Sei sulla pagina 1di 19

1

ISTITUTO SUPERIORE UNIVERSITARIO

DI SCIENZE PSICOPEDAGOGICHE E SOCIALI

“PROGETTO UOMO”

Aggregato alla Facoltà di Scienze dell’Educazione

dell’Università Pontificia Salesiana

Corso di Laurea in Educatore Professionale

Riqualifica

Istituzioni di Storia della Filosofia

“Pensiero e attività di Aldo Capitini”

Valeria Gianasso

Matricola n. 240EPR21

A.A. 2021/2022
2

Tra i pensatori di cui tratta il testo di Luciano Dottarelli, Maneggiare assoluti.


Immanuel Kant, Primo Levi e altri maestri, mi sono soffermata in particolare su
Aldo Capitini - a mio parere una delle più interessanti figure italiane di intellettuale
ma anche di politico, nel senso etimologico del termine, cioè persona che agisce
per il bene collettivo - del XX secolo.

Ciò che mi ha colpito, nell’opera di Capitini, è l’originalità della proposta, unica


nel panorama politico e filosofico italiano, unita all’impegno militante per la
realizzazione pratica di una nuova società, fondata sui principi di uguaglianza,
partecipazione, nonviolenza.

Il contesto

Per comprendere la genesi del pensiero capitiniano ho cercato di ricostruire il


contesto storico e politico in cui le sue idee prendono forma.

Tra le due guerre il pensiero filosofico in Italia era dominato da Giovanni Gentile
e Benedetto Croce, inizialmente concordi nella battaglia contro il Positivismo, poi
schierati su sponde opposte rispetto al Fascismo, il che li portò in seguito al
distacco e all’elaborazione di un corpus filosofico per certi versi antitetico.

Gentile aderì al Fascismo dal 1923, fu ministro dell’Educazione nazionale e


fautore di una vasta riforma della scuola.

Dopo la caduta del Fascismo, aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu ucciso
da un gruppo partigiano nel 1944.

Nel suo pensiero lo Stato rappresenta il momento supremo di unificazione della


società, in cui l’individuo si realizza. Nello Stato la volontà particolare diventa
universale, assumendo il carattere dell’”eticità”. Lo Stato è garante della vita e
della libertà dei cittadini.

Alla luce di questa dottrina si comprende come il pensiero politico gentiliano si


sia saldato con il Fascismo, fino a diventarne il fondamento etico filosofico.

Per Benedetto Croce invece non si può identificare lo Stato con l’Etica, essendo
questa appartenente alla sfera dell’universale - mentre lo Stato è un fenomeno
storico.
3

L’Etica non potrà mai integralmente risolversi in un determinato istituto inserito in


un momento storico, giacché lo Stato non è nient’altro che un processo d'azioni
utili di un gruppo d'individui.

Fino all’assassinio di Matteotti (1924), Croce appoggiò il Fascismo, partendo da


posizioni liberali, in quanto lo considerava “il male minore”, confidando che sulla
natura eversiva sarebbe prevalso l’”amore per la patria italiana” e il “giusto
convincimento che lo Stato senza autorità non è uno Stato”. Credeva nella
capacità di Mussolini di incarnare lo spirito del Risorgimento e di portare l’Italia
alla restaurazione di un sistema liberale.

La soppressione della libertà di stampa, la creazione del Tribunale Speciale e


l’assunzione, da parte di Mussolini, della responsabilità della morte di Matteotti,
segnano il definitivo passaggio di Croce, dalle precedenti posizioni
moderatamente favorevoli, ad una chiara opposizione al Fascismo.

Nel 1925, sui principali quotidiani venne pubblicato il Manifesto degli intellettuali
fascisti, redatto da Gentile e firmato da 250 esponenti della vita culturale del
momento, tra i quali D’Annunzio, Marinetti, Pirandello, Malaparte.

Croce redasse una replica, il cosiddetto Manifesto degli intellettuali antifascisti, a


cui aderirono scrittori e pensatori quali Cassola, Giovanni Amendola, Luigi
Einaudi, Calamandrei e che fu pubblicata il 1° maggio dello stesso anno.

Da questo momento l’opposizione di Croce si farà sempre più marcata, passando


per la critica del Concordato Stato-Chiesa del 1929, la condanna dell’alleanza
con la Germania hitleriana e l’opposizione alle leggi razziali, che gli valse
l’estromissione da quasi tutte le accademie italiane.

In questa polarizzazione Croce-Gentile si distinguono diversi intellettuali che si si


oppongono al regime fascista con posizioni articolate, ma non assimilabili ai due
filosofi.

Primo fra tutti è Antonio Gramsci, che fu tra i fondatori del Partito Comunista
d’Italia nel 1921 e dirigente internazionale del movimento operaio.

La sua elaborazione, prima dell’arresto nel 1926 e successivamente durante gli


anni del carcere, è di fondamentale importanza per la storia del pensiero politico.
Fu proprio il timore di ciò che Gramsci poteva rappresentare, se avesse potuto
liberamente diffondere le sue idee e lottare per esse, a portare alla sua condanna
nel 1928. Famose sono le parole pronunciate dal pubblico ministero del Tribunale
speciale per la difesa dello Stato, durante il processo celebratosi nel 1928: “per
vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
4

In questo clima sociale e politico si situa la figura di Aldo Capitini.

Vita e opere

Capitini nacque nel 1899 a Perugia, città a cui sarà legato e in cui trascorrerà
gran parte della vita. La sua famiglia era di origini modeste.

Non partecipò alla Prima guerra mondiale, in quanto ritenuto inabile al servizio
militare, per motivi di salute.

Durante la fanciullezza studiò come autodidatta e si dedicò soprattutto ad


argomenti di ambito letterario e filosofico. In questo periodo incontrò il pensiero
di Francesco d’Assisi e di Gandhi e ne venne profondamente influenzato.

Nel 1924 vinse una borsa di studio per la Scuola Normale di Pisa, dove frequentò
la classe di Lettere e Filosofia.

In questi anni Capitini espresse alcune delle idee che svilupperà nel corso di tutta
la sua vita: la nonviolenza, “un teismo razionale di tipo spiccatamente etico
e kantiano” 1 e la scelta vegetariana.

Insieme all’amico Claudio Baglietto promosse un dibattito fra gli studenti della
Scuola, intorno ai temi dell’antifascismo e della pratica nonviolenta. I due amici
scrissero testi di riflessione su argomenti religiosi, filosofici e politici e li diffusero
nella Scuola, discutendoli in riunioni serali con gli altri studenti.

La firma dei Patti Lateranensi del 1929 portò il giovane Capitini sulla strada di un
sempre maggiore distacco dalla Chiesa cattolica, ormai vista da lui come
istituzione e non come pratica di amore e responsabilità, quale doveva essere
nel suo ideale religioso.

Ripensando a quel periodo, Capitini scrisse nel 1960: “La religione tradizionale
istituzionale cattolica, che aveva educato gli italiani per secoli, non li aveva affatto
preparati a capire, dal ’19 al ’24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava
in un modo profondo, visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di
favori disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla "scuola

1
A. Capitini, L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani, 1966
5

liberale" e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c’è una cosa che noi
dobbiamo al periodo fascista, è di aver chiarito per sempre che la religione è una
cosa diversa dall’istituzione romana.” 2

Nel 1930 Capitini venne nominato Segretario economo della Scuola Normale,
diretta da a quel tempo da Giovanni Gentile.

Nel 1932 Baglietto si recò a Friburgo per specializzarsi presso l’Università dove
insegnava Heidegger, grazie ad una borsa di studio. In seguito, comunicò la sua
intenzione di non tornare in Italia, coerentemente con le sue idee nonviolente,
incompatibili con il Fascismo. Questo gesto provocò l’ira di Gentile, che aveva
aiutato Baglietto ad ottenere il visto per l’espatrio, garantendo per lui.

Gentile chiese allora a Capitini di prendere le distanze dall’amico, aderendo al


Partito Fascista. Il rifiuto di Capitini gli costò il licenziamento.

Il filosofo tornò allora a Perugia, dove visse impartendo lezioni private e


dedicandosi alla ricerca e alla scrittura. Intraprese diversi viaggi per incontrare
altri esponenti dell’Antifascismo e tesse una vasta rete di contatti.

Contrariamente a molti altri giovani, Capitini non partecipò alla Resistenza, ma


svolse un intenso lavoro di discussione, incontrando persone in tutto il Paese e
divulgando il suo pensiero critico verso il Fascismo. I valori del pacifismo e della
nonviolenza gli impedirono di aderire ad un movimento che si opponeva
concretamente – anche con le armi – alla violenza fascista.

Come scrisse nel dopoguerra, il suo impegno era di tipo intellettuale ed


educativo, ma anche questo contribuì ad avvicinare molte persone
all’Antifascismo: “fu una breccia che si aprì in giovani di valore per cui apparve la
possibilità di una tensione diversa da quella fascista, di una specie di rivolta
intima e di ascesi, che metteva in prima linea la non collaborazione, la non
tessera del partito". 3

E ancora: “Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov’era piu’ quel bel fermento
di idee, quella vivacita’ di spirito di riforme che avevo vissuto dal ’18 al ’24? Quanti
libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come preziosa),
erano finiti! L’Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era ora affidata ad un
governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio entusiasmo per le
amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, quella di Perugia, mia

2 Aldo Capitini, articolo originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960,
citato in www.nonviolenti.org
3
A. Capitini, Nuova società e riforma religiosa, Einaudi, Torino, 1950
6

citta’! Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro,
alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa
preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e "diversi", là
impegnati ad amministrare per tutti.” 4

Nel 1937 Benedetto Croce fece pubblicare, dalla casa editrice Laterza di Bari, un
testo dal titolo Elementi di un’esperienza religiosa, redatto da Capitini negli anni
precedenti e che rappresentava il risultato delle sue meditazioni spirituali.

Secondo Claudio Tugnoli, per Capitini “la via che conduce alla liberazione
spirituale è una politica che dipende dalla religione (intesa come amore e
dedizione, e opposta a qualsiasi idea di potenza nel mondo)” 5.

I riferimenti ideali dell’autore erano Francesco d’Assisi e Mazzini, ma soprattutto


Gandhi, colui che seppe combattere il colonialismo inglese in India con la forza
della nonviolenza. Il pensiero e l’azione del Mahatma costituivano per Capitini un
modello da seguire in Italia, unendo esperienza religiosa e impegno.

“Feci il sogno che gli Italiani si liberassero dal Fascismo noncollaborando, senza
odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi.” 6

In quest’opera Capitini si poneva il problema del rapporto tra mezzi e fini. I mezzi
sono sottoposti al giudizio morale, così come i fini. Nessun fine è buono, se i
mezzi per ottenerlo sono immorali.

Seguendo i dettami della nonviolenza, il fine della pace si deve realizzare


attraverso la pace e non con la violenza, che non si giustifica con l’esigenza di
combattere altra violenza. Come dirà nel testo del 1967, “il fine dell’amore non
può realizzarsi che attraverso l’amore” e alla locuzione latina “si vis pacem, para
bellum”, si deve sostituire «durante la pace prepara la pace».” 7

Nel 1936 Capitini cominciò la collaborazione con Guido Calogero, filosofo


fiorentino che insegnava all’Università di Pisa e alla Scuola Normale.

Dalle discussioni di quegli anni e dalla comune posizione di fronte ai problemi


dell’attualità politica, nacque il Movimento liberalsocialista, che aveva l’ambizione

4
A. Capitini, La mia opposizione al Fascismo, articolo originariamente apparso su "Il ponte",
anno XVI, n. 1, gennaio 1960 e disponibile anche sul sito www.nonviolenti.org

5 Claudio Tugnoli, Aldo Capitini. Elementi di un’esperienza religiosa in


www.academia.edu/19878028/Aldo_Capitini_Elementi_di_un_esperienza_religiosa
6 A. Capitini, La mia opposizione al Fascismo, op. cit.
7 A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Roma, 1967
7

di raccogliere e riaffermare i valori delle tradizioni liberale e socialista e tentare di


conciliarle.

Nel Manifesto, pubblicato nel 1940, si legge che “a fondamento del


liberalsocialismo sta il concetto della sostanziale unità e identità della ragione
ideale, che sorregge e giustifica tanto il socialismo nella sua esigenza di giustizia,
quanto il liberalismo nella sua esigenza di libertà” 8.

Alle attività del Movimento collaborarono diversi intellettuali antifascisti, come


Norberto Bobbio, Cesare Luporini, Walter Binni.

Passando in rassegna le due correnti di pensiero, nel Manifesto troviamo la critica


del “liberalismo ingenuo”, che coincide con l’individualismo, e del “liberalismo
antiquato e conservatore”, che ha a cuore i diritti civili e politici, ma che in campo
economico propugna il più sfrenato liberismo e lascia “al prossimo la libertà di
morire di fame” 9.

Altrettanto critici sono gli autori nei confronti del socialismo marxista, “che vede
nella dittatura del proletariato la condizione della futura libertà” 10. Queste
posizioni dovranno essere superate dal socialismo più maturo, che “non si illude
più che la ricchezza comune possa essere amministrata onestamente da chi non
si sia elevato al senso dell’interesse collettivo, attraverso l’esercizio del controllo
e l’esperienza della legale libertà, e non continui ad operare in un ambiente di
critica, di legalità e di libertà” 11.

Il movimento si poneva decisamente in opposizione al Fascismo ed esprimeva


una precisa istanza anticapitalistica: “bisogna portare sempre più oltre la battaglia
contro il godimento sedentario dell’accumulato e dell’ereditato” 12.

Con quali mezzi dovesse essere condotta questa battaglia, non era specificato
chiaramente. Sicuramente non con mezzi violenti, piuttosto sviluppando
l’eguaglianza e la solidarietà, obiettivo che si dovrebbe raggiungere attraverso
l’educazione.

Sul piano internazionale, i Liberalsocialisti proponevano una trasposizione degli


stessi principi che valgono nella società. Si dichiaravano quindi contrari al
razzismo, al nazionalismo e all’imperialismo.

Bisogna tenere presente che il tentativo di conciliare le due grandi tradizioni del
liberalismo e del socialismo non era cosa nuova, ma era già stata tentata, per

8 Guido Calogero, Primo manifesto del liberalsocialismo, Roma, 1940, riprodotto integralmente
in giustizialiberta.blogspot.com/2009/07/primo-manifesto-del-liberalsocialismo
9 Ibidem
10 Ibidem
11 Ibidem
12 Ibidem
8

esempio da Carlo Rosselli, che nel 1929 dal confino a Lipari scrisse Socialismo
liberale. Il testo, pubblicato l’anno seguente in Francia, partiva da posizioni
socialiste per rivolgere una critica al marxismo, in particolar modo ai concetti di
struttura e sovrastruttura e ad una concezione della storia come dialettica fra
classi, che non permetterebbe di spiegare fenomeni come il Fascismo in Italia.

Rosselli fondò nel 1929 il movimento Giustizia e Libertà, con l’obiettivo di riunire
tutte le forze non comuniste per combattere il regime fascista. Fu attivo nella
Guerra civile spagnola e promulgò una proposta insurrezionale, per rovesciare i
regimi fascista e nazista, prima che la loro ascesa portasse ad un nuovo conflitto
su scala europea e mondiale.

Capitini, fedele ai suoi ideali, non poteva accettare un agire politico che
prevedesse l’uso della violenza, seppure in vista del raggiungimento di una
società più giusta. Per questo motivo non aderì alla Resistenza, ma lavorò
instancabilmente per la diffusione delle idee antifasciste.

Durante questo periodo si intensificò l’attività repressiva del Regime. Molti


oppositori furono arrestati o fuggirono all’estero. Nel 1937 Gramsci morì, dopo
anni di detenzione in condizioni che portarono ad un aggravamento delle sue
condizioni di salute. Nello stesso anno, in Francia furono assassinati i fratelli
Carlo e Nello Rosselli.

Nel 1942 Capitini venne arrestato, insieme con tutto il gruppo dirigente del
Movimento. Scarcerato dopo quattro mesi, tornò all’attività propagandistica.

Nel 1943, qualche giorno prima dell’Armistizio, si tenne una riunione del
Movimento per valutare l’opportunità della confluenza nel Partito d’Azione,
fondato l’anno precedente da La Malfa, Calogero e Piero Calamandrei, e a cui
aveva già aderito il gruppo di Giustizia e Libertà.

A differenza di Calogero, Capitini non accettò, preferendo continuare ad


impegnarsi per un movimento etico-religioso, che mirava ad un rinnovamento più
profondo, non soltanto sociale ma morale, cui non sarebbe stata adatta la forma
di partito.

Si nascose quindi nelle campagne umbre, fino alla liberazione di Perugia (giugno
1944).

Dopo la fine della guerra, Capitini aderì al Fronte Democratico Popolare,


federazione politica di sinistra nata nel 1947 su iniziativa di PCI e PSI, in cui erano
confluite formazioni minori. Le sue istanze non vennero recepite e il filosofo tornò
all’attività didattica e pedagogica. Fu escluso dal Comitato di Liberazione
Nazionale e dall’Assemblea costituente.
9

Nel 1944, poche settimane dopo la liberazione di Perugia, mise in piedi un


esperimento di partecipazione popolare, fondando nel capoluogo umbro il primo
COS (Centro di orientamento sociale), un’assemblea aperta a tutti i cittadini, i
quali si ritrovavano due volte la settimana e discutevano di questioni sociali e
amministrative che li riguardavano da vicino. Venivano invitati, per ascoltare e
intervenire, dirigenti di partito, intellettuali, amministratori, esperti.

I COS si diffusero prima in Umbria e in Toscana, poi in molte città italiane, ma la


loro vita durò poco, per l’ostilità della Democrazia Cristiana e l’indifferenza della
Sinistra, che preferivano incoraggiare la partecipazione nelle proprie strutture
diffuse sul territorio. La crescente insofferenza dei politici e degli amministratori,
che mal sopportavano di essere controllati, determinò il definitivo tramonto di
queste esperienze, nel 1948.

Nello stesso anno Capitini sostenne la lotta per l’obiezione di coscienza al


servizio militare di Pietro Pinna, primo in Italia ad avere rifiutato il servizio militare.
Dopo aver maturato l’opposizione alla guerra, anche ispirato dalla lettura delle
opere capitiniane, Pinna si presentò in caserma, ma si rifiutò di prestare il servizio
di leva. Fu processato per disobbedienza e condannato a dieci mesi di carcere e
poi ad altri otto. In seguito, venne riformato per motivi di salute. Diventò uno dei
più assidui collaboratori di Capitini e attivista del movimento non violento.

L’incarico di commissario straordinario dell’Università per stranieri di Perugia, che


Capitini ricoprì dal 1944, terminò due anni dopo, per la fortissima opposizione
della Curia perugina.

Negli anni successivi il filosofo, che nel 1946 era tornato ad insegnare
all’Università di Pisa come professore incaricato di Filosofia Morale, pubblicò
diverse opere, approfondendo e precisando le sue idee e continuando a
diffonderle attivamente.

Nel 1948 venne pubblicato Italia nonviolenta. Nel 1950 Capitini organizzò il primo
convegno italiano sul tema dell’obiezione di coscienza.

Nello stesso anno uscì Nuova socialità e riforma religiosa, in cui viene
ulteriormente indagato il legame tra religione e impegno politico.

La religione di Capitini è un’esperienza spirituale slegata dalle Chiese


istituzionali, dove tensione religiosa e impegno sociale si fondono e si esaltano a
vicenda. L’uomo religioso non è il fedele, ma il persuaso, termine mutuato dal
filosofo Michelstaedter (“Persuaso è chi ha in sé la sua vita” 13), che si ribella

13
C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Appendici critiche, a cura di S. Campailla,
Adelphi, Milano, 1995.
10

contro il dolore e il male del mondo e si impegna nella realizzazione di una nuova
società, utilizzando la forza della nonviolenza.

“La persuasione della nonviolenza si rifiuta di accettare come insuperabile


l’ordine della Natura, nella quale la vita dell’uno risulti dalla morte dell’altro, e
sconnette quest’ordine imprimendo un moto verso un altro ordine, (…) portando
l’amore e il rispetto della vita il più possibile nel profondo della stessa Natura.” 14

In questo passo si legge la massima aspirazione di Capitini: superare l’ordine


della Natura, dove si trova la radice stessa della violenza. Solo l’uomo può andare
oltre la Natura e, vivendo senza violenza, produrre un cambiamento nel mondo.

In questo senso si inserisce anche la scelta vegetariana, una scelta che va


controcorrente rispetto allo sfruttamento degli animali e vuole anche essere
d’esempio per diffondere la tutela della vita di tutti gli esseri viventi.

“Si decide di rinunciare al cibo che comporti uccisione di animali; e con ciò stesso
muta il nostro modo di avvicinarsi ad essi, il nostro modo di considerarli. (…)
Questa “sospensione” introdotta nella leggerezza sterminatrice e nella freddezza
utilitaria, si riflette in accrescimento di valore interiore. (…) Io debbo confessare
che, pur avendo un notevole interesse nell’esistenza degli animali, mi decisi al
vegetarianesimo nel 1932, quando, nell’opposizione al fascismo, mi convinsi che
l’esitazione ad uccidere animali avrebbe fatto risaltare ancor meglio l’importanza
del rispetto dell’esistenza umana.” 15

Nonviolenza, persuasione religiosa, amore per i viventi. Tutto si tiene insieme in


questa frase: "Della nonviolenza si può dare una definizione molto semplice:
essa è la scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o
distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani (…) è
l’amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i propri genitori, i figli, il
cane di casa, i concittadini, ecc.); è amore aperto, cioè pronto ad amare altri e
nuovi esseri già conosciuti” 16.

Questi temi furono affrontati nel testo del 1955, Religione aperta, che tratta anche
diversi altri argomenti: il rapporto tra religione e laicità, le forme del Cristianesimo
e la figura di Cristo, i preti operai, le relazioni fra Oriente e Occidente. Il testo non
fu gradito alle gerarchie ecclesiastiche e venne messo all’Indice dei libri proibiti.

L’apertura di cui parla Capitini è umanizzazione dei rapporti, sentire fluire l’altro,
sentire la vita dell’altro, lasciarlo libero di essere ciò che è, al di fuori della
mercificazione e da interessi strumentali. L’apertura è permettersi di percepire la

14 A. Capitini, Il potere di tutti, Guerra, Perugia, 1999


15 A. Capitini, Il problema religioso attuale, 1948 in giulianofalco.blogspot.com/2008/10/aldo-
capitini-la teoria-della.html
16 A. Capitini, Religione aperta, Neri Pozza editore, Milano 1964
11

compresenza di tutti gli esseri, vivi e morti, che partecipano alla creazione dei
valori della società, e allo stesso tempo sentire uniti “l’ammalato, l’esaurito, lo
stolto, il morto (…) con altri esseri che sono nati (realtà di tutti)” 17, permettendo
a tutti di sentirsi partecipi infinitamente della realtà umana.

Per diffondere queste idee, Capitini già nel 1946 aveva messo in piedi il
Movimento di religione, un tentativo di riforma religiosa condotto con l’amico
Ferdinando Tartaglia, sacerdote e teologo, che fu scomunicato nello stesso anno.
Tartaglia era stato attivo nel Cos di Firenze, aveva scritto dei saggi sulle figure
chiave del pensiero cristiano e discusso pubblicamente la sua idea di
rinnovamento totale e ritorno al Cristianesimo della Bibbia. I due pensatori erano
accomunati dal desiderio di svecchiamento della religione, impossibile da attuarsi
dentro le maglie della Chiesa cattolica, accusata di decadentismo e
oscurantismo.

Nel Movimento confluirono persone provenienti da ambiti diversi, spinte


dall’urgenza di rinnovamento del primo Dopoguerra, che investì anche gli
ambienti religiosi e cercò delle forme di organizzazione al di fuori di quelle
tradizionali.

L’obiettivo del Movimento era l’incontro tra credenti e non credenti, tra cittadini e
stranieri, battezzati e non battezzati.

Le chiese, le moschee, le sinagoghe, secondo Capitini, avrebbero dovuto aprirsi


e diventare centri di discussione e di esperienze collettive, dove poter vivere una
nuova religiosità.

Tartaglia aveva un progetto più ambizioso, non di riforma ma di costruzione di


qualcosa di assolutamente nuovo, “la fine di tutta la realtà e di ogni eventuale
soprarealtà finora esistita, pensata o vagheggiata”.18 Non era inoltre interessato
alla dimensione “politica” – in senso ampio – che per il filosofo umbro era invece
un orizzonte irrinunciabile.

La collaborazione fra i due durò solo due anni. Capitini continuò la sua attività di
divulgazione, tramite la pubblicazione di testi e l’organizzazione di convegni. Dal
1951 cominciò a spedire agli amici le Lettere di religione, che sono raccolte
postume nel volume Il potere di tutti, pubblicato nel 1969 e che contiene anche il
testo incompiuto dal titolo Omnicrazia.

Nel 1951 uscì il primo libro dedicato espressamente alla pedagogia, L’arte di
educare, un tentativo di trasmettere ai giovani quella “tensione” necessaria per

17
A. Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, 1964
18
A. Scattigno, Ferdinando Tartaglia, voce in Dizionario Biografico degli italiani, Treccani, 2019
12

rifiutare la realtà così come ci è data e decidere di impegnarsi per trasformarla,


liberandola da violenza e oppressione.

Nello stesso anno Capitini organizzò a Perugia il “Convegno internazionale per


la Nonviolenza”, per commemorare la morte di Gandhi, avvenuta il 30 gennaio
del 1948 e un’altra giornata di studi, dal titolo “La nonviolenza riguardo il mondo
animale e vegetale”, dalla quale prese vita la Società vegetariana italiana.

Nel 1952 nacquero i Cor (Centri per la riforma religiosa), che volevano essere
spazi aperti a persone di tutte le religioni, interessate alla discussione e allo
scambio fra di loro. L’intento era anche quello di stimolare i cattolici stessi ad un
approccio più critico e impegnato alle questioni religiose.

La Chiesa locale vietò ai fedeli di frequentare le riunioni dei Cor, che continuarono
a riunirsi fino al 1971, tre anni dopo la morte del loro fondatore. A questo progetto
collaborò Emma Thompson, educatrice quacchera inglese, che si era trasferita a
Perugia nel 1944 per collaborare con Capitini.

Al 1952 risale la prima collaborazione con Danilo Dolci, intellettuale di origine


triestina, che si era trasferito in Sicilia per lottare contro la mafia, l’analfabetismo
e la povertà estrema e che si ispirò all’opera capitiniana, utilizzando metodi di
opposizione non violenti (scioperi della fame, marce) e organizzando incontri di
discussione pubblica fra i cittadini.

Le gerarchie ecclesiastiche si dimostrarono sempre invise all’opera del filosofo


umbro, che nel 1958 scrisse una lettera al vescovo di Perugia, per chiedere di
essere cancellato dall’elenco dei battezzati.

Questo gesto seguì la polemica che era nata dopo la denuncia di una coppia
perugina di conviventi, che era stata cacciata dalla chiesa con l’epiteto di “pubblici
peccatori”.

L’ostracismo della comunità aveva convinto la coppia ad intentare una causa


civile contro il vescovo. Il ricorso fu rigettato dai giudici, con la motivazione che il
battesimo avrebbe creato un legame di dipendenza dal vescovo. Una cinquantina
di cittadini firmarono la lettera con cui si chiedeva alla Curia la cancellazione dalle
liste dei battezzati (spregiativamente rinominata “sbattezzo” dal quotidiano
cattolico Avvenire). La risposta del vescovo fu un diniego, sostenuto dalla
convinzione che il battesimo iscrive per sempre l’individuo che lo riceve nella
comunità dei fedeli, con i suoi inevitabili obblighi nei confronti dei dettami della
Chiesa.

A questo argomento Capitini dedicò un testo, edito nel 1962, dal titolo Battezzati
non credenti.
13

Dal 1959 Capitini fu docente di Pedagogia all’Università di Cagliari; quindi, nel


1965 ottenne il trasferimento a Perugia. Nel 1959 fondò l’Associazione per la
difesa e lo sviluppo della scuola pubblica in Italia.

La sua pedagogia è fortemente antiautoritaria e risente del confronto con Danilo


Dolci e don Milani, nonché con il pensiero di Maria Montessori e di John Dewey.
La proposta pedagogica capitiniana, strettamente legata all’impegno politico e
alla nonviolenza, è contenuta in L’atto di educare (1951) e Educazione aperta
(1967), oltre che nel già citato L’arte di educare.

In ambito cattolico si moltiplicavano segnali di fermento, che la Chiesa accolse in


parte, con le aperture decise nel Concilio Vaticano II, iniziato nel 1959 e
conclusosi nel 1965.

Lo scopo del sinodo dei Vescovi, secondo l’intenzione di Papa Giovanni XXXIII,
che lo aveva promosso, era di approfondire ed esporre la dottrina cattolica
secondo quanto era richiesto dai tempi. Le principali novità introdotte dal Concilio
furono la centralità della partecipazione dei fedeli alla liturgia, che doveva
svolgersi in lingua volgare e non più in latino, e il dialogo con le altre Chiese
cristiane e con le altre religioni.

Con l’enciclica Gaudium et spes vennero riconosciuti i profondi mutamenti della


società contemporanea e affermata la fondamentale uguaglianza di tutti gli
uomini e la necessità per la Chiesa cattolica di collaborare con le altre
confessioni, per il raggiungimento della pace e dell’armonia fra i popoli. Ai fedeli
venne indicato di impegnarsi in tutti gli ambiti dell’attività umana (lavoro, politica,
economia, cultura), orientati dalla visione cristiana. “I laici, che hanno
responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a
procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati
anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla
comunità umana.” 19

Il dissidio tra Capitini e la Chiesa Cattolica continuò anche dopo il Concilio


Vaticano II, con la pubblicazione del libro Severità religiosa per il Concilio, nel
1966. La reazione ecclesiastica inasprì ancora di più la condanna verso i suoi
libri.

Capitini in quegli anni aveva continuato il suo lavoro di diffusione e di riforma,


anche incontrando esponenti del mondo cattolico, come don Mazzolari e don
Lorenzo Milani.

19
Paolo VI, Gaudium et spes. Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7 dicembre
1965
14

Il primo, sacerdote partigiano e poi predicatore, si era attirato le ire della Chiesa
per il suo impegno sociale a favore degli ultimi e per la pace. Nel 1955 pubblicò
in forma anonima il libro Tu non uccidere, in cui rifiutava decisamente la dottrina
della guerra giusta e proponeva un movimento di resistenza cristiana contro la
guerra, per la giustizia e la pace. I suoi scritti, dove anticipava argomenti che
furono poi del Concilio Vaticano II, gli attirarono la condanna delle autorità
ecclesiastiche, che imposero la chiusura del giornale Adesso, di cui era direttore,
e gli vietarono di scrivere di tematiche sociali.

Don Milani era stato inviato nella parrocchia di Barbiana, nel Mugello, in seguito
a dissensi con la Curia fiorentina, che lo riteneva troppo poco diplomatico e
troppo vicino agli emarginati. Qui diede vita ad un esperimento pedagogico del
tutto inedito per quei tempi (la cosiddetta Scuola di Barbiana), che durò dal 1954
al 1967. I principi ispiratori vennero esplicitati in un testo scritto dagli stessi
studenti sotto la guida di don Milani, Lettera ad una professoressa - edito nel
1967- e che costituisce un atto di accusa alla scuola elitaria dell’epoca, da cui
venivano di fatto esclusi i ragazzi dei ceti inferiori.

Il fermento di quegli anni condusse anche alla diffusione delle riflessioni sulla
nonviolenza e sull’obiezione di coscienza.

Nel 1963, padre Ernesto Balducci, già in polemica con il Sant’Uffizio per le
posizioni ritenute troppo aperte sul piano sociale e per la collaborazione con il
sindaco di Firenze Giorgio La Pira, in un’intervista si pronunciò a difesa di
Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico italiano. Questa dichiarazione
pubblica, in cui sostenne che in alcuni casi si debba avere il coraggio di
disubbidire, gli valse una condanna per apologia di reato e una denuncia al
Sant’Uffizio.

Nel 1965 un gruppo di cappellani militari in congedo votarono un ordine del giorno
in cui rifiutavano l’obiezione di coscienza al servizio militare, definendola
“espressione di viltà” e “un insulto alla Patria e ai suoi caduti” 20.

A questa presa di posizione, pubblicata sul quotidiano La Nazione di Firenze, don


Milani rispose con una lunga lettera, intitolata Lettera ai cappellani militari, in cui
sostenne che se mai ci può essere una guerra giusta, in Italia ci fu quella
partigiana, dove da un lato si trovavano militari che avevano ubbidito, dall’altra
militari che avevano obiettato. “Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i
«ribelli», quali i «regolari»? È una nozione che urge chiarire quando si parla di
Patria.” 21

20
www.donlorenzomilani.it/lobbedienza-non-e-piu-una-virtù/2
21
www.ildialogo.org/donmilani/larisposta.html
15

Il dibattito sull’obiezione di coscienza portò un numero sempre crescente di


giovani a dichiarare la propria intenzione di non prestare il servizio militare. Nel
1972 il Parlamentò promulgò una legge che riconosceva il diritto all’obiezione e
al servizio civile, per motivi morali, religiosi e filosofici.

Intanto nel settembre 1961 si era svolta la Prima Marcia per la Pace e la
fratellanza fra i popoli, da Perugia ad Assisi, organizzata dal Centro per la
Nonviolenza, sull’esempio delle marce che dal 1958 venivano organizzate ogni
anno, nella settimana di Pasqua, da Londra ad Aldermaston, sede di una fabbrica
di armi nucleari. La più grande di queste manifestazioni inglesi, nel 1961, fu
capeggiata dall’anziano filosofo Bertrand Russel.

Si era negli anni della cosiddetta Guerra fredda e della corsa agli armamenti e il
ricordo ancora vivo della devastazione prodotta dalle esplosioni nucleari di
Hiroshima e Nagasaki contribuiva a tenere vivo il dibattito sulla necessità del
disarmo e di altre forme di regolazione dei rapporti fra gli Stati.

La manifestazione umbra coinvolse più di 20.000 persone di diversa estrazione


sociale e diverso orientamento politico. Parteciparono molti intellettuali, tra i quali
Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Franco Fortini, Italo Calvino, Giovanni Arpino e
Goffredo Fofi, molte associazioni e molti singoli, intervenuti da tutta Italia.

Negli anni ’60 Capitini continuò la riflessione e l’opera di divulgazione sugli


argomenti della nonviolenza e della pace. Fondò il Movimento nonviolento
(1962), che inizialmente si chiamò Movimento nonviolento per la pace.

Nel testo Le tecniche della nonviolenza - edito nel 1967 - riprese l’elaborazione
dell’americana Joan Bondurant, che in quegli anni aveva pubblicato un libro
dedicato a Gandhi e alla satyagraha (comunemente tradotto resistenza passiva,
ma letteralmente insistenza per la verità).

Nel libro di Capitini si legge tra l’altro che “l’introduzione del metodo gandhiano in
qualsiasi sistema sociale e politico effettuerebbe necessariamente modificazioni
in quel sistema. Altererebbe l'abituale esercizio del potere e produrrebbe una
ridistribuzione ed una nuova strutturazione dell'autorità. Esso garantirebbe
l'adattamento di un sistema sociale politico alle richieste dei cittadini e servirebbe
come strumento di cambiamento sociale”. 22

22
A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Linea d’ombra, Milano, 1989
16

La nonviolenza non è quindi solo una “tecnica”, ma un principio fondante, da


coltivare dentro di sé e da utilizzare per sovvertire la struttura della società,
fondata sulla sopraffazione, e redistribuire il potere.

“Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, il metodo della nonviolenza è di non


collaborare con il male; e di creare difficoltà all’esplicazione di quei modi, senza
sospendere mai l’amore per le singole persone, anche autrici di quei mali, ma
non esaurientesi in esse”. 23

È da notare il fatto che Capitini usava i termini nonviolenza e noncollaborazione,


per evidenziarne un valore positivo e non di negazione.

La nonviolenza non è quindi solo astensione dalla violenza, ma una forza diversa:
“se per tener testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, all’ultimo
realmente è la cattiveria che vince. La cosa è più evidente se i cattivi posseggono
armi potentissime, e noi per avere armi più potenti ancora, mettiamo tutta la
nostra forza” 24.

Le armi, cioè i terreni in cui il nonviolento si deve impegnare, sono l’eliminazione


delle cause della guerra, quindi lottare contro l’imperialismo, il capitalismo e
l’assolutismo, “costituire una coscienza di cittadinanza del mondo e organi
adeguati rappresentativi, costituzionali, giuridici” 25 e difendere l’obiezione di
coscienza.
È un lavoro, per così dire, “preventivo”, che deve essere svolto prima di trovarsi
in una situazione di guerra. Capitini, infatti, criticava l’immobilismo degli
intellettuali durante l’ascesa del Fascismo, che in molti casi prese la forma di
appoggio, più o meno tacito.

L’impegno nonviolento si salda quindi a quello per la diffusione di nuove forme di


democrazia, che permettano il controllo dal basso.
Nel discutere a distanza con Bobbio, il quale gli obietta che la democrazia diretta
è sempre stata un’illusione e che lo è a maggior ragione in una società altamente
tecnicizzata, Capitini risponde che al progresso della tecnica devono
corrispondere delle conquiste in campo politico e sociale, perché non è tollerabile
che una società che permette un maggior benessere venga amministrata con le
stesse forme di governo della società preesistente.

23
A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti, (a cura di M. Martini), Edizioni ETS,
Pisa, 2004
24
Ibidem
25
Ibidem
17

“Per trasformare tutta la società è, dunque, necessario cambiare il metodo, e farla


cominciare "dal basso" invece che dall'alto. Bisogna cominciare uno sviluppo del
controllo dal basso che dovrà crescere sempre più.” 26 È quanto scrisse Capitini
nell’editoriale del primo numero (1964) del foglio periodico Il potere di tutti, che
diresse fino alla sua morte, avvenuta nel 1968.

Questo obiettivo si potrà realizzare con l’unità di tutti coloro che hanno a cuore il
benessere dell’umanità, con l’impegno a dedicare tempo, soldi, fatica, a studiare,
conoscere sempre meglio la realtà sociale, politica e amministrativa, organizzare
riunioni di discussione, proporre soluzioni nuove.

“E' un errore – si legge ancora nel testo citato - pensare che basta che uno molto
bravo (e chi lo giudica?) o un gruppo di pochi vada al potere anche con la
violenza, riesca a cambiare tutto in bene. Noi non ci crediamo. Bisogna prepararci
tutti al potere per il bene di tutti, cioè per la loro libertà, per il loro benessere, per
il loro sviluppo.” 27

Attualità del pensiero di Capitini

Mi viene ora spontaneo chiedermi che cosa resta del pensiero del riformatore
perugino e quanto sia ancora attuale il suo pensiero.

Bisogna dire che la posizione di Capitini rimase sempre – nel panorama culturale
e politico italiano – indubbiamente minoritaria. Nondimeno, il suo impegno e la
sua onestà nel non venir mai a compromessi hanno dato molti frutti durante la
sua vita e nei decenni successivi alla morte.

La diffusione del messaggio della nonviolenza in Italia si deve essenzialmente ad


Aldo Capitini, che non solo svolgeva attività di pensatore e divulgatore, ma era
costantemente impegnato nell’organizzazione di occasioni di discussione e
partecipazione popolare.

Il Movimento nonviolento, che nacque nel 1964 per volontà del filosofo, continuò
la sua attività, che dura tutt’ora, sui temi della lotta alla guerra, contro ogni tipo di

26
www.fondowalterbinni.it/ssi/tracce/capitini.html
27
Ibidem
18

sfruttamento e di sopraffazione, per la creazione di organismi di democrazia


partecipativa e per la salvaguardia dell’ambiente 28.

In occasione del decennale della morte di Capitini (1978) fu organizzata una


seconda Marcia per la pace e diverse altre ne seguirono negli anni successivi,
fino al 2021. Negli anni l’adesione popolare di associazioni e singoli crebbe fino
a portare a Perugia 200.000 persone, come nel 2011.

È pur vero che forse la partecipazione di parecchie figure istituzionali ha un valore


più di facciata che reale, ma ciò non toglie il senso profondo e corale del marciare
insieme, come era nelle intenzioni dell’ideatore della Marcia:
“perché le marce della pace? Non
basterebbe un convegno, uno scambio di idee, un comizio, un giornale? Le
marce aggiungono altro: sono un accomunamento dal basso e nel modo più
elementare, che perciò unisce tutti, nessuno escludendo”29.

Negli anni recenti gli argomenti cari a Capitini sono stati affrontati in diversi ambiti.

Nel mondo cattolico, ricordiamo ad esempio l’impegno per la pace di monsignor


Luigi Bettazzi, ora vescovo emerito di Ivrea e presidente del movimento Pax
Christi dal 1980 al 1985 e del suo successore, don Tonino Bello. Quest’ultimo fu
particolarmente attivo durante il conflitto nei paesi dell’ex Jugoslavia.
La rivista fondata da don Tonino, Mosaico di pace, è diretta da padre Alex
Zanotelli, missionario comboniano e fondatore con don Albino Bizzotto
dell’associazione Beati i costruttori di pace.

Tra i laici di matrice cattolica non si può dimenticare Domenico Sereno Regis,
sostenitore dell’obiezione di coscienza, animatore di comitati spontanei di
quartiere negli anni ’70 e ’80 a Torino e fondatore di un Centro di studi per la
diffusione della cultura della nonviolenza.

Per quanto riguarda l’azione nonviolenta, dopo la già citata campagna per il diritto
all’obiezione al servizio militare, negli anni Ottanta si sviluppò un dibattitto intorno
all’obiezione fiscale alle spese militari, alla riconversione delle fabbriche di armi
e alla riduzione degli investimenti in spese militari a favore di quelle sociali, oltre
alla lotta attiva contro l’installazione dei missili nucleari in Sicilia.

28
www.nonviolenti.org/cms/movimento-nonviolento/
29
A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza, op. cit
19

In campo più strettamente politico, è d’obbligo citare Alex Langer, tra i fondatori
del movimento dei Verdi in Italia, che sviluppò il tema dei corpi civili di pace e si
impegnò per trovare soluzioni nonviolente al conflitto nei Balcani.

Durante la guerra nella vicina Jugoslavia, le diverse anime dell’associazionismo


cattolico e laico furono protagoniste di parecchie iniziative, tra cui la marcia che
nel 1992 portò 500 persone fino a Sarajevo durante l’assedio e Mir sada (pace
ora), marcia da Spalato a Mostar, promossa nel 1993 con altre organizzazioni
internazionali.

Mi piace pensare che il pensiero di Capitini abbia ancora influenza nel lavoro di
quanti sono impegnati sul fronte della multiculturalità, nonostante la vita e il
pensiero del filosofo di Perugia si siano dipanati in un periodo in cui l’Italia non
era meta di immigrazione dai paesi del Sud del mondo.
Eppure, il suo concetto di compresenza, declinato nel senso dell’inclusione di
tutti, anche chi ha diverse capacità e diversa cultura, ha ispirato, anche nel
secondo millennio, alcune applicazioni pratiche della pedagogia della
nonviolenza, per esempio nelle classi scolastiche della scuola dell’obbligo. 30

La teoria della nonviolenza – come riassume in estrema sintesi John Galtung,


fondatore del Peace Research Institute Oslo – “è basata sul riconoscere l’essere
umano nell’altro” 31 e questa è una necessità che non tramonterà mai.

30
/tesi.supsi.ch/1666/1/16268_Katia_Senjic_Rovelli_Senjic_LD...
31J. Galtung Le teorie della difesa nel quadro di una teoria generale dei conflitti, Invece delle
armi: obiezione di coscienza, difesa nonviolenta, corpo civile di pace europeo, Fuorithema,
Bologna, 1996

Potrebbero piacerti anche