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Istituzioni di diritto romano (P-Z), a.a.

2014-2015

OBBLIGAZIONI VERBIS: LA STIPULATIO

La stipulatio era un contratto verbis che si concretava nello scambio di una domanda
e di una risposta. Ciò comportava che il debitore (promissor = il promittente) era
obbligato dal momento in cui aveva risposto alla domanda posta dal creditore
(stipulator = lo stipulante).
Come riferisce Gaio, il contratto si concludeva nel seguente modo:

Gaio 3.92: L’obbligazione nasce verbis da una domanda e una risposta, come ‘dari spondes?
spondeo; dabis? dabo; promittis? promitto; fidepromittis? fidepromitto; fideiubes?
fideiubeo; facies? Faciam.

L’uso di verbi differenti non modificava il fatto che si trattava comunque di una
stipulatio: ciò che contava non erano le parole impiegate, ma il fatto che c’era stata
una domanda seguita da una risposta.
In diritto classico vi erano 5 condizioni formali che le parti erano tenute a rispettare:

1. Per definizione, come si è già detto, la stipulatio è un atto orale e quindi non si può
concludere se non parlando entrambe le parti. Ad esempio, un muto o un sordo non
potevano concludere stipulazioni, in quanto il sordo non poteva intendere quello che
gli diceva l’altra parte e il muto non poteva pronunciare le parole che portavano alla
conclusione del contratto. Per aggirare questi ostacoli dovuti alla natura stessa
dell’atto, se qualcuno di loro voleva farsi promettere con stipulatio, lo poteva fare
tramite uno schiavo presente, che gli avrebbe acquistato anche la relativa azione. Allo

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stesso modo, chi di loro voleva obbligarsi, lo poteva ordinare ad uno schiavo o ad un
sottoposto.
La stipulatio rimase per secoli un atto orale, ma, almeno dalla tarda Repubblica, si
poteva redigere un documento del suo contenuto: tale redazione scritta si mostrava
molto utile soprattutto per semplificare la domanda nelle stipulazioni di una certa
complessità. Nel porre domanda, il futuro creditore può semplicemente richiamarsi al
contenuto del documento e ottenere la solita risposta adesiva del futuro debitore:
“Prometti di dare (o di fare) tutto ciò che sta scritto nel documento?”; “Prometto”. Per
tutto il periodo tardo repubblicano e classico, il documento non aveva alcun valore
costitutivo della obbligazione, ma un mero valore probatorio, nel senso che, in una
eventuale lite, rendeva più comodo per l’interessato fornire la prova dell’avvenuta
stipulatio.
Tuttavia, dopo la concessione generale della cittadinanza nel 212, e la conseguente
influenza delle tradizioni giuridiche, di matrice greco-ellenistica, delle province
orientali, che al documento attribuivano spesso valore costitutivo di un diritto, si
diffuse la tendenza a trasformare la stipulatio in un negozio scritto. Infine,
Giustiniano dispose che si dovesse prestare fede alla scrittura, a meno che una delle
parti contraenti non fornisse prova che essa medesima o la controparte non era
presente nel luogo e nel giorno in cui la stipulatio risultava conclusa.

2. Un’esigenza essenziale della stipulatio era il fatto che non vi dovevano essere
‘tempi morti’ tra la domanda e la conseguente risposta. La contestualità era richiesta
non per una questione di puro formalismo, ma al fine di assicurare che il contenuto
del contratto fosse stabilito in modo in equivoco:
Venuleio, D.45.1.137 pr.: L’atto dello stipulante e del promittente deve essere continuo
(anche se può esservi qualche intervallo naturale) e bisogna subito rispondere allo stipulante.

3. La risposta, oltre che contestuale, doveva essere congrua: il promittente, cioè,


doveva necessariamente usare lo stesso verbo che figurava nella domanda (la
ripetizione del verbo era dovuta anche all’assenza nella lingua latina
dell’affermazione ‘sì’).

4. Gaio indica chiaramente che “non si può contrarre una obbligazione verbale tra
assenti”. Questo requisito era strettamente legato sia a quello della continuità sia a
quello dell’oralità. In diritto classico, ad esempio, non era possibile concludere una
stipulatio con uno scambio di lettere: era necessario trovarsi nel medesimo luogo, nel
medesimo momento. Gaio presenta comunque un modo pratico per superare questo
veto, che era sicuramente un forte ostacolo per gli scambi commerciali: farsi
‘rappresentare’ da uno schiavo.

5. Era poi essenziale che colui che prometteva fosse pure colui che s’obbligava a
fornire la prestazione promessa. Si tratta qui del carattere personale delle
obbligazioni. Da ciò discendeva il divieto di concludere una stipulatio in favore di
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un terzo (“Prometti di dare 100 a Tizio?” – a meno che lo stipulator non avesse
interesse al pagamento al terzo) o per il fatto di un terzo (“Prometti che Tizio mi
darà 100?”). Tuttavia, la giurisprudenza classica trovò il modo di superare tali divieti
per mezzo di stipulazioni penali sottoposte a condizione e la cui domanda aveva,
rispettivamente, la seguente formulazione: “Prometti di dare a me 200, se non darai
100 a Tizio?” e “Prometti di dare a me 200, se Tizio non mi darà 100?”. Come risulta
chiaro, la promessa condizionata riguardava un fatto proprio e quindi perfettamente
valida.

Quanto al contenuto, attraverso la stipulatio si poteva promettere qualunque


prestazione (possibile, lecita, determinata o determinabile), sia essa consistente in un
dare o fare o assicurare (praestare).
La stipulatio, poi, era lo strumento privilegiato per far sorgere obbligazioni generiche o
alternative.
In una obbligazione generica, la prestazione consisteva nel dare una cosa o una
determinata quantità di cose appartenenti ad un genere (ad es., uno dei miei
schiavi, tot di olio o di grano). In età classica, il debitore, al quale di regola spettava
la scelta, poteva liberarsi offrendo pure la cosa di qualità peggiore: ad es., uno
schiavo anziano o malato. Al contrario, se la scelta competeva al creditore, questi
poteva esigere la qualità migliore. Progressivamente si parametrò la scelta su una
cosa di media qualità.
In una obbligazione alternativa, invece, era prevista la scelta fra più di una
prestazione: la scelta di quale andasse eseguita competeva ad una delle parti, più
spesso al debitore.
Un esempio si legge nel testo 41, che qui riporto per comodità del lettore, che
contiene parte di una costituzione di Giustiniano:
Cod. Iust. 4.5.10 pr.-2: [pr.] Qualora taluno abbia promesso con una stipulatio di dare lo
schiavo di quel nome oppure una certa quantità di denaro … e, posto che fosse sua la scelta
di adempiere pagando una di queste cose, le abbia per errore pagate entrambe, si discuteva
di quale cosa gli fosse consentito chiedere la restituzione e se ne avesse la scelta lo
stipulante (= creditore) o il promittente (= debitore). [1] Per Ulpiano (d’accordo con
precedenti giuristi) la scelta è di chi ha ricevuto entrambe le cose, di modo che restituisca
quella che preferisce. Invece, per Papiniano (d’accordo con Salvio Giuliano) la scelta è di
chi ha pagato entrambe le cose, cioè di chi, anche prima di adempiere, aveva la scelta fra le
due prestazioni. [2] Noi (= Giustiniano) ... preferiamo il parere di Giuliano e Papiniano.

La fattispecie al centro del dibattito giurisprudenziale riguardava un debitore che si


era obbligato con stipulatio a dare un certo schiavo o una certa somma di denaro. Per
errore il debitore aveva eseguito entrambe le prestazioni. Era palese che uno dei due
beni – o lo schiavo o il denaro – doveva tornare al promittente: ma a chi spettava la
scelta?
I giuristi classici erano attestati su due diverse posizioni.

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Secondo Ulpiano, che accoglieva il parere di precedenti giuristi, la scelta


spettava al creditore/stipulante, perché egli era divenuto a sua volta debitore di una
prestazione alternativa da indebito.
Papiniano, invece, uniformandosi al parere di Salvo Giuliano, concedeva la scelta al
debitore iniziale, nell’ipotesi normale che fosse sua la scelta di quale prestazione
eseguire.
E fu proprio questa seconda opinione ad essere fatta propria da Giustiniano che in tal
modo mise fine al secolare dibattito dottrinale.
Come in altre fonti di obbligazioni (da atto lecito o illecito), anche nella stipulatio
potevano aversi più soggetti come creditori e/o come debitori. In questi casi,
sorgevano obbligazioni solidali, qualificate, rispettivamente, attive, se più sono i
creditori, e passive, se più sono i debitori.
La solidarietà, dal latino in sòlidum “per intero”, poteva essere o cumulativa o
elettiva. La solidarietà cumulativa si verificava quando il debitore doveva
adempiere per intero la prestazione a favore di ogni creditore oppure quando tutti i
debitori (es. più autori di un illecito) singolarmente erano tenuti a corrispondere per
intero la prestazione (ovvero l’intera pena) nei confronti dell’unico creditore (vittima
dell’illecito).
Nell’ipotesi di solidarietà elettiva (prevista solo negli atti leciti), il creditore poteva
pretendere l’intero adempimento da ciascuno dei debitori, e l’adempimento di uno dei
condebitori liberava tutti gli altri.

Ad una normale stipulatio poteva aggiungersi (in senso tecnico-giuridico, accedere)


un’altra stipulatio, anche qui passivamente o attivamente.
Dal lato passivo, ossia del debitore, la stipulatio accessoria realizzava la funzione di
garanzia personale. Chi era già creditore da stipulatio nei confronti di Caio
chiedeva ad un terzo: “Prometti di darmi lo stesso (idem) che mi deve Caio?”. Il
terzo che rispondeva “Prometto” si impegnava, come garante, a eseguire la
prestazione, qualora il debitore principale (Caio) non avesse adempiuto.
Dal lato attivo, cioè del creditore, la domanda della stipulatio accessoria era posta da
un terzo, detto adstipulator, in questa forma: “Prometti di dare a me lo stesso (idem)
che hai promesso a Tizio (= creditore)?”. In questo modo il terzo era legittimato, dal
punto di vista sostanziale, a ricevere la prestazione dal debitore, dal punto di vista
processuale a chiamarlo in giudizio in caso di inadempimento.
Infine, il terzo poteva, a seguito di autorizzazione del creditore principale (Tizio),
rimettere il debito; se tale autorizzazione mancava, il terzo era perseguibile, con azione
penale, dal creditore principale per il doppio del danno patrimoniale sofferto, come
previsto dalla legge Aquilia (capo II, per il testo vedi file ‘Obbligazioni da delitto’,
p. 8): tale situazione venne depenalizzata in età classica.

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