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I primi filosofi

I primi filosofi sono chiamati presocratici. Questo termine possiede una valenza concettuale
poiché denota un gruppo di pensatori perlopiù anteriori a Socrate che si occuparono
principalmente del problema della natura e della realtà.

I primi a spostare il centro di una riflessione filosofica dall’universo all’uomo furono i sofisti, alcuni
dei quali furono attivi prima di Socrate. I presocratico risultano perciò di fatto i presofisti.

I pre sofisti si dividono in numerose scuole:

• I fisici ionici appartenenti alla scuola di Mileto (Talete, Anassimandro, Anassimene.)

• I pitagorici appartenenti alla scuola di Pitagora a Crotone

• Gli eraclitei seguaci di Eraclito

• Gli eleati appartenenti alla scuola di Elea e seguaci di Parmenide

• I fisici pluralisti: Empedocle, Democrito e Anassagora.

I pre sofisti operano in un primo tempo nelle colonie della Ionia oppure nella Magna Grecia. Più
tardi con Anassagora la filosofia fa ingresso ad Atene. Cronologicamente gli ultimi per i sofisti
(Anassagora e Democrito) risultano contemporanei dei sofisti e di Socrate ( V secolo ).

Le caratteristiche di questi pensatori, che li distingue concettualmente dai sofisti e da Socrate, è


la tendenza a concentrarsi sul problema della realtà.

Ciò non esclude un certo interesse per i problemi dell’uomo ma rimane indubbio che i problemi
dominanti della filosofia presocratica furono quelli cosmologico e ontologico.

La scuola di mileto Nel VI secolo a.C. si sviluppò nella Ionio (regione meridionale e costiera
dell’Asia minore) una fiorente civiltà che ebbe i suoi centri più importanti Mileto, Efeso, Samo
eccetera. La pressione demografica alla poi favorito l’emigrazione e altre colonie ioniche erano
sorte in Sicilia e sulle coste del Mar Nero.

Il rapido sviluppo di forme politiche democratiche, i contatti con le civiltà del vicino oriente,
l’allargarsi degli orizzonti della mentalità della popolazione contribuirono a elaborare di una nuova
cultura impegnata a liberarsi delle credenze magiche.

Il pensiero dei primi filosofi si incentra soprattutto sul problema della natura, in greco fhysis da
cui appellativo fisici con cui si è soliti designare i pensatori ionici.

Ionici si convinsero che aldilà di tutto ciò che appare vi è una realtà unica ed eterna.

Essi la denominarono arche ossia principio, intendendo con questo concetto sia la materia
originaria da cui tutte le cose derivano sia la forza che le ha generate sia la legge che spiega la
loro nascita e la loro morte.

Da ciò:

• monismo dal greco Monos poiché dietro il divenire del mondo riconoscono un unico principio.

• ilozoismo ( hyle materia zoon vivente) ritengono che la materia sia fornita di una forza che la fa
muovere

• Panteismo ( pan tutto theos dio) tendono a identificare il principio eterno del mondo con la
divinità

Talete

A scuola ionica e Talete di Mileto il quale visse tra la fine del VII secolo e la prima metà del sesto.
Talete fu uomo politico, astronomo, matematico e fisico oltre che filosofo.come astronomo
predisse un’eclissi solare, (585), come matematico formulo vari teoremi, come fisico scoprì le
proprietà del magnete. Ci giungono alcune testimonianze relative a talete

Secondo Platone Talete osservando il cielo cade in un pozzo poiché meravigliato.

Un altro aneddoto riferito da Aristotele tende a mettere in luce la sua abilità di uomo d’affari:
prevedendo un abbondantissimo raccolto di olive egli prese in affitto tutti frantoi della zona, per
poi subaffittar subaffittarli a un prezzo molto più alto agli stessi proprietari.agli stessi proprietari.

Pare che Talete non abbia lasciato scritti filosofici.dobbiamo la conoscenza della sua dottrina ad
Aristotele il quale scrive:

“Talete Dice che il principio è l’acqua, perciò anche sosteneva che la terra sta sopra l’acqua;
prendeva forse argomento dal vedere che il nutrimento da ogni cosa è umido e persino il caldo si
genera e vive nell’umido;.”

Già nei poemi omerici oceano e Teti comparivano come principi della generazione. Talete
avrebbe inoltre affermato che tutto è pieno di dei volendo probabilmente alludere alla sua visione
panteistica delle cose.

Anassimandro

Concittadino e contemporaneo di Talete Anassimandro nacque nel 611 a.C. e morì nel
547.anche il uomo politico e astronomo è il primo autore greco di cui ci siano pervenuti gli scritti
filosofici; la sua opera in prosa intorno alla natura.

Anassimandro fu il primo a dare alla sostanza primordiale il nome di principio.

Egli individuò l’arche in qualcosa di infinito e indeterminato dal quale egli riteneva che tutte le
cose avessero origine e nel quale tornassero a dissolversi una volta concluso il ciclo prestabilito.

Questo infinito è detto da Anassimandro apeiron: esso abbraccia e governa ogni cosa ed è
immortale e indistruttibile quindi divino. Inoltre non va concepito come una miscela di vari
elementi I quali sono tutti ben determinati bensì si tratterebbe di una massa informe in cui tutti gli
elementi non sono ancora distinti perciò oltre essere infinita e anche indefinita.

Anassimandro si pone anche il problema del processo attraverso il quale le cose derivano dalla
sostanza primordiale, identificandolo nella separazione. Egli è convinto che la sostanza infinita
sia animata da un eterno movimento in virtù del quale i contrari si separano dando origine a tutte
le cose. Per mezzo di questa separazione si generano infiniti mondi che si succedono l’uno
all’altro.

Per ogni mondo così per ogni cosa che lo abita e segnato il tempo della nascita della durata e
della fine, ovvero del suo ritorno nell’indistinzione da cui proviene. Esiste quindi una legge che
impone un limite alla vita del mondo.

La natura della sostanza primordiale conduce il filosofo ad ammettere l’infinità dei mondi.

Anassimandro concepisce la terra come un cilindro che si libra in mezzo al mondo. Essi inoltre
pensa all’origine degli altri animali: nacquero dentro i pesci e dopo essere stati nutriti gettati fuori
dall’acqua e divennero essere terrestri. Tutte queste teorie manifestano l’esigenza di cercare una
spiegazione naturalistica del mondo e alcuni interpreti hanno intravisto una anticipazione dell
ipotesi evolutiva.

Anassimene

Anassimene di Mileto, più giovane di Anassimandro e forse suo discepolo, raggiunse l’apice del
suo pensiero verso il 546 e morì verso il 528.

Egli riconobbe come principio una materia determinata, l’aria ma ad issa attribuì l’infinità, il
movimento incessante. Egli vide nell’aria anche la forza che anima il mondo:

“ come l’ anima nostra, che è aria, ci sostiene, così il soffio e l’aria circondano il mondo intero”

Il mondo è come un animale gigantesco che respira, il respiro e la sua anima. Nascono tutte le
cose chi sono furono e saranno e anche gli dei le cose divine. Anche anassimene descrive il
modo in cui dall’aria nascono e si trasformano le cose: esso consiste nel doppio processo della
rarefazione e della condensazione. Rarefacendosi l’aria diventa fuoco; condensandosi diventa
vento poi nuvola e condensandosi ancora acqua, terra e quindi pietra.

Anassimene ammette il nascere il divenire ciclico del mondo e quindi il suo dissolversi periodico.

Pitagora e i pitagorici

Ciò che sappiamo di Pitagora è piuttosto poco: nacque a Samo (isola greca dell’Egeo)
probabilmente nel 570 e si trasferì in Italia nel 532 dove morì intorno al 490.

A Crotone fondò una scuola che fu anche un’associazione politica e religiosa e le cui idee si
diffusero ben presto in tutte le città greche dell’Italia meridionale dove spesso i pitagorici
assunsero il potere.

Molto probabilmente Pitagora non scrisse nulla. La sua dottrina filosofica e quella della
metempsicosi cioè la trasmigrazione delle anime in altri corpi di uomini o di animali.

Ricollegandosi all’orfismo Pitagora considerava il corpo come una prigione dell’anima.la via per
liberare l’anima dal corpo era la filosofia che da un lato esigeva la sapienza e dall’altra la pratica
di alcuni riti purificatori. Nella comunità fondata da Pitagora si eseguiva un certo numero di
regole ascetiche e si viveva in una condizione di comunione dei beni. Pitagora era considerato il
depositario di una sapienza divina ed era quindi vietato apportare modifiche alla sua dottrina.

Quando nelle città greche si determinò un movimento democratico che distrusse le istituzioni
aristocratiche fondate dai pitagorici questi ultimi furono massacrati e costretti a fuggire e le loro
scuole vennero incendiate.

La nascita della matematica Ai pitagorici si deve la nascita della matematica come disciplina
scientifica. Infatti anche fosse veritiera la tradizione secondo cui Pitagora avrebbe preso
ispirazione dagli egiziani egli non poteva apprender da questi che semplici nozioni geometriche.

I pitagorici cominciarono a trattare la matematica come una vera scienza elaborandone gli
elementi fondamentali. Essi stabilirono quel carattere rigoroso della dimostrazione che divenne
poi la norma della matematica.

Il numero come principio del cosmo È difficile indicare quali fossero precisamente le dottrine
matematiche dei pitagorici. La tesi pitagorica fondamentale è che il numero è la sostanza di tutte
le cose. I pitagorici riconoscono nel numero il principio da cui le cose sono costituite.

Il 10 considerato il numero perfetto è rappresentato da un triangolo equilatero che ha numero


quattro perlato e costituisce la sacra figura della tetraktys

Aritmetica e geometria vengono in questo modo a fondersi e finiscono per essere considerate
pressoché identiche: ogni numero e allo stesso tempo una figura geometrica.

Il concetto che sta alla base del principio pitagorico è dunque quello di un ordine misurabile del
mondo. Mediante il numero è possibile spiegare le cose più disparate: succedersi delle stagioni,
ciclo delle vegetazioni…

Nell’Identificazione pitagorica del principio come il numero sembra aver rivestito un ruolo
particolarmente significativo la musica. In un’esecuzione musicale sia la melodia sia l’armonia
risultano piacevoli all’orecchio se le note vengono eseguite secondo un ordine determinato che
può essere tradotto in forma di rapporti matematici.

I pitagorici la musica era un aspetto della cosmologia: erano convinti che le sfere celesti
muovendosi producessero una splendida melodia. L’uomo da sempre immerso in essa crede di
udire soltanto silenzio ma se questa armonia delle sfere cessasse e ci si renderebbe conto di
cosa sia davvero il silenzio. In questo sta la loro grande importanza per la storia del pensiero:
nell’essere stati i primi a ricondurre ogni aspetto del mondo è una serie di rapporti numerici
ovvero un ordine misurabile.

Considerato come un tutto armonico e ben organizzato l’universo dei pitagorici è un cosmo
termine che in origine significava ordine e che proprio la scuola pitagorica attribuì al mondo nel
suo complesso.

L’opposizione tra limite è illimitato L’opposizione fondamentale è quella tra pari e dispari che per
i pitagorici riflette tutte le cose dividendo ogni categoria in due parti una corrispondente al pari
dell’altra dispari.

Il Paris è un’entità illimitata. Il dispari è un’entità limitata ovvero terminata e compiuta.

Le serie parallele di punti di cui sono costituiti i numeri pari non trovano un termine che ne chiuda
lo spazio intero tanto che sembrano poter procedere indefinitamente.

Secondo modo di pensare tipicamente greco i pitagorici associavano l’illimitato all’indeterminato


e incompleto e quindi a qualcosa di difettoso. Facevano corrispondere il limitato al compiuto e
quindi a qualcosa di perfetto.

All’opposizione tra pari e dispari i pitagorici accostarono altre coppie di opposti:

1. Limitato e illimitato

2. Disparo e paei

3. Unità e molteplicità

4. Destra sinistra

5. Maschio femmina

6. Quiete e movimento

7. Retta curva

8. Luce e tenebre

9. Bene male

10. Quadrato rettangolo

Il pitagorismo si può dunque considerare come una forma di dualismo poiché spiega la realtà
sulla base di una contrapposizione tra due principi

L’antropologia morale Il pitagorismo vengono ricondotte teorie antropologiche diverse. Sembra


che per l’interpretazione dell’uomo e del suo mondo i pitagorici si siano avvalsi delle loro idee
matematiche e li avrebbero portati a considerare l’anima umana come armonia. Questa dottrina
si trova traccia nel fedone di Platone dove viene esposta da Simmia scolaro di filolao.

Accanto a questa teoria se ne attesta un’altra ben diversa incentrata sull’idea di derivazione or
fica del corpo come prigione dell’anima. Non a caso i pitagorici richiamavano la vicinanza tra il
termine soma ovvero corpo e sema ovvero tomba. Il corpo era la tomba dell’anima.

Nella prospettiva pitagorica la colpa attribuita all’anima non va intesa come una violazione
commessa volontariamente ma come una sorta di ingiustizia cosmica.

Per quanto riguarda la morale anche in questo campo i pitagorici ricorsero alla dottrina
dell’armonia. Ad esempio associarono il numero quattro o il nove (due numeri quadrati) e la
giustizia poiché consiste nel remunerare meriti uguali con uguale compensi uguali colpe con
uguali pene.

Si ricollega al pitagorismo benché non sia mai stato tra gli scolari di Pitagora il medico alcmeone
ricordato per aver indicato nel cervello l’organo della vita spirituale dell’uomo in un epoca in cui
tale organo era identificato nel cuore.

Eraclito

Eraclito nacque e visse a Efeso tra il sesto e V secolo a.C. Sembra fosse di nobili origini tanto
che la sua filosofia manifesta talvolta un tono altezzoso che la distingue da quella di pensatori
precedenti e che rivela come gli appartenesse un indirizzo politico. Eraclito scrisse un’opera in
prosa che fu poi indicata con il titolo intorno alla natura, costituita da aforismi e sentenze brevi e
taglienti la cui enigmaticità spiega l’appellativo di oscuro con cui il filosofo fu soprannominato.

Alla base del pensiero di Eraclito vi è la contrapposizione tra la filosofia da lui identificata con la
conoscenza della verità, e la comune mentalità degli uomini da lui ritenuta fonte di errore. Egli
pensava infatti che la maggioranza degli uomini vivessero come in un sogno illusorio incapaci di
comprendere le leggi del mondo. A questi egli contrapponeva gli uomini svegli ovveri filosofi che
sanno cogliere il nocciolo vero delle cose.

Alcuni studiosi hanno identificato la distinzione eraclitea fra i più e i filosofi con la
contrapposizione tra popoli e aristocratici. altri hanno letto questa contrapposizione il senso solo
filosofico e non sociologico.

La dottrina del divenire Eraclito è passato alla tradizione come il filosofo del divenire in quanto
concepisce il mondo come un flusso perenne in cui tutto scorre, analogamente a quanto fa la
corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse. La forma dell’essere è dunque il
divenire, dal momento che ogni cosa è soggetta allo scorrere del tempo e alla trasformazione.e
lo scarso numero di frammenti che testimonierebbero la concezione eraclitea di un incessante
divenire della realtà alcuni critici sono giunti alla conclusione che la dottrina del tutto scorre non
sarebbe propria di questo filosofo ma solo dei suoi discepoli.

La concezione della realtà come perpetuo fluire si concretizza nella tesi secondo cui il principio di
tutte le cose è il fuoco elemento mobile e distruttore per eccellenza che ben simboleggia la
visione eraclitea del cosmo come energia in perpetua trasformazione: tutto ciò che esiste
proviene dal fuoco e ritorna al fuoco, secondo il processo della via allingiù (il fuoco
condensandosi diventa acqua e poi terra) e della via all’insù (la terra rarefacendosi diventa acqua
e poi fuoco ).

La dottrina dei contrari La parte più originale del pensiero eraclitea è la dottrina dell’unità dei
contrari. Molti ritengono che un opposto possa vivere senza l’altro il suo corrispondente (il bene
senza il male).

Filosoficamente parlando questa è una credenza illusoria poiché la leggenda segreta del mondo,
di cui Eraclito vuole essere lo scopritore) risiede proprio nella stretta connessione dei contrari. In
quanto opposti i contrari lottano tra loro ma lo stesso tempo non possono stare l’uno senza
l’altro in quanto sussistono solo l’uno in virtù dell’altro (la salute in virtù della malattia, la giustizia
in virtù della offesa). La scoperta dell’unità degli opposti porta Eraclito a ritenere che l’armonia
del mondo non risiede nella conciliazione dei contrari bensì nel mantenimento del conflitto.
Contro omero che avrebbe detto “possa la discordia sparire tra gli dei e gli uomini” Eraclito
obietta “Omero forse non si accorge che gli prega per la distruzione dell’universo perché se la
sua preghiera fosse esaudita tutte le cose perirebbero ”.

La dottrina dell universo La visione cosmologica di Eraclito sfocia nell’identificazione panteistica


dell’universo con Dio inteso come unità di tutti contrari. In un celebre frammento Eraclito
sentenzia:

la divinità è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame. Essa muta come il fuoco.

Il nostro mondo, è lo stesso per tutti, nessuno degli dei o degli uomini la creato ma fu sempre, è
e sarà fuoco eternamente vivo e con ordine regolare si accende e con ordine regolare si spegne.

In queste righe riconoscibile un abbozzo di visione ciclica del mondo secondo il quale la vita
dell’universo è un eterno alternarsi di produzione distruzione.

La dottrina della consocienza Eraclito rivolge una critica radicale agli uomini che si fermano nelle
apparenze e non indagano a fondo nelle cose. Eraclito a una visione piuttosto semplice della
conoscenza: egli crede nell’affidabilità dell’esperienza e nella veridicità delle informazioni che ci
vengono fornite dei sensi. Così finisce per affermare che il sole alla larghezza di un piede
umano.tutto ciò può sembrare un passo indietro rispetto ai pitagorici i quali si affermavano sia
all’esperienza sia alla ragione: tuttavia costituisce un possibile antidoto contro la negazione del
valore dell’esperienza che caratterizzerà la scuola eleatica.

La filosofia eleatica

L’eleatismo, si sviluppa nelle colonie greche dell'Italia meridionale e prende il nome dalla città di
Elea.

Mentre gli ionici ricercavano un principio o una sostanza fisica capace di spiegare la molteplicità
delle cose e il mutamento della natura, gli eleati pretendono di andare oltre per giungere a
svelare un essere unico, eterno e immutabile di fronte al quale il nostro mondo è solo apparenza
ingannevole. Le cose, per gli eleati non sono così come i sensi e l'esperienza le manifestano, ma
come la ragione le pensa secondo una logica rigorosa.

Parmenide

Il fondatore della scuola eleatica fu Parmenide. Nato a Elea, egli visse in un periodo compreso tra
il 550 e il 450 a.C. ed espose il proprio pensiero in un'opera in versi.

Nel proemio del poema Parmenide immagina di trovarsi su un carro trainato da focose cavalle, in
compagnia delle figlie del Sole, e di essere portato al cospetto di una dea, la quale gli rivela «il
solido cuore della ben rotonda Verità».

I toni ispirati che caratterizzano l'opera testimoniano, da un lato, quell'indissolubile unione di


poesia e filosofia dall'altro, la probabile appartenenza di Parmenide a un ambiente di tipo
aristocratico.

Il sentiero della verità Secondo Parmenide, di fronte all'uomo si aprono sostanzialmente due vie:

• il sentiero della verità, basato sulla ragione, che ci porta a conoscere l'essere vero;

• Il sentiero dell'opinione, basato sui sensi, che ci porta a conoscere l'essere apparente.

La ragione ci dice fondamentalmente una cosa: l'essere è e può non essere, mentre il non essere
non è e non può essere.

Il filosofo intende affermare che solo l'essere esiste, mentre il non essere, per definizione, non
esiste e non può venir pensato. Infatti, il nostro pensiero e il nostro linguaggio possono riferirsi
soltanto all'essere, mentre il non essere risulta impensabile e inesprimibile.

la tesi di Parmenide secondo cui «l'essere è; il nulla non è» presup pone la validità di due principi
logici : il principio di identità, per il quale ogni cosa è se stessa, e il principio di non-
contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nello stesso tempo non sia
ciò che è.

Parmenide il termine essere, da semplice forma verbale diventa un sostantivo neutro che allude a
un concetto astratto. Ciò avviene grazie all'articolo determinativo (in greco to).

Con le espressioni “l'essente” (to on) o "l'essere" (to éinai), egli intende riferirsi alla realtà in
generale. In altre parole, con Parmenide prende avvio quel ramo fondamentale del pensiero
filosofico che verrà chiamato ontologia, cioè "discorso sull'essere".

Il mondo dell essere e della ragione Dalla tesi secondo cui il non essere non esiste Parmenide
ricava, mediante una logica rigorosa, una serie di dell'essere attributi dell'essere vero, o
autentico:

• egli sostiene che l'essere è ingenerato e imperituro, perché se nascesse o perisse


implicherebbe il non essere in quanto nascendo verrebbe dal nulla e morendo si dissolverebbe
nel nulla);

• di conseguenza l'essere è eterno, poiché se fosse nel tempo implicherebbe un passa to in cui
“non era" e un futuro in cui "non è"

• l'essere, inoltre, è immobile e immutabile, perché se si muovesse o mutasse impli cherebbe di


nuovo il non essere, in quanto si troverebbe in una serie di stati o di situazioni in cui prima non
si trovava;

• l'essere è quindi unico e omogeneo, perché se fosse molteplice o in sé differenziato


implicherebbe degli "intervalli" di non essere;

• infine, l'essere è finito, poiché, secondo la mentalità greca di Parmenide, la finitudi ne è


sinonimo di compiutezza e perfezione.

Con la forza della logica, Parmenide abbia definito gli attributi filosofici di un essere
ontologicamente perfetto.

In tutti i suoi aspetti, l'essere parmenideo si configura come una realtà necessaria, ossia come
qualcosa che non può non essere o essere diverso da com'è.

Per alcuni l'essere parmenideo è una realtà metafisica o teologica, per altri una realtà fisica e
corporea per altri ancora una costruzione logico-grammaticale

Il mondo dell’apparenza e dell’opinione Parmenide deve affrontare il problema di come vada


inteso il mondo in cui viviamo, cioè quella zona della realtà che, secondo la testimonianza dei
nostri sensi, presenta attributi diametralmente opposti a quelli dell'essere vero.

afferma che il nostro mondo implica il non essere, e dunque, filosoficamente parlando, è pura
apparenza o illusione.

nella seconda parte del suo poema, dopo una prima parte del mondo dedicata alla verità, ovvero
alla descrizione dell'essere autentico, il filosofo espone, pre sentandola come opinione, una
spiegazione verosimile del mondo e dell apparenza. Questa consiste in una teoria dualistica
secondo la quale il mondo sarebbe governato da due principi opposti: la luce e la notte.

Essere pensiero e linguaggio Abbiamo già visto come Parmenide fondi l'intera sua dottrina
sull'affermazione che l'essere si può pensa re e dire, mentre il non essere non si può né pensare
né dire. Questo significa che per lui la sfera dell'essere e quella del pensiero formano un tutt'uno
con quella linguistica: ontologia, logica e linguaggio risultano pertanto indissolubilmente
connessi.

Questa identificazione fa eviden temente pensare a una concezione “naturalistica" del


linguaggio, secondo la quale esso non può che riflettere la realtà.

Ma poi il filosofo ag giunge che la molteplicità ha nomi contraddittori, che in qualche modo ne
annientano l'esistenza: le molteplici cose del mondo a cui gli uomini («») hanno attribuito un
nome sono in realtà cose insussistenti.

In questo senso il linguaggio appare come una costruzione artificiosa dell'uomo, una
convenzione priva di spessore ontologico.

La problematica terza via di parmenide A questo punto sembrerebbe di poter affermare che le vie
prospettate da Parmenide, più che due, siano tre:

• la via dell'assoluta verità, che dice solo l'essere;

• la via dell'opinione ingannevole, che dice anche il non essere;

• la via dell'opinione plausibile, che offre una spiegazione verosimile della realtà percepita con i
sensi.

Lo storico della filosofia Giovanni Reale «Le tradizionali cosmogonie erano state costruite
facendo leva sulla dinamica degli opposti e di questi IMO era concepito coke essere positivo e
l’altro in negativo come non essere.

Ora, se condo Parmenide l'errore sta nel non aver capito che gli opposti devono pensarsi come
inclusi nella superiore unità dell'essere: gli opposti sono ambedue "essere".

Dal punto di vista di Parmenide l'unico discorso filosoficamente fondato è quello della verità in
quanto la doxa, anche se plausibile ), rimane pur sempre dóxa, cioè un discorso privo del valore
di verità incontrovertibile, dal momento che ha per og getto la mera apparenza sensibile.

I fisici pluralisti

i cosiddetti "fisici pluralisti" tornano a interessarsi del problema della natura.

la loro filosofia rappresenta un primo tentativo di sintesi fra l'eraclitismo e l'eleatismo.

Di Eraclito e della scuola di Mileto essi accettano l'idea del divenireincessante delle cose, mentre
di Parmenide accolgono il concetto dell'eternità e dell'immutabilità dell'essere "vero".

La geniale soluzione di questi filosofi si basa sulla distinzione tra elementi immutabili e composti
mutevoli. Essi, ritengono che le cose del mondo siano costituite di molteplici elementi eterni che,
unendosi tra loro, provocano ciò che noi chiamiamo "nascita" e, disunendosi, provocano ciò che
noi chiamiamo "morte". In tal modo finiscono per giungere al principio secondo cui, in natura,
nulla si crea e nulla si distrugge davvero, ma semplicemente tutto si trasforma.

Anassagora

Colui che introdusse la filosofia ad Atene fu anassagors tra il 500 e il 496.

Autore di un'opera intitolata Sulla natura, di cui ci restano pochi frammenti, anche Anassagora
ammette il principio di Parmenide per cui nulla nasce e nulla perisce,e anch'egli, come
Empedocle, interpreta il verbo "nascere" nel senso di "riunirsi" e il verbo "perire" nel senso di
"separarsi".

Gli elementi si uniscono e sparano per Anassagora sono i semi, particelle piccolissime e invisibili
di materia. Queste particelle sono tra loro qualitativamente differenti: ci sono semi di oro, di pie
tra, di carne, di ossa. da quelle particelle si generano tutte le cose corporee.

secondo la dottrina anassagorea hanno gli stessi caratteri del tutto che entrano a costituire.
L'oro, ad esem pio, è costituito in prevalenza da semi di oro;

Il carattere fondamentale dei semi è la loro divisibilità all'infinito. Secondo Anassago ra, non
esiste una quantità minima: ogni quantità, per quanto piccola, è ancora divisibile in parti minori.

Il concetto anassagoreo si rivela importante nella matematica moderna nel calcolo infinitesimale.
Intelligenza ordinatrice Dai semi Anassagora distingue la forza che li fa muovere e li ordina.
Questa forza è un noús, cioè un'intelligenza di natura divina che distingue e organizza i semi
originariamente confusi, generando così il mondo. Tuttavia quest'ordine non è mai perfetto e
stabile, giacché, i semi rimangono, in una certa misura, sempre tutti mescolati gli uni con gli altri.

Originariamente, il mondo non è che un caos informe. Il nous produce un movimento turbinoso
che fa dividere i semi delle diverse sostanze secondo le opposiziono del caldo e del freddo, e
della luce e dell'oscurità. La terra si separa così dall'acqua e dall'aria. Lo stesso movimento
turbinoso fa poi staccare dalla terra una serie di masse che si in fiammano e che, formano gli
astri e lo stesso Sole. Gli animali e l'uomo si formano dai semi provenienti dall'aria.

Per lungo tempo gli studiosi si sono interrogati sul carattere "spirituale” o “materiale" del noús
anassagoreo.

La sua natura appare infatti più vicina a quella della materia che a quella di ciò che noi
intendiamo per "spirito". Inoltre, l'azione che il noús esercita sul mondo ha poco di
provvidenziale tanto che Platone e Aristotele noteranno come Anassagora, faccia ricor so
all'intelligenza divina il meno possibile, ovvero solo quando gli difetta la spiegazio ne naturalistica
di cui egli solitamente si avvale.

La conoscenza Anassagorw arferma che la sensazione è prodotta non già dalle cose simili, ma
piuttosto dalle dissimili. Ad esempio, noi percepiamo una cosa calda quando la nostra mano è
fredda. In altre parole, solo l'assenza in noi di una determinata qualità ci consente di coglierla.

Anassagora, infatti, è convinto che l'umanità si sviluppi attra verso «l'esperienza, la memoria, il
sapere e la tecnica». La crescita dell umanità è determinata dal passaggio graduale attraverso
alcune fasi: l'esperienza sensibile, fissata nella memo ria, costituisce il sapere, che a sua volta
trova concretizzazione anche nelle tecniche

Democrito

L'atomismo rappresenta una delle più vaste sintesi del pensiero greco.

Il suo esponente più significativo, Democrito, viene solitamente presentato insieme con gli ultimi
presocratici (Empedocle e Anassagora). In realtà egli è piuttosto un post-socratico, in quanto
risulta contemporaneo non solo di Socrate, Ma anche Platone.

sebbene sia prevalentemente dominato dal problema della natura si mostra aperto anche ai
problemi della morale, manifestando una tendenza enciclopedica.

Sembra che in un primo tempo egli sia stato discepolo degli eleati, che in seguito abbia fondato
una propria scuola ad Abdera e che abbia scritto una Grande cosmologia.

La figura di democrito Democrito nacque ad Abdera probabilmente intorno al 460-459 a.C.

Cresciuto tra gli agi e le ricchezze, sembra che a un certo punto abbia rinunciato a una parte dei
suoi averi per dedicarsi esclusivamente agli studi e ai viaggi.

Sul filone elearico egli ritiene che l’occhio del filosofo debba cercare di raggiungere la realtà
autentica delle cose, conscio del fatto che «la verità dimora nel profondo».

I sensi invece si limitano a vagare alla superficie delle cose, la ragione riesce a cogliere l'essere
vero del mondo. Mentre negli eleati la sensazione e il pensiero rimangono divisi, in Democrito
sensibilità e intelletto, esperienza e ragione, si trovano in un rapporto di reciproca continuità e
implicanza.

Nella prospettiva democritea, infatti, la conoscenza:

• parte dalla constatazione delle cose e dei fenomeni attraverso i sensi;

• si sviluppa mediante un'autonoma elaborazione intellettuale e logica di questi datisensibili;

• perviene a una teoria in grado di "spiegare" ciò che i sensi si limitano a "mostrare".

La struttura atomica della realtà La dottrina di democrito Virne indicata con il termine
"atomismo", in quanto descrive l'universo come costituito dal vario aggregarsi di un numero
infinito di "atomi", particelle indivisibili di materia. Quest'idea rappresenta una sorta di
"fisicizzazione" del binomio eleatico di essere e non essere, in quanto l'essere viene identificato
con il pieno, ovvero con la materia, non essere con il vuoto, cioè con lo spazio in cui le particelle
di materia si muovono.

La loro dottrina è piuttosto il frutto di una deduzione razionale, che a sua volta discen de da una
riflessione sul problema della divisibilità all'infinito sollevato da Zenone. Contro quest'ultimo, gli
atomisti affermano che la divisibilità all'infinito vale solo in campo logico-matematico, ma non in
campo reale. perché, a furia di dividere la materia, la realtà si dissolverebbe nel nulla. Ma se al
fondo della natura vi fosse il nulla, non si capirebbe come da tale nulla possa derivare la realtà
concreta.

Si è obbligati ad ammettere che esistano dei costituenti ultimi della materia, ossia del le particelle
minime non ulteriormente decomponibili. Dividere un pezzo di materia, può solo voler dire
separare gli atomi che lo compongono, ma non certo divi dere i singoli atomi.

se c'è il movimento, sostiene Democrito, ci deve per forza essere il vuoto in Cui gli atomi si
spostano.

afferma che gli essi sono pieni, immutabili, ingenerati ed eterni.

Tra gli atomi non vi sono differenze qualitative, perché son fatti tutti della medesima "stoffa" e si
distinguono l'uno dall'altro solo per gli aspetti quantitativi della forma geometrica e

della grandezza. Essi determinano la “nascita" e la "morte" delle cose rispettivamente con la loro
unione e separazione.

Il movimento degli atomi Su come Democrito intendessero il movimento degli atomi vi è qualche
incer tezza interpretativa. Per molto tempo gli studiosi hanno ritenuto che per Democrito gli atomi
fossero in perpetua caduta secondo un moto rettilineo e che i più pesanti, cadendo più
rapidamente, urtassero contro i più leggeri. Oggi si tende invece a ritenere che questo punto di
vista non fosse di Democrito, bensì di Epicuro.

Per democrito il movimento delle particelle" materiali si configurasse piuttosto come un loro
volteggiare caotico in tutte le dire zioni.

si concretizzavano in veri e propri “vortici" atomici, con le particelle più grandi al centro.

Poiché gli atomi erano considerati numericamente infiniti Democrito riteneva che vi fossero
anche infiniti mondi Senz acqua oppure con più soli e lune. L’universo era per Democrito
spazialmente infinito.

Spiegazione materialista del mondo Tutta la dottrina atomistica si regge su un postulato, ovvero
su un'affermazione la cui verità è indimostrabile, ma che viene assunta come base teorica
imprescindibile. Come postulato gli atomisti individuano il movimento quale caratteristica
originaria degli atomi, concepiti come semoventi.

in Democrito il problema della causa del movimento non si pone; non ha senso chiedersi quale
sia la causa del movimento della materia, poiché, data la materia, ne segue necessariamente il
suo movimento, secondo l'equazio ne: materia = movimento.

Eterna come il movimento è, anche la sostanza materiale complessiva della quantità


dell'universo, che non può né aumentare né diminuire, perché questo implicherebbe una
creazione dal nulla o una dissoluzione nel nulla di una certa quantità di atomi.

pur ammettendo in qualche modo l'esistenza degli dèi, Democrito riteneva però che alla base del
mondo non vi fosse alcuna intelligenza.

Parte integrante del materialismo democriteo è il meccanicismo. In generale, si dice "finalistica"",


una spiegazione della realtà che ricorra alle nozioni di "fine", "scopo",. Si dice invece
“meccanicistica" una spiegazione delle cose che richiami le "cause" che le producono,
indipendentemente dallo scopo. "comprendere un oggetto" significa chie dersi per quale fine
esso esista, per il meccanicismo “spiegare un oggetto" significa invece chiedersi in virtù di quale
causa o legge di natura esso esista.

il meccanicismo atomistico è anche un esempio di causalismo o, di determinismo, ovvero di una


prospettiva secondo cui tutto ciò che avviene nell'universo presuppone un sistema ben preciso
di cause che lo ha prodotto.

L’universo degli atomisti può dare l'impressione, di essere sospeso al caso poiché non ammette
alcuna forza ordinatrice.

Dante si fa portavoce di questa mentalità pala di democrito come di colui che il mondo a caso
pone.

Sono tuttavia necessarie alcune precisazioni.

• se per "caso" intendiamo l'assenza di causalità, allora il verso dantesco esprime una
incomprensione del pensiero atomistico, il quale rappresenta,, la prima decisa forma di
causalismo) della storia;

• se con il termine "caso" intendiamo invece l'assenza di un disegno consapevole di origine


divina, allora il giudizio dantesco evidenzia una caratteristica oggettiva del la filosofia
atomistica. Democrito, , affermando che tutto ciò che esiste è il frutto del caso e della
necessità, intende dire che il cosmo opera al di fuori di ogni programmazione

La teoria dell anima e della conoscenza Democrito applica il modello atomistico anche alla sua
concezione dell'uomo, affermando che l'anima è anch'essa corporea. Gli atomi che
costituiscono l'anima sono di natura ignea, mobile e sottile. Essi sono diffusi in tutto il corpo. Il
pensiero risiede nel cervello. La sensazione è prodotta da effluvi di atomi che provengono dagli
oggetti e che penetrano nel corpo umano, dove incontrano gli atomi ignei dell'anima.

La sensazione deriva da un contatto dell anima com le emanazione generate dalle cose.

Democrito sostiene che non tutte le proprietà che noi attribuiamo alle cose esistono veramente in
esse. In particolare, occorre distinguere tra:

• proprietà che esprimono aspetti quantitativi e spaziali le quali caratterizzano gli oggetti in
quanto tali, indipendentemente da noi;

• • altre proprietà, che esprimono perlopiù caratteristiche qualitative le quali esistono soltanto in
relazione ai nostri organi percettivi.

Le proprietà di questo secondo tipo non esistono come tali in natura, ma si costituiscono
soltanto in rapporto ai nostri sensi: ad esempio, in natura non esiste "il dolce".

Nella storia della filosofia le proprietà esistenti di per sé sono state dette oggettive, mentre quelle
esistenti solo in rapporto al soggetto. Galileo Galilei chiamerà i due gruppi di proprietà qualità
primarie e qualità secondarie.

L'importanza di questa teoria è grandissima, poiché in virtù di essa lo studio della natura è stato
indirizzato esclusivamente alla ricerca delle determinazioni quantitative dei fenomeni.

La dottrina etica e politica L'etica di Democrito ha un tono elevato e si esprime in sentenze che
rivelano una profonda sensibilità.

Per Democrito bene più alto è costituito dalla felicità; però questa non risiede nelle vanità
mondane, bensì nell'interiorità dell'anima.

Democrito ad affermare che «fama e ricchezze senza mente non sono beni utili» poiché, dove la
ragione difetta, non si sa godere in modo autentico della vita.

La gioia che può rendere felici gli esseri umani è piuttosto di tipo spirituale e nasce dalla capacità
di non cadere nell'eccesso, ma di ricercare in ogni circostanza la misura la proporzione:.

Un altro importante aspetto dell'etica di Democrito è il cosmopolitismo, ossia la confunzione che


gli uomini possano e debbano superare i conflitti che li dividono grazie al loro essere "cittadini
del mondo", abitanti di una medesima patria: la Terra.

Questo non significa che Democrito non riconosca il valore e l'importanza dello Stato).

Egli dichiara inoltre di preferire vivere povero e libero in una democrazia, piuttosto che ricco e
servo in un'oligarchia.

Il suo pensiero costituiva vera e propria enciclopedia del sapere che spaziava dalla matematica
alla musica. Questa ricchezza spiega perché la filosofia democritea possa essere considerata
una rielaborazione di tutto il sapere presocratico.

I sofisti

Il termine sofista ( sapoente) era sinonimo di Da saggi a "saggio" (in greco sophós).

Nel V secolo a.C. cominciarono invece a essere chiamati sofisti quegli intellettuali che della loro
sapienza facevano una professione, insegnandola dietro compenso: alla mentalità aristocratica
appariva "scandaloso", tanto che Senofonte bollò i sofisti come «prostituti della cultura».

furono soprattutto Platone e Aristotele a "demonizzare" culturalmente i sofisti, giudicandoli falsi


sapienti. L'enorme influenza esercitata da Platone e da Aristotele Fece si che i sofisti fossero
definitivamente "marchiati" come pseudo-filosofi.

I sofisti operarono una vera e propria "rivoluzione" filosofica, spostando il centro della
speculazione dalla natura all'uomo: focalizzarono la loro attenzione sulla politica, sulle leggi, sulla
religione, sulla lingua, divenendo così filosofi dell'uomo e della città.

Questi spostamentp si spiega con la sfiducia nella ricerca naturalistica, che aveva ormai battuto
tutte le strade allora possibili. A determinare la nuova direzione dell'indagine, fu anche il mutato
contesto storico-politico dell'Atene del V secolo appena uscita vittoriosa contro i Persiani.

i cambiamenti più importanti furono la crisi dell'aristocrazia, l'accresciuta potenza della borghesia
cittadina, l'espandersi dei traffici e dei commerci, E l’avvento della democrazia

La democrazia rappresenta il presupposto e lo spazio operativo entro cui si mosse la corrente


dei sofisti, i quali offrirono agli ateniesi uno strumento per esercitare al meglio i loro diritti di
cittadini: l'arte della parola.

Proprio una tale sapienza i sofisti si proposero di insegnare, le loro lezioni si limitavano a
discipline formali come la grammatica o la retorica, utili alla carriera di un avvocato o di un uomo
politico.

I caratteri della sofistica

La sofistica è stata definita come una sorta di “illuminismo greco": movimento culturale che si
sviluppò in Europa nel XVIII secolo e che ebbe come principio ispiratore l'uso libero e
spregiudicato della ragione. Lo stru mento proprio dell'Illuminismo fu infatti la critica.

La sofistica presentava un carattere analogo, poiché i suoi esponenti criticarono esplici tamente i
miti e le credenze tradizionali, per sostituirli con nozioni razionali.

I sofisti per primi e laborarono il concetto di "cultura", ampliando quello di paidéia e


identificandolo appunto con la nozione di "cultura", intesa non come un insieme di conoscenze
ma come la formazione globale dell'individuo. Con i sofisti il problema educativo venne dunque
in primo piano, anche perché ritenevano che le virtù derivassero dal sapere. i sofisti si fecero
inoltre portatori di istanze cosmopolitiche, che contribuirono a un "allargamento" della mentalità
antica.

I sofisti non costituirono una scuola compatta di pensatori, poiché sostennero dottrine distinte: è
bene distinguere tra i celebri maestri appartenenti alla "prima generazione" e quelli meno noti
della "seconda", di cui fecero parte i cosiddetti "eristi”, che segnarono la fase di crisi e di
dissoluzione della sofistica.

L’uomo la storia e le tecniche

storia come progresso. Secondo Protagora l’uomo si differenzia dagli animali entrando in scoierà
e merendò a punto le tecniche mediante ke quali trasforma il mondo circostante a proprio
vantaggio.

le tecniche, da sole, non sarebbero sufficienti se non ci fosse quella "tecnica di tutte le tecniche"
che è la politica, ossia l'arte di vivere insieme nella città. Dal dialogo platonico intitolato
Protagora ap prendiamo che il sofista non concepiva la politica come qualcosa di ristretto bensì
come un'arte che riguarda ogni uomo, poiché, tutti si è però membri della polis e quindi,
"politici".

Questa tesi emerge in maniera particolarmente suggestiva nel "mito di Prometeo", un racconto di
carattere mitologico che Platone, nel Protagora, fa narrare proprio al famoso sofista.

una volta plasmate tutte le specie animali, gli dèi incaricarono Prometeo ed Epimeteo di
distribuire loro le facoltà necessarie per la so pravvivenza. Una volta terminata la di stribuzione
Prometeo si accorse però che gli uomini erano rimasti nudi e indifesi, poiché nessuna facoltà era
stata loro riservata. Egli, allora, rubò agli dèi il fuoco e ne fece dono agli uomini, perché grazie ad
esso potessero svilup pare la loro abilità tecnica e creare le condizioni per sopravvivere.

per garantire la vita degli uomini, Zeus dovette elargire loro anche il rispetto e la giustizia, perché
potessero vivere in comunità.

prodico di ceo. esalta il lavoro come via che con duce gli uomini alle più alte conquiste. In un
famoso scritto intitolato Ercole al bivio, egli contrappone la virtù alla depravazione e «di ciò che è
buono e bello, nulla gli dèi hanno concesso agli uomini senza fatica e studio».

In antifone si trova un accenno al idea di concordia tea uomini come condizione e scopo della
società. Queste teorie manifestano che ad Atene si stesse ormai inalzando un nuovo concetto di
civiltà come uni sforzo di modifica del ambiente naturale e sociale a vantaggio del uomo.

I sofisti e la religione

Protagora diceva che gli dei non sono in grado di sapere ne se sono ne se non son: la prima
professione dikosofica di agnosticismo religioso secondo cui dio non è affermabile o negabile .
Prodico di Ceo osservava come l'uomo avesse "divinizzato" quegli aspetti della natura grazie ai
quali riusciva a so pravvivere: sottintendono l'idea di un'origine umana del fenomeno religioso.

In crisia, si trova la denunzia del carattere strumentale della religione, inventata e utilizzata dai
governanti: come mezzo di controllo. Egli era convinto che gli dèi non fossero altro che
«un'inven- Crizia zione, che hanno indotti a credere nell'esistenza di una divinità che conosce e
punisce i comportamenti proibiti dalle leggi imposte da chi governa.

Il problema delle leggi

Anticamente venivano concepite come decreti degli dèi. I sofisti ne proclamarono l'origine
umana. La concezione sacra delle leggi era stata messa in crisi dall avvvento della democrazia:
derivò una inchiesta sull'origine e sulla validità delle leggi. Protagora l'uomo diventa uomo solo
entrando in società che non può esistere senza quegli insiemi di regole perché senza di esse si
tornerebbe a una condizione di animalità. La scoperta della genesi umana delle leggi implica la
loro validità:senza di esse non ci sarebbe la società, e quindi neppure l'uomo.

In Protagora esiste una certa continuità fra legge e natura: l’uomo attraverso la società e le leggi
realizza pienamente la propria natura e il proprio utile. Nei sofist posteriori troviamo l'idea di
un'antitesi.

In ippia so fa strada una distinzione tra una legge naturale immutabile, «valida in ogni paese e nel
medesimo modo»,e le diverse e mutevoli leggi umane. Ippia preferisce la prima in quanto sssa
unisce gli uomini mentre la seconda li divide.

antifone reputa "vera" solo la legge di natura e "opinabili", quando non decisamente false, le
leggi umane. La legge di natura si identifica con la spinta verso la concordia, cioè con valori che
la legge della città tende ad annullare, poich mette contro i suoi simili. Antifonte riprende in modo
più marcato le idee cosmopolitiche, affermando, la naturale uguaglianza tra gli uomini.

Trasimaco di Calcedonia afferma che l e leggi sono strumenti di cui si serve chi detiene il potere
per tutelare i propri interessi.

Anche per Crizia le leggi sono soltanto "paraventi" mediante i quali i potenti tutelano i pr pri
interessi. Per fare rispettare le leggi che essi inventano il timore degli dèi.

Questo punto si estremizza con callicle: la legge della natura si identifica con il diritto del più
forte» e che le leggi civili sono mezzi di difesa inventati dai deboli per salvaguardarsi dai potenti.

L’arte della parola

Nel loro argomentare, i sofisti facevano ricorso sia alla "macrologia", cioè al discorso lungo ossia
al monologo retorico, sia alla "brachilogia", cioè al discorso breve usato nei dialoghi.

• Il discorso lungo doveva essere piuttosto articolato, sia per fornire adeguate motivazioni a
favore di una certa tesi, sia per prevenire possibili obiezioni.

• Il discorso breve, doveva essere immediato e pungente, per mettere in diffi coltà gli avversari.

il loro modo di argomentare è stato definito dialettica, termine che fa riferimento alla capacità di
confrontare le opinioni, sostenendo le proprie tesi e difendendole. I sofisti adoperavano varie
tecniche. A volte si trattava di autentiche e rigorose modalità argomentative; altre volte di
"trucchi" che deformavano impercettibilmente le tesi da combattere, per renderle più facilmente
attaccabili. il loro at teggiamento complessivo è stato definito eristica, ovvero "arte del
competere". I sofisti non andavano necessariamente alla ricerca della verità; Spesso, per
confutare una tesi, usavano contrapporla a un'altra ad essa contra ria, per far vedere come esse
si contraddicessero e si escludessero vicendevolmente, e costringere così l'interlocutore ad
abbandonare, o modificare, la sua posizione. Questa tecnica é definita antilogica discorso
contraddittorio.

I sofisti studian do i problematici rapporti del linguaggio con la realtà e con la verità.

Per i filosofi antichi erano spontaneamente indotti a collegare la cosa reale, il pensiero che la
conosce e la parola che la esprime. I sofisti mettono in crisi io rapporto tra linguaggio verità e
realtà.

Com Gorgia la struttura essere-pensiero-linguaggio si spezza. il linguaggio perde ogni capacità


rivelativa nei confronti della realtà e della verità con la sua esaltazione dell'illimitata capacità
ammaliatrice della parola.

La crisi della sofistica

Com la secomda venerazione dei sofisti si assiste alla crisi del movimento.

La sofistica giunge a configurarsi come eristica pura e come arte di avere la meglio sulle
affermazioni del avversario a qualunque costo senza riguardo per verità o falsità.

Occorre notaee che la degenerazione dell'eristica nel virtuosismo verbale rifletteva anche il venir
meno dei presupposti storico-sociali che avevano favorito il nascere della sofistica.

Protagora

Il primo e più importante esponente della sofistica fu Protagora di Abdera, nacque ad Abdera
intorno al 490 a.C. La sua formazione fu influenzata dal pensiero di Eraclito. Tenne scuola in
numerose città e soggiornò più volte ad Atene, dove godette dell'amicizia di Pericle. le sue idee
spregiudicate in fatto di religione gli crearono notevoli opposizioni. Tra le opere ricordiamo i
ragionamenti demolitori e le antilogie.

Uomo misura La tesi fondamentale di Protagora risiede nel principio: «L'uomo è misura di tutte le
cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono». Questa
espressione vuol dire che l'uomo è il "metro", cioè il soggetto e il criterio di giudizio, della realtà o
irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato. Sul preciso senso filosofico
esistono però varie interpretazioni.

Una prima risalente a Platone intende per "uomo" l'individuo singolo e per "cose" gli oggetti
percepiti attraverso i sensi. L tesi alluderebbe quindi al fatto che le cose appaiono diversamente
a seconda di chi le percepisce. Un cibo, può essere giudicato dolce o amaro.

Un'altra interpretazione attribuisce alla parola "uomo" il significato universale di "umanità", e alla
parola "cose" il significato di "realtà in generale": vorrebbe dire che gli individui giudicano la
realtà tramite parametri tipici della specie razionale alla quale appartengono.

Secondo una terza l’uomo sarebbe la comunità e le cose sarebbero i valori alla base. Protagora
intenderebbe dire che ognuno valuta secondo la mentalità del gruppo sociale al quale
appartiene.

Probabilmente questi tipi fondamentali di lettura, sono insufficienti se presi singolarmente e


risultano veri solo se combinati insieme. Luomo è misura delle cose a vari "livelli": in primo luogo
come singolo, poi come comunità o civiltà, infine come specie. Egli giudica delle cose a seconda
della propria specifica conformazione psicofisica, a secomda dei parametri della società in cui
vive e a seconda della specie alla quale appartiene.

Le cose non sono solo gli oggetti fisici, ma anche i valori, i progetti e la realtà tutta: l'uomo è
misura di tutto ciò con cui entra in rapporto.

La posizione di Protagora è una forma di umaniamo in quanto ciò che si afferma della realtà
presuppone l’uomo come soggetto del discorso. Di genisimo in quando noi Nike abbiamo mai a
che fare con la realtà ma con alcuni fenomeni. Di relativismo in quanto non esiste una verità
assoluta ma ogni verità è relativa a chi giudica.

Il relativismo Il relativismo morale che caratterizza il pensiero di Protagora emerge in uno scritto
anonimo intitolato Ragionamenti doppi.

ci si propone di dimostrare che di una qualunque cosa si puo dire che è buona o cattiva, bella o
brutta, giusta o ingiusta. Può darsi che l'autore di questo scritto seguisse la traccia di un
particolare sofista, ad esempio di Gorgia, ma è difficile supporre che non intendesse riferirsi
anche a Protagora, del quale, scrisse un libro intitolato Antilogie. Di quest'opera abbiamo solo
testimonianze indirette, ma è probabile che in essa il filosofo presentasse tesi e ragionamenti
contrari, ugualmente difendibili. La seconda parte dei Ragionamenti doppi Contrino l'esposizione
di quello che oggi si chiama "relativismo culturale", cioè del riconoscimento del fatto che le
diverse civiltà umane esprimono culture diverse: usi, costumi e valori differenti.

Il relativismo come criterio di scelta Il relativismo conoscitivo e morale poteva condurre alla tesi
dell'ideale equivalenza di tutte le opinioni, «tutto è vero,”

Dgli afferma che esiste comunque un criterio al quale l'uomo può attenersi: Se non si può
accogliere una dottrina o una credenza, o scegliere di tenere un certo comportamento, sulla
base di verità certe o di valori indiscutibili, si può decidere di farlo perché quella credenza o
comportamento si rivelano i più utili per sé e per la propria comunità.

L’utile diviene lo strumento di legittimizzazione. A una concezione assolutistica della verità


sostituisce una visione in cui la verità è cio che viene umanamente verificato come giovevole. Il
fatto che Protagora rifiuti una "razionalità forte" non esclude l'accettazione da parte sua di una
"razionalità debole". si presenta come un propragandista del uktile.

Seguendo il principio dell’ utilità i sofisti rischiavano di legittimare solo l’utile dei potenti
trasformandosi in propagandisti di classi dominanti.

Gorgia

Gorgia presenta una dottrina più negativa circa le possibilità conoscitive dell uomo. nacque verso
il 485 a.C. a Lentini, in Sicilia, morì nel 380. Discepolo di Empedocle, esercitò la Sua arte in molte
città greche e ad Atene dove pronuncio un discorso in onore dei soldati della guerra del
Peloponneso.

Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere, e l'Encomio di Elena.

Nell opera sul non essere gorgia stabilisce ke tre resi fondamentavi su cui si basa ma sua
dottrina

• nukka esiste

• Se anche qualcosa esistesse non sarebbe conoscibile dal uomo

• Se anche fosse conoscibile sarebbe incomunicabile

se qualcosa esiste, esso sarà o l'essere o il non-essere o l'essere e il non-essere insieme. Ora il
non-essere non c'è, ma neppure l'es sere c'è. Se ci fosse eterno o generato o eterno e generato
insieme. Se è eterni non ha principio, è infinito e se è infinito non è in alcun luogo e quindi non
esiste. Generato non puo essere, se fosse nato sarebbe nato o dall essere o dal non essere. Ma
non è nato dall essere che se è non é nato, ne dal non essere che non può generare.

Se le cose pensate non si può dire che suani esistenti sarà vero che non su può dire che l’essere
sia pensato. Se il pensato non esiste l’essere non è pensato. Se il pensato esiste le cose pensate
esistono. Non ê vero che se qualcun i pensi a un uomo che voli allora si mette a volare. Non è
vero che il pensato esiste. Se il pensato esiste il non esistente non potrà esseee pensato.

Poiché il mezzo con cui ci esprimiamo è la parola, e la parola non è l'oggetto, la cosa, non è
realtà esistente ciò che esprimiamo Ma solo la parola che è altro dall oggetto.

Per ciascuna delle tesi gorgia mette da parte un ipotesi contraria e la assume momentaneamente
come vera. Quindi la analizza e mostra che ognuna porta a contraddizione.

Lo scritto di gorgia è stato interpretato come un semplice scherzo.

Quando gorgia sostiene che nukka esiste non vuole fsrnsoare la realtà testimoniata dai sensi ma
negare la possibilità di una concettualizzazione della realtà.

Lo scetticismo Dio secondo gorgia o non esiste o è inconsocibile o é inesprimibile:

• La prima costituisce una negazione radicale dell'essere o una professione di ateismo;

• le altre due tesi si mantengono invece su un piano di scetticismo, o agnosticismo,


rispettivamente metafisico o teologico, in quanto sono assimilabili alla prospettiva secondo cui
l'uomo non ha strumenti né per affermare né per negare l'esistenza dell'essere, o di Dio.

Anche la prima tesi finisce per cokkocsrsi nel ambito dello scetticismo: vuol dire che l’essere non
esiste per noi. Gorgia esprime la sua sfiducia nelle possibilità conoscitive della nostra mente. Per
Gorgia, se nulla è vero, cioè dimostrabile come tale, allora "tutto è falso”.

La visione tragica Gorgia sembra ritenere che l'esistenza sia qualcosa di irrazionale e misterioso.
Egli è convinto che le azioni degli uomini non siano rette dalla logica ma dalle circostanze, dalla
menzogna, dalle passioni e da un ignoto destino.

Questo è il probabile significato esistenziale del famoso Encomio di Elena, un testo in cui il
filosofo prende le difese di Elena, additata come la causa della guerra di Troia, affermando che
ella «fece ciò che fece o per volere del Caso e volere degli dei è il decreto di necessità o convinta
da discorsi o presa d’amore. Elena è senza colpa a perché la sua volontà fu soggiogata da una di
queste forze a cui la sua psiche non poteva resistere. L’encomio di Elena è stato interoetwto
come un mero sfoggio di bravura retorica. Esso manifesta sifndjjcafi profondi e lui venir letto
come consapevolezza della fragilità e della nullità umana.

Il rapporto con sofisti e scorate

Socrate è legato alla sofistica fondamentalmente dai seguenti aspetti:

• l’attenzione per l’uomo e il ?disinteresse? Per le indagini intorno al cosmo

• La tendenza a cercare nell’uomo e non al di fuori di essso i criteri del pensiero dell’azione

• L’atteggiamento spregiudicato e la mentalità razionalistica anticonformistica e


antitradizionalista che induce a mettere in discussione e a non accettare alcunché se non
attraverso il criterio e il dibatttito

• L’inclinazione verso la dialettica e il paradosso

gli elementi che invece lo allontanano dai sofisti sono :

• Un più sofferto amore per la verità e il rifiuto di ridurre la filosofia a vuoto esibizionismo verbale

• Il tentativo di andare oltre lo sterile relativismo conoscitivo e morale in cui si era sviluppata la
sofistica

La filosofia come ricerca intorno all’uomo

Socrate ha seguito le ricerche degli ultimi filosofi della matura in particolare di quelli appartenenti
alla scuola di Anassagora. Nel tendone platonico si legge che da giovane il filosofo fu
appassionato dall’indagine sulla natura.

Tuttavia deluso da questo tipo di indagini il filosofo si convinse del fatto che alla mente umana
sfuggano i perché ultimi delle cose e che essa non è dato conoscere con certezza l’essere e i
principi del mondo.

Riteneva folli coloro che di tali cose si davano pensiero. Si meravigliava come costoro non fosse
chiaro che non è possibile agli uomini trovare queste cose.

Abbandonati gli studi cosmologici comincio a intendere la filosofia come un indagine in cui
l’uomo tenta con la ragione di chiarire se stesso. Socrate fece proprio il motto dell oracolò
delfino ‘conosci te stesso’ vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione del
filosofo.

Secondo socrate non si è uomini se non tra gli uomini in quanto cio che costituisce la nostra
esssenza è proprio il rapporto con gli altri, la sua filosofia assunse i caratteri di un dialogo
interpersonale in cui ognuno affrontava le questioni relative alla propria umanità.

Socrate pose il valore dell esistenza convinto che una vita senza ricerca non è degna di essere
vissuta.

Il non sapere

La prima condizione della ricerca è la coscienza della propria ignoranza. Nell’apologia platone
narra che socrate quando seppe che venne proclamato dall oracolo di Delfi il più sapiente
interpreto il responso come se significasse che sapiente è chi sa di non esssere.

Egli sostenne che il vero sapiente è chi sa di non sapere, filosofo autentico è chi ha compreso
che intorno alle cause ultimi del tutto nulla si puo dire con sicurezza. Agnostico per quanto
riguarda le questioni ontologiche e cosmologiche. Socrate non lo è altrettanto per quei che
concerne i problemi etico esistenziali. Se da una parte la formula socratica ssume il significato di
denuncia dall’altra non esclude la possibilità di una ricerca sull uomo dal momento che soltanto
di non sapere cerca di sapere mentre chi si crede gia in possesso della verità non sente il
bisogno di cercarla.

La tesi socratica da un lato funge da richiamo ai limiti della ricerca e dall’altro vuol essere un
invito a indagare i problemi dell uomo. La coscienza del non sapere si configura in una scintilla.
Va colta una presa di distanza dai sofisti che si chiamavano sapienti tanto da arrogarsi il diritto di
insegnare.

Spurate è il primo a dichiararsi amante della sapienza (filosofo) in cerca di sapere.

Il dialogo

Il metodo dell’indagine filosofica usat è il dialogo ovvero lo scambio e il confronto. La ricerca


coincide con il suo dialogare, con il suo continuo porre domande senza considerare mai
definitive le risposte. Il dialogo socratico presenta una struttura ben precisa in cui si distinguono
ironia e maieutica.

L’ironia Nell’esame a cui socrate sottopone gli altri la sua prima preoccupazione è rendere
consapevoli i propri interlocutori della loro ignoranza. A questo scopo si avvale dell’ironia.

L’ironia socratica è il gioco di parole attraverso il quale il filosofo mette a nudo le conoscienze di
coloro che gli stanno di fronte giungendo a mostrare il ‘non sapere’. L’ironia è il metodo usato
per svelare all’uomo la sua ignoranza per gettarlo nel dubbio spingendolo quindi alla ricerca.

Facendo ironicamente finta di non sapere il filosofo chiede all’interlocutore di renderlo edotto
circa lambito di sua competenza. Dopo una teatrale adulazione delle conoscienze del
personaggio inizia a sommergerlo di domane avvolgendolo in una rete di questi. Usando l’arma
del dubbio e manovrando la tecnica della confutazione per smontare le deboli risposte ottenute
socrate giunge a mostrare al proprio interlocutore l’inconsistenza delle sue persuasioni
provocando in lui vergogna. Il momento ironico è stato definito dialettico zenonianto in virtù dellle
analogie con il metodo per assurdo. Il filosofo puo raggiungere il proprio scopo principale:
invogliare alla ricerca del vero.
La maieutica Ciò non significa che socrate si proponga dopo aver svuotato la mente del
discepolo di riempirla con una propria verità. Egli non intende comunicare una propria dotttrina
ma soltanto stimolare ascoltatore a ricercarne una personale dentro se stesso.

In cio consiste la maieutica: l’arte di far partorire di cui Platone parla dicendo che socrate aveva
ereditato dalla madre la professione di ostretico. Socrate ostetrico di anime aiutava gli intelletti a
partorire il loro punto di vista sulle cose. Egli non é sapiente ne si genera in se alcuna scoperta.
Quelli che entrano in relazione con lui anche se al principio si rivelano ignoranti tutti poi
meravigliosamente progrediscono. Ma é chiaro che da lui non hanno appreso nulla.

Scaturiscono da queste parole il concetto di verità come conquista personale.

Si è anche visto come uno dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è un
processo in cui il discepolo viene aiutato dal maestro a formarsi in maniera autonoma.

La ricerca della definizione nellla struttura del dialogo la molla del processo è l’interrogativo ‘che
cos e’ ossia la richiesta do una definizione precisa di cio di cui si sta parlando. A queste
domande come ‘che cos’è la virtu’ l’interlocutore risponde solitamente mediante un catalogo di
casi virtuosi. Socrate non si accontenta di un elenco perché a lui non interessano esempi ma la
definizione.

Tra i discorsi preferiti dai sofisti e i discorsi brevi fatti di battute corte è veloci che obbligano
l’avversario a dare risposte precise. Socrate predilige i secondio. La domanda cos’è rivela un
duplice volto: uno negativo indirizzato a mettere in crisi l’interlocutore, l’altro positivo teso a
condurlo verso una definizione soddisfacente sull’argomento.

Induzione concetti e verità Siamo in grado quindi di intendere in che senso aristotele attribuisca a
socrate la scoperta dell’induzione e del concetto.

Si dice induzione un tipo di ragionamento che dall esame di un certo numero di casi risale a un
Affermazione generale. Alcuni studiosi contemporanei hanno messo in discussione la validità
della testimonianza aristotelica leggendo un tentativo di aristotelizzare socrate. Con socratica
comincia a delinearsi quella reazione al relativismo linguistico conoscitivo e morale della peggior
sofistica che verra ripresa e portata avanti da platone.

Socrate non si propone di costruire una scienza delle difinìzioni.

Questo punti decisivo della storiografia socratica che conferisce forza e concretezza all’idea
secondo cui l’unico modo per centrare storicamente socrate è quello di cogliere i rapporti che lo
uniscono e nello stesso tempo lo distanziano dai sofisti da una parte e da platone dall’altra.

Le osservazioni sul rapporto di socrate con il relativismo sofistico contribuiscono a chiarire la


concezione della verità. Socrate condivide l’idea che la verità non sia qualcosa di assoluto ma
una costruzione umana. Egli è però convinto che attraverso il confronto dialogico sia possibile
raggiungere un accordo su un certo tema la ricerca filosofica conduce a una verità intesa come
omologhia cioè discorso comune o ragione condivisa.

Socrate ammette l’esistenza di un punto fermo che chiunque deve riconoscere come tale e
questo è il dialogo dovere morale prioritario e la necesssita inevitabile a cui nessun essere
umano che non voglia venire meno alla sua natura puo sottrarsi perché anche per rifiutarsi di
dialogare dovette usare il dialogo.

L’etica

Anche l’etica affonda la realtà e le proprie radici nel tessuto culturale dell’Atene del v secolo pur
giungendo a esili nuovi e originali.

Il punto chiave della morale di socrate è la sua concezione della virtù.

La virtù indicava la maniera ottimale di essere uomini e quindi il miglior modo di comportarsi.

La virtu veniva considerata come qualcosa di dato ossia garantito dalla nascita o dagli dei. I
sofisti avevano invece sostenuto che la virtu non è un dono che si possieda per natura ma un
valore che debe essere umanamente cercato o conquistato.

In questo universo si collloca socrate affermando anch’egli che la virtu è una faticosa conquista.

Secondo il suo punto di vista per essere uomini nel modo migliore è indispensabile riflettere
cercare e ragionare. Indispensabile è far filosofia e riflettere criticamente siull’esistemza.

Secondo socrate non esistono bene e giustizia quali entità metafisiche poiché il bene e il giusto
sono valori umani.

La concezione di virtu cime scienza e della vita come avventura disciplinata dalla ragione
rappresenta il senso profondo dell etica socratica che per questo è riconosciuta come forma di
razionalismo morale. Si lega un carattere della virtu che puo essere insegnata e comunicata. Non
basta che ciascuno conosca il proprio mestiere e sia esperto un una tecnica ma bisogna che
ciascuno impari il mestiere del vivere.

Virtù felicità e politica Dalla propria concezione di virtu socrate trae alcune conclusioni di fondo.

La virtu è unica scienza del bene. Socrate tende a far coincidere il campo delle virtu umane con i
valori della ragione. Egli opera una rivoluzione della tradizionale tavola dei valori. I valori veri sono
quelli dell anima che si sommano nella conoscenza.

Òa tendenza di socrate a esaltare i valori del sapere non autorizza un interpretazione ascetica
secondo l’immagine di un socrate moralista che avrebbe ucciso istinto gioia di vivere salute e
bellezza. Contro questa critica mossa dal filosofo tedesco nietxche occorre ricordare che la virtu
non è un esercizio di automortificazione ma un modo di essere. La morale di socrate è una forma
di eudemonismo. La virtu non è una negazione ascetica all esistenza ma un suo potenziamento
mediante la ragione.

La virtu tende a risolversi nella politicità perché l’arte di sapere vivere si identifica nell arte del
saper vivere con gli altri. Politica è ragionare insieme sulle cose della città per scaturire il bene
comune.

I paradossi Dalla concezione socratica della virtu come scienza derivano due paradossi.

Il primo è l’idea secondo cui nessuno pecca volontaimanre e chi fa il male lo fa per ignoraza del
bene. Nessuno compie il male consapevolmente poiché chi opera a il male è un individuo che
ignora cosa sia il vero bene. Quando si agisce si fa sempre cio che si ritiene per noi un bene.

socrate è stato accusato di sopravvalutare la funzione dll intelletto nel comportamento umano.
Egli ignora quel dato di esperienza per cui talvolta si sa quale sia il bene ma poi si agisce male.

Un altro paradosso è la massima secondo cui è preferibile subire il male che commetterlo. Si
connette al vangelo laico di socrate basato sullla convinzione che solo la virtu e la giustizia
rendono l’uomo felice.

Il demone l’anima e la religioni

Secondo la testimonianza dei diamoli platonici scorate tende a dare alla propria opera un
carattere religioso; considera il filosofare una missione affidatagli dalla divinità. Parla di un
demone che lo consiglia in tutti i momenti decisi bella vita. Questo demone è interpretato come
voce della coscienza. il demone è un concetto e religioso non semplicemente morale.

Il demone puo essere inteso come personificazione dell anima individuale. Confluiscono due
visioni della anima: la dottrina orfica dell anima come prigione del corpo e l’idea dell’anima come
sede della vita intellettuale.

Questi portarono all’idea dell immortalità dell anima aspetto che non sembra interessare socrate.
Non è argomento frequente nelle sue conversazioni.

Socrate presta agli dei della religione popolare un ossequio formale perché ai suoi occhi cio
rientra nei compiti dei buon cittadino. Il fatto che parli di dei significa che egli non è estraneo al
politeismo del suo tempo ma ammette gli dei solo perché ammette una divinità superiore. A
questa divinità egli fa appello riconoscendola come garante dell ordine e forma suprema di
intelligenza e bene.

L’intelligenza umana e la generalità dei risultati che ottiene mostrano che tutto ciò non può
essere opera del caso ma di una superiore mente ordinatrice.

La divinità è anche custode del destino degli uomini e presidio dei valori morali. Dopo essere
stato condannato socrate dichiara di essere certo che per l’uomo onesto non vi è male ne nella
vita ne nella morte e che la sua causa è nelle mani degli dei. Vi è quindi una profonda fiducia in
un ordine buon dell universo.

La morte

L’influenza di socrate si era già esercitata a Atene quanto tre democratici lo denunciarono alla
città. L’accusa sulla quale si svolse il processo fu presentata da meleto che affermava che è
colpevole di non riconoscere gli dei tradizionali ma di introdurre nuove divinità e di voler
corrompere i giovani.

Socrate poteva tentare di scagionarsi o lasciare Atene. Egli volle affrontare il processo. La sua
difesa du un esaltazione del compito educativo: il discorso di socrate non convinse i giudici che
lo dichiararono colpevole. Il filosofo avrebbe potuto scegliere di andare in esilio o proporre una
pena. Egli si disse disposto a pagare una multa di 3mila dracme ma si dichiarò che si sentiva
meritevole di essere nutrito a spese pubbliche nel pritaneo. Questa provocazione indispose i
giudici che votarono la condanna a morte.

Dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso nel 404 Atene si era affermato il regime
oligarchico e filo dei trenta tiranni.

L’accusa ufficiale rivolta s socrate va posta in relazione alla fisionomia conservatrice assunta
dalla democrazia. Atene guardava al passato glorioso e tendeva a chuydersu alle novità.

Alcuni studiosi tendono a considerare lacccusa contro socrate come un pretesto dietro il quale si
celava un motivo di ostilità più remoto: concepisse i compiti del governo frutto id arte e
competenza da affidare a poche persone. Egli critica a alcune procedure democratiche. Era
legato da rapporti di amicizia con alcuni esponenti della gioventù ultra aristocratica di Atene che
aveva ordito il colpo dei trenta tiranni.

La lealtà di socrate verso la città e le sue leggi affonda le proprie radici nel pensiero filosofico che
ritine che l’uomo sia tale solo in quanto rapportato alla società. dire che l’uomo è società
equivale a dire che l’uomo è uomo in quanto legge. Chi rifiuta le leggi del proprio stato cessa di
essere uomo.

I sofisti

Il termine sofista ( sapoente) era sinonimo di Da saggi a "saggio" (in greco sophós).

Nel V secolo a.C. cominciarono invece a essere chiamati sofisti quegli intellettuali che della loro
sapienza facevano una professione, insegnandola dietro compenso: alla mentalità aristocratica
appariva "scandaloso", tanto che Senofonte bollò i sofisti come «prostituti della cultura».

furono soprattutto Platone e Aristotele a "demonizzare" culturalmente i sofisti, giudicandoli falsi


sapienti. L'enorme influenza esercitata da Platone e da Aristotele Fece si che i sofisti fossero
definitivamente "marchiati" come pseudo-filosofi.

I sofisti operarono una vera e propria "rivoluzione" filosofica, spostando il centro della
speculazione dalla natura all'uomo: focalizzarono la loro attenzione sulla politica, sulle leggi, sulla
religione, sulla lingua, divenendo così filosofi dell'uomo e della città.

Questi spostamentp si spiega con la sfiducia nella ricerca naturalistica, che aveva ormai battuto
tutte le strade allora possibili. A determinare la nuova direzione dell'indagine, fu anche il mutato
contesto storico-politico dell'Atene del V secolo appena uscita vittoriosa contro i Persiani.

i cambiamenti più importanti furono la crisi dell'aristocrazia, l'accresciuta potenza della borghesia
cittadina, l'espandersi dei traffici e dei commerci, E l’avvento della democrazia

La democrazia rappresenta il presupposto e lo spazio operativo entro cui si mosse la corrente


dei sofisti, i quali offrirono agli ateniesi uno strumento per esercitare al meglio i loro diritti di
cittadini: l'arte della parola.

Proprio una tale sapienza i sofisti si proposero di insegnare, le loro lezioni si limitavano a
discipline formali come la grammatica o la retorica, utili alla carriera di un avvocato o di un uomo
politico.

I caratteri della sofistica

La sofistica è stata definita come una sorta di “illuminismo greco": movimento culturale che si
sviluppò in Europa nel XVIII secolo e che ebbe come principio ispiratore l'uso libero e
spregiudicato della ragione. Lo stru mento proprio dell'Illuminismo fu infatti la critica.

La sofistica presentava un carattere analogo, poiché i suoi esponenti criticarono esplici tamente i
miti e le credenze tradizionali, per sostituirli con nozioni razionali.

I sofisti per primi e laborarono il concetto di "cultura", ampliando quello di paidéia e


identificandolo appunto con la nozione di "cultura", intesa non come un insieme di conoscenze
ma come la formazione globale dell'individuo. Con i sofisti il problema educativo venne dunque
in primo piano, anche perché ritenevano che le virtù derivassero dal sapere. i sofisti si fecero
inoltre portatori di istanze cosmopolitiche, che contribuirono a un "allargamento" della mentalità
antica.

I sofisti non costituirono una scuola compatta di pensatori, poiché sostennero dottrine distinte: è
bene distinguere tra i celebri maestri appartenenti alla "prima generazione" e quelli meno noti
della "seconda", di cui fecero parte i cosiddetti "eristi”, che segnarono la fase di crisi e di
dissoluzione della sofistica.

L’uomo la storia e le tecniche

storia come progresso. Secondo Protagora l’uomo si differenzia dagli animali entrando in scoierà
e merendò a punto le tecniche mediante ke quali trasforma il mondo circostante a proprio
vantaggio.

le tecniche, da sole, non sarebbero sufficienti se non ci fosse quella "tecnica di tutte le tecniche"
che è la politica, ossia l'arte di vivere insieme nella città. Dal dialogo platonico intitolato
Protagora ap prendiamo che il sofista non concepiva la politica come qualcosa di ristretto bensì
come un'arte che riguarda ogni uomo, poiché, tutti si è però membri della polis e quindi,
"politici".

Questa tesi emerge in maniera particolarmente suggestiva nel "mito di Prometeo", un racconto di
carattere mitologico che Platone, nel Protagora, fa narrare proprio al famoso sofista.

una volta plasmate tutte le specie animali, gli dèi incaricarono Prometeo ed Epimeteo di
distribuire loro le facoltà necessarie per la so pravvivenza. Una volta terminata la di stribuzione
Prometeo si accorse però che gli uomini erano rimasti nudi e indifesi, poiché nessuna facoltà era
stata loro riservata. Egli, allora, rubò agli dèi il fuoco e ne fece dono agli uomini, perché grazie ad
esso potessero svilup pare la loro abilità tecnica e creare le condizioni per sopravvivere.

per garantire la vita degli uomini, Zeus dovette elargire loro anche il rispetto e la giustizia, perché
potessero vivere in comunità.

prodico di ceo. esalta il lavoro come via che con duce gli uomini alle più alte conquiste. In un
famoso scritto intitolato Ercole al bivio, egli contrappone la virtù alla depravazione e «di ciò che è
buono e bello, nulla gli dèi hanno concesso agli uomini senza fatica e studio».

In antifone si trova un accenno al idea di concordia tea uomini come condizione e scopo della
società. Queste teorie manifestano che ad Atene si stesse ormai inalzando un nuovo concetto di
civiltà come uni sforzo di modifica del ambiente naturale e sociale a vantaggio del uomo.

I sofisti e la religione

Protagora diceva che gli dei non sono in grado di sapere ne se sono ne se non son: la prima
professione dikosofica di agnosticismo religioso secondo cui dio non è affermabile o negabile .
Prodico di Ceo osservava come l'uomo avesse "divinizzato" quegli aspetti della natura grazie ai
quali riusciva a so pravvivere: sottintendono l'idea di un'origine umana del fenomeno religioso.

In crisia, si trova la denunzia del carattere strumentale della religione, inventata e utilizzata dai
governanti: come mezzo di controllo. Egli era convinto che gli dèi non fossero altro che
«un'inven- Crizia zione, che hanno indotti a credere nell'esistenza di una divinità che conosce e
punisce i comportamenti proibiti dalle leggi imposte da chi governa.

Il problema delle leggi

Anticamente venivano concepite come decreti degli dèi. I sofisti ne proclamarono l'origine
umana. La concezione sacra delle leggi era stata messa in crisi dall avvvento della democrazia:
derivò una inchiesta sull'origine e sulla validità delle leggi. Protagora l'uomo diventa uomo solo
entrando in società che non può esistere senza quegli insiemi di regole perché senza di esse si
tornerebbe a una condizione di animalità. La scoperta della genesi umana delle leggi implica la
loro validità:senza di esse non ci sarebbe la società, e quindi neppure l'uomo.

In Protagora esiste una certa continuità fra legge e natura: l’uomo attraverso la società e le leggi
realizza pienamente la propria natura e il proprio utile. Nei sofist posteriori troviamo l'idea di
un'antitesi.

In ippia so fa strada una distinzione tra una legge naturale immutabile, «valida in ogni paese e nel
medesimo modo»,e le diverse e mutevoli leggi umane. Ippia preferisce la prima in quanto sssa
unisce gli uomini mentre la seconda li divide.

antifone reputa "vera" solo la legge di natura e "opinabili", quando non decisamente false, le
leggi umane. La legge di natura si identifica con la spinta verso la concordia, cioè con valori che
la legge della città tende ad annullare, poich mette contro i suoi simili. Antifonte riprende in modo
più marcato le idee cosmopolitiche, affermando, la naturale uguaglianza tra gli uomini.

Trasimaco di Calcedonia afferma che l e leggi sono strumenti di cui si serve chi detiene il potere
per tutelare i propri interessi.

Anche per Crizia le leggi sono soltanto "paraventi" mediante i quali i potenti tutelano i pr pri
interessi. Per fare rispettare le leggi che essi inventano il timore degli dèi.

Questo punto si estremizza con callicle: la legge della natura si identifica con il diritto del più
forte» e che le leggi civili sono mezzi di difesa inventati dai deboli per salvaguardarsi dai potenti.

L’arte della parola

Nel loro argomentare, i sofisti facevano ricorso sia alla "macrologia", cioè al discorso lungo ossia
al monologo retorico, sia alla "brachilogia", cioè al discorso breve usato nei dialoghi.

• Il discorso lungo doveva essere piuttosto articolato, sia per fornire adeguate motivazioni a
favore di una certa tesi, sia per prevenire possibili obiezioni.

• Il discorso breve, doveva essere immediato e pungente, per mettere in diffi coltà gli avversari.

il loro modo di argomentare è stato definito dialettica, termine che fa riferimento alla capacità di
confrontare le opinioni, sostenendo le proprie tesi e difendendole. I sofisti adoperavano varie
tecniche. A volte si trattava di autentiche e rigorose modalità argomentative; altre volte di
"trucchi" che deformavano impercettibilmente le tesi da combattere, per renderle più facilmente
attaccabili. il loro at teggiamento complessivo è stato definito eristica, ovvero "arte del
competere". I sofisti non andavano necessariamente alla ricerca della verità; Spesso, per
confutare una tesi, usavano contrapporla a un'altra ad essa contra ria, per far vedere come esse
si contraddicessero e si escludessero vicendevolmente, e costringere così l'interlocutore ad
abbandonare, o modificare, la sua posizione. Questa tecnica é definita antilogica discorso
contraddittorio.

I sofisti studian do i problematici rapporti del linguaggio con la realtà e con la verità.

Per i filosofi antichi erano spontaneamente indotti a collegare la cosa reale, il pensiero che la
conosce e la parola che la esprime. I sofisti mettono in crisi io rapporto tra linguaggio verità e
realtà.

Com Gorgia la struttura essere-pensiero-linguaggio si spezza. il linguaggio perde ogni capacità


rivelativa nei confronti della realtà e della verità con la sua esaltazione dell'illimitata capacità
ammaliatrice della parola.

La crisi della sofistica

Com la secomda venerazione dei sofisti si assiste alla crisi del movimento.

La sofistica giunge a configurarsi come eristica pura e come arte di avere la meglio sulle
affermazioni del avversario a qualunque costo senza riguardo per verità o falsità.

Occorre notaee che la degenerazione dell'eristica nel virtuosismo verbale rifletteva anche il venir
meno dei presupposti storico-sociali che avevano favorito il nascere della sofistica: erano
destinati a trasformarsi in intellettuali sempre più isolati rispetto alle correnti più vive della
filosofia.

Protagora

Il primo e più importante esponente della sofistica fu Protagora di Abdera, nacque ad Abdera
intorno al 490 a.C. La sua formazione fu influenzata dal pensiero di Eraclito. Tenne scuola in
numerose città e soggiornò più volte ad Atene, dove godette dell'amicizia di Pericle. le sue idee
spregiudicate in fatto di religione gli crearono notevoli opposizioni. Tra le opere ricordiamo i
ragionamenti demolitori e le antilogie.

Uomo misura La tesi fondamentale di Protagora risiede nel principio: «L'uomo è misura di tutte le
cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono». Questa
espressione vuol dire che l'uomo è il "metro", cioè il soggetto e il criterio di giudizio, della realtà o
irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato. Sul preciso senso filosofico
esistono però varie interpretazioni.

Una prima risalente a Platone intende per "uomo" l'individuo singolo e per "cose" gli oggetti
percepiti attraverso i sensi. L tesi alluderebbe quindi al fatto che le cose appaiono diversamente
a seconda di chi le percepisce. Un cibo, può essere giudicato dolce o amaro.

Un'altra interpretazione attribuisce alla parola "uomo" il significato universale di "umanità", e alla
parola "cose" il significato di "realtà in generale": vorrebbe dire che gli individui giudicano la
realtà tramite parametri tipici della specie razionale alla quale appartengono.

Secondo una terza l’uomo sarebbe la comunità e le cose sarebbero i valori alla base. Protagora
intenderebbe dire che ognuno valuta secondo la mentalità del gruppo sociale al quale
appartiene.

Probabilmente questi tipi fondamentali di lettura, sono insufficienti se presi singolarmente e


risultano veri solo se combinati insieme. Luomo è misura delle cose a vari "livelli": in primo luogo
come singolo, poi come comunità o civiltà, infine come specie. Egli giudica delle cose a seconda
della propria specifica conformazione psicofisica, a secomda dei parametri della società in cui
vive e a seconda della specie alla quale appartiene.

Le cose non sono solo gli oggetti fisici, ma anche i valori, i progetti e la realtà tutta: l'uomo è
misura di tutto ciò con cui entra in rapporto.

La posizione di Protagora è una forma di umaniamo in quanto ciò che si afferma della realtà
presuppone l’uomo come soggetto del discorso. Di genisimo in quando noi Nike abbiamo mai a
che fare con la realtà ma con alcuni fenomeni. Di relativismo in quanto non esiste una verità
assoluta ma ogni verità è relativa a chi giudica.

Il relativismo Il relativismo morale che caratterizza il pensiero di Protagora emerge in uno scritto
anonimo intitolato Ragionamenti doppi.

ci si propone di dimostrare che di una qualunque cosa si puo dire che è buona o cattiva, bella o
brutta, giusta o ingiusta. Può darsi che l'autore di questo scritto seguisse la traccia di un
particolare sofista, ad esempio di Gorgia, ma è difficile supporre che non intendesse riferirsi
anche a Protagora, del quale, scrisse un libro intitolato Antilogie. Di quest'opera abbiamo solo
testimonianze indirette, ma è probabile che in essa il filosofo presentasse tesi e ragionamenti
contrari, ugualmente difendibili. La seconda parte dei Ragionamenti doppi Contrino l'esposizione
di quello che oggi si chiama "relativismo culturale", cioè del riconoscimento del fatto che le
diverse civiltà umane esprimono culture diverse: usi, costumi e valori differenti.

Il relativismo come criterio di scelta Il relativismo conoscitivo e morale poteva condurre alla tesi
dell'ideale equivalenza di tutte le opinioni, «tutto è vero,”

Dgli afferma che esiste comunque un criterio al quale l'uomo può attenersi: Se non si può
accogliere una dottrina o una credenza, o scegliere di tenere un certo comportamento, sulla
base di verità certe o di valori indiscutibili, si può decidere di farlo perché quella credenza o
comportamento si rivelano i più utili per sé e per la propria comunità.

L’utile diviene lo strumento di legittimizzazione. A una concezione assolutistica della verità


sostituisce una visione in cui la verità è cio che viene umanamente verificato come giovevole. Il
fatto che Protagora rifiuti una "razionalità forte" non esclude l'accettazione da parte sua di una
"razionalità debole". si presenta come un propragandista del uktile.

Seguendo il principio dell’ utilità i sofisti rischiavano di legittimare solo l’utile dei potenti
trasformandosi in propagandisti di classi dominanti.

Gorgia

Gorgia presenta una dottrina più negativa circa le possibilità conoscitive dell uomo. nacque verso
il 485 a.C. a Lentini, in Sicilia, morì nel 380. Discepolo di Empedocle, esercitò la Sua arte in molte
città greche e ad Atene dove pronuncio un discorso in onore dei soldati della guerra del
Peloponneso.

Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere, e l'Encomio di Elena.

Nell opera sul non essere gorgia stabilisce ke tre resi fondamentavi su cui si basa ma sua
dottrina

• nukka esiste

• Se anche qualcosa esistesse non sarebbe conoscibile dal uomo

• Se anche fosse conoscibile sarebbe incomunicabile

se qualcosa esiste, esso sarà o l'essere o il non-essere o l'essere e il non-essere insieme. Ora il
non-essere non c'è, ma neppure l'es sere c'è. Se ci fosse eterno o generato o eterno e generato
insieme. Se è eterni non ha principio, è infinito e se è infinito non è in alcun luogo e quindi non
esiste. Generato non puo essere, se fosse nato sarebbe nato o dall essere o dal non essere. Ma
non è nato dall essere che se è non é nato, ne dal non essere che non può generare.

Se le cose pensate non si può dire che suani esistenti sarà vero che non su può dire che l’essere
sia pensato. Se il pensato non esiste l’essere non è pensato. Se il pensato esiste le cose pensate
esistono. Non ê vero che se qualcun i pensi a un uomo che voli allora si mette a volare. Non è
vero che il pensato esiste. Se il pensato esiste il non esistente non potrà esseee pensato.

Poiché il mezzo con cui ci esprimiamo è la parola, e la parola non è l'oggetto, la cosa, non è
realtà esistente ciò che esprimiamo Ma solo la parola che è altro dall oggetto.

Per ciascuna delle tesi gorgia mette da parte un ipotesi contraria e la assume momentaneamente
come vera. Quindi la analizza e mostra che ognuna porta a contraddizione.

Lo scritto di gorgia è stato interpretato come un semplice scherzo.

Quando gorgia sostiene che nukka esiste non vuole fsrnsoare la realtà testimoniata dai sensi ma
negare la possibilità di una concettualizzazione della realtà.

Lo scetticismo Dio secondo gorgia o non esiste o è inconsocibile o é inesprimibile:

• La prima costituisce una negazione radicale dell'essere o una professione di ateismo;

• le altre due tesi si mantengono invece su un piano di scetticismo, o agnosticismo,


rispettivamente metafisico o teologico, in quanto sono assimilabili alla prospettiva secondo cui
l'uomo non ha strumenti né per affermare né per negare l'esistenza dell'essere, o di Dio.

Anche la prima tesi finisce per cokkocsrsi nel ambito dello scetticismo: vuol dire che l’essere non
esiste per noi. Gorgia esprime la sua sfiducia nelle possibilità conoscitive della nostra mente. Per
Gorgia, se nulla è vero, cioè dimostrabile come tale, allora "tutto è falso”.

La visione tragica Gorgia sembra ritenere che l'esistenza sia qualcosa di irrazionale e misterioso.
Egli è convinto che le azioni degli uomini non siano rette dalla logica ma dalle circostanze, dalla
menzogna, dalle passioni e da un ignoto destino.

Questo è il probabile significato esistenziale del famoso Encomio di Elena, un testo in cui il
filosofo prende le difese di Elena, additata come la causa della guerra di Troia, affermando che
ella «fece ciò che fece o per volere del Caso e volere degli dei è il decreto di necessità o convinta
da discorsi o presa d’amore. Elena è senza colpa a perché la sua volontà fu soggiogata da una di
queste forze a cui la sua psiche non poteva resistere. L’encomio di Elena è stato interoetwto
come un mero sfoggio di bravura retorica. Esso manifesta sifndjjcafi profondi e lui venir letto
come consapevolezza della fragilità e della nullità umana.

Il rapporto con sofisti e scorate

Socrate è legato alla sofistica fondamentalmente dai seguenti aspetti:

• l’attenzione per l’uomo e il ?disinteresse? Per le indagini intorno al cosmo

• La tendenza a cercare nell’uomo e non al di fuori di essso i criteri del pensiero dell’azione

• L’atteggiamento spregiudicato e la mentalità razionalistica anticonformistica e


antitradizionalista che induce a mettere in discussione e a non accettare alcunché se non
attraverso il criterio e il dibatttito

• L’inclinazione verso la dialettica e il paradosso

gli elementi che invece lo allontanano dai sofisti sono :

• Un più sofferto amore per la verità e il rifiuto di ridurre la filosofia a vuoto esibizionismo verbale

• Il tentativo di andare oltre lo sterile relativismo conoscitivo e morale in cui si era sviluppata la
sofistica

La filosofia come ricerca intorno all’uomo

Socrate ha seguito le ricerche degli ultimi filosofi della matura in particolare di quelli appartenenti
alla scuola di Anassagora. Nel tendone platonico si legge che da giovane il filosofo fu
appassionato dall’indagine sulla natura.

Tuttavia deluso da questo tipo di indagini il filosofo si convinse del fatto che alla mente umana
sfuggano i perché ultimi delle cose e che essa non è dato conoscere con certezza l’essere e i
principi del mondo.

Riteneva folli coloro che di tali cose si davano pensiero. Si meravigliava come costoro non fosse
chiaro che non è possibile agli uomini trovare queste cose.

Abbandonati gli studi cosmologici comincio a intendere la filosofia come un indagine in cui
l’uomo tenta con la ragione di chiarire se stesso. Socrate fece proprio il motto dell oracolò
delfino ‘conosci te stesso’ vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione del
filosofo.

Secondo socrate non si è uomini se non tra gli uomini in quanto cio che costituisce la nostra
esssenza è proprio il rapporto con gli altri, la sua filosofia assunse i caratteri di un dialogo
interpersonale in cui ognuno affrontava le questioni relative alla propria umanità.

Socrate pose il valore dell esistenza convinto che una vita senza ricerca non è degna di essere
vissuta.

Il non sapere

La prima condizione della ricerca è la coscienza della propria ignoranza. Nell’apologia platone
narra che socrate quando seppe che venne proclamato dall oracolo di Delfi il più sapiente
interpreto il responso come se significasse che sapiente è chi sa di non esssere.

Egli sostenne che il vero sapiente è chi sa di non sapere, filosofo autentico è chi ha compreso
che intorno alle cause ultimi del tutto nulla si puo dire con sicurezza. Agnostico per quanto
riguarda le questioni ontologiche e cosmologiche. Socrate non lo è altrettanto per quei che
concerne i problemi etico esistenziali. Se da una parte la formula socratica ssume il significato di
denuncia dall’altra non esclude la possibilità di una ricerca sull uomo dal momento che soltanto
di non sapere cerca di sapere mentre chi si crede gia in possesso della verità non sente il
bisogno di cercarla.

La tesi socratica da un lato funge da richiamo ai limiti della ricerca e dall’altro vuol essere un
invito a indagare i problemi dell uomo. La coscienza del non sapere si configura in una scintilla.
Va colta una presa di distanza dai sofisti che si chiamavano sapienti tanto da arrogarsi il diritto di
insegnare.

Spurate è il primo a dichiararsi amante della sapienza (filosofo) in cerca di sapere.

Il dialogo

Il metodo dell’indagine filosofica usat è il dialogo ovvero lo scambio e il confronto. La ricerca


coincide con il suo dialogare, con il suo continuo porre domande senza considerare mai
definitive le risposte. Il dialogo socratico presenta una struttura ben precisa in cui si distinguono
ironia e maieutica.

L’ironia Nell’esame a cui socrate sottopone gli altri la sua prima preoccupazione è rendere
consapevoli i propri interlocutori della loro ignoranza. A questo scopo si avvale dell’ironia.

L’ironia socratica è il gioco di parole attraverso il quale il filosofo mette a nudo le conoscienze di
coloro che gli stanno di fronte giungendo a mostrare il ‘non sapere’. L’ironia è il metodo usato
per svelare all’uomo la sua ignoranza per gettarlo nel dubbio spingendolo quindi alla ricerca.

Facendo ironicamente finta di non sapere il filosofo chiede all’interlocutore di renderlo edotto
circa lambito di sua competenza. Dopo una teatrale adulazione delle conoscienze del
personaggio inizia a sommergerlo di domane avvolgendolo in una rete di questi. Usando l’arma
del dubbio e manovrando la tecnica della confutazione per smontare le deboli risposte ottenute
socrate giunge a mostrare al proprio interlocutore l’inconsistenza delle sue persuasioni
provocando in lui vergogna. Il momento ironico è stato definito dialettico zenonianto in virtù dellle
analogie con il metodo per assurdo. Il filosofo puo raggiungere il proprio scopo principale:
invogliare alla ricerca del vero.
La maieutica Ciò non significa che socrate si proponga dopo aver svuotato la mente del
discepolo di riempirla con una propria verità. Egli non intende comunicare una propria dotttrina
ma soltanto stimolare ascoltatore a ricercarne una personale dentro se stesso.

In cio consiste la maieutica: l’arte di far partorire di cui Platone parla dicendo che socrate aveva
ereditato dalla madre la professione di ostretico. Socrate ostetrico di anime aiutava gli intelletti a
partorire il loro punto di vista sulle cose. Egli non é sapiente ne si genera in se alcuna scoperta.
Quelli che entrano in relazione con lui anche se al principio si rivelano ignoranti tutti poi
meravigliosamente progrediscono. Ma é chiaro che da lui non hanno appreso nulla.

Scaturiscono da queste parole il concetto di verità come conquista personale.

Si è anche visto come uno dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è un
processo in cui il discepolo viene aiutato dal maestro a formarsi in maniera autonoma.

La ricerca della definizione nellla struttura del dialogo la molla del processo è l’interrogativo ‘che
cos e’ ossia la richiesta do una definizione precisa di cio di cui si sta parlando. A queste
domande come ‘che cos’è la virtu’ l’interlocutore risponde solitamente mediante un catalogo di
casi virtuosi. Socrate non si accontenta di un elenco perché a lui non interessano esempi ma la
definizione.

Tra i discorsi preferiti dai sofisti e i discorsi brevi fatti di battute corte è veloci che obbligano
l’avversario a dare risposte precise. Socrate predilige i secondio. La domanda cos’è rivela un
duplice volto: uno negativo indirizzato a mettere in crisi l’interlocutore, l’altro positivo teso a
condurlo verso una definizione soddisfacente sull’argomento.

Induzione concetti e verità Siamo in grado quindi di intendere in che senso aristotele attribuisca a
socrate la scoperta dell’induzione e del concetto.

Si dice induzione un tipo di ragionamento che dall esame di un certo numero di casi risale a un
Affermazione generale. Alcuni studiosi contemporanei hanno messo in discussione la validità
della testimonianza aristotelica leggendo un tentativo di aristotelizzare socrate. Con socratica
comincia a delinearsi quella reazione al relativismo linguistico conoscitivo e morale della peggior
sofistica che verra ripresa e portata avanti da platone.

Socrate non si propone di costruire una scienza delle difinìzioni.

Questo punti decisivo della storiografia socratica che conferisce forza e concretezza all’idea
secondo cui l’unico modo per centrare storicamente socrate è quello di cogliere i rapporti che lo
uniscono e nello stesso tempo lo distanziano dai sofisti da una parte e da platone dall’altra.

Le osservazioni sul rapporto di socrate con il relativismo sofistico contribuiscono a chiarire la


concezione della verità. Socrate condivide l’idea che la verità non sia qualcosa di assoluto ma
una costruzione umana. Egli è però convinto che attraverso il confronto dialogico sia possibile
raggiungere un accordo su un certo tema la ricerca filosofica conduce a una verità intesa come
omologhia cioè discorso comune o ragione condivisa.

Socrate ammette l’esistenza di un punto fermo che chiunque deve riconoscere come tale e
questo è il dialogo dovere morale prioritario e la necesssita inevitabile a cui nessun essere
umano che non voglia venire meno alla sua natura puo sottrarsi perché anche per rifiutarsi di
dialogare dovette usare il dialogo.

L’etica

Anche l’etica affonda la realtà e le proprie radici nel tessuto culturale dell’Atene del v secolo pur
giungendo a esili nuovi e originali.

Il punto chiave della morale di socrate è la sua concezione della virtù.

La virtù indicava la maniera ottimale di essere uomini e quindi il miglior modo di comportarsi.

La virtu veniva considerata come qualcosa di dato ossia garantito dalla nascita o dagli dei. I
sofisti avevano invece sostenuto che la virtu non è un dono che si possieda per natura ma un
valore che debe essere umanamente cercato o conquistato.

In questo universo si collloca socrate affermando anch’egli che la virtu è una faticosa conquista.

Secondo il suo punto di vista per essere uomini nel modo migliore è indispensabile riflettere
cercare e ragionare. Indispensabile è far filosofia e riflettere criticamente siull’esistemza.

Secondo socrate non esistono bene e giustizia quali entità metafisiche poiché il bene e il giusto
sono valori umani.

La concezione di virtu cime scienza e della vita come avventura disciplinata dalla ragione
rappresenta il senso profondo dell etica socratica che per questo è riconosciuta come forma di
razionalismo morale. Si lega un carattere della virtu che puo essere insegnata e comunicata. Non
basta che ciascuno conosca il proprio mestiere e sia esperto un una tecnica ma bisogna che
ciascuno impari il mestiere del vivere.

Virtù felicità e politica Dalla propria concezione di virtu socrate trae alcune conclusioni di fondo.

La virtu è unica scienza del bene. Socrate tende a far coincidere il campo delle virtu umane con i
valori della ragione. Egli opera una rivoluzione della tradizionale tavola dei valori. I valori veri sono
quelli dell anima che si sommano nella conoscenza.

Òa tendenza di socrate a esaltare i valori del sapere non autorizza un interpretazione ascetica
secondo l’immagine di un socrate moralista che avrebbe ucciso istinto gioia di vivere salute e
bellezza. Contro questa critica mossa dal filosofo tedesco nietxche occorre ricordare che la virtu
non è un esercizio di automortificazione ma un modo di essere. La morale di socrate è una forma
di eudemonismo. La virtu non è una negazione ascetica all esistenza ma un suo potenziamento
mediante la ragione.

La virtu tende a risolversi nella politicità perché l’arte di sapere vivere si identifica nell arte del
saper vivere con gli altri. Politica è ragionare insieme sulle cose della città per scaturire il bene
comune.

I paradossi Dalla concezione socratica della virtu come scienza derivano due paradossi.

Il primo è l’idea secondo cui nessuno pecca volontaimanre e chi fa il male lo fa per ignoraza del
bene. Nessuno compie il male consapevolmente poiché chi opera a il male è un individuo che
ignora cosa sia il vero bene. Quando si agisce si fa sempre cio che si ritiene per noi un bene.

socrate è stato accusato di sopravvalutare la funzione dll intelletto nel comportamento umano.
Egli ignora quel dato di esperienza per cui talvolta si sa quale sia il bene ma poi si agisce male.

Un altro paradosso è la massima secondo cui è preferibile subire il male che commetterlo. Si
connette al vangelo laico di socrate basato sullla convinzione che solo la virtu e la giustizia
rendono l’uomo felice.

Il demone l’anima e la religioni

Secondo la testimonianza dei diamoli platonici scorate tende a dare alla propria opera un
carattere religioso; considera il filosofare una missione affidatagli dalla divinità. Parla di un
demone che lo consiglia in tutti i momenti decisi bella vita. Questo demone è interpretato come
voce della coscienza. il demone è un concetto e religioso non semplicemente morale.

Il demone puo essere inteso come personificazione dell anima individuale. Confluiscono due
visioni della anima: la dottrina orfica dell anima come prigione del corpo e l’idea dell’anima come
sede della vita intellettuale.

Questi portarono all’idea dell immortalità dell anima aspetto che non sembra interessare socrate.
Non è argomento frequente nelle sue conversazioni.

Socrate presta agli dei della religione popolare un ossequio formale perché ai suoi occhi cio
rientra nei compiti dei buon cittadino. Il fatto che parli di dei significa che egli non è estraneo al
politeismo del suo tempo ma ammette gli dei solo perché ammette una divinità superiore. A
questa divinità egli fa appello riconoscendola come garante dell ordine e forma suprema di
intelligenza e bene.

L’intelligenza umana e la generalità dei risultati che ottiene mostrano che tutto ciò non può
essere opera del caso ma di una superiore mente ordinatrice.

La divinità è anche custode del destino degli uomini e presidio dei valori morali. Dopo essere
stato condannato socrate dichiara di essere certo che per l’uomo onesto non vi è male ne nella
vita ne nella morte e che la sua causa è nelle mani degli dei. Vi è quindi una profonda fiducia in
un ordine buon dell universo.

La morte

L’influenza di socrate si era già esercitata a Atene quanto tre democratici lo denunciarono alla
città. L’accusa sulla quale si svolse il processo fu presentata da meleto che affermava che è
colpevole di non riconoscere gli dei tradizionali ma di introdurre nuove divinità e di voler
corrompere i giovani.

Socrate poteva tentare di scagionarsi o lasciare Atene. Egli volle affrontare il processo. La sua
difesa du un esaltazione del compito educativo: il discorso di socrate non convinse i giudici che
lo dichiararono colpevole. Il filosofo avrebbe potuto scegliere di andare in esilio o proporre una
pena. Egli si disse disposto a pagare una multa di 3mila dracme ma si dichiarò che si sentiva
meritevole di essere nutrito a spese pubbliche nel pritaneo. Questa provocazione indispose i
giudici che votarono la condanna a morte.

Dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso nel 404 Atene si era affermato il regime
oligarchico e filo dei trenta tiranni. Socrate non si compromise a questo governo ma quando fu
rovesciato dalla reazione popolare fu la restaurata democrazia nel 399 a volerne il processo.

L’accusa ufficiale rivolta s socrate va posta in relazione alla fisionomia conservatrice assunta
dalla democrazia. Atene guardava al passato glorioso e tendeva a chuydersu alle novità.

Alcuni studiosi tendono a considerare lacccusa contro socrate come un pretesto dietro il quale si
celava un motivo di ostilità più remoto: concepisse i compiti del governo frutto id arte e
competenza da affidare a poche persone. Egli critica a alcune procedure democratiche. Era
legato da rapporti di amicizia con alcuni esponenti della gioventù ultra aristocratica di Atene che
aveva ordito il colpo dei trenta tiranni.

La lealtà di socrate verso la città e le sue leggi affonda le proprie radici nel pensiero filosofico che
ritine che l’uomo sia tale solo in quanto rapportato alla società. dire che l’uomo è società
equivale a dire che l’uomo è uomo in quanto legge. Chi rifiuta le leggi del proprio stato cessa di
essere uomo.

I caratteri generali della filosofia platonica

Platone e socrate La fedeltà all’insegnamento e alla persona di socrate è il carattere dominante


dell intera attività filologica di platone. Non tute le dottrine di platone possono essere attribuite a
socrate, i trattti fondamentali del platonismo nulla hanno a che fare con l’insegnamento
socratico. Il filosofo non esisto a procedere al di la del patrimonio ereditato, formulando principi e
teorie che socrate non aveva mai insegnato.

La stessa modalità espressiva adottata da platone nelle sue opere, il dialogo, rappresenta un atto
di fedeltà al silenzio letterario di scorate. Hanno la medesima concezione di filosofia come sapere
aperto. La stessa convinzione che trattiene socrate dallo scrivere spinge Platone a scegliere la
forma dialogica per i suoi scritti. Questa concezione del filosofare come dialogo ha fatto si che
egli abbia di fatto praticato la filosofia come una ricerca inesauribile come un infinito sforzo verso
una verità che l’uomo non possiede mai totalmente.

La filosofia e il mito Accanto alla forma dialogica un altra delle caratteristiche salienti dell’opera
platonica è l’uso dei miti, racconti fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine
filosofiche.

I motivi per cui platone ci fece ricorso hanno costituito argomento di dibattito, si puo dire che il
mito in platone riveste due significati fondamentale i:

• è uno strumento di cui il filosofo si serve per comunicare in maniera più accessibile e intuitiva
le proprie dottrine. Il mito sarebbe un espediente didattico espostitivo concepito ai fini della
comunicazione intellettuale. I miti platonici sono perlopiu inventati dallo stesso filosofo.

• Il mito è un mezzo di cui il filosofo si serve per parlare di realtà che vann0 al di la dei limiti entro
i usali l’indagine filosofica razionale dovrebbe contenersi. Avendo a che fare com i problemi più
alti e difficili della mente la filosofia si trova a doversi movere ai confini del pensabile che la
costringono a procedere per un altra via, che platone individua nell’allusione mitica. Il mito è
qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca filosofica.

L’uomo dei miti da un lato rende più difficile l’interpretazione della filosofia platonica e dall’altro
conferisce al platonismo un aspetto inconfondibilmente successivo che ha contribuito alla sua
fortuna.

La difesa si scorate e la polemica contro i sofisti

Platone dedica il primo periodo della propria attività filosofica a difendere l’insegnamento di
socrate e polemizzare contro i sofisti. L’apologia di socrate e il critone chiariscono
l’atteggiamento di scorate di fonte all’accusa al processo e alla condanna.

Lapologia costituisce un esaltazione del compito che socrate si era assunto di fronte a se stesso
e di fronte agli altri e perciò l’esaltazione della vita consacrata alla ricerca della filosofia. L’intero
significato dello scritto è contenuto nella frase ‘ una vita senza ricerca non è degna di essere
vissuta’. Socrate dichiara ai giudici che non tralascerà il compito che gli è stato affidato dalla
divinità. Il critone presenta socrate di fronte al dilemma accettare la morte per il rispetto che
l’uomo giusto deve alle leggi o accogliere là proposta degli amici di fuggire. L’accettazione del
destino a cui è stato condannato è l’ultima prova della serietà del suo messaggio.

In un gruppo di dialoghi platone illustra i capisaldi dell’insegnamento socratico:

• la virtu è una sola e si identifica con la scienza

• In quanto scienza la virtu è insegnabile

• Nella virtu consiste la felicita dell uomo

Queste tesi vengono preparate negativamente da tutta una serie di dialoghi minori volti a
sgombrare il terreno delle tesi opposte.il metodo consiste nell ammettere in via dii ipotesi la tesi
opposta a quella di scorate e nel far vedere che essa conduce a nulla o a conseguenze assurde,
risultando quindi confutata.

La tesi secondo cui la virtu è scienza implica che la virtu sia una sola. Se la santità, il coraggio e
la saggezza fossero virtu differenti frs loro e diverse dalla scienza dovrebbe esssere possibile
definire ognuna di esse senza rapportarla alle altre. Nell’eutifrone, nel lachete e nel carmide si
mostra come ne la santità ne il coraggio ne la saggezza siano definibili in questo modo.

Se le virtu fossero diverse ognuna di esse tenderebbe a realizzare un ideale o un valore diverso:
una tenderebbe a realizzare il bene, l’altra utile, l’altra il conveniente. Nell’ippia maggiore si
mostra che non esistono valori indipendenti e diversi l’uno dall’altro. Esiste un solo valore che
comprende tutti gli altri: il bene che è unico come unica è la virtu. Nell’ippia minore si mostra che
c’è identità tra virtu e scienza perché se cosi non fosse l’uomo che fa il male volendolo sarebbe
superiore all’uomo che fa il bene senza volerò. Il primo per volere il male dovrebbe conoscerlo e
per conoscerlo saperlo distringere dal bene, quindi dolerebbe conoscere il bene che stabilirebbe
la sua superiorità rispetto s chi fa male senza volerlo poiché non conosce il bene. Ma è assurdo
che un uomo che conosca il bene faccia il male: il male è sempre ignoranza come la virtu è la
scienza.

Il protagora L’Unità delle virtu e la sua riducibiita al sapere è posta e dimostrata nel protagora.

Socrate obietta al famoso sofista che la virtu di cui egli parla non è vera scienza ma un semplice
insieme di abilità acquisite nell’esperienza: si tratta di un patrimonio privato che non puo essere
trasmesso agli altri. Dal momento che sostiene che le virtu sono molte e che la scienza è solo
una tra esse, protagora non puo affermare che le virtu siano insegnabili infatti soltanto la scienza
si può insegnare: la virtu si può trasmettere e comunicare in quanto scienza.

Il dialogo mostra un platone che non si limita a illustrare i concetti posti da socrate ma che
esalta l’insegnamento del maestro. Il protagora nega all’insegnamento sofistico ogni valore
educativo e formativo screditando cosi la sofistica. Per contrasto l’insegnamento di socrate
appare in tutto il suo valore. Platone rivolge la critica anche ad altri aspetti della sofistica tra cui
l’eristica contro la quale è direttto l’eutidemo e la retorica contro la quale è diretto il gorgia.

L’eutidemo offre una rappresentazione caricaturale del metodo eristico, arte di battagliare a
parole e di confutare quello che via via si dice. Egli interlocutori fratelli eutidemo e dionisodoro si
divertono a dimostrare che solo l’ignorante puo apprendere e subito dopo che invece apprende
solo il sapiente. Il fonda,etto di simili esercizi è la dottrina secondo cui non è possibile l’errore e
qualsiasi cosa si dica è vera. Socrate ribatte che allora non ci sarebbe nulla da insegnare o
apprendere.

Nulla si puo insegnare se non La Sapienza; questa non si puo insegnarla o a prenderla se non
amandola cioè filosofando. Il dialogo si trasforma in una esortazione alla filosofia come discorso
protrettico. La filosofia è l’unica scienza che non solo produce conoscenze ma insegna a
utilizzarle per il vantaggio e la felicita dlel’uoo.

Il gorgia Nel gorgia platone attacca l’arte principale dei sofisti: la retorica. Essa voleva essere una
tecnica della persuasione utilizzabile in maniera del tutto indipendente rispetto all’argomento
trattato. Platone oppone l’idea secondo cui ogni arte è veramente persuasiva solo se si esprime
riguardo all oggetto che le è proprio. La retorica non ha un oggetto propio: consente di parlare di
tutto non riuscendo a convincere se non quelli che hanno una conoscenza inadeguat. Essa non è
un arte ma soltanto una pratica adulatoria.

La retorica puo essere utile a difendere con discorsi un ingiustizia commessa e ad avvitare di
subirne la pena. Questo non è un vantaggio: il male per l’uomo non consiste nel subire un
ingiustizia ma nel commetterla perché essa macchia l’anima; sottrarsi alla pena è un male ancora
peggiore.

La giustizia è un tema fondamentale nel gorgia: callice deride socrate per la sua ingenuità e gli
espone la sua idea della giustizia come convenzione umana che è da sciocchi rispettare.

La leggge di natura coincide cona la legge del più forte e il più forte segue il proprio piacere
senza curarsi della giustizia.

Contro questo per bocca di scorate platone osserva che l’intemperante come non è più felice
fiacche passa da un piacere all’altro simile a una botte bucata che non si riempie mai. La felicita
esige uno stabile e queso non puo coincidere con il piacere che in quanto soddisfazione di un
bisogno fluisce di continuo nel suo contrario: piacere e dolore si condizionano liun l’altro e non
ce l’uomo senza l’altro.

Platone osserva che i piaceri possono essere buoni o cattivi. Inizia a profilarsi l’idea secondo cui
il bene consiste nella ricerca di una misura razionale con cui mettere in ordine la propria vita
tenendo a freno gli istinti.

Platone cerca di rimanere fedele a un etica dell’aldiqua difendendo il principio socratico secondo
cui chi fa il bene vive bene e chi fa male soffre non doèo la morte ma in questa vita perché il male
corrompe la natura dell’uomo e rendendo indegna la vita la rende infelice. All’etica della ragione
oppone un etica della salvezza religiosa ispirata all’orfismo secondo cui l’uomo deve scegliere il
bene non solo per il timore nell’Audi qua di una forte di infelciita ma anche per il timore di pene
terribili da scontare nell’aldilà.

Il cratilo Nel cratilo si cerca di chiarire se il linguaggio sia davvero un mezzo per insegnare la
natura delle cose. Platone non ritiene che il linguaggio sia prodotto da una convinzione ne che i
nomi siano imoisti ad arbitrio. Il linguaggio deve essere adatto a farci discernere la natura delle
cose. Ogni nome debe avere una sua correttezza, deve imitare e esprimere a mezzo di lettere la
natura della cosa significata. Non tutti i nomi hanno questo carattere naturale: alcuni sino
puramente razionali. Non si può sostenere come fa cratilo che la scienza dei nomi sia la scienza
delle cose. I nomi presuppongono la conoscenza delle cose.

Il dialogo contiene l’enunciazione di tra alternative fondamentali:

• la tesi degli eleati sofisti e democrito secondo cui il linguaggio è pura convenzione libera
iniziativa degli uomini

• La tesi di cratilo e Eraclito secondo cui il linguaggio è naturalmente prodotto dall’azione


causale delle cose

• La tesi difesa da platone secondo cui il linguaggio è la scelta intelligente di uno strumento che
serve ad avvicinare l’uomo alla conoscenza delle cose.

platone fa riferimento alle idee chiama sostanze intendendo cio che l’oggetto è. Egli non
attribuisce la produzione dell ingaggio alla natura delle cose: lo ritener una produzione dell’uomo
ma ammette che non si tratti di una produzione arbitraria bensì diretta alla conoscenza delle
esssenze.

La teoria delle idee

Nei dialoghi del primo periodo platone difende le teorie di socrate. Queste dottrine generali
seppur riportate con amore dal discepolo riflettono gia gli interessi e le tendenze speculative di
platone. Platone da molta importanza al metodo socratico delle definizioni interpretanolo come
primo passo verso un sapere capace di superare il relativismo sofistico. Nell’ambito di questa
battaglia antisofistica platone giunge a elaborare il concetto di idea. La teoria delle idee segna
l’avvio alla fase in cui il filosofo va al di la delle dottrine socratiche elaborando un proprio
pensiero originale. La teoria delle idee non è mai esposta in modo organico e questo ha indotto
alcuni studiosi a metterla in secondo piano. Rappresentava pero il cuore del platonismo: a egli
parve risolvere i massimi problemi della filosofia.

La genesi della teoria delle idee è da ricercarsi nell’approfondimento platonico del concetto di
scienza. Egli ritiene che la scienza debba avere i caratteri della stabilità. È convinto che il
pensiero rifletta l’essere: la mente è uno specchio di qualcosa che esiste. In Questa concezione,
definita realismo gnoseologico, il filosofo si chiede quale sia l’oggetto proprio della scienza.
Socrate intendeva individuare il quid est di una certa cosa. La definizione ricercata da socrate si
riduceva al risultato di un confronto e un accordo tra i dialoganti. Platone si propone di trovare un
oggetto stabile corrispondente alla definizione cercata dal suo maestro. Per platone questo non
puo essere costituito dalle cose apprese dai sensi, poiché mutevoli, appartenenti alla doxa.
Oggetto proprio della scienza non possono essere che le idee. Per platone indica una entità
immutabile e perfetta che esiste per proprio conto e insieme alle altre idee costituisce una zona
dell’essere diversa da quella in cui viviamo. Questa zona è l’iperuranio ‘al di la del cielo’.

Per il filosofo le cose sono le copie dellle idee nonostante abbiano caratteristiche strutturali
diverse.

Platone concepisce le idee come aspetto, forma.

Dualismo In Platone esistono due gradi di conoscenza, l’opinione e la scienza (dualismo


gnoseologico) ai quali fanno riscontro due tipi di essere distinti, le cose e le idee (dualismo
ontologico). La verità imperfetta dell opinione dipende dalla configurazione imperfetta del suo
oggetto ossia il carattere mutevole. La verità perfetta della scienza dipende dalla configurazione
perfetta del suo oggetto. La scienza indaga una realtà stabile e perfetta.

La filosofia platonica rappresenta una sorta di integrazione fra l’eraclitismo e l’eleatismo. Di


Eraclito platone accetta la teoria secondo cui il mondo è un regno mutevole mentre di parmenide
trae il concetto in cui l’essere autentico è immutabile. Nel fedro si dice che l’idea è semplice e
imperitura. Nel simposio che mai comincia mai passa ne aumenta o diminuisce. L’essere
platonico risulta a differenza du quello parmenideo multiplo perché formato da una pluralità di
idee.

Rapporto tra idee e cose Da un lato platone afferma la distinzione tra idee e cose e dall’altro
sottolinea uno stretto legame. Il rapporto si configura in una duplice direzione dal momento che
le idee sono:

• criteri di giudizio delle cose. Noi per formulare i nostri giudizi non possiamo che riferirci alle
idee. Diciamo che due cose sono uguali sulla base dell’idea dell’uguaglianza.

• Cause delle cose. Gli individui sono in quanto imitano le idee. Due individui sono uomini sulla
base dell’idea di umanità che è la causa che li rende tali.

questo rapporto non è stato definito in modo univoco da platone il quale, pur parlando di mimesi
(le cose imitano le idee), di metessi (le cose partecipano all essenz delle idee) e Parusia (le idee
sono presenti nelle cose) rimane aula questione piuttosto incerto. Nella vecchiaia il filosofo
riprende questo problema tendando di risolverlo senza mai prevenire a un esito definitivo.

Quali sono le idee Nella fase della maturità si distinguini fondamentalmente:

• Le idee valori corrispondenti ai principi etici politici estetici (bellezza, bene, giustizia)

• Le idee matematiche corrispondenti alle entità e principi dell artimentica e geometria (classi di
numeri, il quadrato, l’uguale)

Platone parla talvolta delle idee di cose naturali (idea di uomo) e delle idee delle cose artificiali
(L’idea di letto).

Negli ultimi dialoghi l’idea platonica finirà per configurarsi come forma unica e perfetta.

Le idee non formano una pluralità disorganizzata. Esse costituiscono una trama di ordine
piramidale con le idee valori in cima e l’idea di bene al vertice. Alcuni interpreti hanno assimilato
l’idea di bene a dio ma non si torva conferma nei testi platonici.

Risulta assente l’idea di un dio persona ma esiste il divino (termine impersonale che designa la
molteplicità di idee). Caratteri personali possiede il demiurgo il quale è un entità inferiore alle idee
e si limita a ordinare la materia.

Dove e come esistono Le idee esistono in modo superiore alle cose formando l’iperuranio. La
tradizione ha considerato il mondo platonico delle idee come analogo all’empireo dantesco. A
questa lettura è contrapposta quella di alcuni studiosi che hanno considerato le idee non come
cose ma come modelli di classificazione delle cose. Si tende a rifiutare questo tipo di lettura
ritenendola una modernizzazione. La prima interpretazione viene considerata troppo legata al
mito. Le idee triangolo uguaglianza o numero pur esistendo indipendentemente dagli intelletti
umani non trovano in un ipotetico mondo dell’aldila. Stabilire quali di queste interpretazioni sia
vera non è possibile perché entrambe presentano punti di debolezza. Stando ai dialoghi di
platone le idee costituiscono una zona diversa da quella delle cose ma cime esse esistono si
deve ammettere la questione sia problematica.

Come si conoscono Le idee non possono derivare dai sensi perché ci danno testimonianza solo
di cose materiali e imperfette.

Platone ricorre al mito dell’anamnesi cioè del ricordo: sulla base della credenza dellla
metampsicosi egli afferma che l’anima prima di calarsi nel nostro copro ha vissuto nel mondo
dellle idee dove ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose. L’anima conserva un
ricordo di cio che ha vissuto. Grazie al contatto con le cose l’anima può ricordare cio che ha
contemplato nell’iperuranio. Platone ci dice che conoscere è ricordare in quanto le idee le
portiamo dentro di noi e basta uno sforzo per tirarle fuori.

si rappresenta una forma di innatismo in cui la conoscenza deriva ma da metri di giudizio


preesistenti nel nostro intelletto rispetto ai quali l’esperienza sensibile costituisce meccanismo
sollecitatore. Una prova di questa teoria è il rispondere a domande su argomenti di cui non ha
sentito parlare. Celebre è l’esempio dello schiavo che seppur ignorante in geometria viene
aiutato da socrate a ricordare gli elementi di fondo riuscendo a intuire il teorema di Pitagora. La
maieutica divine il fondamento della teoria della reminiscenza.

Lui o non possiede l’intera verità, ma nemmeno la ignora completamente, bensì la porta a titolo
id ricordo.

L’immortalità della anima La teoria della reminiscenza sottointende l’immortalità dell’anima che
diviene oggetto del fedone. Platone presenta prove dell’immortalità dell’anima. Una prima detta
dei contrari afferma che come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario cosi la morte si
genera dalla vita, e la vita dalla morte. L’anima rivive dopo la morte del copro.

Una seconda detta della somiglianza sostiene che l’anima essendo simile alle idee che sono
eterne lo sarà anch’essa.

Una terza detta della vitalità argomenta che l’anima in quanto soffio vitale è vita e partecipa
all’idea della vita. Non puo accoglier l’opposta idea di morte.

Nel fedone troviamo la dottrina della filosofia come preparazione alla morte. Se la conoscenza
autentica è conoscenza delle idee, filosofare significa andare oltre i sensi e il corpo. La vita del
filosofo è tutta una preparazione al momento un cui l’anima potrà unirsi alle idee.

Il mito di er La teoria dell’immortabilita dell anima serv e per chiarire il problema del destino. Il
filosofo ritiene che la sorte di ogni individuo dipenda da una scelta precedentemente compiuta
dalla sua anima nel mondo delle idee. Egli illustra con il mito di er con il quale di chiude la
repubblica.

Er è un guerriero che morto in battaglia è resuscitato dopo 12 giorni puo raccontare agli uomini
cio che li attende dopo la morte. Alle anime malvagie spettano grandi sofferenze mentre le anime
virtuose sono destinate a mille anni di felicita dopo i quali si presentano di fronte a lachesi (una
delle 3 moire) per scegliere la vita futura. Le anime che scelgono per prime hanno più possibilità,
l’ordine viene deciso tirando dei numeri. Una volta scelto il destino cloto e atropo (le altre 2) lo
confermano. Le anime si abbeverano nel fiume Lete s si addormentano. Si risveglieranno
incarnate in un corpo terreno e non ricorderanno nulla.

La parte centrale del racconto riguarda la scelta del destino. Platone sottolinea che si tratta di
una libera scelta. Nel racconto di er, Ulisse sceglie una vita modesta e oscura scartata da tutt le
anime per le difficili prove.

Il relativismo sofistico L’opposizione al relativismo sofistico costituisce il cuore della dottrina delle
idee. Il relativismo sofistico costituisce qualcosa di complesso e articolato: Protagora e gorgia
presentano molte differenze. Il primo fornisce agli uomini un criterio che consente di intendersi
mentre il secondo nega il principio conoscitivo pratico. In platone il relativismo sofistico tende a
divenire un tutto indistinto identificandosi con una filosofia negatrice id ogni stabile punto di
vista. Per platone è possibile solo una restaurazione di qualche forma di assolutismo. Per platone
l’unica via percorribile è la restaurazione di certezze asssolute: la teoria delle idee diviene lo
strumento decisivo. L’umanismo sofistico e socratico che poneva l’uomo la fonte di giudizi,
risulta messo da parte. Nel platonismo non è più l’uomo a misurare la verità ma è essa a fornire
all uomo le regole per pensare e vivere. La conoscenza torna ad avere un valore asasoltuo e
cessa di essere relativa all uomo. Per quel che concerne la morale anch’essa torna ad avere una
validità assoluta con le idee valori che permettono al filosofp di delineare un discorso etico
politico universale. Il linguaggio torna a caricarsi di un valore assoluto, in quanto formanosi sulle
idee risulta capace di riversarci la verità.

La finalità politica Il superamento del relativismo rivela il pieno significato nll’ambito della politica.
Platone ritiene che il relativismo non possa che produrre disordine e violenza o la teorizzazione
della legge del più forte. La teoria delle idee vuole offrire agli uomini uno strumento per uscire al
caos delle opinioni. L’assolutismo delle idee rappresenta l’arma principale contro l’anarchia
sociale secondo l’equazione: conoscenza delle idee=fondazione du una scienza politica=pace tra
gli uomini.

Amore e bellezza

Il sapere stabilisce tra uomo e idee un rapporto che non è puramente intellettuale poiché
accompagna l’uomo nella sua totalità. Questo rapporto è definito da platone come amore. Sono
dedicati a questa teoria il dialogo del simposio e del fedro. Il primo considera l’oggetto dell
amore cioè la bellezza e mira a determinarne i gradi gerarchici. Il fedro considera l’amore dal
punto di vista dell soggettto cioè l’ispirazione verso la bellezza e l’elevazione dell anima al mondo
delle idee.

Il simposio I discorsi degli interlocutori del simposio mettono in luce una serie di caratteri
dell’amore subordinati che verranno sintetizzati nel di scorso di socrate.

Pausania avvocato distingue eros volgare che si rivolge ai corpi e eros celeste che si rivolge alle
anime. Il medico erissimaco vede nell’amore la forza che determina le proporzioni è l’armonia di
uttti i fenomeni. Il commediografo aristofane espone il mito degli androgini esseri composti da
due meta maschili, due meta femminili oppure una meta maschile e una femminile; divise da
Zeus per punizioni le due parti vanno luna in cerca dell latra per ricostruire l’esser originario.
Questo racconto sotttolinea che uno dei caratteri dell amore sia l’incompletezza.

L’amore non ha bellezzza e la desidera in quanto essa è il bene che rende felici. La bellezza è il
fine e l’oggetto dell’amore.

La bellezza ha gradi diversi. In un primo momento si è attratti dalla bellezza di un singolo copro.
Poi ci si accorge che la bellezza è presente in più corpi e cosi si desidera e ama la bellezza
corporea nella sua totalità. Al di sopra di questa ce la bellezza dell’anima, e al di sopra ancora la
bellezza delle leggi, poi la bellezza delle scienze. Infine al di sopra di uttto si trova la bellezza. Ai
gradi di bellezza corrispondono diverse forme di amore in una scala gerarchica.

Appare fuorviante lamore platonico ossia come una relazione sentimentale asessuata. Questa
accezione sorse nel medioevo dall idea ch elelvazione spirituale si potessse compiere
rinunciando alla propria corporeità. Platone ritienper che l’eros sia radicato nei sensi e non
spregia la corporeità. L’amore di cui parla non si riduce al sentimento.

Il fedro In che modo l’anima puo raggiungere la bellezza è il problema del fedro.

Nel fedro l’anima si distingue in tre parti:

• la parte razionale che ha sede nel cervello e grazie al quale l’essere umano ragiona e domina
gli impulsi corporei

• La parte desiderante che ha sede nel ventre ed è il principio di tutti gli impulsi

• La parte coraggiosa che ha sede nel petto e da sostengo allla parte razionale lottando er cio
che la ragione ritien buono e giusto.

Questa tripartizione viene chiarita da platone mediante il mito del carro alato nel quale lanima è
paragonata a una biga alta guidata da un auriga trainata da una coppia di cavalli, uno bianco e
obbediente e uno nero. L’auriga corrisponde alla parte razionale che deve guidare la vita. Il
cavallo bianco corrisponde alla parte coraggiosa dell anima che obbedisce alla ragione; il cavallo
nero

corrisponde alle pulsioni irrazionali. L’opera dell’auriga è difficile . Egli cerca di condurre il carro
nel cielo che è la sede dell’essere autentico. Qui sta la vera sostanza, la totalità delle idee.
L’anima puo completarla per poco perché il cavallo nero tira verso il basso.

L’anima che ha vissuto di più vivifichera il corpo di un uomo che si consacrerà al culto dell amore
mentre le anime che hanno visto meno si incarneranno in uomini che saranno più alieni dalla
ricerca della verità e della bellezza.

Amore e dialetttica Il ricordo delle sostanze ideali viene risvegliato dalla bellezza che l’uomo
riconosce subito appena la vede per via della luminosità.

La seconda meta del dialogo è occupata dall’analisi della retorica scaturita dalla affermazione di
fedro secondo cui l’oratore non ha dovere di comprendere cio che è giusto. Socrate obbietta che
loratore non puo rischiare di ingannare se stesso e deve sapere che cosa è bene o male. Platone
spone il proprio modello di una retorica del vero, un arte che cerca il favore degli dei e non delle
masse. Una retorica che rende capaci di parlare e pensare e che è attenta ai contenuti. Platone
continua a pensare che solo la filsppfia puo accedere alla verità mentre la retorica si limita a
trattare di cio che è plausibile. Non ha una propria autonomia ma è uno strumento della
dialettica.

Lo stato

Lo stato ideale Tutti i temi sono riassunti nella massima opera di platone, la repubblica, che li
ordina intorno alla descrizione dello stato ideale e di una comunità perfetta in cui il singolo trova
le condizioni per una vita felice. Platone dice che se i filosofi non governano le città o se quelli
che ora chiamiamo governanti non coltiveranno la filosofia, se il potere politico e la filosofia non
coincideranno è impossibile cessino i mali.

La giustizia Il fine di una società governata dai filosofi è la giustizia. Nessuna comunità puo
sussistere senza giustizia. Lo stato deve essere costituito da 3 classi: quella dei governanti, quell
dei guerrieri e quella dei lavoratori. La saggezza è la virtu della prima classe, è necessario che i
governanti siano saggi. Il coraggio è la virtu dell classe dei guerrieri. La temperanza intesa come
governo della ragione sui sensi è na virtu comune a tutte le classi. Essa caratterizza sopratutto i
produttori che non avendo una virtu propria condividono quella del corpo sociale.

La giustizia comprende tutti queste virtu e si realizza quando ciascun cittadino si attende al
proprio compito e ha cio che gli spetta. In uno stato i compiti sono tanti e ognuno deve scegliere
quello a cii adatto a dedicarsi. La giustizia garantisce L’Unità e la forza du uno stato. Essa
garantisc unita e efficenza dell individuo. Nell’ani,a individuale platone distingue tre parti. La
giustizia consiste nell unita dello stato e dell individuo stesso, ma anche nell accordo
dell’individuo con la comunità.

Le classi sociali Per il filosofo lo stato deve per forza essere diviso in classi perché uno stato vi
sono compiti diversi che devono essere esercitati da individui diversi. Platone rifacendosi alla
tripartizione psicologica dell’anima afferma che la diversità tra individui dipendono dalla
preponderanza di una parte dell’anima sulle altre. Abbiamo individui prevalentemente razionali,
impulsivi. La divisione degli individui in clsssi sociali non dipende da un diritto di nascita ma da
un inclinazione naturale.

Ciò trova esemplificazione nel mito delle stirpi in quella che Platone riferisce come antica
leggenda fenicia secondo cui alcuni nascono con la natura aurea e altri con natura argentea e alti
con natura ferrea. Mentre nel sistema delle caste non si ammette la mobilità sociale, nella società
platonica si dice che un bimbo ferro nato tra uomini aurei dovrà essere retrocesso di classe e
viceversa. È bene far presente che i figli assomigliano ai padri e quindi restano nella classe di
provenienza, solo eccezionalmente avviene il contrario. È importante aggiungere che in platone
la divisione in classi riveste significanti antidemocratici.

Il comunismo Affinché lo stato funzioni bene e la giustizia sia realizzata platone suggerisce
l’eliminazione della proprietà privata e la comunanza dei beni per le classi superiori così che esse
attendano più efficacemente alla gestione della cosa pubblica. I governanti filosofi dovranno
avere piccole case e nutrirti di cibo semplice; non riceveranno compensi se non i mezzi necessari
per vivere. Sia ricchezza che povertà sono nocive: nella città ideale non dovrà esistere nessuna
delle due. Quello di platone si presenta come un comunismo che non riguarda l’intera società. La
classe al potere non avrà famiglia; platone ritiene che i governanti debbano avere in comune
anche le donne.

Ciò non implica la prostituiszionr della donna o la sua subordinazione. Le donne dovranno
godere di completa uguaglianza agli uomini e parteciperanno alla vita dello stato. Le unioni
matrimoniali saranno temporane e stabilite dallo stato in base ai criteri volti alla procreazione di
figli sani. Tutti i bambini saranno togli fin dalla nascita ai genitori e si avrà cura che questi non
sappiano quali sono i loro figli. Si vivrà cosi come in una grande famiglia solidale.

Platone nel dialogo fa chiedere ?ma come socrate ti difenderesti se qualcuno obbiettasse che
non fai davvero felici questi uomini valorosi’. Il filosofo risponde che la felicita risiede nellla
giustizia ossia nell adempimento del proprio compito in vista della felicita complessiva dello
stato. Non bisogna dimenticare che i filosofi sono felici di per se e non hanno bisogno di cercare
realizzazioni in beni materiali.

Le degenerazioni Platone è consapevole che lo stato da lui descritto non esiste: esso
rappresenta un modello ideale in riferimento al quale è possibile migliorare gli stati esistenti. La
società platonica puo essere definita un aristocrazia di filosofia. Platone elenca 4 possibili
degenerazioni alle quali corrispondono degenerazioni degli individui che ne fanno parte

• la timocrazia= governo fondato sull onore, che nasce quando i governanti si propriano di beni
per perseguire l’affermazione personale. Corrisponde l’uomo timocratico diffidente verso i
sapienti e amante del comando.

• L’oligarchia= il governo fondato sul censo il cui cimando è affidato ai pochi. All’oligarghia
corrisponde l’uomo avido di ricchezze.

• Democrazia= causato dall ribellione del ceto povero; i cittadini sono liberi e gli è concesso far
quello che si vuole; corrisponde l’uomo democratico che tende ad abbandonarsi ai desideri
smodati.

• La tirannide che nasce come reazione all’eccessiva libertà. Forma più spregevole perché il
tiranno deve circondarsi degli individui peggiori capaci di compiere azioni crudeli. L’uomo
tirannico è schiavo delle passioni, è il più infelice.

L’aristocraticismo La dottrina di platone prende le mosse da una ostilità nei confronti della
democrazia. Platone critica sofisti ma anche uomini politici che avevano riformato la città in
senso democratico: temistocle, Cimone, Aristide e Pericle. Socrate chiede a calice: dimmi se è
voce corrente che gli ateniesi siano stati migliorati da Pericle o ne siano stati corrotti. Lo sento
dire che Pericle ha reso gli ateniesi più pigri vili chiacchieroni e avidi.

La divisione in classsi della repubblica obbedisce anche alla necessita di una diversificazione di
attività che garantisca un modello statico e gerarchico basato su ruoli fissi e differenziati.

La teoria platonica è una forma di organicismo politico poiché considera lo stato un organismo
che necessita dell’accordo di tutte le funzioni e le parti.

Platone abbatte i principali capisaldi della cultura democratica ossia la tesi della necessita di una
gestione comune della cosa pubblica. La politica non è un arte desinata a tuti ma solo alla parte
aurea. Lo stato platonico non deve essere confuso come un aristocrazia comunemente intesa.
Lo stato è si aristocratico poiché governato dai migliori ma questi nn sono tali per casato ma per
La Sapienza..

I custodi Ci si chiede come si puo essere sicuri che i governanti realizzeranno il bene della città e
non operano per l’interesse personale. Platone supera la difficoltà presupponendo che i
governanti prima di saper custodire gli altri siano in grado di costudire se stessi. Da cio
l’importanza rivestita dal sistema educativo. L’ordinamento educativi e politico risultano
congiunti al punto che lo stato tende a configurarsi come una grande accademia con lo scopo di
formare i custodi. Individui addestrati fin dalla nascita al bene collettivo saranno all’altezza di
agire per il ben supremo.

I gradi della conoscenza

L’educazione al sapere e alla virtu di cui parla platone non riguarda tutti gli individui ma solo
quelli appartenenti alle prime due classi. DelL’educazione della massa di cittadini platone non fa
cenno. Egli è convinto che il sapere is a una prerogativa delle classi superiori.

L’educazione al saper e dalla virtu coincide con ledcucazione alla filosofia; nella parte centrale
della repubblica Platone delinea il compito del filosofo. Filosofo è colui che ama la conoscenza
nella sua totalità. Platone afferma che cio che assolutamente è, è assolutamente conoscibile; cio
che in nessun modo è in nessun modo è conoscibile.

Platone paragona la conoscenza a una linea che viene divisa in due segmenti i quali vengono
divisi in altri due. Abbiamo cosi 4 gradi di conoscenza ai quali corrispondono 4 gradi della realtà.

La conoscenza sensibile rispecchia il mondo mutevole e comprende

• la confettura o immaginazione che ha per oggetto le ombre o immagini delle cose

• La credenza che ha per oggetto le cose sensibili

La conoscenza razionale o scientifica rispecchia il mondo immutabile delle idee e comprende

• la ragione matematica o discorsi a che ha come oggetto le idee matematiche

• L’intelligenza filosofica o noetica che ha per oggetto le idee lavori

Platone ritiene che la filosofia sia superiore alla matematica. Nonostante la esalti egli pensa che
le discipline matmetica d a un lato trovino appigli al mondo sensibile e dall altro partono da
ipotesi indimostrate.

La filosofia pur muovendo da ipotesi le considera come punti di partenza per risalire a principi
supremi (le idee) e al principio di tutto (il bene).

La superiorità della filosofia consiste anche nel occuparsi dei problemi dell’uomo e della città.

I gradi dell’educazione La preminenza della filosofia non esclude che nel sistema educativo esse
rivestano grande importanza. L’educazione scientifica ha il punto critico nel passsaggio dalla
conoscenza sensibile alla conoscenza razionale matematica. Passaggio effettuato con i metodi
di misura: se l’uomo non vuole rimanere ingannato dalle apparenze non puo che ricorrere alla
misura. Le percezioni possono essere diverse per gli uomini o per lo stesso uomo in momenti
diversi. Se misuriamo raggiungiamo conoscenze oggettive e stabili. Platone elenca nella
repubblica le discipline matematiche fondamentali: aritmetica, geometria, astronomia, musica.
Queste costituiscono la propedeutica della filosofia. Platone descrive l’educazione dei giovani:
dapprima sfideranno musica e ginnastica, poi le discipline propedeutiche alla filosofia. Tra i 30 e
35 anni si cimenteranno con la filosofia o dialettica. Tra i 35 e 50 dovranno affrontate un tirocinio
nelle cariche militari e civili. Solo a 50 anni gli ottimi potranno assumere il governo delllo stato.

La concezione dell arte

La repubblica presenta una celebre digressione sull’arte che si conclude con l’esclusione di
questa disciplina dall’educaizone filsofica. I motivi per cui platone condanna l’arte sono 2.
Platone ritiene che l’arte sia l’imitazione di un imitazione, di 3 gradi lontana al vero. Essa si limita
a riprodurre

immagini di cose e eventi che sono riproduzioni delle idee. Essa possiede un valore conoscitivo
basso risultando aliena alla misurazione matematica. Questa critica non vale per la musica sia
per i suoi aspetti matematici sia per il rigore morale.

Platone ritiene che essa possa corrompere gli animi.i l’arte rappresentando individui in preda a
istinti bassi e mostrando un mondo dominato da fato in cui gli uomini sono passivi spettatori.

Si aggiunge poi un terzo motivo di matrice culturale. C’è infatti i desiderio di sbarazzarsi di una
forma di cultura che prima della nascita della filosofia aveva improntato l’educazione giovanile.
La critica contro l’arte non tocca i miti che sono visti come tentativi di rappresentare alla mente
contenuti che vanno al dil a di cio che è empirico. Platone accoglie l’ideale della kalokagatia
secondo cui la bellezza è la forma esteriore della bontà. Dove c’è autentica bellezza non possono
esserci ne male.

I teeteto

Nel Teeteto, Platone parla delle conoscenza e lo fa proprio attraverso un giovane di nome
Teeteto che, d'accordo con Protagora e gli eraclitei, ritiene che la conoscenza sia una
sensazione. Platone mette in luce un problema rispetto a questa convinzione del giovane: se la
conoscenza fosse una sensazione sarebbe tutto vero perché la conoscenza diventerebbe
soggettiva perché ognuno di noi conosce il mondo in modo diverso e ha sensazioni diverse
anche rispetto alla stessa cosa. Quindi tutto sarebbe vero come sostenevano i sofisti o
bisognerebbe determinare ciò che è vero in base alla maggioranza della gente ossia il vero è ciò
che la maggioranza ritiene tale.

Platone però non era per niente convinto di queste soluzioni ossia da un lato che tutto è
soggettivo e dall'altra che vince la maggioranza. Secondo il filosofo, doveva esserci qualcosa di
vero di per sé, qualcosa che non dipenda dal giudizio del singolo o della maggioranza. in questo
Platone si oppone quindi al relativismo dei sofisti che sostenevano appunto che tutto fosse
soggettivo e sostiene che i sensi sono semplicemente un mezzo attraverso cui l'anima conosce
le cose.

La conoscenza è, quindi, per Platone una opinione vera. Ma che cos'è vero allora? Che cos'è per
te vero? Ecco Platone in questo caso non definisce direttamente il vero ma lo fa attraverso la
definizione di che non è vero, ossia di ciò che è falso. Il falso sembra essere un errore
nell'insieme di elementi. È come se in una catena di montaggio per la costruzione di qualcosa, ci
fosse un intoppo nella catena di produzione e mancasse qualche pezzo. Ci fosse quindi un
errore. E qual è l'origine di questo errore secondo Platone? una possibile risposta a questa
domanda è che la nostra memoria è labile e può ricordare male le cose e, siccome noi per
conoscere usiamo la memoria per rievocare ricordi, allora possiamo incorrere in errori.

Alla fine del Teeteto, però, Platone ritorna di nuovo sulla questione iniziale ossia che cos'è la
conoscenza. E il quesito sull'errore portare il filosofo ad affrontare il problema del non essere sia
nel Parmenide che nel Sofista.

Parmenide

Secondo Platone, l'affermazione di Parmenide che "solo l'essere è mentre il non essere non è"
sancirebbe la morte della teoria delle idee perché ogni idea abbiamo visto essere a sé stante, c'è
l'idea di bellezza, l'idea di giustizia ecc. queste idee hanno sì un rapporto reciproco ma ognuna è
autonoma e svincolata dalle altre perché rappresenta una specifica idea. Quindi, un'idea non è
un'altra e in questo senso sarebbe illogico accettare la teoria di Parmenide secondo cui il non
essere non è perché se io dico che l'idea di giustizia non è l'idea di bellezza allora sto implicando
che l'idea di giustizia non è tanto quanto l'idea di bellezza. E quindi le idee non esisterebbero.

Infatti Parmenide sostiene che l'essere è unico mentre nella teoria delle idee di Platone esistono
diverse idee ed è proprio su questo che si focalizza nello scritto Parmenide sostenendo che le
idee sono fondamentali per ordinare e dare un senso logico alla molteplicità delle cose che ci
sono nel mondo e sono fondamentali per filosofare.

Ma la critica feroce nei confronti di Parmenide e della sua teoria dell'essere non finisce qui. Anzi
continua in modo ancora più aspro nel Sofista.

Sofista

Nel Sofista Platone cerca di spiegare come possano esistere più idee in relazione tra loro e lo fa
attraverso quella che lui chiamò teoria dei generi sommi: sono gli attributi fondamentali delle idee
che secondo Platone sono 5: l'essere, l'identico, il diverso, la quiete e il movimento.

Il primo attributo è facile perché ogni idea esiste e quindi è. Inoltre, ogni idea è identica a se
stessa e, allo stess tempo, è diversa dalle altre idee. Ecco che sul terzo attributo ossia quello
della diversità delle idee Platone cero di smontare la teoria di Parmenide. Per capirlo ti faccio il
classico esempio "A non è B". con questa frase io nor sto però dicendo che A non esiste o che B
non esiste. Sto dicendo che sono diversi ma che esistono entrambi. In questo senso, per Platone
l'unica modalità in cui può esistere il non essere è attraverso la diversità. E in questo modo,
Platone riesce a giustificare l'errore perché per il filosofo l'errore consiste nel fare o nel dire le
cose in modo diverso rispetto alla realtà. In ultimo, ogni idea può vivere nella quiete del suo sé,
quindi stare con se stessa oppure stare in relazione, essere in interazione con le altre idee.

Nel secondo periodo di Platone abbiamo ampiamente visto che l'essere è identificato con le
idee.

Nel terzo periodo, però, Platone sottolinea che l'essere “è qualunque cosa si trovi in possesso di
una qualsiasi possibilità.

Quindi per Platone l'essere è possibilità ed è sia nelle cose materiali sia nelle cose immateriali.
Ad esempio la virtù è immateriale.

La dialettica Platone parla già della dialettica sia nella Repubblica sia nel Fedro ma è solo nel
Sofista che il filosofo riesce a delineare meglio le caratteristiche della dialettica. Il presupposto
fondamentale dell'arte della dialettica è che questa riesca a mettere in connessione, che riesce a
far comunicare le idee tra di loro. Una domanda sorge spontanea: tutte le idee comunicano tra di
loro?

Secondo gli eristi è così mentre per Platone non tutte le idee comunicano tra di loro perché
sennò si cadrebbe nella trappola del "tutto vero" ossia che tutti i discorsi sarebbero veri. Invece,
l'arte della dialettica è proprio quella di delineare quali discorsi sono veri e da quali sono falsi. Per
cui non tutte le idee possono comunicare tra loro né tanto meno l'estremo opposto ossia che
nessuna idea comunica tra loro come pensavano i cinici. Questo perché, se nessuna idea
comunicasse con le altre, rimarrebbe soltanto un unico discorso tautologico del tipo "l'uomo è
uomo".

Quindi Platone giunge alla tesi secondo cui "alcune idee sono combinabili tra loro altre non lo
sono". Quindi il processo di identificazione e diversificazione delle idee è un processo
dicotomico perché io prendo un'idea, la identifico con altre idee e la diversifico con altre idee.

Facciamo l'esempio della filosofia. la filosofia è un'attività manuale o intellettuale? Avrai


sicuramente risposto che è un'attività intellettuale e quindi avrai identificato la filosofia con
l'attività intellettuale che è quindi diversa da un'attività manuale. Però, all'interno delle attività
intellettuali ci sono attività che hanno come oggetto di studio le cose fisiche e altre che hanno
come oggetto di studio le idee e via dicendo fino a delineare la filosofia in tutte le sue
identificazioni e diversificazioni. È un po' come una mappa concettuale che facciamo su un
concetto arrivando così a definire un concetto con modo specifico.

Filebo
Platone aveva già parlato del bene nella Repubblica definendolo come l'oggetto supremo del
pensiero e ponendolo all'apice della piramide delle ideei. Questa concezione di Platone, nel terzo
periodo, non può essere sostenuta dato che il filosofo ha capito che il mondo dell'essere include
anche la soggettività e quindi deve rivedere il concetto di bene secondo questa soggettività. Il
bene, secondo Platone, è la forma di vita che ci caratterizza come esseri umani. Esseri che
vivono tra la ricerca del piacere e l'esercizio della ragione. Ed è importante che ci sia un giusto
equilibrio tra piacere e intelletto. Piacere che è illimitato se non fosse che l'intelletto dà al piacere
un limite. Non tutti i piaceri sono però ammessi secondo Platone. possono essere ammessi solo
quei piaceri puri ossia quei piaceri che consentono di contemplare le idee e non soltanto di
soddisfare un bisogno. Esiste una tavola dei valori secondo il filosofo: al primo posto c'è l'ordine,
la misura, il giusto mezzo; al secondo posto c'è ciò che è bello, proporzionato e compiuto; al
terzo posto troviamo l'intelligenza, al quarto la scienza e l'opinione e al quinto i piaceri puri.

Timeo
La prima cosa importante da dire sul Timeo è che questo è stato, uno degli scritti che ha influito
maggiormente il pensiero filosofico successivo a Platone. Questo perché il filosofo ci fornisce la
sua visione cosmologica cercando di risolvere il problema dell'origine del mondo. Per Platone
esistono le idee e le cose. Le idee sono pura essenza e vivono nel mondo intelligibile chiamato
iperuranio. Le cose che sono invece una copia delle idee nel mondo sensibile. Esiste però una
domanda a cui il filosofo cerca di rispondere: esiste un contatto tra le idee e le cose? E come
avviene questo contatto? Esiste un mediatore tra le idee e le cose?

Secondo il Platone del terzo periodo esiste un mediatore tra le idee e le cose e questo è
identificato con il demiurgo. È un personaggio divino, che è dotato di volontà e intelligenza e che
funge da mediatore tra il mondo delle idee e il mondo delle cose. Per spiegare ciò bisogna
ritornare all'origine del mondo che, secondo Platone, è avvenuta passando dal caos senza
forma. Ecco che si inserisce il ruolo cruciale del demiurgo che, amando il bene che abbiamo
detto essere l'idea delle idee, decise di ordinare il mondo delle cose e toglierlo dal caos. Così
decise di ordinare le cose a immagine e somiglianza delle idee trasmettendo così una parte della
perfezione delle idee alle cose e generando anche il tempo che è considerato “immagine mobile
dell'eternità".

L'unico neo in tutta questa bontà del demiurgo è dato dalla materia che è ribelle e a cui Platone
attribuisce la colpa di tutti gli errori e i mali del mondo. Quindi, tutto ciò che è positivo è attribuito
al demiurgo mentre tutto ciò che c'è di negativo è attribuito alla materia che si ribella e che
genera errori e imperfezioni.

All'interno del Timeo, Platone si avvicina anche ai pitagorici sostenendo che la matematica sta
alla base dell'origine del mondo perché le cose sono costituite da numeri. Per interpretare il
mondo è quindi necessario usare la matematica, concezione che poi fu ulteriormente ripresa da
alcuni filosofi e scienziati posteriori a Platone.

Veniamo ora alla concezione di arte che, abbiamo già visto, è stata inizialmente rigettata da
Platone perché allontanavano le persone dal mondo delle idee. Nel Timeo Platone però fa un
timido passo indietro rispetto alla sua rigida concezione dell'arte rivalutando teatro e poesia
considerati una mimesi delle cose reali ossia una tecnica produttiva della realtà. Ma la cosa più
interessante è la visione del cosmo come una vera e propria opera d'arte che viene ordinata dal
demiurgo sulla base di principi matematici. E infine, vediamo la concezione di storia secondo
Platone che è considerata come un modo per regredire ad un'età primordiale che era felice
proprio perché era precedente la fondazione di una civiltà che porta, per sua natura alla
corruzione e infelicita.

Le leggi

Il Politico e le Leggi furono pubblicate dopo la morte del filosofo da Filippo di Opunte.

In entrambi questi scritti Platone rimodula il suo pensiero politico che aveva già affrontato
ampiamente nella Repubblica. Secondo Platone, l'arte fondamentale dei governanti deve essere
l'arte della misura ossia la capacità di essere equilibrati nelle scelte. Per poter sviluppare questa
arte, secondo il filosofo, sarebbe meglio che i governanti non facessero leggi perché le leggi
sono poste in modo generale mentre ci sarebbe bisogno di una legge per ogni situazione
specifica per poter essere ancora più precisi e virtuosi. Ciò ovviamente non è possibile per cui il
filosofo ritara il suo pensiero considerando la natura umana di cui nella vecchiaia era sempre più
consapevole. Le leggi sono essenziali per il funzionamento di uno Stato ideale. Il punto focale
allora è quello di trovare le leggi giuste per uno stato perfetto e virtuoso.

Inoltre, la legge deve avere anche una funzione educativa fondamentale che è quella di
indirizzare il comportamento dei cittadini perché questo sia virtuoso. E la funzione educativa
primaria nello Stato ideale di Platone la ricopre la religione. Tant'è che Platone condanna gli atei
sostenendo che questi debbano essere mandati in esilio o addirittura condannati a morte perché
non riconoscono la divinità. La religione che sostiene Platone non è però la religione tradizionale
che intendiamo noi ma una religione cosmica che vede nell'ordine matematico del cosmo la
manifestazione concreta della divinità.

Ma veniamo alla differenza tra la Repubblica e l'ultimo scritto di Platone, Le Leggi:

- Innanzitutto, Platone nella vecchiaia si rende conto che lo Stato ideale delineato nella
Repubblica deve essere rimodulato sulla base della natura umana che è corrotta e poco virtuosa

- In primis, nelle Leggi, Platone non distingue più nettamente le tre classi sociali (governanti,
guerrieri e produttori)

- I filosofi non sono più identificati come reggitori

- Il governo proposto si trova tra la democrazia e l'aristocrazia

- Inoltre, Platone rivede anche la comunanza delle moglie rivalorizzando il matrimonio


monogamico e prevede una multa per i celibi che abbiano superato i 35 anni.

- E anche la comunanza dei beni viene rivista con la reintroduzione, seppur controllata dallo
Stato.

Nonostante queste differenze, l'idea platonica porta con sé comunque un'ideale comunista con
una forma di statalismo che non dà grossa libertà alla singola persona anche perché
l'educazione è sempre gestita e controllata dallo Stato.

Dottrine non scritte

Le categorie generali assumono un ruolo fondamentale divenendo principi da cui le idee


scaturiscono. Si apprende che platone avrebbe sviluppato la ricerca di questi principi evitando di
mettere per i scritto e pervenendo all’elaborazione di una prospettiva metafisica che andava al di
la delle dottrine contenute nei dialoghi. Il carattere elevato avrebbe indotto platone a riservar
queste teorie agli allievi comunicandole oralmente. Alla base dell’intero universi erano
individuabili due principi fondamentali: l’uno che costituiva l’elemento formale e il limite dell
essere e la dia de di grande e piccolo che costuiva l’elemento illimitato e materiale. Sorgeva una
teoria che alludeva alla compresenza di una materia passiva e di un elemento attivo unitario che
a quella materia conferiva la forma per creare gli oggetti.

Nelle dottrine non scritte le idee non sono entità primitive ma derivate. Esse hanno modificato la
loro natura divenendo numeri. Le idee sono indentificate con idee numero dotate di valore
universale .

Da tali idee discendono le espressioni aritmetiche e geometriche che giovano un ruolo di


mediazione tra le forme e gli oggetti sensibili.

Contesto storico e culturale

Il contesto storico in cui si colloca la riflessione di Aristotele è quello dei rapidi cambiamenti che
nel corso del IV secolo a.C., soprattutto a causa della pressione della potenza macedone, si
determinano all'interno delle póleis greche, conducendo in primo luogo Atene (reduce della
sconfitta nella guerra del Peloponneso) a un periodo di profonda crisi. Da un punto di vista
culturale tutto ciò si traduce, da un lato, nel venir meno della passione per la politica, poiché i
cittadini greci si ritrova no inglobati in un organismo statale più vasto e non più coinvolti nella
gestione della vita pub blica, e, dall'altro, nella maturazione di molte plici interessi diversi,
soprattutto scientifici, gnoseologici ed etici.

Il distacco da Platone

Allievo di Platone, Aristotele frequenta per vent'anni l'Accademia, condivide la concezione della
filosofia come forma suprema di vita e di conoscenza. Dopo la morte del maestro, abbandona la
scuola per sviluppare il proprio pensiero in modo autonomo. Iniziano così a delinearsi profonde
differenze tra i due pensatori:

• mentre per Platone la filosofia doveva servire come preparazione alla vita politica, per Ari
stotele deve essere intesa come una forma di sapere disinteressato e "libero", cioè fine a se
stesso;

mentre Platone guardava il mondo in un'otti ca verticale e gerarchica - distinguendo tra realtà
"vere" "apparenti", e tra conoscenze "superiori" e "inferiori" -, Aristotele elabora una prospettiva
orizzontale e unitaria, che finisce per conferire pari dignità ontologica a tutte le realtà e pari valore
gnoseologico alle diverse scienze;

• mentre Platone privilegiava lo studio della matematica, subordinandole quello della natura,
Aristotele dimostra invece scarso interesse per le matematiche e notevole curiosità per il
naturale.

La filosofia come scienza prima

La filosofia per Aristotele si differenzia da tutte le altre scienze perché, invece di prendere in
considerazione uno o più aspetti particolari del la realtà, studia la realtà in generale. Essa si pro
pone pertanto come "scienza prima", poiché indaga ciò di cui gli oggetti di tutte le altre scienze
partecipano, ovvero l'essere, e ricerca i principi condivisi da tutte le scienze. Così intesa, la
filosofia sarà anche il comune fondamento di un'enciclopedia delle scienze, ovvero
dell'organizzazione sistematica di una molteplicità di discipline distinte e autonome, ma di pari
dignità gnoseologica.

Il quadro delle scienze

Secondo Aristotele, esistono tre gruppi di scienze: le scienze teoretiche, le scienze pratiche e le
scienze poietiche o produttive.

Scienze teoretiche: sono scienze che studiano ciò che è necessario, ciò che non può essere in
altro modo diverso da come è. L'obiettivo è quello di conoscere la realtà senza interesse alcuno
e come metodo hanno il metodo dimostrativo che consiste nel dimostrare quella specifica tesi
partendo da delle ipotesi. Le scienze teoretiche sono la metafisica, la fisica e la matematica.
Scienze pratiche e scienze poietiche (da poiein che significa fare): queste due hanno lo stesso
oggetto di studi, lo stesso metodo ma obiettivi distinti. Entrambe hanno come oggetto di studio il
possibile, tutto ciò che può essere diverso da quello che è. Il metodo non è dimostrativo ed è
valido "per lo più". Le scienze pratiche (l'etica e la politica), hanno come scopo l'orientamento
dell'agire ossia come si orienta il nostro modo di operare nel mondo. E l'etica e la politica sono
due bussole che ci orientano nel modo di agire quotidiano.

Le scienze poietiche, invece, sono le arti belle e le tecniche che hanno come scopo la
produzione di opere o la manipolazione degli oggetti.

Metafisica

Aristotele definisce ben quattro definizioni di metafisica:

1. innanzitutto la metafisica "studia le cause e i principi primi";

2. inoltre, la metafisica "studia l'essere in quanto essere";

3. poi, la metafisica "studia la sostanza";

4. ed, infine, la metafisica "studia Dio e la sostanza immobile".

Aristotele si concentrò maggiormente sulla metafisica che studia l'essere quanto essere. La
metafisica va oltre il particolare ma guarda la realtà nel suo insieme. La realtà è fatta di tanti pezzi
che sono le varie scienze e in ogni pezzo c’è scritto la parola "essere". C'è il pezzo della
matematica che è una scienza teoretica e che ha come oggetto di studio la quantità, poi c'è il
pezzo della fisica che studia invece il movimento. La metafisica non studia il singolo pezzo
dell'essere ma studia l'essere totale, comune a tutti gli altri esseri. il puzzle completo è
essenziale per dare una ragione d'essere a tutti i pezzi. È per questo che la metafisica è
denominata "filosofia prima". l'essere ingloba al suo interno tutto quanto e anche cose che non
hanno nulla in comune come un albero e un uomo. Aristotele si discosta molto dagli altri filosofi
perché è stato il primo a ritenere che ci sia una scienza che studia l'essere e che conferisce alla
filosofia la massima universalità rispetto all'indagine: la filosofia è alla base di ogni ricerca
dell'essere.

Essere e sostanza

l'essere che non è per Aristotele univoco. Per univoco si intende che l'essere è uguale.

"Questa matita non è gialla”. Se l'essere fosse univoco, io negherei non solo che la matita è
gialla ma negherei anche l'esistenza della matita.

Parmenide che ritiene che l'essere sia univoco. Per Aristotele questa posizione è assurda.

l'essere non è equivoco perchè non è interpretabile ogni volta in modo diverso a seconda del
contesto. nell'interpretazione dell'essere come qualcosa di univoco tu hai un solo pezzo
attraverso cui interpretare il mondo, nella visione equivoca abbiamo infiniti pezzi e noi esseri
umani non riusciremmo più a comunicare perché le interpretazioni dell'essere sono infinite.
Quindi da un lato abbiamo una visione restrittiva, dall'altro una visione troppo dispersiva.

l'essere è polivoco perché "si dice in molti sensi”. Aristotele vuole trovare un compromesso tra le
due visioni: l'essere deve essere concepito in parte in modo univoco e in parte in modo diverso.

esempio con tre frasi. "La mela è un alimento sano""Luca è sano" "Il colorito di Luca è sano"

Nella prima frase il verbo essere intendo un rapporto tra la mela e la salute correlandole insieme
e dicendo che la mela ha un effetto benefico. Nella seconda frase il verbo essere è un rapporto di
possesso perché si intende che Luca ha una buona salute. Infine, nella terza frase, il verbo
essere indica una proprietà di Luca attraverso una sua caratteristica fisica. In queste tre frasi
abbiamo tre significati diversi del verbo essere.

Le categorie Gli aspetti supremi dell'essere sono 4: 1. l'essere come accidente 2. l'essere come
categorie (o "essere per sé") 3. l'essere come vero 4. l'essere come atto e potenza.

Le categorie dell'essere sono quelle caratteristiche fondamentali dell'essere che lo rendono tale.
Le categorie sono 8: 1. la sostanza 2. la qualità 3. la quantità 4. la relazione 5. l'agire 6. il subire
7. il dove ) 8. il quando In aggiunta a queste otto categorie Aristotele ne aggiunge altre due che
sono l'avere e il giacere. L'avere indica uno stato, il giacere indica lo stare in una certa situazione.

Dobbiamo a questo punto distinguere due punti di vista: quello ontologico e quello logico.

Dal punto di vista ontologico, le categorie sono quelle caratteristiche fondamentali e supreme
dell'essere. Fondamentali perché non possono essere altrimenti. E supreme perché sono il
massimo livello. Dal punto di vista logico, le categorie sono viste come i modi in cui l'essere si
manifesta nelle cose. La sostanza è la categoria suprema perché tutte le altre categorie la
presuppongono perché la qualità è sempre qualità di una sostanza. La sostanza è il punto di
riferimento d le altre categorie.
Non contraddizione L'obiettivo fondamentale del principio di non-contraddizione è che la
filosofia riduca tutti i molteplici significati dell'essere ad un unico significato. Il principio di non-
contraddizione Aristotele spiega con due frasi. Iniziamo con la prima formula che è: è impossibile
che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo
rispetto: facciamo esempio con le frasi: "l'uomo è un animale sociale" e "l'uomo non è un
animale sociale". Una frase esclude l'altra perché la seconda è la negazione della prima. Quindi,
se una delle due frasi è vera, necessariamente sarà falsa l'altra. questa formula spiega dal punto
di vist logico che è impossibile affermare e al tempo stesso negare lo stesso predicato.

Veniamo alla seconda formula: "è impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia".
(Metafisica, IV, 4). Questa formula non guarda più il livello logico ma quello ontologico:
riprendendo l'esempio di prima se diciamo che l'uomo è un animale sociale, dobbiamo affermare
che ogni uomo è un animale sociale. Perché, se l'uomo è un animale sociale allora la socialità è
una sostanza dell'uomo, fa parte del suo essere.

Secondo Aristotele, non tutto poteva essere dimostrato: può essere dimostrato soltanto ciò che
non necessita un'altra dimostrazione. Un esempio sono tutti i teoremi che sono dei postulati che
non hanno più bisogno di dimostrazione perché sono presi per tali.

il principio di non-contraddizione è così e lo spiega attraverso una dimostrazione confutatoria


che non dimostra direttamente il principio ma che nega invece che il principio di non
contraddizione possa essere negato.

Arriviamo ai passaggi della dimostrazione:

1. prendiamo colui che nega il principio. Dicendo che sei negatore e specificando, che la tua
posizione è quella di negare il principio e non di affermarlo, tu comunque stai rispettando il
principio di non-contraddizione perché tu sei coerente con la posizione che hai preso.

2. supponiamo adesso che tu decida di contraddirti. Per contraddirti, devi sostenere il principio e
quindi cesseresti di rimando di essere un negatore.

3. supponiamo, che tu non riesca ad esprimere a parole il fatto che neghi il principio: sarà il tuo
comportamento a tradirti e a dimostrare le tue intenzioni. E quindi, il principio di non-
contraddizione verrebbe ulteriormente dimostrato.

Sostanza la sostanza siamo noi, è l'uomo, è il singolo individuo che è sia un soggetto reale che
un soggetto logico. Per delineare meglio l'individualità della sostanza, Aristotele utilizza il termine
tòde ti, ossia "questo qui". Tutte le cose del mondo che hanno una propria autonomia e sono
dotati di caratteristiche categoriali sono sostanze: forma quello che viene chiamato “sinolo”,
un'unione di due elementi: la forma da un lato e la materia, dall'altro.

Per forma il filosofo in intende la forma esterna delle cose, di come appaiono in apparenza. Per
noi uomini, la forma è la nostra specie.

Per materia, il filosofo ciò di cui una cosa è fatta, il suo quid. Se io ho un tavolo di legno, la
materia del tavolo è il legno. Da un lato, quindi, abbiamo la forma che è un elemento attivo del
sinolo, dall'altro, abbiamo la materia che è un elemento passivo. La forma è l'essenza della
sostanza e Aristotele chiama sostanza non solo il sinolo (l'unione tra forma e materia), ma anche
solo la forma stessa perché è l'essenza della sostanza.

L’accidente è una qualità che una cosa può avere o non avere. A prescindere dal fatto che quella
cosa abbia o non abbia quella qualità, essa non cessa di essere: tu non puoi cessare di essere
uomo ma puoi avere delle qualità che puoi avere o non avere. l'accidente è una caratteristica
casuale della sostanza ed è quindi da distinguere con la forma che è, l'essenza della sostanza.

Aristotele parla anche di accidente non-casuale (eterno) che è una qualità della cosa che, anche
se non appartiene alla sostanza di una cosa, è strettamente correlata. Prendiamo la definizione di
triangolo. Il triangolo è un poligono con tre lati e tre angoli. Il fatto che un triangolo abbia un
angolo retto non fa parte della definizione di triangolo ma è un accidente non-casuale perché
alcuni tipi di triangolo hanno un angolo retto.

Le 4 cause
la filosofia nasce dal meravigliarsi delle cose sia in senso positivo sia in senso negativo. Qnche la
conoscenza e la scienza nascono dalla meraviglia e si occupano di delineare quelle che sono le
cause delle cose. Aristotele si rese conto che ci sono cause diverse e il filosofo delineò quattro
cause: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente e la causa finale. La causa
materiale si occupa della materia che è ciò di cui una cosa è costituita. La causa efficiente è la
causa che può dare inizio o ad un cambiamento o alla quiete: è la causa che origina qualcosa. La
causa efficiente di un figlio sono i genitori. La causa finale è l'obiettivo di una cosa. Prendendo
un bambino, la causa finale del bambino è quello di diventare adulto. Dobbiamo distinguere tra
processi naturali e processi artificiali. Nei processi naturali, come la crescita di una pianta, la
causa formale, efficiente e finale sono una cosa sola. La pianta è forma, causa efficiente e scopo
della trasformazione del seme perché la pianta origina dal seme e ha come scopo quello di
trasformarsi e prendere la forma di pianta.

Nei processi artificiali, le quattro cause possono essere distinte come nel caso di una statua che
è la forma, fatta da un artista (che è causa efficiente) con il bronzo (materia), per uno scopo (che
è la causa finale). Le quattro cause, sono specificazioni della sostanza che abbiamo detto essere
l'essenza dell'essere.

Il divenire

Eraclito era colui che riteneva il divenire anche perché tutto scorre. Parmenide sosteneva che il
divenire fosse una cosa impensabile perché è pensabile solo ciò che è mentre ciò che non è non
può essere pensato. E siccome il divenire rappresenta il futuro esso non può essere pensato.

Aristotele sostiene che il divenire non implica un passaggio dal non essere all'essere. Il divenire è
un passaggio da un certo tipo di essere ad un altro. Per Aristotele esiste un'unica realtà che è
l'essere e il divenire è una modalità dell'essere.

Per Aristotele esistono quattro tipi di divenire, anche chiamati tipi di movimento:

1. Il movimento locale consiste nello spostamento di un corpo da un posto A ad un posto B

2. Movimenti quantitativo consiste nellalterzazione nella qualità di un qualcosa

3.Il movimento quantitativo, consiste nell'aumento o nella diminuzione di una certa quantità.

4. in ultimo abbiamo il movimento sostanziale che Aristotele dice essere il movimento della
"generazione e corruzione" ossia del divenire nei suoi due massimi estremi. Rispetto agli altri tre
movimenti che non mutano la sostanza il movimento sostanziale va ad intaccare la sostanza
perché la sostanza nasce o muore. Per Aristotele non proveniamo dal non-essere né tanto meno
andiamo nel non-essere. Aristotele conia due nuovi concetti: quello di potenza e quello dell'atto.

La potenza è quella possibilità che la materia prenda forma. L'atto è la realizzazione di questa
potenza. Prendiamo un pulcino. L'uovo rappresenta la potenza ossia la possibilità che quella
materia diventi sostanza, ossia il pulcino e il pulcino è l'atto ossia la concretizzazione di questa
potenza. La potenza sta alla materia come l'atto sta alla forma. Il passaggio non è dal non essere
all'essere, ma dalla potenza (che comunque è perché è materia) all'atto (che è la forma).
Aristotele chiama l'atto "entelechìa” che significa "realizzazione" ed è per lui ontologicamente
superiore alla potenza perché ne rappresenta lo scopo.

Dio

Per Aristotele esiste Dio e lo vuole dimostrare attraverso la teoria del movimento. Tutte le cose
del mondo sono movimento e sono mosse da qualcos'altro come un effetto a catena.

Ma non all'infinito perché c'è una primo motore immobile che è fa partire tutto il movimento che
è Dio. Il filosofo attribuisce a Dio diverse caratteristiche,: 1. Dio è atto puro senza potenza. La
potenza è quella possibilità di dare forma alla materia. Dio è senza questa potenza perché se
avesse potenza dovrebbe essere soggetto al divenire, Dio è sempre e comunque. 2. Dio non ha
materia ed è quindi pura forma o sostanza incorporea. 3. Dio non è soggetto al divenire, egli è
eterno ed è la causa di tutti i movimenti. Come fa Dio a muovere le cose del mondo? Aristotele
risponde dicendo che Dio non è la causa efficiente (non dà un impulso) ma è la causa finale ossia
lo scopo. È un po' come quando l'oggetto amato, immobile, determina il movimento dell'amante
che si muove verso l'oggetto: un movimento che spinge il mondo verso Dio. Quindi non è Dio
che forma il mondo, ma è il mondo che, aspirando a Dio, si auto-determina attraverso le varie
forme.

Dio essendo la perfezione pensa alla perfezione ossia pensa a sé stesso e, quindi, Dio è pensiero
di pensiero. Le varie teorizzazioni su Dio rimangono un po' nebulose in Aristotele. Tra le varie
incertezze c'è quella legata al monoteismo o al politeismo perché nella Fisica lui sostiene che Dio
sia il motore del primo cielo ma esistono anche altri cieli e quindi, alla presenza di più di un Dio.
Questa cosa rimane comunqu poco chiara e ci sono due scuole principali di pensiero.

La logica

Aristotele non usò mai questo termine. Egli utilizzò il termine "analitica" per indicare ciò che noi
oggi definiamo logica. La parola logica è probabilmente di derivazione stoica dal pensiero
espresso nei lògoi. Per "analitica", Aristotele intendeva quell'insieme di ragionamenti che
utilizzano le scienze per poter giungere alle proprie tesi.

logica studia le forme del pensiero mentre la metafisica, studia la realtà. Tra queste due c'è un
rapporto necessario ma comunque la metafisica ha la "precedenza".

Queste forme del pensiero si articolano attraverso i cosiddetti "concetti" che sono gli oggetti del
nostro discorso. Questi concetti si inseriscono all'interno di una scala gerarchica in base alla
maggiore o minore universalità e vengono classificati in base al genere e alla specie.

La specie è un concetto che contiene più caratteristiche ma può essere riferito ad un minor
numero di individui. Invece, il genere ha un minor numero di caratteristiche ma può riferirsi a un
maggior numero di individui. Un esempio è il concetto geometrico del quadrilatero che è specie
rispetto a quello del poligono e genere rispetto a quello del quadrato.

Abbiamo quindi, la comprensione e l'estensione. L'estensione è il numero di individui a cui quel


concetto fa riferimento mentre la comprensione è l'insieme delle caratteristiche di un concetto.
Quindi, scendendo dalla scala gerarchica, in alto troviamo il genere e in basso la specie. Se si
percorresse la scala dall'alto verso il basso, vedremmo un graduale aumento della comprensione
e una diminuzione dell'estensione fino ad arrivare al concetto di una specie, denominata da
Aristotele "specie infima" che ha la massima comprensione e la minima estensione possibile.
questo è l'individuo che è la "sostanza prima" che è da distinguere dalle "sostanze seconde". La
sostanza prima è la sostanza nel vero senso della parola ed è l'unica sostanza che esiste
primariamente e che, senza di essa, le sostanze seconde non potrebbero esistere.

Al contrario, percorrendo la scala dal basso verso l'alto, ossia dalla specie al genere, si vede
progressivamente un aumento dell'estensione e una diminuzione della comprensione, fino ad
arrivare ai “generi sommi” che, sono le dieci categorie. Queste categorie, che hanno la massima
estensione e la minima comprensione, sono i modi in cui l'essere si manifesta nelle proposizioni.

Il sillogismo è il ragionamento per eccellenza ossia, "un discorso in cui poste talune cose segue
necessariamente qualcos'altro per il semplice fatto che quelle sono state poste".

Per spiegare al meglio il sillogismo è doveroso fare subito un esempio. Abbiamo tre frasi:

1. ogni animale è mortale 2. ogni uomo è animale 3. ogni uomo è mortale

Questo sillogismo è composto da tre proposizioni: le prime due sono degli antecedenti della
terza che funge da conseguente. La prima è la premessa maggiore "Ogni animale è mortale", la
seconda è la premessa minore "Ogni uomo è animale" e la terza è la conclusione "Ogni uomo è
mortale". Analizziamo ora i singoli termini delle proposizioni, anche detti estremi. Nella prima
proposizione "ogni animale" è il termine medio mentre "è mortale" è il termine o estremo
maggiore. Nella seconda proposizione "ogni uomo" è il termine minore mentre "è animale" è il
termine medio. Nella terza proposizione "ogni uomo" è il termine minore mentre "è mortale" è il
termine maggiore. Il termine medio che è "ogni animale", il termine maggiore che è "è mortale" e
il termine minore che è "ogni uomo". Abbiamo quindi tre termini. Il termine maggiore "è mortale"
ha l'estensione maggiore e appare come predicato nella prima proposizione "ogni animale è
mortale".

Il termine minore "ogni uomo" ha invece l'estensione minore ed è un soggetto nella seconda
proposizione. Il termine medio "ogni animale" ha estensione media e si trova in tutte e due le
premesse, una volta come soggetto e una volta come predicato. Il termine medio è il termine che
consente l'unione del sillogismo stesso perché, da un lato è incluso all'interno del termine
maggiore (mortale) e dall'altro è incluso nel termine minore (uomo). Quindi, la caratteristica del
termine maggiore (mortale) appartiene sia al termine medio che, di conseguenza, al termine
minore.

Aristotele chiamò "algebra del discorso" ossia sostituendo i termini con le tre lettere
dell'alfabeto A, B, e C. Supponiamo quindi che A sia mortale, B è uguale a animale e C è uguale
a uomo. Quindi, "Se A inerisce a ogni B, e se B inerisce a ogni C, allora è necessario che A
inerisca a ogni C". In funzione della posizione che assume nel sillogismo il termine medio
abbiamo diverse tipologie di sillogismo.

1. abbiamo le sub-prae dove il termine medio è soggetto della premessa maggiore e predicato
della minore, come nell'esempio

2. poi abbiamo le prae-prae in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse come in
questo esempio: Nessuna pietra è animale Ogni uomo è animale Nessun uomo è pietra

3. poi abbiamo le sub-sub dove il termine medio è soggetto di entrambe le premesse come in
questo esempio: ogni uomo è ragionevole

Ogni uomo è animale Qualche animale è ragionevole.

La questione si complica ulteriormente perché le premesse possono essere affermative o


negative per la qualità e universali e particolari per la quantità. Quindi ci sono tante combinazioni,
detti anche "modi" che Aristotele calcola il numero di totale di sillogismi che si possono ottenere
ed è pari a 256, anche non tutti questi modi sono concludenti, ossia valido. Secondo Aristotele, il
sillogismo perfetto rimane comunque quello di prima figura ossia il sub-prae.

Il procedimento induttivo parte dal particolare per ricavarne l'universale.

L'induzione non è necessariamente valida e quindi non ha un valore dimostrativo. Questo perché
l'induzione non riesce ad attingere dall'universale ma da quello che Aristotele definisce
"universale per lo più" ossia quella tipologia di universale di cui non si può mai essere certi. Per
essere “perfetta” l'induzione dovrebbe tenere in considerazione tutti i casi possibili.

Il procedimento deduttivo fa l'opposto dell'induzione andando dall'universale al particolare. Un


esempio è la famosa frase "Socrate è mortale" che viene dedotta dalla proposizione "Tutti gli
uomini sono mortali". Essendo Socrate un uomo, si deduce che è mortale. Infatti, prima della
frase "Tutti gli uomini sono mortali", ci deve essere un'altra frase tipo "tutti gli animali sono
mortali" e poi ancora "ogni vivente è mortale", e poi così fino all'infinito. Ad un certo punto, però,
dobbiamo fermarci e trovare una proposizione che assumiamo per vera.

Dialettica e retorica

Per Platone la dialettica è la scienza più alta che il filosofo utilizza per mettere in discussione i
principi di tutte le altre scienze. Per Aristotele la dialettica non solo non è la scienza più alta ma è
anche un ragionamento debole, non dimostrativo: al contrario delle scienze che dimostrano dei
principi che sono necessari, la dialettica viene usata per principi che sono solo probabili.

questi principi sono "accettabili a tutti, oppure alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti
ed illustri". La dialettica è un ragionamento debole perché deboli sono le premesse dalle quali si
parte per giungere ad una conclusione. Queste premesse sono deboli perché sono solo probabili
e non certe. A cosa possono servire se il loro ragionamento è debole? Secondo Aristotele, i
ragionamenti dialettici servono per fare esercizio sul ragionamento, oltre che per i discorsi
politici.

La retorica appartiene al mondo del probabile come la dialettica perché non scientifica. La
retorica, a differenza della dialettica, tratta anche argomenti al di fuori del razionale. Molti dei
discorsi vanno al di fuori dell'ambito razionale occupandosi anche di sentimenti visto che la
retorica non può non tenere conto degli uditori ossia di coloro che ascoltano il discorso e che
sono quelli che vanno convinti. La retorica viene utilizzata per produrre discorsi persuasivi in
grado di convincere di una determinata cosa e per questo motivo il discorso deve essere
necessariamente ritarato sulla base di chi lo ascolta. La retorica viene utilizzata prevalentemente
in ambito forense e politico.

Aristotele si trova al centro tra i sofisti che, usare la retorica come persuasione pura, e Platone
che invece voleva usare la retorica avulsa dall'inganno e dalle parole vuote. Aristotele vuole
abbandonare come Platone le parole vuote e ingannatrici ma pone l'accento sulla natura debole
dei discorsi retorici, non sono scientifici e stanno nell'ambito del probabile.

La logica delle preposizioni

per aristotele rientrano nella logica solo gli enunciati apofantici ossia quelle asserzioni
dichiarative; non rientrano nella logica le esclamazioni i comandi e le preghiere: questo perché gli
annunciati sono gli unici che possono essere dichiarati o veri o falsi mentre gli altri no. questi
enunciati apofantici so identificano con le proposizioni che sono degli atti mentali che ci
consentono di unire o separare determinati concetti attraverso la struttura soggetto predicato.

aristotele divide le proposizioni: dal punto di vista della qualità le suddivide in affermative o
negative; se afferma vuol dire che attribuisco quella cosa a qualcos'altro come ad esempio luca
e pallido, separo quella cosa da qualcos'altro tipo luca non è pallido ho separato luca dall'essere
pallido. dal punto di vista invece della quantità le proposizioni vengono divise in universali e
particolari: universali quando il soggetto è universale ‘tutti gli uomini sono simpatici’; o particolari
quando quell caratteristica non è attribuito tutti ‘alcuni uomini sono simpatici quel’ in aggiunta a
queste tipologie c'è la tipologia singolare che si riferisce ad un soggetto specifico un esempio è
‘luca è simpatico’.

la lettera a indica la proposizione universale affermativa tutti gli uomini sono simpatici questo
perché deriva dalla parola latina adfirm. la parola latina nego ha come prima vocale la e che sta
ad indicare la proposizione universale negativa nessun uomo è simpatico. poi abbiamo la lettera i
che è la seconda vocale della parola aldfirmo: la lettera i si riferisce alla proposizione particolare
affermativa alcuni uomini sono simpatici. In ultimo abbiamo la lettera o che a seconda vocali
della parola nego e indica la proposizione particolare negativa alcuni uomini non sono simpatici.

Vi sono delle frecce che legano all'universale affermativa con l'universale negativa è detta
contraria perché sono quantitativamente identiche perché sono entrambi universali ma
qualitativamente diverse perché una affermativa e l'altra è negativa . stessa cosa vale per le sub
contrarie che sono le due proposizioni particolari affermative e negative. le frecce oblique
vengono chiamate contraddittorie perché in questo sono sia qualitativamente che
quantitativamente

finora abbiamo visto le proposizioni contrarie sub contrari e contraddittorie;

Il loro rapporto di verità e falsità: le proposizioni contrarie non possono essere entrambe vere ma
possono essere entrambe false: le frasi tutti gli uomini sono simpatici e nessun uomo è simpatico
non possono essere entrambe vere ma possono essere entrambe false. proposizioni su contrari
invece possono essere entrambe vere ma non entrambe false: posso dire alcuni uomini sono
simpatici insieme a alcuni uomini non sono simpatici ma non posso dire che entrambe sono
false. le proposizioni contraddittori invece si escludono a vicenda e quindi devono essere
necessariamente una vera è una falsa; infine vediamole subalterne perché sono qualitativamente
uguali ossia o affermativa o negativa ma quantitativamente diverse uno è universale e l'altra e
particolare. in questo caso specifico abbiamo un rapporto logico di dipendenza di una
proposizione particolare con una proposizione universale. l’insieme universale è l’insieme che
ingloba tutto mentre il particolare è un sottoinsieme: se io dico tutti gli uomini sono simpatici è
possibile inserire che alcuni uomini son simpatici.

Aristotele distingue anche il modo in cui viene attribuito un predicato ad un soggetto. ci sono tre
tipologie: l'asserzione ossia a è b; la possibilità ossia a è possibile che sia b; la necessità a è
necessario che sia b.

che cosa è vero e cosa falso: il semplice concetto preso isolatamente quindi senza un predicato
non è né vero e falso; nfatti se io prendo il concetto uomo il concetto simpatico veri o falsi
perché sono svincolati da un contesto: il vero falso nasce soltanto da una proposizione. nascono
i due teoremi fondamentali per aristotele. il primo è che la verità sta nel pensiero o nel discorso e
non nell’essere. il secondo è che la misura della verità è l'essere non il pensiero o il discorso
perché se io prendo il concetto simpatico una cosa non è simpatica perché si dice che è vero
che quella cosa è simpatica; è simpatica perché simpatica. esiste uno stretto legame tra il
pensiero il inguaggio che verbalizza il pensiero e l’essere. il linguaggio è una convenzione perché
costituita da un insieme di parole che sono state scelte dagli individui per veicolare il nostro
pensiero. il linguaggio è convenzionale riferendoci all'insieme delle parole che lo costituiscono
ma non lo è dal punto di vista dalla formazione delle parole nella proposizione.

La fisica come teoria del movimento

La fisica, per Aristotele, è la scienza che studia le sostanze sensibili soggette al mutamento,
ovvero al movimento. Dei quattro tipi di movi mento distinti da Aristotele, quello fondamentale è
la traslazione, per ché ad esso possono essere ricondotti tutti gli altri (sostanziale, qualitativo e
quantitativo). La fisica aristotelica si configura quindi come una teoria del movimento locale, volta
a classifica re le sostanze sensibili a partire proprio dal movimento che le caratterizza.

Il movimento locale, o di traslazione, è di tre specie: • dall'alto verso il basso, cioè verso il centro
delmondo; • dal centro del mondo verso l'alto; • intorno al centro del mondo (movimento
circolare).

Ai primi due tipi di movimento (verso il basso e verso l'alto) sono soggetti i quattro elementi (o
"corpi semplici") che costituiscono tutte le cose sensibili: la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco,
ciascuno dei quali secondo Aristotele ha nell'uni verso un proprio "luogo naturale". Anche i corpi,
quindi, avranno a loro volta un "luogo naturale", determinato dagli elementi che li costituiscono. Il
movimento circolare, invece, è quello che contraddistingue l'etere, cioè l'elemento che
costituisce i corpi celesti. Tale movimento è eterno e unidirezionale.

L’universo

La teoria dei luoghi naturali degli elementi influenza direttamente la cosmologia di Aristotele, per
il quale al centro del mondo sta la Terra e intorno ad essa si trovano, via via, le sfere dell'acqua,
dell'aria e del fuoco ordinate dalla più pesante alla più leggera. Oltre la sfera del fuoco - che
costituisce il confine più esterno del mondo terrestre, caratterizzato da nascita, mutamento e
morte - si trovano le sfere celesti (da quella della Luna fino a quella delle stelle fisse), fatte di
etere e caratterizzate dall'immutabilità e dall'eternità.

Nel suo insieme, l'universo aristotelico è perfetto, finito, unico ed eterno. Inoltre, tutti i movimenti
(o mutamenti) che lo caratterizzano non avvengono per caso o in virtù di una necessità
meccanica: tutto avviene invece in vista di uno scopo. La natura, è organizzata finalisticamente,
ma non si tratta di fini imposti, da un'intelligenza ordinatrice "esterna" al cosmo bensì intrinseci: i
corpi inanima tendono a raggiungere il loro luogo naturale, mentre i corpi animati tendono a rag
giungere il proprio stadio "adulto" e compiuto, cioè la loro "entelechìa". In natura, secondo
Aristotele, non esiste lo spazio vuoto. Lo spazio, infatti, non può essere O pensato come una
realtà a sé stante, indipendente dai corpi che vi si trovano collocati. Il tempo, per Aristotele si
definisce soltanto in rapporto al divenire, poiché in un ipotetico universo composto solo di entità
immutabili la dimensione temporale non esisterebbe: il tempo si configura come la misura del
divenire delle cose ». E poiché ogni misura presuppone un'inteliligenza misurante, l'anima si
rivela quale condizione imprescindibile del tempo.

La psicologia

La psicologia, per Aristotele, è quella parte del la fisica che studia la psyché, cioè l'anima,
concepita come sostanza che "informa" e vivifica un corpo. L'anima è quindi "mortale", nel
senso che si dissolve insieme con il corpo nel quale è "calata". Essa è presente in tutti gli esseri
vegetali e animali, e assolve a tre funzioni:

• la funzione vegetativa che presiede alla nutrizione e alla riproduzione e che caratterizza gli
esseri animati compresi i vegetali

• La funzione sensitiva che preside alla sensibilità e al movimento che caratterizza gli animali

• La funzione intellettiva che presiede alla conoscenza e che caratterizza la specie umana.

La facoltà della sensibilità, in particolare, rap presenta la base di ogni conoscenza. Gli oggetti
sensibili, che costituiscono il mondo, coinci dono del resto con una sensazione in atto (un certo
suono coincide con l'udire quel suono), sebbene, senza la sensazione, tali oggetti esistano
comunque in potenza. Oltre ai cinque sensi, Aristotele identifica un "senso comune" al quale si
devono, da una par te, la coscienza delle diverse sensazioni (il senti re di sentire) e, dall'altra, la
percezione di quelle determinazioni sensibili comuni a più sensi (come la figura, comune alla vista
e al tatto). A un livello più elevato rispetto alla sensibilità si trova l'immaginazione, che consiste
nella capa cità di produrre, evocare o combinare immagini. Grazie all'immaginazione, inoltre, è
possibile formarsi un'immagine generale" di una certa classe di oggetti (ad esempio della classe
dei tavoli, o della classe degli uomini) e questa "rappresentazione schematica" costituisce del
concetto.

Come le forme sensibili sono colte grazie alla sensibilità, così i concetti (forme intelligibili) sono
colti grazie all'intelletto. Aristotele distingue un intelletto passivo, o potenziale, da un intelletto
attivo, o attuale. Il primo "riceve" i dati della sensibilità e dell'immaginazione, dai quali, mediante
un processo di astrazione, ricava i concetti (gli universali). Perché questo sia possibile, tuttavia, è
necessario che "qualcosa" possieda già in atto quei concetti (universali) che nell'intel letto
potenziale sono solo in potenza: questo "qualcosa" è appunto l'intelletto attivo, sulla cui natura
(umana o divina, unita al corpo individuale o separata da esso) Aristotele non si sofferma più di
tanto.

Etica

Convinto che le azioni umane siano sempre volte a un fine che appare buon, Aristotele identifica
il fine che orienta il comportamento con il bene. Tra i beni perseguiti dall'uomo, ne esiste uno dal
quale tutti gli altri dipendono: il bene sommo, che coincide con la felicità, la quale a sua volta
consiste nella virtù tipica dell'uomo, cioè in una vita condotta secondo ragione.

Il compito dell'uomo non è quello di vegetare sopravvivere senza uno scopo. Il compito
dell'uomo è quello di vivere secondo ragione, di usare la ragione e l'intelletto che sono la
massima espressione dell'essere umano e che ci contraddistingue: l'uomo potrà essere felice
solo se utilizza la ragione. Quindi la ricerca della felicità è una ricerca sulla virtù.

Per Aristotele, i beni esteriori come la ricchezza, la bellezza e la potenza, sono solo degli aiuti per
essere felici ma non determinano la felicità: sono un grande aiuto ma non sono quelli che
decretano la felicità. Secondo il filosofo, la virtù così come la malvagità sono delle scelte che
ogni essere umano fa con la ragione e quindi decide deliberatamente di essere virtuoso oppure
malvagio. Ogni persona ha quindi mezzi per poter scegliere liberamente della propria vita tramite
la ragione. Infatti, Aristotele usa la parola libero per indicare chi ha in sé il principio delle proprie
azioni ed è quindi, come dice lui, "principio di se stesso".

Le virtu Secondo Aristotele esistono due tipi di virtù: le virtù etiche, che sono il dominio della
ragione sugli impulsi irrazionali, e le virtù dianoetiche che consistono nell'esercizio proprio della
ragione.

Le virtù etiche consistono nello scegliere la via di mezzo tra i due estremi che sono, da un lato,
l'eccesso e, dall'altro, il difetto. Facciamo degli esempi: coraggio è il giusto mezzo tra la
temerarietà (che è l'eccesso) e la viltà (che è il difetto). La principale virtù etica è la giustizia a cui
Aristotele dà molta importanzaf visto che gli dedica un libro intero. Perché l'uomo giusto, ossia
colui che rispetta tutte le leggi e le norme dello stato, è un uomo virtuoso. Secondo il filosofo
esistono due tipi di giustizia: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa. La giustizia
distributiva, distribuisce gli onori, i beni e il denaro a seconda dei meriti di ognuno. La giustizia
commutativa si occupa dei contratti che possono essere volontari come nel caso di un contratto
di vendita o involontari come nel caso di un furto o di un omicidio.

Veniamo ora alle virtù dianoetiche che sono appunto l'espressione della nostra ragione e sono,
l'arte, la saggezza, l'intelligenza, la scienza e la sapienza. L'arte è la capacità di produrre oggetti
attraverso il nostro intelletto. La saggezza invece è la capacità di dirigere il nostro
comportamento attraverso la ragione che ci guida nelle scelte. L'intelligenza è la capacità di
cogliere i principi primi di tutte le scienze. La scienza è la capacità di dimostrare le cose del
mondo e gli eventi che avvengono. E infine abbiamo la sapienza (grado più alto della scienza) e
che è la capacità di conoscere i principi e le dimostrazioni e di studiare le realtà più alte e
sublimi:i rispetto alla saggezza che riguarda le cose del mondo, la sapienza guarda più in alto,
verso realtà più alte e universali. In questo c'è un distacco netto con Platone che riteneva che
saggezza e sapienza coincidessero. È proprio nella sapienza che risiede la felicità più alta.

Amicizia è una virtù ed è fondamentale per gli esseri umani tant'è che il filosofo dice che "senza
amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni". L'amicizia è quindi
indispensabile per l'uomo, è necessaria per dare un senso alla vita ma è anche una cosa bella.

Aristotele distingue tre tipologie di amicizia. L'amicizia fondata sull'utile, l'amicizia fondata sul
piacere e l'amicizia fondata sul bene. L'amicizia di utilità è un'amicizia di interesse. Di solito si
dice che c'è utilità nell'essere amici. E questo tipo di amicizia è un'amicizia poco salda una volta
che l'interesse svanisce. Secondo Aristotele, questo tipo di amicizia è delle persone anziane che
hanno bisogno di amicizie per sopravvivere mentre, la seconda, è più tipica dei giovani ma anche
in questo caso può rompersi facilmente. In questo caso c'è un piacere condiviso che può
improvvisamente svanire con l'età: condividi dei piaceri che possono essere uno sport, un'attività
ludica, un hobby, una passione. magari, tra qualche anno, lo sport che ora pratichi non lo farai
più e magari molte di quelle amicizie che hai intessuto in quel contesto andranno perse. In
aggiunta a questo i giovani sono anche spinti dalle amicizie amorose per cui, come dice
Aristotele "amano e cessano di amare con rapidità, mutando più volte nel medesimo giorno".
Invece, l'amicizia di virtù è un'amicizia che dura nel tempo, che è stabile perché è fondata sul
bene reciproco ed è un'amicizia che esiste tra persone buone che amano gli altri: questa amicizia
è rara anche perché pochi sono i buoni ossia che amano gli altri a prescindere da un secondo
fine o da una passione; si costruisce con il tempo, Ci sono delle condizioni per la creazione di
un'amicizia:

1. in primis le persone devono essere uguali. Per uguali si intende della stessa classe sociale o
comunque allo stesso livello.

2. poi Aristotele ci dice che è difficile che un uomo burbero e scontroso faccia amicizia perché è
la natura stessa che manifesta repulsione.

"è senz'altro bene non cercare di avere il maggior numero possibile di amici, ma tanti quanti
sono sufficienti a vivere in intimità, giacché tutti ammettono che non è neppure possibile essere
intensamente amico di molti. Per questo motivo non è neppure possibile essere innamorato di
molti: l'amore vuol essere infatti una sorta di eccesso d'amicizia, e questo è verso una sola
persona. Pertanto anche l'essere intensamente amici sarà verso poche persone. Coloro che
hanno molti amici e che si legano intimamente con tutti quelli che capitano, è comunemente
riconosciuto che non sono amici di nessuno".

La politica

La vita sociale e quella politica sono necessarie per l'essere umano che è un essere sociale che
ha bisogno degli altri per poter sopravvivere: un bambino piccolo come potrebbe sopravvivere
da solo. Ma la stessa cosa vale per noi adulti perché abbiamo bisogno di lavorare all'interno di
una società. Ma la politica è necessaria non soltanto perché ci consente la sopravvivenza, ma
anche perché ci consente di essere virtuoso. E quindi, essere felici proprio perché si è virtuosi.
Quindi, la costituzione di uno Stato è necessaria sia alla sopravvivenza sia per la felicità.

Esattamente come il suo maestro Platone, anche Aristotele distingue tre tipi di Stato: la
monarchia (che è il governo di uno solo); l'aristocrazia (che è il governo dei migliori), e la politia
(che è l'attuale democrazia ossia il governo del popolo). Poi, però, ci sono anche delle forme
patologiche che nascono quando l'interesse non è più della collettività: è il caso della tirannide (il
governo di un monarca despota, un tiranno); l'oligarchia (che è il governo dei ricchi); la
democrazia (in questo caso Aristotele intendeva la demagogia ossia un governo che tiene in
conto solo gli interessi dei poveri. Secondo Aristotele, la formula migliore è sicuramente l'attuale
democrazia perché questa dà voce alla classe media. Il filosofo delinea anche le condizioni di un
buon governo che sono:

1. innanzitutto il governo deve provvedere alla prosperità del suo popolo e alla sua felicità.

2. all'interno dello Stato ci deve essere un numero di cittadini adeguato.

3. i cittadini devono poi essere intelligenti e coraggiosi

4. Stato deve essere suddivisido nelle tre classi sociali che aveva già delineato Platone:

5. contrariamente a Platone, però, Aristotele non condivide l'idea della comunanza delle
proprietà e delle donne.

6. un'altra cosa importante è che nello Stato devo comandare gli anziani

7. lo Stato è garante dell'educazione dei cittadini che deve essere uguale per tutti con lo scopo
alla vita virtuosa e pacifica.

Estetica

È bello ciò che adempie al suo scopo, che coincide con la sua forma.mSecondo il filosofo, il
bello avviene quando la materia diventa forma. Per esempio, la bellezza nell'essere umano è il
raggiungimento dell'età adulto. Aristotele delinea delle caratteristiche del bello:

1. il bello non è una somma di elementi ma è un insieme organico e strutturato in modo


armonico. È un intero tante parti, messe insieme in modo armonico.

2. il bello presenta due caratteristiche fondamentali: l'ordine e la misura. L'ordine nel senso che il
bello è costituito da un insieme strutturato e armonico. La misura, invece, indica la distribuzione
armoniosa delle sue parti.

Bisogna però ora fare una distinzione tra il bello artistico e il bello non artistico. In riferimento al
bello non artistico, naturale, Aristotele sottolinea che ci sono delle cose che sono belle sin dal
primo sguardo e altre che in apparenza sembrano disarmoniche o addirittura brutte. In
apparenza perché noi le vediamo così perché non stiamo usando l'intelletto ma solo i nostri
sensi. Se usassimo la ragione allora riusciremo a scoprire la finalità di quella cosa e quindi la
bellezza.

Per quanto riguarda il bello artistico, Aristotele sostiene che l'arte sia un'imitazione di qualcosa
attraverso un mezzo. Aristotele non vuole però svilire l'importanza dell'arte perché rappresenta
l'essenza delle cose e quindi non è soltanto apparenza ma è un modo per conoscere la realtà. Il
filosofo sottolinea l'importanza della tragedia.

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