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MARCO FORLIVESI
Introduzione
Gli studi storici dedicati al sorgere della scienza moderna, e spe-
cificamente al ‘caso Galilei’, hanno dedicato molta attenzione alla
questione del rapporto tra scienza – o nuova scienza – e religione.
Un’attenzione un poco minore è stata invece dedicata alla questione
del rapporto tra scienza e politica. È questa, ovviamente, una questio-
ne strettamente connessa alla prima, nondimeno essa possiede anche
una propria specificità e rilevanza. Come scriveva Lorenzo Bellini a
Marcello Malpighi nel 1689,
Siamo uomini, ed alligati officiis. La maggiore, e miglior parte della naturale genia-
lità d’ognuno di noi s’ha da consumare e smarrire per le convenienze del mondo, le
quali, se ben sembrano vanità, pur son necessarie pel buon governo di questa scena
universale. Viva dunque la scena, e in questa scena facciam anche noi la parte nostra,
or da filosofi, or da zanni or da ciarlatani, e che so io qualis magistro probata fuerit.1
(2) Cesare Cremonino, Chlorindo e Valliero. Poema, atto 3, scena 5, Venetia, dal
Sarzina, 1624, p. 92.
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(3) Decreto della inquisitione dell’anno 1599, pubblicato in Antonino Poppi, Cremo-
nini, Galilei e gli inquisitori del Santo a Padova, Padova, Centro Studi Antoniani, 1993,
pp. 60-61: 61.
(4) Oltre ai saggi menzionati in seguito, si vedano: Antonino Poppi, Dispacci del
Sant’Ufficio di Roma all’Inquisizione di Padova (le carte sul Cremonini e Galileo), «Atti e
memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti già dei Ricovrati e Patavi-
na», CXXIV, 2011-2012, pp. 43-75; Harvey e Padova, a cura di G. Ongaro - M. Rippa
Bonati - G. Thiene, Treviso, Antilia, 2006; Cesare Cremonini. Aspetti del pensiero e scritti,
a cura di E. Riondato - A. Poppi, Padova, Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed
Arti in Padova, 2000, 2 voll.; Antonino Poppi, La conoscenza di sé come fondamento del
filosofare nella prolusione accademica di Cesare Cremonini (Padova, 27 gennaio 1591), in
Sapientiam amemus. Humanismus und Aristotelismus in der Renaissance, a cura di P.R.
Blum - C. Blackwell - C. Lohr, München, Wilhelm Fink, 1999, pp. 181-190; Fer-
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zio stabilì in modo esplicito – più esplicito di quanto avesse fatto nel
1616 – che il copernicanesimo era una dottrina eretica e sentenziò che
Galilei aveva contravvenuto all’ammonizione ricevuta da Bellarmino;
Galilei fu pertanto giudicato eretico e fu condannato ad abiurare la
dottrina che egli aveva in qualche modo difeso anche dopo la condan-
na del 1616. La pena al carcere venne commutata in una sorta di arre-
sti domiciliari a vita, che Galilei, dopo alcuni mesi trascorsi in Siena,
scontò nella propria casa in Arcetri. Morì l’8 gennaio 1642.5
1. Il caso Cremonini
Che si dirà dei più celebri filosofi di questo Studio i quali, colmi dell’ostinazione
dell’aspide, nonostante più di mille volte io abbia offerto loro la mia disponibilità,
non hanno voluto vedere né i pianeti, né <la luna>, né il cannocchiale? […] Questo
genere di uomini ritiene infatti che la filosofia <naturale> sia un libro come l’Eneide
(5) Nella sterminata bibliografia sullo scienziato pisano in genere e sul ‘caso Galilei’ in
particolare, si vedano innanzi tutto gli esemplari contributi raccolti in Il processo a Galileo
Galilei e la questione galileiana, a cura di G.M. Bravo - V. Ferrone, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 2010.
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e l’Odissea e che le verità siano da ricercare non nel mondo o nella natura, bensì (per
usare le loro parole) nel confronto dei testi.6
Fui uno di questi giorni dal detto S.r Cremonino, et entrando di ragionare di V.S.
[ossia di Galilei] io le dissi, così burlando: il S.r Galilei sta con trepidatione aspettan-
do ch’esce l’opra di V.S. [ossia di Cremonini; Gualdo si riferisce alla Disputatio de
coelo, che sarà però pubblicata solamente nel 1613]. Mi rispose: Non ha occasione di
trepidare, perché io non faccio mentione alcuna di queste sue osservationi. Io rispo-
si: Basta ch’ella tiene tutto l’opposito di quello che tiene esso. O, questo sì, disse, non
volendo approvare cose di che io non ho cognitione alcuna, né l’ho vedute. Questo è
quello, dico, ch’ha dispiacciuto al S.r Galilei, ch’ella non abbia voluto vederle. Rispo-
se: Credo che altri che lui non l’habbia veduto; e poi quel mirare per quegli occhiali
m’imbalordiscon la testa: basta, non ne voglio saper altro. Io risposi: V.S. iuravit in
verba Magistri; e fa bene a seguitare la santa antichità. Doppo egli proruppe: Oh
quanto harrebbe fatto bene anco il S.r Galilei, non entrare in queste girandole, e non
lasciar la libertà Patavina!7
(6) «Quid dices de primariis huius Gimnasii philosophis, qui, aspidis pertinacia re-
pleti, nunquam, licet me ultro dedita opera millies offerente, nec Planetas, nec <lunam>,
nec perspicillum, videre voluerunt? […] Putat enim hoc hominum genus, philosophiam
esse librum quendam velut Eneida et Odissea; vera autem non in mundo aut in natura,
sed in confrontatione textuum (utor illorum verbis), esse quaerenda» (Galilaeus Gali-
laei, epistola ad Johannem Keplerum, Paduae 19 Augusti 1610, in Id., Le opere, sotto la
direzione di A. Favaro, vol. X, Firenze, Barbera, 1934, pp. 421-423: 423; d’ora in avanti
l’edizione sarà citata con la sigla GGO). Traduzione mia.
(7) Paolo Gualdo, lettera a Galileo Galilei, Padova 29 luglio 1611, in GGO, vol.
XI, p. 165. Cfr. anche Id., lettera a Galileo Galilei, Padova 6 maggio 1611, in GGO,
vol. XI, p. 100.
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occorre piuttosto fornire una descrizione della natura dei cieli, coerente
in sé e con le conoscenze già acquisite, capace di dar ragione della pos-
sibilità di un mutamento siffatto. Di fronte a questa richiesta e a questo
problema lo stesso Galilei si mostrò incerto, talvolta rifugiandosi nel
suo compito di semplice ‘matematico’, e come tale non tenuto a fornire
spiegazioni circa la natura ‘fisica’ dei fenomeni, talvolta arrischiandosi
a proporre ipotesi circa tale natura non meno problematiche di quel-
le proposte dagli ‘aristotelici’. Questa impostazione, peraltro, fu tenuta
fermamente da Cremonini in occasione di ogni controversia di cui fu
protagonista; in particolare egli la fece valere contro i medici galenisti, i
quali ritenevano di poter utilizzare i dati osservativi senza aver l’onere di
collocarli nel contesto di una dottrina filosofico-naturale complessiva.8
(8) Su questi temi si vedano Giulio F. Pagallo, Cesare Cremonini maestro di William
Harvey a Padova, in Harvey e Padova, cit., pp. 69-127; Giulio F. Pagallo, Alla ricerca dei
principi: ermeneutica e questioni di metodo nei primi scritti di Cesare Cremonini, in Cesare
Cremonini, cit., vol. I, pp. 43-81; Luigi Olivieri, Certezza e gerarchia del sapere. Crisi
dell’idea di scientificità nell’aristotelismo del secolo XVI. Con un’appendice di testi inediti di
Pomponazzi, Pendasio, Cremonini, Padova, Antenore, 1983.
(9) Per cenni su Imperiali si veda Antonio Gamba, Contributo all’iconografia di Ce-
sare Cremonini, in Cesare Cremonini, cit., vol. I, pp. 135-152. Imperiali si era laureato in
medicina a Padova avendo Cremonini come promotore.
(10) Ioannes Imperialis, Musaeum historicum et physicum, Venetiis, Apud Juntas,
1640, p. 174. Traduzione mia.
(11) Probabilmente l’espressione va intesa anche in senso tecnico: Piccolomini fu in
Padova docente in primo loco di filosofia naturale.
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(12) Se riferito alla cattedra in primo loco di filosofia naturale, il dato non è corretto:
Cremonini tenne quella cattedra per trent’anni.
(13) I. Imperialis, Musaeum, cit., pp. 173-174. Traduzione mia.
(14) Si veda, ad esempio, ciò che Tomasini scrive a proposito delle esequie, tenutesi
nel 1620, di un allievo di Cremonini e docente nello Studio di Padova, il ventottenne
Alessandro Borromeo: «Funus eius ingenti omnium moerore celebratum est, dixitque
tum de more Adrianus Grandis iunior, alumnus eius oratione gravi, talesque versus Cre-
moninus praeceptor in extinctum discipulum suum cum lachrymis effudit. Cedis Ale-
xander citius fatis, tua virtus / visura est longa posteritate diem. / De me agitur, poteram
post fata manere superstes / per te, tu ergo non; in te ego sed morior». (Iacobus Philip-
pus Thomasinus, Elogia virorum illustrium iconibus exornata, Patavii, Apud Donatum
Pasquardum et socium, 1630, p. 333).
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Di ogni questione <Cremonini> parlava con i più giovani [ossia con una parte degli
esponenti del partito nobiliare ‘dei giovani’], ma non insisteva su nessun argomento
che si opponesse alle loro inclinazioni. Nelle riunioni private risaltava più la sua
cordialità che il suo sapere. Alimentava con i padovani, pur senza adoperarsi per
favorire l’una o l’altra delle loro fazioni, continui dissidi o, piuttosto, <li alimentava>
con quei singoli che sapeva essere meno accondiscendenti alle sue decisioni. Abile
nondimeno per natura a simulare di fronte a ciascuno con raffinatissimo artificio,
esercitava altresì le funzioni civili con apprensione e cura. Così grandi splendori di
versatile ingegno furono deturpati da una sola opinione instillatasi nell’animo degli
studenti, cioè che egli, riguardo alle dottrine fisiche, difendesse le concezioni peg-
giori e più biasimevoli con insistenza maggiore di quanto fosse lecito a un seguace
della vera fede. […] Se lo portò via, ottantenne, a Padova, la sciagurata pestilenza
del 1630. I monaci di Santa Giustina, eredi per testamento, <ne> accolsero la salma
nella Chiesa.15 Il mondo tutto si riunì nel compianto, di questo solo esultando, cioè
che come era stato ricetto a malapena degno del venerando nome, così lo sarebbe
stato anche delle spoglie gloriose.16
(15) Si noti che Imperiali scrive ‘in Ecclesia’, giocando forse sul doppio significato del
termine.
(16) I. Imperialis, Musaeum, cit., p. 174. Traduzione mia. Si riporta, per comodità del let-
tore, l’intero denso testo di Imperiali. «Caesar Cremoninus e Cento oppido Mutinensis agri
natus, floruit ubique nominis maiestate praefulgens. Ferrariae primun in diversorio Esten-
sium principum, iunior egit cum lectissimis ingeniorum Pigna, Patritio, Tasso, caeterisque
in illa totius Italiae celebritate; cuius etiam iudicio praeclarus doctrinae peripateticae sectator
habitus, publica docendi provincia ornatus est, quam a primo supra vigesimum anno usque
ad trigesimum octavum, foelicissime coluit. Inde vero increscente summae virtutis opinione,
ab acerrimis rerum aestimatoribus Venetis illectus ad Patavinum subsellium transmigravit,
Francisco Piccollomineo principi eius aevi philosopho consors datus. Ibi acris ingenii aestu,
perennique laudis contentione, haud elusis iuvenum votis, promeruit emortuo dehinc Pic-
collomineo, in eminentissima eius cathedra subrogari; tanto autem per quadraginta annos,
in eo munere consummatae gloriae fastu, ut Aristotelis genius, et graecorum lucerna inter-
pretum, omnium vocibus praedicaretur. Hic eius in docendo mos, physicas primum senten-
tias Philosophi aptare verbis: obscuriores vel sua, vel Alexandri Aphrodisaei mente enucleare:
scholasticorum morosas dissertationes sicco plerunque pede transigere: recentiorum dogma-
ta, vel ingenito aemulationis ardore, vel antiquae dignationis velut ab inferis (ut aiebat) vin-
dicandae studio negligere: singula vero in suggestu eo actionis ornatu, ac disserendi gravitate
proferre, quem posteri suspiciant, nos hac aetate in altero forsitan desideremus. Hinc omnes
prope reges, ac principes eius vel viventis depictam suis in aulis imaginem, virtutis merito ae-
ternitus admirandam locarunt, ex quo etiam responsa de componendis privatorum animis,
velut ex oraculo Delphico sciscitabantur. Vere enim, ut insigni fuit a natura dotatus acumine,
ita gravissimo iudicandi munerepraestitit: nihil levius expendere, nihil absque praemedita-
tione ineptius aestimare: sui compos in suis semper collectus consiliis: vivida cunctis indole
perblandus: nulli tamen fida sinceri animi coniunctione obstrictus: de rebus omnibus cum
iunioribus effari, at in nulla haerere diutius, quae vel ipsorum conferret animis: comitate
potius, quam doctrina privatis in congressibus fructuosus: quin et factionibus ipsorum
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fovendis deditus, perpetua cum Patavinis alere dissidia, seu potius cum singulis, quos suo
minus indulgentes arbitrio nosceret: simulare tamen comptissima versutia cum singulis
natus, vel civilia anxius officia exercebat. Tanta versatilis ingenij decora, turpavit una
studentium animis imbibita opinio, quod is deteriores, et reprobatiores de rebus physicis
sensus tueretur acrius, quam orthodoxae fidei liceret alumno: olet enimvero morbosi
animi virus, divinos hominum spiritus cum brutis animantibus communes facere, cor-
ruptionique reddere obnoxios: vesano hercle rationis ausu, quando quisque nisi amens,
celatos percipiat in seipso igniculos mentis etiam ad posteros duraturae. Sed alias pariter,
de fato, de mundo, de caeli motoribus placita perperam interpretatus est. Illud nobis mi-
randum, quod elaborata ipsius opera typis cusa, in officinis hactenus evilescunt; scripta
vero Peripati more discipulis ab ipso deambulante dictata, sic excellunt, ut nihil arcana
philosophiae detegenda perfectius, ac suavius desiderari possit. Quod in aliis quoque
celeberrimis ingenijs adnotare licet, aequa prorsus naturae lance, ne uni duntaxat cuncta
caelitus lumina illuxisse videantur. Compage corporis fuit concinna, procera, vegeta,
latis, et curvis humeris, fronte subrigida, oculis acribus, carne aspera, incessu gravi: cae-
terum totius adspectus nitore intuentium acies iucundius perstringente. Octuagenarium
funesta pestis anni mdcxxx Patavij surrepsit. Monachi Sanctae Iustinae ex testamento
haeredes, cadaver in Ecclesia susceperunt. Orbis totus colluxit, eo tantum gestiens, quod
sicut verendi vix fuerat nominis, ita nobilium ultro foret ossium capax.» (I. Imperia-
lis, Musaeum, cit., pp. 173-174). A p. 172 è presente un ritratto inciso di Cremonini.
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(17) Giulio F. Pagallo, Scienza della natura e ragioni della politica in Cesare Cremo-
nini (1550-1631), «Foedus», n. XXIX, 2011, pp. 65-74; Id., Riflessi politici e giudiziari
in una difesa della «naturalis contemplatio» di Cesare Cremonini, in Filosofia e storiografia.
Studi in onore di Giovanni Papuli, Galatina, Congedo, 2008, 3 voll., vol. I: Dall’Anti-
chità al Rinascimento, a cura di M. Marangio - L. Rizzo - A. Spedicati - L. Sturlese, pp.
359-402.
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(18) Sulla vicenda si veda Maurizio Sangalli, Università accademie gesuiti. Cultura e
religione tra Cinque e Seicento, Padova - Trieste, lint, 2001. L’orazione di Cremonini contro
il Ginnasio patavino dei Gesuiti è ora ripubblicata, assieme alle altre orazioni di Cremonini
giunte fino a noi e con traduzione italiana, in Cesare Cremonini, Le orazioni, a cura di A.
Poppi, Padova, Antenore, 1998.
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(24) Su questi temi si vedano Leen Spruit, Cremonini nelle carte del Sant’Uffizio Ro-
mano, in Cesare Cremonini, cit., vol. I, pp. 193-204; A. Poppi, Cremonini, Galilei, cit.;
Id., Cremonini e Galilei inquisiti a Padova nel 1604. Nuovi documenti d’archivio, Padova,
Antenore, 1992.
(25) Cesare Cremonini, Risposta all’Inquisitor di Padova, [1619], in A. Poppi, Cre-
monini, cit., p. 105.
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(28) Si può osservare che gli anni in questione furono particolarmente infelici per la
Repubblica Veneta. Non solamente il potere fu nelle mani del partito filopapale, ma a capo
della Repubblica fu un doge, Giovanni I Cornaro (1551-1629, doge dal 1625), che mise
in atto le medesime pratiche nepotistiche in uso presso i papi. Sulla storia dei rapporti tra
il partito curialista e il partito anticurialista, e tra la Repubblica Veneta e la Curia papale,
dalla metà del XVI secolo alla metà del XVII, si vedano Gaetano Cozzi, Venezia dal Ri-
nascimento all’Età barocca, in Storia di Venezia, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1992-2007, vol. VI, pp. 3-125, e Paolo Prodi, Chiesa e società, ivi, pp. 305-339.
(29) Sulla vicenda si vedano G.F. Pagallo, Cesare Cremonini maestro di William Har-
vey, cit., e Giuseppe Ongaro, La controversia tra Pompeo Caimo e Cesare Cremonini sul
calore innato, in Cesare Cremonini, cit., vol. I, pp. 87-110.
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(30) Cesare Cremonini, Orazione contro i gesuiti a favore dello studio di Padova, in
Id., Le orazioni, cit., p. 68.
(31) Sulle difficoltà in cui si trovò Cremonini, specialmente prima del 1600, e sulle
protezioni di cui godé, si veda, oltre al già ricordato volume di M. Sangalli, Università,
cit., anche il saggio del medesimo studioso sul tema Cesare Cremonini, la Compagnia di
Gesù e la Repubblica di Venezia: eterodossia e protezione politica, in Cesare Cremonini, cit.,
vol. I, pp. 207-218.
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Cremonini cachoit finement son jeu en Italie: nihil habebat pietatis et tamen pius
haberi volebat. Une de ses maximes étoit: intus ut libet, foris ut moris est.32
O bella libertà più pretiosa de l’oro, amabil sola più del cumulo intero dei beni che
dispensa fortuna, e sola degna d’esser posta in bilancia con l’aure onde si vive. Così
Bruto e Catone disdegnar, te perduta, d’esser romani; l’errar teco nei boschi e per
le rupi appresso l’alme grandi è di più pregio che lo star senza te ne gran palagi.
Felicissime adunque si reputin le genti a cui è dato, longe da quell’asprezza ch’ha
seco il nudo cielo del silvestre deserto, gentil soggiorno in libera cittade; e questa,
che qui regge veneta libertà, la scorga il fato lieta, che ben lo merta, a par co’ Sole.
Qui, purché non presuma disordinatamente, quanto ti piace, altrettanto ti lice. Qui,
a chiunque è nato partecipe d’humana società, vien permesso il ricetto, e n’è cia-
scun ugualmente protetto sotto il buon patrocinio d’incorrotta giustitia. Io ci venni
d’altronde, e n’ho fatto canuto il capo e ’l mento; m’è stato dolce albergo e soave
ricetto.34
2. Il caso Galilei
(34) Cesare Cremonini, Le nubi, atto 3, scena 5, in Ugo Montanari, L’opera let-
teraria di Cesare Cremonini, in Cesare Cremonini (1550-1631), cit., pp. 184-185. Ma
si considerino almeno anche i seguenti due passaggi, già segnalati da Montanari, de Il
ritorno di Damone, overo la sampogna di Mirtillo. Favola silvestre, atto 4 (opera pubblicata
da Cremonini a Venezia nel 1622 ma la cui composizione sembrerebbe risalire al periodo
ferrarese della sua vita): «Tutti, nati che siamo, siamo vivi egualmente; e dovrebbe egual-
mente esser, nato ch’egli è, ciascun signore del suo proprio volere» (scena 1, p. 109); «S’a
me toccasse mai d’impor leggi a le genti, io vorrei ch’ogn’un fosse uguale a l’altro; e chi,
solo una volta, seguisse l’altrui voglia, fosse poi condennato a non ottener mai cosa veru-
na, che fosse di sua voglia» (scena 2, p. 110). Sulla libertas patavina si vedano i saggi di
Aldo Stella, in particolare Aldo Stella, L’Università di Padova al tempo del Cremonini, in
Cesare Cremonini (1550-1631), cit., pp. 69-82. Sull’opera letteraria di Cremonini, si ve-
dano principalmente Giovanni Pellizzari, Cesare Cremonini e Giorgio Raguseo, «Atti e
memorie dell’Accademia Galileiana di scienze lettere ed arti in Padova», CXI, 1997-1998,
pp. 17-32, ed Elena Bergonzi, Cesare Cremonini scrittore. Il periodo ferrarese e i primi
anni padovani. La pastorale Le pompe funebri, «Aevum», LXVII, 1993, pp. 571-593.
POLITICA E SCIENZA TRA XVI E XVII SECOLO 21
mi vo immaginando che il Sarsi [ossia Orazio Grassi] abbia dalla sua filosofia il poter
egualmente lodare e biasimare, confermare e ributtar le medesime dottrine, secondo
che la benevolenza o la stizza lo traporta: e fammi in questo luogo sovvenir d’un
lettor di filosofia a mio tempo nello Studio di Padova, il quale essendo, come talvol-
ta accade, in collera con un suo concorrente, disse che, quando quello non avesse
mutato modi, avria sotto mano mandato a spiar l’opinioni tenute da lui nelle sue
lezzioni, e che in sua vendetta avrebbe sempre sostenuto le contrarie.37
Voglia Iddio che l’assolutione dell’Ecc.mo Cremonini li giovi più all’anima di quello
che fa la mathematica alle anime delli professori di essa, allontanati assai dal spiri-
tuale.39
(35) L’atto di fondazione dell’Accademia è pubblicato anche in GGO, vol. XIX, pp.
207-208; i nomi di Cremonini e di Galilei compaiono a p. 207.
(36) Si veda nota 3.
(37) Galileo Galilei, Il saggiatore, § 5, in GGO, vol. VI, p. 228.
(38) Cfr. i già ricordati lavori di Antonino Poppi: A. Poppi, Cremonini, Galilei, cit.;
Id., Cremonini e Galilei, cit.
(39) Bernardo Pisenti, lettera a Ingolfo de’ Conti, Venezia 3 maggio 1613, in GGO,
vol. XI, pp. 503-504: 504. Non è evidente che il giudizio di Pisenti si riferisca a Galilei,
tuttavia le nostre conoscenze della storia veneta di quegli anni non sono sufficienti per
individuare altri possibili obiettivi. Nel maggio del 1613 la cattedra di matematica in
Padova era ancora vacante. Giovanni Camillo Gloriosi, che avrebbe ricevuto l’incarico
per quella cattedra nell’autunno del 1613, era già a Venezia e personaggio ben noto, ma
non vi sono elementi per pensare che Pisenti si riferisca a lui.
22 MARCO FORLIVESI
Sul piano personale, i due pensatori furono legati per lungo tem-
po da una solida amicizia. Lo testimoniò nell’aprile 1604 Silvestro
Pagnoni, che per un anno e mezzo era stato copista di Galilei: all’atto
di denunciare quest’ultimo all’Inquisizione di Padova, alla domanda
«Con chi pratica familiarmente questo Galileo», Pagnoni rispose «Col
Cremonino quasi ogni giorno».40 Questa amicizia, si noti, non fu
spenta neppure dalla polemica del 1605 relativa alla stella nova appar-
sa nel 1604. Nel 1608 Cremonini agì da fideiussore a favore di Galilei
per la considerevole cifra di 520 fiorini; viceversa, allorché lasciò Pa-
dova Galilei prestò a Cremonini, senza formalità, l’altrettanto conside-
revole somma di 400 ducati. Ancora nel 1613, anno di pubblicazione
della Disputatio de coelo di Cremonini, Filippo Salviati scrisse a Galilei:
«Nel passar di Padova parlai al S.r Cremonino, che nel discorrere mi
pare molto amico e partiale di V.S., fuor che nella dottrina».41 Come
ha dimostrato Giulio Pagallo, la ragione – almeno contingente – del
raffreddarsi dell’amicizia tra i due pensatori risiedette in una questione
di ordine economico; una questione, peraltro, provocata da un com-
portamento poco elegante di Galilei e di Giovanfrancesco Sagredo,
non di Cremonini.42
Per quanto riguarda i rapporti tra i due autori sul piano scien-
tifico, nonostante le già ricordate divergenze si deve osservare che le
lettere a noi note di e a Galilei mostrano che egli, almeno fino al 1613,
non era indifferente all’opinione che Cremonini aveva di lui. In par-
ticolare, Galilei attendeva quasi ansiosamente la pubblicazione del De
coelo di Cremonini, nonostante che i suoi confidenti lo esortassero a
non prestare a quest’opera alcuna attenzione. In effetti, se Galilei aveva
forse nutrito qualche speranza di trovare nelle pagine di quel testo un
qualche riconoscimento delle proprie scoperte, sta di fatto che essa
andò delusa. Eppure, è anche un fatto che, per quanto ci è noto, dopo
lo scontro del 1605 Galilei non espresse giudizi sarcastici su Cremo-
nini, diversamente da quanto fece nei confronti di altri autori; pari-
menti, neppure Cremonini, dopo quell’anno, polemizzò con Galilei.
Segno di ottusità e di disinteresse del filosofo centese nei confronti
dello scienziato pisano, come tante volte si è scritto, o della consape-
(40) Il testo della denuncia è pubblicato in A. Poppi, Cremonini, Galilei, cit., pp. 51-
54: 53.
(41) Filippo Salviati, lettera a Galileo Galilei, Verona 13 novembre 1613, in GGO,
vol. XI, p. 595.
(42) Cfr. Giulio F. Pagallo, Giovanfrancesco Sagredo fra Galileo e Cremonini, per un
pugno di ducati, «Atti e memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in
Padova», CXX, 2007-2008, vol. III, pp. 3-26.
POLITICA E SCIENZA TRA XVI E XVII SECOLO 23
dovrebbe egualmente esser, nato ch’egli è, ciascun signore del suo proprio volere[...].
S’a me toccasse mai d’impor leggi a le genti io vorrei ch’ogn’un fosse uguale a l’altro.
E chi, solo una volta, seguisse l’altrui voglia, fosse poi condannato a non ottener mai
cosa veruna che fosse di sua voglia.43
In materia dell’introdur novità. / E chi dubita che la nuova introduzzione, del voler
che gl’intelletti creati liberi da Dio si facciano schiavi dell’altrui volontà, non sia
per partorir scandoli gravissimi? / e che il volere che altri neghi i proprii sensi e gli
posponga all’arbitrio di altri / e che l’ammettere che persone ignorantissime d’una
scienza o arte abbiano ad esser giudici sopra gl’intelligenti, e per l’autorità concedu-
tagli siano potenti a volgergli a modo loro / Queste sono le novità potenti a rovinare
repubbliche e sovvertire gli stati<.>44
Io l’ho scritta vulgare [si riferisce qui all’opera Istoria] perchè ho bisogno che ogni
persona la possa leggere, e per questo medesimo rispetto ho scritto nel medesimo
idioma questo ultimo mio trattatello [si riferisce qui all’opera Discorso]: e la ragione
che mi muove, è di vedere, che mandandosi per gli Studii indifferentemente i giove-
ni per farsi medici, filosofi etc., sì come molti si applicano a tali professioni essendovi
inettissimi, così altri, che sariano atti, restano occupati o nelle cure familiari o in altre
occupazioni aliene dalla litteratura […]; et io voglio ch’e’ vegghino che la natura, si
come gl’ha dati gl’occhi per veder l’opere suo così bene come a i filuorichi [ossia i
filosofi naturali], gli ha anco dato il cervello da poterle intendere e capire.46
(45) Federico Cesi, lettera a Galileo Galilei, Roma 30 novembre 1612, in GGO, vol.
XI, pp. 438-439: 439.
(46) Galileo Galilei, lettera a Paolo Gualdo, Firenze 16 giugno 1612, in GGO, vol.
XI, pp. 326-328: 327. Il testo così prosegue: «Contutto ciò vorrei che anco l’Apelle [ossia
il gesuita Christoph Scheiner (1573-1650)] e gl’altri oltramontani potessero vederla; e
qui, per esser io occupatissimo, haverei bisogno del favore di V.S. e del S. Sandeli [ossia
Martino Sandelli], il quale mi facesse grazia di trasferirla quanto prima in latino e man-
darmela poi subito, perchè in Roma è chi si è preso cura di farla stampare insieme con
alcune altre mie.»
POLITICA E SCIENZA TRA XVI E XVII SECOLO 25
Roma, massime in questo secolo, nel quale il Principe di qua [ossia Paolo V] aborrisce
belle lettere et questi ingegni, non può sentire queste novità nè queste sottigliezze, et
ogn’uno cerca d’accomodare il cervello et la natura a quella del Signore [ossia il papa]; sì
che anco quelli che sanno qualcosa et son curiosi, quando hanno cervello, mostrano tut-
to il contrario, per non dare di sè sospetto et ricevere per loro stessi malagevolezze. […]
se il Galileo aspetterà qua [ossia nell’ambasciata di Toscana in Roma] il Sig.or Cardinale
[ossia Carlo de’ Medici], et l’intrigherà punto in questi negozii, sarà cosa che dispiacerà
assai; et egli [ossia Galileo] è vehemente, ci è fisso et appassionato, sì che è impossibile
che chi l’ha intorno scampi dalle sue mani.49
(49) Piero Guicciardini, lettera al granduca di Toscana [Cosimo II], Roma 4 marzo
1616, in GGO, vol. XII, pp. 241-242.
(50) Questo errore tattico fu condiviso da Cesi (cfr. Federico Cesi, Parere, allegato a
Id., lettera a Galileo Galilei, Acquasparta 12 gennaio 1615, in GGO, vol. XII, pp. 129-
131: 130, e Id., lettera a Galileo Galilei, Roma 7 marzo 1615, in GGO, vol. XII, pp.
149-150: 150), ma era stato acutamente ed esplicitamente segnalato da Ciampoli: «Il S.r
Card.l Barberino, il quale, come ella sa per esperienza, ha sempre ammirato il suo valore,
mi diceva pure hiersera, che stimerebbe in queste opinioni maggior cautela il non uscir
delle ragioni di Tolomeo o del Copernico, o finalmente che non eccedessero i limiti fisici
o mathematici, perchè il dichiarar le Scritture pretendono i theologi che tocchi a loro; e
quando si porti novità, ben che per ingegno ammiranda, non ogn’uno ha il cuore senza
passione, che voglia prender le cose come son dette; chi amplifica, chi tramuta; tal cosa
esce di bocca dal primo autore, che tanto sarà trasformata nel divolgarsi, che più non la
riconoscerà per sua.» (Giovanni Ciampoli, lettera a Galileo Galilei, Roma 28 febbraio
1615, in GGO, vol. XII, pp. 145-147: 146. Cfr. anche Piero Dini, lettera a Galileo
Galilei, Roma 7 marzo 1615, in GGO, vol. XII, pp. 151-152, e Giovanni Ciampoli,
lettera a Galileo Galilei, Roma 21 marzo 1615, in GGO, vol. XII, pp. 160-161: 161).
(51) Si veda quanto lo stesso Galilei scrive nel 1634 ad Elia Diodati: Galileo Galilei,
lettera a Elia Diodati, Arcetri 25 luglio 1634, in GGO, vol. XVI, pp. 115-119: 116-117.
(52) Dai tempi del tradimento di Pietro Carnesecchi in cambio del titolo granducale,
i Medici si erano posti in una condizione di subalternità allo Stato della Chiesa. Un vela-
to riferimento al Carnesecchi potrebbe essere contenuto nella stessa lettera, già ricordata,
di Guicciardini a Cosimo II del 4 marzo 1616.
POLITICA E SCIENZA TRA XVI E XVII SECOLO 27
(53) Cfr. Piero Guicciardini, lettera al granduca di Toscana [Cosimo II], Roma 4
marzo 1616, in GGO, vol. XII, pp. 241-242, e Francesco Niccolini, lettera ad Andrea
Cioli [segretario del granduca di Toscana Ferdinando II], Roma 5 settembre 1632, in
GGO, vol. XIV, pp. 383-385.
(54) «Apostolicae sedis primatum, imo et principatum nemo gnarus antiquitatis et
historiae negavit. Hic, quem modo affectant, non est primatus, sed totatus, si liceat voca-
bulum effingere ex eo quod abrogato omni ordine totum omnino uni tribuit.» (Paulus
Sarpius, lettera a <Jacobus> Gillotius [ossia: Jacques Gillot, prima canonico e poi decano
della cattedrale di Langres], Venetiis 15 septembris 1609, in Paolo Sarpi, Lettere ai Gal-
licani, a cura di B. Ulianich, Wiesbaden, Steiner, 1961, pp. 134-136: 134). Illuminante
anche il seguente passo: «Ne speres illos passuros se in ordinem redigi. Inter arcana illius
dominationis habent, idem esse toto imperio cedere, ac uno tantum atomo infinitam et
illimitatam illam potestatem minuere. Mihi crede, qui earum rerum sum conscius; ita
bellabunt, ut defendant papam esse supra omne ius, et errare non posse, ac neminem
ei obicere posse cur ita facis, ac pro aris et focis; et merito quidem, nam si eum aggerem
guttula aquae penetraret, iam integer fluvius ingrederetur.» (Paulus Sarpius, lettera a
<Jacobus> Gillotius, Venetiis 12 maii 1609, in P. Sarpi, Lettere, cit., pp. 131-133: 132).
28 MARCO FORLIVESI
Non senza invidia sento il suo ritorno a Padova, dove consumai li diciotto anni
migliori di tutta la mia età. Goda di cotesta libertà e delle tante amicizie che ha
contratto costì e nell’alma città di Venezia.61
Conclusione
Riassunto
Abstract
ensure that they could formulate and divulge their doctrines, yet they
adopted different strategies. The former saw a danger to free thought
and speech in the political and cultural project of the Roman Catholic
Church, a danger he firmly opposed, which he was able to do partly
thanks to his position at Padua university. The latter, on the contrary,
whose position in the university system was weaker, attempted to gain
support among absolutist political powers, in particular the Roman
Catholic Church itself. His choice, however, proved counterproduc-
tive since he became a victim not only of his own maladroit tactics
but also of the clash among the diverse politico-religious factions in
the Catholic Church and of the unwillingness of the Roman Curia to
permit the circulation of theories that originated outside the circles
that were granted its approval.