai differenti gradi di civilizza-
zione dei popoli da convertire, tramite l’elastica applicazione delle posizioni del-
la Compagnia in materia di adiaphora. A questo proposito si rivela fondamenta-
le l’impianto del De Procuranda Indorum Salute di Acosta, che distingue l’uma-
nità in tre tipi: pienamente civilizzati (europei e asiatici), a debole civilizzazione
(inca e maya) e, infine, privi di civilizzazione (popoli caraibici e africani)21. I pe-

20
Sul generalato di Acquaviva e l’attività missionaria, F. CANTÙ, «Il generalato di Clau-
dio Acquaviva e l’identità missionaria della Compagnia di Gesù. Note e prospettive sulle mis-
sioni americane», in A Companhia de Jesus na Península Ibérica nos sécs. XVI e XVII. Espiri-
tualidade e cultura. Actas do Colóquio internacional – Maio 2004, Instituto de Cultura por-
tuguesa da Facultade de Letras da Universidade do Porto, Porto, Centro inter-universitário de
História da espiritualidade da Universidade do Porto 2004, vol. I, pp. 151-170.
21
Sulla vita e sul pensiero di José di Acosta si veda L. LOPETEGUI, El padre J. de Acosta,
Madrid 1942; G. IMBRUGLIA, L’invenzione del Paraguay, Napoli, Bibliopolis 1987; L. GUARNIE-
RI CALÒ CARDUCCI, Nuovo mondo e ordine politico. La compagnia di Gesù in Perù e l’attività mis-
sionaria di José de Acosta, Rimini, Il cerchio 1997; C. M. BURGALETA, José de Acosta
(1540–1600): His Life and Thought, Chicago, Loyola University Press 1999.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 261

ruanos facevano parte del secondo gruppo ed era necessario per la loro salvezza
trasformarli, anche attraverso la costrizione, in ‘uomini occidentali’; al contrario,
Matteo Ricci dovette dimostrare ai literati cinesi di non essere ‘barbaro’.
Ciò comportava la costruzione di sincretismi religiosi che, ad esempio, nel
caso peruviano, facilitavano la creazione di una

colonial orthodoxy […], meaning by colonial the exclusion and margili-


zation of the past, which, in turn, at the same time, helped shape an
identity, in this case an Indigenous Catholicism22.

Una valida prova al riguardo è la promozione da parte dei missionari ge-


suiti dell’utilizzo del quipu come strumento da utilizzare nella preparazione al
confessionale.
Al di là di queste suggestioni e di altre riflessioni sulle difficoltà e le com-
plicazioni delle esperienze missionarie in contesti così diversi, la lettura delle pa-
gine della Hosne lascia insoddisfatti per la limitata attenzione mostrata a una se-
rie di questioni cruciali per le prime generazioni di gesuiti. Mi riferisco, ad esem-
pio, al problema degli incroci tra azione missionaria e dovere di difesa dell’orto-
dossia, che vide la Compagnia interrogarsi sulla propria identità e sulla esigenza
di conservare intatti i propri spazi operativi, soprattutto in un periodo lacerato
dai problemi religiosi. In questa direzione, invece, appaiono di notevole rilievo
i percorsi storiografici aperti dal volume di Guido Mongini che, analizzando il
difficile rapporto tra Ignazio, i primi gesuiti e l’ortodossia e il peso che ebbero le
accuse di eresia formulate a più riprese nei loro confronti, aprono prospettive di
ricerca di un certo rilievo. È quanto sto verificando nell’Archivum Romanum So-
cietatis Iesu, nelle battute iniziali di una indagine sugli atteggiamenti dei primi
gesuiti verso l’Inquisizione romana e verso il tribunale inquisitoriale di Lima.
Le mie ricerche si muovono sulla scia di un filone di indagini affiorato qua
e là negli ultimi anni. Mi riferisco agli studi sul ruolo svolto dai membri della
Compagnia di Gesù nelle attività di controllo e di repressione promosse nei de-
cenni centrali del Cinquecento, sia in Italia, sia al di fuori della penisola, come
confessori e censori, ma anche come veri e propri fiancheggiatori e promotori di
interventi giudiziari. Già in base ai primi risultati dello scavo, non sembra fon-
dato il convincimento, familiare agli storici ufficiali della Compagnia, di un isti-
tuto estraneo alle attività inquisitoriali, impegnato a fondo nelle attività di evan-
gelizzazione e attento quasi soltanto alla circolazione dei libri proibiti e alla cen-
sura. Nel caso italiano, almeno fino agli anni Settanta del secolo, nel trentennio
in cui i vertici romani rinunciarono alla costruzione di una fitta rete giudiziaria

22
J. C. ESTENSSORO, Del Paganismo a la Santidad. La incorporación de los Indios del Perù
al Catolicismo, 1532-1750, Lima, Instituto Francés de Estudios Andinos 2003; A. C. HOSNE,
The Jesuit Missions, cit., p. 124.
262 SONIA ISIDORI

locale, anche per il sospetto, probabilmente fondato, che eventuali delegati lo-
cali della Congregazione fossero, come tanti vescovi di quegli anni, contagiati
dall’eresia dilagante23, fu intensa e qualificata la collaborazione prestata dai col-
legi della Compagnia, sia pur con molta libertà e molti distinguo, alle attività
dell’Inquisizione romana. Altrettanto successe in Perù almeno fino al 1622, ul-
timo anno di partecipazione dei missionari gesuiti alle visite di estirpazione del-
l’idolatria24, ma anche anno di fondazione della Congregazione De Propaganda
Fide, la prima istituzione romana che riuscì a imporre un controllo da parte del-
la Santa Sede sull’evangelizzazione americana25.
La documentazione più ricca finora affiorata riguarda proprio l’Italia. Il
sostegno, diretto o indiretto, dei gesuiti alle attività inquisitoriali, soprattutto in
quelle di forte rilievo strategico, è costante. Basti ricordare i casi più noti: la mis-
sione modenese di Silvestro Landini nel 1552, il ruolo di Pierre Fabre e di Al-
fonso Salmerón nel processo Morone, gli svariati incarichi istituzionali, inqui-

23
Si veda almeno G. ROMEO, Ricerche su confessione dei peccati e Inquisizione nell’Italia
del Cinquecento, Napoli, La Città del Sole 1997, pp. 35-61; ID., Note sull’Inquisizione romana
tra il 1557 e il 1561, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», XXXVI/1, 2000, pp. 115-
142; ID., L’Inquisizione nell’Italia moderna, Bari, Laterza 2002; ID., Confesseurs et inquisiteurs
dans l’Italie moderne: un bilan, in «Revue de l’histoire des religions», 220-2/2003, pp. 153-65;
ID., «Pio V nelle fonti gesuite: le Epistolae Generalium Italiae e le Epistolae Italiae», in M.
GUASCO - A. TORRE (a cura di), Pio V nella società e nella politica del suo tempo, Bologna, Il Mu-
lino 2005, pp. 111-127. Si vedano inoltre M. FIRPO - D. MARCATTO, Il processo inquisitoriale
del cardinal Giovanni Morone, Roma, Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contem-
poranea 1981-1995, voll. 6; M. FIRPO (a cura di), I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi
(1557-1567). Edizione critica (in collaborazione con D. MARCATTO), Città del Vaticano, Ar-
chivio Segreto Vaticano 1998-2000, vol. 2; M. FIRPO - D. MARCATTO (a cura di), Il processo in-
quisitoriale del cardinal Giovanni Morone. Nuova edizione critica, II, Il processo d’accusa, Roma,
Libreria Editrice Vaticana 2011; M. FIRPO - S. PAGANO (a cura di), I processi inquisitoriali di
Vittore Soranzo (1550-1558), Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano 2004.
24
Paolo Broggio spiega la partecipazione attiva alle campagne d’estirpazione dell’idola-
tria come risultato di «congiunture politiche religiose […] in grado di attirare i gesuiti nella
dilettevole direzione di una profittevole collaborazione con le più alte autorità ecclesiastiche
del viceregno, specie per ciò che concerne il controllo del clero rurale e la lotta contro la pre-
senza di religiosi regolari alla guida delle doctrinas de indios». P. BROGGIO, Evangelizzare il mon-
do. Le missioni della Compagnia di Gesù tra Europa e America (sec. XVI-XVII), Roma, Carocci
2004, p. 279. Riguardo all’elevato numero di prelati processati nella colonia spagnola si veda
P. CASTAÑEDA DELGADO - P. H. APARICIO, La inquisición de Lima (1570-1635), Madrid, Edito-
rial Deimos 1989, t. I; G. RAMOS, El tribunal de la Inquisicion en el Perù 1605-1666. Un estu-
dio social, in «Cuadernos para la Historia de la Evangelizacion en America Latina», 3, pp. 93
-127; A. SÁNCHEZ, Amancebados, hechiceros y rebeldes (Chancay, siglo XVII), Cuzco, Centro de
Estudios Regionales Andinos Bartolomé de las Casas 1991, pp. XI-XIV; G. RAMOS - H. UR-
BANO (a cura di), Catolicismo y Extirpación de Idolatrías. Siglos XVI-XVIII, Cuzco, Centro de
estudios regionales andinos Bartolomé de las Casas 1993.
25
G. PIZZORUSSO - G. SANFILIPPO, «L’attenzione romana alla chiesa coloniale ispano-ame-
ricana nell’età di Filippo II», in M. BAGICALUPO - M. CASTAGNETO (a cura di), America and the
Mediterranean, Torino, Otto Editore 2003, pp. 201-214.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 263

sitoriali e non, ricoperti da Bobadilla, sia nella Marca anconetana, che nella Ca-
labria degli anni ‘50, l’impegno di Antonio Possevino nella lotta ai valdesi, il
ruolo notevole avuto da esponenti della Compagnia nello sterminio dei valdesi
di Calabria26.
Inoltre, molti furono i privilegi vivae vocis oraculo accordati alla Compa-
gnia dai pontefici per stimolarne la partecipazione alle battaglie inquisitoriali.
Basti qui ricordare i permessi di lettura dei libri proibiti che il Generale poteva
distribuire ai membri della Compagnia e le facoltà di assoluzione in foro con-
scientiae, confermate con il breve del 22 ottobre 1552 Sacrae Religionis27.
Ovviamente, negli spazi missionari i privilegi a disposizione aumentavano
di numero e di consistenza. A tacer d’altro, l’apertura dell’Archivio della Con-
gregazione della Dottrina della Fede ha consentito di riflettere sulla documenta-

26
Sul ruolo dei primi gesuiti nelle attività dell’Inquisizione, P. TACCHI VENTURI, Storia
della Compagnia di Gesù in Italia, narrata con sussidio di fonti inedite, Roma, Civiltà cattolica
1930-1951; M. SCADUTO, Tra inquisitori e riformati. Le missioni dei gesuiti tra valdesi della Ca-
labria e delle Puglie, con un carteggio inedito del card. Alessandrino (s. Pio V), 1561-1566, in «Ar-
chivium Historicum Societatis Iesu», XV, 1946); M. SCADUTO, Le missioni di A. Possevino in
Piemonte, propaganda calvinista e restaurazione cattolica 1560-1563, in «Archivium Historicum
Societatis Iesu», XXVIII, 1959, pp. 51-191; A. MARRANZINI, I gesuiti Bobadilla, Xavierre e Ro-
driguez tra i valdesi di Calabria, in «Rivista Storica Calabrese», 4, 1983, pp. 393-420; A. GUI-
DETTI, Le missioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Milano, Rusconi 1988; U. PARENTE, «Ni-
colo Bobadilla e gli esordi della Compagnia di Gesù in Calabria», in V. SIBILIO, I Gesuiti e la
Calabria, Reggio Calabria, Laruffa 1992, pp. 19-56; P. SCARAMELLA, L’Inquisizione romana e i
Valdesi di Calabria (1554-1701), Napoli, Editoriale Scientifica 1999; C. E. O’ NEILL - J. M.
DOMINGUEZ, Diccionario Historico de la Compañia de Jesus, Roma-Madrid 2001; P. SCARAMEL-
LA, I primi gesuiti e l’Inquisizione romana, in «Rivista Storica Italiana», CXVII, I, 2005, pp.
134-156; V. LAVENIA, Giudici, eretici, infedeli. Per una storia dell’Inquisizione nella Marca nella
prima età moderna, in «Giornale di storia», 6, 2011; L. ADDANTE, Valentino Gentile e il dissen-
so religioso nel Cinquecento. Dalla Riforma italiana al radicalismo europeo, Pisa, Edizioni della
Normale 2014, pp. 46-7, 52-3 e 109. È evidente che, rispetto a questa massiccia documenta-
zione, argomentazioni come quelle sviluppate, soprattutto riguardo agli atteggiamenti dei ge-
suiti nei confronti dell’Inquisizione spagnola, dagli storici ufficiali della Compagnia (è il caso
di J. L. GONZÁLES NOVALÍN, La Inquisición y la Compañia de Jesus, in «Anthologica annua»,
XXXVII, 1990, pp. 11-56, che cerca di dimostrare che i gesuiti si impegnarono soprattutto
nel controllo dei libri proibiti, tenendosi alla larga dalle attività inquisitoriali vere e proprie)
appaiono largamente insoddisfacenti e sostanzialmente apologetiche.
27
Il privilegio di assoluzione nel foro della coscienza fu la concessione più controversa.
Il suo uso venne attentamente graduato in relazione ai singoli contesti in cui operarono i ge-
suiti. Si veda al riguardo la lucida riflessione di Nadal, in una lettera del 29 ottobre 1561 ai
confratelli spagnoli: «También tenemos privilegio en una bula de Julio III para absolver de he-
rejía ‘in foro conscientiae’; pero nosotros interpretamos la voluntad del Papa, que es que favo-
rezcamos en todo a la Inquisición, como os dixe ser de nuestro Instituto; y así no usamos ni
usaremos de esta gracia en España, porque no conviene para el dicho fin … En otras parte, co-
mo en Alemania, donde este crimen es más ordinario y no hay perjuicio a otros, puédese usar
y se usa deste privilegio, porque allí conviene para el fin que la Compañía pretende». Cfr. J.
NADAL, «Commentarii de Instituto Societatis Iesu», in M. NICOLAU ed., Epistolae et Monumen-
ta, Roma, MHSI 1962, p. 351.
264 SONIA ISIDORI

zione relativa ai Dubia circa sacramenta e circa facultates. Grazie ad essa si è po-
tuto verificare che

l’intervento del Santo Uffizio nel mondo missionario si pone in una li-
nea di continuità rispetto al controllo sull’eresia e a quello dottrinale e
disciplinare normalmente esercitato dall’Inquisizione. Esso ci indica co-
me lo slancio verso l’evangelizzazione costituisca in un primo luogo un
contatto e un confronto con altre religioni e culture che possono condi-
zionare, modificare, alterare il messaggio evangelico portato dai missio-
nari e inficiare l’ortodossia, improntata al modello tridentino, delle nuo-
ve cristianità di convertiti e neofiti formatesi grazie all’azione missiona-
ria. Pertanto la necessità di un controllo di tale azione di cui il Sant’Uf-
fizio si mantiene supremo garante, implica la presenza costante di tale
istituzione nel mondo missionario, che inizia già prima della fondazione
di Propaganda e continua poi nei secoli avvenire in una stretta collabo-
razione con il dicastero missionario nel contesto della giurisdizione pon-
tificia sulle missioni28.

Non è meno indicativa, però, la ricca documentazione inedita riguardan-


te l’Italia dei decenni centrali del Cinquecento conservata nell’Archivum Roma-
num Societatis Iesu. Alle suggestive lettere edite se ne possono aggiungere molte
altre, che confermano il contributo, tutt’altro che episodico e casuale, offerto dai
collegi gesuiti italiani all’attività della Congregazione del Sant’Ufficio. In modo
riservato e accorto, senza stravolgere modelli di evangelizzazione che privilegia-
no la spontaneità delle conversioni e il ricorso preferenziale al dialogo e al con-
vincimento, i religiosi della Compagnia assicurano agli inquisitori generali una
collaborazione qualificata e attenta, capace di discernere, negli errori riscontrati,
gli aspetti gravi dalle violazioni dell’ortodossia di minore rilievo29. Si tratta, ol-
tre tutto, di fonti che risalgono in larga misura agli anni studiati da Mongini,
quelli in cui i gesuiti sono impegnati nella difesa della propria ortodossia, e pro-
vano perciò indirettamente come i sospetti e le malevolenze sul loro conto non
impedissero alla Congregazione del Sant’Ufficio di fare pieno affidamento sulla
Compagnia.
In generale, poi, se è vero che c’è diffidenza verso un uso eccessivo e im-
motivato dello strumento repressivo nei confronti dei nemici dell’ortodossia,
l’attenzione della Compagnia verso le idee e i comportamenti dissonanti è vivis-
sima e non è mai disgiunta dall’esame accurato delle varie possibilità di inter-
vento. I temi ricorrenti nelle fonti gesuitiche, quando eccessi o abusi obbligano

28
G. PIZZORUSSO, Le fonti del Sant’Uffizio per la storia delle missioni e dei rapporti con Pro-
paganda Fide. A dieci anni dall’apertura dell’archivio della Congregazione per la Dottrina della
Fede: storia e archivi dell’Inquisizione, Atti del Convegno, Roma, 21-23 febbraio 2008, Roma,
Accademia dei Lincei, 2011, p. 393.
29
Mi riferisco agli inediti discussi da G. ROMEO, Ricerche, cit., pp. 39-51.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 265

a considerare l’uso dell’arma inquisitoriale, sono la difesa strenua dei propri pri-
vilegi, l’ampia libertà di valutazione riconosciuta alla Compagnia, l’abitudine al-
l’analisi dei rischi e dei vantaggi connessi all’uso dello strumento repressivo.
Si vedano ad esempio sostanza e tono di una lettera inviata nel 1564 dal-
la Curia generalizia al rettore del Collegio di Macerata. Un confratello aveva se-
gnalato ai vertici romani della Compagnia l’inopportuno e rischioso modo di
predicare tenuto nella città marchigiana da un religioso: per contrastare l’eresia,
finiva per toccare egli stesso ‘punti heretici’, divulgando così idee pericolose e
controproducenti, in un ambiente non ‘infetto’. Rispetto a un eccesso rischioso,
frutto forse di zelo sincero, ma poco avveduto, il suggerimento delle autorità
centrali della Compagnia al rettore di Macerata fu netto: proprio perché si trat-
tava di una risposta imprudente ed emotiva, del tutto fuori luogo, perché ri-
schiava di accrescere, anziché contrastare, la diffusione degli errori, era suffi-
ciente premere sul governatore per proibire al religioso di predicare. Un inter-
vento inquisitoriale, pure formalmente giustificato, sarebbe stato un rimedio
peggiore del male e avrebbe danneggiato l’immagine dei gesuiti. Ancora una vol-
ta, estremo realismo, attenzione a impedire gravi errori senza sovraesposizioni
della Compagnia, valutazione precisa della congruità tra uso dello strumento re-
pressivo e rilievo dell’abuso, commisurato non solo alla sua gravità, ma anche al-
la portata delle sue conseguenze30.
Altre dimensioni del sostegno gesuita all’Inquisizione stanno invece affio-
rando dallo spoglio delle corrispondenze tra la Curia generalizia della Compa-
gnia e i confratelli impegnati in Perù.
Un primo elemento di novità, finora scarsamente documentato nelle fon-
ti relative all’Italia, è il diretto coinvolgimento di gesuiti nell’organigramma del-
l’Inquisizione di Lima. Sebbene non fossero stipendiati, diversi membri della
Compagnia di Gesù partecipano ai procedimenti inquisitoriali come qualifica-
tori, consultori, Comisarios de puertos de mar o Comisarios de partido. Nel perio-
do preso in considerazione nella mia ricerca si contano almeno sei comisarios, tra
cui i rettori del collegio di Asunción, Diego Gonzáles Holguín e Marcelo Lo-
renzana, e il vice provinciale Gaspar Sobrino; non c’è modo di poter calcolare
un numero preciso dei qualificatori, tuttavia nel 1621 si contano almeno tre ge-
suiti e nel 1634 il loro numero sale a sei. Due nomi sicuri sono quelli di José de
Acosta e di Juan de Perlin31.
Né meno attento fu nelle personalità di maggiore spicco della Compagnia
in Perù il controllo delle deviazioni ereticali di singoli gesuiti attivi nel vicere-
gno. Il dato è particolarmente indicativo perché il nucleo più solido delle accu-

30
Archivum Romanum Societatis Iesu, Epistolae Generalium Italiae, 64, c. 356r, lette-
ra del Generale al rettore del collegio di Macerata del 18 marzo 1564.
31
P. CASTAÑEDA DELGADO - P. H. APARICIO, La inquisición de Lima (1570-1635), Madrid,
Editorial Deimos 1989, Tom. I.
266 SONIA ISIDORI

se rivolte riguardava il sospetto alumbradismo, così abilmente rigettato in Euro-


pa, come dimostrano le ricerche di Guido Mongini. Tra il 1575 e il 1581 Josè
de Acosta partecipò alla contrarreforma virreino-inquisitorial 32, pianificata insie-
me al viceré Toledo contro i padri gesuiti Luis López e Pedro Miguel de Fuen-
tes e il padre provinciale Jerónimo Ruiz del Portillo33. Il primo venne accusato
in seguito ai processi che coinvolsero Francisco de la Cruz e María Pizzaro. La
donna, indemoniata, durante un esorcismo, nel quale partecipò anche il visio-
nario domenicano de la Cruz, fu violentata dal confessore gesuita e rimase in-
cinta. Se l’accusa iniziale era riferibile ai movimenti spirituali e apocalittici che
si erano diffusi nelle colonie americane e era aggravata dal sospetto di abuso del
sacramento della penitenza (la cosiddetta sollicitatio ad turpia), in seguito il ca-
so prese una piega politica a causa di un memoriale del López, nel quale si so-
stenevano teorie lascasiane34. In ogni caso López se la cavò con poco: nell’auto
da fe del 1582 fu condannato a quattro anni di reclusione nel collegio andaluso
di Trigueros. Ancor più lieve la pena inflitta agli altri due inquisiti della Com-
pagnia, processati anch’essi per sollicitatio ad turpia e alumbradismo: essi furono
semplicemente allontanati. Non c’è confronto con il tragico epilogo del proces-
so al domenicano Francisco de la Cruz, che finì sul rogo.
La differenza con la situazione italiana è evidente. Qui, le scelte di colla-
borare con l’Inquisizione romana sembrano legate a un progetto complessivo di
costruzione del nuovo cristiano, in cui i rapporti con gli Stati italiani, pur debi-
tamente vagliati, non sono la variabile principale. Nella situazione del viceregno
peruviano gli aspetti nodali, per i gesuiti, furono altri. Forse, il rapporto con
l’Inquisizione di Lima, un’istituzione sottoposta agli interessi imperiali, assunse
un aspetto prettamente politico, per i vertici romani della Compagnia.
Fa riflettere, in particolare, una lettera scritta il 1° ottobre 1578, mentre i
fatti narrati erano nel vivo, dal Generale Mercuriano al P. José de Acosta

Siendo cosa tan necessaria y tan encomendada en nuestras Constitucio-


nes conservar de nuestra parte quanto se puede la benevolencia de las
personas principales que goviernan, cuyo favor o disfavor puede ayudar,

32
J. C. BALLÓN VARGAS, «El tópico naturalista y los orígenes clásicos del discurso filosó-
fico peruano», in T. HAMPE MARTÍNEZ, La tradición clásica en el Perú virreinal, Lima, Sociedad
Peruana de Estudios Clásicos & Universidad Nacional Mayor de San Marcos 1999.
33
A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús en la asistencia de España, Madrid, Ra-
zon y Fe 1912, voll. III-IV; A. HUERGA, Historia de los Alumbrados (1570-1630). Tomo III. Los
alumbrados de Hispano America (1570-1605), Madrid, Fundacion Universitaria Española
1986; V. ABRIL CASTELLÓ, Francisco de la Cruz , la utopia lascasista y la contrarreforma virreineal
inquisitorial, in «Cuadernos para la historia de la evangelización en América Latina», 3, 1988,
pp. 9-67; C. E. O’ NEILL - J. M. DOMINGUEZ, Diccionario Historico de la Compañia de Jesus, Ro-
ma-Madrid 2001.
34
F. MATEOS, Historia General de la Compañía de Jesús en la Provincia del Perú, Madrid,
CSIC 1944, p. 11.
I ‘PRIMI GESUITI’ TRA ERESIA E INQUISIZIONE 267

o impedir, mucho el progresso de nuestros ministerios, me ha parecido


encomendar a V. R. tenga particolar cui dado, así por sí como por los que
están a su cargo, de no dar occasión al Virey ni a otros officiales reales
que goviernan essos Reinos, de irritarse contra la Compañia, como sería
con reprehensiones públicas, muy agenas del modo de proceder nuestro,
y hablar mal de su govierno con otros, que suele tener más especie de
murmuración que zelo de ayudar, no nos entremetiendo, sin en lo que
es proprio de nuestra vocación, y esto con el prudente zelo que la chari-
dad enseña, mirando siempre a la mayor gloria divina; y mucho menos
debe V. R. permitir que ninguno de los Nuestros escriba a España infor-
maciones siniestras de los que goviernaí, siendo esta cosa tan fuera de
nuestro Instituto, y tan odiosa de sí35.

Vista dalla Curia generalizia della Compagnia, l’intricata matassa giudi-


ziaria che aveva travolto alcuni confratelli in Perù doveva essere governata con
prudenza e circospezione, senza badare troppo alle esigenze dell’Inquisizione lo-
cale. Anche dopo la fine del periodo delle persecutiones legate alle vicende dei pri-
mi gesuiti, o forse proprio perché era ancora fresco il ricordo dei sospetti che ave-
vano investito Ignazio e i suoi più stretti collaboratori, il generale Mercuriano
consiglia al provinciale di gestire il nuovo ciclone abbattutosi sulla Compagnia
con accortezza, cercando di mantenerne intatto il buon nome. Al centro delle
sue preoccupazioni, però, non sono le dubbie deviazioni ereticali di qualcuno
dei confratelli, ma i risvolti politici delle loro attività. Più che la difesa dell’or-
todossia dei propri uomini, premeva a Mercuriano il buon rapporto con gli spa-
gnoli. Ciononostante, anche dal lato dottrinale, José de Acosta prese in seguito
le distanze dalle credenze millenariste che segnarono quel processo. Lo si nota in
un suo testo del 1590, il De temporibus novissimis, nel quale sottolinea che «l’an-
nunzio della fine del mondo […] non deve però mai fissare i tempi dell’avveni-
mento, pena l’eresia»36.
In quella difficile situazione, José de Acosta garantì alla missione andina
l’appoggio delle autorità politiche e la vittoria sull’ostile ordine domenicano, al
fine di evangelizzare le popolazioni autoctone e facilitare il ministero missiona-
rio, secondo una logica che ha le sue basi nella teologia ignaziana e si serve di
compromessi funzionali al mantenimento del potere della Compagnia.
Che si tratti del Vecchio o del Nuovo Mondo, al di là delle differenze con-
testuali, è possibile individuare uno schema ricorrente, un’uniformità d’azione e
di pensiero, che contraddistingue la Compagnia di Gesù, in una fase delicata, in
cui si va strutturando la sua identità. Essa si realizza attraverso la capacità di
sfruttare «todo modo para buscar la voluntad divina», le potenzialità di luoghi,

35
A. EGAÑA, Monumenta Peruana, Roma, MHSI 1565-1575, vol. II, doc. 83.
36
A. PROSPERI, «America e apocalisse», in ID., America e apocalisse e altri saggi, Pisa-Ro-
ma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali 1999, p. 16.
268 SONIA ISIDORI

soggetti, relazioni, istituzioni; cose indifferenti se rapportate a Dio e alla diffusio-


ne del cattolicesimo nel mondo. Infatti, come sottolinea la Hosne

the Society of Jesus created its own fields of tensions, marked by multi-
ple identities as a result of local mediations by its members and their own
strategies acting in different contexts, but within the requirements of the
Ignatian legacy37.

È lecito quindi supporre che gli impegni con i tribunali inquisitoriali, nel-
le molteplici forme brevemente illustrate, non furono esclusivamente frutto del-
l’anelito a una maggiore ortodossia di stampo controriformista, ma furono vis-
suti dai membri della Compagnia, in maniera opportunistica, come necessari, in
relazione a quanto «más ayuda» al raggiungimento del fine, il servizio di Dio38.
Probabilmente, è proprio grazie a queste molteplici strategie che si rivela quella
vitalità intellettuale che ha affascinato e attratto molti studiosi a indagare sulla
Compagnia di Gesù.

37
. C. HOSNE, The Jesuit Missions, cit., p. 44.
38
G. MONGINI, «Ad Christi similitudinem», cit., p. 144.

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