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La responsabilità internazionale degli Stati

L’illecito internazionale e le sue conseguenze


Dobbiamo porci due domande:
1. Quando si è in presenza di un illecito internazionale? in altre parole: quali sono gli elementi costituivi
dell’illecito internazionale? Nel manuale si utilizza spesso l’espressione fatto/atto illecito internazionale.
2. Quali sono le conseguenze dell’illecito internazionale?
La risposta a queste due domande si pone in entrambi i casi sul piano del diritto internazionale generale: la
disciplina della responsabilità internazionale degli Stati è consuetudinaria, che è stata oggetto di significativi sforzi di
codificazione. Il tentativo di codificare le norme sulla responsabilità internazionale venne fatto già tra le due guerre
mondiali nel contesto della Società delle nazioni ed è stato per lungo tempo portato avanti dalla Commissione di
diritto internazionale (CDI). Su questo tema la CDI ha iniziato a lavorare già dal 1953 e l’esito di questi lavori si ha
avuto solo nel 2001, quasi 50 anni dopo. Vale la pena di sottolineare questo aspetto perché questo ampio lasso di
tempo lascia intendere la complessità della questione e la sua delicatezza in cui la dimensione politica è molto
rilevante. La CDI ha prodotto un primo risultato nel 1996 con un progetto di articoli approvato in prima lettura nello
stesso anno, ma l’esito definitivo dei lavori della Commissione si ha avuto con l’approvazione del progetto di articoli
in seconda lettura nel 2001. Noi prenderemo in considerazione il progetto del 2001, ma teniamo presente il risultato
intermedio del 1996 da cui per alcuni aspetti si differenzia. Non si tratta inoltre di un vero e proprio accordo di
codificazione, ma di un progetto di articoli “Draft Articles on Responsability of States for International Wrongful Acts”
trasmesso all’Assemblea Generale dell’ONU suggerendo a questa di portarlo all’assemblea degli stati senza tradurlo
in un accordo di codificazione. La CDI, data la delicatezza della materia, temeva che andando verso un accordo di
codificazione ci sarebbe stato il rischio che gli stati travolgessero il progetto, oppure che non avrebbero ratificato
l’accordo di codificazione. Forse è stata una scelta vincente, infatti il progetto non vincola nessuno in senso stretto
(non essendo un accordo), ma nel corso del tempo, i riferimenti nella prassi soprattutto da parte dei giudici
internazionali, in primis della CIG, e dei giudici nazionali al progetto di articoli sono divenuti sempre più frequenti. È
sempre più frequente è la posizione della CIG rispetto alla corrispondenza tra il progetto di accordo e il diritto
consuetudinario. Quindi, possiamo assumere il progetto, fino a prova contraria, come base del nostro studio di questo
argomento poiché, pur non essendo un accordo di codificazione, è un consolidato riferimento quando si parla di
responsabilità internazionale. (Nei materiali di bb c’è la versione in inglese del progetto di articoli).
Suddivisione in parti del progetto: parte prima dedicata all’illecito internazionale (elementi costituivi dell’illecito)
dall’articolo 1 all’articolo 27; parte seconda “Contenuto della responsabilità internazionale dello Stato” (fino all’art.
41) e parte terza “Attuazione (implementation) della responsabilità internazionale dello Stato” che trattano entrambe
delle conseguenze dell’illecito. Complessivamente il progetto comprende 59 articoli.
A complemento di questo discorso vale la pena dire che, dopo aver approvato definitivamente questo progetto nel
2001, la CDI si è messa a lavorare sul tema della responsabilità internazionale delle organizzazioni
internazionali, la seconda grande categoria di soggetti del diritto internazionale. il lavoro è stato più rapido, la CDI
ha approvato un progetto di articoli nel 2011. È stato più veloce anche perché molte volte le norme corrispondono a
quelle del progetto relativo alla responsabilità internazionale degli Stati, anche se ci sono alcuni problemi specifici
delle organizzazioni internazionali, in particolare quando imputare la responsabilità all’organizzazione in quanto tale
e quanto invece imputarla agli stati membri.

Gli elementi costitutivi dell’illecito internazionale


Art. 2 Progetto:
“Sussiste un atto internazionale illecito di uno Stato quando un comportamento consistente in un’azione o in
un’omissione: (a) può essere attribuito allo Stato ai sensi del diritto internazionale; e (b) costituisce una violazione di
un obbligo internazionale dello Stato”.
Vi possono essere illeciti commissivi, che consistono in un’azione, oppure illeciti omissivi, che consistono in
un’omissione.
Le lettere (a) e (b) identificano i due elementi costituivi dell’illecito internazionale, che devono essere entrambi
presenti perché si possa parlare di illecito internazionale.
• Elemento soggettivo (lettera a): l’imputabilità di un comportamento allo Stato. Il primo elemento da verificare è
se un comportamento possa essere imputato ad uno Stato.
• Elemento oggettivo (lettera b): l’antigiuridicità del comportamento.
Se abbiamo una condotta imputabile ad uno stato, ma che non viola di un obbligo internazionale dello stato non si
tratta di un illecito internazionale (stessa cosa per l’inverso).

Elemento soggettivo dell’illecito


Partiamo dall’elemento soggettivo dell’illecito internazionale: dobbiamo individuare all’interno del progetto di articoli
della CDI le principali norme dedicate a risolvere questo problema, cioè quando un determinato comportamento è
attribuibile a uno stato?

Art. 4 Progetto: enuncia la regola generale, allo Stato si imputa la condotta dei suoi organi.
Paragrafo 1. “Il comportamento di un organo dello Stato è considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto
internazionale, sia che tale organo eserciti funzioni legislative, esecutive, giudiziarie o altre, qualsiasi posizione abbia
nell’organizzazione dello Stato e quale che sia la natura come organo del governo centrale o di una collettività
territoriale dello Stato”.
La disposizione è coerente con quanto abbiamo detto quando riflettendo sullo Stato come soggetto di diritto
internazionale dicendo che la nozione rilevante sul piano del diritto internazionale è quella di stato-apparato o stato-
organizzazione, per cui lo stato si identifica negli organi che esercitano l’imperio. Si tratta sia di organi con funzioni
legislative, esecutive e giudiziarie che di tutti gli enti pubblici, anche gli enti territoriali locali. La responsabilità che
viene in gioco è comunque quella dello stato, la condotta dell’ente si imputa allo Stato. Questo non è esplicitato dal
progetto di articoli, ma emerge dalla giurisprudenza della CIG: assimilazione tra organi de iure e organi de facto.
Agli organi dei iure dello Stato sono assimilati gli organi de facto dello Stato. L’articolo 4 nel paragrafo 2 dice che un
organo include qualsiasi persona o ente che ha quello status secondo il diritto interno dello Stato, quindi per
identificare quali siano gli enti o le persone che possiamo qualificare come organo dello stato la cui condotta si imputa
allo stato, il riferimento è al diritto interno. Questi sono gli organi de iure, ai quali il diritto interno dello Stato attribuisce
la qualifica di organo. La giurisprudenza della CIG ha sottolineato che sono da assimilare agli organi dei iure anche
quelli de facto, ossia le persone che agiscono in totale dipendenza dallo Stato.

Art. 7 Progetto
“Il comportamento di un organo di uno Stato (..) è considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto
internazionale se quell’organo agisce in tale qualità, anche se eccede la propria competenza o contravviene alle
istruzioni”.
Ci si chiede se sia da imputare allo Stato la condotta di un suo organo anche quando questo abbia agito al di fuori
della propria competenza o contravvenendo ad istruzioni ricevute. La questione è importante dal punto di vista
pratico: possono verificarsi, e si sono verificate nella prassi, situazioni nelle quali un organo statale agisce al di fuori
delle proprie competenze e contravviene a norme internazionali. Esempio: probabilmente la situazione più ricorrente
è quella in cui un organo di polizia realizzi dei comportamenti che costituiscono tortura. La tortura rientra nelle
condotte che costituiscono gross violations dei diritti umani ed è quindi vietata dal diritto internazionale cogente. Oltre
a ciò esistono delle convenzioni contro la tortura sia a livello universale (ONU) che a livello europeo di cui molti stati
sono parte contraenti. Tipicamente, questo si traduce in un quadro normativo interno agli Stati con norme che vietano
la tortura. Se un organo di polizia pone in essere comportamenti riconducibili alla tortura, lo stato va addirittura contro
a previsioni normative interne e dunque sta sicuramente eccedendo la propria competenza, dal momento che il diritto
interno vieta tale condotta. La domanda è quindi: gli atti di questo organo sono comunque imputabili allo Stato?
Il problema si è proposto concretamente davanti alla Corte europea dei diritti umani, perché la Convenzione
europea dei diritti umani vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, inoltre la convenzione prevede agli
individui vittime di violazioni dei diritti sanciti dalla convenzione la possibilità di adire la Corte. È capitato che alcune
persone vittime di tortura abbiano presentato dei ricorsi contro Stato responsabile di questi atti dinanzi alla Corte. Lo
stato potrebbe difendersi argomentando che l’organo che ha compiuto gli atti di tortura eccedeva le competenze e
che quindi quel comportamento non sarebbe imputabile allo Stato. Tuttavia, il progetto e la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti umani, che costituisce prassi rilevante in questo senso, ci dice che non è così, ci dice che il
comportamento di un organo di uno Stato è considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale
se quell’organo agisce in tale qualità anche se eccede la propria competenza o contravviene alle istruzioni. È
comunque imputabile allo Stato la condotta dell’organo, anche se eccede la competenza e contravviene alle
indicazioni, purché l’organo agisca in tale qualità: si deve trattare di atti compiuti nel corso dell’esercizio delle
proprie funzioni. Se, degli agenti di polizia, torturano una persona, si tratta di atti compiuti nell’esercizio delle loro
funzioni, perché in quella situazione stanno agendo in qualità di organi dello Stato anche se eccedono la loro
competenza e quindi la loro condotta sarà imputabile allo Stato. C’è un’altra sentenza della CIG in un caso che
contrapponeva Congo-Uganda del 2006 in cui la Corte doveva valutare se fossero imputabili all’Uganda condotte
di militari ugandesi che si trovavano sul territorio del Congo e che potevano essere considerate condotte
contravvenute ad istruzioni. La Corte afferma che, trattandosi di militari, quindi di organi dello Stato, la loro condotta
si imputa allo Stato, indipendentemente dal fatto che abbiano contravvenuto a istruzioni o ecceduto la loro
competenza.

La questione della imputabilità allo Stato della condotta di privati: si può imputare allo Stato anche la condotta di
privati?
Precisazione circa gli organi de facto: diamo per acquisito che se una persona, non dotata dello status di organo,
agisce in totale dipendenza da uno Stato è da equiparare ad organo e fuoriesce dal discorso che ora andiamo a fare.
Evidentemente, coerentemente col discorso fatto fin qui, come regola generale, la condotta di semplici privati non si
imputa allo Stato, ma ci sono particolari situazioni nelle quali invece la condotta di un privato o di un gruppo di privati
è imputabile ad uno Stato. Approfondiamo il discorso alla luce della pertinente giurisprudenza della CIG. Le più
importanti disposizioni per discutere questo profilo sono l’articolo 8 e 11 del Progetto.

Art. 8 Progetto:
“Il comportamento di una persona o di un gruppo di persone è considerato un atto di uno Stato ai sensi del diritto
internazionale se la persona o il gruppo di persone di fatto agiscono su istruzioni, o sotto la direzione o il controllo
di quello Stato nel porre in essere quel comportamento”.
NB: controllo ≠ totale dipendenza (previsione organi de facto).

Approfondiamo la nozione di “controllo” che ha posto dei problemi interpretativi sui quali si sono pronunciate diverse
Corti:
• CIG, caso Nicaragua c. Stati Uniti (1986);
Il problema nasceva da alcuni comportamenti tenuti dai contras nicaraguensi: in Nicaragua in quegli anni vi era un
governo comunista, i contras erano un gruppo armato irregolare, si trattava di privati che lottavano contro il governo
ed erano fortemente sostenuti dal governo degli Stati Uniti attraverso finanziamenti e addestramenti. Quindi
certamente era indiscusso il fatto che vi fosse un controllo generale nei confronti di queste milizie irregolari da parte
degli Stati Uniti, il cosiddetto overall control, il problema era capire se allora fossero imputabili agli Stati Uniti alcune
condotte dei contras che nel corso di alcune operazioni militari avevano compiuto gravi violazioni dei diritti umani e
del diritto umanitario. Questo gruppo di privati aveva compiuto gross violations dei diritti umani, il punto era capire se
queste condotte potessero essere imputate agli Stati Uniti in considerazione dell’overall control che gli Stati Uniti
esercitavano sui contras. La CIG risponde ritenendo che quelle condotte non siano imputabili agli Stati Uniti, secondo
la CIG, per poter imputare quelle condotte agli Stati Uniti dovrebbe essere fornita alla Corte la prova che gli Stati
Uniti esercitavano un controllo effettivo su quelle azioni specifiche nel corso delle quali sono state commesse quelle
violazioni. In assenza di questa prova non si può imputare agli Stati Uniti la condotta. La CIG quindi contrappone al
concetto di controllo generale il concetto di controllo specifico, ossia il controllo specifico su quelle azioni che hanno
comportato quelle gravi violazioni dei diritti umani.

• Camera d’appello del Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, caso Tadic (1999);
Precisazione: il tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia è un tribunale istituito ad hoc per le vicende
intervenute nel processo di dissoluzione della ex Iugoslavia e di guerra civile. Il tribunale è penale quindi non risolve
controversie tra stati, ma giudica individui. Nel contesto del giudizio nei confornti di Tadic, la Camera d’appello del
tribunale penale internazionale, si trova a dover valutare se sia imputabile alla Repubblica federale di Iugoslavia la
condotta del gruppo paramilitare serbo-bosniaco, il cosiddetto “esercito della repubblica Srpska” responsabili del
genocidio di Srebenica. La questione è se la condotta di una milizia irregolare che si è tradotta in atti genocidari, nel
caso di Srebenica, sia imputabile allo Stato della repubblica federale di Iugoslavia poi divenuta Serbia Montenegro.
La camera si chiede questa cosa, non perché debba decidere della responsabilità internazionale della Repubblica
federale di Iugoslavia, ma perché deve valutare se il contesto nel quale è avvenuto il genocidio di Srebenica fosse
un contesto di conflitto armato internazionale o di conflitto armato interno. Se la condotta è imputabile alla repubblica
federale di Iugoslavia, il conflitto armato è internazionale e si applicano le regole relative ai conflitti armati
internazionali, altrimenti si applicano regole relativi ai conflitti armati interni (la questione dovrebbe essere vista come
interna alla Bosnia-Erzegovina). In questo contesto, in relazione a questa finalità per la quale deve pronunciarsi, la
camera d’appello dice che imputa alla Repubblica federale di Iugoslavia le condotte di queste milizie anche se ha la
prova solamente di un controllo generale e non anche di un controllo effettivo. Questi due concetti tornano in gioco:
era sicuramente provato che la Repubblica federale di Iugoslavia esercitasse un controllo generale su queste milizie,
ma non c’era la prova di un controllo effettivo in relazione al genocidio di Srebenica, ciononostante, discostandosi
dalla posizione della CIG del 1986, il tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia dice che si accontenta di
questo controllo generale per imputare alla rep la condotta di queste milizie. Quindi, si tratta di una posizione contraria
rispetto alla CIG nel 1986.

• CIG, caso Bosnia Erzegovina c. Serbia e Montenegro (2007).


La Corte viene nuovamente chiamata ad affrontare la questione e proprio in relazione alla stessa vicenda su cui si
era pronunciata la Camera d’appello del tribunale per la ex Iugoslavia in un caso che vede come parte attrice la
Bosnia e come parte convenuta in giudizio l’ex repubblica federale di Iugoslavia, ossia Serbia-Montenegro. In questo
caso, la Bosnia accusa la Serbia Montenegro di aver violato la convenzione sulla prevenzione e repressione del
genocidio. La Corte si trova a dover valutare se la condotta delle milizie serbo-bosniache siano imputabili alla Serbia
Montenegro e la Corte conferma la sua posizione, dice di non avere la prova di un controllo effettivo della Repubblica
federale di Iugoslavia, di Serbia Montenegro sulla commissione del genocidio a Srebenica da parte delle milizie
serbo-bosniache, e in questa situazione non basta che sia dimostrato il controllo generale per concludere nel senso
dell’attribuibilità di quelle condotte alla Serbia Montenegro.

Questa vicenda delle tre sentenze è stata da taluni utilizzata per affermare il rischio di frammentazione del diritto
internazionale: ci sono tante corti, tanti rami del diritto internazionale, quindi il rischio è di avere prese di posizione
che si contraddicono tra di loro.
Tuttavia, è da notare che la stessa CIG nella sentenza del 2007, quando conferma il proprio iniziale orientamento si
preoccupa di giustificare perché la sua posizione è differente da quella del Tribunale penale internazionale dell’ex
Iugoslavia. La CIG dice che il tipo di valutazione che deve fare è diverso da quella del tribunale per l’ex Iugoslavia, il
quale non deve giudicare della responsabilità di uno stato, non è stato chimaamto a giudicare della responsabilità
internazionale della Repubblica federale di Iugoslavia. Ha dovuto valutare se fosse imputabile alla Repubblica
federale di Iugoslavia la condotta di quelle milizie perché doveva decidere se il conflitto fosse interno o internazionale
e quindi che diritto applicare. Quindi, in quel contesto, il tribunale penale per l’ex Iugoslavia poteva adottare un
approccio più estensivo. La CIG invece si trova a risolvere una controversia tra stati e giudicare esattamente e
precisamente della questione della responsabilità internazionale dello stato e deve essere necessariamente rigorosa
e quindi adottare un’interpretazione più restrittiva della nozione di controllo. Non basta un controllo generale dello
Stato su di un gruppo di privati per imputare la condotta allo Stato, occorre che sia dimostrato un controllo specifico
dello stato sulle specifiche azioni dei privati che hanno comportato violazioni di certe regole del diritto internazionale.
la CIG afferma che c’è una assoluta contrapposizione, le posizioni diverse si giustificano per contesto e fine del loro
giudizio.

Quindi, l’articolo 8 del Progetto quale posizione sposa?


Non è chiarissimo per la verità, possiamo cogliere nell’espressione controllo dello stato nel porre in essere quel
comportamento (riferimento ad un comportamento specifico), possiamo trovare un implicito riferimento alla tesi del
controllo effettivo. Che questa sia la posizione adottata dal progetto di articoli la capiamo anche dal fatto che il
progetto di articoli è accompagnato da un ponderoso commentario, in cui articolo per articolo la CDI spiega il lavoro
di ricostruzione del diritto consuetudinario che è stato fatto, nel commento all’articolo 8 la CDI chiarisce che
nell’imputare a uno stato la condotta di un gruppo di privati laddove venga in rilievo il tema del controllo si deve fare
riferimento al controllo effettivo. La CDI prende posizione per la tesi sostenuta dalla CIG.

Articolo 11 Progetto:
“Un comportamento che non è attribuibile ad uno Stato ai sensi degli articoli precedenti è nondimeno considerato un
atto di quello stato ai sensi del diritto internazionale se e nella misura in cui quello Stato riconosca e adotti il
comportamento in questione come proprio”.
La norma ha un rilievo residuale: si va ad applicare nel momento in cui nessuna delle precedenti disposizioni
consente di imputare una condotta ad uno Stato (articolo 4, articolo 8).
Per capire a quale situazione fare riferimento prendiamo in esempio la sentenza relativa al caso Stati Uniti c. Iran
(1980) relativo al sequestro e della detenzione del personale diplomatico e consolare statunitense nei locali
dell’ambasciata americana a Teheran da parte di un gruppo di studenti islamici.
In un periodo di forte tensione tra Stati Uniti e Iran, questi studenti islamici avevano sequestrato il personale
diplomatico e consolare statunitense a Teheran e in altre due città iraniane. Gli Stati Uniti adiscono la CIG quando
la vicenda è ancora in corso, quindi la pronuncia della CIG è antecedente alla conclusione della vicenda.
L’aspetto interessante è che la Corte suddivide la vicenda in due fasi e ritiene che solo nella seconda fase la
detenzione in ostaggio del personale diplomatico e consolare statunitense sia imputabile all’Iran.
Inizialmente c’era stata l’occupazione dei locali dell’ambasciata e la presa in ostaggio del personale diplomatico
consolari, ad un certo punto le massime autorità politiche iraniane, in particolare l’Ayatollah Khomeini, avevano
pubblicamente elogiato e sostenuto questa azione, cioè le autorità dell’Iran “hanno riconosciuto e adottato come
proprio il comportamento”. A partire da quel momento, la detenzione in ostaggio del personale diplomatico consolare
diventa imputabile all’Iran ed essendo in violazione delle norme di diritto internazionale sui rapporti diplomatici
consolari viene a costituire un illecito internazionale da parte dell’Iran.

Soffermiamoci anche sulla prima fase, punto che merita attenzione: l’occupazione e la detenzione del personale
non erano in quanto tali imputabili all’Iran, ma questo non significa che non vi fosse già in quella fase un illecito
internazionale da parte dell’Iran, infatti, non era imputabile loro l’occupazione dei locali e la presa in ostaggio del
personale, ma comunque c’era un illecito perché le regole del diritto diplomatico e consolare codificate nelle
convenzioni di Vienna del 1961 (relazioni diplomatiche) e 1963 (relazioni consolari) impongono allo stato territoriale
l’obbligo di fornire adeguata protezione ai locali dell’ambasciata e al personale. Nella sua sentenza, la CIG dice che
l’Iran era a conoscenza del rischio che ci potesse essere questa azione da parte degli studenti islamici, infatti, quando
l’azione ha avuto inizio, è giunta, da parte del personale diplomatico consolare degli Stati Uniti, una richiesta di aiuto
ai cui l’Iran non ha dato seguito. L’Iran nella prima fase ha commesso un Illecito omissivo: ha omesso di prendere
le misure che avrebbero garantito protezione ai locali dell’ambasciata e del personale.
Mutatis mutandis, anche nel caso Bosnia Erzegovina contro Serbia Montenegro si può fare un discorso simile: non
essendo dimostrato il controllo effettivo sulle milizie non era imputabile alla Serbia Montenegro il genocidio di
Srebenica, quindi la Serbia non aveva violato a questo titolo la Convenzione sulla prevenzione e repressione del
genocidio, ma la Convenzione obbliga gli stati parte non solo a non commettere atti di genocidio, ma anche di
prevenirli. (Prevenire crimini di genocidio= poter fare tutto quanto nelle possibilità dello stato perché non si verifichi
un genocidio). Secondo la CIG la Serbia Montenegro non aveva adempiuto completamente agli obblighi discendenti
dalla Convenzione.

Elemento oggettivo dell’illecito


Art. 12 Progetto
“Si ha una violazione di un obbligo internazionale da parte di uno Stato quando un atto di quello Stato non è
conforme a quanto gli è richiesto da quell’obbligo, quale che ne sia la fonte o la natura”.
Precisiamo che quando ragioniamo sull’esistenza di una violazione di un obbligo internazionale da parte di uno Stato
dobbiamo tenere presente la diversa tipologia di obblighi internazionali in particolare degli obblighi in quanto
scaturenti da norme consuetudinarie e da norme pattizie. Detto in altri termini, si tratta di capire se la norma
internazionale obbliga lo Stato in questione: se la norma è di diritto internazionale generale, questa vincola tutti gli
Stati; se una norma è prevista da accordo, bisogna verificare che lo Stato ne faccia parte e ne sia vincolato.

Art. 13 Progetto
“Un atto di uno Stato non costituisce una violazione di un obbligo internazionale a meno che lo Stato sia vincolato
dall’obbligo in questione al momento in cui l’atto è compiuto”.
Regola che si sintetizza con l’espressione latina tempus regit actum: prendiamo il caso di un accordo internazionale
e di uno stato che sia parte dell’accordo e quindi vincolato dalle disposizioni dell’accordo a partire dal momento in
cui l’accordo è entrato in vigore nei suoi confronti. Se l’atto risale ad un momento precedente, nel quale lo Stato non
era ancora vincolato dal rispetto dell’accordo, naturalmente non sussiste l’elemento oggettivo dell’illecito. Da questo
punto di vista è importante stabilire il tempus commissi delicti: il momento in cui viene commesso un determinato
atto. In questo senso, il Progetto precisa che ci sono diverse tipologie di comportamenti illeciti:
• illeciti a carattere istantaneo: si compiono e si perfezionano in uno specifico momento;
• illeciti a carattere continuativo che perdurano nel tempo, esempio: la illecita detenzione del personale diplomatico
e consolare non è un illecito istantaneo,non si compie in un preciso specifico momento e non si esaurisce in quel
momento, ma perdura nel tempo. Il progetto definisce una serie di regole volte a precisare quale sia il tempus
commissi delicti a seconda della tipologia di illecito per poter incrociare questo con la regola tempus regit actum.

Le circostanze o cause di esclusione dell’illecito


Circostanze in presenza delle quali, un atto che di per sé costituirebbe illecito internazionale perché sussistono sia
elemento soggettivo che oggettivo, non viene considerato illecito.
• Consenso dello Stato leso (art. 20 Progetto)
• Legittima difesa (art. 21 Progetto)
• Contromisure (art. 22 Progetto)
• Forza maggiore (art. 23 Progetto)
• Estremo pericolo (art. 24 Progetto)
• Stato di necessità (art. 25 Progetto)

Art. 26 Progetto
“Nessuna diposizione del presente capitolo esclude l’illeceità di qualsiasi atto di uno Stato che non sia conforme ad
un obbligo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale generale”.
Specifico riferimento alle norme imperative di internazionale generale. L’articolo 26 ci dice che nel caso di un illecito
rappresentato dalla violazione di una norma di jus cogens le cause di esclusione non possono essere fatte valere.
Ricordiamo che le norme di jus cogens esprimono valori fondamentali della comunità internazionale, quindi sono
inderogabili.

Analizziamo più specificamente le singole circostanze di esclusione dell’illecito, partiamo da una prima causa di
esclusione dell’illeceità internazionale che è il consenso dello Stato leso (art. 26 Progetto).
Art. 20 Progetto:
Il valido consenso di uno Stato alla commissione di un determinato atto da parte di un altro Stato esclude l’illeceità
di quell’atto in relazione al primo Stato nella misura in cui l’atto non ecceda i limiti del consenso”.
Esempio: uno Stato autorizza lo svolgimento sul suo territorio di atti coercitivi da parte di organi stranieri, per esempio
la cattura di un criminale o una operazione volta alla liberazione di ostaggi. Se gli organi di polizia di uno Stato, quindi
gli organi di uno Stato, compiono operazioni non autorizzate sul territorio di un altro Stato, stanno compiendo un
illecito internazionale, perché tali azioni costituiscono violazioni della sovranità territoriale dell’altro Stato, a meno che
non siano autorizzati dallo Stato territoriale. La regola della sovranità territoriale è prevista dal diritto consuetudinario.
Ha rappresentato un illecito internazionale in quanto violazione della sovranità territoriale l’operazione con cui agenti
dei servizi segreti israeliani catturarono in argentina il criminale nazista Eichmann senza aver ottenuto
l’autorizzazione delle autorità argentine. In altri casi operazioni di forze speciali, di agenti dei servizi segreti, di organi
di polizia in un altro stato sono autorizzate dalle autorità dello Stato territoriale, quindi in questo senso abbiamo un
consenso prestato dallo Stato leso che opera come causa di giustificazione e fa venir meno quindi l’illeceità di quel
comportamento, sempre che non si arrivi a consfigurare una violazione di norma di diritto cogente (art. 26 Progetto).
Ci potrebbe venire in mente l’ipotesi delle extraordinary renditions per cui i servizi segreti USA hanno catturato
persone nel territorio di uno Stato che magari ha anche prestato il consenso a questo fine perché le persone fossero
trasferite in un terzo Stato e per essere ivi torturate. Il divieto di tortura è previsto da norma di jus cogens, anche se
ci dovesse essere stato un consenso dalle autorità territoriali alla cattura di quelle persone, non viene meno l’illeceità
della condotta sia dello Stato che ha catturato le persone sia quello che attraverso il suo consenso ha favorito
l’operazione di cattura.

Art. 23 Progetto: Forza maggiore


1. L’illiceità di un atto di uno Stato non conforme ad un obbligo internazionale di tale Stato è esclusa se l’atto è
dovuto a forza maggiore, consistente nel sopravvenire di una forza irresistibile o un avvenimento
imprevedibile, fuori dal controllo dello Stato, che rende materialmente impossibile nelle circostanze, agire
in conformità all’obbligo”.
L’esistenza della forza maggiore fa sì che non sia materialmente possibile pe rl’organo statale comportarsi in modo
conforme all’obbligo internazionale. Esempio: sottomarino dell’esercito di uno Stato che si trovi in avaria e che viene
spinto dalle correnti nelle acque territoriali di un altro stato, qui abbiamo una violazione della sovranità territoriale di
uno Stato, ama essendo il sottomarino ingovernabile, sussiste una situazione di forza maggiore, opera questa causa
di giustificazione dell’illecito.

Art. 24 Progetto: estremo pericolo o di stress


1. “L’illiceità di un atto di uno Stato non conforme a dun obbligo internazionale di tale Stato è esclusa se l’autore
di quell’atto non ha ragionevolmente un altro mezzo, in una situazione di estremo pericolo, per salvare la
propria vita o quella di persone affidate alle sue cure. (…)”
Esempio: nave in balia di una tempesta che rischia il naufragio e per evitare questa sorte, il capitano della nave
decide nelle acque territoriali di uno Stato senza previa autorizzazione da parte delle autorità statali. Qui la situazione
è diversa da quella della forza maggiore, perché il Capitano della nave ha apparentemente una possibilità di scelta,
è una sua scelta il dirigersi verso un porto di uno Stato, ma si tratta dell’unico modo per salvare la propria vita o delle
persone affidate alla propria cura. A fronte di una situazione di estremo pericolo, l’individuo organo fa la scelta di
riparare nel porto e di violare una norma internazionale.

Art. 25 Progetto: lo stato di necessità


1. “Lo stato di necessità non può essere invocato da uno Stato come motivo di esclusione dell’illiceità di un
atto non conforme ad un obbligo internazionale di tale Stato, a meno che l’atto:
(a) Sia il solo mezzo per lo Stato per salvaguardare un interesse essenziale di fronte ad un pericolo
grave e imminente; e
(b) Non comprometta gravemente un interesse essenziale dello Stato o degli Stati rispetto ai quali l’obbligo
sussiste, o della comunità internazionale nel suo complesso.
2. In ogni caso, lo stato di necessità non può essere invocato da uno Stato come motivo di esclusione
dell’illiceità se:
(a) L’obbligo internazionale in questione esclude la possibilità di invocare lo stato di necessità; o
(b) Lo Stato ha contribuito al verificarsi dello stato di necessità.
Insieme di condizioni particolarmente gravoso e in effetti Conforti dubita del fatto che lo stato di necessità rappresenti
effettivamente una causa di giustificazione dell’illecito prevista dal diritto internazionale generale. La stessa CIG
afferma che lo stato di necessità è previsto dal diritto consuetudinario come causa di esclusione dell’illecito, Conforti
ne dubita perché osserva che, seppure le varie sentenze della CIG e le varie sentenze arbitrali in cui in linea di
principio si è ammessa la possibilità di invocare lo stato di necessità, ma poi in concreto in quasi tutti i casi si è
ritenuto che on sussistessero tutte le condizioni necessarie per poter far valere lo stato di necessità.

Esempio: sentenza CIG nel 1997 nel caso Ungheria contro Slovacchia. La CIG afferma che, se non si fosse voluto
considerare estinto il trattato, il mancato adempimento del trattato da parte dell’Ungheria non avrebbe rappresentato
un illecito internazionale a motivo dall’operare della causa d’illiceità rappresentata dallo stato di necessità. In
sostanza, l’Ungheria diceva che non aveva adempiuto agli obblighi previsti dal trattato perché ciò avrebbe comportato
gravi danni all’ambiente naturale e, diceva l’Ungheria, la salvaguardia dell’ambiente rappresenta un interesse
essenziale dello Stato. La CIG risponde: in premessa, la Corte ritiene che lo stato di necessità sia una causa di
esclusione dell’illecito previsto dal diritto consuetudinario e ne elenca le condizioni che dice la Corte, rispecchiano il
diritto consuetudinario, la sentenza è del 1997, un Progetto di articoli era già stato approvato nel 1996 e prevedeva
una norma analoga all’articolo 25. La Corte poi passa ad esaminare se sussistano le condizioni, la prima domanda
è se la tutela dell’ambiente rappresenti un interesse essenziale dello Stato ungherese. La CIG risponde
affermativamente e chiarisce che, in questo contesto, non si deve ridurre a interesse essenziale dello Stato la sua
sola esistenza (interpreta in modo ampio il concetto di interesse essenziale). In seguito, la CIG ritiene che anche
ammesso che il pericolo corso dall’ambiente naturale fosse grave, non poteva essere ritenuto sufficiente certo, quindi
imminente. Inoltre, ritiene che l’Ungheria avrebbe potuto ricorrere ad altri mezzi per far fronte ai pericoli che
paventava, ci potevano essere altre vie per tutelare l’ambiente naturale. L’Ungheria ha anche contribuito al verificarsi
dello Stato di necessità che si è venuto a verificarsi. Quindi, in definitiva la Corte dice che più di una condizione tra
quelle previste all’articolo 25 secondo la Corte non sussistono e quindi lo Stato di necessità nel caso di specie non
può essere fatto valere come causa di esclusione dell’illecito e quindi sussiste un illecito derivante dal mancato
adempimento dell’Ungheria agli obblighi stabiliti con l’accordo del 1997.

Negli anni più recenti, negli ultimi due decenni, il riferimento allo stato di necessità è stato rilevante soprattutto nel
caso di quegli Stati che hanno invocato una sorta di necessità economico-finanziaria, cioè hanno invocato una grave
crisi economica come giustificazione per non adempiere al pagamento di debiti internazionali. Esempio: Argentina,
anni 2000 e più recentemente con riferimento alla Grecia. Ci sono due piani del discorso da tenere ben distinti:
• i debiti internazionali: che uno stato contrae nei confronti di altri Stati o organizzazioni internazionali sulla base
di accordi internazionali: illecito internazionale derivante dal mancato pagamento di tali debiti e possiamo più
propriamente discutere dello stato di necessità come causa di esclusione.
• I debiti contratti verso privati: non abbiamo un accordo internazionale, abbiamo un rapporto privatistico, ma
mutatis mutandis è stato invocato il principio di necessità in relazione anche a questi debiti.
Può essere fatto valere lo stato di necessità come causa di esclusione dell’illecito internazionale.
Di regola, lo Stato ha contribuito con la sua condotta al verificarsi dello stato di necessità e quindi non la può far
valere come causa di giustificazione dell’illecito. È una questione complessa, ci sono state varie sentenze nel caso
dell’Argentina.

Conforti si chiede se a questo elenco di cause di esclusione dell’illecito non se ne debba aggiungere un’altra, e
sembra favorevole all’aggiunta, rappresentata dalla necessità per uno Stato di rispettare i principi fondamentali della
propria costituzione. Troviamo un’eco della teoria dei controlimiti che nel rapporto tra fonti e ordinamenti ha portato
nel caso italiano alla sentenza 238 del 2014 della nostra Corte costituzionale. Si può evocare la necessità di rispettare
i principi fondamentali della costituzione come causa di esclusione dell’illecito? Lo Stato ha violato una norma
internazionale perché era l’unico modo per rispettare un principio fondamentale della costituzione. Conforti sembra
orientato ad accettare questa causa di esclusione dell’illecito, ma il progetto di articoli è assolutamente contrario a
questa ipotesi e anche la maggior parte della dottrina.
Art. 3 Progetto: la qualificazione di un atto dello Stato come internazionalmente illecito è disciplinata dal diritto
internazionale e su tale qualificazione non influisce la qualificazione dello stesso atto come lecito in base al diritto
interno. Cioè: il diritto interno non può giocare un ruolo sul fatto di qualificare un atto internazionalmente lecito oppure
no, solo il diritto internazionale può giocare un ruolo in questo senso.

Con ciò diamo per conclusa la prima parte del discorso sulla responsabilità internazionale dello Stato e in particolare
gli elementi costituivi dell’illecito. Non rientra nel programma dei frequentanti il paragrafo che tratta la questione della
domanda se ci siano altri elementi costitutivi dell’illeciti: la colpa e il danno. Chiedersi se il danno è elemento
costitutivo dell’illecito significa chiedersi se affinchè vi sia un illecito è necessario che i comportamento illecito di uno
Stato causi un danno ad un altro sTtao, la risposta è sicuramente negativa, il danno viene in rilievo su un discorso
circa le conseguenze di un illecito. Esempio: norme sui diritti umani, una violazione dei diritti umani die propri cittadini
non si ha un danno a carico di una ltro Stato, ma comunque l’illecito c’è. Chiedersi della colpa significa chiedersi se
è necessario dimostrare che una deteerinata condotta illecita sia stata tenuta dallo Stato intenzionalemnte (dolo),
oppure senza prestare tutta la dovuta diligenza (colpa), anche qui, la risposta è negativa. Ci possono essere singoli
illeciti internazionali che per la loro stessa deifnizione richiedono ciò, ma non vale come rgeole generae. il genocidio
è illecito che per definizione ha un elemento di intenzionalità, ma quetso vale per lo specifico illecito internazionale

Conseguenze dell’illecito internazionale:


Impostazione teorica risalente ad Anzilotti, Ago e per converso come propugnatore di tesi differenti Kelsen. Conforti
non nasconde di apprezzare l’impostazione teorica di Kelsen e questo lo porta a delle scelte espositive differenti.
L’impostazione teorica accolta nel progetto di articoli della CDI secondo la quale in conseguenza dell’illecito viene a
crearsi una nuova relazione giuridica tra Stato autore dell’illecito e Stato leso, retto da un’apposita norma (c.d.
norma secondaria) il cui contenuto essenziale consiste nel diritto dello Stato leso di pretendere, e nell’obbligo dello
Stato offensore di fornire, una integrale riparazione.
Norma secondaria = espressione da contrapporsi alla norma primaria, cioè la norma internazionale oggetto di
violazione, la norma secondaria regola la nuova situazione giuridica tra stato leso e stato autore dell’illecito.

Conforti considera artificiosa la ricostruzione delle conseguenze dell’illecito nei termini di un nuovo rapporto giuridico.
Piuttosto l’elemento centrale dovrebbe essere considerato l’autotutela → altre ricostruzioni teoriche danno maggiore
rilievo al profilo della autotutela, cioè al “farsi giustizia da sé”, che nel progetto della CDI assume invece un carattere
strumentale rispetto alla riparazione. Secondo Conforti, in una comunità anarchica come quella internazionale, le
conseguenze dell’illecito andrebbero lette avendo riguardo ai rapporti di forza e quindi alla possibilità da parte dello
stato leso di farsi giustizia da sé attraverso gli strumenti di autotutela, che poi sono essenzialmente due: le
contromisure; la legittima difesa. L’autotutela non è assente dal progetto di articoli della CDI che dedica alle
contromisure la parte terza del progetto, ma nell’impostazione della CDI centrale è l’obbligo per lo stato offensore di
fornire riparazione e il ricorso alle contromisure è concepito come funzionale a questo scopo. La seconda parte è
dedicata alla riparazione, la terza alla contromisura con articoli molto chiari nel precisare questo carattere strumentale
delle contromisure rispetto alla riparazione.

Conforti, trattando ampiamente dell’autotutela, affronta in unico paragrafo entrambi i temi delle contromisure e della
legittima difesa (forme dell’autotutela).
NB: la legittima difesa è oggi possibile come reazione alla sola aggressione armata di uno stato nei confronti di un
altro. Siccome il tema della legittima difesa è strettamente legato al tema della forza lo affronteremo più avanti
(disciplina uso della forza).

La seconda parte del progetto di articoli: il contenuto della responsabilità internazionale dello Stato. Parte del progetto
che delinea i contenuti della norma secondaria.
Art. 30 (lett. a): il progetto prevede a carico dello Stato offensore, l’obbligo di cessazione dell’illecito che ha rilievo
nel caso in cui l’illecito abbia carattere continuativo. Detenzione in ostaggio del personale diplomatico statunitensa
imputabile da un certo momento in poi all’Iran e avente carattere continuativo.
L’obbligo di non reiterazione dell’illecito, o più precisamente, l’obbligo per lo Stato offensore di offrire adeguate
assicurazioni e garanzie di non reiterazione se le circostanze lo richiedono” (art. 30, lett. b).
Art. 31: l’obbligo di “prestare integrale riparazione per il pregiudizio causato dall’atto internazionalmente illecito”,
pregiudizio che comprende tanto i danni materiali quanto quelli morali.
I successivi articoli specificano le forme che le riparazioni possono assumere, e sono tre:
• Restituzione (restitutio in integrum) / restituzione in forma specifica: ristabilire la situazione che esisteva
prima che l’illecito fosse commesso, purchè ciò non sia materialmente impossibile e non comporti un onere
sproporzionato. Se uno stato detiene illecitamente un oggetto, deve restituirlo o per stabilire esattamente la
situazione che c’era prima che l’illecito venisse commesso (art. 35).
• Risarcimento del danno causato dall’illecito, che copre ogni danno suscettibile di valutazione economica,
dunque nella sostanza i danni materiali (art. 36 Progetto). Riguarda i pregiudizi economico-patrimoniali, la
norma critica la generalità della norma, critica il fatto che il Progetto di articoli assuma che il risarcimento sia
dovuto in relazione a qualunque illecito internazionale che causi danni materiali. Secondo Conforti,
guardando globalmente alla prassi internazionale, non è così. La prassi dalla quale trae ispirazione il
progetto di articoli è relativa al trattamento degli stranieri, le conseguenze dell’illecito e le forme di riparazione
sono lette nei termini del risarcimento del danno, ma ci sono altri illeciti internazionali in cui non entra in
gioco. Secondo Conforti, forse si potrebbe interpretare questa norma come sviluppo progressivo e non
codificazione del diritto internazionale consuetudinario.
• Soddisfazione, nel caso di danni morali; essa può consistere per esempio, nel riconoscimento della
violazione o nella presentazione di scuse ufficiali (art. 37 progetto). Versamento di una somma simbolica. Ci
sono casi in cui sentenze della CIG il fatto che nella sentenza venisse riconosciuta la violazione del diritto
internazionale ad opera di una delle parti potesse rappresentare un’adeguata soddisfazione. Caso di
soddisfazione, cattura del criminale Eichmann in Argentina, violazione della sovranità Argentina da parte di
Israele a seguito del quale sono state presentate scuse ufficiali da parte di Israele all’Argentina (chiedi). Caso
famoso della Rainbow Warrior, nave dell’associazione ambientalista Greenpeace che mentre era alla fonda
nel porto di Oakland, venne fatta oggetto di un’azione da parte di agenti francesi che la fecero esplodere con
ciò determinandosi una controversia le cui parti erano FR e NZ che aveva ritenuta violata la propria sovranità
territoriale. La controversia viene risolta a seguito di una mediazione da parte del Segretario generale
dell’ONU raggiungendo un accordo tra FR e NZ che prevedeva che i due agenti francesi responsabili del
sabotaggio fossero inviati al confino per tre anni in un’isola della Polinesia. Uno di questi due agenti si
ammala nel corso del confino e la FR li rimpatria violando l’accordo con la NZ compiendo un illecito, forse
giustificabile nel caso dell’agente ammalato che rischiava la vita per cui si poteva far valere una causa di
giustificazione dell’illecito quella di estremo pericolo di stress. La questione è sottoposta a un tribunale
arbitrale sentenza dle 1990 che si pronuncia quando propriamente era scaduto il triennio dice, di fronte alla
pretesa della NZ di rinviare gli agenti a completare il triennio, esclude la possibilità di restitutio in integrum
data la conclusione del triennio. Conforti è molto critico nei confronti di questa sentenza. Dal punto di vista
del diritto internazionale gli attori della controversia sono Francia e Nuova Zelanda perché Green Peace è
una ONG, non è un soggetto internazionale.

Le contromisure, la terza parte: l’attuazione della responsabilità internazionale.


La contromisura consiste in un comportamento dello Stato leso, che in sé sarebbe illecito, ma che diviene lecito in
quanto costituisce la reazione ad un illecito altrui. È la risposta dello stato leso allo stato offensore che consiste nel
violare a sua volta un obbligo internazionale nei confronti dello stato autore dell’illecito. Le contromisure costituiscono
anche una causa di esclusione/giustificazione dell’illecito.
Precisazioni di carattere terminologico: contromisura, rappresaglia, ritorsione.
Rappresaglia: sinonimo di contromisura con la precisazione che è un termine che oggi si tende a non utilizzare più.
Era il termine più in voga fino alla Seconda guerra mondiale, dalla WWII si preferisce il termine contromisura, perché
il termine rappresaglia evoca un’epoca in cui, a titolo di contromisura, era possibile anche l’uso della forza. Mentre,
una fondamentale regola posta dal Progetto e oggi vigente a titolo di diritto internazionale generale è che le
contromisure non comportano l’uso della forza. L’uso della forza come reazione ad un illecito altrui è possibile in un
solo caso: nel caso in cui l’illecito è una aggressione armata altrui in cui è possibile l’uso della forza come risposta
nei termini della legittima difesa. Contromisura e legittima difesa sono imparentati perché sono species del genus
autotutela, ma non vanno sovrapposti, vanno tenuti separati.
Ritorsione: non è sinonimo di contromisura, perché indica il ricorso ad un comportamento inamichevole. Esempio:
se uno Stato vittima di un illecito rompe le relazioni diplomatiche con lo stato autore dell’illecito, questa è una
ritorsione e non una contromisura, perché non c’è un obbligo internazionale a intrattenere relazioni diplomatiche.

Art. 50-51, i limiti alle contromisure:


Le contromisure:
Lettera (a)
• non devono comportare l’uso della forza armata (fino alla seocnda guerra mondiale era accettabile, oggi si è
pienamente affermato il divieto di uso della forza nelle relaizoni internazionli, tranne la legittima difesa;
• non devono consistere nella violazione di alcun’altra norma di jus cogens; previsione del tutto logica e coerente
rispetto alla rilevanza che lo jus cogens assume nel diritto internazionale. Potremmo dire che il Progetto va oltre
lo jus cogens con un divieto generale di violazione die diritti umani (sviluppo progressivo).
• devono rispettare l’inviolabilità di agenti, locali, archivi e documenti diplomatici e consolari (art. 50 Progetto);
esempio: vicenda dei Marò, fucilieri di marina imbarcati su una nave commerciali accusati di aver ucciso due
pescatori indiani scambiati per pirati. I due marò erano stati rimpatriati in Italia sulla base di un accordo Italia-
India che prevedeva un rinvio in India dei Marò (governo Monti), facendo valere il timore che una volta rinviati in
india i marò potessero essere sottoposti a procedimenti he avrebbero potuto sfociare a una condanna a morte,
il governo decide di non rinviare i Marò in India e dunque viola l’accordo concluso con l’India e compie un illecito
internazionale. l’India ritira il passaporto all’ambasciatore italiano in India, poteva farlo? No, ai sensi della
Convenzione di Vienna del 1963 e contro l’articolo 50 del Progetto atto che non potrebbe essere una
contromisura.
(b)
Devono essere commisurate al pregiudizio subito, tenendo conto della gravità dell’atto illecito e dei diritti in gioco
(art. 51 Progetto, c.d. limite della proporzionalità). Il concetto della proporzionalità lo troveremo anche quanod
parleremo di legittima difesa: dev’esserci un rapporto di proporzionalità tra il pregiudizio subito per effetto dell’illecito
e il pregiudizio che lo stato offeso va a causare allo stato autore per effetto della contromisura. Siccome le norme
sono diverse, non è sempre facile valutare la proporzionalità della contromisura.

Non è obbligatorio violare a titolo di contromisura la stessa norma internazionale violata dall’autore dell’illecito, a
titolo di contromisura è legittimo violare una norma completamente diversa. Conforti dice che più del rispetto del
limite della proporzionalità lo Stato deve fare in modo che le contromisure non siano manifestamente sproporzionate
rispetto all’illecito subito. Questo è un discorso di diritto internazionale generale, ma nel contesto dell’OMC e le regole
della soluzione delle controversie tra gli stati membri è un contesto pattizio molto particolare in cui entra in gioco un
organo di soluzione delle controversie e organi quasi giudiziari che possono esser anche chiamati a valutare in che
misura siano ammissibili delle forme di contromisure. Sono regimi particolari che necessitano uno studio ad hoc.

Il progetto, oltre a fissare i limiti delle contromisure, detta delle condizioni per il ricorso alle contromisure, condizioni
dalle quali emerge il discorso per cui le contromisure, secondo l’impostazione teorica del progetto, sono strumentali
alla riparazione. Invece, in Kelsen l’autotutela ha finalità principalmente punitive. Il progetto prevede che lo Stato lesa
debba comunicare allo Stato autore dell’illecito la propria decisione di adottare delle contromisure e offrissi di
negoziare con quello Stato, fatta slava la possibilità di adottare delle contromisure urgenti se ciò è necessario per
preservare i propri diritti (52)
Il ricorso a contromisure deve cessare, non appena lo stato responsabile dell’illecito abbia fornito integrale
riparazione (art. 53) → ciò fa chiaramente intendere che, nella logica del Progetto, le contromisure sono funzionali
alla riparazione e non hanno invece finalità punitiva (vedi anche art. 49 del Progetto).

Se due Stati hanno una diversa opinione circa la proporzionalità della contromisura, viene meno la causa di
esclusione per la parte eccessiva della misura, soluzione della controversia.

La questione delle contromisure collettive:


anche stati terzi possono adottare contromisure nei confronti dello Stato offensore? Di certo o Stato leso può farlo,
ci chiediamo se lo possano fare anche stati terzi.
Il problema non si pone in relazione a qualunque illecito internazionale, si pone in caso di violazione dei c.d. obblighi
erga omnes, cioè obblighi dovuti nei confronti dell’intera comunità internazionale. Obblighi erga omnes: concetto
relativamente recente e incidentalmente in un passaggio di una sentenza della CIG del 1970 “Caso Barcelona-
Tredshon”. La CIG non spiega quali siano gli obblighi erga omnes, la posizione che Conforti fa sua è che gli obblighi
erga omnes sono quelli che discendono dalle norme di ius cogens. Non è unanimemente riconosciuta come
posizione, ma diciamo che le norme di ius cogens sicuramente pongono obblighi erga omnes. Se uno Stato viola il
prinicpio di autodeterminazione dei popoli sta violando un obbligo erga omnes. Accanto agli obblighi erga omnes
dovuti nei confronti della comunità internazionale, il discorso delle contromisure ha senso anche nei confronti degli
obblighi erga omnes partes, ossia accordi in cui la violazione di una norma della convenzione possa essere percepita
come violazione non solo nei confronti dello Stato leso ma anche nei confronti di tutti gli altri stati. Ad esempio, trattati
sui diritti umani, la CEDU, 47 stati parte. L’Italia è tenuta al rispetto dei diritti fondamentali contenuti nella Cedu che
vanno rispettati nei confronti di qualunque persona ricada sotto la giurisdizione italiana, l’obbligo è dovuto nei
confronti di tutti gli altri stati, infatti troviamo anche dei meccanismi di ricorsi interstatali. Sul piano del diritto
internazionale generale, il Progetto prevede all’articolo 48, che nel caso di obblighi erga omnes, gli Stati diversi da
quello leso (gli stati terzi) possano invocare la responsabilità dello stato autore dell’illecito, che non significa ricorrere
a contormisure, significa prendere posizione accanto allo Stato leso invocando l’obbligo di fornire integrale
riparazione allo Stato keso per lo stato offensore. Il Progetto prevede anche un regime di responsabilità aggravata
nel caso di gravi violazioni di norme imperative, art. 40-41. Questa è una parte dle progetto molto depotenziata
rispetto a quelloa approvato in prima lettura, in cui invece si arriva a parlare in questi casi di crimini internazionale,
ossia a sostenere che gli stati potessero essere autori di crimini internazionali. Questo linguaggio è completamente
scomparso nel progetto definitivo del 2001, perché il linguaggio penalistico non potesse essere usato nei confronti
di condotte di stati.
Art. 41: gli Stati devono cooperare per porre fine con mezzi leciti a questo tipo di violazioni e nessuno stato
riconoscerà come legittima una situazione creata tramite tale violazione e nessuno stato presterà aiuto o assistenza
nel mantenere tale situazione.
Il progetto lascia aperta la questione dell’ammissibilità di contromisure collettive: l’art. 54 si limita infatti ad affermare
che le disposizioni del Progetto non pregiudicano il diritto di ogni Stato, diverso da quello leso, di adottare “misure
lecite” contro lo Stato autore dell’illecito per assicurare la cessazione dell’illecito e la riparazione”.
Volutamente il progetto è redatto in termini ambigui per lasciarla aperta all’evoluzione del diritto consuetudinario.
La posizione prevalente in dottrina (ma è oggetto di controversia) è che il diritto internazionale generale non ammetta
contromisure collettive ad oggi, (chiaramente all’interno di regimi pattizi possiamo fare discorsi diversi, esempio
sanzioni ONU), è ammessa solo e questo sicuramente la legittima difesa collettiva, ossia quella particolare forma di
autotutela rappresentata dalla legittima difesa può essere sia individuale che collettiva. Se uno stato è vittima di
un’aggressione armata, questo può richiedre l’intervento armato di altri Stati che possono intervenire legittimamente.
Le sanzioni adottate nei confronti della Russia a seguito dell’annessione della Crimea: gli Stati, o le organizzazioni
competenti (UE) si sono mossi al di fuori del quadro dell’ONU per sanzionare la Russia. Sono quindi illecite? In
questo caso possiamo concludere diversamente, proprio perché erano la reazione a un atto di aggressione, se l’atto
di aggressione consente si deve ritenere che anche (CHIEDI). Se la violazione non si cnfigura come violazione, la
liceità è più discussa.

Il progetto all’art. 48 è previsto che gli stati diversi da quello leso possano invocare la responsabilità dello
stato autore dell’illecito, NON ricorrere a contromisure. Significa prendere posizione per assicurare la
cessazione dell’illecito e la riparazione. Il progetto prevede anche un regime di responsabilità aggravata
in caso di gravi violazioni di norme imperative artt. 40,41. Questa parte del progetto è stata
depotenziata, perché nel progetto approvato in prima lettura si arrivava a parlare in questi casi di crimini
internazionali da parte di stati. Questo linguaggio nel progetto definitivo 2001 è scomparso, il linguaggio
penale resta fuori. Ne consegue quanto previsto dall’art. 41: “gli stati devono cooperare per porre fine con
mezzi leciti a questi tipi di violazioni”

Il progetto lascia aperta la questione dell’ammissibilità di contromisure collettive. Prendiamo in


considerazione l’art. 54 il quale si limita a dire che le disposizioni del progetto non pregiudicano il diritto
di ogni stato, diverso da quello leso, di adottare misure lecite contro lo stato autore dell’illecito per
assicurare la cessazione dell’illecito e la riparazione. Il progetto si pensa abbia apposta non chiarito se
tra le misure lecite le contromisure siano comprese o meno, per consentire l’evoluzione del diritto
internazionale consuetudinario. La tesi prevalente vuole che ad oggi il diritto internazionale generale non
ammetta contromisure collettive. All’interno dei sistemi pattizzi, è possibile. È però ammessa sempre la
legittima difesa collettiva: se uno stato è vittima di aggressione può chiedere l’aiuto di stati terzi.
Esempio: le sanzioni adottate nei confronti della Russia a seguito dell’annessione della Crimea. Gli stati o
le organizzazioni competenti (UE) si sono mossi al di fuori delle nazioni unite (dove la Russia ha potere
di veto) per sanzionare la Russia, queste sanzioni sono illecite? In questo caso no, perché erano la
reazione a un atto di aggressione. Ma se la violazione non si configura come violazione del divieto di
aggressione, allora la questione della liceità o meno delle contromisure è discutibile, tendenzialmente
queste misure sono illecite.

Obbligo di soluzione pacifica delle controversie internazionali


Usiamo la nozione di controversia internazionale enunciata dalla corte permanente di giustizia
internazionale (società delle nazioni) nel caso Mavrommatis (1924): “un disaccordo su un punto di
diritto o di fatto, un contrasto, un’opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti”. I due
soggetti sono internazionali, quindi primariamente due stati.
Questa definizione ha un carattere molto ampio, il disaccordo può essere di diritto o di fatto, l’opposizione
di tesi giuridiche o interessi. Talvolta si tende a fare riferimento a controversie giuridiche e a controversie
politiche, per sottolineare nelle prime la centralità di tesi giuridiche, nelle seconde più gli interessi politici.
Ma secondo Conforti questa contrapposizione tra controversie giuridiche e politiche ha poco senso
perché in qualunque controversia tra stati c’è sempre una componente giuridica. Sebbene lo statuto della
corte di giustizia attribuisca alla corte il compito di risolvere controversie giuridiche, tutte le volte che
qualche stato ha cercato di escludere la competenza della corte argomentando che la competenza
avesse carattere politico, non ha avuto successo.

Un ulteriore punto di partenza è l’obbligo per gli stati di risolvere pacificamente le loro
controversie. Quest’obbligo è enunciato nella carta delle nazioni unite, all’art. 2 par. 3, carta ONU: “i
membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici in modo tale che la pace e
sicurezza internazionale e giustizia non siano messe in pericolo”, è correlato con il par.4 in cui è enunciato
il divieto di uso della forza armata nelle relazioni internazionali. Il paragrafo 3 enuncia in maniera
autonoma l’obbligo di risolvere pacificamente le
controversie e si ritiene che non sia solo previsto da una disposizione pattizia, ma anche una
corrispondente norma internazionale generale consuetudinaria che vincola quindi tutti gli stati, non solo i
membri delle nazioni unite.

Mezzi di soluzione pacifica delle controversie internazionali


Come indicato dall’art. 33, par. 1 della carta ONU, la norma dice che “le parti di una controversia, la
cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace, devono perseguirne
una soluzione medianti negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale,
ricorso ad organizzazioni o accordi generali o altri pezzi pacifici di loro scelta”.
In generale possiamo dividere i mezzi in:
1. Mezzi diplomatici: sono volti a favorire il raggiungimento di un accordo o compromesso tra le parti
della controversia. Dipende dalla volontà delle parti coinvolte di trovare un accordo, non c’è nulla di
vincolante per le parti, anche se interviene una parte terza che al massimo può adottare
raccomandazioni.
2. Mezzi giurisdizionali: sono finalizzati ad accertare il diritto in modo vincolante, a stabilire chi ha torto
e chi ha ragione. C’è una parte terza la cui sentenza è vincolante per le parti (differenza dai mezzi
diplomatici).

Mezzi diplomatici di soluzione delle controverse internazionali


- negoziati diretti tra le parti della controversia
- Buoni uffici e mediazione, nei quali interviene un terzo al fine di agevolare i negoziati tra le parti. Si parla
di buoni uffici quando il terzo intavola i negoziati facendo sedere ad un tavolo le parti. Con le mediazioni
il terzo interviene in maniera attiva e partecipa al negoziato con le parti per mediare.
- Inchiesta e conciliazione, affidati in genere a delle commissioni ad hoc, con il fine
rispettivamente dell’accertamento dei fatti (non del diritto che è funzione giurisdizionale) e di proporre una
soluzione di compromesso alla controversia. Le commissioni possono essere organi di stati con
rappresentati o più frequentemente sono formati da individui, i quali agiscono in piena indipendenza.
Attenzione: nessuno di questi mezzi ha carattere vincolante. La soluzione della controversia, nel caso si
ricorra ai mezzi diplomatici, dipende sempre, in ultima analisi, dalla volontà delle parti.

Funzione conciliativa del consiglio di sicurezza ai sensi del capitolo VI della carta Parliamo di
funzione conciliativa in senso lato. Non è come la conciliazione vista sopra. Si usa un’espressione
che più in generale riguarda l’azione diplomatica e la possibilità di ricorrere a mezzi di risoluzione
diplomatica. Dalla norma del capitolo sesto della carta ONU dagli art. 33 a 38 il consiglio di sicurezza
può: - rivolgere alle parti un invito generico a risolvere la controversia in modo pacifico
- Raccomandare lo specifico procedimento che ritiene adeguato alla soluzione della controversia, è
un invito specifico in cui tra i vari possibili mezzi di soluzione il consiglio indica quale sia il mezzo più
adeguato. - Raccomandare i cosiddetti termini di regolamento, ossia proporre alle parti come risolvere
nel merito la loro controversia. Quest’ipotesi è coincidente con l’istituto della conciliazione.

Attenzione: la funzione conciliativa, nel sistema ONU, non è esclusiva del consiglio di sicurezza, ma è
esercitata anche da:
- assemblea generale (previsto espressamente dalla carta ma con un limite: l’assemblea deve astenersi
ad intervenire su questioni di cui si sta già occupando il consiglio di sicurezza)
- dal segretario generale (nel caso Rainbow Warrior era stato chiesto al segretario di trovare una soluzione
per la controversia e le parti si sono impegnate a rispettare quella soluzione).
- Inoltre la carta prevede che una tale funzione sia svolta anche da organizzazioni o accordi regionali
(OSCE).

Nel capitolo settimo della carta il consiglio di sicurezza dispone di poteri più significativi e può arrivare ad
adottare decisioni di carattere vincolante. Nel capitolo ottavo la carta da rilievo ad accordi regionali che
sono volti a favorire il dialogo tra gli stati e favorire una soluzione delle controversie che possono sorgere
tra essi.
art. 27, par. 3 carta ONU: quando il consiglio delibera ai sensi del capitolo sesto, dell’esercizio della
funzione conciliativa, rispetta il principio nemo judex in rec sua: se un membro è coinvolto non può
esprimersi sulla controversia, è tenuto all’astensione. Lo stesso non vale per il capitolo settimo.

Soluzione delle controversie, più precisamente ai mezzi giurisdizionali di soluzione delle controversie,
distinzione tra le due categorie di mezzi di risoluzione delle controversie che hanno in comune la natura
necessariamente pacifica, superamento rispetto alla diplomazia dei cannoni. Tuttavia, al netto di questo
primo elemento comune, le due categorie presentano degli elementi propri che le distinguono in maniera
profonda. I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie sono essenzialmente politici e consistono nel
raggiungimento di una soluzione comune, negoziata, comunemente accettata, anche nei casi
dell’intervento di un terzo, l’elemento politico è visibile e tangibile. Invece la politica, la diplomazia, gli
aggiustamenti e le concessioni reciproche non hanno alcun diritto di cittadinanza nei mezzi giurisdizionali
di soluzione delle controversie. La soluzione è conforme a diritto, viene individuata compatibilmente con
le regole di diritto internazionale applicabili. Questo è l’elemento di cesura più netta che marca la
distinzione tra le due categorie.

Formula Mavrommatis
“A disagreement on a point of law or of fact, a conflict of legal views or of interests between two legal
persons”. - PCIJ, Mavrommatis Palestine Concession, 1924
La Formula Mavrommatis dice tutto e niente, è generica ed ampia, perché potenzialmente ogni frizione
fra stati può essere fatta rientrate nel perimetro di questa nozione che quindi è voliutamente ampia,
generica e neutra. Descrive in maniera accurata quello che può spingere due o più stati a rivolgersi a uno
degli strumenti di soluzione delle contorversie internazionali soprattutto giurisdizionali. Un disaccordo che
riguarda:
• L’esistenza di una regola: ad esempio, norma consuetudinaria, pretesa italiana dell’esistenza di una norma
consuetudinaria in virtù del quale la regola sull’immunità non valeva in relazione alle gravi violazioni dei diritti
umani ad opera della Germania. Ciò che veniva chiesto alla CIG era se la norma esistesse oppure no.
• L’interpretazione di una regola
• Le conseguenze dell’applicazione/della violazione di tale norma
• L’esistenza di elementi di fatto relativi alla sua applicazione
In molti casi non verte nemmeno sulla violazione di una norma, ma dalle conseguenze che da essa discendono. Alla
prova dei fatti, la nozione di controversia è veramente suscettibile di assumere qualsivoglia contenuto, è molto
versatile e malleabile. Dietro la sua formulazione c’è un obiettivo di policy, ossia di dilatare la nozione di controversia
così da abbracciare il maggior numero di casi e risolverli secondo diritto.
Una controversia come disaccordo espresso o manifesto: affinché ci sia una controversia, non è necessario che
ci sia una contrapposizione muscolare tra stati, anzi è totalmente irrilevante. Occorre che ci sia una distanza, una
asimmetria tra l’atteggiamento incarnato dallo stato A e dallo stato B e l’impossibilità di conciliare questi punti di vista.
Tutte le controversie che si prestano a soluzione tramite mezzi giurisdizionali sono controversie giuridiche, gli Stati
adoperando l’etichetta di controversia politica sottraevano alla cognizione di istanze giurisdizionali intere materie,
questa tendenza è andata affievolendosi → tutte le controversie relative al diritto internazionale sono giuridiche. A
difesa degli Stati della controversia politica non è più una scusa che si può opporre.

Oggetto del disaccordo: elementi di fatto/ di diritto.


Possono esserci elementi di puro fatto, che non hanno niente a che fare col diritto:
• Il verificarsi di una condotta o di un evento → fatto.
• Esistenza/contenuto di un obbligo giuridico → diritto.
oggetto del disaccordo è dato da elementi di fatto/diritto.
Tipicamente ogni sentenza o lodo arbitrale si divide in due parti: verifica oggettiva die fatti e la parte in diritto è
dedicata alla qualificazione giuridica dei fatti, questo è il tipico ragionamento giuridico che ogni operatore del diritto
compie. Prendere un fatto e incasellarlo nella fattispecie giuridica esistente.
L’espressione giurisdizionale: giurisdizionale vuol dire che accerta il diritto, ed è qui l’elemento cardine che segna la
differenza con i mezzi diplomatici di soluzione delle controversie, un ente competente a individuare le norme di dritto
che si applicano a una fattispecie e applicarle concretamente → la soluzione è univoca (è matematica), a differenza
delle soluzioni politiche adottate con reciproche decisioni, compromesso. Applicando le regole di diritto internazionale
rilevanti → processo logico, cognitivo squisitamente matematico, scientifico. La grande categoria mezzi
giurisdizionali viene frammentata tramite l’individuazione di due mezzi diversi:
• Arbitrato: istanza (individuale/collegiale) tipicamente creata dopo l’insorgere della controversia; ruolo delle parti
nella scelta degli arbitri, delle regole e del diritto applicabile; carattere vincolante della decisione; decisione
conforme a diritto → non permanente.
• Regolamento giudiziale: 1920 (CPGI), 1946 (CIG); Tribunale precostituito; Regole di procedura precostituita;
Competenza giurisdizionale accettata dalle parti della controversia; Decisione vincolante.
la differenza è molto sfumata, non c’è una cesura tra questi due mezzi, possiedono molti caratteri comuni. Tutt’al più
si può dire che il regolamento giudiziale è uno sviluppo ulteriore dell’arbitrato, ma non ci sono differenze qualitative,
solo quantitative. Uno dei due esempi presenta le stesse caratteristiche, ma in maniera più evidente. Esempio:
evoluzione umana, confronto tra primati e homo sapiens (differenza quantitativa significativa).

Tutti i mezzi giurisdizionali di soluzione delle controversie presentano elementi caratterizzanti:


• Consenso: il consenso delle parti è imprescindibile per la celebrazione d, è uno dei tanti corollari della sovranità
degli Stati e dell’uguaglianza sovrana tra gli Stati. Se uno stato non manifesta liberamente il suo consenso a
essere sottoposto alla soluzione di una controversia, non c’è modo coercitivo di sottoporli. La funzione
giurisdizionale ha natura arbitrale, che discende dal fatto che per sottoporre una controversia a un “giudice
internazionale” o “arbitro” è necessario il consenso delle parti della controversia. Nell’ordinamento interno
nessuno ci chiede di manifestare il nostro consenso affinché possiamo essere parti a procedimenti di natura
penale, civile o amministrative. Possiamo avvalerci della facoltà di non presentarci fisicamente, ma il
procedimento, che noi siamo presenti o meno, procede comunque a prescindere dalla nostra manifestazione di
volontà. Uno die tanti corollari della natura sovrana degli Stati è la impossibilità di partecipare a contenzioso
internazionale ove non abbiano manifestato il loro consenso.
• Soluzione conforme a diritto: squisitamente giuridico e ispirato all’individuazione e applicazione delle regole di
diritto.
• Terzietà: dell’ente coinvolto. Equidistanza rispetto alle parti, l’essere terzo rispetto a un problema significa non
avere alcun interesse né vicinanza rispetto alle parti, questa è la caratteristica tipica di qualunque giudice in
qualunque ordinamento (teoria generale del diritto).

Conforti adotta una spiegazione diacronica, storica dell’evoluzione della funzione giurisdizionale, è sicuramente
corretta ma dobbiamo tenere presente che l’evoluzione della funzione giurisdizionale avviene per stratificazione,
non per sostituzione del modello successivo a quello precedente. Cioè: non avviene attraverso il superamento delle
ipotesi precedenti →nulla vieta nel 2021 di fare ricorso alle strutture più elementari tipiche del diritto internazionale
più risalente. Nell’evoluzione dei mezzi giurisdizionali di risoluzione delle controversie si è assistito a una
istituzionalizzazione crescente, che rappresenta un chiaro segno di modernità e progresso dell’ordinamento,
perché nel diritto internazionale più classico l’arbitrato era sempre ad hoc (o isolato): dopo l’insorgere di una
controversia, i due Stati decidevano di individuare un terzo, stabilire le regole di procedura, il diritto internazionale
applicabile perché il terzo potesse dirimere la controversia. La CIG è permanente, con sua struttura, con regole di
procedura fissate e dettagliate, c’è un abisso nel mezzo. Questo non vuol dire che la creazione della CIG abbia
soppiantato quello che c’era prima, perché nulla vieta a due Stati di stipulare oggi un accordo ad hoc, di individuare
un terzo, una persona fisica singola o un collegio arbitrale composto da 3 o 5 membri, di dotarlo delle regole di
procedura e sostanziali e di affidargli il compito di dirimere la controversia. Anche in questo gli Stati godono della
massima libertà, in estrema sintesi se vogliamo individuare differenze tra arbitrato e regolamento giudiziale il criterio
fondamentale è quello della natura più o meno permanete, più o meno strutturata, più o meno istituzionalizzata.

Ipotesi procedura struttura Natura della Diritto applicabile


decisione
Arbitrato Scelta dalle parti Scelta dalle parti Scelta dalle parti Scelta dalle parti
Regolamento prestabilita prestabilita Vincolante Prestabilito (Diritto
giudiziale applicabile dalla CIG
vedi Art. 38 della
CIG).

Strumenti per la manifestazione del consenso: grado di istituzionalizzazione crescente ↑


Compromesso (es. Francia-Nuova Zelanda relativa al caso Rainbow Warrior): trattato internazionale ad hoc
all’interno del quale i due stati, dopo l’insorgere della controversia, scelgono l’ente competente a dirimere la
controversia e individuano le regole di procedura da seguire e le regole sostanziali da applicare. Tutti gli elementi
essenziali vengono stabiliti e accettati dagli stati all’interno del trattato internazionale bilaterale, il cui scopo è mettersi
d’accordo circa la devoluzione del loro problema e l’individuazione degli elementi cardine.
Clausola compromissoria (es. art. IX Convenzione Contro il genocidio, 1948). Competenza della CIG per ogni
questione relativa all’interpretazione e applicazione della convenzione, è una clausola, all’interno di un trattato che
stabilisce preventivamente che tutte le controversie che eventualmente insorgeranno saranno di competenza della
CIG. Il senso di una clausola compromissoria è quello di devolvere la competenza a una soluzione di tipo
giurisdizionale.
Trattato generale di arbitrato (es. Convenzione europea per la risoluzione pacifica delle controversie, 1957,
Consiglio d’Europa). Ancora più raffinato e istituzionalizzato, non è una clausola all’interno di un trattato concernente
una materia specifica, il trattato generale di arbitrato è potenzialmente onnicomprensivo, investe tutte le eventuali
controversie tra gli stati parte di quel trattato che quindi verranno sottratte al mondo delle soluzioni di natura
diplomatica e verranno devolute ad arbitrato o regolamenti giudiziale. Tutte le controversie che fra di loro
eventualmente insorgeranno a soluzioni di tipo giurisdizionali (alla CIG), il tentativo di due o più stati di sottoporre
tutte le eventuali controversie, indipendentemente dalla materia, a soluzione giurisdizionali cioè conforme al diritto
(altri esempi: la Corte di Amburgo sul diritto del mare, Conferenza di Montego-Bay 1982). Lo scopo: ritagliare un
ambito maggiore di questioni che verranno risolte tramite l’applicazione del diritto internazionale, più l’ordinamento
internazionale esce dalle barbarie, dai rapporti di forza, dalla discrezionalità e si accosta di più agli ordinamenti
interni.
Dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisdizione (vale solo per la CIG!): di consenso si tratta, ma
viene prestato in maniera unilaterale, indipendente e autonoma da parte di ciascuno stato, su base individuale. Tutti
gli altri strumenti presuppongono l’incontro delle volontà degli stati, qui stiamo parlando della possibilità di uno stato
di impegnarsi unilateralmente e individualmente a sottoporre alla CIG qualunque controversia che possa insorgere
con un altro stato che ha adottato la stessa dichiarazione. La clausola opzionale ex. Art. 36 par. 2 Statuto CIG →
ampliare il raggio d’azione della CIG e di massimizzare la possibilità per questa di risolvere controversie
internazionale. lo statuto della CIG prevede questa ipotesi nuova totalmente incentrata sull’unilateralità, ah avuto un
discreto successo, perché più di 70 stati hanno redatto questa dichiarazione unilaterale.

La clausola opzionale ex art. 36 par. 2 St. CIG 2.


“Gli Stati parti del presente Statuto possono in qualsiasi momento dichiarare di riconoscere come obbligatoria, ipso
facto e senza convenzione speciale, nei rapporti con ogni altro Stato che accetti lo stesso obbligo, la giurisdizione
della Corte su tutte le controversie giuridiche aventi per oggetto:
a) l’interpretazione di un trattato;
b) qualsivoglia questione di diritto internazionale;
c) l’esistenza di qualunque fatto che, se provato, costituirebbe violazione di un impegno internazionale;
d) la natura o la misura della riparazione dovuta per la violazione di un impegno internazionale.

Esempio: La dichiarazione unilaterale italiana (2014)


1. The Government of Italy declares that it accepts as compulsory ipso facto and without special agreement, in
relation to any other State accepting the same obligation, the jurisdiction of the International Court of Justice, in
conformity with para 2 of Article 36 of the Statute of the Court, until such time as notice may be given to terminate
the acceptance and with effect as from the moment of such notification, over all disputes arising after the present
declaration, with regard to situations or facts subsequent to the same date, other than: (i) any dispute [in respect of]
which theParties thereto have agreed to have recourse exclusively to some other method of peaceful settlement; (ii)
any dispute in respect of which the other Party, or any other Party to the dispute, has accepted the compulsory
jurisdiction of the International Court of Justice only in relation to or for the purpose of the dispute; or where the
acceptance of the Court’s compulsory jurisdiction on behalf of any other Party to the dispute was deposited or ratified
less than twelve months prior to the filing of the application bringing the dispute before the Court.
2. The Government of Italy also reserves the right at any time, by means of a notification addressed to the Secretary-
General of the United Nations, and with effect as from the moment of such notification, either to add, to amend or
withdraw any of the foregoing reservations, or any other reservation that may subsequently be added.
NB: Il consenso a essere parte alla controversia contro la Germania invece è stato espresso con lo strumento del
Trattato generale di arbitrato.

Massimizzare i modi di manifestazione del consenso e renderli sempre più comodi, semplici da utilizzare per gli stati,
obbedisce agli obiettivi di massimizzare l’ambito di applicazione della soluzione giurisdizionale delle controversie e
di sottrare al dominio delle valutazioni politiche e alla soluzione diplomatica delle controversie internazionali i problemi
che di giorno in giorno si pongono.

Gli Usa hanno ritirato la propria dichiarazione, posizione di forza rispetto agli obblighi del diritto internazionale, gli
Stati sono allo stesso tempo i destinatari e i creatori delle regole di diritto internazionale, possono adottare e anche
sottrarsi al rispetto di un obbligo. La soluzione giurisdizionale è tale da scontentare le parti a volte, proprio perché
conforme a diritto e non tiene conto dei desideri delle parti.

Vengono utilizzate in dottrina della espressione che sono “aperta” e “chiusa” per riferirsi alle clausole compromissorie
e ai trattati generali di arbitrato. In realtà, nel primo caso lo strumento designa anche l’istanza competente, nell’altro
caso designa solo l’obbligo per gli Stati di stipulare un accordo per individuare l’istanza competente al momento
dell’insorgere della controversia (obbligo de contrahendo, ossia obbligo di sottoporre la contorversia a
rbitrato/regolamento giudiziale). La differenza sta nel livello di dettaglio dello strumento: se lo strumento designa o
meno l’istanza competente (vedi ad esempio, art. IX convenzione contro il Genocidio, in cui viene designata la CIG).

Notazione sulla CIG: le competenze della CIG sono di tipi contenziosa e consultiva.
• Competenza consultiva: parere relativo al Kossovo e isole Chagos, non rappresenta soluzione giurisdizionale
alle controversie in senso proprio, bensì l’adozione di un parare che illustri la disciplina che si applica a un
determinato problema. Articolo 96. 1. L'Assemblea Generale od il Consiglio di Sicurezza possono chiedere alla
Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo su qualunque questione giuridica. 2. Gli altri organi delle
Nazioni Unite e gli istituti specializzati, che siano a ciò autorizzati in qualunque momento dall'Assemblea
Generale, hanno anch'essi la facoltà di chiedere alla Corte pareri su questioni giuridiche che sorgano nell'ambito
delle loro attività.
• Competenza contenziosa: controversie interstatali (o tra Stati) riguarda solo gli Stati (art. 34 par. 1 Statuto
CIG). Il ruolo del consenso è un corollario del principio di uguaglianza sovrana. Controversia rispetto alla quale
ancora oggi, nonostante la istituzionalizzazione crescente dell’ordinamento internazionale, il consenso risulta
ancora imprescindibile. Il consenso si manifesta con: Ad hoc; Consenso previo; Dichiarazione di accettazione
della competenza della Corte.

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