«La psiche, secondo la concezione omerica, non somiglia affatto a ciò che noi, in opposizione al corpo,
sogliamo chiamare "spirito". Tutte le funzioni dello "spirito umano", nel senso più ampio della parola,
denominate variamente dal poeta, sono attive, anzi sono possibili, soltanto finché l'uomo vive. Al
sopraggiungere della morte, l'uomo che costituiva un tutto completo, si scinde: il corpo, cioè il cadavere,
diventa "terra insensibile", si corrompe; la psiche perdura intatta. Ma essa non salva lo spirito e le forze di lui,
più che non salvi il cadavere; quando lo spirito e gli organi l'abbandonano, si dice ch'ella è priva di sensi: tutte
le forze della volontà, del sentimento e del pensiero spariscono colla scomposizione dell'uomo nelle sue parti
costitutive.»
(Erwin Rohde. Psiche. Bari, Laterza, 2006, p. 13)
Anche se il concetto di psyché, nella Grecia antica, rappresentava il soffio vitale che animava il corpo e
quindi aveva una vaga connotazione supernaturale, il nuovo concetto di un'anima divina contrapposta
al corpo mortale ed umano portava un'interpretazione puritana della vita e della religione
“A me questo fatto inaspettato che si è verificato ha distrutto l’anima; sono finita, e poiché ho perso il piacere della
vita, desidero morire.”
«Ebbene ψυχὴ dirige ogni cosa, tutte le realtà celesti, terrestri, marine, grazie ai suoi propri movimenti, i quali
hanno un nome: volere, analizzare, avere cura, prender decisioni, giudicare bene e male, provar dolore e
gioia, coraggio e paura, odio e amore, e tutti gli altri moti che possono essere assimilati a questi e che
costituiscono i movimenti primari, guide di quelli secondari - i moti dei corpi - e determinanti in ogni cosa
la crescita e la diminuzione, la separazione, e l'unione con quel che ne segue, ossia il caldo e il freddo,
il pesante e il leggero, il bianco e il nero, l'aspro [e il dolce»
Platone, Leggi X 896E-897°