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CARLO CATTANEO

Notizie naturali e civili su la Lombardia

[da Notizie naturali e civili su la Lombardia, Tip. G. Bernardoni, Milano 1844, che
si pubblic� in occasione del VI Congresso degli scienziati italiani tenuto a Milano
nel 1844.]

AVVISO AL LETTORE

Gli studiosi delle scienze naturali, convenuti in Pisa nell'anno 1839, �bbero in
dono una descrizione ist�rica e art�sttca di quella citt� e de' suoi contorni, che
per avventura trov�vasi publicata in quegli anni da un incisore, a corredo d'una
sua raccolta di vedute.
Pel Congresso scient�fico di Torino parve il caso d'apprestare una s�mile operetta;
e forse per darle pure alcun colore d'opportunit�, vi s'introdusse una notarella di
f�ssili e un cat�logo di piante, con alcune righe su l'agricultura.
Il ripetuto esempio del volume donato prescrisse quasi un dovere alle citt� che
dov�vano acc�gliere le successive adunanze. - A Firenze, di pi�, si pose inanzi al
volume una descrizione naturale della valle dell'Arno: nel che si ebbe forse
l'�nimo di far cosa particolarmente intesa a quell'�rdine di persone che vol�vasi
onorare. - I Padovani, con pi� cortese e savio consiglio, descr�ssero agli �spiti
le terre e le aque di tutta la loro provincia, e i vari aspetti che l'agricultura
vi prende; e di�dero loro in appendice la flora dei Colli Euganei. - Lucca non si
cur� per verit� di piacere agli amatori della bot�nica e della geolog�a, ma pur
descrisse le diverse condizioni del suo territorio alla marina, alla pianura e al
monte.
Se nelle sedi dei futuri Congressi prevalesse sempre l'esempio di P�dova a quello
di Pisa e di Torino, altri potrebbe forse pensare che il continuato circ�ito di
queste adunanze potesse d'anno in anno approssimarci a possedere infine un'accurata
descrizione di tutta l'Italia. - Ma l'Agro Padovano non � vasto; il Lucchese, meno
ancora. il Padovano � forse la 150a parte della terra d'Italia; il Lucchese, la
300a. E se d'anno in anno l'ospitalit� municipale non ci consente uno spazio di
terra alquanto maggiore, codesta speranza della finale descrizione d'Italia
discender� in fedecommesso ai figli dei nostri figli.
Inoltre queste divisioni di paese cos� anguste e minute inv�lgono troppe
simiglianze e infinite ripetizioni. E poche sono poi le provincie che nel loro giro
compr�ndano le precipue fonti delle loro condizioni naturali e civili, in modo che
per darne ragionata contezza non si d�bbano inv�dere ad ogni momento i confini
delle terre circostanti.
Queste considerazioni dest�rono in alcuni studiosi di Milano il pensiero
d'inoltrarsi d'un altro passo, come a Firenze si fece in paragone di Pisa, e a
Padova in paragone di Firenze. In luogo di fare ogni anno qua e l� per l'Italia un
volume su la cent�sima o la trecent�sima part�cola del bel paese, parve convenisse
pr�ndere risolutamente un'intera regione, purch� potesse considerarsi sotto una
certa unit� di concetto, la Venezia, a modo d'esempio, o la Toscana - � il
principio da cui mosse il nostro lavoro.
� questa adunque una raccolta di notizie su quella regione d'Italia, naturalmente e
civilmente dalle altre distinta, a cui per singolari circostanze rimase
circoscritto il nome gi� s� vasto e vari�bile di Lombard�a. E intendemmo
adombrarvi, quanto per noi si poteva, l'aspetto geol�gico, il clima, le aque, la
flora, la f�una, lo stato della popolazione e l'ordinamento sanitario, i diversi
�rdini agrarj, il commercio, l'industria, il linguaggio, le or�gini prime e la
successiva cultura. Ciascuna parte dell'�pera venne conferita da persone
specialmente d�dite a quel g�nere di studj. Aggiungeremo inoltre che il nostro
libro, qualunque egli sia, non � fatto coi libri; le notizie geol�giche hanno per
corredo una speciale collezione di rocce e di f�ssili; le notizie sul clima, e pi�
ancora quelle sulle aque, comp�ndiano alcune migliaja d'osservazioni, continuate
per lunga serie d'anni; la nostra flora � tratta dagli erbarj raccolti di nostra
mano dalle paludi del Mincio alla cima delle Alpi R�tiche; la nostra f�una ann�vera
gli animali che ad uno ad uno possediamo.
Ma siccome codesti studj non �rano certamente intrapresi nel mero prop�sito d'un
libro d'occasione, cos� non pot�vano facilmente accozzarsi in un compiuto e
arm�nico edificio; ma dov�vano riescire piuttosto come pietre, che ognuno aveva
scavate e dirozzate, e che ora stanno qui deposte l'una accanto dell'altra, materia
prima d'una pi� vasta costruzione; intorno alla quale diremo quali s�ano i nostri
pensieri.
Noi vorremmo che, dietro l'esempio nostro, e con quei miglioramenti che il fatto
venisse additando, in ogni regione d'Italia s'intraprendesse una s�mile raccolta di
Notizie, le quali incominciate nella pr�ssima occasione o nella remota aspettazione
d'un Congresso scientifico, ven�ssero poi proseguite per Supplementi annui anche di
minor mole, in modo che, avviato una volta il lavoro nelle s�ngole parti d'Italia,
ogni anno dovesse arrecarci da ciascuna di esse altretanti man�poli di studiose
fatiche. Le lacune del primo lavoro, anzich� difetto, sar�bbero quasi addentellato
che invita all'�pera successiva. - Non � un libro, n� pi� d'un libro che noi
vogliamo aggi�ngere alla congerie scient�fica; - � un'istituzione che vorremmo
fondare.
I fini suoi sar�bbero grandi e molti. Recare alla scienza una perenne dote
d'accurati e sicuri fatti - recare alle s�ngole patrie municipali e alla patria
commune quell'�ntima e verace cognizione di s� med�sime, per la quale il p�blico
bene si pensa e si �pera entro i confini del poss�bile e dell'opportuno, e senza
mistura di mali; - aggi�ngere a molti un impulso perpetuo al lavoro,
coll'allettamento d'una vasta publicit� data al pi� minuto studio locale - indurre
gli studiosi a riv�lgere le loro fatiche a un oggetto determinato e arriv�bile, non
logorando l'ingegno in vasti e vani sforzi - risparmiare la ripetizione delle
stesse fatiche in diversi luoghi, di modo che il gi�vane, bramoso di farsi m�rito,
sappia sempre dove � un campo da coltivare e una lacuna da ri�mpiere - inf�ndere
agli studj nazionali quell'unit� e quell'efficacia che non deriva da v�ncoli
importuni o sospetti, ma surge spontanea dalla natura stessa delle cose di fatto,
le quali, essendo parti d'uno stesso �rdine universale, ri�scono spontaneamente
coordinate e concordi.
Non � assurdo il pensare che in quel modo in cui l'istituzione dei Congressi
scient�fici venne dalle altre nazioni alla nostra, cos� questa istituzione delle
Raccolte perpetue possa da noi propagarsi alle altre nazioni. Se cos� fosse, e se
in ogni distinta regione della Germania, della Francia, della Scandinavia, uno
stuolo di studiosi intraprendesse una collezione ordinata sopra un med�simo
disegno, e ognuna di queste nazioni offrisse annualmente il frutto di venti o
trenta raccolte, ciascuna delle quali fosse fatta da venti o trenta speciali
persone, � impossibile a dirsi qual tesoro di studj si potrebbe in breve tempo
accumulare. Mentre nella pi� parte delle societ� scient�fiche gli studiosi vanno a
riposare ed oziare, agli onori di questa vasta ma l�bera collaborazione avrebbe
parte solo chi fosse operoso, e a misura della sua operosit�. Migliaja di studiosi,
tranquillamente e senza alcun lontano o malag�vole accordo, potr�bbero dar mano a
un edificio, la cui base sarebbe l'Europa.
Questo pensiero, che nella sua vastit� � pur tanto s�mplice e f�cile, dovrebbe
raccomandarsi per s� med�simo di promotori e fondatori di codesta bella
consuet�dine delle annue adunanze; i quali non potranno dissimulare a s� med�simi
che l'opinione publica non se ne mostra peranco sodisfatta; poich� vede grande e
frondoso l'�rbore, e non conosce i frutti; epper� giustamente sospetta che la nuova
istituzione non apra tanto un campo alle fatiche quanto un teatro alla inoperosa
vanit�.
Per parte nostra, non ci faremo inanzi a pr�ndere il posto dovuto ai migliori; ma
procureremo di giustificare nella mente dei nostri concittadini la nuova
istituzione, col provar loro che pu� �ssere veramente occasione di studj �tili e
laboriosi. Dobbiamo aggi�ngere che il nostro pensiero venne alquanto tardi; che
trov� inaspettate contrariet�, che la cosa essendo nuova e indeterminata anche
nella mente di quelli che pur vol�vano condurla a qualche effetto, doveva produrre
molte esitanze; che ci fu necessario pur troppo d'accertar prima se l'opinione
p�blica avrebbe assecondato i nostri sforzi, poich� non era giusto che alla fatica
si aggiungesse anche altro pi� materiale nostro sacrificio; e per tutte queste
cose, solo alla met� dello scorso maggio fummo in grado di por mano alla stampa.
Nel coordinare i manoscritti si mir� principalmente a rim�vere tutte le ripetizioni
della med�sima cosa sotto diversi capitoli, colloc�ndola a preferenza in quello a
cui la cosa pi� specialmente apparteneva. Ogni memoria venne ridutta alla pi�
semplice espressione; e in ci�, i collaboratori mostr�rono la pi� generosa fiducia
e compiacenza all'amico, al quale avevano commesso questo delicato inc�rico,
persuasi che l'�pera dovesse riescire, per quanto si poteva, una concisa e
disadorna collezione di fatti.
Paghi del m�rito d'aver dato l'esempio d'un'impresa che speriamo non finir� con
noi, se i nostri successori con pi� bell'�rdine e pi� profondi studj oscureranno
questo d�bole e frettoloso nostro lavoro, noi ci rallegreremo sempre nel vedere
tanto pi� feconda la semente che avremo sparsa.

INTRODUZIONE

I.

Le Alpi R�tiche, che div�dono la nostra valle adri�tica da quelle dell'Inn e del
Reno versanti a pi� lontani mari, sono un ammasso di rocce serpentinose e
gran�tiche, le quali em�rsero squarciando e sollevando con iterate eruzioni il
fondo del primiero oc�ano, in quelle remote et� geol�giche, che s�mbrano ancora un
sogno dell'imaginaz�one. - Fu quello il primo rudimento della terra d'Italia.
Gli antichi sedimenti del mare, parte s'inabiss�rono e conf�sero in quelle vor�gini
roventi, aggiungendo mole a mole; parte riarsi e trasformati, ma pure serbando
traccia delle native stratificazioni, cop�rsero i fianchi e i dorsi delle emersioni
consolidate. Il t�rbido mare accumul� successivamente altri dep�siti, che si
colloc�vano in giacitura orizontale presso ai sedimenti anteriori gi� sollevati e
contorti; e mano mano che la vasta �pera delle emersioni si andava inoltrando e
dilatando, sollevati e raddrizzati anch'essi, si atteggi�vano in tutte le discordi
inclinazioni, che ci att�stano la successiva serie di quei rivolgimenti. Nelle
masse cos� deposte dominava, secondo la successiva natura delle aque, ora la
sustanza silicea, ora l'argillosa cementata di poca calce, ora la calcare.
Cos� fu costrutta la tr�plice regione dei nostri monti; nella quale i serpentini
verdastri e negreggianti comp�sero insieme ai graniti silicei la gran catena delle
Alpi R�tiche; le roccie trasformate e le arenarie rosse, rivestite al piede dalle
ardesie, form�rono, a guisa d'alto antemurale, la catena delle Prealpi Orobie;
nelle cui prop�gini pi� meridionali i sedimenti calcari e dol�mici costitu�rono un
altro �rdine di monti, d'altezza poco meno che alpina.
A perturbarne e rialzarne le estreme falde, sopravenne in era meno lontana una
seconda serie di moti sotterranei, s�mili a quelli che av�vano sollevato le interne
regioni. E prod�ssero quella interrotta zona d'emersioni piross�niche e porf�riche
che, come pi� fl�ide e meno silicee, sosp�nsero a minore altezza le masse delle
stratificazioni, fra le quali si ap�rsero il varco.
Nel corso dei s�coli le aque trav�lsero per il declivio dei monti alle pr�ssime
parti del piano i frammenti delle varie rocce. A poco a poco si colm� il golfo che
aveva deposto lo strato cretaceo, e che in m�rgine a quello accumulava i varj
conglomerati e le argille e marne subapennine. Le aque si ritr�ssero
dall'altopiano; e lungo il cammino dell'�ltimo loro soggiorno, il tardo osservatore
raccolse interi sch�letri di balene e delfini, e gli ossami degli elefanti che
vagavano per le circostanti maremme.
Le estreme convulsioni della volta terrestre sempre pi� s�lida e potente, nel dar
leva alle grandi moli dei monti calcari, prod�ssero le profonde squarciature dei
laghi; tortur�rono ed er�ssero le stratificazioni degli �nfimi colli; e qua e l�
sollev�rono a mir�bili altezze i frammenti err�tici, sparsi sulle spalle dei minori
monti.
Per �pera d'altre emersioni surg�vano intanto a levante, a ponente, a mezzod� le
terre della Venezia, della Liguria, del Piemonte. Il sublime arco delle Alpi era
proteso fra i due golfi, che l'Apennino aveva poscia divisi, sollevando in pi�
tarda et� le sue pendici ingombre dai sedimenti cretacei. Allora le onde del
Mediterraneo non perc�ssero pi� le falde delle nostre montagne; e la frapposta
regione fu un'ampia valle, aperta all'oriente, e cinta di continui gioghi nelle
altre parti.
Cos� �rano preparati i lontani destini del p�polo che doveva abitarla. - Le g�lide
Alpi la divid�vano dalle terre boreali e occidentali; l'�mile Apennino lig�stico
appena la dipartiva dalle riviere del Mediterraneo; il corso delle aque confluenti
in poderoso fiume la collegava all'Adri�tico; e ambo i mari la congiung�vano alla
bella pen�sola che t�ngono in grembo. - Anche la nostra patria era Italia.

II.

Ma nel seno stesso della valle cisalpina, quella parte che noi descriviamo sortiva
forme sue proprie, per le quali si distinse e dalla parte subapennina, e dalla
Venezia, e dal Piemonte. La catena delle Alpi, partendo dal M. Stelvio, scorre a
occidente fino al Gottardo; e quivi con s�bito �ngolo si volge poco meno che a
mezzod� fino al M. Rosa. Con altro simil �ngolo si dirama dallo Stelvio un'altra
catena, che si spinge ben avanti nella pianura, separando dalla valle dell'Adige i
nostri fiumi tributarj del Po. Laonde, se a ponente giganteggia il M. Rosa, a
levante s�rgono a pr�ssima altezza il Cristallo e l'Adamo. Questa Catena Camonia
non � alpe: non circonda l'Italia: solo divide l'interno e dom�stico dominio dei
due primieri suoi fiumi: ma nella maggior sua mole � costrutta delle stesse
emersioni serpentinose e gran�tiche; ed � ammantata di larghi ghiacciaj, e cos�
eccelsi, che, tranne il Monte Bianco e poche altre vette delle Alpi occidentali,
ella oltrepassa tutte le altre sommit� dell'Europa. - Per tal modo, dalle Alpi
Pennine alle Prealpi Camonie, un ampio semicerchio chiude a settentrione, e s�para
dal dominio non solo dell'Inn e del Reno, ma della Sesia, del R�dano e dell'Adige,
quella parte della regione cisalpina onde il Ticino, l'Adda, l'Ollio e il Mincio
disc�ndono al Po.

III.

Una zona di grandi e profondi laghi, che forma corda all'arco delle suddescritte
montagne, accoglie alle loro falde le piene precipitose, che i digeli e le piogge
chi�mano dalle riposte valli; e porge le aque rallentate e chiare ai successivi
fiumi; le cui l�mpide correnti, quasi nulla apportando e sempre togliendo, pot�rono
incavarsi il letto sotto al livello della pianura. E il m�rgine estremo di questa,
elev�ndosi alquanto anche su le pr�ssime campagne, � dur�vole monumento delle
alluvioni che quei fiumi diffond�vano lungo le loro sponde, allorch�, scendendo da
valli ancora senza lago, scorr�vano t�rbidi e superficiali, come vediamo i fiumi
alpini del Piemonte e i torrenti dell'Apennino, che ing�mbrano di continue ghiare
il letto del Po.
Bench� codeste alluvioni fluviali asc�ndano a enorme congerie, pure da tempo
immemor�bile il gran fiume non elev� il suo letto, come fu s� communemente supposto
e ripetuto. Le t�rbide fiumane dell'Apennino arr�vano in poco d'ora al Po; solo
quando esse vanno gi� declinando, si fanno minacciose le piene delle interne aque
del Piemonte; �ltimi sopragi�ngono il Ticino, il Mincio e gli altri nostri fiumi,
rattenuti e riposati nei laghi; e corrodendo con aque pi� gonfie che t�rbide le
recenti alluvioni, le sosp�ngono a poco a poco per l'alveo del fiume a colmare le
sue marine. - La stessa mir�bile successione di movimenti che conserva st�bile e
l�bero il letto del Po, ne m�dera eziand�o le aque; e anche solo a colmarne il
vasto alveo si sp�ndono gi� parecchi giorni di piena impetuosa.
La geograf�a dei fiumi, nascente ancora, si ristringe quasi solo a compararne le
lunghezze, e a dir maggiore il fiume le cui fonti sono pi� lontane dalle foci e pi�
spazioso il bacino, mentre anche per essi, come nei regni umani, la vastit� non �
misura della potenza. Il corso del Reno � lungo il doppio di quello del Po, ma il
volume d'aqua del fiume it�lico s�pera quello del Reno, anche dove il fiume
germ�nico, raccolti tutti i suoi tributarj e non per anco diviso, spiega il sommo
della sua pompa. - Ora, questo paragone dei fiumi simboleggia in breve f�rmula
tutte le circostanze fondamentali d'un paese.
Il corso continuo dell'Adda rappresenta uno strato aqueo, il quale coprisse a
not�vole altezza tutta la superficie del suo bacino; ma le aque che c�lano
annualmente nella Senna, diffuse su tutta la superficie del suo bacino, appena
giunger�bbero alla s�ttima parte di quell'altezza. Che avviene dunque delle piogge
che disc�ndono sotto quel cielo tanto men sereno del nostro? - Nel bacino della
Senna cade veramente men aqua che fra noi; e cade poi dispersa in minute e
frequenti pioggie, che anche nell'estate fanno tetro il cielo e fangosa la tetra,
svaporando largamente prima di gi�ngere al fiume, il quale appena riscuote dalla
vasta campagna un terzo della pioggia che vi scende. Nella nostra valle, la
stagione pi� piovosa � l'autunno; men piovosa � la primavera, meno ancora l'estate;
anche nella parte pi� bassa e aquidosa della pianura, il sereno regna la met� dei
giorni dell'anno; nella zona media, pi� della met�; sull'altopiano, pi� ancora; e
il maggior n�mero di questi l�mpidi giorni � nell'estate. Le aque sc�ndono adunque
in generose piogge; poca parte si sperde in vapori; il pi� scorre impetuoso ai
fiumi; onde il Po riceve la maggior parte delle aque pioventi nel suo bacino, e
l'Adda pi� ancora.
L'Adda non segue col suo deflusso l'andamento delle piogge, perch� queste pr�ndono
piuttosto forma di nevi, riservate ad alimentarla solo fra gli ardori della
successiva estate; cosicch�, p�vera nelle due stagioni piovose, si gonfia
costantemente in giugno e luglio. Il Po, che aggiunge allo stillicidio delle Alpi
il tributo meno glaciale degli Apennini, corrisponde all'andamento delle piogge,
gonfi�ndosi in primavera e in autunno, e rallent�ndosi fra gli ardori dell'agosto.
- Ma la Senna serba un tenore affatto inverso a quello dei nostri fiumi, poich�
s'ingrossa solo nella stagione invernale; quindi nella Sciampagna e nell'Isola di
Francia regna un �rdine fondamentale ben diverso da quello che vediamo nelle nostre
pianure.
Col� l'agricultura � raccomandata alla frequente e parca asp�rgine delle piogge
estive, e poco potr� mai valersi delle aque fluviali, poich� v�ngono meno a misura
che cresce il bisogno delle irrigazioni. Da noi l'estate � costante e �rida; e la
pianura err�tica e silicea potrebbe per s� inaridirsi, come le steppe del Volga,
che pur gi�ciono sotto questa med�sima latit�dine, se nei recessi della regione
montana non av�ssimo il tesoro dei ghiacci e delle nevi, onde le vene dei fiumi si
fanno pi� larghe col cr�scere dell'arsura. Ma poi le aque estive sar�bbero un dono
in�tile, se accanto alle loro correnti non giac�ssero vaste campagne, atteggiate a
mite e uniforme declivio, non formate di materie argillose e tenaci, ma sciolte e
�vide d'irrigazione; e infine sar�bbero men preziose ed efficaci, se f�ssero pi�
frequenti e sparse le piogge, e meno assidua la luce del sole estivo.
Finalmente i laghi nostri non hanno solamente uno specchio di superficie senza
profondit�, come il vasto B�laton; ma disc�ndono sino a centinaja di metri sotto il
livello del mare; e giacendo appi� d'alti e continui monti che dev�ano i venti
boreali, e sull'orlo d'un piano che s'inclina alle t�pide influenze dell'Adri�tico,
non g�lano mai. L'interna circolazione, promossa d'inverno dalla spec�fica gravit�
degli strati pi� freddi, e rallentata nella stagione estiva dalla comparativa
leggerezza degli strati pi� caldi, m�dera talmente la loro temperie, che a mediocre
profondit� si serba perenne e immut�bile. Queste masse d'aqua, incassate lungo il
m�rgine superiore d'una landa uniforme di materie err�tiche e incoerenti, non solo
si eff�ndono in fiumi, ma s�mbrano penetrare interne e sotterranee, stendendo fra
le alterne ghiare quegli strati aquei, che le annue nevi e piogge r�ndono pi� o
meno copiosi, e che per la successiva inclinazione del piano si fanno sempre pi�
pr�ssimi alla superficie. E forse nei primitivi tempi, quando l'arte non li
esauriva avidamente a sussidio dell'agricultura, riempi�vano di limpidi stagni le
pianure, non ancora spianate da secolari fatiche. Era questa dunque in or�gine una
larga zona di terre palustri, non per impedimento recato da suolo arg�lloso o
c�ncavo al corso d'aque fluviali, ma per ines�usto afflusso d'interne vene, che,
sgorgando dalla profonda terra, non ris�ntono i geli del verno, se non dopo lungo
soggiorno sulle aperte campagne.
Per tal modo le alpi eccelse e gli abissi dei laghi, i fiumi incassati e l'uniforme
pianura silicea, le correnti sotterranee e le aque t�pide nel verno, gli aquiloni
intercetti e le influenze marine, le generose piogge e l'estate l�cida e serena,
�rano come le parti d'una vasta m�china agraria, alla quale mancava solo un p�polo,
che compiendo il voto della natura, ordinasse gli sparsi elementi a un perseverante
pensiero. Altre mir�bili attit�dini delle terre, delle aque e del cielo si
colleg�vano a preparare le riviere del Benaco a un p�polo di giardinieri, che le
abbellisse d'olivi e di cedri; e chiamava un p�polo di vignajuoli a tender di viti
le balze su cui p�ndono i ghiacci della Rezia. Il progresso dell'incivilimento
dimostrer� con fatto posteriore, che in ogni regione del globo gi�ciono cos�
predisposti gli elementi di qualche gran comp�gine, che attende solo il soffio
dell'intelligenza nazionale. Da ben poche generazioni si accorse il p�polo
brit�nnico di vivere in mezzo ai mari chiamato dalla natura a navigarli vastamente,
e d'aver sotto i piedi i sotterranei tesori della forza motrice. - Perloch� pu�
forse avvenire che pi� d'un p�polo che largheggia con noi di superbi vaniloquj, non
abbia per avventura inteso ancora il verbo de' suoi proprj destini.

IV.

I primi u�mini che si sp�rsero per questa terra transpadana, vi si avv�nnero in due
ben diss�mili regioni di pari ampiezza, l'una montuosa, l'altra campestre. Le Alpi
sublimi, nevose, inaccesse, abbracci�vano un labirinto d'altre catene di poco
minore altit�dine ed asprezza, entro cui st�vano alte e rec�ndite valli, fra loro
disparate, chiuse al piede da laghi o da passi angusti, che nei tempi primitivi,
quando non v'era arte di capitani, oppon�vano impenetr�bile serraglio alle orde
vaganti. - La regione campestre, �rida e sassosa nella parte superiore, pi� sotto
era piena di scatur�gini e di ghiare aquidose, interrotta da dorsi di bosco,
asciutta ed aprica lungo gli alti greti dei maggiori fiumi, ma in preda alle l�bere
inondazioni nelle basse r�gone, e fra le curve dei loro serpeggiamenti.
Come vediamo tuttav�a nelle sparse reliquie della vegetazione virg�nea, surg�vano
nude le vette alpine, ammantati di p�scoli naturali i larghi dorsi della regione
calcare, irte di selve con�fere le somme pendici, pi� sotto frondose di faggi e di
betule, poi di quercie, d'�ceri e d'olmi, che ampiamente scendendo un�vano i monti
ai colli e all'altipiano, vestito d'�riche e sparso di rara selva. La campagna
uliginosa e le pingui golene dei fiumi dov�vano esser dense di s�lici e d'alni;
lungo le t�pide scatur�gini delle correnti sotterranee, doveva qua e l�
verdeggiare, e fors'anche nel verno, qualche spontaneo lembo di prato. Ma sui clivi
eretti al vivo sole, sulle miti riviere dei laghi ignare quasi di nebbie e di geli,
fra le suavit� d'una flora naturalmente australe, poteva facilmente mitigarsi anche
la fiera vita del selvaggio. - Folte turme di cervi, d'uri e d'alci dov�vano
p�scere la pianura, lungo i pl�cidi stagni ai quali il castoro lasci� il nome di
B�vera e Beverara; le generazioni, ora fra noi quasi estinte, de' d�ini e de'
camosci dov�vano animare il silenzio dei recessi montani. Ma solo l'amor della
caccia, o il timore dei nemici, poteva incalzare le prime trib� di rupe in rupe
sino a pi� di quegli �rridi precipizj, ove le vallanghe e la tormenta e il notturno
rintrono de' ghiacciaj atterr�vano le menti superstiziose, e dove il forte
alpigiano, che ha cuore d'inseguir veloce le pedate dell'orso, anche oggid� non sa,
in faccia alla taciturna natura, dif�ndersi da quella tetra e arcana ansiet�
ch'egli chiama il solengo.

V.

Chi f�rono i primi abitatori dell'Insubria?


� vano il cr�dere che l'Europa ne' suoi s�coli selvaggi fosse altrimenti dalle
terre che tali rim�ngono fino ai nostri giorni. L'Europ�o trov� l'Am�rica e
l'Australia in quello stato in cui pare che l'Asi�tico trovasse l'Europa. Qui pure,
prima delle grandi nazioni dov�vano �ssere i p�ccoli p�poli, e prima dei p�poli le
divise trib�. E ogni trib�, che abitava una valle appartata e una landa cinta di
paludi e interrotta di fiumi, ebbe a v�vere primamente solitaria di lingua e di
costume, nell'angusto cerchio che le segn�vano intorno le trib� nemiche. L'indagare
a quale appartenesse delle grandi nazioni che si sv�lsero poi nel seno dei s�coli e
delle lente preparazioni ist�riche, � prop�sito falso e inverso; � come investigare
da qual fiume der�vino i ruscelli, che al contrario c�dono dai monti a nutrire i
fiumi. Quindi sarebbe tempo ora mai, che non si andasse fantasticando se prov�nnero
dai Celti, o dagli Illirj, o dai Traci quelle primitive genti, le quali f�rono
lungo tempo avanti che l'incivilimento orientale, penetrando colle sue colonie, coi
sacerdozj, coi commercj, colle armi della conquista e colle miserie degli esilj e
della servit�, propagasse lungo tutti i mari e i fiumi d'Europa quell'arcana unit�
linguistica, che con meraviglia nostra ci annoda all'India e alla Persia; la quale,
con inferiori �rdini d'unit� sempre pi� divergenti, costitu� nel corso del tempo
ci� che noi chiamiamo la stirpe c�ltica, la germ�nica, la slava. Se v'� in Europa
un elemento uniforme, il quale certo ebbe radice nell'Asia, madre antica dei
sacerdozj, degli imperj, delle scritture e delle arti, v'ha pur anco un elemento
vario; e costituisce il principio delle singole nazionalit�; e rappresenta ci� che
i p�poli ind�geni rit�nnero di s� med�simi, anche nell'aggregarsi e conformarsi ai
centri civili, disseminati dall'asi�tica influenza. Le varie combinazioni fra
l'avventizia unit� e la variet� nativa si sv�lsero sulla terra d'Europa; non
approd�rono gi� compiute dall'Asia. Le grandi lingue si dil�tano in ampiezza sempre
maggiore di paese; e danno a p�poli di diversa e spesso inimica or�gine il mendace
aspetto d'una discendenza commune. La Francia, terra pur d'unit� e di centralit�
quant'altra mai, non cancell� ancora nel suo seno le vestigia delle quattro lingue
che C�sare vi ud� tra l'Adour e il Reno, ciascuna delle quali aveva gi� forse
sommerse e spente pi� favelle di primigenie trib�. In Haiti, la favella dei Bianchi
e il volto dei Neri dim�strano quanto sia grande il moderno errore di classare le
stirpi per lingue. In Germania sono evidenti reliquie di Celti, di Lettj, di Slavi;
la Germania non pu� spiegare, con ci� ch'ella crede sua prisca lingua, i nomi de'
suoi fiumi, e rare volte quello delle sue pi� illustri citt�. Quanto pi� si risale
la corrente del tempo, ogni nazionalit� si risolve ne' suoi nativi elementi; e
rimosso tuttoci� che vi � d'uniforme, cio� di straniero e fattizio, i fiochi
dialetti si ravv�vano in lingue assolute e indipendenti, quali f�rono nelle native
condizioni del genere umano.

VI.

Tutti gli scrittori, mentre p�rlano di colonie approdate in Italia dall'Oriente, e


di trib� venturiere discese tratto tratto dalle Alpi, d�cono pur sempre che
l'Italia ebbe pi� antichi abitatori. E per dinotare che parl�vano lingue proprie, e
non rifer�vano l'or�gine ad alcuna delle grandi nazioni allora fiorenti o fiorite
prima, li dissero abor�geni (Itali� cultores primi aborigenes fuere. Just.); li
d�ssero abitatori di monti, frugali, forti, agresti, duri all'armi, duri come le
r�veri delle selve native (durum in armis genus. Liv.; - duro de robore nati.
Virg.). N� quelle stirpi f�rono mai spente, n� cacciate altrove; e pi� volte
ristaur�rono la popolazione del paese aperto, esterminata da r�pide calamit�. E
tuttav�a le vediamo disc�ndere ogni anno ad ass�sterla nelle fatiche dei campi, e
tenerla a n�mero nelle arti delle citt�; - fondamento e nervo della nazione; -
principio sempre redivivo di quella variet� d'�ndole e d'ingegno, che ammiriamo nei
s�ngoli p�poli d'Italia, e che alcuni vanamente depl�rano. Codesta progenie fu la
materia prima, che l'influenza orientale impront� solo della sua forma.

VII.

Le rive del Po �rano note ai navigatori fin da quei tempi in cui pr�sero forma le
po�tiche legende della f�vola greca; e pare che sotto il nome d'Er�dano fosse uno
dei fiumi di quell'angusto orbe che la poes�a popol� de' suoi sogni. Ivi presso era
approdato Ant�nore, fuggendo l'Asia desolata; qui le El�adi si �rano consunte in
l�crime; qui la tradita Manto celava il suo nato nell'�sola del lago etrusco; qui
Cigno regnava sul fiume dei L�guri; qui Ercole, il s�mbolo della potenza fenicia,
nella sua via verso occidente, aveva incontrato "nella terra palustre (ch�ros
malthak�s) sparsa di sassi caduti dal cielo, l'es�rcito impert�rrito dei L�guri,
contro cui gli era vano il valore e l'arco" (Eschilo ap. Str.); questa era la terra
dove i Greci compr�vano l'elettro del B�ltico, e i cavalli che dov�vano v�ncere le
palme d'Olimpia. - Per tal modo il nome della nostra patria s'intesse ai primordj
dell'arti belle ed ai s�mboli dell'intelligenza nascente.
Quegli antichi Orobj, Leponti, Isarci, Vennj, Camuni. Trumplini, che si ascr�vono
alle nostre valli, sono ombre senza persona; gli scrittori nulla aggi�nsero al nudo
nome. Dissero solo che av�vano fondato la citt� di Barra, madre di Como e B�rgamo e
da lungo tempo perita. Forse era all'uso it�lico sovra ameni colli, presso Baravico
e Bartesate, appi� del Monte Baro, tra l'Adda e il Lago Eupili; e la prisca Como
era forse intorno al poggio del Baradello; e B�rgamo, pur sovra un colle, se non
trasse il nome dalla madre patria, lo trasse forse da quel Dio B�rgimo, al quale
nelle sue valli si p�sero tante iscrizioni votive. Ma quali pur si f�ssero quelle
vetuste genti, giova notare, con quali p�poli si p�sero in successiva �ntima
connessione, nel trapasso che f�cero dallo stato d'isolate trib� a quella vasta
orditura di cose, che le rese membra d'una gloriosa nazione. Solo dopoch� s�asi
annoverato quanto in esse penetr� d'adottivo e straniero, potr� forse per
eliminazione chiarirsi in qualche modo ci� che vi rimase di proprio e di nativo.

VIII.

Abbiamo gi� visto come il nome dei L�GURI si nasconda nella notte dei tempi. Quei
poggi dell'Apennino l�gure, che noi chiamiamo la Collina, si str�ngono ben presso
la riva del Po, contro la foce della nostra Olona; ambo le rive del Ticino �rano
popolate ab antico da un p�polo l�gure (antiquam gentem L�vos Ligures incolentes
circa Ticinum amnem. Liv.); antica stirpe l�gure si d�ssero i Taurini e gli altri
Piemontesi (In alter� parte montanorum... Taurini ligustica gens aliique Ligures.
Strab.); il nome dei Liguri nei Fasti consolari si stende fino ai p�poli del lago
d'Idro (Liguribus Stonis); si stende nelle valli del Taro e della Scultenna, lungo
il confine toscano; in una parola, pare diff�ndersi dapprima in tutta la valle del
Po, il cui pi� antico nome (Bodinco) � nella lingua dei L�guri, e a poco a poco
ristr�ngersi all'Apennino, come di popolo che da vaghe conquiste si raccolga per
infortunio di guerra all'asilo nativo. Perci� non diremo che gli abor�geni
dell'Apennino e delle Alpi f�ssero d'un'�nica stirpe o d'un'�nica lingua; questo
nome poteva indicare un nodo posteriore di religione, di conquista o di
federazione; poteva aver cominciato da loro; poteva aver cominciato da noi. Un
decreto del Senato Romano, scritto 117 anni avanti l'era nostra, nel comporre una
controversia di confini nella Liguria, annovera certi fiumi, che s�mbrano nella
stessa lingua in cui sono molti nomi di luoghi del nostro paese: (fluvius Neviasca,
Veraglasca, Tutelasca, Venelasca). Poco sappiamo di quelle antiche genti, non
illustri in arti e in l�ttere; ma pare che av�ssero lontane relazioni nell'Iberia e
con varj luoghi del Mediterraneo; pare che sin d'allora coltiv�ssero a ronchi le
pendici dei monti, che mun�ssero di mura le loro castella, in ci� mostr�ndosi al
tutto diversi dai Germani e dai Celti. Erano robusti, onde si diceva che gr�cile
L�gure valeva pi� che fort�ssimo Gallo; erano valenti frombolieri; portavano scudi
di rame; onde alcuni li giudic�rono Greci (Quia �reis scutis utuntur Gr�cos eos
esse ratiocinantur. Strab.); onor�vano un Dio Pennino, e gli intitol�vano i pi�
alti monti; ma questo nume era commune ai popoli c�ltici, come il Dio Camulo e il
Dio B�rgimo, il Dio Tillino e il Dio Nottulio; commune coi Celti era in alcuni di
loro il costume dei lunghi capelli (Ligures capillati); Walckenaer nota una
naturale loro alleanza con quelle nazioni. E finalmente i dialetti della Liguria
vivente hanno la propriet� commune ai nostri dialetti e ai piemontesi, e a nessun
altro d'Italia, dei due suoni g�llici dell'u e dell'oeu. - Diremo adunque che il
pi� antico v�ncolo di lingua e di costumi fu tra il nostro paese e la Liguria; e
che sembra gi� inv�lgere un pi� lontano nodo coi Celti.
Se verso il Ticino i nostri abor�geni si colleg�vano ai L�guri, verso le valli
dell'Ollio e dell'Adige, il nome degli Orobj trapassava confusamente in quello
degli EUGANEI, gente antica (pr�stantes genere Euganeos. Plin.), fondatrice di
molte p�ccole citt� (quorum oppida XXXIV enumerat Cato. Plin.), e aveva tutto il
paese che si stende fino al mare.
Lungo il basso Po fior�vano anche gli UMBRI, abor�geni pure, e tenuti i pi� antichi
d'Italia (Umbrorum gens antiquissima Itali�. Plin.); e avevano empito di citt�
(trecenta eorum oppida. Plin.) le valli del Tebro, e i gioghi dell'Apennino, e la
marina ove discende il Po, sino al Monte Gargano. �bbero arti e l�ttere e
monumenti; e l'�ndole loro era tale che pot�rono intrinsecarsi coi p�poli d'ambo le
estremit� d'Italia; onde ad alcuni p�rvero cong�neri ai Latini ed agli Etruschi, ad
altri p�rvero Pelasghi, ad altri Galli, non ostante l'uso non g�llico di murare le
citt� m�nime; e si volle che ne venisse ai p�poli della nostra pianura il nome
d'Isombri o di Symbri, dato dai Greci, non per� dagli Italiani, agli Ins�bri. Ma
questi scrittori, fra i quali Amedeo Thierry, non conosc�vano quella radicale
differenza di dialetti che distingue l'Umbria Tiberina dalla Mar�tima; nella quale
soltanto, e per posteriore influenza dei Senoni, rim�sero vestigia di Celti. Onde
se uno scrittore antico, ripetuto poi da tutti, li disse prop�gine di Galli, dinot�
forse solo il nesso loro coi p�poli dell'alta Italia.
Ma i VENETI approdati dall'Asia si �rano annidati nei porti della Laguna. Av�vano
lingua propria (sermone diverso utentes. Polyb.); e questa, nel trasmutarsi in
dialetto latino, conserv� quella m�nima variet� e somma dolcezza d'articolazioni,
per cui fa quasi un'isola linguistica fra gli aspri dialetti che si p�rlano lungo
il semicerchio delle Alpi. Il che palesa assurda l'opinione che i V�neti f�ssero un
ramo divelto dall'�rbore slavo (ein abgerissener Zweig der grossen Volkstammes der
Slawen. Mannert); poich� la stirpe slava, al contrario, spiega in tutte le sue
favelle la m�ssima attit�dine a moltiplicare e variare i suoi orali, sicch� si
potrebbe ben appellarla, fra tutte, la nazione pronunciatrice.
Una colonia orientale, sotto il nome di PELASGHI approdata alle foci del Po, vi
aveva fondato Spina; poi si era insinuata fra gli Umbri; e quindi per tutta
l'Italia meridionale, propagando istituzioni religiose e civili, e stringendo forse
quel nesso linguistico che congiunge il latino al greco, ed entrambo alle riposte
or�gini indo-perse.

IX.

Gli ETRUSCHI, le cui memorie cominci�vano milleducento anni avanti l'era nostra, si
dic�vano venuti dalla Lidia; ma Dionisio, nato in quelle parti, li giudic� diversi
da qualunque altra gente per lingua e costume. Onde, forse non venne dall'Asia il
p�polo etrusco, ma solo il consorzio sacerdotale, che ammaestr� le ingegnose trib�
abor�gene, e pieg� ad uso loro le forme indubiamente orientali della scrittura
etrusca, lasciando soprav�vere dei costumi nativi tuttoci� che non ripugnava alle
grandi iniziazioni sociali. Compiuto l'ordinamento delle d�dici rep�bliche di
Toscana, la lega etrusca, progressiva allora come vediamo oggid� le nazioni che
ri�mpiono di loro colonie l'Am�rica e l'Africa, spinse le armi al di qua
dell'Apennino fino all'Adige e alle Alpi, fondando altre d�dici citt�. - Ma se ci�
� vero, non si pu� spiegare come la terra toscana dischiuda tanto tesoro di
sculture, di pitture e d'iscrizioni, e nulla di ci� si scopra fra noi. Forse il
dominio etrusco fu qui poco pi� che mercantile e fluviale; onde Adria, �sola delle
lagune e citt� pi� marina che terrestre, ha bens� qualche reliquia di vera citt�
etrusca; ma M�ntova e F�lsina e le altre, per opposizione degli abor�geni o per
altrui rivalit�, non v�nnero a quella cultura ed eleganza onde fior�rono le interne
sedi della toscana potenza. E in vero, pare istoria di rivalit� moderne quella ove
leggiamo: "E se l'un p�polo (l'etrusco) tentava spedizioni verso qualche gente,
l'altro (l'umbro) si studiava impedirla; onde avvenne che i Tirreni avendo mandato
un es�rcito contro i B�rbari litorani del Po, e avendo vinto, e dopo ess�ndosi
nell'abondanza rilassati, gli Umbri li assal�rono. Dal che avvenne che in quei
luoghi si stabil�rono colonie tirrene ed umbre, delle quali maggiori f�rono le
umbre, per la vicinanza maggiore di questi p�poli".
Niebuhr, nel derivare il p�polo toscano dalle Alpi, non osserv� che i monti, su cui
la lega etrusca pose le sue mura suntuose (jugis insedit etruscis, Virg.), hanno
mediocre altezza, e i loro continui gioghi fanno quasi un'alta via tra valle e
valle. Al contrario i nostri monti prealpini hanno cime alte, fredde, inabit�bili,
che div�dono le terre e non le coll�gano; e le valli appartate, anguste, non
cons�ntono grandi aggregazioni di p�poli, e molto meno in tempi senz'agricultura e
commercio. Non sono questi i luoghi ove le menti pot�vano avvicinarsi e scaldarsi,
e inventar leggi senza esempio e arti senza modello, cos� lungi dal mare e dalle
vie degli altri p�poli civili. Se anche fosse vero che gli Etruschi f�ssero venuti
dai nostri monti, il che non � avvalorato da monumento alcuno, n� dall'aspetto e
dall'�ndole dei p�poli, n� dal testimonio delle lingue, ancora sarebbe solo una
materiale derivazione dei corpi, e non delle id�e, delle leggi, della societ�;
oss�a di ci� appunto che giova sapere.
Ma da qualunque punto si fosse mossa, codesta lega anse�tica dell'evo antico teneva
tutti i punti dell'Italia e delle �sole, e involgeva co' suoi commercj, co' suoi
riti, col suo diritto delle genti le trib� abor�gene, in tempi anteriori all'era
�talo-greca. Anzi pare che intraprendesse grandi �pere alle foci del Po, e
costruisse i primi �rgini sulle sue rive.

X.

La civilt� era dunque surta per noi tremila anni sono, fra il commercio dei Liguri,
deli Umbri, dei Pelasghi, degli Etruschi. L'arte di murare, ignota allora oltralpe,
la pittura, la modellatura, l'uso di conv�vere nelle citt� con gentili costumi e
pompe eleganti e spett�coli ingegnosi, di contrasegnare con monumenti le vicende
della vita p�blica e privata, di decorare con veste religiosa i provedimenti intesi
al progresso dei p�poli, avr�bbero in poche generazioni elevato a quasi moderna
cultura il nostro paese; e la navigazione tirrena l'avrebbe congiunto a tutte le
genti civili. La cultura del frumento era diffusa tra noi col culto di Saturno; i
colli �rano adorni di viti; e gi� il commercio recava ai b�rbari d'oltremonte
questi dolci frutti della civilt�. Ben altra sarebbe l'istoria d'Europa, e tanti
s�coli non sarebbero trascorsi st�rili e ciechi alle genti del settentrione, se gli
Etruschi av�ssero propagate sin d'allora lungo il Reno e il Danubio quel loro
vivajo di citt�, generatrici di citt�. Il principio etrusco era diverso dal romano,
perch� federativo e molt�plice poteva ammansare la barbarie senza est�nguere
l'indipendenza; e non tendeva a ingigantire un'�nica citt�, che il suo stesso
incremento doveva snaturare, e render sede materiale d'un dominio senza
nazionalit�.

XI.

�rano gi� corsi seicento anni dai primordj dell'era etrusca, e manc�vano ancora
altretanti ai primordj dell'era cristiana, quando una grave e dur�vole calamit�
ferm� il corso del nostro incivilimento, e differ� di quattro s�coli lo sviluppo
dell'intelligenza umana fra noi. Prima che la consuet�dine colle citt� etrusche
avesse terminato d'ingentilire i circostanti abor�geni, cominci� ad inoltrarsi fra
noi un altro principio sacerdotale, che dalle arcane sue sedi nell'Arm�rica e nelle
Isole Brit�nniche dominava vastamente una famiglia di nazioni, varie di lingue e
d'or�gine, ma tutte simili nell'inculto costume, e comprese dagli antichi sotto il
nome di Celti.
I Dr�idi non erg�vano, come gli Etruschi, i loro altari in suntuosi recinti di
citt� consacrate, ma nei recessi di vietate selve; e non volg�vano la religione a
sollievo ed ammaestramento della vita, ma col terrore di secrete dottrine
tramandate da bocca a bocca, e con riti crudeli, incaten�vano i p�poli a una prima
forma d'improgressiva civilt�. Immol�vano v�ttime umane; ora ardendo vivi i
proscritti e i prigionieri entro masse di fieno e di legna, disposte a qualche
forma di simulacri colossali (f�ni colosso... defixo ligno. Strab.), ora
consegn�ndoli a furibonde sacerdotesse, che li scann�vano sopra certe caldaie di
rame, e ne raccogli�vano in nefande p�tere il sangue. Altre maghe, tutte dipinte di
nero, scapigliate, nude, con faci in mano, celebr�vano riti notturni; altre, che si
chiamavano le Sene, fac�vano vita solitaria sugli scogli del mare, pronunciando nel
furore delle tempeste temuti or�coli. Le vite si redim�vano col sacrificio d'altre
vite; e i Dr�idi ne fac�vano mercato coi guerrieri arricchiti dalla vittoria; onde
nelle selve sacre si accumul�vano grandi tesori, che giac�vano all'aperto custoditi
dal terrore del luogo o sommersi nelle temute aque dei sacri stagni (en hiera�s
l�mnais. Strab.). Tutta la dottrina dru�dica instillava il disprezzo della morte; e
teneva le menti cos� fisse nel pensiero d'un'altra vita in tutto s�mile alla
terrena, che alcuni d�vano a pr�stito, con patto d'�ssere pagati nell'altro mondo.
Alla morte dei capitani si abbruci�vano col cad�vere i cavalli; e talora i seguaci
prediletti (servi et clientes quos ab iis dilectos esse constabat, un� cremabantur.
C�s.); talora le spose, per affettato sospetto di veleno. Ne ten�vano anche pi�
d'una; e av�vano sovr'esse e sulla prole diritto di vita e di morte (In uxores...
in liberos vit� necisque... potestatem. C�s.), e per provare la loro fedelt�, i
gelosi e fan�tici guerrieri talora leg�vano l'infante a una t�vola, e lo gett�vano
tra i gorghi d'un fiume; e se periva, lo av�vano per giudizio divino di non
leg�tima origine, e pugnal�vano la novella madre; la quale giaceva, durante la
stolta prova, nella pi� tremenda angoscia. Il padre non si curava altrimenti dei
figli, n� si degnava amm�tterli al suo cospetto, finch� non av�ssero et� da
comparirgli inanzi armati; onde era quello un v�vere senza alcuna dom�stica
dolcezza.
I combattenti decapit�vano sul campo i nemici caduti, e ne ostent�vano i teschj
confitti sulle lance, o appesi al petto dei cavalli. Ogni casa n�bile li serbava in
un'arca, n� a peso d'oro ne consentiva mai il riscatto (neque si quis auri pondus
offerret. Strab.); e ogni generazione si pregiava di recare altri crani ad
ingrossare quel tesoro di barbara gloria. I teschj pi� illustri, legati in oro,
st�vano nei templi ad uso delle sacre bevande. Alle porte delle case s'inchiod�vano
teste di lupi e d'altre belve; onde agli Itali e ai Greci, i quali sol�vano
rim�vere religiosamente dalle citt� ogni avanzo di morte, se pon�vano il piede in
un casale di Celti, pareva d'entrare in uno squ�llido ossario.
Viv�vano di pastorizia o d'inst�bile agricultura, senza citt�, senza privato
possesso, in clani, o communanze di famiglie, ripartite numericamente sulle terre,
come un es�rcito sotto le insegne, col d�bito di conferire certe misure di grano e
di birra e certo n�mero di montoni e di porci alla mensa del brenno, oss�a
pr�ncipe. Dimor�vano all'aperta, e per lo pi� lungo le aque, in tugurj rotondi,
costrutti di t�vole e graticci e terra pesta e con acuto tetto di strame; non si
cur�vano di supell�ttili, dorm�vano sulla paglia; mangi�vano a t�vole rotonde ass�i
basse, sedendo sopra man�poli di fieno, coi loro scudieri seduti in altro c�rcolo
dietro ai signori; bev�vano in giro a p�ccole e frequenti riprese, in una sola
conca di terra o di metallo; appena conosc�vano il pane; mangi�vano molta carne; e
ciascuno "ne prendeva a due mani un gran pezzo, e lo addentava come un leone"
(leontod�s ta�s chers�n amphot�rais a�rontes h�la m�le, ka� apod�knontes. Posid.
ap. Ath.); dopo il convito si prov�vano in duelli, che spesso �rano mortali, n�
altra pare l'or�gine dei gladiatori che tardi s'introd�ssero fra i Romani. Sulle
persone loro fac�vano pompa d'armi dorate, di collane e braccialetti d'oro, di
tracolle lavorate in argento e in corallo, strascinando al fianco destro lunghe
sci�bole, talvolta di rame temprato; port�vano saj vergati di spl�ndidi colori, e
grandi scudi quadrilunghi con imprese gentilizie, rozzamente dipinte o intagliate;
e sopra gli elmi affigg�vano figure d'augelli o di fiere, o alte corna di b�fali o
di cervi, e grandi pennacchj ondeggianti; nutr�vano lunghi mustacchi e lunghe
chiome tinte in rosso; e alcune nazioni si diping�vano d'azzurro le braccia e il
petto; combatt�vano pi� sui carri che sui cavalli. Talora nelle battaglie, per
insultare il nemico, o per brutale audacia, o per disperazione, gett�vano l'elmo e
il sajo, e combatt�vano nudi; tanta era l'esaltazione cavalleresca, nutrita in
quelle rozze menti dalle memorie dei feroci antenati, ripetute dai bardi adulatori,
che coll'arpa in collo err�vano di casale in casale. - Tutte queste usanze di
t�vole rotonde, di scudi blasonati, di cimieri, di trovatori, di duelli, e di prove
dell'aqua e del foco, non estinte nelle Isole Brit�nniche e non obliate mai del
tutto nelle Gallie, ripullul�rono nella nuova barbarie del medio evo; e ne scatur�
quella poes�a romanzesca, che i freddi poeti leg�rono in rima.
I Dr�idi, paghi di tener sotto il terrore dei loro misterj e delle formid�bili loro
maledizioni molte b�rbare trib�, e di tesoreggiarne le lontane prede, non si
cur�rono mai di partecipar loro quella qualunque scienza che av�vano; n� sap�vano
tampoco tenerle in pace, onde tutta la terra c�ltica era un campo di discordia, di
rapina e di sangue (In omni Galli� factiones. C�s.). Usc�vano tratto tratto da quel
perpetuo tumulto le trib� pi� m�sere o le pi� audaci, e and�vano altrove in cerca
di preda o di terre, ove pasturar bestiami, o sp�rgere le passeggere s�mine
d'un'agricultura vagabonda. Pare che la mano arcana dei Dr�idi reggesse quelle
lontane spedizioni; poich� dalla sede dei loro collegj le turbe conquistatrici si
�rano precipitate in Ispagna, in Italia, sul B�ltico, in Boemia, lungo il Danubio,
insult�vano agli Dei della Grecia in Delfi, s'accamp�vano sull'Ellesponto, e
preludendo alle crociate dei loro p�steri, fond�vano un regno g�llico nell'Asia
Minore.

XII.

Ma se i Celti non am�vano chi�dersi nelle citt�, non si pu� dire che le odi�ssero e
distrugg�ssero con quello stolto furore che mille anni pi� tardi si vide nei
V�ndali e negli Unni Scorrendo velocemente fra citt� e citt�, forse perch� non
sap�vano come espugnare quei ricinti di pietra (Gens ad oppugnandarum urbium artes
rudis... segnis intactis assideret muris. Liv.), and�vano a sorpr�ndere genti
lontane, e torn�vano onusti di preda. Quando poi le terre giac�vano desolate e
derelitte, allora qualche trib� dimandava di potersi accasare con patti di pace su
quegli spazi, che altri inutilmente possedeva (egentibus agro quem latius
possideant quam colant... partem finium concedant. Liv.). E cos� le antiche citt�
it�liche riman�vano come �sole solitarie in mezzo a lande, sparse di b�rbari
casali; e pot�vano udir senza spavento dalle mura le strane voci e i c�ntici di
guerra. Laonde, quando gli Etruschi, dopo aver lungamente conteso ai Galli le
nostre pianure (cum Etruscis... inter Apenninum Alpesque S�PE exercitus gallici
pugnavere. Liv.), si ritr�ssero nelle castella alpine, non solo M�ntova, Adria,
Ravenna, Ar�mino rim�sero salve, ma forse l�bere, o per noncuranza cavalleresca dei
b�rbari, o per condizione di pace, o per qualche antico nodo di religione o di
sangue che i nostri abor�geni av�ssero gi� con quelli dell'altro declivio delle
Alpi. M�ntova si conserv� divisa in tre stirpi, tra le quali la pi� potente rimase
quella degli Etruschi (Mantua tres habuit populi tribus, et robur omne de
Lucumonibus. Serv.). Melpo fu distrutta, ma solo due s�coli dopo. E in poca
distanza delle antiche citt� mercantili, i Galli el�ssero le sedi dei loro brenni e
delle loro adunanze militari; cio� Beloveso, poche miglia a ponente di Melpo, in un
casale posto l� dove il torrente S�veso, giunto sul piano palustre, prendeva forma
di continuo e pl�cido fiume; e gli diede il nome di Mediolano, commune a diversi
altri luoghi delle Gallie e della Britannia (Mediolanum, pagus olim; nam per pagos
habitabant. Strab.), e il nome di Breno rimase a una terra presso la citt� di
B�rgamo, e ad un'altra presso la citt� dei Camuni (Cividate), e ad altri luoghi del
nostro paese. - � uno stato di cose che si vede tuttod� nell'Asia Minore,
nell'Armenia, nella Persia, dove le citt� dei mercanti o degli art�fici hanno
diversa lingua, e spesso diversa religione dalle orde pastorali dei Turcomanni o
dei Beduini, che si att�ndano nelle circostanti campagne. - Cos� si visse tra noi
per quattrocento anni.

XIII.
Le orde g�lliche, varcato con z�ttere il Po, stabilite le trib� dei Boi e dei
Senoni intorno a Bononia e Sena G�llica, c�rsero lungo l'Adri�tico, spogli�rono
persino le citt� Italogreche, penetrarono pei monti in Etruria; colla stranezza
delle armi e la furia degli assalti abbagli�rono le legioni; e accampate nelle vie
deserte di Roma e sui monti d'Alba e di T�bure, e andando e venendo per la via
g�llica, devastarono il Lazio per diecisette anni. Ma nel calpestare quell'angusta
striscia di terra non sap�vano che vi avesse radice quell'irresistibile principio,
che dilat�ndosi avrebbe in poche generazioni divorato in Europa e in Asia la
potenza e la gloria de' Celti.
Roma ben presto si agguerr� a nuovi modi di vittoria. I Cisalpini, inferociti nei
disastri, si colleg�rono con tutti i suoi nemici, Etruschi, Umbri, Sanniti; ma
sempre soccumb�vano alla disciplina delle legioni e alle arti del Senato. Fra le
discordie g�lliche i Romani si ap�rsero il varco del Po; coll'aiuto degli An�mani
tragitt�rono sulla nostra pianura (223 a. C.); ma non pot�rono farsi strada, n�
tener fermo; patteggi�rono e retroc�ssero. Poi tosto, per accordo coi Cen�mani,
aperti i passi del Mincio, dell'Ollio, dell'Adda, irr�ppero repentini nell'alta
Insubria, trucid�rono le genti disperse ne' campi. I p�poli s�rsero in armi;
tr�ssero dal tempio della V�rgine gl'imm�bili vessilli d'oro (aureis vexillis qu�
immobilia nuncupant. Polyb.); sost�nnero con forze non intere un'aspra battaglia.
L'anno seguente, il brenno Virdumaro e il c�nsole Marcello s'incontr�rono sul campo
di Clastidio; si ricon�bbero allo splendor delle divise; il c�nsole trucid� il re
nemico; pass� il Po; sottomise Mediolano; port� in trionfo l'armatura dell'ucciso.
Roma pose due colonie di veterani in Piacenza e Cremona; ma f�rono tosto fieramente
combattute.
Comparve in quel mezzo Ann�bale a pi� dell'Alpi; si v�dero tra le foreste del
Ticino le seminegre trib� del deserto. A quell'annunzio duemila Cisalpini, che
costretti milit�vano nel campo de' Romani, si l�vano notturni, ne fanno strage,
p�rtano ad Ann�bale i teschj sanguinosi. Su la Trebia, gl'Insubri combatt�vano per
Cart�gine; i Cen�mani, per Roma. Sessantamila guerrieri, accorsi in pochi giorni al
grido della vittoria, s�guono Ann�bale in Toscana. Al Trasimeno, l'insubre Ducario
getta di sella e uccide il c�nsole Flaminio. A Canne, fra cinquantamila soldati
d'Ann�bale, trentamila �rano Galli; e deliberati di far disperata prova, v�nnero
nudi sul campo (Galli super umbilicum erant nudi. Liv.); quattromila vi lasci�rono
la vita; ma i cad�veri dei Romani, in quell'orrenda giornata, f�rono sessantamila.
- Quando Am�lcare venne in Italia, altri Cisalpini lo segu�rono; altri segu�rono
Magone sbarcato a G�nova; altri segu�rono Ann�bale in Africa, e mor�rono a Zama.
Venuta la pace, ancora un venturiero africano adunava sul Po quarantamila
guerrieri, distruggeva Piacenza, assediava Cremona, cadeva con tutti i suoi.
Un'altra battaglia si perdeva sul Mincio per nemicizia dei Cen�mani; in un'altra
per�vano pi� di quarantamila Insubri; rest�vano sul campo centinaja di bandiere,
centinaja di carri da battaglia, spl�ndide collane d'oro (Liv.); Como era presa con
ventotto castella de' suoi monti; un'altra giornata si combatteva sotto Milano; tre
es�rciti romani insanguin�vano ad un tempo la valle del Po; la resistenza era
ind�mita; pi� volte le legioni v�nnero conquise e trucidate; ma par�vano risurgere
dai sepolcri; e om�i riman�vano agli es�usti Cisalpini solo i vecchj e i fanciulli.
Ma quando Scipione entr�, con insegne spiegate, a m�ttere i coloni romani in
possesso delle divise campagne, i sup�rstiti delle 112 trib� de' Boi non r�ssero
all'amaro cordoglio, si m�ssero in turba, e varcate le Alpi N�riche, si disp�rsero
nelle selve del Danubio. Fra l'eccidio dei Senoni e la dispersione de' Boi, la
stirpe degli Insubri sopravisse (Senones... deleverunt... Boios ejecerunt...
Insubres etiam nunc existunt. Strab.).
La guerra arse ancora negli Apennini L�guri; la conquista di quel palmo di terra
cost� pi� di quella dell'Asia; Roma, non sapendo come mutar l'�nimo di quegli
u�mini ind�miti, ne trasport� quarantamila in Apulia. - Pi� lunga arse la guerra
nelle nostre valli alpine, sulle quali i pr�fugi Etruschi av�vano diffuso il nome
commune dei Reti. Anche dopo la sommissione della pianura, si dif�sero per un
s�colo e mezzo, dalle p�vere montagne scendendo a depredare la pianura (Lepontii,
Tridentini, Stoni et ali� complures exigu� gentes latrociniis dedit� et pauperes.
Strab.). Nel 164 (a. C.) un Tiberio penetr� in Val-Cam�nica; nel 128 un Marzio
vinse gli Stoni; nell'85 i Reti incendi�rono la colonia romana di Como; nel 42
f�rono sconfitti da Planco; nel 16 Silio dom� del tutto i Camuni e i Vennj; i
Trumplini furono venduti all'asta e dispersi in catena; l'anno seguente i due
fratelli Nerone e Druso comp�rono il loro trionfo sui Reti. La via dei laghi e
delle alpi era aperta per sempre (Iter supra montes... otim superatu difficile...
nunc tutum et expeditum... latronum excidio, viarum structur�. Strab.).
Fino a quel tempo le invasioni c�ltiche e anche quella dei Cimbri e dei T�utoni, se
non giung�vano a farsi strada per le Alpi occidentali, gir�vano pel Reno e per
l'Inn fino alle fonti dell'Adige o alle Alpi N�riche; la doppia fossa dei laghi
nostri e degli elv�tici e la fierezza dei p�poli chiud�vano le alpi a noi vicine.
Gi� fin d'allora i Reti �rano nelle valli dell'Inn, e gli abor�geni t�utoni in
quelle del R�dano e del Reno (Obsepta gentibus semigermanis... Veragri incol�.
Liv.).

XIV.

Ma molto avanti quell'�ltima conquista, gi� le nostre pianure �rano comprese nel
nome e nella legge d'Italia; nelle citt� nuove, in Placentia, Hostilia, Laude
Pompeja, Ticino, tutto era romano; le antiche, o come colonie o come municipj,
�rano ascritte alle trib� del generoso p�polo, alla Fabia, all'Ufentina, alla
Voltinia, alla Sabatina; suntuose vie militari, tratte a immensi rettilinei, le
congi�nsero tra loro e con Roma. - C�sare aveva atterrato l'imperio dei Dr�idi,
disperse le caldaje insanguinate e le fan�tiche sacerdotesse; le sacre selve
dell'�sola di Man, ov'era il gran collegio, f�rono incendiate da Paulino. Le
colonie romane intorno al Reno, C�ira, Costanza, Augusta, Basil�a, Strasburgo,
Spira, Vormazia, Magonza, Tr�veri, Aquisgrana, e quella che per eccellenza si
chiam� Colonia e divenne poi la madre delle citt� anse�tiche, f�rono le fondamenta
al tutto it�liche di quella nuova Germania, che dopo la linea del Reno s'inoltr�
successivamente a quelle dell'Elba e dell'Oder e della V�stula, apportando a quei
p�poli la vita della civilt�, e il retaggio dell'intelligenza, non bramato n�
conosciuto dai loro padri. I canali di Druso e di Corbulone insegn�rono ai B�tavi
come crearsi una terra fra le acque del mare. - Allora l'Insubria, che nell'era
etrusca era la favolosa frontiera del mondo civile, si trov� co' suoi laghi e i
suoi fiumi su la gran via delle nazioni, pot� st�ndere i suoi commercj alle Isole
Brit�nniche e all'Egitto, a C�dice e al Mar Nero.
I Romani risuscit�rono il principio etrusco, di�dero ai municipj un'autorit� su le
campagne; le famiglie opulente non v�ssero pi� in solitarj casali, ma in citt�
piene di commercj e di studj. "Quanta sia la bont� di quella regione si pu�
giudicare dalla frequenza degli abitatori, e dalla ampiezza e opulenza delle citt�;
nelle quali cose i Romani di quelle parti sovr�stano a tutti gli Italiani"
(Strab.). Troviamo ancora nelle l�pidi di quel tempo, i nomi delle famiglie
ins�briche, scritti con romano costume; Albucio figlio di Vindillo, Banuca figlia
di Mag�aco, Surica di Dunone, vestigia d'un passato che si va dileguando. La legge
romana sostitu� all'incerta communanza c�ltica il diritto di piena propriet�; e
cos� propose alle famiglie le grandi aspettative del futuro, le anim� alle grandi
�pere territoriali, alle irrigazioni, agli scoli. Le antiche arginature etrusche si
prolung�rono lungo l'alveo del Po; gi� Lucano le descrive. L'Insubria, gi�
vastamente irrigua (ob aqu� copiam, milii feracissima. Strab.), si coperse di
ubertosi poderi, che cons�rvano ancora i nomi delle famiglie innovatrici: Campagne-
Valerie, Villa-Pompejana, Isola-Balba, Balbiano, Corneliano, Albuzzano. Represso
l'uso delle prede, gli armenti celati nelle Alpi sc�ndono al piano; la palude
abitata da feroci cignali diviene pl�cida prater�a, dove i garzoni di Virgilio
�prono e chi�dono i rivi. I colli fioriscono d'�rbori frutt�feri (planities
felix... collibus fructiferis. Strab.); la vite delle Alpi R�tiche acquista grido;
il ciriegio, il p�rsico, il cotogno, il pomo d'Armenia sono propagati dai
giardinieri romani; il castagno dell'Asia Minore sale a nutrire i p�poli fin sulle
cime dei monti; l'olivo, che ai tempi di Beloveso era ignoto in tutta l'Italia, fa
molle contorno ai laghi, coltivato forse dagli agricultori greci che C�sare chiama
sul Lario, e che rip�tono nei nostri villaggi i nomi di Corippo, di Plesio, di
Picra, di Lenno, di Delfo, dei Corinti e dei Dori.
Ma pi� �ntima e pi� dur�vole fu la mutazione che la legge romana introdusse nella
vita dom�stica, annunciando alle b�rbare stirpi i sacri diritti delle spose e della
prole, i doveri dell'educazione, la providenza delle tutele, la libert� dei
testamenti, limitata dalle aspettative delle leg�time eredit�. L'ideale della
matrona romana non usc� dai serragli dell'Oriente, n� dai ginec�i della Grecia, n�
dalla c�mera servile e dalla turpe morgan�tica dei Celti e dei Goti; per esso la
donna di Virgilio si eleva ad immensa altezza sulle ancelle degli er�i d'Omero; in
esso sta il principio che distingue il contubernio dei b�rbari dalla famiglia
europ�a; � una vasta emancipazione che comprende d'un tratto la met� degli �sseri
viventi.
La Cisalpina ebbe adunque leggi, famiglie, municipj, strade, ponti, aquedutti,
�rgini, irrigazioni, magn�fici templi de' suoi marmi, terme, p�rtici, ville,
delizie d'arti e di fontane, teatri, librer�e p�bliche, grandi scuole, scuole ove
impar� un Virgilio. N� questo � il solo dei grandi Latini che nacque tra il Po e le
Alpi; ma Catullo, Cecilio, Tito Livio, Cornelio, i due Plinj. Insigni
giureconsulti, molti capitani e magistrati, alcuni imperatori di�dero lustro alle
nostre citt�. Ma lo splendore pi� puro e pi� dur�vole � quello che le l�ttere
diff�ndono intorno alle sacre dimore dei grandi ingegni. � un dolce e caro orgoglio
quello d'incontrare negli scritti ammirati dai s�coli i nomi dei nostri fiumi e dei
nostri laghi, del curvo Mella, e del pl�cido Mincio, dell'Eupili e di Sirmione,
ancora oggid� non bene �sola, n� pen�sola, ma dilettosa selva d'olivi. Nelle valli
dell'Adda troviamo ancora i vini r�tici, il mele nutrito dalla flora virginea delle
alpi; i vasi della verde pietra comense sul torno dell'alpigiano. Possiamo
ass�derci accanto alla fonte ammirata dal gi�vine Plinio, il quale descrive le
delizie del suo Lario con quella mano che fu la prima a dif�ndere, non per senso di
propria salvezza, ma di l�bera e generosa giustizia, l'innocenza del costume
cristiano.
Tuttoci� scaturiva da quel principio municipale in cui presso l'interesse al bene
stava l'immediata facult� d'operarlo. Il gran municipio di Roma porgeva agli altri
l'esempio d'ogni spl�ndida cosa. N� per certo avvenne mai che un p�polo possessore
di s� vasto dominio avesse tanta brama d'immortalarsi con �pere d'universale
utilit�, n� che la potenza andasse congiunta a tali e s� culte menti, quali si
v�dero in Catone, in C�sare, in Tullio, in T�cito; n� che u�mini, quali furono i
giureconsulti romani, conserv�ssero per una serie di s�coli dottrina di sapienti e
autorit� di legislatori.

XV.

Ma s'era quella una prosperit� nuova e grande per questa estrema parte d'Italia,
trattenuta in barbarie dai Celti, non cos� poteva dirsi della rimanente pen�sola.
La guerra sociale aveva abbattuto le bellicose contadinanze della prisca Italia.
L'intera patria d'un p�polo forte ved�vasi talora mutata in una squ�llida
possessione d'un solo patrizio, che non poteva sfruttarla se non colle braccia
degli schiavi.
I C�sari, come capitani del p�polo e promotori dell'emancipazione, si �rano recati
in mano il comando delle armi, il pontificato, il tribunato e altre dignit� divise
una volta fra molte famiglie; ma per non alienare l'opinione che aveva dato loro
quella potenza, esercit�vano le s�ngole parti di quell'accumulata autorit�, giusta
le antiche f�rmule consacrate dalla religione e dal tempo. - Pur tuttav�a non era
confidata loro dai senatori e commisurata, come quella dei moderni dogi; sotto nome
e modi di magistrato, era conquista di vittorioso nemico. Nel secreto delle menti
patrizie stava una profonda riprovazione, un indel�bile giudizio di illegalit�, una
ferma memoria dell'antica eguaglianza; epper� tra l'affettata popolarit� e le
parentele cittadine, il pr�ncipe confidava sopratutto nelle armi, e viveva nel
sospetto. Quindi tutto mirava a inspirare in quelle superbe famiglie uno sp�rito
togato; i patrizj non dov�vano frequentare gli es�rciti; gli es�rciti �rano
relegati lungo remote frontiere, dov�vano con�scere solo i loro capitani; la
milizia diuturna, perch� l'Italia non s'empisse di veterani pericolosi; dura e
p�vera, per la natura ancor selvaggia dei luoghi; molesta al cittadino, perch�
cresciuto alle largizioni, agli anfiteatri, alla l�bera garrulit� del foro. Di 120
Milioni di s�dditi che pare avesse l'imperio dei C�sari, si vuole che soli sette
av�ssero diritto di Romani; e questi non pot�vano dar mezzo milione di combattenti,
come si richiedeva a s� disparate frontiere, e a tanti presidj terrestri e
mar�timi. Fu necessit� ric�vere soldati d'altre genti, la cui mescolanza era
nauseosa all'altiero romano. Il moderno principio brit�nnico di fare una nazione
d'officiali e un'altra di gregarj, sarebbe stata pi� nell'interesse dei patrizj che
dei C�sari. L'es�rcito adunque in poche generazioni non conosceva p�polo, n�
senato; non era pi� romano; e dopoch� qualche conduttiere ambizioso seppe val�rsene
per gi�ngere al soglio, si vide troppo aperto che in tutto l'imperio non vi era
altra forza e altra legge che la spada del soldato. In meno d'un s�colo pi�
d'ottanta generali perirono, o nel tentare l'acquisto del regno, o nel dif�nderne
il fugace possedimento.
Allora Severo pot� insegnare a' suoi figli che il secreto unico della potenza e
della vita era il favor degli es�rciti; e in questa vor�gine i suoi successori
precipit�rono le finanze dello stato. Dopo il 200 dell'era nostra l'arte di regnare
in Roma fu quella sola di trar denaro dagli inermi per saziare gli armati. Le
grandi famiglie senatorie si estinguevano; la plebe romana si era sommersa fra pi�
milioni di venturieri, venuti dal Reno e dal Nilo, dal Tago e dall'Eufrate. Bast�
un c�mputo di finanza, perch� Caracalla accomunasse a tutto l'imperio la condizione
di cittadino, e rivelasse al mondo att�nito che quel p�polo non era pi�; ch'era
sparito colla sua favella e colla sua religione, lasciando sotto al suo nome una
colluvie d'ogni gente e d'ogni cosa.
Trascinati dal principio fiscale, gl'imperatori del s�colo III non cur�rono pi� le
strade e i porti, che av�vano dato un'ins�lita vita alle nazioni; le provincie
aggravate non �bbero forza di supplirvi; il commercio si aren�; le derrate
giacquero in�tili sui campi d'una provincia, mentre in un'altra si moriva di fame.
Per�vano i p�veri, impover�vano i ricchi; �vidi usuraj e magistrati impuni
spogli�vano migliaja di famiglie, e per semplicit� d'azienda inond�vano i latifondi
con turbe di schiavi; gli arati diven�vano inculta pastura; le reliquie dei l�beri
agricultori riservate a rinovare in migliori s�coli la nazione, appena si salv�vano
nei recessi degli alti monti, che non si ponno coltivare con braccia di servi; le
fami, le pestilenze, le fiamme dei b�rbari, le rapine dei masnadieri dirad�rono
rapidamente l'umana generazione.

XVI.

Intanto nella citt� si faceva sempre pi� ardua l'esazione dei tributi; e colla
miseria cresceva il fr�mito degli es�rciti affamati, e l'acerbit� e la disperazione
del fisco. I magistrati municipali �bbero a risp�ndere del proprio pei cittadini
insolventi; f�rono armati di tutti i diritti del fisco, ma occup�vano terre deserte
e case cadenti; si ostent� povert� per fuggire i gravosi onori. Allora il fisco li
conferiva per forza; prendeva i beni dei magistrati, poi quelli delle mogli, poi
citava gli eredi; un collega doveva pagare per l'altro; chi si recava in altra
citt�, veniva cerco e ricondutto. Alcuni si fac�vano soldati, e il fisco lo viet�.
In poche generazioni quelle magn�fiche signor�e, che ripet�vano con decorosa
moderazione nei teatri e nei palazzi dei municipj le lautezze di Roma, �rano un
branco di pezzenti gabellieri.
Intanto nelle campagne si numerava e si tassava ogni �rbore frutt�fero, ogni
tralcio di vite; la tassa delle piante che perivano, ricadeva sulle sup�rstiti;
allora il contadino, per sottrarsi alle esazioni, estirpava i frutteti e le vigne;
e la legge, che inseguiva l'ombra della fugitiva agricultura, puniva di morte la
morte d'una pianta. Se le tribolate famiglie si disperd�vano, la mano della legge
le riconduceva in catena; ogni contadino si registrava servo della sua gleba; e
surgeva un nuovo modo di servit�, che forse nell'Europa orientale era pi� antico, e
oggid� non vi � peranco estinto. Il demanio, possessore d'intere provincie, le
offriva indarno al primo occupante; vi trascinava dal confine i prigionieri
b�rbari, che condannati ad un'arte ignota nelle loro patrie, si sparg�vano
ladroneggiando, e vessando le reliquie dei veri agricultori.
Anche le arti delle citt� si spegn�vano ogni giorno. Sul principio del IV s�colo,
Costantino trov� necessario che ogni uomo salvasse l'arte sua tramand�ndola a' suoi
figli. Nessuno doveva adunque mutarla, nessuno sc�glierla a piacimento; e come il
discendente degli antichi signori era assegnato al servigio municipale, e il
contadino alla gleba, gli art�fici furono ascritti alla paterna officina, e i
nocchieri alla paterna nave; a tutti venne interdetta la milizia; e l'uomo che
nasceva per esser soldato si bollava sulla mano; la popolazione fu smembrata in
caste; le minute discipline, le aspre pene, gli usi, gli abusi, stabil�rono una
generale servit�. Questi �rano gli infelici s�dditi che i moderni ist�rici chi�mano
ancora i Romani, per dilettarsi a dire ch'erano i vinti. E chi era dunque stato il
vincitore?
Intanto i S�rmati ten�vano presidio nelle inermi citt� dell'Italia e della Gallia;
i Franchi av�vano in guardia, o piuttosto in preda, le frontiere del Reno; i Goti,
quelle del Danubio. Gli Alani del C�ucaso erano custodi del palazzo imperiale, e
gli �rridi Unni della Mongol�a si pasc�vano di carne cruda sotto i p�rtici di
marmo. I capitani di queste genti, Stilicone v�ndalo, Arbogasto franco, Allobego
alano, Fr�vita goto, Ricimero, Aspare, Ardaburo, �rano i veri signori dell'imperio,
perch� il dominio consiste nelle armi, e l'autorit� nella consuet�dine e nella
fiducia dei pr�ncipi. Essi fac�vano gl'imperatori, li disfac�vano, li uccid�vano.
L'�ltimo di quei simulacri di regnanti fu R�mulo Aug�stulo, figlio d'un Oreste,
venuto non si sa di qual nazione, e scriba d'Attila. - Infine le truppe mercenarie,
morendo di fame ai confini, cominci�rono a internarsi; si conf�sero colle orde che
dov�vano resp�ngere, e colle quali av�vano communanza di sangue e d'interesse; si
pr�sero, in luogo d'imposta prediale, una parte delle terre cogli schiavi e col
bestiame che rimaneva. E poich� la milizia si era cos� proveduta da s�, i tributi
f�rono in�tili; l'�pera della distruzione era compiuta.
Gi� fin dal 400 i nostri municipj �rano a tale che S. Ambrogio li disse cad�veri di
citt�. - Eppure il gran flagello di Dio non era ancora venuto.
Ancora dopo il passaggio d'Attila, la nostra Insubria nutriva qualche favilla di
studj; e in Pav�a nasceva Boezio che i Goti uccid�vano. Milano, sola forse tra
tutte le citt� dell'impero, si lev� in armi contro i Goti, per vana speranza
ch'ebbe di soccorso da Costantin�poli, la quale a dif�nderla inviava il goto
M�ndila. E il traditore spariva nel momento del per�colo; e i Goti, ingrossati dai
Burgundi, trucid�vano tutti quelli che non si salv�rono nei monti e nelle paludi.
La citt� nostra giacque smantellata, le vigne, gli orti, i broli, persino i paschi
si dilat�rono fra le sue ruine, e lasci�rono nomi di dolorosa memoria alle piazze e
alle vie; e rim�sero intorno alla squallida cerchia le sole bas�liche, fondate
sugli antichi sepolcreti, e risparmiate dai distruttori b�rbari, pi� forse che non
dai p�steri ristauratori.
Sette s�coli dopoch� la nostra terra era sottratta alla communanza c�ltica, e
consegnata ai municipj romani, tutta quell'�pera di civilt� pareva distrutta.
Ancora B�rgamo stava solitaria sul suo monte, e M�ntova fra le sue paludi; e in
mezzo alla campagna derelitta, si accampava in un recinto di legno qualche squadra
d'�ruli e di Goti, a cui la sorte (lot, loos) aveva assegnato i pochi r�stici e i
pochi bestiami, che sopraviv�vano su la vicina gleba. - Nei tempi anteriori, il
Celta viveva cogli u�mini della sua discendenza e del suo nome, aveva nel clano una
m�bile patria; e infine per ancorarsi a questa feconda terra aveva confitto in
luogo sacro gli imm�bili vessilli. Ma Ricimero, Stilicone, Odovacre, Clodov�o,
Hastingo, Rollo, Guglielmo, Tancredi, erano venturieri senza patria, che o
giur�ndosi a fort�iti capitani, o traendo seco fort�iti seguaci, pronti a dif�ndere
quals�asi padrone, a parlare qualunque lingua, a onorare qualunque Dio, non altra
legge segu�vano che quella della privata fortuna. Cos�, dopo che la fiscalit�
bizantina aveva annientato ogni umana libert� e dignit�, quei lacci ven�vano rotti
dall'opposto principio d'un ferino egoismo, che sprezzava ogni vestigio di civile
convivenza, e riduceva tutti i doveri dell'uomo a un patto di preda fra un capitano
e i suoi compagni.

XVII.

Ma in quelle citt� disfatte stava il germe d'una nuova e pi� �ntima associazione,
che nel nome d'un solo Dio e nella parola d'un solo libro aspirava a ricongi�ngere
tutte le nazioni d'Europa. Quando l'antico patriziato fu estinto, e fu tronca la
tradizione dei riti familiari, confiscata la terra sacra, gettato alla fornace il
bronzo dei simulacri e il marmo dei templi, sola rimase fra quella spavent�vole
dissoluzione la societ� dei Cristiani, che in Occidente era p�ccola e oscura, e
ristretta a pochi borghesi, forse di patria orientale e i pi� di greco nome.
L'antica sapienza civile in mezzo a tanta miseria p�blica doveva smarrirsi; non
poteva pi� dire come nel mondo vi fosse un principio regolatore delle umane cose.
Ma nella contemplazione d'un �rdine sovrumano, le sventure diven�vano prove e
occasioni di virt�; e un'intera vita d'indegno dolore diveniva parte e condizione
d'un'immortale esistenza. Si di�dero intieramente a questi pensieri tutti i pi�
f�rvidi intelletti. Milano, sede imperiale, e fino all'arrivo d'Attila meno m�sera
delle altre citt� d'Italia, albergava Augustino nativo dell'Africa, e Ambrosio
nativo delle Gallie; i quali, e per dottrina, e per nome, e per virt�, appena si
accost�rono alla societ� dei Cristiani, ne div�nnero i pi� autor�voli capi. Felice,
Bassiano, St�fano, Filastrio regg�vano la nuova fratellanza in Como, in Lodi, in
Cremona, in Brescia; le famiglie fuggitive la dissemin�rono fra i palustri ric�veri
della pianura e nelle interne montagne. Ma fu mestieri di quattrocento anni per
troncare del tutto le tradizioni abor�gene; alla fine del secolo VIII il culto di
Saturno sopraviveva ancora nell'estrema Val-Cam�nica (in curte Hedulio); e le trib�
dell'etrusca M�ntova �bbero una propria congregazione episcopale solo al principio
del secolo IX.

XVIII.

La religione c�ltica aveva le sue sedi nelle foreste, la romana nelle mura dei
municipj; e nei municipj le successe la cristiana; il v�ncolo morale fra le
campagne e le citt� si conserv� adunque ad onta dell'occupazione barb�rica. Al
ris�rgere della civilt� tutti i p�poli, i cui sacerdoti erano ordinati a Milano, a
Brescia, a Pav�a, div�nnero i Milanesi, i Bresciani, i Pavesi. Queste minute
nazionalit� cancell�rono ogni vestigio delle pi� antiche divisioni; n� pi�
l'alpigiano si segreg� dalla pianura, come al tempo degli Orobj e dei Reti. Pav�a
divenne capo delle popolazioni che dal basso Ticino sal�vano sino ai gioghi degli
Apennini; Milano, dalle campagne del Po sparse il suo rito ambrosiano fino ai
ghiacci del Gottardo; Como penetr� vastamente per le valli, dalle fonti del R�dano
fino a quelle dell'Adige; e quivi si trov� in confine con Brescia, ch'ebbe le valli
dell'Ollio, del Clisio e del Mella. B�rgamo seguiva tutto il corso del Brembo e del
Serio fin presso Cremona; e i suoi confini s'intrecci�vano intorno a Crema con
quelli di Piacenza e di Lodi. I dialetti che prima esprim�vano la sola origine dei
p�poli, si risent�rono di questi riparti municipali. Presiedeva alle chiese delle
citt� minori il v�scovo della maggiore; e perci� Milano ebbe primato in tutta la
Liguria e la Rezia, da G�nova fino a C�ira, e forse a Costanza; ma le successive
calamit� e poi le inimicizie municipali r�ppero quei v�ncoli; e Como, per sottrarsi
quanto poteva alla prepotente vicina, prefer� di sottostare al lontano patriarca
d'Aquileja.
Perloch� queste nostre citt�, piuttosto che cad�veri, erano corpi tramortiti. Tutte
le preci, tutte le scritture �rano nella lingua che i Romani av�vano dato
all'Europa; il nostro vulgo colla sua proferenza c�ltica mutilava le voci latine;
ma in quel dialetto poteva int�ndersi col vulgo vicino; e da plebe a plebe v'era in
potenza una lingua commune a tutte; le favelle della pen�sola non �rano pi� cos�
disparate come l'etrusca, la latina, la greca. V'�rano case e chiese, e avanzi ed
esempli di strade, di ponti, di mura; la vite era salita fino alle Alpi; l'olivo
aveva posto nido sulle riviere; il castagno pareva gi� un �rbore spontaneo dei
nostri monti; l'irrigazione non poteva cadere in obl�o. Le famiglie mercantili, e
nelle citt�, e nei rifugi dei monti e delle paludi, non perd�ttero le loro
tradizioni; e anche nel medio evo s�ppero trovare per la via delle Alpi le rive del
Reno, continuarvi l'oscuro loro tr�ffico, prestar l'ingegno e le braccia a
edificarvi chiese e castella, che a que' p�poli p�rvero fatte per opera d'incanto.

XIX.

Molti d�ssero che i Romani ammolliti dov�vano coll'innesto dei b�rbari rif�ndersi a
nuova virilit�. Ma quando v�nnero i b�rbari, nessuno poteva pi� dire d'esser
Romano; ogni lusso era estinto, e la gente indurita al disagio. E la forza militare
d'un p�polo non risiede nei m�scoli, ma nel consenso, nelle tradizioni, nella
disciplina; al che la presenza dei b�rbari nulla giovava, essendoch� la milizia
rimaneva privilegio dei pochi, e i molti non pot�vano dunque agguerrirsi. E i Goti
fuggiaschi inanzi alla ferocia degli Unni, div�nnero �rbitri dei nostri destini,
perch� la legge bizantina faceva privilegio di stranieri la milizia, onde non si
sapeva pi� come un uomo potesse divenire un soldato. I Goti, padroni dell'Italia e
delle cento sue fortezze, non s�ppero conservarla, e in sessant'anni il loro nome
era estinto; in Gallia soggi�cquero ai Franchi; in Ispagna fug�rono inanzi agli
Arabi, e perd�ttero ogni cosa in un giorno. - I Longobardi entr�rono chiamati: e
tuttav�a non �bbero mai forza d'occupar le marine, e di superare le nascenti difese
di Venezia e le mura inermi di Roma; e il loro dominio che cominci� col cranio di
Cunimundo, ebbe fine con una m�sera scena di vilt�.
Oltralpe i duchi pr�sero nome dai p�poli o dalle vaste terre; ma i capitani
longobardi s'intitol�rono dalle citt�; duchi di Spoleto, di Verona, di Brescia; il
che fa cr�dere che viv�ssero entro le mura urbane; soggiorno che doveva ammansare
il costume, e contribuiva, come le sedi episcopali, a conservare importanza ai
municipj. E questi sulle nostre pianure �rano cos� vicini che appena v'era alcun
luogo, che a distanza di qu�ndici miglia non avesse una citt�; e perci� gli �rdini
feudali non si radic�rono cos� assoluti, come l� dove le popolazioni riman�vano
senza moderatori o testimonj della loro oppressione.
Dopo Carlomagno, le famiglie longobarde f�rono guardate con sospetto; e il
predominio pass� nel sacerdozio, che, oltre al potere dell'opinione, acquist�
quello d'una possidenza, di cui nessuna legge limitava l'incremento. I conti e i
capitani dei Carolingi, o con voci moderne, i delegati provinciali e i commissarj
distrettuali, dopo l'editto di Kiersy div�nnero ereditarj; e verso il novecento,
l'abuso vincolava alle famiglie anche i beneficj ecclesiastici, sotto colore di
patronato. In mezzo a questi due �rdini di nuovi proprietarj, le discendenze
longobarde smarr�vano il nome e i possessi; e dopo il secolo XI � raro vedere nei
documenti chi dichiari di v�vere con quella legge. Nelle diete che si celebr�rono
sotto i Carolingi, la maggioranza era dei conti e dei v�scovi, e presiedeva il
v�scovo di Milano.
L'imperio romano si era sciolto per la cessazione dei tributi e l'occupazione delle
terre fatta dalle milizie federate. L'imperio carolino non si stabil� veramente
mai, perch� non pot� instituire st�bili finanze. Cominci� con un'invasione per s�
transitoria, che distrusse un regno senza fondarne un altro; ma la Chiesa adott� e
perpetu� gli effetti dell'invasione, val�ndosi dell'imperatore eletto e coronato,
come d'un capo della sua milizia; onde fu quello veramente, come sonava il suo
nome, un Imperio Sacro. I suoi luogotenenti, quando non �rano pr�ncipi potenti per
forza propria, �bbero nelle diete e nelle citt� quel solo potere che i prelati
consent�vano, e ch'era pur necessario per conciliare al clero l'ossequio della
moltit�dine feudale.
L'irruzione degli Ungari fu la prima occasione di risurgimento. Ogni abitato si
cinse di mura, ogni casato alz� una torre; l'Europa divenne una selva di fortezze.
Il v�scovo Ansperto ristaur� le mura di Milano alla fine del secolo IX; pochi anni
dopo, il v�scovo Ariberto devastava il territorio di Lodi. Quando i suoi cavalieri
feudali gli neg�rono obedienza, egli arm� la plebe cittadina, e combatt� a Campo
Malo la prima battaglia popolare. - Corrado il S�lico, geloso di quelle ins�lite
armi, lo imprigiona; ma egli fugge, gli chiude in faccia le porte della citt�;
sostiene un primo assedio; chiama dalla vasta sua provincia tutti gli u�mini atti
alle armi; e per dare a quella che fu la prima di tutte le moderne fanterie un
principio d'�rdine e di stabilit�, pianta un altare sopra un carro, e uno stendardo
sopra l'altare. Quello stuolo di divoti, che colla picca in mano si stringe intorno
al carroccio consacrato, � il primo rudimento della moderna societ�.

XX.

Un barone, ucciso un pleb�o, si offerse a pagar la multa dell'omicidio, giusta il


prezzo che il sangue dell'ucciso aveva nella tariffa della giustizia feudale. Ma il
p�polo fremendo si arm�, e uccise tutti i signori che incontr� per via; trov� un
capo in Lanzone, che lo condusse a diroccare le torri delle case feudali, fra gli
orti dell'ampia citt�. - Ariberto, meravigliato e dolente che l'uso delle armi
avesse tanto inalzati gli sp�riti della plebe, le tenne fronte; i suoi capitani
arm�rono contro la citt� tutti i servi del contado; e cos�, senza avvedersi,
prepar�rono quelli pure ad arm�gera e l�bera condizione. Inesperti degli assedj,
nella barb�rica loro inettezza f�cero un ridutto di legnami di fronte ad ogni porta
della citt�, st�ndovi a campo tre anni, e aspettando che la penuria domasse i
sediziosi; ma Lanzone corse in Germania a invocare presso l'imperatore il soccorso
delle leggi; onde gi� si palesava quella verit� cos� perpetua nelle istorie, che
gli interessi naturali del principato e dei p�poli sono in concorde opposizione
alla licenza feudale. - Irritato il p�polo dall'ostilit� non paterna d'Ariberto,
pass� di ragionamento in ragionamento; volle che le famiglie prelatizie, le quali
nel loro seno elegg�vano il v�scovo, rend�ssero conto dei beni sacri che
possed�vano per eredit� e simon�a; chiam� concubine le mogli dei beneficiati; li
strapp� dagli altari; li espulse dalla citt�; l'omicidio e l'incendio si sp�rsero
di villa in villa; Arialdo Alciato e i fratelli Cotta vers�rono il sangue in nome
della chiesa; Ildebrando gli �nimava da Roma al combattimento. - La contessa
Matilde, la doviziosa erede dei Longobardi di Toscana, divenne ardente nemica
dell'ordine feudale; le sue vaste donazioni ai Benedettini nella valle del Po
div�nnero asilo di schiavi fuggiaschi, che ristaurati gli avanzi degli �rgini
etruschi e romani, le mut�rono in ubertose possessioni. Cos� dissipato il
patrimonio feudale, cresciute di popolazione e di ricchezza, e redente dai patrizj
le terre della chiesa, cominci� quella gran mutazione dei servi in l�beri
contadini, che per otto s�coli si estese in Europa. - La prima onda di questa
corrente si mosse dalla nostra patria, poco dopo il mille.

XXI.

In quel s�colo le citt� d'Italia t�rnano ad �ssere stanza di p�polo armato. L'uso
delle armi ravviva il senso dell'onore, soffocato dall'oppressione bizantina e
longobarda; l'onore g�nera tutte le virt�; gli u�mini s�ntono di poter c�mpiere un
pensiero; e hanno l'audacia di concepirlo; le menti asp�rano a tutto ci� ch'� bello
e grande. Gi� Venezia colle ricchezze del suo commercio fonda San Marco; il
milanese Anselmo Baggio, v�scovo di Lucca e poi pont�fice, ed�fica in dieci anni
quel duomo. Pisa pi� gloriosamente fonda il suo, colle spoglie degli Arabi che ha
cacciati da Palermo. Tutto ci� avvenne una generazione prima delle Crociate, le
quali non f�rono dunque la c�usa del risurgimento europ�o, come la turba dei
ripetitori va tuttora scrivendo, ma ben piuttosto uno dei pi� pronti effetti, e il
primo esercizio d'una forza che si espande. - Il principio vero del risurgimento fu
nel leg�timo possesso della milizia popolare.
Nel 1075 Urbano II adun� sui nostri confini il concilio di Piacenza, e al cospetto
di duecento v�scovi e di quattromila sacerdoti fece giurare la crociata a
trentamila guerrieri. La canzone del passaggio, il grido d'ultreja, rison� per le
nostre citt�. - L'anno seguente egli raccolse in Arvernia il concilio di Clermonte.
Gi� in quella prima crociata (1096) si v�dero le famiglie milanesi dei Selv�tici e
dei Ro, e quella dei Rocj d'antico nome ricordato nelle l�pidi romane; Ottone
Visconti conquist� allora in Oriente lo scudo della serpe, che divenne la gloriosa
insegna dello Stato.
Nel 1106 Milano si elesse con nome antico due c�nsoli, e prese forma di stato con
un Consiglio maggiore e un Consiglio secreto o Credenza.
I primi c�nsoli dello Stato f�rono dell'ordine dei capitani, che aveva in eredit�
le antiche magistrature caroline, epper� grandi f�udi e numerose contadinanze.
Avvenne dunque che anco i minori gentilu�mini, o valvassori, a propria difesa
rend�ssero st�bile la loro adunanza feudale o Motta (Gemote, Meeting), e la
trasform�ssero in un magistrato di c�nsoli. E parimenti i mercanti e gli altri
cittadini non compresi nell'orditura feudale, �bbero un consiglio delle parochie
urbane, che si chiam� Credenza di Sant'Ambrogio. Questa giurisdizione consolare,
proteggendo abbastanza gli industrianti, rese in�tili le corporazioni e le
maestranze; e con ci� mantenne il foco sacro della l�bera concorrenza. Si svolse
cos� il nuovo diritto commerciale; e per l'universalit� delle sue forme e la
irresist�bile rapidit� della sua procedura, si divise affatto e dal diritto feudale
e dal can�nico e dal romano, il quale non poteva districarsi dalla lentezza delle
ambagi forensi. I mercanti lombardi, stabiliti oltremonte, tr�ssero seco i c�nsoli
di citt� in citt�, e propag�rono il nuovo diritto per tutta l'Europa. - Le tre
credenze consolari presied�vano a tre consigli, l'uno di quattrocento, l'altro di
trecento, l'altro di cento; e l'adunanza generale si chiam� degli ottocento. Ma
�rano sempre tre p�poli con diverso principio di vita, di leggi e di governo; l'uno
rappresentava la potenza territoriale, l'altro la forza militare, il terzo la
mercantile; e a parte rimaneva ancora il diritto can�nico con tutte le
giurisdizioni ed immunit� ecclesi�stiche. E non ess�ndovi un pr�ncipe, in cui
pot�ssero far capo i tre poteri civili, si cerc� al di fuori un gi�dice supremo,
che fosse patrizio d'un'altra rep�blica; e lo si chiam� podest�, perch� appunto
rappresentava la mano regia, e colla forza di tutti sanciva la commune volont�.
Cominci� un'era d'esaltazione bellicosa. In un castello del Lago Ceresio alcuni
Comensi av�ano ucciso due fratelli C�rcano di Milano; le v�dove e i congiunti
v�ngono sulla piazza del Duomo, mostrano al p�polo le vesti sanguinose degli
uccisi, implorando vendetta. Il v�scovo Giordano esce dal tempio, e pronuncia
l'interdizione dei sacri riti, finch� il p�polo non abbia lavato quel sangue nel
sangue degli uccisori. La moltit�dine armata assale Como; gli abitanti,
abbandonando a quel subitaneo furore la citt�, si rif�giano sulla rupe del
Baradello; poi, vedendo le fiamme accese dalla vendetta, si p�ntono della loro
debolezza; disc�ndono impetuosi; c�lgono i nemici fra la confusione della vittoria,
e li disp�rdono. Al ritorno, gli umiliati guerrieri gi�rano sull'altare di non
deporre le armi, se prima Como non � distrutta. Como arma tutti i suoi montanari,
dai confini del Vallese a quei del Tirolo; i Milanesi tr�ggono seco una lega di
d�dici citt�; navi armate comb�ttono sui laghi; art�fici genovesi fanno castelli da
guerra, e altre m�chine della romana milizia, obliate nell'abbrutimento dell'era
g�tica. I Comensi, ridutti all'estremo, s�lvano su le navi le mogli e i figli, si
chi�dono nel castello di Vico; e infine, dopo dieci anni di guerra, c�dono vinti, e
in�lzano intorno all'atterrata patria le capanne dell'esilio. - Si direbbe che
queste citt� inferocite c�rrano alla loro distruzione; eppure, fra quelle battaglie
il p�polo cresce; fra quelle depredazioni si svolge un'ins�lita prosperit�; e dai
s�coli precedenti a quel s�colo v'� un trapasso come dalla putr�dine del sepolcro
al fermento della vita.

XXII.

Quando Federico I, fatto re di Germania nel 1152, ebbe adunata la Dieta in


Costanza, due cittadini lodigiani si f�cero nel mezzo con una croce di legno su le
spalle, e gett�ndosi a' suoi piedi, invocarono giustizia contro Milano, la quale,
dopo avere om�i da quarantad�e anni distrutta la loro citt�, opprimeva i cittadini
dispersi nella campagna. Federico desideroso di ridurre a obedienza Milano, quando
venne a convocare la Dieta It�lica, sul piano di Roncalia alla foce della Nura nel
Po, fece umilianti comandi ai c�nsoli milanesi Oberto Dell'Orto e Gerardo Negro, i
due famosi autori dei libri del diritto feudale. Con quelle altiere intimazioni e
colle pi� altiere risposte si accese una guerra di trent'anni. - Tortona fu presa
per sete; i p�llidi e consunti guerrieri v�nnero accolti in Milano, che mand� le
milizie di quattro porte a rialzare a sue spese la smantellata citt�. Nel mezzo
dell'�pera gli alleati imperiali assalt�rono i lavoratori; alcuni capitani si
rifug�rono dal combattimento in una chiesa. I c�nsoli milanesi imp�sero loro una
nobil pena, affiggendo i loro nomi disonorati alle porte del duomo. - La piccola
Crema arrest� tutta la potenza dei feudatarj Germani e It�lic� per sei mesi; e
cadde con tutti gli onori dei prodi sventurati. - Sotto il castello di C�rcano, nel
Piano d'Erba, Federico rovesci� e prese lo stendardo sacro dei Milanesi; ma prima
di sera era fugitivo in Como, le sue tende �rano prese; i suoi alleati,
prigionieri. - Intanto un incendio distrusse i v�veri, accumulati in Milano per
res�stere all'assedio; Federico con centomila combattenti gir� vastamente tutta la
campagna, troncando gli �rbori, ardendo le case, mutilando chiunque apportasse
v�veri alla citt�, ch'era divorata dalla pi� aspra fame. Alla fine i cittadini
domati usc�rono dalle mura; s'avvi�rono al campo di Federico, che, ritr�ttosi a
venti miglia di distanza, aveva lasciato fra l'es�rcito e la citt� il vuoto spazio
della desolata campagna. Prima trecento cavalieri dep�ngono al suo piede le spade e
le insegne; poi viene lo stuolo dei personaggi consolari; poi il carro del sacro
stendardo; poi tutti i combattenti, emunti dal lungo digiuno, colla croce su le
spalle. Al suono delle trombe municipali, il vinto stendardo cade, lo sventurato
p�polo si atterra; i capitani vincitori r�stano att�niti e commossi al pianto. Il
solo Federico non si muta; comanda che i vinti colle loro mani abb�ttano ampiamente
le mura, perch� vuole entrarvi con tutto l'es�rcito in �rdine di battaglia. Avventa
le soldatesche contro la vuota citt�; e salve solo le chiese di Dio, fa di tuttoci�
che appartiene agli u�mini un c�mulo di ruine. I cittadini si sp�rgono pei campi in
tugurj di paglia.
Dopo che per cinque anni �bbero sofferto i pi� gravi disagi, apparve un giorno fra
i loro p�veri tugurj un frate del convento di Pontida, seguito da squadre d'armati
delle vicine citt�. Veniva a ricondurli entro le mura e a rialzarle. - Tre anni
dopo, la potenza e la perseveranza di Federico �rano finalmente domate sul campo di
Legnano; era seminata di cad�veri tutta la landa tra l'Olona e il Ticino; ed ei
lasciando in mezzo alla strage le sue armi e il suo cavallo, andava fuggitivo a
celarsi, come la tradizione narra, in una caverna. - Alla vittoria successe pi�
tardi la famosa pace di Costanza (an. 1183), che compose le ragioni dell'imperio
colle necessit� della guerra, in un modo che rammenta l'antico stato dei municipj
romani, accresciuto solo da un troppo largo arbitrio di pace e di guerra. Nell'anno
seguente Federico venne �spite a Milano; allora si vide rispl�ndere la cavalleresca
cortes�a dei tempi, e nel p�polo che lo accolse festoso, e nel pr�ncipe che
consent� a rialzare le mura di Crema, che aveva smantellate. Cos� dal seno della
distruzione surg�vano pi� forti e pi� belle, Milano, Crema, Como, Asti e Tortona;
il circ�ito di Milano era dilatato sino alla fossa che ora � navig�bile; Lodi
fioriva nella nuova sua sede sull'Adda; e la colonia municipale d'Alessandria
segnava sul T�naro il l�mite della feudalit� subalpina, ferma ancora nelle terre
del Monferrato e del Piemonte. Sulla nostra pianura era gi� tracciato il Naviglio
del Ticino, ancora studiato oggid� fra le meraviglie dell'arte moderna; pochi anni
dopo, il gran canale della Muzza faceva della pianura lodigiana un modello
d'agricultura, mentre al principio della guerra, tutto lo spazio fra Milano Lodi e
Pav�a era una cos� erma solit�dine, che quando vi fu condutto Federico
coll'es�rcito, cred� d'esser v�ttima d'un tradimento.

XXIII.

Negli anni seguenti, le famiglie tribunizie dei Marcellini e dei Cotta continu�rono
ad estirpare la feudalit�; abol�rono le tariffe che sembr�vano v�ndere la licenza
dell'omicidio; persu�sero ai valvassori di rinunciare i loro squ�llidi f�udi ai
capitani, per farsi l�beri u�mini del commune; inv�sero i f�udi del Monferrato e
della Savoja; e nel mezzo di quelli, costru�rono la rocca di Cuneo, asilo ai
fuggitivi. Federico II riaccese la guerra contro le citt� lombarde; trasse in
Lombardia le trib� �rabe della Sicilia e dell'Apulia. I nostri intr�pidi padri le
affront�rono a Camporgnano; allagarono di notte il campo nemico; lo avvilupp�rono
fra un labirinto di fossi. - In quegli anni si v�dero generosi fatti. Il p�polo
milanese, dolente dei soprusi feudali non peranco estinti, ricusava di pr�ndere le
armi contro i Pavesi, che devast�vano i poderi dei capitani. I gi�vani cavalieri
esc�rono senza il p�polo e resp�nsero i predatori; ma nell'ebbrezza della vittoria
non serbando gli �rdini della prudenza militare, f�rono raggiunti dai nemici nel
ritorno, e messi alle strette. A quell'annunzio il p�polo, imm�more d'ogni altra
cosa, corse alle armi, e giunse in tempo a salvarli (an. 1242). - Panera Bruzzano,
il pi� alto e pi� forte dei nostri campioni, sfidato sul campo a singolar tenzone
dal re Enzo, figlio di Federico, lo vinse e lo fece prigione. Ma i Milanesi, senza
far vendetta dei prigionieri slealmente uccisi, lo lasci�rono l�bero, a patto che
non portasse le armi contro la loro citt�. - Voleva il p�polo abolita la legge che
stabiliva a sette lire e d�dici soldi il valore della vita d'un pleb�o ucciso da un
feudatario. Uno dei signori da Landriano aveva ucciso a tradimento il suo creditore
Guglielmo Salvo. Il cad�vere sanguinoso, scoperto sotto un mucchio di paglia,
portato a Milano, ed esposto sulle piazze, accese di furore il p�polo, che cacci�
tutti i capitani; quindi and� di terra in terra ad espugnare le castella rurali. Si
f�cero molte paci; quella che fu detta di S. Ambrogio riconobbe nelle famiglie dei
cavalieri e dei cittadini egual diritto a tutti gli onori consolari. Ma la legge
b�rbara delle campagne, e la legge romana delle citt� non pot�vano stare in pace
sullo stesso terreno; la guerra era nella natura delle cose. Il p�polo cacci� di
nuovo i capitani; rifugiati in Como, li perseguit� e li espulse; ma nell'inc�uto
ritorno venne circondato fra le paludi di Prato Pagano, e ridutto a dure
condizioni. Vinse di nuovo, e cacci� i capitani, che invoc�rono il braccio del
terribile Ezzelino. Questi passa l'Ollio, l'Adda, giunge fino a Vimercato; ma le
milizie di tutte le citt� lo acc�rchiano; ripassa l'Adda, � raggiunto, un gi�vine
bresciano lo ferisce e lo atterra; condutto prigione nel castello di Soncino, si
squarcia le ferite e muore. Con lui cade la feudalit� nella Venezia, per frutto di
battaglie combattute sul nostro terreno.

XXIV.

Correva la met� incirca del s�colo XIII. Spuntava l'era moderna; �rano i tempi in
cui nacque Dante; omai la nazione italiana era adulta e cominciava un nuovo �rdine
di cose. Il p�polo colle armi alla mano aveva tratto dalla feudale ineguaglianza un
viver civile; ma la guerra, fra il risurgimento di tutte le industrie, tornava a
farsi arte; e i cittadini non pot�vano nello stesso tempo att�ndere ai mestieri
della pace, e pareggiare i gi�vani delle famiglie militari nel maneggio delle armi
e dei cavalli. I magistrati avr�bbero potuto agguerrire a spesa commune il fiore
della giovent� cittadina; pens�rono invece con fatale consiglio d'assoldare
cavalieri d'altro paese, non imbevuti d'odj c�vili. Il primo capitano del p�polo fu
Oberto Pallavicino, condutto per cinque anni. Col carroccio d'Ariberto era
cominciata un'era d'esaltazione morale; collo stipendio d'Oberto Pallavicino
ricominci� un'era di morale debolezza. D'allora in poi si vide un p�polo di
pazienti e ingegnosi lavoratori in lana, in seta, in armi di famosa tempra, in
metalli preziosi, esinanirsi nella fatica, in p�vere case, sotto crescenti gabelle,
colle quali i suoi capitani, ora guelfi ora ghibellini, pasc�vano squadre di
mercenarj d'ogni parte d'Italia e sopratutto Romani e Romagnoli, ma pi� spesso
stranieri, Catalani, Tedeschi, Guasconi, Bretoni, Inglesi, stradiotti d'Alban�a. In
ogni citt� v'era una o pi� fortezze; nel cui secreto le famiglie dominatrici
conduc�vano una vita impopolare, spesso nelle crudelt� e nelle dissolutezze,
nutrendo migliaja di cani e di falconi e sollazz�ndosi con nani e menestrelli.
Questa vita di sospetti senza pensiero e di splendore senza dignit�, durava finch�
un vicino pi� v�gile o pi� p�rfido, o infine un invasore straniero, collo
sproporzionato peso delle forze d'un regno, li snidasse da quelle tristi delizie, e
li precipitasse nell'antica oscurit�. "Tal fortezza fu a danno e non a sicurt� de'
suoi eredi, perch� giudicando mediante quella viver sicuri, e poter off�ndere i
cittadini e s�dditi loro, non perdon�rono ad alcuna generazione di violenza, talch�
perd�rono quello stato come prima il nemico gli assalt�..." (Macchiavelli).

XXV.

A domar l'�nimo bellicoso delle nostre plebi contribu� un'istituzione che cangiava
le arti in esercizio di penitenza. Prima ancora d'Ariberto (an. 1014), alcuni
cavalieri milanesi andati in Germania prigionieri d'Enrico I, e nel tedio
dell'esilio d�tisi a vita laboriosa, f�cero voto di perseverarvi anche r�duci in
patria. Il p�polo li rivide con meraviglia nelle vie della citt� con ampie vesti
pelose e berretti di straniera forma; si chiam�vano gli umiliati; e att�sero
all'arte della lana. In breve �bbero trenta case d'u�mini e trenta di donne; si
trapiant�rono in tutte le citt� d'Italia; Firenze deve loro quell'arte, che tanto
confer� alla sua potenza. Fond�rono ric�veri nei passi delle Alpi; e d'ospizio in
ospizio, difend�ndosi col nome della religione dai rapaci castellani che
intercett�vano le strade, contribu�rono a collegare l'industria di Milano colle
piazze del settentrione e del mezzod�.
Ma le austere opinioni insinuate per tempo nel nostro p�polo ferment�rono in sette
religiose, che annunci�vano la riforma della chiesa, del sacerdozio, della
magistratura, delle pompe cavalleresche. Il pi� formid�bile tra i riformatori fu
Arnaldo da Brescia, disc�polo prima in Parigi d'Abailardo, poi suo difensore. La
contrita e r�gida sua vita faceva meraviglia anche ai santi (Homo est neque
manducans neque bibens... habens formam pietatis... Cujus conversatio mel... cui
caput columb�. S. Bern.). - Quando il v�scovo di Brescia diede a un garzone di
d�dici anni una ricca parochia, Arnaldo rinov� le querele che Arialdo Alciato aveva
levate in Milano; inve� contro le famiglie, che vend�vano, infeud�vano, don�vano
come cosa propria i beni della chiesa: contro il pastore, che dava in f�udo a
cavalieri le regal�e della sacra mensa, per f�rseli vassalli, e adoperarli in
imprese profane e crudeli: contro i beneficiati, che viv�vano con lusso mondano, e
si ten�vano con t�tolo di spose le figlie dei potenti. Voleva che i beni della
chiesa f�ssero governati da un consesso di popolani, i quali, distribuito ai
sacerdoti un �mile alimento, e compiuti i sacri riti, larg�ssero il resto ai
poverelli di Dio. Ma i violenti consigli acc�sero la guerra civile; Arnaldo fu
costretto a fuggire sotto il peso di capitale accusa; sparse in Zurigo le sue
dottrine; err� per la Francia; e per� miseramente in Roma, consegnato da Federico I
a' suoi nemici. Nell'intervallo tra i due Federici, il nostro p�polo si ordinava in
sette di vario nome. L'inquisizione romana le represse col ferro e col foco; ma i
cavalieri ghibellini, nemici della chiesa, le ricett�rono nelle loro castella, le
prot�ssero armata mano, e cogli omicidj vendic�rono i supplicj. L'inquisitore
Pietro da Verona venne trucidato nelle selve del S�veso, un altro sul ponte di
Brera, un altro nella Valtellina.
Finch� il potere ondeggi� tra i cittadini guelfi capitanati dai Torriani e i
feudatarj ghibellini capitanati dai Visconti, la lutta delle opinioni dur� dubiosa.
Ma dopoch� la fortuna dei Visconti prevalse, essi m�sero ogni loro fiducia nelle
armi stipendiate e nelle fortezze, deprimendo con mano di ferro tutte le parti,
minacciando di morte chi solo di guelf� e ghibellini proferisse il nome. Quindi,
con industria poderosa e con vasto commercio di derrate e di banco, le citt�
lombarde non con�bbero quella l�bera cultura letteraria, che il governo popolare
per tre s�coli foment� in Firenze; sicch� parve che per fatto di natura l'ingegno
fosse pi� potente in Toscana che fra noi.

XXVI.
Verso i principj del dominio dei Visconti (an. 1311), troviamo fatta la pi� antica
menzione dell'uso delle bombarde, ossia delle artiglier�e, colle quali i Bresciani
si dif�sero contro l'imperatore Enrico di Lussemburgo. Nel 1331 se ne fece uso
all'assedio di Forl�; nel 1334 in quello di Bologna, la pi� antica memoria presso i
Francesi � del 1340; presso gli Inglesi, del 1343, alla battaglia di Cr�cy; presso
gli Anse�tici, del 1360. Circa 65 anni dopo l'assedio di Brescia, l'artiglier�a
prende a nuova perfezione dalla mano di Bertoldo Schwartz, che ne fu poi detto
inventore.
Dei Visconti i pi� f�rono d'�nimo grande; alcuni pochi f�rono d'abjetta e quasi
delira crudelt�. Ottone e Matt�o, fondatori di quella potenza, f�rono perseveranti
e destri nelle avversit� delle guerre e degli esili. Marco, prode cavaliero, vinse
gli Angioini sotto G�nova, il catalano Cardona sul Po, Enrico di Fiandra sull'Adda.
Azzone, signore di dieci citt�, e in aspetto om�i di regnante, favor� le arti,
chiam� Giotto a dip�ngere il suo palazzo, fece il ponte di Lecco, forse il maggiore
che allora fosse, coperse le cloache, inalz� la torre delle Ore. - Quando un
poderoso es�rcito di mercenari, congedato dal Signor di Verona, si prese a
condottiero il ribelle Lodrisio Visconti, e venne devastando orribilmente il paese
fino a Parabiago sull'Olona; col�, quasi su le med�sime campagne ov'era caduta la
potenza di Federico imperatore, si combatt� sulle nevi una delle pi� sanguinose
battaglie del medio evo. Gli stranieri av�vano gi� ucciso uno dei generali
milanesi, e preso l'altro, ch'era Luchino Visconti, quando la cittadinanza, agitata
dal per�colo di cader preda a gente senza legge e senza piet�, sopragiunse in
soccorso; strapp� Luchino di mano ai vincitori; fece prigione il vincitore
Lodrisio, al quale il clemente Azzone concesse la vita. Le menti infervorate nella
mischia v�dero il patrono del p�polo S. Ambrogio, il cui stendardo si portava nelle
battaglie, sc�ndere dal cielo, disp�rdere i b�rbari a colpi di sferza; e da quel
giorno su le monete e le insegne popolari il mansueto pastore si dipinse sempre in
atto d'impugnare quello strumento della vittoria.
I fratelli Luchino e Giovanni f�rono gentili �spiti al Petrarca. F�rono signori in
G�nova; e la loro insegna sventol� sulle navi che in Mor�a trionf�rono di Nicol�
Pisani. - Bernab� era l'ideale del ghibellino; non temeva n� gli u�mini n� Dio.
Quando i legati pontificj gli si f�cero incontro sul ponte del Lambro per
intimargli una bolla nimich�vole, egli impose loro di mangiar la bolla e i sigilli;
ed era uomo s� terr�bile che il suo comando fu obedito. Si compiaceva di
taglieggiare i poderi degli ecciesi�stici; e forse fu il primo che pareggiasse i
c�richi di tutti i beni, come ben tardi fece la rimanente Europa. Mentre a Trezzo
sull'Adda faceva gettare un meraviglioso ponte d'un arco solo, suo fratello
Galeazzo, ornando d'aque il parco di Pav�a, dava l'esempio d'un gran giardino a
paese; fondava l'universit� di Pav�a; mandava ambasciatore il Petrarca in Germania
e in Francia; e lo induceva ad abitar lungamente. ora in romita parte della citt�,
ora fra i solitarj prati di Linterno.
Galeazzo assediava Pav�a. L'austero agostiniano J�copo de' Bussolati esort� i
cittadini a non lasciarsi cadere in dominio d'un pr�ncipe. Quando li ebbe accesi
delle sue calde parole, aperte le porte da terra e dal fiume, li guid� ad assalir
le bastite nemiche, e le navi sul Ticino e sul Po. Vincitore, rivolse la voce
contro i Beccar�a, troppo pi� potenti che non la legge in quella citt�; i cittadini
gli si str�nsero intorno armati; egli elesse venti tribuni; e quando ogni tribuno
gli ebbe condutto cento armati, intim� l'esilio ai Beccar�a, distrusse le loro
case. - In un nuovo assedio, colle gioje offerte in sacrificio da tutte le donne,
compr� i soccorsi dal Monferrato, liber� la citt�. - Ma in un terzo assedio,
involto fra la pestilenza e il tradimento, infine si arrese; assicur� il destino
altr�i, solo per s� nulla stipulando; ma Galeazzo perdon� i suoi errori alla purit�
de' suoi costumi, e generosamente gli impose di ritirarsi in un convento.

XXVII.

Il pi� grande dei Visconti fu quel Gian Galeazzo, che primo si chiam� Duca, ed ebbe
l'�nimo di porre le fondamenta del nuovo Duomo, la pi� mir�bile delle costruzioni
cristiane; n� pago di ci�, vi aggiunse quell'altra meraviglia della Certosa di
Pav�a. - Il venturiero Giovanni d'Armagnac comparve a quei tempi sotto Alessandria
con diecimila cavalli e molte fanter�e, e insult� J�copo dal Verme chiuso nella
fortezza. Ma il valoroso capitano lo avvilupp�, lo disfece, e in pochi giorni prese
l'es�rcito e il condottiero, che ferito, e accorato di tanta ignominia, mor�.
Galeazzo pervenne a dominare trentad�e citt�, fra cui G�nova, Pisa, Siena, Perugia,
Assisi, Nocera, Spoleto, Bologna, Parma e Piacenza, la Terraferma V�neta fino a
Feltre e Cividale, tutte le pianure del Piemonte; era quasi il regno dei
Longobardi, ma pieno di ricchezze e di vita. Infine egli intraprese a stringere del
tutto la rep�blica fiorentina, occupando con d�dici mila cavalli e diciottomila
fanti tutti i passi dell'Apennino e dell'Arno. Voleva dopo la vittoria comparire ei
med�simo in Firenze, incoronarsi re d'Italia, quando la morte dissip� tutti i sogni
di quella grandezza.
Pi� magn�nimo che assennato, egli non vide con quali interni v�ncoli si
stabil�scono i regni; e morendo divise il dominio a tre figli minorenni; n� lasci�
loro altra sicurt� che la fede dei conduttieri. Tosto fu messo in brani lo Stato; i
Cavalcab� si f�cero signori a Cremona, i Benzoni a Crema, i Rusca a Como, i Sacchi
a Bellinzona, i Vignati a Lodi, i Suardi a B�rgamo, i Malatesti a Brescia, i Terzi
a Reggio e Parma e Piacenza; Facino a Novara e Tortona e Alessandria; Siena torn�
libera; il Monferrato ebbe Vercelli; e la v�dova di Galeazzo, per amicarsi i
V�neti, ced� loro Verona, Vicenza, Feltre, Belluno; e allora cominci� il dominio
v�neto in Terraferma, e un'era novella per quella rep�blica. Il solo J�copo dal
Verme ebbe pari il valore e la fedelt�. La discordia penetr� nella famiglia ducale
e nel consiglio secreto; Bucicault, luogotenente di Francia a G�nova, chiamato,
occup� Milano, spogli� i cittadini, fals� le monete, e venne discacciato. Il
gi�vine duca, libertino e crudele come Nerone, fu pugnalato da uno stuolo di
patrizi. Allora Filippo Visconti, sposando Beatrice Tenda, v�dova del conduttiero
Facino, acquist� le sue armi e le sue fortezze; e tosto con mir�bile velocit�
riebbe Vercelli, Como, Lodi, Crema, B�rgamo, Brescia, Parma, Piacenza, G�nova,
Savona, Imola, Faenza e Forl�. - Bisogna che le citt� una volta assoggettate o si
fac�ssero propense a quel dominio, pi� aspro che maligno, e veramente ben�volo
all'�mile industria e ai lontani commercj, o fossero attratte dalla vasta mole; le
amministrazioni �rano pur sempre municipali; e pareva migliore un pr�ncipe grande e
lontano, che un vicino e bisognoso oppressore.

XXVIII.

Era appena trascorso un s�colo, dacch� aveva cominciato la tarda libert� degli
Sv�zzeri; e gi� le loro fanter�e di bronzo pales�vano la debolezza delle soverchie
cavaller�e dei conduttieri. Dopo che Carmagnola e P�rgola �bbero ricuperate a
Filippo Visconti le valli della Toce e del Ticino, le armi loro f�rono troppo
vicine alle sv�zzere. Il primo incontro in quelle anguste gole riesc� arduo agli
u�mini d'arme; ma Carmagnola, capitano d'alto intelletto, fatti smontare i suoi, li
ricondusse alla prova, e ne usc� vittorioso; ancora oggid� presso la Chiesa Rossa
d'Arbedo si add�tano le tombe dei vinti Sv�zzeri.
Il pi� spl�ndido momento del dominio dei Visconti si fu quando, vinti e fatti
prigioni nella pugna navale di Ponza (an. 1435) i due re Alfonso d'Aragona e
Giovanni di Navarra della flotta di G�nova, la quale portava allora l'insegna del
serpente, gli illustri prigionieri f�rono addutti nel castello di Milano; dove il
nostro duca, con pi� cortes�a che arte di stato, li pose in libert�, e li onor� con
feste suntuose. - Languiva allora da molti anni, nel c�rcere di Monza, il gi�vine
cavaliero Venturino Benzone, che aveva militato nell'es�rcito del Carmagnola, gi�
divenuto nemico di Filippo, e passato al comando dei V�neti. La figlia di
Carmagnola lo voleva suo sposo; ma il vecchio Giorgio Benzone, padre di Venturino,
tuttoch� spoglio del suo principato e ramingo, sdegn� alteramente il parentado del
soldato, che nato contadino era salito a improvisa fortuna. Il disprezzato
Carmagnola si vendic�, abbandonando Venturino al nemico in una fortezza. Il
prigioniero, erede del ribelle signore di Crema, e preso colle armi alla mano
contro lo Stato, doveva morire; ma un zio, ch'egli aveva nella casa del duca, gli
implor� un indugio alla morte, e tanto fece che rimase obliato nel c�rcere.
Senonch� nelle spl�ndide giostre date ai re prigionieri, apparve un Gonzaga di
M�ntova cos� bello e prode cavaliero, che nessuno dei campioni del Duca pot�
tenergli fronte. Ne doleva fieramente al superbo Filippo. Allora il vecchio Corio,
il zio di Venturino, venne a dirgli che vi era pure nel suo Stato un guerriero, che
solo fra tutti poteva v�ncere la prova. Il duca tutto lieto acconsent�; Venturino,
tratto dal c�rcere, adorno d'armi preziose, comparve improviso nell'�ltima
giornata, come uomo che risurge dal sepolcro; rimand� sconfitto il Gonzaga; ebbe la
libert�, il dono d'un palazzo in Milano, e d'un castello nell'Astigiana; e spos� la
giovinetta del suo cuore, la figlia di Princivallo d'Asti.

XXIX.

Nel 1421, Carmagnola era entrato in Brescia colle armi di Filippo; cinque anni
dopo, nello stesso giorno (16 marzo), vi entr� colle armi v�nete; per sei mesi
ancora si combatt� intorno al castello; e solo al cader dell'anno Brescia fu
tranquilla. Ma in d�dici anni il generoso p�polo s'affezion� tanto a quella modesta
e non umiliante signor�a v�neta, che quando il Piccinino comparve con ventimila
u�mini per ricuperarla a Filippo, era troppo tardi. I Bresciani, sospese tosto le
dom�stiche inimicizie, profer�rono al magistrato i loro averi, spian�rono le case
dei sobborghi, mun�rono di ricche artiglier�e le mura; f�cero una compagn�a di
quattrocento che chiam�rono immortali, perch� altri dov�vano prender sempre il
posto dei caduti. Il nemico batteva le mura con ottanta cannoni; i cittadini
batt�vano le chiese ov'era alloggiato; ogni giorno egli scendeva dai colli a
comb�ttere; ogni giorno gli assediati usc�vano dalla citt�. Chiusi i tribunali e le
officine, rifugiati nelle chiese i vecchi e gl'infanti, tutti i cittadini �rano
sulle mura; tutte le donne, sotto il comando di Br�gida Avogadro, �rano tra il
foco, a sollevare i feriti, a dar mano alle �pere di difesa. Scaricate tutte le
artiglier�e per nasc�ndersi col fumo, Piccinino sbocc� dalle sue trinc�e, diede
l'assalto da due parti; fra il rintocco di tutte le campane e le grida delle donne,
cominci� all'alba un combattimento che arse fino a sera. Il nemico respinto batt�
le mura per altri d�dici giorni, poi le assalt� da tre parti; le artiglier�e dei
cittadini, mirabilmente appuntate, f�cero strazio delle file nemiche lungo il piede
della breccia; gli elmi infranti e sanguinosi �rano sbalzati duecento passi
lontano; infine la battaglia stretta sospese il foco; le donne vers�vano dalle mura
olio bollente e pece infocata; si combatt� fino a sera; poi tutto il d� seguente.
Piccinino aveva perduto settemila soldati; l'es�rcito fremeva dell'inutile sua
pertinacia; egli sciolse l'assedio, and� sul lago e sui monti; lasci� la citt� tra
la peste e la fame. - I V�neti mand�rono intanto su per l'Adige trenta navi; le
tr�ssero per terra dietro il monte Baldo; le lanci�rono inaspettate su le acque del
Benaco. I loro capitani, Tadd�o d'Este, Sforza, e Gattamelata, s'inoltr�rono nei
monti da una parte, mentre il bresciano Avogadro e il conte di Lodrone tent�vano il
passo dall'altra; ma un convoglio di v�veri scortato da mille cavalli venne
intercetto; le navi v�nete sul lago affondate o prese; Tadd�o d'Este prigioniero.
Allora tutto l'es�rcito v�neto si spinse nelle valli del Tirolo; i Bresciani
usc�rono dai monti; Piccinino preso in mezzo e disfatto si ripar� con dieci
cavalieri nel castello di Tenno. Ma nella stessa notte, l'astuto capitano,
giov�ndosi della breve statura che gli aveva dato il nome, si fece portar fuori in
un sacco, come cadavere d'un appestato. Gett�tosi in una barca, raccolse le sue
genti in quella stessa notte; e mentre il nemico lo credeva certa preda nel
castello, egli vol� a Verona, ove teneva secreti accordi; scal� le mura; prese la
citt�; ma non la fortezza. I V�neti delusi soprav�nnero a furia; Verona, perduta da
quattro giorni, fu ricuperata. - Intanto a Brescia si moriva di fame; l'inverno era
aspr�ssimo; non v'�rano v�veri, n� legna, n� strami; �rano agghiacciate le fosse
della citt�; e i nemici ad ogni istante sotto le mura. Attraverso alle desolate
campagne appena si poteva apportar combattendo qualche pane bagnato di sangue; met�
degli abitanti era perita, i sup�rstiti si sostent�vano d'erbe selvagge e d'animali
immondi. - Ma sull'aprirsi della primavera l'incostante Filippo richiam� Piccinino,
lo mand� contro Firenze; apparve sul lago una flottiglia v�neta; Garda e Riva
f�rono espugnate; Sforza vincitore pass� il Mincio a insegne spiegate. - I V�neti
invit�rono cento cavalieri Bresciani a ric�vere le pi� solenni grazie del doge.
Brescia rimase s�ddita; ma con autorit� di mutare le sue leggi municipali, e con
giurisdizione su tutto il territorio; il nome v�neto divenne pi� caro ai Bresciani,
che in tutte le guerre d'Italia e d'Oriente f�rono sempre pr�dighi a Venezia di
denaro e di combattenti. - I fatti di quell'assedio pr�vano due cose contro la
maggioranza degli scrittori: - che il fondamento del dominio v�neto non era il
terrore, ma una n�bile amicizia dei p�poli, - e che le guerre dei conduttieri,
prima della discesa di Carlo VIII, non �rano di giostre pompose, ma di fiere
battaglie.

XXX.

I Duchi di Milano non av�vano un potere nato coi p�poli e intessuto alla legge e
alla tradizione; �rano privati; posti per forza e per arte disopra agli eguali.
Quindi nelle case ghibelline uno sdegno di quella grandezza frodata; e nelle case
guelfe la fede indel�bile ch'era un diritto tolto alla chiesa e al commune. La
chiesa e l'imperio f�rono sempre i due divisi principj, all'uno o all'altro dei
quali corr�vano le menti, bisognose d'afferrare un filo di ragione e di stabilit�
tra le vol�bili fortune dei conduttieri. I Visconti, in mezzo agli u�mini d'arme e
alle fortezze, dov�vano ancora acquistarsi il t�tolo ora di Vicarj imperiali, ora
di Vicarj pontificj. Gian Galeazzo, egli che voleva morir coronato, pag� centomila
scudi d'oro il nome di duca. Quando il re Sigismondo scese senz'armi a c�ngere la
corona d'Italia, l'astro dei Visconti impallid�; gli eredi dei f�udi ghibellini
accorr�vano al suono del nome imperiale. Indarno il Petrarca gi� da lungo tempo
aveva detto ch'era un nome vano e un �dolo; intorno a quell'�dolo e nel suo nome
essi ritorn�vano eguali, eguali per un giorno, ai loro armati signori. - Non poteva
Filippo Visconti mostrarsi fra il tumulto di quegli omaggi; parer s�ddito; non pi�
pr�ncipe, ma gentiluomo di pr�ncipe. E si rinserrava tenebroso e torvo nel suo
castello di Porta Giovia, ad aspettare che quella pompa di teatro, quella fedelt�
di sediziosi trapassasse; e rimanesse la sola terr�bile realt� della spada e della
scure nella sua mano. Ma le famiglie riport�vano nelle interne case rinovata la
memoria d'obedire alla forza e non al diritto; e l'inusitata pompa la improntava
indelebilmente nelle �nime dei loro figli. - Tutte dunque le nostre istorie, cos�
sotto i C�sari come sotto i Duchi, e le due calamitose decadenze che segu�rono,
sono prove solenni che tra la forza e il diritto s'interpone un insuper�bile
abisso.

XXXI.

Alla morte di Filippo, alcune famiglie v�llero creare d'improviso una rep�blica
s�mile alla v�neta; ma �rano senza milizie nazionali, e i conduttieri di Filippo le
inv�lsero in mille tradimenti. N� un governo municipale d'una sola citt� poteva
trar seco le altre; e Venezia, che pur lo doveva, troppo tardi prese a str�ngerle
in lega. Tuttav�a per pi� di due anni si sostenne qualche sembianza di stato
popolare; non senza qualche prova di virt�. Vig�vano, una delle pi� industri citt�
del ducato, fece una valorosa resistenza a Francesco Sforza; si v�dero le donne
pr�ndere sulle mura le armi dei caduti, comb�ttere anch'esse; uno stuolo
d'assalitori, nel disc�ndere per le ruine entro la citt�, scivol� sul pend�o del
terreno l�brico di sangue, e stramazz� alla rinfusa; parve quello un prodigio;
parve che un'arcana mano li fermasse; s'arretr�rono tutti esterrefatti. Bast� quel
respiro a salvar la citt�, ch'ebbe il tempo d'arr�ndersi, e scansare gli orrori del
saccheggio. - Francesco Sforza entr� in Milano dopo l'assedio come Enrico IV in
Parigi; i suoi soldati, c�richi di pane, si lasci�vano depredare dalle turbe
fam�liche. Il primo pensiero del nuovo regnante fu di ristaurare il castello,
smantellato dai republicani; si vide che gli Sforza non vol�vano regnare sugli
�nimi e cogli �nimi; e il savio cittadino Giorgio Piatto predisse le sventure che
poi soprav�nnero. Sforza ebbe pace dai V�neti, perch� Costantin�poli presa allora
dai Turchi (an. 1454) chiam� altrove i loro pensieri. Francesco si mostr� sagace,
non aspettando che la rivale casa di Francia s'ingerisse del suo Stato, ma prese
l'�nica via di sicura difesa, ponendo egli le mani nelle cose di Francia; e mand�
suo figlio a socc�rrere Luigi XI, stretto dalla ribelle lega del ben p�blico. La
facilit� con cui le milizie italiane abbatt�vano le fortezze, fece stupore a quei
p�poli, e pales� tutto il vantaggio che l'inoltrata civilt� degli Italiani avrebbe
dato loro in lontane guerre! Il re ne diede grazie al duca con solenne ambasciata;
non second� le ragioni della casa d'Orl�ans sull'eredit� dei Visconti; e pose
Sforza in possesso di G�nova e di Savona; onde lo Stato Milanese ebbe di nuovo il
n�mero di qu�ndici citt�, fra le quali Parma e Piacenza, e quelle ora piemontesi di
Novara, Vig�vano, Valenza, Alessandria, Tortona e Bobbio. Ma il vecchio Sforza
tosto mor�; suo figlio, fedele ai pensieri paterni, difese la Savoja contro Carlo
il Temerario; ma poco di poi fu pugnalato nella famosa congiura di Lampugnano,
Olgiato e Visconti. Barbaramente pomposo, quando intraprese colla sua sposa un
viaggio a Firenze, con accompagnamento di cinquanta superbi corsieri, e d'una folla
d'u�mini d'arme, e di cortigiani ornati di collane d'oro e di velluti, con duecento
muli da c�rico, due mila cavalli e cinquecento coppie di cani, rimase umiliato
dalla modesta e delicata eleganza fiorentina. - Poco dopo la sua morte, gli
Sv�zzeri, discesi nelle valli del Ticino, tent�rono penetrare nelle Tre Pievi del
Lario; ma gli abitanti li c�lsero fra quelle strette e li resp�nsero. Il governo
Sforzesco volle snidarli allora anche dalla Leventina, il cui p�polo era secoloro
in alleanza. Il conte Torello con qu�ndici mila soldati e molte artiglier�e
s'inoltr� nelle valli; incontr� i Leventini, comandati dal capitano Stanga di
Giornico, che lentamente ritra�ndosi, lo condusse in un piano, inondato ad arte
colle aque del Ticino. Era tardo dicembre; la notte r�gida converse la valle in un
campo di gelo; all'alba i Leventini, correndo sul ghiaccio colle scarpe ferrate,
assal�rono gli u�mini d'arme, che non potendo reggersi in piede, cad�vano d'ogni
parte alla rinfusa sui loro cavalli, e sotto una frana di sassi, che i montanari
dirup�vano dalle imminenti balze. Ma il prode Stanga, c�rico di ferite, al ritorno
cadde moribondo sulla porta della paterna sua casa.

XXXII.

Il ducato era salito a mir�bile floridezza colle arti della lana, della seta, dei
metalli, e sopratutto delle armature; oltre a' suoi mercanti e banchieri, stabiliti
in Francia e in Germania, possedeva il porto di G�nova e si giovava di quello di
Venezia; l'Am�rica si scopriva a quei giorni, il Capo di Buona Speranza non era
ancora girato; e la linea dei nostri laghi e del Reno era la gran via del commercio
dall'Oriente alle Fiandre, ove fac�vano scala tutti i p�poli del settentrione. -
Nel condurre entro la fossa della citt� i marmi del Verbano, discesi pel Ticino e
pel Naviglio, il triviale ripiego d'una chiusa per superare il soverchio pendio
delle aque aveva a poco a poco fatto trovare la mir�bile invenzione delle conche;
per tal modo il Lario per l'Adda, e il Verbano pel Ticino, si riun�vano sotto le
mura della citt�. - Nell'architettura civile s'introduceva allora la varia e
signorile maniera bramantesca, che pu� dirsi propria di quel s�colo e del nostro
paese, e sola forse fra tutte le variet� di quell'arte si mostra piegh�vole in
tutto al moderno costume. Fioriva la pittura con Gaudenzio Ferrari, coi Luini, con
tutta la scuola di Leonardo, che dipingeva allora la sua Cena, e architettava la
c�pola delle Grazie. Le famiglie dei Piatti, dei Calchi, dei Grassi fond�vano
scuole di l�ttere e di scienze dove l'insegnamento del c�lcolo e della geometr�a
diveniva un sussidio alla potenza industriale. D'ogni parte fiorivano le l�ttere
italiane e latine; e nelle nostre chiese si v�dono i sepolcri degli �suli greci,
che diffond�vano colla loro lingua la variet� e libert� dell'antica filosofia.
XXXIII.

Ma gli Sforzeschi, gi� pericolanti per l'usurpata eredit� dei Visconti, accr�bbero
il pericolo colle discordie, v�llero spogliarsi anche fra loro; e tr�ssero sopra il
loro capo e sopra la divisa Italia la pi� spaventosa tempesta. L'Italia era piena
di forze e d'ingegni; per tutto ci� che nella milizia di mare e di terra � arte,
superava di lunga mano tutte le nazioni; ma ogni cosa era inst�bile e arbitraria;
ogni pr�ncipe aveva disegni suoi; ogni capitano, che avesse una bandiera di
soldati, non viveva senza speranze di conseguire coll'arte o colla forza un
principato. La rete d'una pol�tica inestric�bile invilupp� mani e piedi alla
nazione, che fu da inetti nemici barbaramente spogliata e insanguinata. Lo Stato
sforzesco era una raunanza di municipj senza nodo di consenso; anche le menti
migliori pens�vano alla propria citt�, nessuna alle altre, nessuna allo Stato. E
sempre risurgeva la fatale difficult� d'un governo, che, non avendo radice nelle
tradizioni e nelle opinioni, non nutriva fiducia nei s�dditi; li amava pi� divisi
che un�nimi; pi� inermi e dappoco, che guerrieri e risoluti; riponeva sempre il
sommo della speranza nelle castella e negli u�mini comprati. E gli Sv�zzeri,
comprati da Ludovico il Moro, a Novara lo vend�ttero a' suoi nemici. In pochi anni
tutte le citt� v�nnero saccheggiate e contaminate ad una ad una. Lodi in trent'anni
circa fu presa qu�ndici volte: fu saccheggiata da Sv�zzeri, da Spagnoli; fu campo
di battaglia tra Spagnoli e V�neti. Le famiglie seminude fuggivano a Crema. Durante
la lega di Cambray, i Cremaschi, disperando della fortuna di Venezia, accett�rono
presidio francese: ma v�nnero disarmati e depredati; si cacci�rono dalla citt�
tutti gli u�mini dai 15 ai 60 anni. Cittadini e contadini la ripr�sero allora
valorosamente ai Francesi; assediati di nuovo dagli Sv�zzeri, li sorpr�sero e
tagli�rono a pezzi a Ombriano. Ma la guerra aveva desolato le campagne, e dissipati
i capitali; e la peste in cos� angusto territorio divor� 16,000 persone. Le donne,
i fanciulli, le monache stesse fuggivano d'ogni parte a Lodi; non si pu� dire in
quale delle due citt� si vivesse peggio. Il pi� lungo strazio fu in Milano, ove,
dopo una pestilenza che aveva distrutto cinquantamila abitanti, gli Spagnoli
impervers�vano rubando, uccidendo, estorcendo denaro colle catene e coi tormenti,
prendendo in pegno le donne, costring�ndole a portar terra alle fortificazioni,
spogliando ignudi la notte quanti incontr�vano per le vie, scalando le finestre, e
trucidando chi gridasse o resistesse. Le nazioni che f�cero s� indegno scempio d'un
p�polo che non le aveva offese, e che colle arti, colle l�ttere, colla scoperta
d'un nuovo mondo le onorava e beneficava, non hanno veramente a risp�ndere di
quegli eccessi ora troppo lontani e sommersi tra le memorie del passato; ma
dovr�bbero almeno vergognarsi di vituperarne le v�ttime e di commendarne gli
autori.

XXXIV.

Il ducato non mancava di forze militari; aveva tesori d'industria, tesori di


cr�dito; ancora le vie di Parigi e di Londra p�rtano il nome de' banchieri
lombardi; lombardo in Francia suonava banchiere; e chi aveva denaro aveva soldati.
Non era il p�polo di Francia che combatteva le battaglie de' suoi re. Quando
Francesco discese in Italia, aveva 22 mila fanti tedeschi, e poche centinaja di
gendarmi francesi; e ancora in quel corpo non francese, l'anima, la mente era
italiana; era Trivulzio, l'implac�bile nemico della fortuna sforzesca. Trivulzio
deluse gli Sv�zzeri che av�vano chiuse le alpi, finse d'avviarsi per le consuete
vie; ne divis� altre nuove e inaccesse; scav� le rupi come Annibale; trasse i
cannoni a braccia come Napoleone; come falco che piomba dalle nubi, sorprese
Pr�spero Colonna seduto ne' quartieri di Villafranca; con una corsa senza battaglie
mise il re di Francia in Milano. Fu l'es�rcito v�neto che minacciando gli Sv�zzeri
alle spalle, li costrinse a sv�llere le bandiere dal campo di Meregnano. Fu
Pr�spero Colonna che alla volta sua piomb� sopra Milano, quando Lautrec dormiva; e
gli Spagnoli che saccheggi�rono Como, �rano suoi soldati. Ma gli Stati d'Italia non
av�vano un principio civile, il quale potesse unire questi prodi sotto un'insegna,
che non fosse quella dell'odio dom�stico o della privata fortuna; v'era una
tradizione di diffidenza e di perversit� nei consigli delle corti. Poco prima della
prigion�a del Moro, seimila ghibellini si arm�rono in odio al Trivulzio, lo
cacci�rono di Milano; ma Ludovico non bad� a quel valore; mercantava in quel
momento med�simo gli Sv�zzeri che dov�vano tradirlo. Il cancellier Morone cacci�
un'altra volta Trivulzio colle forze dei cittadini; poi li condusse alla presa
d'Asti e d'Alessandria; poi colla voce del frate Andr�a Barbato li accese di nuovo
alle armi sulla piazza di S. Marco; li condusse sui prati della Bicocca ad
affrontare gli Sv�zzeri, e rimandarli pesti e sanguinosi alle loro montagne. I
gi�vani segu�rono un'altra volta il loro duca, e cacci�rono i Francesi
d'Abbiategrasso; ma tra le spoglie dei caduti racc�lsero il germe d'una pestilenza
che divor� cinquantamila cittadini. Un altro dei nostri, il M�dici di Meregnano,
consumava indarno il suo valore a fondarsi un principato sopra una rupe del Lario;
si vendeva agli Spagnoli, ministro d'orr�bile esterminio a Siena. Il Morone, il
Trivulzio, il Meregnano, e altri u�mini di siffatto vigore, che v�ssero o prima o
poi, rim�sero sconnessi e in�tili frammenti d'una m�china poderosa, che in pugno a
un vero pr�ncipe, e animata da tanta opulenza e da tanto cr�dito, poteva scu�tere
l'Europa ben pi� che le poche turbe collettizie del re Francesco.

XXXV.

La pi� funesta e sanguinosa sventura fu quella di Brescia. La giornata di Ghiara


d'Adda aveva distrutto le forze terrestri de' V�neti, i quali con accorgimento
profondo sci�lsero dal giuramento le citt� suggette; n� v�llero insanguinarle colla
difesa, certi che la preda avrebbe diviso i vincitori, e la licenza militare
avrebbe offeso i p�poli, e assicurato il riacquisto. E per verit� il vol�bile
Giulio II si volse tosto contra i Francesi; P�dova e Vicenza li cacci�rono. Un
Martinengo tent� lo stesso in Brescia, ma vi perd� la vita; la Francia prese in
ostaggio i primarj cittadini, e introdusse in citt� nuove genti, che acquartierate
nelle case insult�vano al dom�stico onore. La citt� fremeva; nove cavalieri, Rosa,
Paitone, Rozzone, Valgoglio, Fenarolo, Lana, Gandino, Lantana e Martinengo, su la
pietra d'un altare giur�rono di m�ttere i beni e la vita a redimer Brescia alla
legge v�neta. Il conte Avogadro faceva altro simil patto con Venezia; le case di
Brescia si emp�rono d'armati; al prefisso giorno il generale v�neto pass� l'Adige,
giunse presso sera a Montechiaro; ma fu visto. Pochi momenti dopo, l'annuncio era
in Brescia; fra il silenzio della notte fatale i Francesi scaric�rono d'improviso
tutte le loro artiglier�e; e armati e rumorosi c�rsero tutta la citt�; i V�neti,
giunti sotto le mura, le v�dero piene di nemici. All'alba i nomi di trenta
cavalieri bresciani f�rono gridati ribelli; - la morte, a chi li ricettasse; - i
loro beni e il grado di capitano di Francia, a chi li scoprisse. Fenarolo, trovato
entro un sepolcro in una chiesa, si pugnal�; recato alla rocca, si mise le mani
nella ferita e si uccise; un Avogadro, un Ducco, un Riva f�rono tratti al pat�bolo.
Ma l'altro Avogadro, che aveva armato gli u�mini di Val-Trumpia, raccolse i
fuggitivi, che dur�rono tutti nel prop�sito. Gritti e Baglioni ricond�ssero sotto
Brescia l'es�rcito v�neto; Avogadro vi trasse diecimila montanari; si diede nelle
trombe e nei tamburi da tutte le parti ad un tempo; Martinengo trov� modo
d'arrampicarsi entro le mura; ruppe una porta; le altre, al grido di San Marco,
f�rono prese dai cittadini. Ma Gritti, venuto a tutta corsa e senza artiglier�e,
non volle assalire immantinente il castello; e perch� i montanari ne mormor�vano,
ne svi� settemila a espugnare le fortezze del contado, e soccorrer B�rgamo che
combatteva. - Era l'es�rcito francese a Bologna, capitanato dal gi�vine pr�ncipe
reale, Gastone di Foix, che poco di poi mor� sul campo di Ravenna. Egli si mosse
immantinente; attravers� il Mantovano, senza dimandar licenza a quel pr�ncipe;
sorprese strada facendo Baglioni e lo disfece; sorprese altre genti v�nete
stanziate a Castan�dolo; giunse a Brescia, che il castello si teneva ancora; il
cavalier Baiardo circond� il monasterio di S. Floriano difeso da mille Trumplini,
che non s'arr�sero, e mor�rono tutti. Gastone, al gioved� grasso, discese dal
castello in citt� con d�dici mila u�mini, comandati dai primi cavalieri di Franda.
Cadeva la neve; batt�vano a martello tutte le campane della citt�; dopo due ore di
calda battaglia, i cittadini �rano ancora fermi ai serragli delle strade, quando
alcuni mercenarj dei V�neti di�dero indietro; i Francesi incalz�ndoli si sp�nsero
lungo il bastione fino ad una porta murata; la sfond�rono; tr�ssero dentro altre
genti; i cavalleggeri albanesi, che si v�dero il nemico alle spalle, abbandon�rono
il posto, r�ppero un'altra porta, e si disp�rsero nella campagna. La gente d'arme
del cavalier d'Allegre entr� a squadroni per la porta abbandonata; s'incontr� in
Ludovico Porcellaga, che, tutto solo, non per� retrocesse; anzi spronato il
cavallo, gett� di sella il D'Allegre; ma rimase oppresso dalla turba. Sopragiunse a
furia suo fratello Lorenzo Porcellaga; Gastone di Foix, che lo vide grande della
persona e valoroso combatter solo contra tutti, si tolse il guanto, si lev� la
visiera, viet� a' suoi di ferirlo; ma egli combattendo a morte, cadde sul moribondo
fratello. - Alla notte Gastone si ricord� dei due prodi, venne a racc�glierli; li
accompagn� co' suoi cavalieri al Duomo, ove f�rono deposti; fu visto pi�ngere sui
cad�veri sanguinosi.
L'es�rcito vincitore, invadendo tutte le piazze, spingeva qua e l� le turbe indarno
combattenti; scannava alla rinfusa nelle strade e nelle chiese i sacerdoti, i
vecchj, le donne cogli infanti in collo; gli uccisi d'ambo i sessi f�rono
diecisette mila. Per sette giorni il crudel Gastone abbandon� le robe e i corpi
d'un p�polo fedele e infelice a una soldatesca ubriaca; saccheggiato fino i cenci
dei poverelli al Monte di Piet�; saccheggiato il luogo degli appestati; le
meretrici dell'es�rcito stanziate nei monasterj; per molti giorni file di carri
onusti d'ogni maniera di spoglie usc�rono dalla citt�. Avogadro fu decapitato alla
presenza di Gastone, che lo volle squartato, confitte le m�sere membra a quattro
porte della citt�, e il teschio su la Torre del P�polo. - Poco di poi gli Spagnoli
entr�vano in Brescia; la quale ebbe tant'�nimo ancora che tent� di cacciarli, e
riunirsi ai V�neti. Gli Spagnoli la di�dero ai Francesi; e i Francesi, tre anni
dopo averla inutilmente straziata, la r�sero ai V�neti; ai quali, bench� piena
d'armi e di sp�riti generosi, rimase fedele per poco meno di tre s�coli (an. 1787).

XXXVI.

Fra tante sventure, M�ntova sola era un'�sola di pace e di sicurezza. Fin dai tempi
della lega lombarda (an. 1188) Pitentino aveva costrutto la diga di Porto,
sollevando le aque del lago a difesa e salubrit�; e aveva aperto colla chiusa di
Gov�rnolo un f�cile accesso alle navi del Po: M�ntova, p�ccola Venezia, resisteva
per due mesi ad Ezzelino, che si vendic� estirpando le vigne e uccidendo i
contadini. Stava alla difesa il visconte Sordello di G�ito, quegli che da
giovinetto, appresa in Provenza l'arte del trovatore, spargeva per l'Italia versi
d'amore, e bersagliava d'ardite sirventi i pr�ncipi neghittosi; n� l'amore della
bella Cunizza sorella del crudele Ezzelino lo faceva infedele alla sua citt�. Il
suo senno vi calmava l'ire cittadine; sventava i tradimenti; insegnava ai Mantovani
a chi�dere in serraglio la campagna a ponente della citt�, onde inondarla a
piacimento, e costr�ngere i nemici a troppo vasta linea d'assedio. M�ntova fu
dunque un asilo, ove molti cerc�vano sicurt�, m�ssime dopo che Pinamonte Bonacolsi,
capitano del p�polo, prese ad abbellirla. Ma quando Passerino, f�ttosi oppressore
de' suoi guelfi, ebbe rinovata la tragedia d'Ugolino, facendo morir di fame, nella
torre di Castellaro, Francesco Pico e i suoi figli, i signori di Gonzaga, entrati
in citt� coi Veronesi travestiti, uccisero il tiranno, div�nnero capitani del
p�polo. I Visconti non p�sero mai piede in M�ntova; l'assal�rono sempre indarno,
anche quando, con otto mesi di lavoro, tent�rono sviare il Mincio, e disarmare
delle aque la citt�. I Gonzaga, prodi conduttieri, prestando il braccio ora ai
Visconti med�simi, ora ai V�neti, ai Fiorentini, ai Francesi, agli Spagnoli,
di�dero perizia d'armi ai loro seguaci, e sembiante di potenza militare al piccolo
Stato, posto cos� a traverso al Mincio e al Po. Francesco, l'amico di Carmagnola,
ebbe il t�tolo di marchese di M�ntova. Federico, che difese Pav�a contro il re
Francesco, ebbe il Monferrato in dote di Margherita Pale�loga, e il t�tolo di duca;
Ludovico divenne in Francia duca di N�vers, combatt� cogli Inglesi, respinse da
Parigi il prode Coligny; Vincenzo combatt� sul Danubio coi Turchi.
Era la sicura M�ntova piena d'industria e di commercj; vantava spl�ndidi ingegni,
fra cui basti menzionare Pomponacio, che primo fra i moderni propose i pi� sublimi
dubj sulla necessit� e la libert�. Il Mantegna e Giulio Romano �rano chiamati a
dip�ngere le bas�liche del p�polo e le ville dei duchi; vi si era diffuso un amore
d'eleganza e di volutt�, che agli altri Italiani, agitati da continui per�coli,
pareva quella una terra di sirene. E cos� la stirpe guerriera dei Gonzaga si
estinse nella mollezza. - Venne di Francia Carlo di Rh�tel, discendente dei N�vers;
ma l'imperio non volle in un Francese un principato ch'era f�udo dell'imperio;
scoppi� la guerra; la citt� non pi� agguerrita, desolata dalle fazioni e dai
contagj, appena le manc�rono i soccorsi v�neti, si arrese; ma non si ricompr� da un
atroce saccheggio, che strazi� i tesori delle arti e sperper� il commercio.
And�rono fugitivi i magistrati, sospesi i sacri riti; i pochi avanzi del p�polo non
v�lsero a sgombrare le macerie, piene di cad�veri insepolti. Dopo d'allora i
signori di M�ntova, piuttosto che pr�ncipi, furono eleganti e lascivi privati. Nel
1707 M�ntova fu presa di nuovo, e abbattute le insegne ducali, diede giuramento
all'imperio. Per la prima volta in ottocento anni, una citt� cos� vicina a Milano
venne compresa sotto una med�sima signor�a; n� pi� ne venne disgiunta.

XXXVII.

Le grandi calamit� che desolarono il nostro paese nella prima met� del s�colo XVI
�rano tutte esterne e materiali; non fer�vano il principio della sua vita, perch�
non tronc�vano le tradizioni d'industria e d'intelligenza, conservate dagli studj
letterarj, dalle relazioni mercantili, dalla l�bera concorrenza, dall'inviol�bile
diritto consolare, dalla potenza del cr�dito. Quindi la ricchezza es�usta risurgeva
sempre, le menti �rano piene di vigore e d'alacrit�, le arti belle e gli eleganti
costumi fiorivano tra i saccheggi e le pesti. - La decadenza intima e vera cominci�
colla seconda met� del s�colo, quando, estinta la stirpe sforzesca, si fu rassodato
il dominio spagnolo. Il gentiluomo castigliano nella lunga lutta cogli industri
Mori e coi trafficanti Israeliti aveva preso odio e disprezzo ai mestieri e alle
mercature, come arti di caste infedeli e impure. La insurrezione dei Communeros, e
pi� tardi quella dei Paesi Bassi, av�vano inimicata ai municipj la corte; e la sua
profonda e dissimulata ostilit� oper� lentamente, arrestando e logorando nelle
interne sue rote l'azienda d'uno Stato ch'era altamente industriale. - Gi� gli
Sforza, per assicurarsi un soglio vacillante, av�vano restituite alcune esenzioni
ecclesi�stiche, infrante dalla r�gida mano dei Visconti; e avevano aggravati di
tasse i cittadini. Quando il re Luigi XII si trov� signore di Milano, volle
conciliare le famiglie potenti, tenute in troppo stretta disciplina dai duchi. E
per verit� doveva regnare da paese lontano, e aver pure qualche st�bile fondamento
di dominio; e capo d'un regno per eccellenza feudale, forse non sapeva in qual modo
si regnasse altrimenti. Institu� dunque un Senato ch'era, al modo degli antichi
parlamenti francesi, un tribunale supremo, con diritto di registrare le leggi,
ossia di limitare i decreti del re, difesa lontana del principe contro
l'importunit� e l'arbitrio dei favoriti. Gli Spagnoli, trovata quella istituzione,
la prom�ssero, la rassod�rono, la r�sero inamov�bile, la p�sero sopra tutte le
leggi (etiam contra statuta et constitutiones), le comm�sero il giudizio delle
c�use feudali; e quindi il destino della nobilt�; - l'appello di tutte le cause
civili e criminali e l'�nica giurisdizione in tutte le c�use gravi; e quindi la
sicurezza dei cittadini; - il riparto delle imposte; e quindi tutto l'�rdine delle
sussistenze, dei salarj, del tornaconto, dell'industria nazionale; - il sindacato
di tutta l'amministrazione; e quindi l'obedienza dei magistrati; - la direzione
degli studj; e quindi l'intelligenza e l'opinione.

XXXVIII.

Il Senato invase in breve tutte le minori giurisdizioni. Permise ai trafficanti di


deviare dal foro mercantile, e con ci� solo estirp� la fede p�blica, atterr� la
potenza della cambiale e del contratto, tutto l'edificio del cr�dito. Sottopose le
arti a tasse ineguali, e coll'�stimo del mercimonio insinu� il cavillo fiscale in
tutte le vene dell'industria; poi, per temperarlo, ricorse all'uso e all'abuso dei
privilegi, e conturb� tutto l'�rdine dei guadagni e della speculazione. Quando vide
s�rgere gigante la miseria p�blica, e assidua la carest�a, pun� di morte
l'esportazione dei grani; avvil� l'agricultura; e fece primo pensiero e arte
suprema di governo il fornir di pane estimato e pesato la plebe della citt�. - Le
famiglie, che all'uso antico d'Italia continu�vano anche nel colmo delle ricchezze
un decoroso e n�bile commercio, umiliate al confronto del pi� squ�llido capitano
spagnolo, impar�rono a sprezzare la solerzia dei loro antichi, e s'invogli�rono di
purificare il sangue coll'ozio. Per esser decurione della citt�; per sedere nel
magistrato di provisione a regolare l'annona, le strade e le oster�e; per �ssere
appena esente da soprusi e insulti, non bast� pi� l'antica nobilt� municipale; fu
forza ridivenir n�bile all'uso castigliano, far voto d'inerzia perpetua. Le
fanciulle f�rono condannate fin dalla n�scita a irrevoc�bili voti, per provedere
all'orgoglio dei primog�niti. Cento chiostri si dilat�rono per la citt�, vuota di
famiglie e d'officine. L'�rdine degli Umiliati, che colle ingenti sue ricchezze
continuava le vetuste tradizioni di patronato mercantile, fu estirpato; e i suoi
capitali si sp�sero in costruzioni suntuose, a gloria de' suoi nemici, e in
dotazioni d'�rdini nuovi che si credevano pi� adatti ai nuovi tempi.
Gli immensi capitali che si gir�vano a Lione, a Parigi, ad Anversa, a Londra, a
Colonia, v�nnero gradualmente ritirati; e s'invest�rono in terre titolari, in
ostentazioni signorili, in elem�sine depravatrici della plebe laboriosa. I p�veri
art�fici, abbandonati dal capitale, per�rono nelle pestilenze, nelle carest�e, nel
diuturno avvilimento; molte arti gi� famose si obli�rono; molte f�rono trasferite a
Zurigo, a Ginevra, a Lione, a Parigi; cos� le nazioni nuove s'inalz�vano a misura
del nostro decadimento. Dalla sola Milano si espatri�rono ventiquattro mila operaj;
di settanta f�briche di pannilani, rim�sero cinque; il fisco senatorio sentendo
mancarsi il terreno, pesava tanto pi� avidamente sugli avanzi sempre pi� miser�bili
dell'industria moribonda. Di duecentomila abitanti di Milano spar�rono 140 mila, e
in proporzione si spopol�rono le altre citt�; e i sup�rstiti vissero cenciosi,
servili, abjetti, lenti, pieni di stolti terrori. I pi� animosi si p�sero in
clientela dei grandi, si f�cero ministri di violenze, di vendette, di puntigli
insegnati alla novella giovent� dai vuoti e oziosi Castigliani. Ne scatur�rono le
gen�e dei bravi; e serv�vano alle passioni delle stesse famiglie prepotenti, che
nelle leggi e nelle gride minacci�vano loro un teatrale esterminio. Bande di
scellerati signoreggi�vano le campagne; sparg�vano a luce aperta il sangue nelle
stupefatte citt�; ten�vano sacr�leghe gozzoviglie nei sacri asili; insult�vano
nelle chiese alle esequie degli uccisi. Talora la giustizia vergognante e
inferocita prorompeva in furori di crudelt�; insanguinava le strade di supplicj
studiati e crudeli; il pat�bolo era di tempo in tempo uno spett�colo quotidiano; ma
questi sforzi deliri e convulsi non riaprivano le sviate fonti dell'�rdine e della
giustizia. U�mini zelanti av�vano voluto, col ministerio delle nuove congregazioni,
rigenerare le famiglie al senno e al costume (an. 1545-1566); e il frutto che dopo
due generazioni se ne mieteva, � descritto, e forse troppo parcamente descritto,
nei Promessi Sposi e nella Colonna Infame. Ben v'�rano gli u�mini che isol�ndosi
dalla commune corruttela e stoltezza, si colleg�vano cogli studj al senno antico o
al progresso straniero. Ma non pot�vano r�mpere il nodo che l'interesse dei pochi
aveva stretto coll'ignoranza dei molti. Pur tratto tratto pon�vano mano a
rappresentanze ed ambascer�e; le quali non �bbero quasi altro effetto che di
conservare ai p�steri qualche documento di buon volere, di senno e di virile
eloquenza. Tali f�rono Fabrizio Bossi e C�sare Visconti (1630).
Se il ducato di Milano fosse stato l'imperio romano, quello era il principio d'una
terza barbarie. Ma l'antico ducato era una mediocre provincia; e aveva gi� lasciato
cader d'ogni parte le antiche sue membra; Venezia teneva Brescia, B�rgamo e Crema;
i Grigioni, Bormio, la Val-Tellina e Chiavenna; gli Sv�zzeri esercit�vano una
venale giurisdizione sopra le valli del Ticino; la Val-Sesia e la Lumellina, e pi�
tardi Alessandria, Tortona, Voghera f�rono aggregate al Piemonte; G�nova non
portava pi� sui mari l'insegna ducale; Pontr�moli fu venduta alla Toscana; Parma e
Piacenza �rano patrimonio dei Farnesi. Ma per quanto una pol�tica acciecata
facesse, per chi�dere le frontiere, troncare i vicend�voli commercj, ristr�ngere il
campo dell'industria e fare del p�vero Stato un ric�vero di miseria, l'Olanda,
l'Inghilterra, la Francia e la Germania av�vano raccolto la nostra eredit�; ci
st�vano intorno piene e traboccanti di vita e di progresso. - La nostra patria
doveva ris�rgere.

XXXIX.

Al principio del s�colo XVIII era mir�bile il fermento che si vedeva nelle nazioni.
La Russia si era desta dal sonno dei s�coli; la Prussia era un regno; la stirpe
brit�nnica surgeva a inaspettata potenza, fondava un imperio nelle Indie, e un
altro e pi� glorioso in Am�rica. Il ducato di Milano si era finalmente distaccato
dal cad�vere spagnolo, e ricongiunto all'Europa vivente. I dominj austriaci, varj
di lingua, e dissociati di civilt�, cominci�rono ad �ssere uno Stato, e possedere
un principio d'amministrazione e d'unit�. Ma se lo sp�rito del s�colo e l'�nimo
della Regnante addit�vano le grandi vie del ben p�blico e della prosperit�, gli
esperimenti �rano ardui. Nelle provincie germ�niche, slave e ung�riche rara la
popolazione, rare le citt�, poche tracce o nessuna d'incivilimento pi� antico,
isolata la posizione su le frontiere di nazioni b�rbare. In Fiandra v'�rano citt�
lavoratrici e ubertose campagne, e vicinanza di nazioni progressive; ma lo spirito
dei p�poli era provinciale, tenace, diffidente. La Lombardia, che gi� sentiva
l'�ura del tempo che veniva, e nella sua miseria era pur sempre una terra di
promissione, e aveva un p�polo di mente aperta e d'�nimo caldo e sensitivo, parve
ai zelatori del bene come uno di quei campi eletti, in cui l'agricultore fa prova
di qualche novella semente. � un fatto ignoto all'Europa, ma � pur vero: mentre la
Francia s'inebriava indarno dei nuovi pensieri, e annunciava all'Europa un'era
nuova, che poi non riesciva a c�mpiere se non attraverso al pi� sanguinoso
sovvertimento, l'�mile Milano cominciava un quarto stadio di progresso, confidata a
un consesso di magistrati, ch'�rano al tempo stesso una scuola di pensatori. Pomp�o
Neri, Rinaldo Carli, Cesare Beccar�a, Pietro Verri non sono nomi egualmente noti
all'Europa, ma tutti egualmente sacri nella memoria dei cittadini. La filosofia era
stata legislatrice nei giureconsulti romani; ma fu quella la prima volta che sedeva
amministratrice di finanze e d'annona e d'aziende communali; e quell'�nica volta
degnamente corrispose a una n�bile fiducia. Tutte quelle riforme che Turgot
abbracciava nelle sue visioni di ben p�blico, e che indarno si affatic� a
conseguire fra l'ignoranza dei p�poli e l'astuzia dei privilegiati, si tr�vano
registrate nei libri delle nostre leggi, nei decreti dei nostri governanti, nel
fatto della p�blica e privata prosperit�.

XL.

S'intraprese il censo di tutti i beni, dietro un principio che poche nazioni finora
hanno compreso. Si estim� in una moneta ideale, chiamata scudo, il valor
comparativo d'ogni propriet�. Gli ulteriori aumenti di valore che l'industria del
proprietario venisse operando, non dov�vano pi� considerarsi nell'imposta; la quale
era sempre a rip�rtirsi sulla cifra invari�bile dello scudato. Ora, la famiglia che
d�plica il frutto de' suoi beni, pagando tuttavia la stessa proporzione d'imposte,
alleggerisce d'una met� il peso, in paragone alla famiglia inoperosa, che paga lo
stesso c�rico, e ricava tuttora il minor frutto. Questo premio universale e
perpetuo, concesso all'industria, stimol� le famiglie a continui miglioramenti.
Torn� pi� lucroso raddoppiare colle fatiche e coi risparmj l'ubert� d'un campo, che
posseder due campi, e coltivarli debolmente. Quindi il continuo interesse ad
aumentare il pregio dei beni fece s� che col corso del tempo e coll'assidua cura il
piccolo podere pareggi� in frutto il pi� grande; finch� a poco a poco tutto il
paese si rese capace d'alimentare due famiglie su quello spazio che in altri paesi
ne alimenta una sola. Qual sapienza e fecondit� in questo principio, al paragone di
quelle b�rbare tasse che presso culte nazioni si commis�rano ai frutti della terra
e agli affitti delle case, epper� ri�scono vere multe proporzionali, inflitte
all'attivit� del possessore!
Il censo elimin� per sua natura tutte quelle immunit�, per le quali sotto il regime
spagnolo un terzo dei beni, come posseduto dal clero, non partecipava ai p�blici
c�richi, e li faceva pesare in misura insopport�bile sulle altre propriet�. - Il
censo divenne fondamento anche al regime communale; i communi nostri div�nnero
tanti p�ccoli Stati minorenni, che, sotto la tutela dei magistrati, decr�tano �pere
p�bliche, e ne l�vano sopra s� med�simi l'imposta. Non si v�dero pi� quelle
stentate prestazioni d'�pere, di bestiami, di materiali, ch'�rano spavento dei
contadini, e strumento d'oppressione e di corruttela. Si prepar� un mir�bile
sviluppo di strade, con un principio di manutenzione che interess� il costruttore
alla m�ssima solidit� e semplicit� di lavoro. Ma non � questo il luogo d'annoverare
tutte le riforme che s'introd�ssero da quei fil�sofi: il riparto territoriale, il
riscatto delle regal�e, l'abolizione dei fermieri, la tutela dei beni
ecclesi�stici, la riforma delle monete.
Dalla met� del s�colo in poi si attiv� un'immensa divisione e suddivisione di beni;
il numero dei possidenti e degli agiati crebbe nella proporzione stessa in cui
cr�bbero i frutti. Si cominci� a sci�gliere i fedecommessi, che un�vano nelle
famiglie la noncurante opulenza dei primog�niti con la povert�, l'umiliazione, la
forzata carriera dei cadetti e delle figlie. Si abol�rono le mani morte; si
rim�sero nella l�bera contrattazione i loro sterminati beni; si alien�rono i
p�scoli communali; si riordin�rono le amministrazioni de' municipj; si rivoc�
l'educazione p�blica a mani d�cili e animate dallo sp�rito del s�colo e del
governo; si abolirono i v�ncoli del commercio, la schiavit� dei grani, quasi tutte
le mete dei commest�bili, e i regolamenti che incepp�vano le arti. La subitanea
apparizione delle novelle merci inglesi e francesi scosse il nostro torpore,
fomentato dalle proibizioni spagnole, e risuscit� per noi la vita industriale. Si
ap�rsero strade; si soppr�ssero barriere e pedaggi; si rid�ssero a tre o quattro
ore le distanze tra citt� e citt�, che prima si varc�vano a forza di buoi e a
misura di giornate. Si abol�rono le preture feudali, in cui per conto di privati si
mercava la giustizia; si abol� un Senato, sul quale pesava la memoria di supplizj
iniqui e crudeli; si abol�rono gli asili che i ladroni god�vano sui sacrati dei
tempj, e dietro le colonnette dei palazzi signorili; non si v�dero pi� assassini
nelle chiese; le sezioni anat�miche fecero sparire l'aqua tofana; si abol� la
tortura, che puniva nell'innocente i delitti dell'ignoto; sp�rvero le fruste, le
tenaglie infocate, le orr�bili rote, l'inquisizione; in luogo di sotterranei
fetenti e di scelerate galere, si fond�rono laboriose case di correzione. Fin dal
1766, sei anni prima che si aprisse il c�rcere di Gand, si era applicato il
principio della segregazione dei prigionieri; un giorno di cella scontava due
giorni di c�rcere; si era dunque scoperto che la cella segregante non era strumento
di lieve correzione, qual �rasi creduto finallora, ma una pena poderosa,
applic�bile ai pi� gravi delitti, e capace di far pi� terrore che la morte. Ma qual
meraviglia che questi sagaci pensieri nasc�ssero prima che altrove in quel paese
dove Beccar�a non solo era scrittore, non solo porgeva p�blico insegnamento di
scienze sociali, ma sedeva autor�vole nei consigli dello Stato?
I bastioni solitarj e paurosi, ove si seppellivano i giustiziati, div�nnero ombrosi
passeggi; si tolse il lezzo alle strade; e l'�rrida abitazione dei cad�veri si
rimosse dalle chiese; si sgombr�rono dagli accessi dei santuarj i mendicanti,
ostentatori d'�lceri e di mutilazioni; a poco a poco non si videro pi� nelle citt�
piedi nudi o �biti cenciosi. Si ap�rsero teatri, ove le famiglie, inselvatichite da
sette generazioni, impar�rono a con�scersi, e gust�rono le dolcezze del viver
civile, della m�sica, della poes�a. Il genio musicale rispetta e ambisce il
giudizio del nostro p�polo; un solo carnevale in uno dei minori nostri teatri diede
al diletto dell'Europa la Sonn�mbula e l'Anna Bolena. Regn� la tolleranza di tutti
i culti; e si aperse �spite soggiorno agli stranieri che apport�vano esempj di
capacit� e d'intraprendenza. S'introd�ssero le scienze vive nella morta Universit�;
si fond�rono academie di belle arti; rifior� l'architettura, l'ornato riprese greca
eleganza; s'inalz�rono osservatorj astron�mici; si costrusse la carta fondamentale
del paese; si ap�rsero nuove biblioteche; le madri t�lsero ai cuochi ed agli
staffieri la prima educazione dei figli. Soave rifece tutti i libri elementari;
Parini, Mascheroni, Arici ricond�ssero l'eleganza letteraria, indirizz�ndola ad
alti fini scient�fici e morali; Beccar�a lesse econom�a pol�tica; surse a poco a
poco quella costellazione di nomi spl�ndidi alle scienze e alle arti, Volta,
Piazzi, Oriani, Appiani, cogli altri che la continu�rono fino ai viventi. Gli
allievi di tanto senno si sp�rsero in tutte le provincie, e propag�rono in tutte le
classi quel f�usto movimento di cose e di id�e che ci attornia d'ogni parte, e ci
arride all'imaginazione.

XLI.

Abbiamo accennato a principio in quale stato la natura desse ai primi nostri


progenitori questa terra che abitiamo: al basso, una vicenda d'aque stagnanti e di
dorsi arenosi; all'alto, un labirinto di valli intercette da monti in�spiti e di
laghi. Abbiamo detto quali p�poli ci f�rono maestri, o almeno fratelli di cultura:
i L�guri, gli Umbri, i Pelasghi, gli Etruschi, i Romani: e quali ne f�rono inciampo
su la via della civilt�, la quale tre volte s'arrest� e decadde: nell'era c�ltica,
nella bizantina, nell'isp�nica. Nessuna istoria offre una pi� frequente alternativa
di beni e di mali, e una pi� manifesta prova di ci� ch'� veramente giov�vole, o
veramente avverso all'umana felicit�. Il nostro incivilimento tre volte torn� uno
sfrondato tronco; e ogni volta nel rinverdire apparve pi� rigoglioso e fiorito.
Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi rifatta
dalle nostre mani; sicch� il bot�nico si lagna dell'agricultura, che trafigur� ogni
vestigio della vegetazione primitiva. Abbiamo preso le aque dagli alvei profondi
dei fiumi e dagli avvallamenti palustri, e le abbiamo diffuse sulle �ride lande. La
met� della nostra pianura, pi� di quattro mila chil�metri, � dotata d'irrigazione;
e vi si dirama per canali artefatti un volume d'aqua che si valuta a pi� di trenta
milioni di metri c�bici ogni giorno. Una parte del piano, per arte ch'� tutta
nostra, verdeggia anche nel verno, quando all'intorno ogni cosa � neve e gelo. Le
terre pi� uliginose sono mutate in risaje; onde, sotto la stessa latit�dine della
Vand�a, della Sv�zzera, della T�uride, abbiamo stabilito una coltivazione indiana.
Le aque sotterranee, tratte per arte alla luce del sole, e condutte sui sottoposti
piani, poi raccolte di nuovo e diffuse sovra campi pi� bassi, sc�rrono a diversi
livelli con calcolate velocit�, s'inc�ntrano, si sorp�ssano a ponte-canale, si
sottop�ssano a sifone, s'intr�cciano in mille modi. Nello spazio di soli duecento
passi, presso Genivolta, la strada da B�rgamo a Cremona incontra tr�dici aquedutti,
e li accavalca coi Tr�dici Ponti. - Alla condutta di queste aque presiede un
principio di diritto, tutto proprio del nostro paese, pel quale tutte le terre sono
tenute a prestarsi questo vicend�vole passaggio, senza intervento di pr�ncipe, o
decreto d'espropriazione. Non � questo un v�ncolo che infranga il sacro diritto di
propriet�; ma un'�tile aggiunta al diritto, per r�ndere pi� frutt�fera ogni
propriet� senza eccezione.
Gli �ltimi scoli di tutte codeste aque sono muniti ai loro sbocchi di chiuse, che
arr�stano il rigorgo dei t�rgidi fiumi. - Un canale attraversa per mezzo tutta la
provincia Cremonese dall'Ollio al Po; tutti gli aquedutti che c�rrono a fecondare
la parte inferiore, lo attrav�rsano con ponti di pietra, lasci�ndovi traboccare le
aque che per avventura ecc�dano la prefissa misura; e se avviene che diuturne
pioggie r�ndano superflua l'irrigazione, si chi�dono con porte gli aquedutti, e le
loro aque precipitate nel sottoposto scavo si dev�ano tutte nell'Ollio o nel Po. -
La provincia Mantovana � una terra conquistata sulle paludi; i suoi canali di scolo
s�mmano a 754 mila metri; le stesse aque che acc�rchiano la citt�, sono una palude
trasformata per arte in lago navig�bile.
Le linee d'interna navigazione, percorse in parte da vaporiere, s�mmano a 1200
chil�metri; e ripartite sulla superficie raggu�gliano per ogni chil�metro 56 metri,
mentre il Belgio ne ha solo in ragione di 48, e la Francia di 27, e non tutti
d'aque perenni. Un paese al tutto mediterraneo come il nostro s'avvicina per questo
aspetto all'Olanda. I nostri canali, navig�bili ad un tempo e irrigatorj, sono
costrutti sopra un principio speciale; non sono una serie di tronchi orizontali
come i canali oltremontani di mera navigazione, ma sono veri fiumi, prima inclinati
fortemente, poi progressivamente moderati, per acc�gliere di tronco in tronco le
diseguali masse d'aqua, che l'irrigazione vien successivamente emungendo.
Una volta impresso il moto, quest'�rdine di cose si continu� uniforme attraverso
alle pi� varie vicissit�dini dei tempi. Ogni anno segn� sempre per noi qualche
nuovo grado di prosperit�; ogni anno pi� vasta la rete stradale; ogni anno pi�
folta la piantagione dei gelsi, prima riservata ai colli, poi distesa in veri
boschi sui piani dell'Ollio e dell'Adda, e salita fino a mille metri d'altezza
nelle valli alpine, produttrice d'un'annua raccolta di cento milioni di franchi, in
un territorio che corrisponde alla 26.a parte della Francia. Sempre pi� diffuse, ma
pi� accurate e quindi meno insalubri le irrigazioni; si m�tano in buone case i
tugurj dei contadini; p�netra in tutte le communi rurali il principio
dell'istruzione; tolta cogli asili dell'infanzia l'abjetta ferocia e la rozzezza ai
figli della plebe; gli studj delle l�ttere e delle arti accommunati al sesso
gentile; e colle solenni mostre diffuso l'amor delle belle arti nel p�polo, e un
�bito d'eleganza negli �tili mestieri.

XLII.

Su la nostra pianura tutti gli abitati si coll�gano con buone strade, che
raggu�gliano in circa un chil�metro di lunghezza per ogni chil�metro di superficie.
La rete stradale involge orm�i tutte le colline, sino all'altit�dine d'ottocento
metri; trafora con galler�e le rupi verticali che interr�mpono le riviere dei
laghi; s'insinua nelle valli alpine, raggiunge i sommi gioghi; difende contro le
vallanghe i pi� alti passi carrozz�bili che s�ano sul globo. La via del Sempione,
che fu il modello di tutte, � �pera de' nostri ingegneri, che cond�ssero anche
quelle della Spluga e dello Stelvio. Ingegneri nativi di quell'antica parte del
nostro territorio che aggregossi alla Sv�zzera, tracci�rono le vie del Gottardo e
del Bernardino. I nostri imprenditori sono sparsi per le terre dei Grigioni, dei
Tirolesi, degli Illirj, dei Boemi, dei Galiziani, insegnando loro a prot�ndere
attraverso ai monti i v�ncoli d'una crescente civilt�. Le nostre �pere stradali
p�rtano tratto tratto i segnali d'una magnificenza romana; il ponte che congiunge
le due rive del Ticino, a Buffalora, si stende per trecento e pi� metri con �ndici
arcate di granito. - Le strade ferrate non ci sono ignote; una linea � compiuta da
quattro anni; due sono cominciate; altre sono studiate e discusse.
L'uomo con tutte queste �pere d'aque e di strade ha preso possesso di tutte le
terre coltiv�bili; e ad ogni condizione di terreno adatt� un �rdine proprio di
coltivazione, un pi� ampio o pi� minuto riparto nella possidenza, un proprio tenore
di contratti.

XLIII.

� assai malag�vole p�rgere una succinta id�a della nostra agricultura nelle diverse
provincie, per la strana sua variet�. Mentre in una parte d'un territorio il riso
nuota nelle acque, un'altra non pu� abbeverare il bestiame se non di vecchie aque
piovane o colaticce, o tratte a forza di braccia da pozzi profondi fino a cento
metri. Un distretto � continuo prato, verde anche nel verno, folto d'armenti,
ridondante di latticinj; un altro raduna a stento poco latte caprino, coltivando
piuttosto a giardini che a campi l'olivo e il limone, la pi� elegante di tutte le
agriculture. Nei monti si coltiva la c�napa, ed � quasi ignoto il lino; intorno a
Crema e Cremona il lino � primaria derrata campestre, e la c�napa � negletta. La
pianura pavese si allarga in ampie risaje, poco cura il gelso; e la pianura
cremonese ne ha le pi� folte e robuste piantagioni. Il vino � la speranza
dell'agricultura in ambo le opposte estremit� del paese, nella boreale e alpestre
Val-Tellina, e nelle australi pianure di Canneto, di Casalmaggiore, e dell'Oltrep�.
L'agricultura bresciana solca profondamente a forza di bovi un terreno tenace; la
lodigiana sfiora i campi con un lieve aratro tratto da soll�citi cavalli, per non
somm�vere le p�vere ghiare, sopra le quali il lavoro dei s�coli ha disteso uno
strato artificiale.

XLIV.

Le circostanze naturali che v�gliono questa variet� nel modo di coltivar le terre,
la v�gliono anche nel modo di possederle. Nella pianura irrigua un podere che non
avesse certa ampiezza non si potrebbe coltivare con profitto, perch� richiede
complicate rotazioni, culture molt�plici, difficili giri d'aque, e una famiglia
intelligente che ne governi la complicata azienda; quindi ogni podere forma un
consider�vole patrimonio. La famiglia che lo possiede � gi� troppo facoltosa per
appagarsi di quella vita rurale e solitaria, in luoghi non ameni; dimora dunque in
citt�; villeggia sugli aprichi colli e sui laghi; e sovente conosce appena per nome
il latifondio che la nutre in quell'ozio. La coltivazione trapassa alle mani d'un
fittuario, il quale per condurre debitamente l'azienda debb'esser pure cap�talista;
e ve ne ha taluni pi� ricchi dei proprietarj, e talvolta possessori essi d'altre
terre, confidate ad altri coltivatori. Vivendo nel mezzo d'ogni abondanza
dom�stica, circondati di numerosi famigli e cavalli, f�rmano quasi un �rdine
feudale in mezzo a un p�polo di giornalieri, che non con�scono ulteriori padroni.
Qui surge un �rdine sociale affatto particolare. Un distretto che abbia una ventina
di communi e misuri un centinajo di chil�metri, conta in ogni commune quattro o
cinque di queste famiglie, che spesso v�vono in casali isolati, a guisa degli
antichi Celti. Sono sparsi fra mezzo a loro alcuni curati, qualche m�dico, qualche
speziale, il commissario, il pretore che amministra la giustizia e le tutele
famigliari. Questa � l'intelligenza del distretto; tutto il rimanente � n�mero e
braccia. Ogni coltivatore vende grani, e compra bestiami, e �ccupa fabri e
falegnami; ma il commercio e l'industria non vanno oltre; appena qualche bottega
serve al r�stico apparato del contadino. Si direbbe che questo � l'antico modello
su cui si form� l'agricultura brit�nnica. Ecco gli u�mini che sotto le mura di
Pav�a e appi� del castello di Binasco and�vano senz'armi ad affrontar Bonaparte
vincitore di Montenotte e di Lodi.

XLV.

Se dal fondo della pianura saliamo ai monti, troviamo un ordine sociale


infinitamente diverso. Le r�pide pendici, ridutte in faticose gradinate, sostenute
con muri di sasso, su le quali talora il colono porta a spalle la poca terra che
basta a fermare il piede d'una vite, appena danno la stretta mercede della manuale
fatica. Se il coltivatore dividesse gli scarsi frutti con un padrone, appena
potrebbe v�vere. La terra non ha quasi valore, se non come spazio su cui si
es�rcita l'�pera dell'uomo, e officina quasi del coltivatore; e il paesano � quasi
sempre padrone della sua gleba; o almeno livellario perpetuo; con altri patti le
vigne e gli oliveti ritorner�bbero ben presto selva e dirupo. Mentre una parte
della famiglia vi suda, e alleva all'amore del suolo nativo la p�vera prole;
un'altra parte scende al piano ad esercitarvi qualche mestiere; o si sparge
trafficando oltremonte, e riporta alla famiglia i risparmj, che le danno la forza
di continuare la sua lutta colla natura e colla povert�. Un distretto di questa
fatta conta tante migliaja di proprietarj quante sono le famiglie; ma la ricchezza
non viene dal suolo, e vi s'investe come frutto delle arti o del tr�ffico. Laonde
si vede una singolar mistura di costumi rusticali e d'esperienza mondana, l'amore
del lucro e l'ospitale cordialit�, la facilit� di saper v�vere in terra straniera,
e l'inestingu�bile affetto di paese, che presto o tardi fa pensare al ritorno. - In
alcuni monti la possidenza privata � ancora un'eccezione; il commune possiede
vastamente i p�scoli e le selve e le aque e le miniere; n� basta sempre l'esser
nato da gente nata in paese; ma bisogna appartenere ai patrizj del commune, agli
originarj. Senza avvedersi, essi cons�rvano ancora una communanza, la quale rimonta
alle genti c�ltiche; appena ha fatto luogo qua e l� al possesso romano; e non mai
sofferse vera signor�a feudale, ma onor� solo negli antichi conti e capitani il
nome del pr�ncipe e l'autorit� delle leggi. Alcune di queste communanze, pochi anni
or sono, ten�vano ampie valli; la Leventina, lunga pi� di trenta miglia, era un
solo commune; e si suddivise prima in otto e poscia in venti; il distretto di
Bormio era un solo commune, e ancora conserva indivisa fra i nuovi communi molta
parte dell'antica propriet�. In molti luoghi il commune p�ccolo si distingue dal
commune grande, o diremo la moderna parochia dal primitivo clano. Questo regime
appare pi� puro ed assoluto in quelle valli che si aggreg�rono alle leghe dei
Grigioni, e sopratutto nella Mesolcina, perch� sfugg�rono alle riforme dei governi
amministrativi.
Alcune delle estreme valli sono troppo alpestri per l'agricultura; la neve le
ingombra nove mesi dell'anno, ma le trova deserte e silenziose. Chiusi i p�veri
casolari, il pastore discende per le valli coll'armento; gli u�mini appiedi; le
donne sui cavalli, cogli infanti nelle ceste come le trib� dell'oriente. A brevi
giornate di cammino la carovana si arresta dove il contadino del piano l'aspetta;
le vacche alpine st�nziano qualche giorno a brucare gli es�usti prati; poi,
inseguite dalle brine, p�ssano a pi� bassi campi, fino ai prati perenni. Quando la
natura si riapre, la famiglia ritorna al suo viaggio, rivede fioriti i campi che
lasci� bruni e squ�llidi; risale lungo i tortuosi torrenti, trova i pochi che
rim�sero nella valle a diradare le selve, e sudare alle fucine; e si sparge sulle
alpi, che cos� chiama ancora quei p�scoli dove la primitiva communanza non conosce
altra disegualit� che il n�mero degli armenti.

XLVI.

Fra questi estremi, sono le belle colline coltivate come il monte, ubertose come il
piano. Quivi una contadinanza, la quale non possiede la sua terra, eppure non
emigra, pu� tributare al padrone il frumento, divider seco il vino e i b�zzoli, e
serbar tanto per s� da v�vere colla famigliola, e allevarla nel s�mplice tenore de'
suoi padri. Quivi un commune � disseminato in venti, in trenta, in quaranta casali
di vario nome, che la chiesa, posta sul poggio pi� ameno, raccoglie in un commune
sentimento di luogo. L�beri di coltivare la terra a loro talento, purch� non si
defr�udi dal pattuito frutto il proprietario, essi le sono affezionati come se
fosse loro propriet�. Se il padrone si muta, il colono subisce la legge del nuovo;
e talvolta una famiglia dura da tempo immemor�bile sullo stesso terreno. Tutto
l'anno � un continuo lavoro; le viti, il gelso, il frumento, il granoturco, i
bachi, le vacche, la vangatura e la messe, il bosco e l'orto danno una perenne
vicenda di cure, che desta l'intendimento, la previdenza e la frugalit�. Lavorando
sempre in mezzo alla famiglia, senza comandare n� obedire, il contadino pur si
collega al lontano commercio pel prezzo de' suoi b�zzoli, e pel lavoro che la seta
porge alle sue donne. Nei siti meno lieti e pi� r�pidi, dove il cittadino non ama
investire capitali, l'agricultore � spesso il padrone del suo terreno; e
rappresenta quello stato sociale ch'era cos� sparso negli abor�geni, quando f�rono
i s�coli della maggior forza d'Italia e del pi� puro costume.
Questi aspetti della vita rusticale nel piano, nel monte e nel colle, si spi�gano
talvolta in modo aperto e risoluto; ma trap�ssano per lo pi� dall'uno all'altro,
con varia tessitura, che il commercio e l'industria r�ndono pi� complicata. Questa
variet� palesa quanto l'agricultura sia antica fra noi, ed in quanti particolari
modi abbia sciolto i singoli problemi che le variet� naturali del paese av�vano
proposto.

XLVII.

Per effetto di tuttoci�, la pianura lombarda � la pi� popolosa regione d'Europa.


Essa conta per ogni chil�metro di superficie 176 �nime, mentre la pianura b�lgica
ne ragguaglia solo 143. E se si comprende nel c�mputo anche la parte alpina, ancora
si hanno 119 abitanti, dove la Francia ne conta solo 64, e nella sua parte
meridionale, che � pi� meridionale della Lombardia, soli 50. La popolazione
specifica nelle Isole Brit�nniche e nell'Olanda giunge solo a due terzi della
nostra; nella Germania alla met�; nel Portogallo e nella Danimarca a un terzo;
nella Spagna a un quarto; nella Grecia a un ottavo; nella Russia a un d�cimo. - Il
nostro p�polo adunque per effetto di principj amministrativi al tutto suoi, come
quelli del censo perpetuo, delle sovrimposte communali, e della servit� vicend�vole
d'aquedutto, fecond� in tal modo la sua terra, che sovra lo spazio dove la Francia
nutre una famiglia, ne nutre all'incirca due, pur pagando a proporzione di
superficie la stessa somma d'imposte. - Le nostre communi rurali hanno maggior
n�mero di scuole; e il tr�ffico e l'industria s'intreccia pi� intimamente a tutti
gli �rdini d'agricultura e di rotazione, sicch� non abbiamo turbe d'industrianti,
che non t�ngano qualche ferma radice nel terreno della patria. Il ferro, la seta,
il cotone, il lino, le pelli, il z�ccaro sono oggetti di grandiosa manifattura. Il
lavoro del ferro, in ragione all'ampiezza del paese, porge tra Como, B�rgamo e
Brescia una cifra non mediocre, otto milioni di franchi; Milano e Como c�ntano pi�
d'otto mila telaj di seta, e novanta mila fusi di cotone; la sola Olona �nima 424
rote motrici.

XLVIII.

Il p�vero riceve una pi� generosa parte di soccorsi che altrove. Nel 1840 si
contav�no 72 ospitali; in un triennio s'aggi�nsero altri 6; altri 7 si stanno
edificando; e sono aperti a tutti, senza patronato, senza favore, alla sola
condizione dell'infermit� e del bisogno. Il patrimonio st�bile di questi ospitali
ha un valore venale di duecento milioni. Il solo ospitale di Milano ricetta nel
corso d'un anno 24 mila infermi; Parigi, che ha una popolazione pi� che qu�drupla,
ne ricetta ne' suoi ospitali solo il triplo. Londra ne ricetta quanto Milano;
epper�, a proporzione di p�polo, l� si soccorre un infermo, dove qui se ne
socc�rrono dieci. Il p�vero � sovvenuto di m�dici, di medicine e di chirurghi anche
nelle sue case, non solo nella citt�, ma nelle pi� remote campagne. La met� incirca
dei m�dici e dei chirurghi, e tre quarti delle levatrici, hanno stipendio dai
communi, a sollievo delle famiglie p�vere. Il n�mero dei m�dici � in ragguaglio di
uno sopra 13 chil�metri quadri di paese, mentre nel Belgio ogni m�dico ha un doppio
campo di vigilanza. Questo es�rcito sanitario di m�dici, di chirurghi, di speziali,
di veterinarj, di levatrici, somma a poco meno di cinque mila persone. - In pari
misura il paese � provisto d'ingegneri, i quali nella sola citt� di Milano
ammontano a circa 450, mentre il corpo d'aque e strade in tutta la vastit� della
Francia ne conta solo 568; il che ag�vola ogni �pera d'aque e di strade. Il n�mero
grande delle classi istrutte, poste in assiduo contatto colla popolazione, es�rcita
una ben�fica influenza a rim�vere i pregiudizj, e insinuare un retto senso
d'utilit�.
Gli abitanti delle citt� sono quattrocentomila; e molti �ppidi e borghi di sei, di
otto, di diecimila abitanti, bench� non �bbiano nome di citt�, c�ntano numerose
famiglie civili; la possidenza � diffusa in tutte le classi; onde, ogni cosa
considerata, � forse questo il paese di Europa che offre il maggior n�mero di
famiglie civili in proporzione all'inculta plebe.

XLIX.

I fasti delle nostre scienze e l�ttere non sono oscuri; com�nciano con Catullo, con
Virgilio, con Plinio il gi�vine; la lingua latina tramonta col nostro Boezio; ma
presto gli studj ris�rgono con Lanfranco pavese, con Sordello mantovano, con
Albertano ed Arnaldo da Brescia; nella giurisprudenza e nella filosofia risplende
Alciato, Pomponacio, Beccar�a; nelle matem�tiche e nelle fisiche, Cardano,
Tartalia, che primo sottopose a c�lcolo le artiglier�e, Cavalieri, scopritore d'una
scienza, Piazzi scopritore d'un pianeta, e Volta che trov� la maggiore e pi�
feconda delle scientifiche scoperte. - VIRGILIO e VOLTA sono due nomi noti a tutti
i p�poli civili, e danno a questa angusta provincia uno splendore, che non ha la
vasta Spagna e la vastissima Russia.
Il nostro dialetto, nei cordiali e schietti suoni del quale si palesa tanta parte
della nostra �ndole, pi� sincera che insinuante, porta impresse le vestigia della
nostra istoria, le or�gini c�ltiche si manif�stano indelebilmente nei suoni; le
romane nel dizionario; qualche lieve solco, lasciato dall'infeconda et�
longob�rdica, a gran pena si discerne, mentre vi gi�ciono inesplorate ancora le
tracce di qualche cosa che fu pi� antico e pi� nativo dei Romani e forse dei Celti.
I confini entro cui si parla questo linguaggio e gli altri affini suoi,
rappres�ntano tuttora la geografia dei s�coli romani; documento ist�rico che
attende ancora chi ne sappia trar lume ad ardue induzioni. Questo dialetto,
inosservato all'Europa, ma parlato da pi� d'un milione di p�polo, ha due s�coli di
letteratura. U�mini d'ingegno e di studj e d'alto affare si finsero plebe,
affil�rono coll'acerbit� popolare l'ottusa verit�. Maggi, Tanzi, Balestrieri lo
scr�ssero non conosc�ndone ancora la potenza satirica; Parini e Bossi vi
apport�rono l'elegante �bito delle l�ttere e delle arti; e Carlo Porta, poeta
d'alt�ssimo ingegno, alla naturalezza del dipinto fiammingo congiunse la forza
c�mica di Moli�re, il frizzo di Giovenale, l'efficacia contemporanea di B�ranger.
Nella Fugitiva di Grossi il dialetto tocc� gli affetti; e si conserv� negli officj
troppo necessarj della s�tira civile in Rajberti.

L.

Lo straniero vede chi noi siamo. I nostri padri f�rono pi� prodi che fortunati; e
noi possiamo dire che la nostra generazione fu s�mile alle trapassate. V�vono
ancora fra noi le reliquie di quegli es�rciti che, improvisati da Napoleone,
milit�rono sotto le mura di Gerona e di Valenza, sui campi sanguinosi d'Austerlitz
e di Raab, che dopo aver combattuto a Malo-Jaroslavetz conserv�rono su la Beresina
una disciplina e una alacrit� superiori ai disastri; e in guerra che tornava a
gloria d'altra nazione poco lodata per gratit�dine, sost�nnero, fin dopo la caduta
del loro capo, tutti i doveri della fedelt� militare.
Noi abbiamo recato il nostro tributo alle l�ttere, alle arti, alla filosofia, alle
matem�tiche, all'idr�ulica, all'agricultura, all'elettrolog�a; l'En�ide di Virgilio
e il Giorno del Parini, il Duomo e la Certosa, il libro dei Delitti e delle Pene e
i primi c�lcoli della bal�stica, tutta l'arte dei canali navig�bili, i prati
perenni, la pila voltiana. Noi, senza dirci migliori degli altri p�poli, possiamo
r�ggere al paragone di qual altro s�asi pi� illustre per intelligenza, o pi�
ammirato per virt�; e aspettiamo che un'altra nazione ci mostri, se pu�, in pari
spazio di terra le vestigia di maggiori e pi� perseveranti fatiche. � una scortese
e sleale asserzione quella che attribuisce ogni cosa fra noi al favore della natura
e all'amenit� del cielo; e se il nostro paese � ubertoso e bello, e nella regione
dei laghi forse il pi� bello di tutti, possiamo dire eziand�o che nessun p�polo
svolse con tanta perseveranza d'arte i doni che gli confid� la cortese natura.

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