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EDUCARE IN JAZZ: OTTO TRATTI PER UNA NUOVA PEDAGOGIA

Marina Santi1

Perché educare in jazz?


Educare in jazz è una metafora che rappresenta insieme una provocazione e una
sfida, ma anche un auspicio, che mette alla prova i confini della pedagogia tradizionale
ed estende gli orizzonti e le aspirazioni del discorso e della pratica educativa. Esplorare
le potenzialità del jazz, concepito non solo come un genere di musica o l'arte, ma anche
come prospettiva che comprende principi, valori, atteggiamenti e competenze, è
fondamentale nel breve termine della nostra vita quotidiana e nel lungo termine delle
risorse per lo sviluppo umano.
Esplorare la metafora del jazz nel discorso educativo e sostenere il jazz come
buon auspicio nella pratica educativa significa accettare anche una sfida teorica
importante, in quanto ciò comporta un ripensamento dell'intero paradigma all'interno del
quale i processi di insegnamento e di apprendimento sono tradizionalmente compresi e
proposti. Ma questa nuova metafora ha il vantaggio di far convergere gli obiettivi
dell’azione educativa verso le “virtù” umanitarie riconosciute dall'UNESCO nel 20112
come proprie del jazz, che ha promosso nella storia il valore della pace sociale, il potere
del dialogo interculturale, la garanzia della parità di genere e il coraggio della
trasgressione creativa. In effetti, considerare jazz come quadro di riferimento e come
risorsa educativa concreta potrebbe condurre verso una nuova pedagogia della libertà.
Fino ad oggi gli stereotipi sul jazz sono stati un ostacolo per questo impegno
culturale e educativo, in particolare quelli che riconducono a quel jazz non accessibile e
comprensibile immediatamente. Si suppone che il jazz si rivolga ad una élite di fruitori
con un’alta disposizione per la dissonanza e un’audizione diversificata, il che implica
che l'ascoltatore ha bisogno di molta attenzione alla tecnica e alla ricerca sonora, con un
approccio globale alla comprensione del suono. Questo, a sua volta, provoca e insieme
fa scattare schemi e script precedenti, aprendo l'ascoltatore ad una reazione inaspettata
di sorpresa e meraviglia. Tuttavia, questi miti, pur fondati nella cultura jazzistica,
saranno trasformati qui in idee utili e concrete, che si collegano direttamente al jazz
come metafora del dialogo educativo, mettendo in evidenza l'improvvisazione come
processo centrale nella sperimentazione e produzione jazz.

Otto tratti jazz per educare in jazz.


Ma quali sono le caratteristiche e dimensioni del jazz che, trasferite e tradotte in
chiave educativa, consentono una trasformazione così radicale dei processi educativi?
Essendo il jazz tutt’altro che univoco nella sua definizione e unisono nel suo
riconoscimento, presentandosi più che come un genere, come un modo di intendere la
musica e il suonare, è piuttosto difficile individuarne dei tratti discriminanti. Eppure,
resta possibile attribuire al jazz elementi propri, irriducibili e distintivi che ne fanno
un’esperienza e tendenza unica seppur multiforme, comunque riconducibile ad una
tradizione. Ho proprio attinto a questa tradizione e alla letteratura critica attualmente
disponibile sul jazz per scegliere le otto principali caratteristiche/dimensioni interessanti
e utili per osservare, attraverso una lente jazzistica l’educazione, in quanto dotate di
particolari potenziali pedagogici e didattici.

1
Università di Padova
marina.santi@unipd.it
2
http://www.unesco.org/new/en/jazz-day
1. Innanzitutto (e ovviamente) il jazz è jazzing. Questa prima affermazione
suona come una tautologia e in un certo senso lo è, dal momento che è impossibile
definire un'esperienza composita e complessa come il jazz con alcune qualità del
jazzare, inteso come modo/modalità di fare e generare musica. Ma l'ossimoro resta
fecondo proprio per la molteplicità di significati che vengono attribuiti al "jazzing",
riferiti al suo significato originale nell’etimologia e nello slang del linguaggio nativo. In
origine il termine jazz era un’espressione afro-americana sessualmente colorata e che
rimandava metaforicamente alla copulazione e al liquido seminale. Tuttavia, esso non
era solo legato all’azione meccanica del coito, ma al piacere e più precisamente al
piacere di un orgasmo condiviso (in latino co-ire significa letteralmente "camminare
insieme") e alla promessa fruttuosa connessa all’eiaculazione. Come ha scritto un
giornalista australiano nell’anteprima di un concerto jazz del Tord Gustavsen Trio a
Melbourne: "La musica è tutta sul sesso. Riguarda la tensione e il rilascio, l’ansia e la
moderazione, la gratificazione e la generosità, il controllo e la resa, e tutte le altre forze
che si oppongono con delicatezza in un armeggiare più o meno aggraziato verso l'estasi"
(GUSTAVSEN, 2010, p.7, trad. nostra).
Ecco perché jazz e jazzing si riferiscono sia alla intimità dell'anima in una
performance solista che all’intensità delle relazioni in una jam-session. L'erotismo del
jazz è riconoscibile anche nella forma dell’esecuzione musicale che è evidente nelle
performance jazzistiche, che sono chiaramente arricchite dalle tensioni psicofisiche dei
musicisti orientate verso opposizioni dialettiche: momento vs durata; differenza vs
identità; gratificazione vs frustrazione; stabilità vs stimolazione; vicinanza vs distanza
(GUSTAVSEN, 2010). Quando queste opposizioni sono "congelate", il jazzing – inteso
appunto come esperienza del jazzare – è in pericolo; quando invece il dilemma tra gli
opposti crea flussi, il pieno potenziale dinamico della jazzing emerge. Pertanto, non è un
caso che jazz inneschi sempre un processo creativo, o meglio, una dimensione
generativa di condivisione nel fare musica che dà origine a nuove melodie e esperienze
sonore, plasmando ogni volta qualcosa di originale che modella al contempo chi le dà
forma (che, entrando nella dimensione educativa chiameremmo formatori) per sempre.
Così, si comprende come il significato proprio di jazz, punti più al potenziale
creativo umano che al potere demiurgico degli uomini, in un modo che rimanda ad una
femminilità che da sempre nel jazz viene celebrata e coinvolta. Con questo in mente,
jazzing appare più un modo di essere e di fare legato alla generatività, che la produzione
di un agente individuale. Jazzare significa ravvivare; un agire in cui il vigore, la
resistenza e l'accelerazione umani (tutti termini, questi, che sono evocati nel significato
gergale di jazzing) sono circondati da vitalità e animazione. Di conseguenza, nel jazz la
creatività non è mai onanismo autoreferenziale, ma sempre un divertimento
entusiasmante e condiviso.
La dimensione generativa del jazz compare anche nel significato gergale di
jazzing come confusione creativa entro cui si cela un ordine caotico, o un disordine
armonico3, che è ciò che si intende con l'espressione idiomatica "All that Jazz".
Tuttavia, jazzare è generare – ordine nel caos, disordine nell’armonia, deviazione dalla
melodia– ma non è creare dal nulla. La generatività jazzistica emerge quando le
opportunità offerte dal momento in cui vengono provocate dal ricordo di modelli, che
sono intenzionalmente sfidati dalle infinite alternative di variazione. La variazione - di
ritmi, sequenze, catene, riff o fraseologie - è la tecnica principale che genera
innovazione e novità nel jazz, senza danneggiare la spontaneità. Possiamo anche dire
che nel jazz la generatività si trova esattamente tra tecnica e spontaneità (SANTI, 2010),

3
Vedi la traduzione italiana del volume di F. Barrett (2012).
ed è sempre in perfetto equilibrio tra arte e cuore4 (PILC, 2012). Sono proprio il
sentimento e l’intuizione spontanei ad alimentare nuove idee nel jazz, mentre i musicisti
stanno dialogando con la loro memoria di colonne sonore del passato. Ciò significa che
la generatività del jazz è saldamente radicata nella provocazione rispettosa della
tradizione.
Questo è ampiamente riconoscibile nel forte impegno verso la ripetizione, la
copia e l’imitazione che si trova al centro della formazione jazz: solo attraverso la
ripetizione ogni musicista può trovare tutto ad un tratto, il proprio suono da suonare,
contribuendo all’improvvisazione del dialogo musicale, in cui composizione,
interpretazione ed esecuzione si mescolano nell'atto di suonare insieme (BENSON,
2003). Ripetere nel jazz significa appropriarsi del repertorio di base della cultura e della
comunità jazzistica, che vengono poi trasformate, contestate e persino negate per creare
neologismi nel vocabolario jazz.
2. Il jazz è fusion. "Fusion" nella tradizione è un tipo di musica che combina e
mescola elementi dissimili provenienti da generi diversi, come è accaduto negli ultimi
decenni con il pop-rock-funk e jazz. Di fatto molti studiosi concordando nell’affermare
che "tutto il jazz è fusion" (BROWN, 1986). Si può dire, usando la già citata
espressione idiomatica, che la fusione è proprio "All that Jazz". Abbiamo ricordato
prima, come il jazz abbia sempre assorbito le influenze da ogni parte e che l'atto di
"fusione" non è limitato ad un breve periodo della sua storia. Pertanto, siamo in grado di
fare riferimento al "Fusion" come ad un invito generale a fondere stili interculturali,
tecniche educative multiple e a teorie e pratiche alternative. Fusion implica l'abbandono
della "purezza", aprendo alla contaminazione e la promiscuità. Fusion è un processo di
mescolamento in cui il prodotto finale è più della somma delle parti; fa emergere nuove
identità in cui la memoria degli elementi misti è mantenuta nel processo di
miscelazione. Tutto il jazz è fusione che coinvolge artisti nella miscellanea di tutto ciò
che amano della musica con cui sono cresciuti con l'aggiunta di tocchi contemporanei;
incorporano timbri e trame di musica dance elettronica, utilizzando sia pezzi composti
che improvvisazioni, non solo per riflettere sulla tradizione dei vari vocabolari costruiti
in oltre 90 anni di storia, ma con la volontà di incorporare i suoni di oggi in un modo
che risponde ugualmente sia alle aspirazioni artistiche, che alle preoccupazioni
commerciali (SHEARN, 2013).
3. Il jazz è free. Porre la libertà tra le peculiarità del jazz può sembrare scelta
banale o comunque non dirimente, ritenendola caratteristica fondamentale di molti
generi o attività musicali. Eppure il “Free Jazz” è una forma unica di musica popolare
con forti radici libertarie e una chiara ispirazione eterodossa. D’altra parte, la funzione
generativa jazzing, di cui abbiamo già parlato, è strettamente legata alla libertà interiore
e all’eterodossia costitutiva del jazz. Naturalmente, qui non intendiamo riferirci solo al
"Free Jazz", ovvero allo stile di musica che è emerso negli Stati Uniti nel corso degli
anni ‘50, ma alla libertà come condizione e linfa che sta alle origini del jazz, musica
nata come grido di liberazione degli schiavi africani dalle catene del colonialismo.
Analogamente, le catene delle note troppo vincolanti sono state infrante. La lotta per la
libertà è infatti riconoscibile nel “Free Jazz” anche come necessità di rompere le catene
sonore tradizionali e di esplorare nuove scale armoniche e paesaggi melodici. In questo
senso, jazz è eterodossia – aspetto riconoscibile nella formazione jazz tradizionale - un
ottimo antidoto contro l'istruzione canonica e un potente anticorpo contro la pedagogia
accademica, in cui l'insegnamento e l'apprendimento sono ridotti alla riproduzione
"puro" di vie classiche e la ripetizione dello standard contenuto. Essere liberi di
4
L’espressione originale di Pilc “between art and heart” è sicuramente più evocativa e di effetto nel
rendere lo spazio della generatività jazzistica.
trasgredire le regole fissate non vuol dire essere totalmente liberi da un quadro di regole
e norme, ma fa liberare il sistema dal rischio di diventare un dogma, con quadri estetici
fissi all'interno di vincoli rigidi e criteri per giudicare risultati prevedibili.
Come molti musicisti jazz riconoscono della loro esperienza jazzistica, l'anima
del jazz emerge quando il solista e/o il gruppo esperimenta fuori dalla “confort zone”, di
agio e successo assicurato per esplorare altri spazi entro quello che il batterista
newyorkese Jimmy Weinstein chiama un "safe creativity environment" (WEINSTEIN,
2015). Il paradosso necessario alla creatività jazzistica è quello di essere libera entro un
contesto "safe", cioè protetto più che "a norma di sicurezza". L’ambiente protetto
contiene la ricerca, senza limitarla; apre varchi, senza produrre voragini. La
meravigliosa espressione di Steve Lacy "saltare nel vuoto" rende bene l’idea del
coraggio che serve alla creazione, ma anche dell’ebrezza che accompagna il rischio; è
questa la pretesa, per se stesso e per gli altri, che Miles Davis rinnovava ad ogni
esibizione: dover giocare sempre quello che ancora non si sa. Libero da ciò che sai e
libero di conoscere diversamente. Libero significa dunque aperto: all'esplorazione, alla
deviazione, ai rischi, a commettere errori (non ne esistono! Affermava Davis), e
all'incertezza. Libero significa anche fluente, flessibile, plastico e modificabile: free è
ciò che è libero di assumere nuove cornici e quadri di riferimento. La libertà è anche
un'opportunità e un impegno per un pensare e agire “provvisorio”, ma non casuale, che
implicano l'assunzione di responsabilità per i nostri tentativi e di essere liberi di
partecipare all’esplorazione e alla sperimentazione. In questo senso il “Free Jazz” è
stato anche aperto a una vera democrazia nel suonare, dove tutti gli strumenti - non solo
quelli a corde, come ad esempio il pianoforte e la chitarra - possono avere il tempo e lo
spazio per esprimere le loro sonorità e voci, decidendo quando ritirarsi e lasciare
opportunità agli altri. Una democrazia free, che è anche gratuita, non nel senso che non
costa niente, ma che tutti la possono acquisire.
4. Il jazz è swing. Così come per il “Fusion Jazz”, anche con “Swing” di solito ci
si riferisce ad un genere musicale inventato da afro-americani durante 1920, ma qui
useremo il termine come una parola nel vocabolario jazz che lo caratterizza in generale.
L'immagine dell’altalena cui si riferisce il termine swing è essenzialmente giocosa e
piena di divertimento. Viene associata alle dinamiche del libero andirivieni, che
richiama l’esperienza fisica del passare del tempo, il ritmo pendolare e l’alternanza,
combinata con il movimento intenzionale di un corpo e la sua forza. L'intenzione e il
desiderio di “oscillazione” sfugge all'inerzia del “penzolare”, è ciò rende oscillare un
tempo e uno spazio di eccitazione ed entusiasmo. Dondolare è anche un'immagine
femminile; un’icona del piacere istintuale come si percepisce nel vuoto (o gravido) della
pancia, più che in una mente piena. L'enfasi data alle battute in levare è anch’essa
connessa al significato di base dello swing e del suo movimento saltellante. Inoltre,
l’altalena sembra coincidere con la percezione essenziale del ritmo e della sua bontà,
mentre lo ascoltiamo nel fare musica. Lo swing è sia una sorta di intuizione
"inconfondibile" in quello che sta succedendo e un chiaro giudizio sulla qualità del
flusso creato dalle voci diverse. Lo swing ci dice che "si sta giocando" senza
mentalismi, eppure include le componenti intellettuali di tale valutazione (PILC, 2012).
E 'emblematica a questo proposito l’affermazione di Duke Ellington "Non significa
niente se non c’è lo swing", titolo di un suo brano del 1931, diventato poi uno standard.
Il significato gergale di swing è ricco e molto interessante dal punto di vista educativo:
suggerisce la dinamicità interna di un processo; ricorda i turni di conversazione; esprime
la tensione dei dilemmi all'interno della dialettica educativa così come in quella jazz, la
cui percezione conferisce potenziale al flusso musicale così come a quello educativo.
Ma la cosa più importante è il bisogno fondamentale di "umanizzazione" del tempo che
lo swing esprime, che si mostra quando - come Marsalis (2008) ha suggerito - i tempi
"diversi" del suono, del soggetto e degli altri diventano "il nostro tempo". Ma questo è il
groove.
5. Il jazz è groove. Groove è la traccia a spirale incisa su un disco in vinile che
segue la puntina. In un senso più ampio, è il corso (perché no: il curricolo?) in cui tutti i
suonatori, gli strumenti, le note, i punti e contrappunti, si susseguono e trovano un
flusso. Groove esprime metaforicamente un flusso comune, una direzione condivisa,
un’intenzione e intensione reciproche, raggiunte in quanto ricercate mentre si fa jazz. Il
groove è al centro del processo musicale ed ciò che ci permette di percepire la musica
come un processo e la sua unità globale. Groove è una sensazione positiva che
accompagna il raggiungimento della soddisfazione, senza però ammorbidire la tensione
della dialettica. Nonostante la sua ermeneutica sessuale, il solco è, in fondo, l'ascolto di
ciò che viene detto mentre viene detto. Ma è anche guardare ciò che sta accadendo e
decidere all’istante per garantire che accada, toccando e gustando l'evento con tutti i
sensi all'erta. Inoltre, solco significa condividere sensazioni e azioni che confluiscono in
un corso che unisce e produce sintonia. Il groove contiene componenti intersoggettive e
interazionali, che portano ad un senso intrapersonale di pienezza. Per questo il groove
prevede la collaborazione e la cooperazione, il sostegno reciproco e la creazione di ponti
e ponteggi per garantire che ogni singolo individuo coinvolto senta il flusso e si impegni
nella sua fluidità. Il groove si sente, si trova, si mantiene. Groove è l'espressione e la
condizione di ciò che Sawyer (2007) chiama "il genio del gruppo" e di ciò che
Alterhaug mi suggerì in una conversazione, dicendomi che bisognava "cercare di essere
allo stesso tempo con me se stessi e con gli altri", per lasciare, infine, se stessi dietro,
entrando a far parte di qualcosa di più grande; di ciò Pilc definisce "un'onda musicale"
(PILC, 2012).
6. Il jazz è soul. Il “Soul” è un altro modo fare jazz di origine afro-americana,
ispirato al blues e al gospel, per piccoli gruppi di strumenti e teso a far toccare il livello
più profondo di intimità ai musicisti mentre suonano insieme. Ma questo termine evoca
e comprende anche un tratto fondamentale della musica jazz, che bilancia la
componente di disordine e di caos che gli viene associata. Soul sembra, infatti, essere un
termine più adatto al dominio individuale della vita spirituale, con le connotazioni
religiose connesse, che però sfugge ad ogni forma di dogma. Si tratta piuttosto di una
forma di conoscenza pervasa da una componete visionaria e intuitiva, eppure in grado di
ispirare un riconoscimento più autentico e più saggio di sé, della vita e dell'umanità.
Soul significa anche pace, non però come quiete, bensì come uno stato dinamico che
viene continuamente alimentato dall’agire con una disposizione armoniosa verso gli
eventi e le persone verso le quali ci si sente impegnati. La dimensione soul del jazz
implica e richiede sincerità ed è questo ciò che rende il fare jazz un gioco credibile.
7. Il jazz è cool. Raffreddare sembra essere la controparte delle calde e colorate
qualificazioni che vengono attribuite alla musica e all’esperienza jazz; cool è fresco e
rarefatto ed è ciò che ci ricorda che “jazzare” significa anche diminuire, ridurre e
togliere l’eccesso. Nel jazz cool implica alleggerire per raccogliere; placare per liberare.
In realtà, il “Cool Jazz” era nella tradizione uno sviluppo del Free Jazz e i protagonisti
di questo movimento si sono impegnati appunto nella rarefazione del paesaggio sonoro,
al fine di rivelare le linee delicate del discorso melodico.
Le catene e scale armoniche vengono dilatate, ampliate, allargate e stressate così
da creare spazio tra gli strumenti e dare loro il tempo di parlare. L'atmosfera che si crea
è quella dell’alba e del tramonto, quando le ombre sono più lunghe ed i suoni sono più
leggeri. Ciò mantiene l'esperienza fresca, non fredda e capace di aprire un orizzonte di
possibilità.
8. Il jazz è impromptu. Impromptu significa letteralmente, nella sua etimologia
latina, ciò che è imprevisto, estemporaneo, fatto o detto senza una preparazione
preventiva che ne definisca i contorni e contenuti; in una parola improvvisato. Poniamo
alla fine il tratto improvvisativo del jazz, perché, pur basilare, esso in qualche modo
richiama e riempie tutti gli altri e li orienta verso la performance unica e irripetibile che
motiva lo stesso jazzare; che è poi uguale a quella del vivere. E’ un tratto complesso,
che non è riconoscibile in modo univoco e non dona uniformità al jazz, pur essendo la
condizione che genera l’unisono. Consideriamo l'improvvisazione il tratto jazzistico più
difficile da definire, eppure il più facile da capire. Ognuno di noi è sta, in fondo, sempre
improvvisando; ciò che il jazz fa è solo mettere questa componente evolutiva dell’essere
- e della vita - al centro della propria esistenza.
Possiamo dire che l'improvvisazione è il processo, la procedura e il prodotto
connaturale al jazzing; durante l'improvvisazione, la dimensione genetica incontra e
soddisfa i vincoli ambientali e ha l'opportunità di creare nell’istante "fenomeni
musicali" imprevedibili e irripetibili.
Lungi dall'essere il frutto della spontaneità, la natura dell’improvvisazione è
quella di Giano, il dio romano bifronte: ha le sue radici in modelli e sequenze
algoritmici ben memorizzati ed è nutrita nell’istante dall'istinto, dall'intuizione e
dall'ispirazione. Infatti, "la spontanea improvvisazione musicale nel jazz dipende da una
sostanziale impalcatura cognitiva che permette la generazione in tempo reale delle
strutture creative" (HODGSON, 2006). Questo mette in evidenza quanto sia
fondamentale l’"apprendimento" che sta dietro improvvisazione, in quanto si basa sulla
dedizione e lo studio necessario per conoscere i diversi modelli e sulle tecniche di
internalizzazione. Tuttavia, dimostra anche che il virtuosismo non è sufficiente a creare
qualcosa di nuovo in quel momento. L'improvvisazione non è solo una risposta
"reattiva" ad un problema, anche se una buona improvvisazione è sempre una risposta
adattativa di successo ad un cambiamento. In qualche modo, l'improvvisatore adotta
anche un approccio “ex-attivo” all'attività in corso, aprendo se stesso verso la nascita di
un'esperienza alternativa e ritirandosi dal depauperamento della ripetizione e della
routine. Il paradosso del processo e procedimento di improvvisazione è l'importanza che
gioca la ripetizione e la routine all’emergere della creatività. Sebbene improvvisare
comporti un approccio e una disponibilità mentale aperti alla rottura delle routine e delle
regole, Johnson-Laird ha sottolineato che "ci sono molti modi per rompere le regole di
qualsiasi genere: quasi tutti sono poco interessanti ed esteticamente poco attraenti. La
genialità ha bisogno di sapere di più e di avere questa conoscenza in una forma che
consenta di controllare la generazione di nuove idee" (JOHNSON-LAIRD, 1991). Il
livello a cui quel "controllo diverso" deve essere vissuto e fatto proprio
dall’improvvisatore è difficile da identificare. Probabilmente durante l'improvvisazione
abbiamo diversi livelli di attività e agentività che richiedono elaborazioni algoritmiche
in tempo reale. Ciò rende l'improvvisazione un processo largamente dipende sia dalla
linearità che da eventi stocastici in cui la capacità dell’improvvisatore di improvvisare
nuove melodie che si adattino alla sequenza di accordi è fondamentale, costosa e basata
su una doppia e simultanea creatività: vale a dire, la creazione di sequenze di accordi
per l'improvvisazione e la creazione di improvvisazioni melodiche in tempo reale
(JOHNSON-LAIRD, 2002). Questa è la descrizione perfetta di come l’improvvisazione
assomigli alle principali funzioni e caratteristiche del cervello umano come
multitasking, polimorfismo, plasticità e modificabilità sistemica, che dovrebbero stare
alla base di ogni processo educativo mirato a potenziare la generatività nello sviluppo
umano. Come ha osservato Pilc, quando la musica incontra la vita reale non si può non
essere affascinanti da esempi di 'multitasking misto', in cui il cervello elabora
simultaneamente arte e realtà senza alcuna traccia di interferenza o di confusione tra i
due (PILC, 2012). Quando questo accade durante l'improvvisazione, la musica che ne
esce passa attraverso i musicisti con la minor resistenza possibile; ma al contempo i
musicisti sfidano e cambiano la musica con sicurezza e fiducia nell’alternativa e nel
sostegno dell’ambiente circostante. Inoltre improvvisazione è un'attività multitasking
che mette insieme l'attenzione alla personalità del performer con l’attenzione alla
qualità particolare della performance, con la sensibilità ad una performatività altamente
collettiva.
La complessità intellettuale dell'improvvisazione non ne pregiudica la sua
spontaneità, con tutta l’emotività e l'umorismo che essa richiede. Abbiamo già citato la
componente di fiducia necessaria per improvvisare, ma il coraggio, la meraviglia, la
simpatia e l'empatia sono altrettanto fondamentali e devono essere promosse e
sostenute, anche sul piano educativo.
Per quanto riguarda i processi di apprendimento coinvolti nell’improvvisazione,
molti studi si concentrano sul ruolo dei flussi informativi e l'interazione di azione-
apprendimento come l’esito di un’organizzazione che risponde a un ambiente mutevole,
complesso e/o ad una crisi (CHELARIU; JOHNSTON; YOUNG, 2002). Quindi,
l'apprendimento jazz può essere considerato come un processo intercambiabile di
"imparare ad improvvisare" e "improvvisare per imparare", nel quale la deviazione dalla
pratica o dalla conoscenza (ROGERS, 1983) già presente è necessaria, in circostanze
problematiche caratterizzate da incertezza e dinamismo. Si potrebbe addirittura
sostenere che “si impara improvvisando” e che “si improvvisa imparando”.
Considerata in questo modo, siamo in grado di differenziare meglio
l'improvvisazione da altre attività creative. La differenza sembra risiedere proprio nella
prossimità tra la pianificazione e l’agire in un determinato momento che, espresso in
termini musicali, significa la simultaneità tra composizione ed esecuzione. Su questo
punto diversi autori si sono espressi in modo alternativo: mentre Moorman e Miner
(1998a, 1998b) presentano l'improvvisazione come uno stato di pianificazione in cui la
composizione e l'esecuzione convergono nel tempo, Weick (1987) afferma che
nell'improvvisazione la pianificazione strategica e l'azione sono parte integrante l’una
dell’altra. Mintzberg (1994), tuttavia, va oltre, sostenendo che può essere l’azione stessa
a guidare la composizione di un piano e l’improvvisazione è parte integrante della
progettazione e dell’azione.
Inoltre, l'improvvisazione dovrebbe essere considerata sia come un processo sia
collettivo che individuale che emerge da attività multilivello - in cui variano di grado sia
i rapporti che i network (ANDERSON et al, 1994). Anche la multidimensionalità è
considerata come una caratteristica comune delle diverse forme di improvvisazione.
Moorman e Miner (1998b) hanno proposto un modello in cui la novità, la velocità e la
coerenza interna ed esterna sono dimensioni chiave che emergono e interferiscono
reciprocamente durante l'improvvisazione individuale o collettiva. Chelariou et al.
(2002) sottolineano chiaramente che "al centro del processo di improvvisazione c’è
l'apprendimento, dal momento che l'improvvisazione richiede una valutazione continua
delle attività e dei risultati e la loro modifica, se necessario. L'apprendimento è un
processo che coinvolge la scoperta, la conservazione e la valorizzazione delle
conoscenze memorizzate. Nell'improvvisazione l’apprendimento è, verosimilmente,
continuo e circolare, e si presenta nell’istante stesso in cui avviene l’improvvisazione,
venendo immediatamente utilizzato come parte del processo" (Ibid., p.142).
La circolarità emerge quindi come una caratteristica comune sia
all’improvvisazione che all’apprendimento, in quanto "l'improvvisazione è un processo
circolare di apprendimento che avviene attraverso lo spostamento e l'elaborazione delle
informazioni, agendo su quell'apprendimento col risultato di apprendere di più"
(ibidem). Il "di più" che si apprende durante l'improvvisazione corrisponde alla quantità
di nuove conoscenze a disposizione e al suo potenziale trasformativo del nostro
comportamento e agentività (SIMON, 1969). L'apprendimento può anche essere il
risultato dell’improvvisazione, che implica la scoperta e il mantenimento delle
conoscenze (MOORMAN; MINER, 1998 b) o della lezione tratta dall’esperienza
improvvisativa, che entra a far parte della nostra memoria organizzativa (WEICK,
1987). In realtà, l'improvvisazione può essere vista come una forma di deviazione dalla
prassi esistente o la conoscenza (ROGERS, 1983) che emerge da circostanze
problematiche o di esplorazione con opportunità a breve termine. Pertanto, il
riconoscimento degli errori, la sensibilità alla sfida e la curiosità verso la novità,
guidano il comportamento flessibile e il processo decisionale spontaneo
nell’improvvisazione. In poche parole, l'improvvisazione è "praticare l'ignoto" (PILC,
2012). In quanto processo che rompe volutamente la continuità con le modalità esistenti
di pianificazione esplicite, l’improvvisazione implica anche una disposizione ad
abbandonare la nostra "confort zone", così come si abbandona la dipendenza dai piani
predefiniti e le soluzioni precedentemente testate, facendo i conti con lo sforzo che
comporta pensare "fuori dagli schemi" (MOORMAN; MINER, 1998a).
Come ha osservato Senge (1990), nel contesto dell'improvvisazione,
l'apprendimento può essere adattivo e/o generativo: in entrambi i casi, assumere rischi,
violare norme e mettere in discussione le conoscenze, sembrano essere i componenti di
base, che paradossalmente emergono dalla fiducia nella routine, nella tecnica sicura e
nella memoria di informazioni solide. Così l'improvvisatore è sia un pensatore ingenuo
che un saggio, sia un professionista principiante che un esperto. Questa è l'antinomia
che porta Chelariou et al. (2002) ad affermare che esiste una interdipendenza tra
"imparare l’improvvisare" e "improvvisare l’imparare".

Postludio
Gli otto tratti dell’improvvisazione che abbiamo considerato mostrano in modo
più o meno evidente la loro natura cognitiva complessa, riferibile ad un’idea di
cognizione “calda”, fatta di intuizioni, concetti, decisioni, emozioni e fisicità. Tutte
queste componenti dell’esistenza umana sono oggetto e meta dell’azione educativa e
non possono essere ignorate nelle pratiche di insegnamento e apprendimento sia formali
che informali. Eppure le componenti educative dell’improvvisazione sono tanto evidenti
quanto trascurate nella pedagogia tradizionale, che necessita di essere esaminata in tal
senso e rivisitata in modo ben più dettagliato di quanto sia possibile nell'ambito di
questo saggio, ma che comunque vale la pena di mettere in luce. Se apprendere è
improvvisare imparando e imparare improvvisando, una prima forte implicazione sul
jazz come nuova metafora per l'educazione si va delineando con successo e ci induce a
tentare l’analogia con i tratti di una nuova pedagogia jazz.
Una pedagogia jazzing potrebbe significare semplicemente una pedagogia che
dice "sì", accettando di esplorare un ideale generativo di educazione in cui ciò che conta
di più nell'attività è il modo di plasmare invece della forma predefinita e preordinata da
ottenere. Ciò potrebbe implicare, ad esempio, che non possiamo sapere in anticipo ciò
che gli insegnanti devono sapere, al fine di insegnare; né quello che gli studenti hanno
bisogno di sapere per imparare; che le finalità e i contenuti dell’istruzione emergono dal
contesto di esperienze condivise di pensiero, in cui ciò che è interessante sapere viene
generato dal processo di formazione ed emerge in modo creativo come dimensione
comunitaria del vivere insieme. Le tecniche di insegnamento - con le loro priorità e
vincoli - coesistono con gli interessi pedagogici e gli scopi spontanei, per trovare un
nuovo suono per ogni studente in classe e per la polifonia della classe nel suo insieme.
Una pedagogia fusion, fonde così intenzionalmente diverse teorie, modelli,
progetti, metodologie, strumenti, approcci per l'insegnamento e l'apprendimento,
proveniente da contesti pedagogici e da culture alternativi, cercando nell'educazione
interculturale e inclusiva le opportunità e le condizioni dello sviluppo umano e della
crescita personale. Secondo tale determinazione, una pedagogia fusion dovrebbe essere
la risposta educativa per la biopsicosocio-diversità e la complessità (BEN-JOSEF,
2005). Una pedagogia fusion dice "sì" alle differenze; e dire "yes to the mess"
(BARRETT, 2012, tr.it 2013), accogliendo il disordine armonico, può divenire anche il
motto della progettazione didattica e della leadership educativa, considerando il
disordine come un'opportunità per la nascita di nuove armonie anche nel curricolo.
La condizione per esplorare alternative è la libertà. Una pedagogia free
assomiglia all'aspirazione emancipativa delle origini del jazz e alla disposizione
all’heterodoxia e eteroglossia che rimane alla base della progressione tipica del jazzing.
La pedagogia free non è dunque del tutto riconducibile ad una pedagogia libertaria - già
incarnata nella tradizione dell’educazione popolare da figure come Freire - e nemmeno
esclusivamente una "pedagogia per la libertà" come rintracciabile in molta pedagogia
attivista da Freinet a Manzi, fino a Lodi e Milani. Una pedagogia free incarna
soprattutto la libertà di mettere in discussione i quadri e le tradizioni pedagogiche,
impregnate di monologismo nell’insegnamento e dell’apprendimento, per cambiarli. In
un periodo di crisi dei paradigmi tradizionali com’è quello attuale, questa libertà
radicale diventa la condizione principale dello sviluppo umano. E’ la libertà che rende il
maestro ignorante - perché libero dal sapere - per poter essere ogni volta inventore della
sua pratica educativa - per non ridurla al ripetere il programma- e improvvisatore per
cogliere l’ebrezza dell’educare proprio nello spazio e tempo unico e irripetibile della
relazione con gli allievi. Allievi che a loro volta imiteranno in ciò i loro maestri, per
superarli5.
Libero non è senza relazioni. Al contrario, la pedagogia swing ricorda ad
insegnanti e studenti, ad educatori ed educandi, che l'educazione e l'istruzione non
accadono al di fuori del dialogo e degli scambi dialogici. E’ esattamente quello Wegerif
(2012) ci ha suggerito con la sua teoria dialogica del pensiero e ciò che il suo quadro di
riferimento propone come antidoto al monologismo, sollecitando il movimento
altalenante della conversazione e del confronto tra voci.
La pedagogia groove aggiunge al dialogismo la polifonia delle voci che creano il
flusso, l'onda in cui una jam-session trova il ritmo comune, che è più della somma dei
monologhi dei singoli musicisti. In termini didattici, trovare il solco potrebbe
significare trovare il “curricolo reale”, il "taglio" più interessante e significativo da dare
al flusso dell’insegnamento tra le molteplici linee di possibili offerte dalle discipline. Le
materie e gli ambiti di conoscenza possono essere considerati come dei "repertori" di
modelli sedimentati nella cultura disponibili e pronti ad essere messi in discussione
entro un insegnamento e apprendimento jazzing. Certo, non è un'impresa facile essere
impegnati continuamente in una jam-crescita volta non a riprodurre standard, bensì a
cercare impromptu. Ha bisogno di interesse, la motivazione, la resistenza e la passione.
In una parola, ha bisogno di un’anima soul.
La pedagogia soul pone l'accento sulla dimensione spirituale della formazione,
considerandola non solo come un processo di conoscenza orientata ad un fine, ma come
un’esperienza di crescita interiore dentro un’impresa condivisa.

5
Si veda, su questo tema, il capitolo in pubblicazione: Kohan, Santi, Wozniak (2016).
Una pedagogia diventa cool quando aspira all’essenziale e in questo si assimila a
molte avanguardie. In realtà "trendy" è un altro significato di "cool" nel linguaggio
gergale, che implica essere proiettati verso il futuro e le nuove tendenze. Lo stile
“fresco” di una pedagogia cool con la scioltezza dei suoi vincoli, facilita i viaggi in
territori inesplorati attrezzati con zaino leggero.
E’ questa l’attrezzatura che serve ad una pedagogia improvvisante, che fonde in
modo mirabile tutte queste caratteristiche insieme, in un tratto sostanziale e multiforme.
Tomlinson e Germundson (2007, p.27), confrontando l'insegnamento al jazz, affermano
che:
Anche l’insegnamento fa la sua musica con gli elementi che l’insegnate ha a
disposizione, fondendoli in modo da garantire un suono unico, coinvolgente e
memorabile. Per far questo occorre riconoscere che ci sono diversi ritmi in
aula. Soprattutto, l’esigenza più grande dell’insegnamento è
l’improvvisazione.
La diversità torna di nuovo come l’essenza che accomuna il jazz e l’educazione.
Nei contesti formali come la scuola, un’istruzione jazzlike si traduce in didattica
differenziata in cui ogni attività viene orientata al successo, viene mossa dalla sensibilità
ai contesti e si muove verso ciò che gli studenti trovano veramente importante.
Tomlinson (2001, p. 19) così descrive come buon insegnante dovrebbe assomigliare ad
un musicista jazz:
L’improvvisazione si associa ad un elevato livello di competenza musicale
per consentire al musicista jazz di pensare sia dentro che fuori dagli schemi.
Il musicista jazz ha il quadro generale, ma può aggiungere nuove note,
cambiare il tempo, fare un passo indietro per consentire al solista di avere i
riflettori su di sé, o farsi avanti per diventare il solista sotto i riflettori.

Il curricolo stesso diventa un'opportunità per creare nuove melodie in aula,


armonizzando le suggestioni derivanti dai contenuti disciplinari con la smania a mettere
in discussione la conoscenza. Di conseguenza, "l'insegnamento diventa un'arte quando
l'insegnante è colpito dal potere che ha il curricolo di nobilitare una vita e dal bisogno
degli studenti di quella dignità" (ibid., p. 29). In particolare, ciò di cui il maestro ha
bisogno e che rivela all'interno di una prospettiva di apprendimento basato sulla ricerca,
è la capacità di modulare le attività in corso nell’aula con le competenze professionali e
le tecniche che ha acquisito nella sua formazione professionale, improvvisando atti
didattici in cui sono coinvolte molteplici strutture pedagogiche e disciplinari nella
gestione nel momento (TOCHON, 1993).

Che dire, dunque, se non “Largo al jazz!”


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