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Tesina “Ritmica della musica

contemporanea”
“Stella by Starlight” è una canzone popolare composta da Victor Young,
colonna sonora del film della Paramount Pictures del 1944 The Uninvited.
Stella by Starlight è divenuto uno degli standard jazz più popolari del
mondo, classificato al 10° posto nel sito jazzstandards .com.
Ho scelto di prendere alcune delle versioni e interpretazioni più singolari
registrate in diversi periodi storici ed estetici, analizzandone il contenuto,
ed in particolare, le diverse cellule ritmiche racchiuse in esse.
Come ho accennato, riporterò esempi di analisi ritmica su pentagramma,
ma tengo a premettere (e a sottolineare) sempre da subito che in questo
campo ogni brano e/o analisi che andrò ad affrontare sarà inutile se non
accompagnata da un ascolto analitico, possibilmente privo di partitura,
proprio per avere le orecchie più libere da altre distrazioni.

Riporto la partitura così come si presenta nei vari RealBook,


suddividendola in sezioni, in modo tale da capirne meglio la struttura
quando andrò ad analizzare i soli.
Il ritmo del brano si presenta in levare (ritmo anacrusico), e prosegue con
un totale di 24 battute.

Al suo interno, il brano viene suddiviso in sezione di 8 battute ciascuno,


dove gli verranno assegnate delle lettere per la distinzione di ognuna di
esse. Quindi le sezioni saranno rispettivamente A, B, C, D.
Il brano nasce come “ballad”, ma in tutti questi decenni è stato suonato nei
tempi più disparati.
• La prima versione che ho preso in considerazione è quella del
saxofonista tenorista Stan Getz.
In collaborazione con Jimmy Raney, fu registrato nelle sessioni tra il 1952
e il 1953 nell’album Autumn Leaves col suo quintetto, in piena epoca a
cavallo tra il BeBop e l’Hard bop, ed è una delle versioni più singolari.
A differenza degli stili utilizzati in quegli anni, il suo approccio è morbido
ma decisamente marcato di presenza ritmica, la sua caratteristica è sì la
dolcezza, ma che ben si presta ad una pronuncia definita.
Innanzitutto il tempo iniziale è impostato in un medium swing (170 la
semiminima).

Dopo un intro di 7 battute affidato al piano, inizia l’esposizione del tema


suonato dal tenorista. In primo luogo, tutta la prima parte (sezione A e B)
del tema viene scandita e mai legata, da forti accenti: già dalle battute 10 e
11 si sente un accento marcato, come a voler affermare da subito una sorta
di concetto, ripresa poi nelle terzine di semiminima alla batt. 21.
Nella sezione C del tema è evidente il cambio di dinamica che Getz da al
tema, passando da un approccio marcato e scandito, ad uno legato e
“cantato”, aumentando la sua dinamica e tornando a degli accenti più
marcati nell’ultima sezione del tema, D.

Andando ad analizzare le componenti ritmiche che durante tutta


l’improvvisazione spiccano di più, nella prima battuta inizia la sua
improvvisazione con una figurazione sincopata di crome e semiminime
alternate che si legano ad una seconda battuta di due crome e minima
puntata.
Un primissimo esempio di come Getz sia calcolatore in questa prima parte
riproponendo queste due cellule fino alla quinta battuta:
Nella battuta 101 utilizza questa figurazione con una precisione ritmica
che spacca il metronomo:

Nella sezione D del secondo chorus, ho messo in risalto come egli utilizza
la stessa figurazione ritmica, ovvero pausa di croma seguita da due
semicrome e semiminima, accentuando ogni volta un movimento diverso
all’interno della battuta:

Nella parte finale del solo, melodicamente parlando, riprende e richiama il


motivo del tema, trasfigurandone la parte ritmica come nell’esempio che
segue:

• La seconda versione che ho scelto di analizzare è quella di Miles


Davis, registrata nel 1958 col suo sestetto, di cui il saxofonista John
Coltrane: infatti il solo che ho scelto di prendere in considerazione è
proprio il suo.
La presente è una registrazione compresa (anche se avvenne
successivamente) nell’album che ha dato il via al cosiddetto “jazz
modale”.
Innanzitutto, la prima differenza sostanziale della versione precedente è il

tempo: la semiminima è impostata a circa 82 di metronomo, quindi


risulterà suonata a mo’ di ballad.La seconda immensa caratteristica di
questa versione, nel solo Coltrane, non usa eccessivi virtuosismi ritmici,
ma non è neanche scontato con la “classicheggiante” pronuncia di crome
(figurazione base usata dai jazzisti per improvvisare le loro frasi).Diciamo
che la sua è più una predilezione al “cantare una melodia”, e lo fa talmente
bene da risultare quasi un secondo motivo rispetto al tema principale.Di
fatto, in tutta la sua esposizione melodica, emergono elementi ritmici che
lui usa ripercorrere all’interno della sua improvvisazione

Ne prenderò alcuni esempi nella trascrizione che segue:


Sembra in diverse battute che per comunicare abbia bisogno di terzine di
crome, ed infatti ne fa abbondante uso come si denota nelle battute 2, 5, 8,
9, 12, 14, 20, 22, 25.
Sono tante le volte di questa figurazione ripetuta, se si pensa al fatto che
l’intero assolo dura soltanto un chorus.Altre figurazioni ritmiche di cui
ama fare uso sono le terzine di semicrome che vediamo nelle battute 6 e 10
e delle sestine di semicrome alle battute 23, 24 e a battuta 32 ne esegue
due sul secondo e sul quarto movimento con una lucidità di pensiero
spaventosa.

• L’ultima versione di questo brano che andrò ad analizzare è quella


dei Manhattan Project presente nell’ononimo album che è del 1990, i
cui featuring corrispondono a Micael Petrucciani, Stanley Clarke,
Lennie White e il saxofonista Wayne Shorter, di cui riporterò proprio
la trascriziome del suo assolo.
Sempre come prima analisi, il tempo è impostato ad una velocità di 170
alla semiminima, ma ciò che colpisce è che questa volta il brano si svolge
in termini non troppo convenzionali, o che rientrano nel classico “swing”
presente nelle versioni precedenti.
Il suo stile infatti, ridà per molti aspetti sullo stile fusion, che in se
comprende non poche sfumature pop.
Dopo un intro di 13 battute di keyboard in cui aggiunge tutta la sezione
ritmica in vari incastri ritmici e sonori, c’è l’esposizione del tema suonata
proprio dal sax soprano di Shorter, anche questa volta trasfigurata rispetto
alla versione RealBook.
Anche in questo assolo, Shorter si impiega in un linguaggio assolutamente
non convenzionale rispetto a quello “classico” adoperato dai vari solisti
jazz.
Lancia il suo assolo molto pacatamente, con delle crome ribattute che, pur
se marcate, suonate sempre con un approccio morbido, procedendo con la
prima idea ritmica di semiminima e due crome che si trascina da battuta
135 alla battuta 138.

Proseguendo, si nota un crescendo di intensità che lui conferisce anche


alle scelte ritmiche che adopera da batt.147 a batt.150 usando diverse
figurazioni irregolari, per poi tornare alla “quiete” a battuta 151.
E’ proprio questo suo oscillare tra la tempesta e la quite la caratteristica
nonché essenza del suo approccio all’improvvisazione. E proprio questo
non essere scontato conferisce a Shorter un primato di esecuzione tutto
unico nel suo interno.
Ed anche nella ripresa del tema finale il tema non risulterà essere suonato
nello stesso modo in cui era esposto all’inizio, ma non solo: il tema si
chiude proprio con un altra improvvisazione:

In questo lavoro di analisi ritmica ho cercato di prendere sempre musicisti


e incisioni di epoche differenti, e di come ho potuto constatare ancora una
volta di come questo genere a cui sia stato conferito il nome “jazz” sia
variegato e ricco di soluzioni mai uguali al suo interno, di come scavare
all’interno dello stesso brano qualcosa che ha lo stesso nome ma che
presenta sempre innovazione al suo interno.

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