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Hannah Arendt

Hannah Arendt è stata una filosofa,storica e scrittrice del 900 nata ad Hannover. Dal 1933 fu vittima di
persecuzioni a causa delle sue origini ebraiche ed è per questo motivo che abbandona la Germania ed emigra
negli Stati uniti dove diventa docente in una delle Università della costa Orientale degli Stati Uniti. Come
molti esuli sceglie, dopo il 1945, di non tornare a vivere in Germania(come Thomas Mann) e sceglie anche
di abbandonare la lingua tedesca. Inoltre nel 1937 il regime nazista le ritirò la cittadinanza e la Arendt rimase
apolide fino al 1951 anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense. (Negli Stati Uniti i profughi ebrei
venivano accolti ma a condizione che sottacciano la tragedia di cui sono portatori, perché l’ideologia del
mondo americano si basa sulla formula stereotipa “Don’t worry be happy”, idea che in fondo ciascuno è
arbitro del proprio destino e dunque deve condividere il sogno americano, cioè del successo.)

Ritorno in Germania:

Si tratta di un testo scritto subito dopo la fine della seconda guerra mondiale nel quale la Arendt riflette sulla
situazione presente allora in Germania. La Arendt apre questo saggio affermando che in meno di sei anni la
Germania,commettendo crimini che nessuno avrebbe ritenuto possibili, ha distrutto la struttura morale del
mondo occidentale.

Nella prima parte esprime le sue perplessità e timori per le condizioni dei milioni di profughi tedeschi
provenienti dai balcani e dall’est europa che,con la fine del conflitto,si sono riversati in Germania e in
Austria.Questa massa di profughi ha aggiunto all’immagine della distruzione postbellica tratti specificamente
moderni cioè la perdita della patria,dello sdradicamento sociale e della privazione dei diritti politici dei tanti
uomini dei territori orientali. In questo contesto, la realtà dei campi di concentramento e di un paese
completamente distrutto dal conflitto mondiale,ha reso più doloroso ma anche più duraturo il ricordo della
guerra e la paura che se ne possa scatenare un’altra. La vista di quelle città tedesche distrutte muovono un
ricordo per la guerra passata ma una paura per le guerre future, cioè una duplice inquadratura della guerra
mondiale simultaneamente all’inizio della guerra fredda.

Ciò che più colpisce però la Arendt è la reazione dei cittadini tedeschi di fronte ai tanti morti e alle rovine,
una reazione di rifuto ,che a detta sua, può essere ‘’un rifiuto non del tutto consapevole di cedere al dolore’’
oppure è ‘’ espressione di una vera e propria incapacità di sentire’’. Con il termine “incapacità di sentire”, la
Arendt non intende incapacità nel senso proprio del termine ma una sorta di ‘non volontà’ di confrontarsi
con l’evidente drammatica dei fatti. Ed è proprio questa la banalità del male cioè i tedeschi erano
umanamente incapaci di allargare lo sguardo oltre la miseria della loro individuale condizione. Hannah
Arendt osserva infatti come siano ancora tanti coloro che poco si interessano della distruzione che li
circonda,dei milioni di profughi e di portare lutto per i morti. Quest’apatia,questa mancanza di emozioni non
sono altro che sintomi di un radicato e ostinato rifiuto di fare i conti con ciò che è realmente accaduto.
Secondo la scrittrice,verificare questo atteggiamento è semplice,basta avviare una discussione con un tedesco
di qualsiasi classe sociale: nel momento in cui quest’ultimo si rende conto che sta parlando con un
ebreo,dopo un iniziale imbarazzo,non avrà mai il coraggio (o l’interesse) di chiedergli del suo destino o di
quello della sua famiglia,bensì si limiterà a parlare delle sofferenze dei tedeschi mettendole a confronto con
quelle degli altri. Questa reazione evasiva si nota anche alla vista delle città distrutte dai bombardamenti: per
il tedesco medio la devastazione non è da ricercare ‘’nelle azioni del regime nazista, ma negli eventi che
portarono alla cacciata di Adamo ed Eva nel paradiso’’.

I tedeschi hanno, secondo la Arendt, sviluppato una serie di stratagemmi ed espedienti per poter arginare la
tragica realtà del nazismo e dell’olocausto.(Shadenfreude). Si ancorano sostanzialmente all’idea che tutto ciò
sarebbe potuto accadere in un altro paese ed ad altri popoli. Quest’ultimo elemento serve ‘’come
tranquillizzante argomento per provare come tutti gli uomini sono in egual misura colpevoli’’.
La banalità del male

Nel 1961 Hannah Arendt come corrispondente del The New Yorker seguì a Gerusalemme il processo contro
uno dei principali esecutori della ‘soluzione finale’ ossia Adolf Eichmann. Successivamente decise di
pubblicare questo resoconto come libro nel 1963.

Un esperto di questioni ebraiche:

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