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L’EUROPA E IL MONDO NEL PRIMO SETTECENTO

DEMOGRAFIA ED ECONOMIA
La situazione demografica europea alla fine del Seicento
Per quanto riguarda le questioni demografiche gli storici possono solo elaborare stime
approssimative sul cambiamento demografico tra il Cinquecento e il Settecento e, ritengono,
che verso la fine del Seicento l’Europa contasse circa 100 milioni di abitanti

L’aumento della popolazione europea fra Seicento e Settecento


Già nel Cinquecento e nel Seicento la popolazione europea era cresciuta moderatamente,
mentre dalla fine del Seicento si incrementò notevolmente, tanto che verso la metà del
Settecento, gli europei erano diventati 145 milioni e questo portò a delle conseguenze:
innanzitutto diminuì la mortalità dovuta a guerre, carestie ed epidemie e la mortalità in
generale, grazie alla maggiore disponibilità di cibo e ai progressi della medicina. Ciò
comportò un graduale allungamento della vita media e in alcuni paesi addirittura della
natalità.

Le trasformazioni dell’agricoltura
Nella seconda parte del seicento ci fu un aumento delle superfici coltivate, mentre nel
Settecento si diffusero le nuove culture originarie delle Americhe, come il mais e le patate.
La domanda crescente di beni alimentari fece sorgere la necessità di sfruttare i campi in
maniera intensiva, utilizzando metodi più razionali; in Inghilterra, per esempio, fu
sperimentata la rotazione pluriennale (divisione del campo in più aree) e grazie ad essa la
produzione aumentò. Sempre in Inghilterra vennero introdotti due nuovi strumenti di lavoro,
ovvero l’aratro metallico e la seminatrice meccanica.

Il caso inglese: dai campi aperti alle recinzioni


Fin dal Medioevo il sistema agrario inglese si basava su campi aperti e sulle terre comuni; i
primi appartenevano a un proprietario, mentre le seconde erano considerate una proprietà
collettiva del villaggio. I grandi possidenti fecero pressione sul Parlamento e ottennero
alcune leggi che prevederono la ricomposizione e la recinzione delle proprietà agricole.
Specialmente i più ricchi riuscirono a trarre beneficio da questi provvedimenti: crearono
vaste superfici coltivabili, dove fu possibile praticare un’agricoltura a carattere intensivo e
sperimentare nuove tecniche. I più poveri si trovarono in difficoltà e alcuni abbandonarono la
campagna per cercare miglior fortuna in città.

Le trasformazioni del settore manifatturiero e i flussi mondiali delle merci


Fra il Seicento e il Settecento si diffuse nelle regioni occidentali d’Europa il modello della
lavorazione a domicilio, in particolare nel settore tessile. Molti mercanti-imprenditori
affidarono alcune fasi del ciclo produttivo dei tessuti a famiglie contadine che lavoravano a
casa, quando non erano impegnate nei campi. Ciò moltiplicava la produzione e
l’imprenditore risparmiava sui costi dato che i “collaboratori” contadini si accontentavano di
un compenso più basso.

I flussi mondiali delle merci


Negli ultimi decenni del Seicento i traffici internazionali aumentarono notevolmente e si
venne a creare un sistema economico il cui centro era rappresentato dai principali paesi
europei (Olanda, Francia e Inghilterra). Fra le merci commerciate ci furono anche milioni di
esseri umani, comprati come schiavi e rivenduti ai proprietari delle grandi piantagioni
Americane. La tratta atlantica degli schiavi si intensificò dopo il 1650 e divenne una delle tre
fasi di quello che fu definito un “commercio triangolare”: le navi usate dai negrieri lasciavano
l’Europa con merci di scarso valore e sulle coste africane scambiavano i prodotti con i
prigionieri neri. In seguito ripartivano verso l’America, dove vendevano gli schiavi e, infine,
tornavano in Europa con i prodotti tropicali.

Due teorie economiche contrapposte; mercantilismo e fisiocrazia


Molti paesi europei avevano condotto la propria politica economica in base a principi
comuni, come l’idea che la ricchezza di uno stato si identificasse con la quantità di oro,
argento e monete metalliche, oppure l’idea che lo stato dovesse intervenire direttamente
nelle questioni economiche per indirizzare il mercato. Queste idee erano alla base delle
dottrina del mercantilismo.
Attorno alla metà del Settecento si diffuse un’altra teoria, ovvero la fisiocrazia, basata sulle
riflessioni di Francois Quesnay. La fisiocrazia si contrapponeva al mercantilismo,
sostenendo che l’agricoltura era l’unica attività economica capace di accrescere la ricchezza
del paese e, perciò, lo stato non doveva penalizzare i produttori agricoli con tasse troppo
alte e doveva permettere loro di vivere liberamente. Infatti, solo in un sistema di libero
mercato le merci sarebbero state vendute a un prezzo ragionevole, quanto bastava per i
lavoratori che sarebbero stati più motivati a migliorare le loro aziende.

LA SOCIETA’ DELL’ANTICO REGIME


Una società tripartita e gerarchica
Con antico regime, gli storici indicano il periodo che va dal 1500 fino al primo periodo del
1700 e l’espressione venne introdotta dai rivoluzionari francesi per marcare la differenza tra
vecchie e nuove istituzioni. Fino alla rivoluzione francese lo stato è suddiviso in 3 ceti
principali, non esisteva una parità giuridica tra gli uomini di ceto differente e ciascuno
godeva dei diritti che le leggi riconoscevano al ceto di cui faceva parte. A capo di ogni ceto
c’era un monarca assoluto.
Il primo ceto era la nobiltà, che deteneva le leve del potere politico e aveva il compito di
difendere la comunità attraverso l’esercizio delle armi.
Il secondo ceto era il clero (l’unico a cui non si accedeva per nascita), il cui compito era
amministrare il culto divino
Il terzo ceto era formato da tutti coloro che non appartenevano agli altri due ceti e aveva il
compito di lavorare per garantire all’intera comunità i mezzi di sussistenza.

Il secondo e il primo ceto godevano di diritti maggiori, o meglio dire di privilegi, infatti erano
esentati dal pagamento delle tasse (né dirette né indirette), potevano essere giudicati da
tribunali speciali e potevano accedere a impieghi riservati nella corte e nell’esercito, o nella
gerarchia ecclesiastica. Parte delle loro ricchezze derivano dal loro lavoro come funzionari
del re, mentre l’altra parte delle loro ricchezze deriva dai terreni che possiedono (da
ricchezza si genera altra ricchezza). Cambiare ceto era un evento assai eccezionale

Il potere del sovrano e gli interessi dei sudditi


Gli stati dell’antico regime (a parte qualche eccezione) erano tutti retti da un sovrano e da
una monarchia assoluta. Il sovrano, la cui regalità era considerata una prerogativa di origine
divina, possedeva potere temporale e monopolio della forza legittima e pretendeva
obbedienza da parte dei suoi sudditi. Egli esercitava anche un controllo sulle gerarchie
ecclesiastiche del proprio regno, presentandosi come difensore della vera fede.
La chiesa aveva l'interesse a rimanere in buoni rapporti col re e, dopo le persecuzioni e le
guerre religiose avvenute nei secoli passati, una forte alleanza tra altare e trono era
necessaria per garantire la pace. Anche gli aristocratici evitavano di contrapporsi al re per
non perdere i loro privilegi.
I borghesi e i popolani rinunciavano a ribellarsi in cambio della garanzia da parte del sovrano
di assicurare loro il pane quotidiano a un prezzo ragionevole. I monarchi assoluti, per quanto
possibile, provarono a far applicare la regola del giusto prezzo del pane, imponendo ai
componenti della filiera cerealicola di accontentarsi di margini di profitto molto più bassi, così
che i consumatori non dovessero pagare troppo.

La concorrenza dinastica e la politica dell’equilibrio


Ogni stato era considerato come un patrimonio della dinastia che lo reggeva, trasmettendo il
potere da un sovrano al suo erede legittimo. Il re assoluto, di tanto in tanto poteva convocare
gli Stati Generali, ma essi avevano solo potere consultivo e il re non era obbligato ad
eseguire i loro consigli. Il re assoluto è un despota.
A causa della concorrenza fra le dinastie, i monarchi dovevano dimostrarsi in grado di
difendere e di allargare i confini del proprio regno. Questo obiettivo poteva essere raggiunto
sposando membri di altre case regnanti oppure intraprendendo guerre. A causa di ciò la
politica matrimoniale divenne difficile da distinguere, perché tutte le grandi famiglie regnanti
erano imparentate tra di loro. Ecco perchè nella prima parte del 1700 furono combattute ben
3 guerre di successione, che avevano come obiettivo quello di stabilire nuovi equilibri.

● PARENTESI INGHILTERRA
L’inghilterra, pur essendo governata da un re, possedeva un parlamento, infatti era
una Monarchia Parlamentare (il re non poteva fare tutto ciò che voleva)

LA CIVILTA’ DEI LUMI


I CARDINI DELL’ILLUMINISMO
La celebrazione della ragione
L’illuminismo è il più importante movimento culturale avvenuto in Europa durante gli anni del
Settecento. Il suo nome deriva dalla ragione che ogni uomo possiede e che agisce come un
“lume naturale” in grado di dissipare l’ignoranza e la superstizione, guidando l’umanità verso
un avanzamento la ragione deve rischiarare la verità. L’illuminismo si sviluppa specialmente
in Francia, diffondendosi poi in tutta Europa; ecco perché il francese divenne la lingua
cardine, sostituendo il latino. Gli illuministi si concordavano su alcuni principi di base, prima
fra tutte sulla fiducia nella ragione e sull’idea che essa dovesse essere usata con spirito
critico per esaminare la realtà e trasformarla. Il sapere, dunque, era considerato empirico (lo
si raggiungeva associando ipotesi e i dati dell’esperienza) e pragmatico (messo al servizio
della comunità per migliorare le vite).
Gli illuministi avevano anche una solida fiducia nel progresso e una concezione ottimistica
della natura umana. Le critiche illuministe si rivolsero a tutte le conoscenze che non erano
ancora state messe in discussione perché costituivano la tradizione; molto chiara fu la
polemica nei confronti delle confessioni religiose, infatti l’illuminismo è un movimento laico,
anche se non antireligioso. Nell’ambito della riflessione politica, gli illuministi si distinsero per
la loro opposizione all’assolutismo e per il loro riformismo: gli illuministi desideravano solo
delle riforme che permettessero ai cittadini di avere una vita migliore.
La massoneria e l’illuminismo “segreto”
Uno dei maggiori centri propulsivi delle idee illuministe fu la massoneria, ovvero una società
segreta nata in Inghilterra e in Scozia e che conobbe in questo periodo sempre più
successo. Era composta da un gran numero di gruppi indipendenti chiamati logge, a cui si
accedeva attraverso un rito di iniziazione (setta). Il pensiero illuminista riguardante la politica
dello stato doveva essere segreto perché colui a cui era rivolta la critica era troppo potente,
perciò il pensiero politico doveva viaggiare clandestinamente.

LA CULTURA NELL’ETA’ DEI LUMI


La circolazione delle idee
I filosofi pensavano che il peggior nemico del genere umano fosse l’ignoranza, perciò si
proposero di far circolare l’informazione, la quale portava conoscenza. Volevano far
diffondere la conoscenza e ambivano a ricoprire un ruolo attivo nella mobilitazione
dell’opinione pubblica, che andava costruita attraverso un dibattito libero.

I luoghi del dibattito intellettuale: i salotti e le accademie scientifiche, i club e i caffè


Il periodo illuminista, dunque, si caratterizzò per l’ampia circolazione di idee e informazioni.
Dato che le idee illuministe non potevano essere presentate nei luoghi del sapere
tradizionale, vennero creati i salotti, luoghi al riparo da censure, spesso organizzati a casa di
nobili, infatti erano rivolti solo al primo ceto sociale. Nella seconda metà del Settecento,
invece, sorsero moltissime accademie scientifiche, luoghi molto meno nobili. Coloro che
condividevano determinate opinioni formavano circoli o club in cui era possibile approfondire
le proprie proposte. Infine un ruolo cruciale fu svolto dai caffè (chiamati così per la nuova
bevanda importata dall’America), ovvero locali pubblici presenti in tutte le principali città
europee, che divennero le sedi di confronti intellettuali e che favorì la diffusione di nuove
pubblicazioni e stampe. Questi luoghi non erano settari, proprio perché le idee che si
condividevano non riguardavano la politica e, per questo, erano idee libere.

Le nuove forme di diffusione della cultura


Dato che il progresso era sempre più rapido e il numero di persone che volevano tenersi
informate erano molte, i filosofi decisero di creare altri mezzi di comunicazione, ovvero i libri,
le gazzette e i pamphlet (piccoli libri, saggi su uno specifico argomento). Le gazzette non
erano pubblicazioni giornaliere, bensì periodiche, mentre i pamphlet erano molto meno
costosi e veloci da stampare e distribuire.

L’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert


Il simbolo della filosofia illuminista, però fu l’Enciclopedia, pubblicato dal 1751 al 1772 sotto
la direzione di Denis Diderot e Jean-Baptiste d'Alembert. L’enciclopedia era un libro che
racchiudeva la sintesi dei saperi dell’epoca e costituì un’impresa culturale d’avanguardia:
superò la distinzione tra sapere meccanico e alta cultura e affrontò liberamente tutti gli
argomenti, compresi quelli religiosi e politici.

Montesquieu teorizza la separazione dei poteri


Fra i protagonisti più significativi della cultura illuministica vi è anche il barone di
Montesquieu, il quale pubblica in forma anonima un finto romanzo epistolare nel quale
esprime la critica della cultura e della società francese con i mezzi della satira. In seguito
pubblicherà un trattato chiamato “Lo spirito delle Leggi” (1748), nel quale afferma che la
storia non è frutto del caso o della divina provvidenza, ma della concreta attività degli
uomini. In questo trattato esamina anche i tre sistemi politici fondamentali (dispotismo,
monarchia e repubblica), concludendo che ciascuno di essi può essere valido relativamente
al paese e al popolo a cui si applica, anche se non garantisce che essi siano
contemporaneamente giusti. Per questo motivo Montesquieu esprime una condanna del
dispotismo, dato che la libertà politica può realizzarsi in un regime repubblicano, fondato
sul rispetto delle leggi, o in un regime monarchico, fondato sull’onore. In entrambi i casi,
però ci deve essere una separazione dei poteri fondamentali dello stato (Legislativo,
giudiziario ed esecutivo)

Rousseau: il contrattualismo e la teoria della sovranità popolare


Jean-Jacques Rousseau scrisse un’opera che impostava in maniera del tutto originale lo
studio dei fattori all’origine della formazione degli stati. Rousseau affermava che la società
ideale non era quella inglese. Essa era esistita solo nello stato di natura, prima che la
nascita della proprietà privata desse origine alla miseria, alla disuguaglianza e alla servitù.
Questo suo pensiero lo portò alla rottura con il movimento illuminista: egli ipotizzava una
totale rifondazione della società. Nel 1762 pubblicò il contratto sociale, un saggio in cui
sostenne che occorreva ricostruire la società sulla base di un libero accordo fra tutti i suoi
membri, intesi come cittadini.gli uomini avrebbero abbandonato i propri interessi particolari
per ritrovarsi uniti in un corpo politico orientato al bene comune. Le persone, dunque, se
volevano stare insieme, dovevano avere un patto con lo stato dove “cedevano” parte delle
loro libertà per un bene superiore.

LA STAGIONE DEL DISPOTISMO ILLUMINATO


I nuovi obiettivi dei sovrani
Se prima di allora tutti i sovrani assoluti avevano avuto come principale obiettivo quello di
rafforzare il potere statale, attorno alla metà del Settecento alcuni di essi proposero di
razionalizzare gli apparati pubblici e avviarono riforme ispirate alla ragione illuministica, che
presero il nome di dispotismo illuminato. I sovrani, per l’appunto, si accorsero che alcune
idee illuministe, se messe in pratica, avrebbero permesso un notevole miglioramento dello
stato. L’unica cosa che i sovrani non approvavano era il cambio del governo, perciò non
rinunciarono alla monarchia, ma utilizzarono delle idee illuministe per migliorare lo stato.

1) Le loro riforme mirarono, innanzitutto, ad aumentare le entrate fiscali per finanziare le


imprese belliche, cosa che comportò una parziale messa in discussione dai privilegi del
primo e del secondo ceto sociale. Vennero introdotti dei catasti (registro relativo alle
proprietà immobiliari situate nel territorio) fondiari, cosa che i ceti più ricchi non approvarono.

2) In secondo luogo le riforme puntarono a modernizzare l’economia: furono promosse


misure di sostegno alle attività produttive e i sovrani cercarono di ridimensionare il il ruolo
istituzionale della chiesa cattolica, che rappresentava una potenziale antagonista per
l’autorità centrale dello stato, perché possedeva un enorme patrimonio ed esercitava una
forte autorità morale (non vogliono uno stato nello stato). A causa di questo
ridimensionamento, molti sovrani misero al bando i gesuiti (educavano, ma dopo averli
banditi sarà lo stato a occuparsene), prendendo le loro ricchezze e limitando i loro poteri.

● TENERE PRESENTE: Il dispotismo illuminato non era presente né in Francia (poco


illuminata) né in Inghilterra (non era despota)
Le riforme di Federico II in Prussia
Federico II, re di Prussia (alta Germania, verso Polonia) dal 1740 al 1786, si circondò di
alcuni dei rappresentanti della cultura illuministica al fine di migliorare il proprio governo.
Nel settore della giustizia, introdusse un nuovo codice di procedura e un nuovo codice civile,
abolendo la tortura e riducendo il numero di crimini punibili con la pena di morte.
Il suo esercito, il quale era già uno dei meglio organizzati in Europa, fu rafforzato e nella
burocrazia introdusse dei meccanismi rigorosi di selezione del personale amministrativo.
Federico II improntò la sua politica religiosa al principio della tolleranza e, nel campo
dell’istruzione, organizzò nel 1763 il primo sistema europeo di istruzione elementare
obbligatoria. Ciò contribuì a rafforzare nella popolazione l’attaccamento al sovrano e alle
istituzioni civili e militari. Inoltre riuscì a mostrare nei fatti che l’istruzione è un diritto di tutti e
non un privilegio di pochi. Per quanto riguarda l’estensione dei suoi domini, invece utilizzò
una politica di potenza.

Le riforme dell’impero Asburgico


L’imperatrice Maria Teresa si concentrò in modo particolare sull’apparato amministrativo e
sull’esercito, il quale fu rafforzato numericamente e con l’introduzione di nuovi sistemi di
addestramento militare. Riformò il sistema d’istruzione rendendo la scuola elementare
pubblica e obbligatoria e la censura fu sottratta dalle mani ecclesiastiche e passò nelle mani
dello stato. Maria Teresa introdusse un’imposta fondiaria ed elaborò un catasto (registro
relativo a tutte le proprietà immobiliari di un territorio, per capire chi avesse le ricchezze)

Quando Maria Teresa smise di regnare, suo figlio Giuseppe II (1765-1790) continuò il suo
lavoro e, riguardante la libertà religiosa, eliminò innanzitutto l’atto di tolleranza. Eliminò la
tortura, limitò la pena di morte, concesse la libertà di stampa e soppresse nel 1781 la servitù
della gleba.

Il riformismo contraddittorio di Caterina II di Russia


Il dispotismo illuminato caratterizzò anche il regno di Caterina II (1762-1796), la quale
intrattenne rapporti di amicizia con diversi filosofi e improntò il suo governo sugli ideali
illuministi, anche se riallacciava contemporaneamente l’esempio autocratico dello zar di
Russia Pietro il Grande. Per risanare il bilancio statale, Caterina II confiscò alla chiesa
ortodossa tutte le sue proprietà e trasformò il clero russo in un corpo di sacerdoti stipendiati
e dipendenti dallo stato. In seguito istituì una Commissione consultiva e la incaricò di
redigere un nuovo codice legislativo, raccomandando di seguire i più moderni principi
espressi dall’illuminismo. Questo progetto fu osteggiato in particolare dalla nobiltà, ma il
lavoro della commissione permise di avere un quadro chiaro dell’arretratezza economica e
sociale della Russia, specialmente dei contadini considerati servi della gleba.

La scomparsa della Polonia


Anche i sovrani illuminati perseguirono una politica estera di potenza, improntata
sull’aggressività e all’ampliamento dei propri territori. A farne le spese furono i regni più
deboli, come quello polacco, mira espansionistica dei vicini (Asburgo, Prussia e Russia) che
subì una disgregazione in tre fasi. Terminata la terza fase, il regno di polonia sparì dalle
mappe geografiche.
L’ILLUMINISMO E LE RIFORME IN ITALIA
L’illuminismo negli imperi asburgici
Le riforme illuministiche riguardarono anche alcuni stati italiani; l’Italia non era ancora uno
stato, infatti al centro c’era lo stato della chiesa, al sud c’era la Borgogna e al nord-est era
occupata dagli Asburgo. In più c’erano degli stati governati da parenti degli asburgo, mentre
al nord-ovest c’erano i Savoia. La Lombardia si caratterizzò per un grande fenomeno
culturale e ne furono protagonisti
- Pietro Verri: funzionario dell’Imperatrice Maria Teresa, era autore di opere di storia,
economia e politica e che scrisse sull’opinione pubblica
- Cesare Beccaria: giurista che raggiunse la fama europea attraverso il trattato “Dei delitti e
delle pene”, in cui si condannavano le pratiche della tortura e della pena di morte (rapporto
delitto-colpa). Il suo nome è stato dedicato al carcere minorile di Milano.

Nel 1764 venne fondata la rivista “Il Caffè” che ospitò diversi dibattiti fra filosofi e letterati,
anche se verrà chiuso quando inizieranno a discutere di politica.
Fondamentale fu l’introduzione di un registro catastale che divenne il modello per tutti i
catasti all’interno dei confini asburgici. Furono inoltre introdotte misure tese a facilitare i
commerci, in primo luogo l’eliminazione dei dazi (tasse per bloccare prodotti che
escono/entrano nello stato) che limitavano la circolazione del grano.

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