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La Nazione Plurale – V.

Guarrasi
Quando parliamo di nazione, ci riferiamo ad un costrutto culturale relativamente
recente, originatosi nel corso dell’Età moderna, e facente parte del patrimonio
culturale europeo. Com’è chiaro le nazioni non esistono come entità naturale. Il
concetto di nazione, dall’Europa si è andato spandendo progressivamente nel
mondo, fino ai giorni nostri. Oggi esiste infatti l’ONU, un’organizzazione
internazionale che si prefigge il compito di rappresentare tutte le nazioni del mondo.
In genere si tenderebbe a considerare la nazione in base alla sua cultura, alla sua
IDENTITA’. Eppure bisogna considerare che più dell’identità, conta la DIFFERENZA,
poiché una nazione non può essenzialmente esistere, se non ne esiste almeno
un’altra. Questo sistema di stati nazione tuttavia, presenta alcune anomalie che lo
contraddicono, ossia tutti quei territori, caratterizzati da una cultura propria, e da
un’identità propria, ma che non possono riconoscersi ad uno stato proprio, essendo
spezzettati tra altri stati già esistenti. Esempi possono essere i curdi, i palestinesi, in
parte gli Armeni, che possiedono uno stato proprio ma vedono larghe parti della
propria popolazione residenti nei territori degli stati vicini, in primo luogo
l’Azerbaijan. L’origine delle nazioni dunque parte da una prassi politica, la quale
però non nasce dal nulla, bensì da una narrazione. Il filosofo indiano Homi Bhabha
sostiene che il nesso stesso tra la nazione e la narrazione sia il fenomeno strutturale
costitutivo. Dunque la presenza di un popolo, in una dato territorio nazionale, non
costituisce di per sé l’origine (né la fine) di una narrazione nazionale. I popoli
rappresentano uno “spartiacque” tra un simbolo, di una presenza umana originaria
e di una rappresentazione fisica e materiale, di una differenziazione che rende già la
nazione qualcosa di “proprio” rispetto all’esterno o altro. La narrazione dunque si
sviluppa su una vera e propria frontiera, talvolta conflittuale tra due momenti
particolari, della genesi di un’identità culturale; Da una parte vi è il momento
pedagogico, ossia la generazione stessa di una narrazione, sotto-forma di un sistema
di valori, tradizioni e memorie, che stabiliscano il sé della cultura stessa. Dall’altra il
momento performativo, ossia una rappresentazione, interna alla cultura stessa,
dove si acquisiscono particolari caratteri rappresentativi di una stessa cultura, dando
luogo, eventualmente a conflitti e scissioni interne (un esempio potrebbero essere
quelle particolarità regionali che vedono spesso contrapposte le regioni meridionali
e settentrionali del Sud Italia).
L’Italia: Una e Molteplice
Nel momento in cui si è celebrato il 150° anno dell’Unità d’Italia, l’allora Presidente
Napolitano ha sottolineato quanto la tendenza a considerare la cultura italiana unica
e indivisibile e il riconoscimento delle autonomie locali siano impegni che non vanno
sentiti in contrapposizione, bensì in stretta associazione. Ed è proprio questo il fulcro
della narrazione nazionale italiana. Alla definizione di “una e indivisibile” va
accostata quella di “una e molteplice”. Ad oggi ci si chiede in che modo, il complesso
sistema di tradizioni locali, di tendenze a cercare culture alternative a quella
dominante, abbiano contribuito a mantenere dunque vivi tutti quei sistemi di
tradizioni, memorie ed usi, che riescono ancora a resistere, nonostante le immani
pressioni dei mass media e del consumismo.
Quadri naturali e Mosaici culturali
Nel 1997, il geografo Pasquale Coppola riprende una frase, che fu esposta da
Fernand Braudel, e prima ancora da Lucien Febvre. Entrambi i francesi sostenevano
che la loro Francia meritasse un testo storiografico dedicato. La frase era “La Francia
si chiama diversità”. Coppola avvertì che questo concetto, se poteva valere per la
ben più compatta cultura francese, a maggior ragione doveva valere per quella
italiana, che presenta molte differenziazioni interne. Non a caso, il primo capitolo
della “Geografia Politica delle Regioni italiane” si intitola, significativamente “L’Italia
si chiama Pluralità”. L’opera di Coppola, si pone in diretta e dichiarata continuità, sia
politica che ideale, con l’opera di un altro illustre geografo italiano, Lucio Gambi. A
quest’ultimo si deve l’affermazione secondo la quale la geografia politica del paese è
fortemente influenzata, dai “quadri ambientali che emergono dalla coesistenza, in
una medesima area, di fenomeni dovuti a elementi differenti, quali il clima, la
morfologia, la vegetazione e l’idrografia”. Dalle sue variegate caratteristiche
naturali, dunque, l’Italia trae tutto quel patrimonio culturale, con un’altrettanto
variegata diversità interna. La diversità è la matrice dunque. Il dialogo tra natura e
storia parte dunque dalla varietà di paesaggi naturali, sui quali poi si costruiscono
paesaggi artificiali, dei quali le case rurali e popolari rappresentano il maggiore
documento materiale del patrimonio storico e culturale. Non a caso, dal 1938 al 70,
l’intera comunità geografica italiana, fu unita nella stesura di un documento,
pubblicato da Giuseppe Barbieri e da Gambi stesso, intitolato “La Casa Rurale in
Italia”. L’opera definisce le articolazioni regionali del paesaggio italiano, attraverso i
differenti tipi di casa rurale. È un’opera etnografica che finisce per evolversi in una
valutazione economica ed infine ad un completo ordine storiografico. Ma è in tempi
recentissimi che il gruppo AGEI, coordinato da Giorgio Botta, che si è dedicata la
giusta attenzione al complesso mondo delle tradizioni italiane. Se è vero che in molti
avevano dato per “spacciate” le tradizioni popolari, contro lo strapotere dei mass
media e della società consumista occidentale, è pur vero che le tradizioni italiane
hanno dimostrato una grande resistenza, oltre che una grande capacità di esprimere
stili di vita e valori, non riducibili a semplici “mode”. Proprio nel 2011, anno del
centocinquantenario dell’Unità d’Italia, Giorgio Botta pubblica il testo “Tradurre la
Tradizione”, che si pone in continuità con altri due lavori precedenti. Nella
pubblicazione del 2011, Botta si chiede in che modo e dove la tradizione si inserisce,
nella costruzione della memoria e della narrazione nazionale; E si chiede anche in
che modo la tradizione interagisce con lo spazio geografico. Ovviamente, dobbiamo
tenere conto che l’analisi delle tradizioni ha dei rischi. Essa non può essere neutra, e
sarà inevitabilmente influenzata dalle intenzioni di chi “opera” sulla tradizione. Le
tradizioni italiane, ad esempio, nel corso del tempo sono state caricate da quei
valori simbolici, connessi alla narrazione nazionale, di cui parla Bhabha; Alla
dialettica tra classi egemoni e subalterne gramsciana e alla recente riscoperta dei
localismi e alla ripresa di forza di elementi secessionisti. Dunque l’atto di invenzione
della tradizione si trova a dover integrare progressivamente sempre nuovi significati
e intenzioni, a seconda di chi opera su di essa, e sulla complessa interazione che si
sviluppa tra chi agisce sulla tradizione e chi la assume come proprio tratto
identitario. Si può quindi dedurre che una delle colonne portanti della vitalità
tradizionale italiana, sia proprio l’intreccio tra le varie peculiarità del patrimonio
culturale stesso e le nuove intenzionalità di nuove soggettività storiche e sociali
emergenti.
L’Italia delle Cento Città
Questa frase di Carlo Cattaneo, importante filosofo e uomo politico risorgimentale, è
utile nell’evidenziare quanto il quadro delle differenziazioni culturali italiane, dovute
all’ambiente naturale vario, non sia sufficiente a descrivere la complessità della
cultura nostrana, senza citare l’apporto massiccio del contesto urbano. Le città
infatti hanno rappresentato una delle anime più vivide della cultura italiana, facendo
parte di un sistema, oltretutto, ben articolato sul territorio. Dal 1861 ad oggi, la
situazione urbana italiana ha vissuto una prima lunga fase, durata fino alla fine del
900, caratterizzata da un forte protagonismo urbano, dominato dalle metropoli
industriali settentrionali. Tuttavia, questi importanti centri erano, in un certo senso
isolati, ossia fornivano una sorta di piccoli mondi a se stanti, fortemente autonomi
dalle aree circostanti. Alla fine del 900 invece, inizia una nuova fase, la quale si sta
svolgendo ai giorni nostri, nella quale il protagonismo urbano ha ceduto il passo a
degli agglomerati urbani, con connessioni forti, tra i centri minori e le grandi città,
che agiscono da nodi di una rete urbana. Un fatto da denotare però è che più si
viaggia verso sud (e le isole) e più le maglie della rete tendono ad allargarsi e
frammentarsi, di contro ad una rete ben più fitta e sviluppata al nord. Chiara anche
qui, dunque, la molteplicità dei fenomeni che caratterizzano il paese. La varietà e
molteplicità del suo patrimonio architettonico rende dunque l’Italia una meta tra le
più ambite, dal turismo internazionale. Una ricchezza però, cui l’Italia ha mostrato
più che di frequente di non tenere adeguatamente. Nonostante l’attuazione di
diverse misure, volte a tutelare il patrimonio architettonico, urbano e ambientale
del paese, partendo dalla Legge Ponte ai Piani Regolatori Generali degli anni 60, fino
ad arrivare alla Dichiarazione di Amsterdam (considerava parte del patrimonio
architettonico non solo edifici isolati, e speciali nel loro valore, insieme con il loro
contesto, ma anche intere città e quartieri) ancora l’Italia è riuscita di rado a
conciliare il trattamento verso i centri storici, adeguato a dei beni collettivi, e la
tendenza inevitabile delle città stesse ad espandersi, sia in senso sociale che
territoriale. Altrettanto grave è il fatto che non si sia riusciti ancora ad adeguare i
centri storici alle nuove attività turistiche e commerciali, le quali inevitabilmente
finiscono per mutare la fisionomia cittadina. In ultimo, ma non per importanza, i
gravi disastri, come l’Aquila o le Cinque Terre, mostrano chiaramente l’inefficienza
delle amministrazioni locali e nazionale, nel gestire al meglio i territori, tenendoli al
sicuro da rischi e degrado ambientale.
Una, Due, Tre, Quattro Italie
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo urbanistico italiano è stato
fortemente caratterizzato da un’impronta marcatamente fordista e poi post-
fordista. La tendenza alla formazione di grandi agglomerati urbani, quale risultato
dell’economia basata su grandi centri industriali e mercati in espansione, ha ceduto
poi il posto alla diffusione urbana, sintomo di una nuova tendenza a creare aree
specializzate in determinati settori produttivi e sull’affermazione di distretti
industriali, formati prevalentemente da piccole e medie imprese. Lo studio della
progressiva differenziazione politica del paese, ha trovato un valido strumento nella
ricerca geografica che, dai primi degli anni Ottanta, sotto la coordinazione di
Giuseppe De Matteis, ha cominciato ad indagare sulle varie forme di innovazione e
valorizzazione economica del territorio. L’esperienza fordista in Italia ha provocato
la nascita di un’economia fortemente polarizzata, accentuando la differenza tra
Nord e Sud, non a caso il dominio del fordismo in Italia, fu il Triangolo Industriale,
nel nord Italia. Più tardi, la nuova ottica post-fordista ha portato l’Italia del Centro-
Nord-Est ad uno sviluppo industriale periferico, basato su distretti industriali. In
tutto ciò il Sud Italia è stato sottoposto ad uno sviluppo marginale, caratterizzato da
eccessiva frammentazione produttiva e insediativa, cui le politiche tanto nazionali,
quanto regionali, non si sono sforzate più di tanto a porre rimedio. L’intreccio tra il
policentrismo urbano e le differenziazioni economiche hanno dunque portato
all’affermazione di una “Quarta Italia” ossia quella produzione economica in mano
ad imprenditori e lavoratori stranieri, che oggi compongono il 10% dell’economia
italiana totale, la quale si sovrappone e intrecciandosi con tre precedenti,
potenziandole nei loro punti più dinamici. Ne è segno la trasformazione del triangolo
industriale settentrionale, con l’indebolimento del polo genovese e l’isolamento di
quello torinese. Al contrario, partendo da Milano verso est, si va a formare un nuovo
triangolo, che racchiude tutta l’area padana. Al centro sud invece vi è una
situazione, come già detto, più frammentaria, basata su molti centri, singoli o
agglomerati, metropolitani e costieri, cui si accostano varie aree fortemente
specializzate nella produzione agricola. Tali fenomeni di dispersione territoriale,
uniti al fenomeno dell’emigrazione ci pone dunque di fronte alla necessità di
analizzare a fondo l’interdipendenza tra dimensione politica ed economica, e come
queste agiscono nella moltiplicazione di differenze culturali e sociali sul territorio.
Tre Repubbliche
La transizione dal sistema fordista a quello post-fordista ha dunque portato alla
sequenza di quattro Italie, le quali si sono sovrapposte e intrecciate l’un l’altra. Ma
anche a livello politico, si può dire che l’Italia abbia vissuto tre momenti, tre
Repubbliche virtuali, ognuna caratterizzata da eventi e situazioni del tutto proprie, a
tal punto che il passaggio tra una e l’altra è stato segnato da un forte shock politico
e sociale. La Prima Repubblica è quella che nasce dalla costituente del 46 e che sarà
fin da allora influenzata dalle dinamiche politiche della guerra fredda. La Prima
Repubblica vedrà di fatto lo scontro bipolare tra un forte Partito Comunista
all’opposizione e, almeno nei primi anni una grande forza moderata di centro, ossia
la DC. Tuttavia, tale bipolarismo politico diverrà ben presto ciò che gli storici
definiscono un “bipolarismo imperfetto”. Di fatto, l’influenza politica della DC andrà
diminuendo progressivamente, a fronte di una lenta ma decisa scalata elettorale del
PCI. Onde evitare che i comunisti prendessero il potere, la DC tenderà sempre di più
al consociazionismo, ossia alle alleanze di governo con le più disparate forze minori,
virando dal centro-destra al centro-sinistra. Non mancheranno tuttavia tentativi di
inclusione delle opposizione, durante momenti di crisi particolarmente forti. Un
esempio può essere il tentativo di alleanza non ufficiale tra il PCI di Berlinguer e la
DC di Moro, nel contesto della lotta al terrorismo, tentativo che passerà alla storia
come “Compromesso Storico” e che si concluderà tragicamente, la morte di Moro.
La fine della Prima Repubblica lo si ha con uno shock a livello internazionale, ossia
con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, annunciazione della fine dell’esperienza
sovietica, nel 1991. La fine del Socialismo Reale, il crollo del bipolarismo mondiale e
l’apparente vittoria della narrazione capitalista e liberale, “la fine della storia”
secondo Francis Fukuyama. Il crollo delle ideologie ha portato ad una crisi
catastrofica della politica italiana, la quale ha finito per scindersi in due macro-
raggruppamenti, fatti di alleanze, tra forze di centro-destra, tendente verso il
presidenzialismo e il federalismo, e dunque alla destabilizzazione dell’ordinamento
costituzionale italiano, e un centro-sinistra, rivolto a ricercare una rinnovata
solidarietà nazionale, da esprimersi in un impianto europeista. La crisi ha inoltre
portato al degrado del linguaggio e delle prassi, trascinando le varie forze politiche
entro una spirale di spettacolarizzazione mediatica, spesso incentrata su questioni
che ben poco hanno a che fare con i problemi concreti della nazione, tantomeno con
gli interessi dei cittadini. Nonostante la contrapposizione manifesta, tra i due
schieramenti, che si colpivano a forza di trionfanti proclami elettorali, le politiche
della Seconda Repubblica, espresse dai due contendenti, sono state sostanzialmente
in continuità, le une con le altre, per quanto riguarda i più disparati problemi, dalla
politica monetaria marcatamente neo-liberista, al contrasto delle ondate migratorie,
le sostanziali incapacità di gestire le problematiche primarie della popolazione, in
particolare dei giovani in cerca di occupazione, e sull’endemica corruzione e
concussione della politica con i grossi poteri finanziari, nazionali e internazionali. Si
arriva così alla Terza Repubblica, la cui nascita è fissata al 2011, con l’azione di un
Governo Tecnico, sostenuto in maniera più o meno convinta dalla maggior parte
delle forze politiche, e il quale avrebbe dovuto ridare credibilità internazionale al
paese. È chiaro che la Terza Repubblica sarà un momento di estrema gravità e
importanza storica per l’Italia, in quanto essa si svilupperà a pieno nel contesto
politico ed economico della moneta unica e dovrà dimostrare di essere adeguata a
fronteggiare tutte le sfide che l’attuale, instabile panorama globale ed europeo ci
porranno davanti. Finora, la risposta dei governi della Terza Repubblica si è rivelata
progressivamente sempre più inadeguata. L’Europa stessa sembra incerta e
incapace di reagire, prossima a soccombere alla grande finanza internazionale, che
dal canto suo la colpisce con manovre sempre più destabilizzanti e invasive.
Chiaramente, all’attuale situazione politica, l’Italia non sembra minimamente in
grado di assumere una posizione più europeista, il che significa un contributo in
meno alla causa dell’Europa unita, senza la quale nessun singolo stato europeo
riuscirebbe a reggere da solo, alle attuali condizioni politico-economiche
internazionali.
Altre Diversità: Geografia di genere, movimento LGBQT e la Queer Italy
Abbiamo già delineato il quadro di Quattro Italie e di Tre Repubbliche. E adesso dei
nuovi punti di vista, finora raramente presi in considerazione dalla narrazione
nazionale quanto dalla visione geografica sono quei soggetti politici “dissidenti”, che
più di ogni altra riflessione fatta finora, rappresenta le tensioni interne all’attuale
narrazione nazionale e culturale italiana. Una è la grande manifestazione del 13
febbraio 2011, “Se non ora quando”, un grandissimo movimento femminile,
avvenuto in più città italiane, e dove è stato espressa con forza la generale
indignazione, nei confronti di un inveterato sistema di mortificazione e degradazione
del corpo della donna, ridotto ad una marchetta commerciale. Al contempo ha
contribuito a staccare le manifestazioni di genere dalla limitata e singola data dell’8
marzo. La seconda è il movimento LGBQT, il quale si è battuto per rivendicare una
maggiore consapevolezza e considerazione di tutto quel gruppo di persone che si
potrebbe definire la Queer Italy, ossia persone di diverso orientamento sessuale,
ancora diffusamente visto oggi, a livello sociale, come “poco normali”. Secondo
Marco Pustianaz, il fatto in sé di definirsi “Queer” contribuisce a creare una
differenza, una nuova interazione tra la società, in questo caso una specifica parte di
essa, e lo spazio pubblico. Ciò va ad arricchire il numero di tutte quelle
differenziazioni sociali e culturali, parte della narrazione nazionale. È pur tuttavia
chiaro che la difficoltà a riconoscere l’eteronormatività degli spazi non sia semplice,
ed è per questo che nasce la necessità di forme di trasgressione, quali sono ad
esempio i Pride. Inizialmente definiti Gay Pride, l’accezione venne rimossa in
seguito, per rendere queste manifestazioni più inclusive. Eventi come il Pride di
Palermo hanno rappresentato la capacità di attirare migliaia e migliaia di persone, a
prescindere dall’orientamento sessuale, e a riunirle proprio nella volontà di rompere
i vincoli della norma. Intento di tali manifestazioni è a questo punto l’obbiettivo di
portare tematiche come il corpo e le diverse visioni del mondo e della vita
all’interno del dibattito pubblico, ossia renderlo maggiormente alla portata di tutti.
DissemiNazione. L’Italia fuori dall’Italia
Se l’Italia è molteplice all’interno del suo territorio nazionale, lo è anche all’esterno.
Il quadro delle differenziazioni culturali si è infatti fortemente arricchito, dal secondo
dopoguerra in poi, per effetto delle emigrazioni e immigrazioni. Nei primi decenni di
esso infatti, sono stati tantissimi gli italiani ad emigrare per lavoro. Tuttavia non
furono emigrazioni permanenti, bensì temporanee, ragion per cui questi emigranti
mantennero comunque un forte legame con la terra natia. Al contempo,
specialmente negli ultimi due decenni, l’Italia è stata interessata da una forte
immigrazione interna. Tutte queste condizioni hanno portato allo svilupparsi di una
Nazione disseminata. Le migrazioni internazionali, di per sé, non possono limitarsi al
semplice movimento di esseri umani, ma ad una crescita costante di relazioni e
interazioni tra stati e culture. Una larga fetta di Italia dunque, si trova al di fuori dei
confini nazionali, e non manca di mostrare, in maniera più o meno estesa, il proprio
attaccamento alla nazione d’origine. Lo si può denotare dall’affluenza alle urne
elettorali, dei cittadini e aventi diritto al voto, residenti all’estero. Alle elezioni del
2008 ad esempio, le comunità italiane del Sud America sono state quelle
maggiormente coinvolte nella tornata elettorale di allora, con una partecipazione di
più del 50% degli aventi diritto.
L’Altrove tra noi
Alla voce Quarta Italia, abbiamo già chiarito come questo si componga di tutta
quella popolazione, straniera, di lavoratori e piccoli imprenditori. La loro presenza
ha rappresentato un elemento nuovo nella narrazione nazionale più recente, ed oggi
tocca un numero di circa 5 milioni di stranieri residenti, dei quali però una buona
parte, circa il 10%, non è ancora regolarmente registrata all’anagrafe. In ciò giocano
anche le oggettive difficoltà, poste dalle politiche più recenti, le quali si sono
dimostrate del tutto inadeguate a gestire i flussi migratori, ma che al contrario, in
nome della lotta alla clandestinità, hanno contribuito a rendere più difficili le
condizioni di vita dei migranti residenti o in attesa di entrare nel paese, e con esse le
tensioni sociali. Ad oggi, una domanda frequentissima è il se gli immigrati possono
ancora rappresentare un aiuto valido, in un paese dove l’economia recede e i posti
di lavoro scarseggiano. Diciamo che la popolazione immigrata è mediamente più
giovane di quella italiana, più lontana dal pensionamento, e che favorisce circa 7
miliardi di contributi previdenziali. È ampia anche la loro disponibilità ad inserirsi in
ogni settore lavorativo, oltre che a creare lavoro autonomamente. SI parla dunque
di un’ampia popolazione lavoratrice, la quale attende di essere riconosciuta in
quanto tale e che può rappresentare l’avvio di proficue relazioni internazionali per
l’Italia.
Profili Urbani Cosmopoliti
Come già detto, l’Italia è il paese delle Cento Città, ossia una rete, notevolmente
diffusa su scala nazionale di centri storici urbani. Correlando questa realtà dell’Italia,
insieme con la sua molteplicità, espressa nel concetto di “Quattro Italie”, è
innegabile come il processo di migrazione internazionale abbia aperto tutti questi
centri ad una nuova dimensione di interazioni, su scala nazionale quanto globale.
L’arrivo di nuove persone, di capitali, di idee, ha fatto sì che le città italiane vivessero
una vera e propria mutazione, non soltanto nell’ambito umano, ma anche nei propri
impianti urbanistici. Ovviamente non è solo lo spostamento di persone ad aver
provocato questo cambiamento, conta anche l’apporto tecnologico, ossia
l’evoluzione progressiva dei mezzi di trasporto e di comunicazione, i quali hanno così
attuato una forte compressione spazio temporale, permettendo così l’intensificarsi
di relazioni e interdipendenze globali. Questa mutazione dunque, per la sua forza,
mobilita ogni aspetto delle persone, quanto dei luoghi che esse abitano, è un
processo pervasivo e inarrestabile. Nulla rimane immutato. Per l’Italia in particolare,
questo processo è particolarmente importante, dato il suo forte pluralismo urbano.
È perciò possibile che in futuro si inizi a parlare di “Cento città cosmopolite”? È
anche possibile che l’attuale tossica narrazione e il rifiuto, che sembra pervadere
gran parte dell’Italia, nei confronti delle migrazioni, altro non sia che un’irrazionale
paura, nei confronti di un cambiamento? Cambiamento che, date le caratteristiche
dell’Italia, potrebbe rappresentare l’inizio di un’epoca d’oro per il paese? Di questa
questione se n’è occupata un’équipe di ricerca, guidata da Ola Soderstrom, il quale
ha preso a modello il caso di Palermo. Il capoluogo siciliano infatti ha vissuto un
periodo di rapido sviluppo, umano e urbano, subito dopo la stagione delle stragi,
culminata nel 1992. La mutazione ha aperto la città a flussi globali di persone, idee e
capitali, le quali hanno inevitabilmente modificato, a poco a poco, l’impianto e i
regimi urbani della città. L’approccio antropo-geografico ha permesso infatti di
evidenziare la spazialità dei flussi e delle pratiche culturali, tramite le
riconfigurazioni dell’ambiente urbano da essi generatisi. L’analisi di Soderstrom
mette inoltre in confronto le azioni governative di due amministrazioni cittadine, sia
pure di segno opposto, ma non a livello politico, bensì nel livello di flussi di persone,
oggetti e idee che sono riusciti ad intercettare. In questa maniera l’analisi ne esce
salva da eventuali narrazioni politiche, in quanto si pone in maniera neutra, ma al
tempo stesso permette a tutti, a prescindere dal segno politico, di denotare
l’innegabile mutamento del contesto urbano. Il caso di Palermo è stato poi rivisitato
e messo in confronto con altre realtà urbane, sia internazionale (contesti asiatici e
africani) che nazionale, quindi a confronto con altre città italiane. Le ricerche
condotte da Soderstrom, tramite sopralluoghi e pratiche di ascolto attivo, hanno
permesso di delineare uno spaccato della realtà urbana italiana, oltre che di sondare
il livello di coinvolgimento delle popolazioni e dei luoghi sotto indagine, in questo
processo di mutazione tanto nazionale quanto globale.
Conclusione.
In poche parole, la narrazione nazionale dell’Italia non può esimersi dal mettere in
correlazione stretta la sua unità nazionale e la sua molteplicità nazionale. Il paese
nel suo complesso, dalle persone, alle usanze ai luoghi stessi, vengono messi di
fronte ad un irreversibile cambiamento, che interessa l’intero pianeta. In Italia, le
classi sociali sulle quali si è basata la politica della Prima Repubblica ha ceduto il
passo ad un panorama e a dei soggetti politici sempre più differenziati e fluidi. Il
sistema democratico sancito dalla Costituzione, viene sempre più messo in
discussione da organismi terzi, non legati al sistema di rappresentanza e al consenso
popolare, ossia all’alta finanza, le autorità monetarie internazionali, le agenzie di
rating ecc… I luoghi stessi cessano di essere un referente spaziale obbligato della
prassi politica, assumendo una dimensione sempre più reticolare e cosmopolita,
trasformazione favorita dai sempre più intensi scambi di idee e informazioni tra
luogo e luogo e dal massiccio flusso di migranti internazionali. Si disegna quindi un
corso di eventi, votato ad un cosmopolitismo estremamente ampio, dal quale la
società attuale e il territorio nazionale verranno coinvolti a pieno.

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