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Pur schiacciato dall’enorme fardello della tradizione, un uomo può comunque aprire a spallate il

portone dell’oscurità e sopportarne il peso per permettere ai propri figli di uscire negli spazi ampi
e luminosi all’esterno, lì dove possono trascorrere giornate felici e comportarsi da persone
razionali.

Così scriveva nel 1919 Lu Xun, il più grande autore cinese moderno, dando voce a
quell’“antitradizionalismo totalizzante” condiviso all’epoca da tanti intellettuali coinvolti nel
Movimento del Quattro maggio, una mobilitazione popolare nata da rivendicazioni antimperialiste
che finì per farsi fautrice di un più vasto rinnovamento sociale, politico e spirituale. Anche nel
contesto radicale di quella generazione, Lu Xun si distinse per la veemenza della sua critica alla
tradizione cinese – in particolare confuciana – che in varie occasioni non esitò a descrivere come
un’istigazione al cannibalismo o addirittura una sorta di sifilide del pensiero. Celebri sono le parole
che egli attribuisce alla penna del protagonista di Diario di un pazzo, il racconto con cui raggiunse
la notorietà nel 1918:

Ogni cosa richiede di essere studiata a fondo per essere compresa. Mi par di ricordare, seppure
vagamente, che da tempo immemorabile la gente mangia spesso i propri simili. Sfogliando i libri di
storia non trovo nessuna data, solamente quei bei principi confuciani di “benevolenza e moralità”
scritti in lungo e in largo. Nel rileggerli con attenzione in una delle mie notti insonni, finalmente ho
visto cosa si nasconde negli spazi vuoti tra una riga e l’altra, fino a riempire tutti i libri: le parole
“mangia uomini”!

Per comprendere le ragioni di tanta acrimonia – che a un lettore occidentale potrebbe sembrare
fuori luogo – è importante ricordare come la Cina di epoca tardoimperiale e repubblicana fosse in
pieno declino, piagata da continue rivolte interne e da pretese sempre più esose da parte delle grandi
potenze; come ogni tentativo di modernizzazione dell’apparato politico ed economico cinese fosse
stato soffocato sul nascere dall’opposizione di funzionari che sostenevano la necessità di aderire
acriticamente alla tradizione; come ogni speranza di rinnovamento legata alla nascita della nuova
Repubblica fosse stata tradita dall’emergere di fazioni politiche e militari in perenne lotta, le quali
non si fecero scrupoli a spartirsi il Paese.

Più di tutto, bisogna pensare che nella Cina di inizio secolo l’educazione era ancora in larga parte
basata su testi filosofici e politici compilati secoli, se non millenni, prima e che la produzione
letteraria era composta in una lingua classicizzante completamente disgiunta da quella che era la
lingua parlata nel quotidiano. In linea con molti altri intellettuali del Quattro maggio, Lu Xun
sosteneva fosse necessario emanciparsi dalla tradizione e rinnovare il linguaggio per condurre la
Cina sulla via del progresso.

Tuttavia, una lettura degli scritti più rappresentativi tra quelli raccolti nei venti volumi della più
recente edizione (2012) dell’opera omnia di questo autore è sufficiente a dare un’idea di quelle che
Simon Leys ha definito le “sconcertanti ambiguità” di Lu Xun, i continui “dubbi, esitazioni,
ripensamenti e riserve mentali” che spesso rendevano lo scrittore inviso più ai suoi compagni che ai
suoi avversari. Come ogni altro aspetto di un pensiero profondamente e consapevolmente
asistematico, anche l’antitradizionalismo di Lu Xun non è scevro di sfumature e contraddizioni.

[...] Altrettanto spiazzante per un campione del progresso quale Lu Xun è il senso di disperazione
che traspare dalle sue opere nei confronti dell’incapacità della Cina di rinnovarsi. Celebre in questo
senso è l’immagine della “stanza di ferro” (tiewu), descritta nell’introduzione a Chiamata alle
armi, raccolta di racconti del 1923:

Immagina una casa di ferro, senza finestre e indistruttibile, con dentro tanta gente addormentata
sul punto di morire asfissiata. Stando così le cose, la morte li coglierà nel sonno e quantomeno non
conosceranno le pene dell’agonia. Ora, se tu inizi a gridare e svegli quelli dal sonno più leggero,
costringendo questi poveracci a soffrire il tormento di una morte inevitabile, ti sembra di far loro
un favore?

L’intera opera di Lu Xun è attraversata da un’intensa contraddizione tra l’impulso attivo a


chiamare i propri compatrioti “alle armi” – seppur in una lotta metaforica contro l’oscurantismo
della tradizione – e la passività della rassegnazione di fronte all’impossibilità di realizzare un
cambiamento autentico. Negli anni, Lu Xun si abbandonò in varie occasioni al suo innato
pessimismo, una vena negativa che si accentuò dopo gli eventi della primavera del 1927, quando
anche le limitate speranze riposte nella Rivoluzione Nazionalista promossa prima da Sun Yatsen e
poi da Chiang Kaishek si infransero di fronte all’ondata di “terrore bianco” seguita alla rottura del
fronte comune tra nazionalisti e comunisti.

Negli anni successivi, pur schierandosi nettamente dalla parte dei comunisti e dei sostenitori della
“letteratura rivoluzionaria”, Lu Xun non superò mai il trauma di vedere tanti giovani, la cui azione
politica era stata ispirata dai suoi scritti, massacrati uno dopo l’altro, e continuò a insistere sulla
necessità di osservare la realtà “tenendo gli occhi ben aperti” (zheng le yan kan), andando oltre
ogni ideologia e ogni retorica. Come si evince da un celebre scritto del settembre del 1927 – qui
ripreso nella traduzione di Edoarda Masi – il dubbio e la disperazione rimanevano sempre sullo
sfondo:

Una volta ho detto che la storia della Cina è un susseguirsi di banchetti di carne umana, con quelli
che mangiano e quelli che vengono mangiati. Anche quelli mangiati a volte mangiano uomini, e
quelli che mangiano possono venire mangiati. Ora ho scoperto che anch’io ho collaborato al
succedersi dei banchetti. Signore, lei ha letto le mie opere; ora le pongo una domanda: la loro
lettura l’ha paralizzato o le ha dato chiarezza; l’ha confuso o le ha dato energia?

Nel secondo caso, il mio giudizio è provato per una buona metà. Nei banchetti cinesi ci sono i
“gamberi al vino”: più i gamberi sono freschi e vivi, più sono soddisfatti quelli che li mangiano. Io
ho aiutato a preparare questi gamberi al vino, ho chiarito le menti dei giovani ingenui e infelici e
ho stimolato la loro coscienza, ho fatto sì che imbattendosi nella sventura provassero un dolore
raddoppiato; e nello stesso tempo, che quanti li odiano traessero piacere da questo dolore più
intelligente e ne avessero un divertimento imprevisto.

Lu Xun morì nell’ottobre del 1936, prima che la Rivoluzione Comunista giungesse a compimento.
Sebbene in vita avesse avuto cura di tenere a debita distanza coloro che avevano cercato di servirsi
del suo nome per una scalata alla notorietà e al successo, inclusi non pochi compagni nelle schiere
della sinistra, negli anni successivi alla sua morte, la leadership comunista, all’epoca basata a
Yan’an, ebbe mano libera nel manipolare l’eredità letteraria e intellettuale dello scrittore, che in
breve tempo fu elevato al rango di nume tutelare della rivoluzione.

[...] Il Lu Xun d’epoca maoista era un perfetto esempio di “bis-pensiero” orwelliano, un modo
per dire tutto e il contrario di tutto attraverso un collage di citazioni estratte a casaccio dalla quasi
ventennale produzione letteraria dello scrittore. In questo, Lu Xun si era mostrato
straordinariamente preveggente, tanto che in un testo del 1934 aveva scritto:

La sfortuna di uno scrittore non è tanto essere attaccato o ignorato mentre è in vita. Ciò che è
veramente tragico è se, una volta morto, le sue parole e azioni sono dimenticate e buffoni
pretendono di essere suoi amici e dicono questo e quello per diventare famosi o arricchirsi,
servendosi di un cadavere come strumento per ottenere notorietà e profitto.

Nelle continue e imprevedibili oscillazioni del pendolo della storia, dopo la morte di Mao e l’avvio
delle riforme, le autorità di Pechino hanno cercato di recuperare la tradizione cinese, in particolare
confuciana, nella funzione di instrumentum regni. Allo stesso tempo, il Lu Xun posticcio d’epoca
maoista è stato gradualmente relegato a un ruolo marginale nel discorso ufficiale, una mossa che ha
aperto nuovi spazi per un recupero dello scrittore nella sua dimensione umana e storica. […]

Ancor più sorprendente è che Lu Xun goda di nuova linfa su Internet, dove sempre più spesso i
cittadini cinesi si riappropriano delle sue parole per criticare l’operato delle autorità. Eva Shan Chou
ha rilevato come nel 1989, all’epoca del Movimento per la democrazia, gli studenti in piazza
citassero diffusamente nei propri slogan e pamphlet i classici Diario di un pazzo e In morte di Liu
Hezhen. Quest’ultimo, scritto da Lu Xun per commemorare una sua studentessa uccisa dalle forze
di polizia nel corso di una manifestazione pacifica nella Pechino del 1926, ha avuto poi larga
diffusione in rete nel 2005, quando gli utenti hanno iniziato a condividerlo in segno di protesta
contro la violenta repressione di una serie di rivolte contadine.

Similmente, nell’ottobre del 2013, un fotomontaggio di Lu Xun in divisa da carcerato,


accompagnato dalle didascalie “Non ho scritto io questi articoli” e “Non ho visto Liu Hezhen venire
colpita”, ha fatto la sua comparsa su Internet in risposta all’ennesima campagna intimidatoria delle
autorità cinesi contro le voci critiche online.

Nel 2007, sempre la rete è stata l’arena in cui i cittadini hanno dato voce alla propria opposizione ai
piani governativi di ridurre la presenza degli scritti di Lu Xun nei testi scolastici per le scuole
superiori di Pechino, a favore di selezioni più neutre dall’opera di Louis Cha, un noto autore di
romanzi di cappa e spada. Di fronte alla progressiva cancellazione dei brani di Lu Xun dalle
antologie scolastiche, così ha scritto un anonimo commentatore in un post che negli ultimi quattro
anni è periodicamente ricomparso sul web cinese:

Lu Xun è stato mandato fuori dalle palle [dai libri scolastici] perché la società di oggi non ha
bisogno di “pugnali e lance”, ma di inni, cosmetici e anestetici. […]

*Ivan Franceschini, blogger di Cineresie, ha realizzato insieme a Tommaso Facchin il documentario


Dreamwork China. Autore di Cina.net, post dalla Cina del nuovo millennio, anch'esso edito da
ObarraO.

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