DEI FRUTTIFERI
1: Il miglioramento genetico-definizioni ed obiettivi per i fruttiferi
-Definizione e compiti del miglioramento genetico
-Obiettivi del miglioramento genetico per i fruttiferi: il caso del portinnesto e delle varietà
-Il significato del miglioramento genetico per la sostenibilità delle produzioni
-L’evoluzione dei metodi di miglioramento genetico
Una volta selezionato il nuovo individuo, si ottiene la VARIETÀ MIGLIORATA che subisce una serie
di passaggi:
REGISTRAZIONE: devono essere varietà uniche non in commercio
MOLTIPLICAZIONE
COMMERCIALIZZAZIONE
Questo percorso può avere durata variabile
Il breeder che ha ottenuto la varietà, riceverà una royalty quando un coltivatore acquista piante di
quella varietà poiché deve pagare i diritti del costitutore.
METODI DI MIGLIORAMENTO GENETICO
Tradizionali sono:
1) INCROCIO
2) SELEZIONE
3) MUTAGENESI
Innovativi sono:
IBRIDAZIONE
VARIAZIONE SOMACLONALE
TECNOLOGIA GM: Geneticamente modificata. Si utilizza in inglese il termine “GMO”, in
italiano “OGM”. Alcune specifiche fanno si che usi utilizzino acronimi diversi a seconda se si
riferisca a microrganismi definiti, cioè batteri e quindi si parla di MGM, o di PGM e quindi
piante geneticamente modificate.
- NEW BREEDING TECHINIQUES (Cisgenesi e Genome Editing)
LA (FALSA E INUTILE) CONTRAPPOSIZIONE TRA METODI TRADIZIONALI E INNOVATIVI
_Integrazione delle tecniche
_Esigenza di conoscenza delle informazioni sull’ereditarietà e non solo
_E’ il momento di capitalizzare le informazioni che provengono dal sequenziamento dei genomi (e
di investire per quelli che mancano)
_E’ importante mantenere il patrimonio elitario di geni delle migliori varietà oggi coltivate
Di molti varietà di frutti (pelo, arancio, mandarino ecc.) si conosce la completa sequenza del suo
DNA e quindi la valutazione di alcune varietà che si comportano in maniera differente si fa per
confronto su genoma stampo di un individuo.
Prendiamo come esempio il limone: vi sono dei cloni di limone, detti Fior D’arancio che
presentano una colorazione bianca dei petali (i limoni normali hanno viola).
E’ possibile di tentare di individuare il gene che codifica questa mancata pigmentazione del fiore
attraverso un risequenziamento del genoma del clone bianco a confronto con il genoma
dell’individuo pigmentato tramite tecniche di bio-informatica
PRIMA I GENI
Questo è il manifesto dell’agricoltura futura dove in 12 diverse tesi si cerca di divulgare agli
studenti e all’opinione pubblica l’importanza del genome editing e della modificazione genetica.
Grazie al Genome Editing, per esempio, in alcune varietà di Tarocco possiamo modificare una
singola base che controlla il carattere della resistenza al virus Tristezza senza alterare tutte le
caratteristiche peculiare di quella varietà. Si può effettuare ciò risalendo alla sequenza genetica
dell’individuo preso in esame.
Grazie a questa tecnica noi possiamo stabilire dove effettuare la modificazione e come dobbiamo
farla.
METODI TRADIZIONALI DI MIGLIORAMENTO
GENETICO
1. le MUTAZIONI INDOTTE (MUTAGENESI)
2. le tipologie di INCROCIO e le procedure per la selezione
3. la SELEZIONE CLONALE: le Mutazioni Naturali e le Chimere
Deve avere a fianco un Sistema Vivaistico Efficiente in modo che una varietà di successo possa
essere prodotta per il suo utilizzo. Sebbene siano tradizionali, ancora oggi permettono di ottenere
delle varietà di successo.
L’attività vivaistica è fondamentale per la diffusione delle nuove varietà sviluppate dai breeder.
Ci sono specie per le quali è molto elevata la probabilità di ottenere una variabilità e quindi nuove
varietà.
Ad esempio il Pesco ha molto caratteri che sono regolati da un solo gene mentre il con il
Ciliegio tale possibilità è ridotta e bisogna trovare varietà autocompatibili
Ancora più bassi sono i genotipi di specie di frutta secca poiché essa viene principalmente
trasformata e quindi non vi è particolare interesse nell’ottenere nuove varietà
Per ogni specie si hanno obiettivi differenti nel breeding.
Molto più spesso l’obiettivo finale dei programmi è ricercare varietà nuove per aumentare
quantità della produzione.
Ad esempio il pistacchio (specie dioica) si ricercano varietà per avere una durata del periodo di
produzione di polline e del periodo di recettività dei fiori più ampia possibile
Di tutte le nuove varietà ottenute, solo una parte viene ad essere registrata nel Registro
Internazionale Delle Varietà
Spesso i programmi di incrocio sono piuttosto lunghi e a causa delle peculiarità delle piante
arboree:
_Ciclo poliennale: allevamento – maturità- senescenza
_Fasi fenologiche differenziate (Germogliamento, Attività Vegetativa, Differenziazione a
Fiore, Maturazione dei frutti, Dormienza): alcune di queste fasi sono cronologicamente
sovrapposte (differenziazione di gemme a fiore per l’anno avviene contemporaneamente
all’accrescimento dei frutti e all’allungamento dei germogli)
_Propagazione vegetativa
_Giovanilità (ritardo nella comparsa dei caratteri di interesse: con l’incrocio bisogna
aspettare che le pianta cresca e che si possa raccogliere il frutto per poter riscontrare il
carattere di interesse. Cio comporta dei ritardi nei programmi.
_Alta eterozigosi (in quasi la totalità delle specie arboree da frutto): alta variabilità,
possibilità di fissare i caratteri solo per propagazione vegetativa
_Auto-incompatibilità (sterilità fattoriale): albicocco, olivo, ciliegio, agrumi, pero;
impossibilità di autofecondazioni e quindi impossibilità di ottenere nuovi genotip e quindi
impossibilità di studiare i caratteri di interesse, anche quelli recessivi
_Poliploidia (actinidia, ciliegio acido, susino, melo)
È indispensabile accorciare la fase giovanile per avere quanto prima possibile una produzione su
cui veridicare i caratteri di interesse e poter rilasciare quanto prima la varietà.
Per tale motivo vi è più spinta ad effettuare breeding per le specie con fase giovanile più breve.
OBIETTIVI DEL MIGLIORAMENTO GENETICO
TRADIZIONALE
1. -STRUTTURA E PRODUTTIVITÀ DELL’ALBERO: vigore, habitus, fertilità, costanza ed
efficienza produttiva
2. -ADATTABILITÀ ALL’AMBIENTE DI COLTIVAZIONE: fabbisogno in freddo, resistenza alle
gelate, resistenza alle alte temperature e siccità, condizioni di terreno limitanti (e
permettere di coltivare alcune specie fruttifere in ambiente prima considerati inospitali per
quella specie)
3. -RESISTENZA ALLE AVVERSITÀ BIOTICHE
4. -QUALITÀ DEI FRUTTI
Conoscendo la biologia e il profilo genetico delle diverse specie è stato possibile attuare incroci
per raggiungere tali obiettivi
LA TOLLERANZA
La tolleranza è un insieme di meccanismi che vanno distinti a seconda che parliamo di stress
abiotici o biotici causate da crittogame, fitofagi. Spesso la tolleranza determina un danno limitato
che comunque è compatibile con il successo economico della coltura. In altri casi di patogeni
endofiti, come virus, viroidi e fitoplasmi, un individuo, pur infetto senza sintomi, diventa fonte di
trasmissione del patogeno. Questa condizione è accettabile se la diffusione è endemica del
patogeno.
Gli agrumeti sono stati estirpati perché non più produttivo, l’arancio amaro era suscettibile, ma se vi fosse stato un
portinnesto non così suscettibile a CTV, l’arancio dolce sarebbe stato comunque tollerante, non manifestano sintomi ma
possibilità di trasmissione del patogeno.
LA RESISTENZA
La resistenza è un carattere di base genetica quantitativa che determina un basso livello di danno
sulla pianta, a fronte dell’attacco del patogeno. La resistenza può essere Verticale o Orizzontale.
La RESISTENZA ORIZZONTALE o DI CAMPO, è un carattere di base genetica quantitativa che
determina un basso livello di danno sulla pianta, a fronte dell’attacco del patogeno. Il controllo di
questo tipo di resistenza è poligenico, difficilmente può essere superata dalla variabilità del
parassita.
La RESISTENZA VERTICALE o immunità di tipo qualitativo in cui la base genica è monogenica, la
pianta è immune al patogeno, ma a quel ceppo. Quindi se il patogeno muta nel tempo anche
questa resistenza viene persa. Una resistenza verticale è una resistenza che da immunità al
patogeno, immunità che può essere superata nel caso in cui il patogeno riconosca il gene di
resistenza con quel gene di patogenicità.
IPERSENSIBILITA’
Esiste un meccanismo di resistenza chiamato IPERSENSIBILITÀ, ed è una resistenza che si
manifesta a livelli così elevata che porta alla rapida morte delle cellule colpite dal patogeno,
determinandone una necrosi in quella zona della pianta colpita dal patogeno, determinando una
vera e propria barriera e quindi le cellule intorno vanno incontro ad Apoptosi e il patogeno non è
in grado di diffondersi e di diffondere il patogeno.
Si verifica nel caso di Taphrina deformans del pesco, determinando ipertrofia della lamina fogliare, questa è una
reazione di ipersensibilità.
Nel caso di fitofagi, la pianta può sviluppare casi di risposta che si chiamano NON PREFERENZA o
ANTIBIOSI. La non preferenza si ha quando vi è il mancato attacco del fitofago ad un particolare
genotipo, invece l’antibiosi è la produzione di sostanze tossiche che determinano il mancato
attacco del fitofago stesso.
LE MUTAZIONI
La MUTAZIONE avviene quando si verifica una DEGENERAZIONE GENETICA.
Questa degenerazione avviene tramite modifiche a carico delle sequenze di DNA, che possono
provocare modificazioni permanenti del fenotipo.
Questo ritmo di insorgenza è diverso in base alla specie differenti e anche tra varietà, le mutazioni
possono essere:
MIGLIORATIVE
PEGGIORATIVE
NEUTRE.
Ho una cultivar ma se all’interno di questa cultivar per una serie di caratteristiche proprie di quella
cultivar, se va incontro ad una serie di modificazioni del DNA, posso avere una Cultivar
Popolazione, cioè l’insorgenza di una Variabilità Intravarietale, e si verificano caratteri distintivi
che portano all’isolamento di un sottogruppo più piccolo si chiama Clone. Ovviamente il clone si
origina se questi caratteri distintivi si mantengono nelle propagazioni successive.
In questo modo, a sua volta costituisce una varietà nel momento in cui viene propagato sempre
agamicamente. Dalle cultivar si originano i cloni e a sua volta dai cloni si originano cultivar.
Spesso in frutticoltura e arboricoltura si hanno varietà antiche che in realtà sono una coacervolo di
cloni diversi, tanto è che si chiamano CULTIVAR POLICLONALE, perché appunto al loro interno ci
sono genotipi che presentano caratteristiche differenziate e ci portano a inglobare all’interno
della stessa varietà, cloni diversi.
Il caso della cultivar Tarocco, dove al suo interno
si sono originati degli individui a partire da una
singola pianta che ha portato delle mutazioni. Nel
momento in cui esse vengono mantenute e fissate
attraverso la propagazione agamica otteniamo un
clone di Tarocco. Il Tarocco originario non c’è più,
oggi esiste una Cultivar Popolazione di Tarocco
fatto da numerosi cloni alcuni dei quali hanno
assunto un livello tale di diffusione, facendo assumere gli stessi il rango quasi di Cultivar.
Questo è dovuto alla presenza di elementi trasponibili che saltano all’interno del DNA del genoma del
Tarocco e determinano questi riarrangiamenti e queste modificazioni. Anche nell’ambito dello stesso
arancio dolce, per incidenza di mutazioni: Tarocco > Moro > Sanguinello > Washington Navel > Valencia >
Navelina.
Mutazioni oggetto di attenzione sono quelle che interessano l’apice gemmario.
I caratteri d’interresse si distinguono in
_CARATTERI MONOGENICI O QUALITATIVI cioè caratteri gestiti da un solo gene che è ereditato
secondo le leggi di mendel e presenta una variabilità discontinua (significa che quel carattere
qualitativo c’è o non c’è) .
Mutazioni riguardano caratteristiche del fiore, apirenia degli agrumi, assenza o presenza di
tomentosità, assenza di spine, colore della polpa (Nel pesco i mutanti a polpa bianca si sono
originati da mutazioni di pesche a polpa gialla. Questo ha fatto si di propagare questi mutanti e
ottenere esemplari di cultivar a polpa bianca)
_CARATTERI POLIGENICI O QUANTITATIVI, cioè gestiti da più geni con effetto limitato e
cumulativo sulla determinazione del fenotipo. Il carattere varia in modo continuo all’interno di
una popolazione e deve essere descritto attraverso misure e parametri numerici (altezza. Vigore,
produttività ecc.)
-Fasi fenologiche di una specie: possono variare nel corso del tempo come la tardività del
distacco di un frutto e quindi un frutto che ha un processo di degradazione dell’acidità e
accumulo degli zuccheri, sfasati in avanti, quindi in questo caso diversi sono i geni
-Fertilità e produttività
-Caratteristiche interne del frutto
Incrocio tra due pere di forme diverse: si da origine ad una progenie che da
variabilità del carattere forma della pera continuo.
Nel caso dell’epoca di maturazione del pero, se facciamo degli incroci, abbiamo
una distribuzione di tipo Gaussiana semplice, con individui che si presentano con
valori più bassi rispetto all’individuo più precoce e valori più elevati rispetti a
quello più tardivo.
CHIMERE
Le CHIMERE sono delle presenze nella nostra gemma di porzioni mutate con porzioni non mutate.
L’apice gemmario è formato da 3 o 5 strati detti ISTOGENI e indicati con L (layer). Ogni strato è
responsabile della formazione di specifici tessuti e organi.
Il Primo Istogeno L1 (il più esterno) forma le epidermidi dei diversi organi,
Il Secondo Istogeno L2 forma gli organi sessuali e il mesocarpo
Il Terzo Istogeno L3 (il più interno) forma la parte interna della corteccia e dei vasi legnosi
Quando vediamo un frutto con una striscia di colore dell’epidermide diversa, quella è una mutazione che è
intervenuta nello Strato Epidermico. Il Secondo Strato di cellule forma gli organi sessuali e il mesocarpo e il Terzo
Strato la corteccia e i vasi legnosi.
Le chimere possono essere:
1. -CHIMERE PERICLINALI: le cellule mutate
corrispondono ad un unico strato dell'apice
gemmario. Il carattere mutato è relativamente
stabile. A partire della singola cellula, periclinale, la
mutazione interviene su tutte le cellule dello strato
L1, quindi nel mio apice gemmario tutte le gemme
che origineranno l’epidermide, presentano quel
carattere modificato, se era la tomentosità ad
esempio, tutte presenteranno questo carattere.
2. -CHIMERE MERICLINALI: le cellule mutate
interessano un settore limitato di uno strato
dell'apice, la mutazione è instabile.
3. -CHIMERE SETTORIALI: quando la mutazione è
sempre parziale ma interessa più strati di una
gemma e quindi i diversi organi, quindi non avrò un
diverso sviluppo che riguardo solo la modifica
dell’epicarpo. La mutazione è solida se si preleva
dal settore mutato, contrariamente può risultare
instabile o assente.
La Red delicious è un mutante della Golden delicious
(all’interno ci sono tanti cloni), la pera rossa di Parsacrassana è
una pera per la quale è insorta una mutazione a livello di
epicarpo, quindi di buccia.
SELEZIONE CLONALE
Procedura di identificazione di mutazioni non evidenti dal punto di vista fenotipico
Nasce all’inizio del ‘900 nell’ambito del miglioramento genetico dell’uva da vino, per identificare
all’interno dei vitigni più antichi e poco uniformi, mutanti che esprimessero migliori qualità del
frutto.
FASI DELLA SELEZIONE CLONALE
-Individuazione di piante che si diversificano per uno o più caratteri dal fenotipo principale
-Controllo dello stato sanitario ed eventuale risanamento
-Prelievo di marze e innesto
-Impianto del Campo Di Comparazione: metto nello stesso ambiente il clone che e per me il
rispondente alla varietà e insieme metto tutto quello che è mutato o diverso (2 parcelle con 12
ceppi, 12 piante di questa pianta originaria che ho individuato, propagato, faccio due campi e lo
confronto con il mio clone originario per poter fare una discriminazione su quale sia migliore dal
punto di vista produttivo)
-Tre anni di rilievi ampelografici (gli organi) o pomologici (la maturazione)
Epoca di germogliamento e fioritura
Fertilità fiorale
Rilievo dei caratteri pomologici
Produttività
-Per la vite da vino valutazione della vinificazione per due anni
-Selezione dei cloni
-Comparazione nei diversi ambienti (valutazione agronomica)
Decreto ministeriale attraverso il quale si procede alla selezione di biotipi di vite.
MUTAGENESI INDOTTA
Le gemme sono sottoposte a RADIAZIONI IONIZZANTI, stabilendo la DL 50 (dose letale 50). Si
ottengono modificazioni del DNA imprevedibili, le radiazioni provocano rotture del DNA ma
l’influenza delle modificazioni dei geni sul fenotipo è imprevedibile. L’uso di radiazioni è affidata ad
enti specializzati. Viene effettuata su marze o germogli allevati in vitro.
Tramite radiazioni si è potuto constatare il problema di autoincompatibilità (si
INCROCIO
L’incrocio è un metodo per creare una nuova variabilità e attraverso il Crossing-Over consente di
rompere il legame tra geni che sono associati tra loro in condizioni di linkage e ci consente di
ampliare moltissimo la variabilità genetica all’interno della popolazione.
Le caratteristiche dell’ibrido non si conoscono a priori.
L’incrocio controllato consiste nel prelievo del polline da un genitore maschile e nella successiva
impollinazione in un genitore femminile.
Il fenomeno del Crossing Over è un meccanismo di scambio di porzioni omologhe di DNA
che si verifica fra due cromatidi di cromosomi omologhi durante la meiosi per cui si
presentano geni ricombinanti che sono di tipo parentale e uguali a uno dei due genitori o
ad entrambi o a gameti che sono ricombinanti. Noi non sappiamo quale porzione viene
scambiata
Nelle mutazioni i meccanismi non sono di scambio di DNA tra i cromosomi ma avviene una rottura
del DNA con uno spezzettamento, posizionamento e diversa collocazione nel genoma di uno solo
degli individui.
Le fasi dell’incrocio sono 2:
1. SCELTA DEI PARENTALI (capaci di trasmettere caratteri alla progenie)
2. SCHEMA DI INCROCIO DA ADOTTARE (in caso di specie Allogame o Autogame):
-Auto-incrocio
-Incrocio Intra-Specifico
-Ibridazione: incrocio Inter-Specifico o Inter-Generico (es: GF7)
-Reincrocio o Backcross: l’individuo costituito viene reincrociato con uno dei genitori
TIPOLOGIE DI INCROCIO
1.AUTOINCROCIO
-E’ il tipo di incrocio che si fa per le specie che sono autocompatibili, ci consente di
conoscere la base genetica di specifici caratteri, autofecondazioni che possono portare
alla conoscenza di alcuni caratteri in condizione recessiva.
-Ovviamente l’autoincrocio ci porta ad avere una buona segregazione dei singoli caratteri.
-Bisogna verificare l’eterozigosi (per un carattere ci sono forme alleliche diverse) che non si
riesce a ridurre poiché si devono aspettare tempi troppo lunghi.
2.INCROCIO PROPRIAMENTE DETTO:
E’ l’incrocio intraspecifico quando preleviamo il polline da un genotipo e fecondiamo
l’ovocellula di un altro genotipo, ed è necessario che ci sia Compatibilità Fiorale.
3.REINCROCIO
Consiste nell’incrociare gli individui F1, quindi i primi ibridi con uno dei due genitori, in
genere con quello con più elevato standard qualitativo (o carattere di interesse).
Incrocio propriamente detto, interspecifico o intergenerico: IBRIDAZIONE
L’incrocio è l’ibridazione di individui di specie (Ibridi Interspecifici) o generi (ibridi intergenerici)
diversi. L’incrocio può essere artificiale tramite il breeder o anche per effetti naturali per esempio
le Clementine, quelli che chiamiamo Mandaranci, sono ibridi naturali ottenuti per incrocio tra un
mandarino e un arancio dolce attraverso una semina di fortuna per un naturale posizionamento di
polline di arancio su fiore di mandarino. Sono degli ibridi veri e propri, Incrocio Interspecifico tra
specie diverse.
Esistono casi di piante di grande valenza, ibridi intergenerici, i Citrange, i portinnesti di
agrumi ottenuti attraverso l’incrocio dell’arancio dolce con l’arancio trifoliato (Citrus sinensis
Questo Citrange che oggi ha salvato l’agrumicoltura mondiale ma certamente quella nostra
Il Poncirus trifoliata è l’unica specie di agrumi che perde le foglie, utilizzato per la resistenza
al freddo è stato ibridato per cercare di ottenere dall’arancio dolce, Citrus sinensis, un frutto
incrocio può capitare che non vengono trasmessi dei caratteri di interesse e vengono invece
trasmesse altre caratterisitche come il frutto immangiabile, piccoli e amari del Poncirus.
citrange vennero utilizzati come portinnesti per contrastare il virus della tristezza.
LE CARATTERISTICHE DELL’IBRIDAZIONE
-Come abbiamo visto, nell’ibridazione è molto importante quella VARIABILITA’, che ci da la
possibilità di scegliere delle caratteristiche di interesse all’interno di una popolazione.
-E’ NECESSARIO CHE SIA INTERCOMPATIBILE, poiché l’ibridazione non avverebbe in primo luogo
-AUMENTO DEI TEMPI DI SELEZIONE, perché poi bisognerà fare diverse opere di reincrocio. I
limiti sono legati al fatto che in questi programmi di reincrocio, bisogna passare lo stadio giovanile
dei semenzali.
-Si potrebbero verificare FENOMENI DI STERILITÀ degli ibridi
come nel caso del fico d’india che va in antesi solo dopo che la cleistogamia è già avvenuta,
quindi si apre il fiore e si eliminano questa sorta di corolla e le antere, si raccoglie il polline e si
mettono a germinare.
PROCEDURE DI SELEZIONE
Una volta istituito un ibrido, dobbiamo sottoporlo a delle procedure di selezione che consistono
in 3 stadi.
PRIMO STADIO: INDIVIDUAZIONE DEL SEMENZALE
SECONDO STADIO: VALUTAZIONE AGRONOMICA
TERZO STADIO: VALUTAZIONE DI SELEZIONI DI VALORE PRE COMMERCIALE
Nel momento in cui devo valutare le caratterisitche produttive di questi ibridi, si deve aspettare il
periodo di giovanilità e quindi un certo numero di anni di questa fase improduttiva.
Per CERCARE DI ACCORCIARLA si fanno accorgimenti come tipo evitare la potatura (metta
la pianta a legno e non stimola la produzione a fiore) o utilizzare portinnesti nanizzanti.
Posso anulare i rami per far sì che ci sia un accumulo, nella parte superiore allo
scortecciamento, di auxine, ormone florigeno che si muove dalle foglie verso le gemme e
che possa in qualche modo anticipare il raggiungimento della maturità sessuale.
Se invece io volessi controllare altri caratteri non legati agli aspetti produttivi ma alla resistenza
biotica o abiotica, in questo caso non ci interessa il periodo di improduttività ma di più ci
interessa il comportamento del nostro individuo rispetto agli stess.
Ci sono due tipologie di selezione
_SELEZIONE ARTIFICIALE: viene fatta quando non abbiamo marcatori molecolari e consiste in un
imposizione di stress come ad esempio inoculazioni del patogeno oppure se era resistenza alla
salinità dell’acqua, irrigare con acque saline, già in una fase precoce riesco a individuare gli
individui che portano quel carattere di resistenza
_SELEZIONE ASSISTITA DA MARCATORI: usiamo dei marcatori associati al carattere d’interesse
che mi consentono di valutare tali caratteristiche. La selezione da marcatori ci permette di sapere
anche, per esempio, se un ibrido tra una vite da frutti con semi e un vita da frutti apireni sarà con
o senza semi, risalendo al DNA. Ci sono tre tipologie di marcatori
-Marcatori Morfologici: sfruttano la correlazione (che deve essere stretta) tra caratteri
morfologici e caratteri oggetto di selezione (es: la sensibilità all’oidio nel pesco è
correllata all’assenza delle ghiandole fogliari)
-Marcatori Biochimici: la presenza di sostanze biochimiche specifiche associate a caratteri
d’interesse (es: alta concentrazione di prolina che è associata alla resistenza all’siccità)
-Marcatori Molecolari (MAS): il metodo più utilizzato oggi, dove specifici polimorfismi
associati a geni d’interesse sfruttano i cambiamenti nella lunghezza di una determinata
sequenza (SSR) e/o le mutazione di una singola base nucleotidica (SNPs). Quando due
individui si distinguono per una singola base, li troviamo un marcatore.
Nel caso dell’uva da tavola, nel test sotto ci sono 9 diversi ibridi che sono stati ottenuti da uno
specifico incrocio fatto tra un genotipo apireno e un genotipo con seme, parentali con acini senza
Ottengo 9 ibridi, estraggo il DNA (si amplifica, e vedo se il primer reagisce o meno), valuto la
presenza di questi marcatori (SCAR e SSR) e ovviamente sappiamo che quando ho il seme
nell’acino non vi è la presenza di questi marcatori nel profilo molecolare dell’individuo, quando
invece ritrovo questi marcatori, io so che quel frutto non presenta semi, quindi avendo questa
conoscenza posso sottoporre tutti gli ibridi che ottengo a questa valutazione e immediatamente
saggiare, screenare e scoprire che di quegli ibridi solo il numero 8 sarà un individuo che a
maturità produrrà acini senza semi, tutti gli altri avranno i semi.
I PIANI DI INCROCIO
I piani di incrocio devono essere differenziati a seconda che ci occupiamo di SPECIE AUTOGAME
(autocompatibili) o ALLOGAME (autoincompatibili):
_I piani di incrocio per specie autogame vengono utilizzati per gli agrumi, pescp, fragole e viti e
specie erbacee e consiste in autofecondazione ripetuta per formare linee pure, ma in
arboricoltura è molto difficile per diverse ragioni:
-Lunga Fase Giovanile;
-Necessità di mantere l’Eterozigosi
-Depressione Da Inbreeding, ossia la consaguineità che porta ad una perdita del vigore e fertilità
per la presenza di varianti negative accumulate che, diventate omozigoti, diventano letali;
Per le specie che sopportano INBREEDING l’autofecondazione è un vantaggio perché:
-Riduce il livello di eterozigosi e quindi la stabilità del fenotipo
-Consente la manifestazione di alcuni caratteri recessivi non visibili in condizioni di
eterozigosi
Per evitare di avere tempi troppo lunghi per la produzione di ricombinanti e al contempo
cercare di ottenere un altro grado di omozigosi, si crea un compromesso dove si fa un
alternanza tra autofecondazione, per fissare alcuni caratteri in omozigosi, e incrocio, per
ottenere ricombinanto su cui fare la selezione.
_I piani d’incrocio per le specie allogame si fanno con delle specie diverse.
REINCROCIO
L’ibrido che è stato costituito potrebbe essere non dotato dei
caratteri di pregio che uno dei due genitori ha e quindi si esegue
questo INCROCIO DI RITORNO dove l’ibrido si incrocia con il
parentale (Ricorrente) che ha quei caratteri di interesse che
mancano all’ibrido e quindi si ottiene una progenie BC1 e questa
progenie verrà reincrociata per n volte con il ricorrente fino a
quando non viene trasmesso il carattere di interesse.
Spesso per fare in modo che tutti i caratteri vengono trasmessi
questi reincroci si faranno per circa 5-6 generazioni.
I problemi sono:
_I caratteri poligenici: sono complicati da far arrivare all’ibrido e se
arrivano, ci potrebbe essere il rischio che vengano trasferiti anche dei caratteri negativi
_La fase giovanile molto lunga
_La comparsa di ibridi sterili che viene data dai fenomeni di consanguineità, derivati dai numerosi
reincroci.
COLTURE IN VITRO
La coltura in vitro è l’Arte di allevare cellule vegetali, tessuti o organi isolati dalla pianta madre,
su substrati artificiali in condizioni controllate, per ottenere piante complete.
Tutto si basa sulla TOTIPOTENZA, la capacità peculiare della cellula vegetale di potersi
differenziare e poter quindi rigenerare una pianta intera
Le colture in vitro hanno una grande importanza a livello di:
_MERCATO
Sono di interesse per le industrie, per il mercato, perché sono tecniche che consentono di
propagare in maniera massiccia le specie ortofloricole-frutticole, in particolare i portinnesti.
Sono interessi di mercato perchè n queste colture cellulari è possibile far produrre dei metaboliti
e sostanze utilizzate per l’industria farmaceutica. Le cellule diventano produttori di sostanze
ormonali. Vengono applicate per risanare le varietà per la presenza di patogeni ed in particolare
di virus o viroidi.
_BIODIVERSITA’:
Queste colture in vitro in ambienti artificiali, substrati artificiali di cellule o tessuti svolgono un
ruolo per la biodiversità perché è possibile CONSERVARE IL GERMOPLASMA, soprattutto quello di
SPECIE A RISCHIO DI ESTINZIONE.
Ad esempio c’è un nuovo clone detto Bitters, che è molto richiesto per uso da portinnesto e
non si può usare il seme perché viene dall’america e c’è il greening, che rischierebbe di
distruggere l’agrumicoltura europea e quindi usiamo la propragazione in vitro per avere
centinaia di piante risanate in tempi e spazi limitati.
_MIGLIORAMENTO GENETICO
---Le colture in vitro sono importanti per la propagazione degli ibridi costituiti in modo tale che
un ibrido dalle caratteristiche eccellenti si possa propagare il più velocemente possibile
formando una nuova varietà
---Esse sono utilizzate per la trasformazione genetica, ossia la possibbilità di costituire dei
trasformanti, individui dotati di alcuni caratteri attraverso l’inserimento di DNA alieni
attraverso individui vettori come i plasmidi (molecole di Dna) in grado di autoreplicarsi
all’interno dei agro-batteri.
---Le colture in vitro ci consentono di applicare dei fattori di stress per individuare e selezionare
dei mutanti
---Ultimo e più nuovo programma di miglioramento genetico le new breeding tencniques, la
cisgenesi e genome editing e hanno senso se esiste a valle del processo di miglioramento
genetico realizzato, un efficiente protocollo di rigenerazione in vitro.
NON TUTTO SI PUO’ COLTIVARE IN VITRO
Vi sono dei protocolli specifici a seconda del genotipo
ORGANOGENESI ED EMBRIOGENESI
Si scopri che si potevano far crescere in maniera illimitata alcuni organi su substrati artificiali
addizionandoli di alcune sostanze. Se aggiungiamo un ormone rispetto ad un altro, e quindi un
rapporto adeguato tra citochinine e auxine otteniamo nei nostri tessuti messi in coltura delle
strutture completamente diverse. Questi tessuti che mettiamo in colture in vitro possono andare
incontro ai processi di organogenesi ed embriogenesi (si parlerà in ogni caso di MORFOGENESI)
Metto a dimora questo tessuto che va incontro ad una morfogenesi che può essere DIRETTA o
INDIRETTA
_Nel caso della Morfogenesi Diretta il tessuto differenzia direttamente delle gemme avventizie e
delle cellule organizzate.
_Nella Morfogenesi Indiretta da cellule non specializzate, disorganizzate e de-differenziate di
tessuti callosi o colture in sospensione e solo dopo forma degli organi organizzati
LA MORFOGENESI PUO’ ESSERE
ORGANOGENESI: prendo una porzione del tessuto di una pianta, lo metto su un substrato che ho
definito e questa porzione di tessuto può andare incontro alla Caulogenesi cioè differenziare una
porzione caulinare, un germoglio oppure le radici (Rizogenesi). La modificazione del substrato
consentirà il completamento delle porzioni mancanti.
EMBRIOGENESI: La struttura che mettiamo in un substrato artificiale come lo stilo fiorale può
differenziare su questi tessuti nuovi embrioni somatici che possiedono sia l’apice caulinari che
l’apice radicale e che quindi germinano senza bisogno di passare per tempi e spazi diversi su
substrati differenziati.
Per ogni specie per la quale manifestiamo interesse possiamo trovare protocolli specifici
genotipo-dipendenti che affinano, confrontano e modificano la quantità di nitrato di potassio
piuttosto che di solfato di rame e rispetto a questo hanno dei risultati completamente diversi.
Spesso quelli che vengono variati sono quelli di vitamine e ormoni.
ORMONI O FITOREGOLATORI
Il contenuto di questi ormoni e il ruolo degli ormoni per fatti legati alla divisione delle cellule,
differenziazione radici avventizie, formazioni di nuove gemme, distensione cellulare e
allungamento delle cellule (giberelline) e quindi degli internodi.
_Le AUXINE di sintesi quali acido indolacetico, naftalenacetico, indolbutirrico, 2-4D, 2-4D
diclofenossiacetico vengono usate per la radicazione;
_le CITOCHININE, la benziladenina, kinetina, zeatina, BAP aiutano ad agire nello sviluppo di
germogli e formazione di nuove gemme avventizie;
_le GIBERELLINE vengono utilizzate meno in vitro ma servono per l’allungamento degli internodi.
Se prendo un internodo e lo metto in un substrato dove ci sono più auxine, questo avrà delle radici
mente se lo metto in un substrato di citochinine questo formerà delle gemme avventizie. Se faccio
un substrato “scarico” (privo di ormoni) quel tessuto andrà incontro, in base al tipo di tessuto, ad
una morfogenesi diretta
FASE 4: RADICAZIONE
A questa fase di allungamento segue la fase di radicazione, quindi una volta
che ho questi germogli allungati, devo stimolare la formazione di radici
avventizie.
Ognuno di questi germogli viene messo singolarmente su un substrato
avente auxine (in vitro).
Per ridurre i costi della micropropagazione, molti laboratori prelevano i
germogli senza radici dall’ambiente in vitro e li fanno radicare fuori il
contenitore della coltura (ex vitro).
Quali sono i fattori della rizogenesi che agiscono?
Sono le stesse che agiscono sulle talee, mima quello che si fa in vivo, che qui
il Rapporto Carbonio Azoto, la presenza di Eventuali Cofattori, il fenomeno
della Giovanilità, Auxine sono tutti i fattori che influenzano e agiscono su
questo processo di radicazione.
FASE 5: ACCLIMATAMENTO
È la fase cruciale che consiste nel trasferire il nostro materiale vegetale o pianta, attraverso
panetti di torba, da condizioni di vitro alle condizioni di vivaio, in condizioni ambientali naturali.
Quando si fa tale processo di acclimatazione la pianta, trasferita in un panetto di torba pieno
d’acqua, viene messa in contenitori più grandi e con una busta di plastica
È un processo di ambientamento lento e pericoloso perché nel momento in cui si apre questa
busta si comincia a far indurire la plantula che passa da un substrato fatto al 95% d’acqua ad un
terriccio di consistenza e contenuto di umidità diverso che man mano si abbassa gradualmente.
Queste buste vengono aperte piano piano finchè la nostra giovane plantula non si sia acclimatata.
Quando fornite di saccarosio (o qualche altro carboidrato) e mantenute in condizioni di luce
bassa, le plantule micropropagate non sono completamente dipendenti dalla loro fotosintesi
(sono mixotrofiche; in parte autotrofe e in parte eterotrofe). Sembra essere necessario uno
stimolo che non è presente nell’ambiente in vitro per rendere totalmente capaci di produrre i loro
propri fabbisogni di carbonio ed azoto (cioè prima che diventano capaci di nutrirsi da sole –
autotrofiche). Il cambiamento avviene solo dopo che le piante hanno passato diversi giorni ex
vitro (si passa da condizioni di assoluta sterilità a condizioni esterne non controllate).
Questa è una fase cruciale perché se ricordiamo la circolarità del processo, le altre sono delle fasi
dove posso ritornare sempre indietro. Così come se nella fase di radicazione qualcosa non è
andata bene io riparto da quei contenitori che avevo nella fase di allungamento e li rimetto a
radicare. Invece in questa fase no: se sbaglio qualcosa non si può più tornare indietro
Per la rigenerazione di un individuo come ad esempio gli agrumi, noi possiamo partire da degli
internodi o da “slices”. Al taglio c’è sempre la formazione di un callo dove si formano poi tante
gemme diverse; il numero di gemme che si può formare dipende dal genotipo. Le gemme si
formano nel punto che sta tra lo xilema ed il floema, ossia il Cambio.
Questo è un internodo di agrumi (Mandarino), che è stato
prelevato, e utilizzato tale e quale.
La sezione che vediamo nell’immagine è il punto in cui è avvenuto
il taglio da cui si è formato un tessuto calloso dal quale si sono
formate delle gemme avventizie.
Questo processo di rigenerazione non è importante solo per la
micropropagazione ma per il miglioramento genetico in generale
perché in materia di Trasformazione Genetica l’immissione del
batterio ingegnerizzato (Agrobacterium Tumefaciens) viene fatto
in un internodo tagliato che poi viene messo nel substrato e
viene fatto rigenerare. Con la rigenerazione, da una singola
cellula “infettata” dal batterio si generano interi tessuti e organi
con questo DNA trasformato e addizionato ai geni alieni di
particolare pregio .
RISANAMENTO E MICROINNESTO
_Abbiamo detto che questo ciclo di micropropagazione serve anche a risanare la pianta dalle
malattie virali attraverso tecniche diverse.
I virus si trasmettono da pianta a pianta, per contatto, per seme, per polline, per propagazione
vegetativa e per mezzo di funghi e vettori animali
Non essendo le malattie virali curabili con trattamenti in campo, l’unico modo per controllarle
rimane la Prevenzione, ossia il Risanamento di ciò che non è infetto
_Spesso questo risanamento si fa con l’utilizzo combinato di TERMOTERAPIA e MICROINNESTO o
“Shoot Tip Grafting” (STG). La Termoterapia consiste nel sottoporre la pianta virosata ad un
trattamento con temperature di 35°-38° per cercare di ridurre/abbattere la carica virale di quei
virus sensibili al calore
_Tuttavia la tecnica che consente l’eliminazione è il Microinnesto. Si procede con un meccanismo
che ricalca quello che è innesto in campo, l’innesto a spacco, solo che in questo caso sia il
portainnesto che il nesto hanno dimensioni estremamente contenute e l’apice in particolare deve
avere delle dimensioni comprese tra 0.1-0.2 mm, 10-20 micron per essere sicuri in questo modo
che l’apice prelevato sia libero dalla virosi quando la pianta che stiamo trattando è una pianta
virosata.
_1) Il portainnesto viene fatto crescere su substrato
artificiale (in vitro) in condizioni di sterilità. Viene messo in
in coltura di un seme sterilizzato, pelato e disinfettato che
viene messo nel tubetto col substrato ma allevato al buio
perché vogliamo dei tessuti che siano teneri e molto acquosi
in cui la capacità delle cellule parenchimatiche di
differenziare e accogliere questo innesto (Attecchimento)
che realizziamo sia molto elevata.
_2) Prepariamo anche la marza da una
pianta virosata e la mettiamo in coltura
anche questa artificiale. Quindi prendo delle
talee, le pulisco, le sterilizzo (con ipoclorito
di sodio o candeggina) e le metto in tubi di
coltura, sterili e con substrato artificiale,
per aspettare che dalle gemme ascellari
delle talee si producano dei germogli. Così ottengo tanti meristemi e che soprattutto sono già
sterili perché ho messo in sterilità la marza che ho prelevato. L’apice meristematico che io
preleverò sarà affetto da virus ma è sterile e quindi lo posso usare.
_3) Questo apice viene prelevato per far il microinnesto e si farà al Microscopio, sul bancone della
Cappa Flusso-Laminare. La prima cosa che si farà sarà preparare il portinnesto; quando prelevo
la plantula dal tubo avro una piantina bianca, acquosa e filante dove noi capitozzeremo radice,
fusto e cotiledoni. Contemporaneamente preparo il mio apice; tiro fuori la talea e prendo il
germoglio che lo pulisco da tutte le foglie laterali e lascio soltanto il cono gemmario con le prime
due foglie. Il meristema apicale viene tagliato e viene posto sul portinnesto a forma di
“Scudetto”o a “T Capovolto” (si aprono i due lembi, si pone la gemma e si richiude).
_4) La pianta, che adesso è bimembre, viene posta dentro un tubo sterile con substrato liquido.
Per assicurare che la nostra plantula non affondi nel liquido, noi avvolgiamo la parte centrale con
della carta. Dopodichè si chiude col parafim e si mette alla luce. Dopo un certo periodo di tempo
cominceranno a formarsi delle foglioline
Abbiamo detto che nel punto di taglio si formano delle gemme avventizie. Questo vale anche per il
punto di taglio del portinnesto dove le gemme avventizie (del portinnesto) entrano in
competizione con l’apice che ho innestato. Quindi ad un certo punto avrò una plantula dove ci
saranno dei germogli tipici di quel portinnesto e un solo germoglio del nesto: è ovvio che dovrò
potare i germogli dei portinnesti.
Quando il portinnesto non si è sviluppato molto, possiamo procedere facendo un Reinnesto della
pianta bimebre su un’altro portinnesto opportunamento preparato per accelerare il processo di
accrescimento
VARIABILITÀ SOMACLONALE
Queste colture in vitro possono essere utilizzate per far insorgere e far manifestare delle
variazioni fenotipiche e genotipiche. Questa variabilità che si forma in vitro si chiama
VARIABILITA’ SOMACLONALE.
Viene chiamata così perché riguarda le cellule del Soma, ossia il corpo. Infatti anche lo stesso stilo,
sebbene sia un organo riproduttivo, è comunque composto da un tessuto, ossia una parte del
corpo. Quindi gli Espianti sono sempre tessuti di una pianta in condizione diploide.
Questa variabilità può essere indotta o può insorgere spontaneamente. Questo dipende:
_Da quanto il sistema di rigenerazione sia indiretto oppure no. Se vi è il Callo la probabilità di
insorgenza di variabilità è più elevata perché l’attività di divisione cellulare è molto intensa e
quindi i si può andare incontro alla variazione somaclonale.
_Dal tipo di tessuto dell’espianto: un Tessuto Differenziato ha una variabilità genetica più
elevata mentre un Tessuto Meristematico ha una variabilità genetica più bassa
L’origine di questa variabilità che è insorta può essere:
_Pre-esistente nell’espianto di partenza: è frequente nelle arboree dovuta alla perpetuazione
della propagazione agamica (espianti chimerici) che tende ad accumulare maggiore variabilità nel
tempo.
_Indotta dalle particolari condizioni della coltura in vitro
EFFETTI
-Calli con differenti caratteristiche
-Più rapida induzione a fiore
-Formazione di spine
-Differente regolazione ormonale
-Nanismo e differente vigore
-Resistenze a patogeni
Frequentemente capitano delle formazione di mutanti chimerici che dovranno essere puliti da
tessuti non mutati
Quando vogliamo indurre una variabilità somaclonale aggiungo alcune sostanze al substrato. Se
queste sostanze vengono detossificate dalle cellule del nostro espianto, allora vuole dire che
questo ha avuto una mutazione. Quando si parla di variabilità somaclonale si deve parlare anche
di SELEZIONE SOMACLONALE dove appunto riesco a determinare in tempi molto brevi quali di
questi cloni è andato incontro a variabilità e chi no perché ho introdotto uno stress tramite queste
sostanze (patogeni, Sali in eccesso) che da alcuni è stato superato (è avvenuta la variabilità)
mentre altri sono morti (non è avvenuta la variabilità). La selezione può essere POSITIVA (il
substrato uccide tutte le cellule ad eccezione di alcune e scelgo quello che è sopravvisuto)
oppure NEGATIVA (reazione di ipersensibilità dove tutti i tessuti vanno incontro a morte precoce)
Infatti, in un semplice incrocio tra un genitore dal patrimonio genetico “AA” e un genitore “BB”,
avremo un ibrido “AB”. Invece nell’Ibridazione somatica otterremo un tetraploide “AABB” che
avrà tutti i cromosomi “A” e tutti i cromosomi “B”
STORIA E DESCRIZIONE
La fusione somatica nasce nel 1960 quando si capì di poter ottenere cellule nude (protoplasti) da
tessuti cellulari
Si scoprì che una cellula coperta solo da una membrana per andare incontro ad un processo di
divisione mitotica doveva ricostituire la parete cellulare rigida che gli consentirà poi di dividersi in
2, in 4 e così via fino a dare origine ad un nuovo individuo.
Quindi senza parete non poteva avvenire la divisione e quindi vennero elaborati dei protocolli per
la fusione di cellule prima della divisione cellulare, di tipo Fisico e Chimico
_Quello FISICO si può effettuare la fusione tramite l’utilizzo di un processo elettrico, attraverso un
meccanismo di Elettrofusione. Praticamente si utilizza uno strumento che si chiama
“elettroforatore” che determina delle piccole correnti alternate provocando polarizzazione e
formazione di catenelle, ponendo le nostre cellule una accanto all’altra e poi una corrente
continua ad alto voltaggio provoca pori nelle membrane e determina un collasso elettrico e
quindi le cellule vengono stimolate ad unirsi.
_Quello CHIMICO consiste nell’utilizzo di tutta una serie di sostanze sia chimiche, in particolare
del“Polietilene-Glicole” (PEG) e degli ioni Ca+ presenti nelle due membrane. Si creava un ponte tra
i gruppi carichi positivamente delle membrane e il PEG (carica negativa). Nel momento in cui il
PEG viene allontanato per lavaggio, la redistribuzione delle cariche elettriche superficiali delle
membrane determina la fusione dei protoplasti
TIPOLOGIE DI IBRIDI SOMATICI
Questi sono protoplasti, a sinistra sono
protoplasti di foglia, quelli a destra sono invece
protoplasti da callo quindi da cellule
indifferenziate che normalmente sono bianche.
Quindi a sinistra c’è la grande presenza di
cloroplasti che danno la colorazione verde, a
destra invece c’è la presenza di amido, sostanze
diverse, di amiloplasti e quindi mancanza di
colorazione.
Queste
invece, sono due immagini di protoplasti, in alto a sinistra, c’è
mezza cellula bianca e mezza cellula verde, questo è un
processo di fusione che sta avvenendo tra due protoplasti: uno
isolato da foglia ed uno isolato da callo. Mentre a destra, al
centro vi è un protoplasto già fuso in cui ci sono sia cloroplasti,
sia amiloplasti, per distinguerli da protoplasti da foglia e
protoplasti da callo.
TRASFORMAZIONE GENETICA
Esiste la possibilità di determinare delle modifiche al DNA, artificialmente, mettendo insieme
frammenti di DNA provenienti anche da organismi diversi.
Tutto ciò è possibile grazie agli enzimi Endonucleasi, Esonucleasi e Ligasi, enzimi di origine
batterica che tagliano molecole (ENZIMI DI RESTRIZIONE), anche circolari, di DNA a doppio
filamento e sono in grado di tagliare selettivamente molecole di DNA estraneo:
ESONUCLEASI: tagliano all’estremità del frammento eliminando i nucleotidi terminali
ENDONUCLEASI: tagliano punti interni della sequenza
LIGASI: Congiungono due molecole di DNA (formazione di legami fosfodiesterici - ligazione)
Si parla di Blunt ends o Sticky ends a seconda se queste rotture portino alla produzione di
frammenti con estremità piatte, oppure rompono queste sequenze determinando delle code
dette “appiccicose” (da qui il termine Sticky) perché sono asimmetriche.
IL PLASMIDE INGEGNERIZZATO
L’operazione di modifica del DNA con l’eliminazione di geni responsabili di malattie viene fatta
con Vettori Di Clonaggio tra i più importanti i PLASMIDI, molecole di DNA extracromosomico a
doppa catena che sono in grado di replicarsi e di cedere una parte del proprio DNA alla cellula
colpita.
I plasmidi si modificano in maniera diversa per effettuare la traspirazione genetica.
Il vettore usato è L’Agrobacterium Tumefaciens capace di trasferire i geni. Infatti nel plasmide vi è
una regione che può essere trasmessa, ossia il T-DNA, dna di trasferimento.
Esso è stato scoperto perché determinava delle masse tumorali, integrando il suo DNA all’interno
della cellula vegetale. L’agrobacterium cede il T-DNA contenuto nel plasmide.
Il T-DNA passa all’interno del DNA della cellula vegetale, pertanto il DNA della pianta inizia a far
produrre auxine e citochine responsabili del tumore. Tutto questo è quello che acade in natura.
È possibile modificare il plasmide del batterio trasferendo i geni utili anziche quelli dannosi
ingegnerizzando il DNA contenuto all’interno del batterio attraverso gli Enzimi Di Restrizione.
Si taglia quello che non è utile e tramite delle “ligasi”, quindi enzimi che cuciono, lo si sostituisce
con delle sequenze geniche di nostro interesse.
Si esegue quindi un’operazione di TRASFORMAZIONE GENETICA, ossia il trasferimento e
l’integrazione di geni alieni nel genoma di una pianta senza la mediazione del processo sessuale.
IL GENE ALIENO
__GENE: è una sequenza di DNA che codifica per un RNA messaggero e quindi poi trascrive una
proteina oppure, un gene è anche una sequenza che regola la trascrizione del gene, un gene può
essere anche una sequenza che inibisce la funzionalità di un gene.
__ALIENO: il gene può provenire da qualsiasi phylum
Come può essere un gene alieno?
_Un gene “nuovo”, isolato da altro organismo, che dia una nuova caratteristica alla pianta
_Un gene già presente nella pianta per potenziarne l’espressione
_Un gene “antisenso” che inattivi l’espressione di un gene complementare
_Un gene che codifichi per una proteina virale (cross-protection) determinando nella pianta una
sorta di immunizzazione e quindi, quando la pianta poi viene attaccata dal virus, il virus non è in
grado di replicarsi perché i siti sono già stati occupati dalla proteina virale
I POSSIBILI VANTAGGI
La trasformazione genetica permette di trasferire il solo carattere di interesse in tempi brevi
mentre nell’incrocio tradizionale può capitare che si devono effettuare vari reincroci.
TRASFORMAZIONE GENETICA MEDIATA
Sfruttando le capacità del batterio (naturale) di trasferire ed integrare un segmento particolare del
plasmide, il TDNA, si modifica sostituendo e codificando il
plasmide inserendo i geni di interesse piuttosto che i geni
che inducono malattia.
Perché si possa realizzare questo passaggio, è necessario che
il proprio plasmide abbia una serie di geni che siano
responsabili di virulenza, cioè che siano particolarmente
aggressivi per potere stabilire questo contatto con la cellula
vegetale e questo T-DNA oltre alle due sequenze
fiancheggiatrici che si chiamano “LEFT-BOARDER” e
“RIGHTBOARDER” (sono sequenze di 24 paia di basi che
vengono riconosciute dagli enzimi di restrizione e quindi
operano lì il taglio e cedono questa porzione di T-DNA), ci
sono anche altre sequenze geniche che codificano per OPINE, che sono degli amminoacidi che
servono al metabolismo del batterio e poi vediamo AUXINE e CITOCHININE che sono i geni
responsabili della formazione di quel tumore al colletto.
Se si vuole utilizzare questo plasmide per fare trasformazione genetica, si deve ripulire questo T-
DNA da questi geni che sono responsabili della malattia, ovvero quelli delle auxine e le citochinine,
ma si vuole eliminare anche le opine, perché il batterio non serve più, il batterio ha solo la
funzione di consegnare questo plasmide, ma poi si vuole che il batterio non sia più presente.
Quindi si opera questa ingegnerizzazione del plasmide, attraverso:
• L’eliminazione dei geni che determinano appunto la produzione di fitormoni e la malattia;
• Rimuovere i geni per la sintesi delle opine;
• Aggiungere in questo T-DNA dei geni che siano utili per selezionare la cellula trasformata sia in
termini di visualizzazione e quindi geni reporter, sia in termini di geni selezionabili.
COMPONENTI DEL T-DNA
_Il GENE
_Il PROMOTORE e TERMINATORE: servono a far funzionare il
proprio gene d’interesse
_GENE MARCATORE REPORTER: ci dice che sono cellule
trasformate
_GENE MARCATORE SELEZIONABILE: ci consente di far morire le cellule che non l’hanno integrato,
mentre ci consente di mantenere in vita le cellule che hanno il T-DNA quando crescono su un
substrato contenente antibiotico. Tra questi abbiamo la Kanamicina. Se le cellule sopravvivono
allora saranno transgeniche, se muoiono hanno integrato la resistenza. Il gene che codifica la
resistenza è la Neomicina Fosfotransferasi (npt2)
OGM
Organismi Geneticamente Modificati. Sono organismi il cui DNA è stato alterato in maniera che
non avviene in natura attraverso l’incrocio o con la ricombinazione naturale.
Simile alla transformazione genetica ma diversa per quanto riguarda la normalità in cui avverrebbe
è la Cisgenesi che in questo caso vengono prese solo specie sessualmente compatibili. Nel genome
editign si mima la mutazione naturale
TIPOLOGIA DI PIANTE TRANSGENICHE
Distinguiamo questo grande complesso delle piante transgeniche ottenute in 3 grandi gruppi:
_PIANTE TRASGENICHE DI 1° GENERAZIONE: Sono quelle costituite per prima e che avevano il
compito di aumentare la produttività; ridurre i costi di produzione e facilitare le pratiche
agricole
_PIANTE TRASGENICHE DI 2° GENERAZIONE: Queste invece sono quelle che avevano come
obiettivo il miglioramento della qualità dei prodotti
_PIANTE TRANSGENICHE 3° GENERAZIONE: si distinguono dalle precedenti generazioni perché
consistono nel modificare le singole basi senza rilasciare DNA alieno (Genome Editing) mentre la
Cisgenesi si distingue per il fatto che il tratto di DNA viene preso solo da un specie che è
sessualmente compatibile (e che potrebbe avvenire quindi in natura) e da non qualsiasi essere
vivente. Si consiste per ottenere nuovi prodotti dalle piante: vaccini delle piante, ormoni ed
enzimi umani dalle piante, bioplastiche o addirittura per usare per detossificare alcuni suoli
La trasformazione genetica prevede (così come il genome editing) due condizioni fondamentali:
_La possibilità di avere il sistema di rigenerazione in vitro efficiente perché tutto questo si svolge
a livello di cellula
_Avere dei geni utili, che sono frutto di anni di studio e analisi
I geni vengono utilizzati o per codificare per qualcosa o per bloccare l’attività di un altro gene,
inserendoli in Modalità Anti-Senso.
ANALISI MOLECOLARE
Si fanno delle analisi molecolari per essere sicuri di aver introdotto quel gene, per verificare se
quella gemma è transgenica e dunque applico una corsa in Elettroforesi con dei marcatori
molecolari e faccio una
amplificazione con dei primer
che si appaiano al gene chit42 e
al gene di resistenza
all’antibiotico.
Quindi se trovo nel DNA della
pianta di limone queste due
sequenze vuol dire che la pianta è
transgenica
In questi 3 cloni transgenici, ho
estratto il DNA e ho verificato la
presenza di npt2 (che deve
migrare a 804 paia di basi) e il
chit42 (che deve migrare a 862
paia di basi), li ritrovo solo nel campione 1 e 3. Il campione 2 non presenta l’inserimento del DNA
alieno
ANALISI IN VIVO
Per essere certi che abbiamo una pianta che
ha introdotto questo gene chit42, io ne devo
saggiare questo comportamento
Allora, si decide di fare su queste piante dei
saggi in vivo e quindi non a livello di callo,
ma sulle piante si vuole essere sicuri che
questo inserimento di DNA estraneo
determina una resistenza.
Allora si è cercato, di copiare e di mimare ciò
che avviene in natura con delle infezioni da
Botritis Cinerea responsabile della muffa grigia, che è stato inoculato in petali di limone.
I petali infettati nel fungo cadono sulle foglie e determinano una sintomatologia che si chiama
“macchie di acqua”. Sono macchie marroni. È il sintomo della muffa grigia su foglie di limone,
quando questo accade in natura.
Allora si è copiato, senza fare ferite, si fa quello che avviene in natura e vediamo se il nostro clone
transgenico e quindi il nostro limone che ha il CHIT42, risponde in maniera differente.
Quindi la botrite c’è sulla foglia ma non ha determinato malattia perché la pianta dotata di questa
chitinasi, ha bloccato lo sviluppo del fungo.
CISGENESI
È un metodo di trasformazione genetica perché usa gli stessi principi però, la differenza sta nel
fatto che il DNA che si introduce, è un DNA che proviene da una specie o varietà che è
sessualmente compatibile con quella che si sta modificando.
Cioè significa, che mentre nel transgenetico si trasferiscono geni da varietà e da specie e anche di
regni diversi, nel caso della cisgenesi invece si utilizza un gene che si prende da una specie che è
sessualmente compatibile, cioè significa che quell’incrocio in natura, si sarebbe potuto realizzare,
salvo poi, introdurre non solo questo carattere di interesse ma molti altri caratteri .
GENOME EDITING
È da considerare una mutazione 4.0 perché è una tecnica, che usando nucleasi ingegnerizzati e
quindi enzimi di restrizione opportunamente costruiti, consente di determinare delle mutazioni
in un sito specifico del DNA della nostra pianta, anche a livello di una singola base o
determinando una sostituzione di sequenze o una cancellazione o un inserimento.
Quindi consente di evitare, cancellare, riposizionare o inserire in uno specifico sito, sequenze
genomiche di specifico interesse.
Il genome editing, rispetto alla mutagenesi (che è causata da agenti chimici o fisici e che è casuale
in tutto il genoma) può essere considerata una MUTAGENESI BIOLOGICA (che non è casuale
perché va a determinare in un sito specifico la variabilità) che richiede tecnologie ausiliari come la
coltivazione in vitro.
ANALISI QTL
Quando studiamo il DNA dobbiamo effettuare uno studio dell’associazione tra genotipo e fenotipo
_Con il Genotipo noi dobbiamo analizzare la diversità genetica
_Con il Fenotipo noi dobbiamo analizzare la diversità fenotipica per caratteri di interesse
I due dati insieme verrano combinatati per fare quella che è un ANALISI QTL. Cio ci permetterà di:
-Identificare dei marcatori associati ad un carattere. In questo caso noi faremo una SELEZIONE ASSISTITA DA MARCATORI
-Identificare dei geni associati a dei caratteri. In questo caso noi fare una VALUTAZIONE FUNZIONALE DEI GENI
PCR
Partiamo dallo studio del genotipo. In questa immagine vediamo 5 fragole
che si distinguono per il colore. Possiamo vedere come in una data posizione
(linea orizzontale), detto LOCUS (posizione genetica) abbiamo due alleli
diversi (Noi abbiamo due basi diverse: base A = allele bianco; base G= allele
nero).
Noi riusciamo ad individuare questi alleli in determinati locus grazie alla
REAZIONE A CATENA DELLA POLIMERASI (PCR).
Essa consiste nel riprodurre in provetta cio che succede dentro la cellula normalmente, ossia la
replicazione di una porzione di dna. Per fare ciò si ricrea in provetta tutte le condizioni affinche
questo avvenga ossia:
-CAMPIONE DI DNA, che fungera da
stampo
-PRIMERS: sono delle sequenze
nucleotidiche di 5 paia di basi che
permettono di identificare l’inizio e la
fine della regione che si vuole
amplificare
-POLIMERASI: replica il DNA
-NUCLEOTIDI: sono i mattoni che
permettono di edificare nuove eliche
del DNA
-MINERALI ed altre sostanze
Tutto questo messo dentro uno
strumento che non fa altro che aumentare e abbassare la temperatura, infatti l’elica di DNA per
poter esser letta deve essere aperta e il meccanismo per fare ciò è aumentare la temperatura a
90°. L’energia (il calore) disgrega i legami idrogeno e la doppia elica si apre. Tuttavia bisogna
preservare anche la polimerasi ed è per questo che le polimerasi impiegate nel PCR sono del
batterio Thermophilus Aquaticus (TAQ)
-DENATURAZIONE DNA: separazione dei due filamenti del DNA con temperature maggiori di
90°C. e poi la temperatura si riabbassa
-ANNEALING (appaiamento): Per ciascuna catena si appaia una sequenza primer. La temperatura
si rialza a 72° e la DNA-polimerasi si attacca al primer che indica la direzione con cui costruire la
catena complementare (3’- 5’).
-ESTENSIONE: polimerizzazione del DNA. Infine, si avranno 2 filamenti completi uguali, e questo
sarà il primo ciclo.
Si verificano n-cicli per avere molte copie della stessa sequenza specifica di DNA e da una
moleca ne abbiamo miliardi.