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E LE M E N TI M A G I C O - E R M E T I C I NELLA CULTURA RINASCIMENTALE

(prof. Tuba)

Quando si dice che il Platonismo rinascimentale fu in insieme complesso e multiforme di


elementi disparati, si allude non solo alla commistione di elementi di derivazione platonica,
neoplatonica e cristiana, ma anche di elementi derivanti dalla tradizione orfico-pitagorica e magico-
ermetica.

Uno dei testi-chiave del Platonismo rinascimentale, infatti, è rappresentato dal “CORPUS
HERMETICUM”, una raccolta di manoscritti acquistata in Grecia per conto di Cosimo il Vecchio
de’ Medici, fondatore e grande mecenate dell’Accademia Platonica fiorentina.
Quando giunsero a Firenze, i manoscritti vennero accolti subito con grande interesse, tanto che
Marsilio Ficino (1433-99), allora il massimo esponente dell’Accademia Platonica, sospese
immediatamente la traduzione delle opere di Platone, in cui era impegnato, per dedicarsi alla
traduzione di quegli scritti, attribuiti ad Ermete Trismegisto (trismegisto = 3 volte grandissimo).

Nonostante fossero molto orgogliosi della loro scienza filologica, gli Umanisti caddero in uno dei
più colossali inganni della storia del pensiero: dando credito a quanto alcuni Padri della Chiesa
avevano sostenuto nei secoli precedenti, pensarono che i manoscritti fossero opera di una sorta di
profeta pagano, contemporaneo di Mosè (XIII sec. a.C.).
La realtà era ben diversa, ma fu scoperta solo nel 1614 (dal filologo francese Casaubon): infatti, gli
autori delle opere ermetiche erano ignoti scrittori di religione pagana, vissuti nel II-III sec. d.C.. Allo
scopo di aumentare il prestigio delle loro opere, costoro, celando la propria identità, le attribuirono a
più antichi autori: alcuni scelsero Hermes (= il Mercurio dei Romani), ovvero il nome greco del
mitico sapiente egiziano Toth (considerato lo scriba degli dei e quindi rivelatore e interprete della
sapienza divina).
Probabilmente, gli autori intendevano contrapporre alle Sacre Scritture dei cristiani delle “Scritture”
alternative, spacciate come “divine rivelazioni”: si tratta, insomma di uno degli ultimi tentativi di
riscossa del paganesimo dell’epoca (II-III sec), caratterizzato da un forte sincretismo, in virtù del
quale convivevano dottrine derivate dal Platonismo, dal Neoplatonismo, del Cristianesimo, dal
Manicheismo, ecc.. Ma, poiché i Padri della Chiesa vi trovarono accenni a dottrine bibliche (v. la
“profezia” relativa all’”incarnazione del Logos” e le allusioni al “figlio di Dio”), ne furono così
impressionati che pensarono fossero opera di una sorta di profeta pagano, contemporaneo appunto di
Mosé.
Marsilio Ficino consacrò solennemente questa diffusa convinzione, e il Corpus hermeticum divenne
un testo basilare del pensiero umanistico-rinascimentale.

Una testimonianza dell’importanza e dell’autorevolezza che il presunto profeta pagano assunse nella
cultura rinascimentale, la si ritrova in un mosaico del pavimento della cattedrale di Siena, posto al
centro dello spazio antistante la porta principale, che reca la seguente iscrizione: “Hermes Mercurius
Trismegistus contemporaneus Moysi” .
Il veggente sostiene nella mano sinistra un pannello in cui è sintetizzato un celebre passo
dell’”ASCLEPIO” (il più importante fra i testi attribuiti ad Ermete):
Dio, creatore di tutte le cose, creò un secondo Dio visibile e fu questi il primo Dio che Egli fece e in
cui si compiacque e questo Figlio fu chiamato Santo Verbo”.
In questa frase Marsilio Ficino – in linea con l’interpretazione di alcuni Padri della Chiesa – volle
vedere la profezia della venuta di Cristo. Eppure, la verità che Ermete dona agli uomini, pur
rifacendosi chiaramente ai concetti cristiani di Incarnazione e Trinità, è fortemente equivoca, perché
il tema di un “secondo Dio” era tipico del paganesimo neoplatonico del tardo impero!
Nei testi rinascimentali si ripete con frequenza l’immagine di Ermete che dona all’umanità la sapienza
attraverso l’esposizione di geroglifici egiziani dal significato astrologico e cosmologico.
A tal proposito, si ricorda che nel 1419 era stata riscoperta e subito tradotta l’unica opera tramandataci
dall’antichità dedicata alla lingua geroglifica egiziana, “HIEROGLIPHICA” (di un autore ignoto denominato
Horus-Apollo).
Dalla sua lettura, molti umanisti si convinsero che proprio il mitico Ermete Trismegisto era stato l’inventore
della scrittura geroglifica, basata sulla visualizzazione dei concetti: per esempio, secondo Ficino, per
significare il tempo, gli egiziani disegnavano un serpente che si morde la coda (= Uroboro) ; “per significare
la divinità, dipingevano un occhio, perché come questo vede e guarda ciò che gli sta sotto, così Dio considera
e conosce tutte le cose”, ecc.
Gli umanisti manifestarono grandissimo interesse per i geroglifici, considerati esempi di una lingua
sapienziale, filosofica e perfetta, capace di riferirsi immediatamente (disegnandola) all’essenza delle cose e in
grado di evidenziarne anche aspetti occulti ed inusitati.
Anche Giordano Bruno, nel “DE MAGIA” (1590), vedrà nei geroglifici addirittura “la lingua degli dei”.

Anche gli “ORACOLI CALDAICI”, attribuiti al sapiente babilonese Zoroastro (VII sec. a.C.) e gli “INNI
ORFICI”, attribuiti al mitico poeta tracio Orfeo (VI sec. a.C.), vennero considerati, erroneamente,
testimonianze dirette dell’antica sapienza orientale: negli ORACOLI CALDAICI, per esempio, giocava un
ruolo fondamentale l’eliolatria (= culto del sole e del fuoco), e pare che Marsilio Ficino cantasse gli INNI
ORFICI, che egli stesso aveva tradotto, per meglio procacciarsi l’influsso benefico delle stelle.

Tutti questi scritti, ricchi di elementi orientaleggianti, concorsero ad alimentare l’interesse degli
umanisti per la magia, per l’astrologia, per l’alchimia. In un primo tempo, la Chiesa cattolica non
oppose particolare resistenza al diffondersi di tali interessi, anche perché quegli elementi sembravano
mutuati da un’antica sapienza orientale nella quale erano stati rinvenuti dei riferimenti piuttosto puntuali alle
verità bibliche, in grado di legittimarla . Ma in un secondo tempo, soprattutto nell’età della Controriforma
(XVI-XVII sec), la Chiesa combatté energicamente quella cultura magico-ermetica e quelle “arti
occulte” che avevano affascinato alcune delle menti più acute del tempo (v. Telesio, Bruno, Campanella), al
punto da allontanarle progressivamente dall’ortodossia, almeno secondo il giudizio della S. Inquisizione.

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