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CORSO DI ALCHIMIA TANTRICA

I PRINCIPI DELLA TRASFIGURAZIONE

“La parola 'Tantra' significa tecnica, metodo, sentiero, perciò non è filosofico: ricordalo. Non si occupa
di problemi e di indagini intellettuali. Non si occupa del 'perché' delle cose: si occupa del 'come', non di
che cosa sia la verità ma di come possa essere raggiunta.” (Osho Rajneesh)

Quando eseguito in accordo al Tantra, il rituale sessuale culmina in una sublime esperienza, di infinita
consapevolezza, per i partecipanti. I Tantra specificano che la funzione sessuale ha tre finalità ben distinte:
procreazione, piacere e liberazione.
Coloro che cercano la liberazione evitano l'orgasmo frizionale (genitale) per una forma più alta di estasi, e gli
amanti/amati che prendono parte a tale rituale si fondono in un abbraccio totale, unificatore; in quest'ambito
esistono dei rituali tantrici che comprendono riti purificatori e preparatori elaborati e meticolosi.
Tali atti sono finalizzati a indurre l'equilibrio delle energie sottili circolanti lungo i canali energetici 'polari' –
Ida nadi e Pingala nadi – e l'incontro dei flussi pranici ascendenti e discendenti (prana vayu e apana vayu) nei
corpi sottili dei partecipanti (in cui avvengono inoltre ineffabili processi di 'scambio' e condivisione di energie
sublimi), col conseguente risveglio e riversamento lungo il canale 'neutro' – trascendente – Sushumna nadi –
dell'energia latente conosciuta come Kundalini Shakti (la Dea, l'Energia creatrice primordiale) che risale in esso
per ricongiungersi con la Coscienza Divina (Shiva, il suo Amato cosmico), localizzata a livello del Centro di forza
Sahasrara.
Tale 'risveglio' può così culminare nel Samadhi (conosciuto anche come 'saccidananda' o sat, cit, ananda:
pura coscienza, pura esistenza, pura beatitudine), in cui le rispettive individualità si dissolvono nell'Assoluto
cosmico. I praticanti interpretano quindi l'atto rituale su molteplici livelli: unendosi fisicamente rappresentano il
Dio e la Dea - il principio maschile e quello femminile - e, al di là del corpo fisico, le loro energie si fondono
generando un unico indifferenziato.

Citando Mircea Eliade:


“Siamo troppo male informati per poter decifrare il significato profondo di questi costumi. Bisogna
considerare che, parallelamente a una erotica mistica, l'India conobbe fin dalla preistoria innumerevoli riti che
implicavano la sessualità nei contesti culturali più diversi.”
“Nell'India pretantrica si devono distinguere due possibili valori rituali dell'unione sessuale, entrambi
d'altronde, di struttura arcaica e di incontestabile antichità:
1. l'unione coniugale intesa come ierogamia (termine usato per definire quei riti religiosi in cui si
rappresentavano le nozze tra due divinità, oppure tra una divinità e una persona umana - ndc)
2. l'unione sessuale orgiastica il cui scopo sia la fecondità universale (pioggia, raccolto, bestiame, fertilità
femminile, etc.), oppure la creazione di una 'difesa magica'.
Non occorre dire molto altro sull'atto coniugale trasformato in ierogamia: “Io sono il Cielo, tu sei la Terra”
dice lo sposo alla sposa (Brhadaranyaka Upanishad – VI, 4,20).
L'unione è un cerimoniale che comporta un gran numero di purificazioni preliminari, di omologazioni
simboliche e di preghiere – esattamente come in un rituale vedico.
La donna è preliminarmente trasfigurata: diventa il luogo consacrato ove si compie il sacrificio (inteso
come il desiderio di stabilire un rapporto col sacro - ndc). (...) La congiunzione degli opposti costituisce la
costante metafisica di tutti i rituali e le meditazioni tantriche. (...) Non è facile distinguere tra il 'concreto' e il
'simbolico', perché il sadhana tantrico ha propriamente come scopo la transustanziazione di ogni esperienza
'concreta', la trasformazione della fisiologia in liturgia. (...) L'elemento più importante è la trasmutazione
dell'unione sessuale in canto liturgico (con tutte le conseguenze religiose che ne seguono), (...) questo processo di
trasmutazione di un'attività psicofisiologica in sacramento, è caratteristico di tutta la spiritualità arcaica. La

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'decadenza' incomincia con la scomparsa del significato simbolico delle attività carnali (ossia la loro
'desacralizzazione', endemicamente diffusa, attualmente, in tutto il pianeta - ndc).” (M. Eliade).
“... se da un lato non esiste salvezza possibile senza amore, d'altro lato l'unione carnale non è sufficiente
a realizzare la salvezza.” (De la Vallée-Poussin).

Da quanto sopra possiamo ben riflettere sull'importanza fondamentale, nel Tantra (e non solo), della
comprensione del concetto di Trasfigurazione e della sua applicazione pratica.
Secondo il dizionario, Trasfigurare [dal latino transfigurare, composto da trans- e figurare «foggiare, dare
forma»] significa, far cambiare di figura, d'aspetto, o anche solo di espressione: “l'esecuzione al piano della
musica di Mozart aveva il potere di trasfigurarlo”, ma anche trasformare, far apparire diverso, e, insieme,
nobilitare: “l'arte riesce a trasfigurare la realtà”.
Un'altra accezione interessante del termine è: assumere un aspetto diverso da quello normale e consueto, per
lo più illuminandosi in viso, come effetto di un'emozione intensa o di uno stato estatico: “trasfigurarsi per la
gioia”; “il suo volto si andava trasfigurando”; “trasfigurarsi nella contemplazione dell'arte”. Il participio
passato, frequente come aggettivo, indica l'essere, l'apparire trasfigurati; “con immenso amore e come trasfigurata
guardava il suo bambino”.
A questo proposito, sempre Eliade, ce ne dà un'idea:
“Ogni donna nuda incarna la prakriti (l'intelligenza della natura originaria attraverso cui l'Universo esiste e si
esplica - ndc). Si dovrà dunque considerarla con la medesima ammirazione e con il medesimo distacco che si
provano nel considerare l'insondabile mistero della Natura, la sua illimitata capacità di creazione. La nudità rituale
della yogini ha un valore mistico intrinseco: se, davanti alla donna nuda, non si scopre nel proprio essere più
profondo la stessa terrificante emozione che si prova di fronte al Mistero cosmico – il rito non ha valore, c'è
soltanto un atto profano, con tutte le conseguenze che si sanno (rafforzamento della catena karmica, etc.).
La seconda fase consiste nella trasformazione della Donna-prakriti in incarnazione della Shakti: la compagna
del rito diviene una Dea, così come lo yogi deve incarnare il Dio. L'iconografia tantrica delle coppie divine (in
tibetano: yab-yum, padre-madre), delle innumerevoli 'forme' di Buddha stretti dalla loro Shakti, costituisce il
modello esemplare del maithuna (l'esperienza rituale tantrica per eccellenza – ndc). Si noterà l'immobilità del Dio:
tutta l'attività è della Shakti (nel contesto yoga, il purusha statico contempla l'attività creatrice della prakriti).
Ora, come abbiamo già visto per lo Hatha Yoga, nel tantrismo l'immobilità realizzata contemporaneamente
sui tre piani del 'movimento' – pensiero, respirazione, emissione seminale – costituisce il fine supremo del
sadhana. Anche qui si tratta di imitare un modello divino (ma anche un modello fisico/atomico, laddove la Shakti
rappresenta il vorticoso turbinare delle “nuvole di elettroni” intorno a un nucleo centrale - ndc): il Buddha o
Shiva, lo Spirito puro, immobile e sereno al centro del meccanismo cosmico (e microcosmico – ndc). (...)
L'unione sessuale si trasforma in un rituale con il quale la coppia umana diviene una coppia divina.” (M. Eliade).
A proposito del maithuna sopra citato, questo Tantra (inteso come testo, strumento di conoscenza) della
tradizione Kaula (XII secolo circa) sottolinea il significato spirituale dell'amplesso:
“Per chi non sa questo (riferendosi ai principi di cui sopra – ndc), la propria consorte a cui deve unirsi giace
incosciente (la Kundalini allo stato latente, 'addormentata' - ndc), ma chi conosce, sa che essa è la consorte
interiore, ben desta, la Shakti con cui compiere la propria unione. L'effluvio di beatitudine che è prodotto
dall'amplesso della coppia divina del Supremo Shiva e la Suprema Dea (Parashakti): questa è la vera unione
sessuale; le altre rappresentano soltanto dei rapporti carnali con donne” (Kularnava Tantra, V, 111-112) .
“Per il fatto stesso che non si tratta più di un atto profano, ma di un rito, e che i partecipanti non sono più
esseri umani, ma sono 'distaccati' come dèi, l'unione sessuale non partecipa più al livello karmico (in particolare se
preceduta da un'adeguata Consacrazione – ndc). I testi tantrici ripetono spesso questa massima: 'con i medesimi
atti che fanno bruciare alcuni uomini all'Inferno per milioni di anni, lo yogi ottiene la salvezza eterna'
(Undrabhuti)” (M. Eliade).

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Vediamo ora in cosa consiste la differenza:

OGNI DONNA E' UNA DEA


“Per il tantra, ogni donna, per banale che sia, incarna la Dea, è la Dea, la Donna assoluta, la Madre cosmica.
A queste parole, più di un uomo, alzando le spalle, non vi vedrà che una figura retorica.
In effetti, come si fa a vedere una Dea, nel senso totale del termine, in ogni donna che si sfiori? E quel marito,
che è appena scampato ad una discussione con la propria signora, sghignazzerà: 'Dea? Ma via! Tigre, piuttosto!'.
Orbene, per il tantra, percepire concretamente l’aspetto divino di ogni donna è un preambolo al maithuna, e il
rituale tantrico, che precede questa unione sessuale sacra, ha lo scopo di far percepire questa realtà. Ma, come è
possibile vedere la Dea celata in ogni donna? In questo caso, il tantra ci propone un primo mezzo: andare a
riconsiderare la relazione che sussiste tra il neonato e la madre, dal momento che non si può ritornare pupetti.
Benché ne sia uscito dal ventre, il piccino fa ancora parte della carne della mamma, e gli saranno necessari
dei mesi, se non degli anni, prima che sia, se non separato, almeno autonomo da lei. Ora, nell’universo incantato
del bambino, nel quale mamma è il centro, lei è la Donna ideale.
Diventiamo volontariamente cattivi: immaginiamola brutta, rozza e bisbetica. Il bambino la vedrà cosi? Certo
che no! Per lui, sua madre è la bellezza, la bontà, l'amore incarnato, in una parola, ella è la Dea; è perfetta, sa
tutto, non può mentire.
È solo molto più tardi che scoprirà la donna 'reale', banale e superficiale che è sua madre, con i suoi difetti,
con i suoi bigodini e, qualche volta, con il suo pessimo carattere. Per noi adulti 'ragionevoli', quest’ultima sola è
'vera e reale', tutto il resto è letteratura.
Allora, la Madre Divina del pupetto è un’illusione, degna giusto dell’immaginazione infantile? Per il tantra,
non è l'adulto che ha ragione, ma è proprio il bambino, perché, al di là delle apparenze, lui percepisce la Realtà
suprema, la Madre divina, la Via cosmica incarnata dalla propria madre 'reale', concreta.
L'altra via d’accesso all’Assoluto celata nella donna (o nell’uomo ordinario) è ben gradevole: è sufficiente
essere innamorati! Compiangiamo l’essere umano che non ha mai provato la meravigliosa emozione che suscita
l’incontro con l’essere (provvisoriamente almeno) ideale.
Gli amanti incarnano, 1’uno per l'altro, la bellezza, la perfezione; costoro aleggiano in un universo fatato,
dove tutto è splendente. Una parola, un gesto, il più tenue sfioramento, li trasportano. Ricordate il primo incontro,
il primo bacio, le carezze, gli abbracci: che meraviglia! I romanzi, il teatro, i film parlano forse di qualcos’altro?
Ma gli innamorati vedono la 'realtà'? Ognuno di noi conosce certe coppie dove, per esempio, una giovane
donna, bella ed intelligente, è perdutamente innamorata di un uomo che, ai nostri occhi, non è né bello, né
intelligente, né giovane, e neppure... ricchissimo! Ciascuno pensa: 'Come può, costei, invaghirsi di quel tipo?
Cosa mai troverà in lui di tanto interessante?'. Noi che lo conosciamo, noi sappiamo che quel primate non è affatto
interessante, visto il suo carattere, la sua educazione, etc.
Ma lei non vede tutto ciò! Per lei, lui è l’uomo ideale. Il tantrico direbbe: 'Costui incarna Shiva'. Un giorno,
maritata, passata la sbornia, ella lo vedrà 'tal quale effettivamente è' e la coppia affonderà nella banalità con, in
prospettiva, la rottura o la rassegnazione. Il divino Shiva è evaporato, per cui si dirà: 'Finalmente, vede chiaro...'.
In realtà, nell’Ottica tantrica, la donna innamorata percepisce la realtà più profonda al di là del personaggio
concreto, superficiale.
Simmetricamente, per l’uomo innamorato l’amata è la Shakti, la Dea. Così, noi confondiamo ciò che è
superficiale, relativo, con quel che è profondo, vero, celato sotto le apparenze. Anche fisicamente, il corpo reale
maschera il corpo vero: nessuno è mai riuscito a realizzare il proprio corpo vero, quello che la natura aveva
previsto, che era programmato nei suoi geni.
Orbene, è proprio quello il corpo reale ed è proprio esso che si trasmette alle generazioni future.
In effetti, se, dalla concezione e sino ad oggi, io avessi beneficiato di un ambiente ideale da tutti i punti di
vista, corporeo, mentale e spirituale, avrei manifestato i miei geni alla perfezione e sarei quasi un superuomo,

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paragonato a quello che sono diventato nella realtà.


Il mito della Dea, della Shakti, così come quello di Shiva, include tutto questo, più l'insieme delle virtualità
cosmiche celate nella materia vivente. È per questo che i tantrici adorano la Shakti cosmica in ogni donna.
Realizzare è uno degli obiettivi del tantra e fa parte di questa espansione del campo di coscienza a cui esso mira.
Tocchiamo qui il concetto di Kundalini, che è quel dinamismo evolutivo che fa emergere l'uomo attuale dai
pre-ominidi e che, in futuro, lo potrebbe far divenire, nei nostri confronti, un super-uomo.
Perché no? Ma l'evoluzione non è lineare: durante le sue ondate di febbre evolutiva, Kundalini rimesta
intensamente una o più specie. Nei periodi di 'calma', Kundalini è quel misterioso dinamismo che guida
l'evoluzione di un essere a partire dall'ovulo fecondato.
Il tantra considera che Kundalini, localizzata negli organi genitali, il polo della specie, sia legata al nostro
dinamismo vitale ed alla nostra sessualità. Essa resta per lo più latente, 'addormentata', il che è simboleggiato da
un serpente dormiente, arrotolato intorno al lingam. Il tantra vuole 'risvegliarlo', vuole attualizzare da subito
alcune delle virtualità in serbo per il futuro dell'umanità. ” (A. Van Lysebeth).

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IL RIASSORBIMENTO COSMICO

“Trascendere 'il giomo e la notte' vuol dire trascendere gli opposti. Nel linguaggio dei Natha-siddha, è il
riassorbimento del Cosmo mediante l'inversione di tutti i processi di manifestazione. È la coincidenza del tempo e
dell'Eternità, del bhava e del Nirvana; sul piano puramente 'umano', è la reintegrazione dell'Androgino
primordiale, la congiunzione, nel proprio essere, del maschio e della femmina: in una parola, la riconquista della
pienezza che precede ogni Creazione.
È dunque questa nostalgia della pienezza e della beatitudine primordiali che anima e informa tutte le tecniche
rivolte a ottenere la coincidentia oppositorum (l'unione degli opposti) nell'essere dello yogi. È noto che la
medesima nostalgia, insieme con simbolismi e tecniche di una stupefacente varietà, sono attestati un po’
dappertutto nel mondo arcaico (…).
Ma ci resta ancora da sottolineare un aspetto del sadhana tantrico che passa generalmente inosservato: il
particolare significato del riassorbimento cosmico. Dopo aver descritto il processo della Creazione operata da
Shiva (I, 69-77), la Shiva-samhita descrive il processo inverso, al quale partecipa lo yogi: questi vede l'elemento
Terra divenire 'sottile' e dissolversi nell'Acqua, e l'Acqua dissolversi nel Fuoco, il Fuoco nell'Aria, l'Aria
nell'Etere, etc., fino a che tutto si riassorbe nel Grande Brahman.
Ora, questo esercizio spirituale viene compiuto dallo yogi per anticipare il processo di riassorbimento che ha
luogo con la morte. In altri termini, lo yogi assiste già, mediante il sadhana, al riassorbimento di questi elementi
cosmici nelle loro rispettive matrici, processo che avrà inizio nell'istante stesso della morte e che continuerà nelle
prime fasi dell'esistenza d'oltretomba.
Il Bardo Thodol (noto in Italia come il Libro Tibetano dei Morti - ndc) dà, a tale proposito, alcune preziose
indicazioni. Osservato da questo punto di vista, il sadhana tantrico è incentrato sull'esperienza della morte
iniziatica – come bisognava aspettarsi, poiché ogni disciplina spirituale arcaica implica, in una forma o in un'altra,
l'iniziazione, vale a dire l'esperienza della morte e della resurrezione rituali.
Il seguace del tantrismo è dunque un 'morto nella vita', perché ha vissuto in anticipo la propria morte; egli è,
del pari, 'nato due volte' nel senso iniziatico del termine, perché ha ottenuto la 'nuova nascita' non su un piano
unicamente teorico, bensì nell'ambito di una esperienza personale. Può darsi che numerose allusioni
all’'immortalità' dello yogi, allusioni che abbondano soprattutto nei testi hathayogici, siano in relazione con le
esperienze di questi 'morti nella vita'.” (M. Eliade).

La presente lezione è riservata esclusivamente a studenti e membri dell'Associazione di Promozione Sociale Nirvaira.

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