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IN CORSO

D’OPERA
ricerche dei
dottorandi
in storia dell’arte
della Sapienza

2
a cura di
Claudia Di Bello
Riccardo Gandolfi
Monica Latella Campisano Editore
Il volume è stato finanziato con i fondi del Dottorato di Ricerca in Storia dell’arte
della Sapienza Università di Roma, coordinatori prof. Alessandro Zuccari e prof.ssa Manuela Gianandrea.
Il testo ha superato la procedura di accettazione per la pubblicazione
basata su meccanismi di revisione soggetti a referees terzi.

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Progetto grafico
Gianni Trozzi

© copyright 2018 by
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00155 Roma, viale Battista Bardanzellu, 53
Tel +39 06 4066614
campisanoeditore@tiscali.it
www.campisanoeditore.it
isbn 978-88-85795-25-9
IN COR SO D’OPER A
Ricerche dei dottorandi
in Storia dell’Arte della Sapienza
a cura di
Claudia Di Bello, Riccardo Gandolfi, Monica Latella

Campisano Editore
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare il Comitato organizzativo di In corso d’opera 2.
Giornate di studio dei dottorandi in Storia dell’Arte della Sapienza
(Sapienza, Università di Roma; Fondazione Marco Besso; Accademia di
San Luca, Roma 21-23 aprile 2016) con il quale abbiamo condiviso gli esordi
di questa esperienza. I Coordinatori del Dottorato di Ricerca, Manuela
Gianandrea e Alessandro Zuccari, e il Collegio docenti per aver sostenuto
con entusiasmo questa iniziativa. Un sentito grazie va agli autori dei saggi
qui raccolti, ai colleghi e ai docenti intervenuti nel corso delle Giornate di
Studio. Desideriamo ancora ringraziare i curatori del precedente volume,
Michele Nicolaci, Matteo Piccioni e Lorenzo Riccardi, per i preziosi
consigli. Siamo grati all’Accademia Nazionale di San Luca e alla Fondazione
Marco Besso per la generosa ospitalità.
Indice

pag.
7 Nota dei curatori
8 Presentazione dei Coordinatori del Dottorato
9 Saluto del direttore del dipartimento
11 Claudia Di Bello, Le sculture della Fatih Camii a Trilye: una tappa
significativa nel processo di transizione verso la plastica mediobizantina
19 Alessandra Avagliano, Manso dux et patricius hoc fieri iussit: la produzione
scultorea ad Amalfi nel x secolo e la committenza del duca Mansone
27 Margherita Tabanelli, Unica, alta et oblonga nave ad modum crucis extructa.
Nuovi dati sulla cattedrale normanna di Lipari dalle visite ad limina
Apostolorum dell’Archivio Segreto Vaticano
35 Maria Federica Manchia, La scultura architettonica di ambito verginiano tra
xii e xiii secolo
43 Valeria Danesi, Il monastero di Sant’Angelo di Panzo presso Assisi.
Un luogo di memoria di Santa Chiara.
51 Nicola Caroppo, Per una prima ricognizione degli arsenali di Salerno del xiii
secolo: tipologie architettoniche a confronto
59 Vera Paladino, Il paradosso trisultino: quando la dispersione è una risorsa per
la ricerca storica
69  Gianni Pittiglio, Commentare Dante per immagini. I canti xi e xii
del Paradiso tra scene analettiche e un motivo iconografico fortunato
77 Silvia Leggio, «Expectata ex Chio, et Constantinopoli volumina»:
libri greci nelle collezioni genovesi tra xiv e xvi secolo
87  Alessandra Aloisi, Facciate dipinte su edifici di proprietà delle confraternite.
A proposito di via del Pellegrino a Roma
97  Monica Latella, Grisaille e Antico Testamento: ipotesi sull’origine
dell’utilizzo della pittura a monocromo nelle rappresentazioni bibliche
107 Giulia Daniele, Sul viaggio di Prospero Fontana in Francia.
Un primo documento e qualche riflessione
115  Pier Ludovico Puddu, Girolamo Muziano: due dipinti ritrovati
123  Tancredi Farina, Gillis van den Vliete e la comunità tedesca della chiesa
di Santa Maria dell’Anima
131  Riccardo Gandolfi, Gaspare Celio e la nascita della pittura di battaglia a Roma
139  Guendalina Patrizi, L’Accademia e il ruolo dei pittori “periti” tra xvi e xvii secolo
6  indice

pag. 151 Jacopo Curzietti, Spunti e tracce documentarie per l’arrivo a Roma del nucleo
familiare di Antonio Raggi e un’ipotesi sulla sua prima formazione artistica
161  Cecilia Paolini, Le rappresentazioni delle Kunstkammern: le citazioni dei
dipinti rubensiani degli Arciduchi delle Fiandre nei dipinti di xvii secolo
169  Stefania Ventra, Lo statuto della scultura tra Compagnia di San Luca
e Università dei Marmorari nel secondo Seicento a Roma:
riflessioni sugli artisti “aggregati”
179  Emilia De Marco, Un’ “Accademia del Silenzio”. Giovanni Battista Passeri e il
programma decorativo per la nuova Sala dell’Accademia di San Luca (1670)
189  Maria Maddalena Radatti, Abraham Genoels tra Roma e Parigi:
canoni per la bellezza del paesaggio alla fine del Seicento
197  Dario Iacolina, Giovanni Francesco Romanelli nell’Abrégé di Antoine-Joseph
Dezallier d’Argenville: il cortonismo “corretto” del viterbese nei disegni delle
raccolte francesi del Settecento
207  Valentina Rubechini, Appunti per una biografia di Giovanni Domenico
Campiglia (1691-1775)
215 Fabiana Borla, Alcune indagini sulla produzione di Francesco de Mura per la
corte spagnola
223  Elena Carrelli, Intorno ai Campi Phlegraei. Precisazioni sugli artisti delle Reali
Manifatture di Ferdinando iv di Borbone
231  Carmen Di Meo, Roger Fry ai microfoni della bbc: «The Meaning of Pictures»,
September-October 1929
241  Emanuela Iorio, La Rivista illustrata del Popolo d’Italia e «l’aristocratica
semplicità dello stile» della ‘nuova’ fotografia italiana
249  Caterina Capalbo, Attalo e Fellini in Roma città aperta: l’emblematico caso di
come il cinema neorealista si ispirò alla vignetta
259  Giulia Tulino, La galleria dell’Obelisco e l’esportazione in America dell’arte
fantastica italiana: la mostra itinerante Twenty Imaginary Views of the
American Scene by Twenty Young Italian Artists, 1953/1954
269  Riccardo Cuomo, Dall’opera aperta all’aperto operare. Il Piper di Torino
fra Arte povera e sperimentazioni cinetico-programmate
277  Miona Markovic, Il taglio, la ferita e il dolore nelle performance di Marina
Abramović nel periodo belgradese dei primi anni Settanta
285  Eva Staurenghi, Un excursus critico degli studi di Friedrich Wilhelm Deichmann
sugli spolia
295  Daniele Di Cola, Disegno e danza «guide migliori dell’erudizione».
Esperienze e metafore del corpo nel pensiero di Leo Steinberg
303  Michela Tornielli di Crestvolant, La curatela on-line. Nuove specie di spazi
311 Claudia Matera, Quando l’artista incontra l’imprenditore: una riflessione sul
rapporto tra l’arte e l’economia di oggi

323 Indice dei nomi


335 Indice dei luoghi
345 Referenze fotografiche
Commentare Dante per immagini.
I canti xi e xii del Paradiso tra scene analettiche
e un motivo iconografico fortunato
Gianni Pittiglio

Il presente articolo, stralcio di una più ampia ricerca dal titolo Le immagini
della Divina Commedia. Tradizione, deroghe ed eccentricità iconografiche tra xiv
e xv secolo 1, analizza alcune miniature del ms. Banco Rari 39 della Biblioteca
Nazionale di Firenze come occasione per una riflessione iconografica mirata
a metterne a confronto i soggetti e gli aspetti compositivi con la produzione
figurativa del poema dantesco e non solo, senza addentrarsi in questioni attri-
butive o cronologiche riguardanti il codice stesso.
Tra i numerosi motivi di interesse del manoscritto d’origine lombarda, indub-
biamente uno dei più importanti codici illustrati della Commedia realizzati tra
xiv e xv secolo, meritano un posto di rilievo le scelte iconografiche per i capi-
lettera miniati, già attribuiti alla bottega lombarda di Giovannino de’ Grassi e
oggi per lo più assegnati al cosiddetto Maestro del Libro d’ore di Modena 2.
La datazione ai primissimi anni del xv secolo è testimoniata dall’explicit al f.
461r, che riporta l’iscrizione mccc[c], mutila forse di un’altra cifra o poco più,
autorizzando a spingere la cronologia non oltre il 1401-02 o il 1410. Il commit-
tente “più accreditato” è Filippo Maria Visconti (1392-1447), conte di Pavia dal
1402 e duca di Milano dal 1412, come sembra dimostrare il monogramma fm
abraso sulla N[el mezzo del cammin di nostra vita] al f. 2r e il leopardo galeato,
simbolo visconteo, al f. 388v 3.
Nel ricco apparato decorativo rivestono particolare rilevanza soprattutto le
miniature che fanno da corredo al Paradiso, storicamente la cantica più ostica
da rappresentare per le sue stesse caratteristiche di “evanescenza figurativa” e
spesso, proprio per questo, terreno di invenzioni compositive e di hapax ico-
nografici. Costituiscono un interessante caso di analisi i capilettera dedicati ai
canti xi e xii, esemplari deroghe alla tradizione iconografica del poema e prove
tangibili del ruolo primario dei commenti nella scelta dei soggetti.
L’undicesimo canto del Paradiso è dominato dal racconto di Tommaso
d’Aquino sulla vita di Francesco d’Assisi (vv. 43-117): la narrazione di un
domenicano sulle origini del movimento francescano è speculare e opposta
a quella del canto successivo, in cui invece il francescano Bonaventura parla
di Domenico e dei domenicani. È per questo che diversi manoscritti deco-
rati con scene narrative mostrano la figura di Tommaso nel cielo del Sole a
70  gianni pittiglio

colloquio con Beatrice e Dante, rispettando così la “storia prima”, espressione


con cui ci si riferisce agli avvenimenti che si snodano durante il viaggio ultra-
terreno del poeta 4. Il codice di Firenze, invece, segue tale impostazione solo
in parte, per poi allontanarsene anche per motivazioni dettate dall’organiz-
zazione del suo apparato decorativo che, seguendo il commento di Francesco
da Buti (1385-95 ca.), posto a cornice del testo dantesco, dedica due capilet-
tera miniati per ogni canto, ad apertura di ciascuna delle due lectiones che il
critico pisano riserva ai capitoli del poema.
In Pd. xi le miniature (fig. 30) sono strutturate secondo un escamotage utiliz-
zato molto frequentemente in questo manoscritto e che prevede la bipartizione
dello spazio, cosicché i capilettera O [insensata cura de’ mortali] (v. 1) e L[a lor
concordia e i lor lieti sembianti] (v. 76) presentano in alto Tommaso d’Aquino,
riconoscibile per i paramenti vescovili, che parla con Dante e Beatrice, e in
basso alcune scene della vita di Francesco, da considerare a buon diritto “storie
seconde”, poiché frutto del racconto dei personaggi incontrati da Dante. Nel
caso specifico, peraltro, data la natura dell’argomento trattato da Tommaso, le
raffigurazioni rappresentano anche degli inevitabili casi di derivazione icono-
grafica dai cicli francescani.
Nella prima immagine la storia seconda inizia già nella metà superiore della
lettera, poiché a destra si vedono “i due principi” del v. 35, oggetto delle parole
di Tommaso, che Dante non solo non vede nel cielo del Sole, ma che non no-
mina nemmeno. È Francesco da Buti, infatti, a identificarli correttamente con i
santi Francesco e Domenico: «Due principi ordinò; cioè la divina providenzia
ordinò due principi a la sposa del suo figliuolo, in suo favore; cioè in favore del-
la sposa, cioè santo Francesco e santo Domenico» 5.
La stessa rappresentazione dei due santi vicini a Tommaso è inserita in altri
manoscritti: forse nel precedente ms. Egerton 943 (Londra, British Library, f.
146r) 6, nei pressoché contemporanei ms. 67 di Padova (Biblioteca del Semina-
rio, f. 238v) e ms. Thott. 411.2 di Copenaghen (Konig Bibliothek, f. 188r), e nel
successivo ms. Yates Thompson 36 (Londra, British Library, f. 148r) 7.
Tornando al capolettera del br 39, invece, in basso, al di là di una cornice di
anime raggiate che separa i due mondi, compare La rinuncia dei beni, indicata
da un gesto dello stesso Tommaso, in cui Francesco si sta spogliando al cospet-
to del vescovo di Assisi davanti ad una chiesa dalla quale, anacronisticamente,
escono dei francescani, ovviamente ancora non riuniti dal santo, qui ancora
nella fase iniziale del suo percorso spirituale.
Nella miniatura seguente le scene francescane aumentano: in alto viene ri-
petuto il cielo del Sole con il dialogo tra Dante, Beatrice e Tommaso; in basso
trovano posto L’approvazione della regola, La predica al Sultano d’Egitto e La
ricezione delle stimmate. In questa composizione, peraltro, sono rappresentati
anche Domenico e i domenicani, episodio che fa riferimento agli ultimi versi
del canto, in cui Tommaso cita il santo spagnolo come degno successore di
Francesco (vv. 118-139).
commentare dante per immagini  71

Tralasciando La rinuncia dei beni, su cui si tornerà più avanti, si presti ora
attenzione alle iconografie francescane di questa seconda miniatura.
La prima illustra l’episodio avvenuto a Roma nel 1209: Francesco appare con
il libro della regola aperto, inginocchiato al cospetto del pontefice Innocenzo
iii, caratterizzato dal triregno e affiancato da due cardinali. I due francescani
che osservano la scena un po’ più indietro possono essere letti come una sined-
doche figurativa in luogo degli undici confratelli citati nelle biografie del santo,
che lo accompagnarono.
Sulla destra, invece, la scena narra quanto avvenuto nel 1219 in Terrasanta:
Francesco, qui affiancato da un solo confratello, parla con il sultano d’Egitto,
identificabile dalla corona, mentre il copricapo a punta indossato da un uomo
del suo seguito conferma la provenienza orientale del gruppo. Il gesto retorico
di Francesco, con l’indice alzato, peraltro, non è troppo distante da quello della
stessa scena nella Tavola Bardi di Coppo di Marcovaldo (Firenze, Santa Croce,
1243 ca.), mentre fornisce una conferma indiretta di quanto affermato da Chia-
ra Frugoni che non si faccia alcun riferimento alla Prova del fuoco presente nel
ciclo di Assisi, letta in chiave antiaraba dalla studiosa 8.
Nella terza, in alto a sinistra, Francesco appare in ginocchio durante la vi-
sione sul Monte della Verna, compositivamente esemplata su quella di Cristo
sul Monte degli Ulivi; la soluzione figurativa adottata dal miniatore, però, non
sembra essere aggiornata alla standardizzazione assisiate dell’ultimo decennio
del Duecento, che prevede, secondo la felice espressione di Philippe Faure, la
cosiddetta “cristificazione del serafino”. Anche in questo frangente il dettaglio,
in absentia, si accorda con gli studi della Frugoni: l’inserimento dell’immagine
di Cristo in luogo del serafino ha una motivazione politica e propagandistica di
stampo francescano e ne consegue, quindi, che nei cicli figurativi commissionati
dall’ordine sia ben evidenziato, mentre in un caso come quello del manoscritto
visconteo non abbia ragione d’essere 9.
Il canto successivo è decorato da due miniature strutturate secondo il con-
sueto schema bipartito verticalmente: in esse il francescano Bonaventura pren-
de la parola per esaltare l’ordine domenicano e criticare la decadenza di quello
francescano (fig. 31).
Nella prima, al f. 353v, l’ansa superiore del capolettera S[ì tosto come l’ultima
parola] (v. 1) mostra Bonaventura che parla con Dante e Beatrice all’interno di
un circolo di beati, espediente figurativo per dare una forma alla seconda corona
di sapienti (vv. 1-21); in quella inferiore, su uno sfondo a girali vegetali, vengono
disposti in maniera paratattica i due argomenti trattati dal santo di Bagnoregio,
divisi da un albero centrale: a sinistra Francesco e i francescani, a destra Dome-
nico e i domenicani. L’indice retorico dei due santi fondatori torna per la figura
del santo di Guzmán nella seconda miniatura, al f. 356r – B[en parve messo e
famigliar di Cristo] (v. 73) –, dove in alto vediamo parlare ancora Bonaventura,
anche se dietro di lui stavolta c’è un silenzioso Tommaso in ascolto, mentre in
basso, su uno sfondo quadrettato, da destra a sinistra, Domenico prima parla con
72  gianni pittiglio

il pontefice e poi converte gli eretici, guidati da un personaggio con un cappello


dalla strana foggia, a punta, che garantisce l’identificazione della scena, in due
momenti che condensano quanto raccontato da Dante, o meglio da Francesco
da Buti (vv. 88-96 e 100-102): «raccontò come santo Domenico impetrò da papa
Innocenzio licenzia di potere predicare la parola d’Iddio al popolo» e «maestro
Bonaventura […] dice come santo Domenico avuto licenzia dal papa di predicare
contra gli eretici e fatto inquisitore de’ patarini, molto li convinse» 10.
Anche lo Yates Thompson 36, al f. 150r, raffigura Bonaventura che parla di
Domenico, e ripropone una divisione tra i due mondi che, pur se organizzata
orizzontalmente e non verticalmente data la conformazione tabellare delle sue
illustrazioni, fa supporre una possibile derivazione dal br 39. Qui Domenico,
nei pressi di una città vicina al mare – «non molto lungi al percuoter de l’on-
de» (v. 49) – da identificare con la natìa Caleruega (v. 52), discute con dei per-
sonaggi caratterizzati da vesti orientali che li connotano come eretici (fig. 32).
Rispetto alla scena del codice visconteo, nel manoscritto londinese appa-
re un importante dettaglio: Bonaventura viene rappresentato con il cappello
cardinalizio, non certo sulla base delle parole di Dante che si limita a citare
il personaggio con la terzina «Io son la vita di Bonaventura / da Bagnoregio,
che ne’ grandi offici / sempre pospuosi la sinistra cura» (vv. 127-129). Ancora
una volta, a conferma dell’importanza del ruolo dei commenti come punti di
riferimento per gli artisti chiamati ad illustrare la Commedia, sembra essere
l’apparato critico a determinare la raffigurazione. Lo Yates Thompson, infatti,
segue l’Ottimo commento, che nel passo relativo ai versi in questione precisa la
carica di Bonaventura: «dice che ne’ grandi offizj del cardinalato sempre misse
a dietro le temporali cure, e le spirituali innanzi».
Merita, infine, un’ultima riflessione quanto viene raffigurato nelle xilografie
dell’incunabolo stampato a Venezia il 3 marzo 1491 per i tipi di Bernardino Benali
e Matteo Capcasa da Parma, poi ripreso in quello del 18 novembre dello stesso
anno, edito sempre a Venezia da Pietro de Piasi Cremonese. Si tratta, infatti, del
primo volume a stampa della Commedia con le tre cantiche interamente illustrate
ed è significativo che proprio nel Paradiso, laddove la bottega non poté avere come
riferimento i precedenti incunaboli di Firenze 1481 e Brescia 1487, interrottisi a If.
xix e a Pd. i, chi ideò quelle composizioni pensò ad una struttura bipartita iden-
tica a quella del br 39, tanto da autorizzare l’ipotesi di una visione diretta di quel
corredo figurativo 11. E così le due xilografie di Pd. xi e xii propongono, seppur in
maniera semplificata, la stessa divisione tra storie prime e seconde, mostrando in
cielo Dante e Beatrice a colloquio prima con Tommaso d’Aquino e poi con Bo-
naventura, mentre in basso rispettivamente la scena di Francesco e i confratelli al
cospetto di papa Innocenzo iii, e Domenico con il giglio tra i domenicani (fig. 33).

Dopo questa digressione tra iconografie francescane e domenicane, si torni alla


prima miniatura dell’xi canto e, soprattutto, al dettaglio del giovane Francesco
che si spoglia dei suoi abiti. Su questa illustrazione esistono solo poche righe
commentare dante per immagini  73

in un paio di voci bibliografiche: la prima è il fondamentale studio di Brieger,


che in due diversi passi mostra incertezza sull’azione compiuta da Francesco –
«the saint either divests himself of his wordly robes before the bishop or cloaks
his nudity with the robe of his order» e «kneeling monks observe St. Francis
don his monastic habit before the bishop» –, mentre si tratta, come precisato
successivamente da Casciani, della “rinuncia ai beni terreni” da parte del santo 12.
L’esatta spiegazione del soggetto, per l’ennesima volta, piuttosto che nei versi
di Dante, in cui non se ne fa cenno 13, è nel commento di Francesco da Buti, ai vv.
55-63: «cioè poi che ebbe rifiutato la detta eredità e spogliatosi inanzi al padre et
al Vescovo nudo come elli nacque, di dì in dì crebbe l’amore tra lui e la povertà».
È indicativo, inoltre, che il già citato Yates Thompson 36, l’unico altro
manoscritto che tra xiv e xv secolo illustra questa storia seconda, al f. 149r
semplifichi la scena riducendola ad un paesaggio collinare nel cui proscenio il
futuro santo è già nudo e inginocchiato al cospetto del vescovo. Giovanni di
Paolo, che realizzò la decorazione del Paradiso, non inserisce il dettaglio dello
svestimento, forse perché per i vv. 61-62 l’Ottimo commento si limita a dire
«Cioè, dinanzi al Vescovo suo nella sua corte rinu[n]ziò alli beni temporali,
ed unisi e diedesi alla povertade», o forse perché si adegua alla tradizione ico-
nografica. Quest’ultima infatti non prevede il particolare, come dimostrano
alcuni dei maggiori cicli francescani, a partire dalla Tavola Bardi, per poi prose-
guire negli affreschi della basilica inferiore di Assisi, in quelli della superiore, in
quelli da essa derivati della cappella Bardi a Santa Croce a Firenze, in quelli di
Gozzoli a Montefalco e in molti altri 14. In essi, anzi, con un gesto che in epoca
medievale significa “adozione” e “legittimazione” 15, il vescovo copre la nudità
di Francesco con la propria veste, come riportato da Bonaventura nella legen-
da maior: «il vescovo, vedendo questo e ammirando il fervore di quell’uomo
di Dio, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono
com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio» (ii, 4).
Da dove ha quindi origine quel motivo se non dai cicli che raccontano le
storie di Francesco?
Quell’immagine riporta subito allo stesso gesto compiuto da uno dei battez-
zandi nel celeberrimo Battesimo di Cristo di Piero della Francesca della Natio-
nal Gallery di Londra (1445 ca.) (fig. 34d). Difficile pensare ad una visione di-
retta del manoscritto da parte del pittore biturgense, ma è possibile ipotizzare
uno o più riferimenti che possano aver fatto da tramite tra i due e su cui, senza
risalire alla miniatura del br 39, è già stata posta in parte l’attenzione da Silvia
Ronchey e ancora prima da Constantin Marinescu 16.
I due studiosi hanno riconosciuto come possibile modello di Piero un detta-
glio del Battesimo di Cristo negli affreschi di Gentile da Fabriano per San Gio-
vanni in Laterano, completati tra 1431 e 1432 da Pisanello dopo la sua morte
(†1427), distrutti nell’ambito dei lavori per il Giubileo del 1650, ma dei quali
ci restano delle preziose fonti grafiche 17. Piero li vide nel certamente durante il
suo soggiorno romano alla fine degli anni cinquanta, quando lavorò per Pio ii
74  gianni pittiglio

Piccolimini al Palazzo Apostolico, agli affreschi poi obliterati dall’intervento


di Raffaello nelle Stanze Vaticane.
Non c’è, però, alcuna necessità di mettere in relazione diretta nemmeno queste
due opere, posticipando di oltre un decennio la datazione del Battesimo di Lon-
dra. Risalire alle origini della rappresentazione del motivo del neofita che si spo-
glia, infatti, permette di delineare un interessante excursus iconografico che sem-
bra iniziare con importanti prototipi bizantini, quali i due tetravangeli di xi se-
colo di Parma (Biblioteca Palatina, ms. Pal. 5, f. 94r) e Parigi (BnF, ms. Gr. 64, f.
64v) (fig. 34a), che lo inseriscono nella scena del Battesimo di Cristo. Con la stessa
funzione all’interno dello stesso soggetto, la raffigurazione torna nell’affresco del
Battistero di Parma (xiii-xiv sec.), e, con un leggero slittamento iconografico,
appare in altre scene di battezzandi successive, come nelle Storie di sant’Orsola di
Tommaso da Modena, dove fa capolino nel Battesimo del principe d’Inghilterra
(1355-58, Treviso, Museo Civico, già chiesa di Santa Margherita degli Eremitani),
e nel Battesimo di sant’Ansano di Giovanni di Paolo (1440, Ezstergom, Museo
Cristiano), oltre agli esempi citati di Gentile da Fabriano in Laterano e di Piero
della Francesca a Londra, dove compare nella scena cristologica.
In alcune occasioni, invece, a conferma della sua affermazione come motivo a
se stante, è usato in contesti iconografici differenti. È ad esempio in due celebri
Entrate a Gerusalemme: quella a mosaico della Cappella Palatina di Palermo (ante
1154) (fig. 34b) e quella affrescata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Pado-
va (1303-05), nelle quali la figura che si spoglia rappresenta rispettivamente un fan-
ciullo e una donna (questa toglie solo la sopravveste) che mettono in immagine le
parole del Vangelo «la folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada» (Mt
21, 8-9), che descrivono i diversi atteggiamenti degli astanti al passaggio di Cristo.
Ancora più sorprendente è la sua presenza nella miniatura trecentesca con
il Naufragio di Aiace Oileo nel Roman de Troie di San Pietroburgo (Biblioteca
Nazionale, ms. Fr. F.v. xiv 3, f. 152r) 18, dove illustra un naufrago che, davvero
poco realisticamente, prima che la barca affondi, decide di tuffarsi in mare
non prima di essersi liberato degli abiti. C’è poi proprio la miniatura del br
39, dove l’idea del neofita resta viva, pur se in diverso contesto: Francesco si sta
convertendo ma non sta ricevendo il battesimo come nei precedenti di questa
iconografia. A chiusura di questa serie di eccezioni, inevitabilmente parziale, si
consideri il Dittico con Storie della Passione di Castel Coira, databile tra 1410 e
1420 e in cui il sintagma figurativo è addirittura usato per rappresentare Cristo
denudato prima della Crocifissione.
Una tale diffusione rende difficile accertare la possibilità di rimandi diretti di
questo motivo iconografico, che può quindi pienamente rientrare in quei feno-
meni che il bizantinista Kurt Weitzmann definiva “di migrazione”, ma resta una
singolare coincidenza che l’alunnato di Gentile da Fabriano sia avvenuto tra
Milano e Pavia, proprio dove si trovava il codice BR 39 realizzato per i Viscon-
ti. E chissà che questo non sia uno di quei casi in cui approccio formalista e ico-
nografico raggiungono le stesse conclusioni partendo da presupposti differenti.
commentare dante per immagini  75

Note
1
  Tesi del dottorato di ricerca in storia dell’arte, Roma, Università Sapienza, 2014-2017, XXX
ciclo, discussa il 22 febbraio 2018.
2
  Pergamena; mm 355 x 250; testo dantesco disposto su una colonna e incorniciato dal com-
mento di Francesco da Buti in modulo minore; 79 miniature (17+16+46). L’attribuzione al Mae-
stro del Libro d’ore di Modena si deve a M. Bollati, Nuove proposte per il Maestro del libro d’ore di
Modena, in «Arte cristiana», LXXVII (1989), pp. 27-42 (pp. 27-28); per un profilo dell’artista si
rimanda, invece, a M. Bollati, Dizionario biografico dei miniatori italiani: secoli IX – XVI, Milano
2004, pp. 595-597.
3
  Per la questione attributiva, paleografica e della committenza si veda il recente contributo
di C. Ponchia, Continuità e innovazione. Tendenze illustrative della Divina Commedia nel primo
Quattrocento, in Dante visualizzato. Le carte ridenti II: XV secolo, prima parte, Atti di Convegno,
(Firenze, Palagio dell’Arte della Lana, 18-20 aprile 2016), in corso di pubblicazione; in precedenza,
P. Brieger, M. Meiss e C.S. Singleton, Illuminated Manuscripts of Divine Commedy, Princeton 1969,
I, pp. 240-244.
4
  Ne sono esempi Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 8530, f. 137r; Biblioteca Apostolica Vaticana,
ms. Lat. 4776, f. 272r.
5
  Tutti i riferimenti ai commenti danteschi citati in questo articolo seguono le trascrizioni del
Dartmouth Dante Project (<https://dante.dartmouth.edu/>).
6
  A. Pegoretti, Indagine su un codice dantesco: la «Commedia» Egerton 943 della British Libra-
ry, Pisa 2014, p. 253. Qui i due santi, che compaiono sotto la figura di Tommaso d’Aquino, vengo-
no letti come Alberto Magno e Bonaventura, ma l’assenza di ulteriori attributi, oltre le aureole e le
vesti dei due ordini, ne rendono altrettanto plausibile l’identificazione con Domenico e Francesco.
7
  Per lo Yates Thompson 36, interamente consultabile on line all’indirizzo <http://www.bl.uk/
manuscripts/Viewer.aspx?ref=yates_thompson_ms_36>, si veda anche M. Bollati, a cura di, La
Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, re di Napoli. Siena, XV secolo; Ms. Yates Thompson 36,
British Library, Londra. Un volume di facsimile e due volumi di commentario, 2 voll., Modena 2006.
8
  C. Frugoni, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad As-
sisi, Torino 2015, pp. 289-301. La studiosa dimostra come la “predica per convertire” della Tavola
Bardi diventi una “sfida per vincere” nel ciclo di Assisi, grazie all’inserimento della Prova del fuoco,
mai avvenuta e verosimilmente inserita in ossequio alla crociata voluta da Niccolò IV.
9
  P. Faure, Vie et mort du séraphin de saint François d’Assise, in «Revue Mabillon», LXII (1990),
pp. 143-177 (163). Sulla derivazione della scena e sull’evoluzione iconografica della stessa, invece,
si veda C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate: una storia per parole e immagini fino a
Bonaventura e Giotto, Torino 1993, pp. 174-182, 203-216. Va qui ricordato che il Capitolo generale
di Parigi (1266) decise di distruggere le precedenti biografie di Francesco in favore della Legenda
maior di Bonaventura che, nella narrazione dell’episodio, trasforma il serafino citato da Tommaso
da Celano in un Cristo crocifisso, come si vedrà a partire dagli affreschi della basilica superiore di
Assisi.
10
  Questi i versi danteschi: «E a la sedia che fu già benigna / più a’ poveri giusti, non per lei,
/ ma per colui che siede, che traligna […] addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di
combatter per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante» vv. 88-90, 94-96; e, poco oltre, «ne li
sterpi eretici percosse / l’impeto suo, più vivamente quivi / dove le resistenze eran più grosse» (vv.
100-102).
11
  È possibile consultare i due cicli xilografici all’indirizzo <http://divinecomedy.library.cornell.
edu/editions.html>. Per quanto riguarda, invece, gli incunaboli precedenti faccio naturalmente rife-
rimento all’edizione di Niccolò di Lorenzo della Magna con le incisioni di Baccio Baldini su disegni
di Sandro Botticelli e quella di Bonino Bonini le cui illustrazioni sono tradizionalmente assegnate
ai carmelitani Giovanni Antonio e Giovanni Maria da Brescia (G. Petrella, Iconografia dantesca ed
elementi paratestuali nell’edizione della Commedia Brescia, Bonino Bonini, 1487, in «Paratesto», X
[2013], pp. 9-36 [23-30]).
76  gianni pittiglio

12
  P. Brieger, M. Meiss e C.S. Singleton, Illuminated…, cit., I, pp. 191, 243; S. Casciani, a cura
di, Dante and the Franciscans. Poverty and the Papacy in the ‘Commedia’, Leiden 2006, pp. 144-145,
nota 52.
13
  Pd. XI, vv. 58-63: «ché per tal donna [la Povertà], giovinetto, in guerra / del padre corse, a
cui, come a la morte, / la porta del piacer nessun diserra; / e dinanzi a la sua spirital corte / et coram
patre le si fece unito; / poscia di dì in dì l’amò più forte».
14
  Si vedano altri casi tra XIV e XV secolo: il ciclo di San Fermo a Verona, il Polittico di Santa
Chiara di Paolo Veneziano (Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 21), quello smembrato di Sasset-
ta per Sansepolcro (Londra, National Gallery, inv. 4758), gli affreschi di Domenico Ghirlandaio a
Santa Trinita a Firenze o, in tutt’altra zona geografica e ormai a cavallo con l’inizio del Cinquecen-
to, la tavola di anonimo fiammingo del Philadelphia Art Museum (inv. 2003-89-1).
15
  C. Frugoni, Quale…, cit., pp. 149-156 e nota 115.
16
  C. Marinescu, Echos byzantins dans l’oeuvre de Piero della Francesca, in «Bulletin de la Société
Nationale des Antiquaires de France», (1958), pp. 192-208 (194-196); S. Ronchey, L’enigma di
Piero. L’ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro, Milano 2006,
pp. 219-222.
17
  La prima risale al 1438 ca. ed è un disegno del codice Vallardi, parte del cosiddetto carnet
de voyage, alternativamente attribuito a Pisanello, Matteo de’ Pasti e Bernardus Senensis (Parigi,
Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, n. 420r) (fig. 34c); l’altra, di inizio XVI secolo, è attribuita
all’ambito di Baldassarre Peruzzi (Siena, Biblioteca Comunale, album S.IV.7, f. 26v).
18
  Il motivo, per una virtuosa casualità, è stato notato da Chiara Ponchia ma per questioni stili-
stiche, poiché l’autore delle decorazioni del codice russo è identificato con il Maestro degli Antifo-
nari di Padova, cui sono assegnate le miniature della Commedia del ms. Egerton 943 della British
Library. Si veda C. Ponchia, Frammenti dell’aldilà. Miniature trecentesche della Divina Commedia,
Padova 2015, pp. 166-167.
30. Maestro del libro d’ore di Modena, San Tommaso d’Aquino racconta a Dante e Beatrice le
storie di san Francesco, Firenze, Biblioteca Nazionale, ff. 349r, 351r
31. Maestro del libro d’ore di Modena, San Bonaventura racconta a Dante e Beatrice di san
Domenico e dei domenicani, Firenze, Biblioteca Nazionale, ff. 353v, 356r
32. Giovanni di Paolo, San Bonaventura racconta a Dante e Beatrice di san Domenico e gli eretici,
Londra, British Library, ms. Yates Thompson 36, f. 150r
33. Anonimo, San Tommaso d’Aquino racconta le storie di san Francesco; San Bonaventura
racconta di san Domenico e dei domenicani, ed. Benali – Capcasa, Venezia 1491
34. Dettagli de L’uomo che si spoglia: a) ms. Gr. 64, BnF; b) Cappella Palatina, Palermo; c)
Louvre, Cabinet des Dessins, n. 420r; d) Battesimo di Cristo di Piero della Francesca a Londra

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