Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Al giorno d’oggi esiste un’arte religiosa , ma certo non un’arte sacra. In effetti, fra queste due
nozioni c’è qualcosa di più che una semplice sfumatura: c’è una differenza radicale. La vera arte
sacra è di natura non sentimentale o psicologica, ma ontologica e cosmologica. Perciò questa arte
sacra non appare più, seguendo l’esempio dell’arte moderna, come il risultato dei sentimenti, delle
fantasie, fosse anche del "pensiero" dell’artista, ma piuttosto come la traduzione di una realtà che
oltrepassa largamente i limiti dell’individualità umana. E’ questa la peculiarità dell’arte sacra: essere
un’arte sopra-umana.
• E' la traduzione sul piano sensibile della Bellezza ideale: perché la Bellezza è una forma del
Divino, un attributo di Dio, "un riflesso della Beatitudine divina" (F. Schuon) e anche della
Verità divina, fondamento dell’Essere. Ecco perché, secondo la formula platonica, il Bello è
"lo splendore del Vero".
• E' il veicolo dello spirito divino; la forma artistica consente di assimilare direttamente le
verità trascendenti e sopra – razionali. Per misurare la vera portata dell’arte sacra è
necessario afferrarla nella sua causa prima, che è il Verbo creatore; giustamente, implicando
la creazione il dono della forma, si può dire che il Verbo è l’Artista supremo in quanto
principio formale dominante il caos in cui la "luce" rischiara le "tenebre". La perfezione del
Verbo, dice Dionigi l’Areopagita, è "forma informante tutto ciò che è informe"; ma poi
aggiunge : "nella misura in cui essa è principio formale, non è di meno informe in tutto ciò
che ha forma, poiché trascende ogni forma".
• Il suo fine è di rivelare l’immagine della Natura divina impressa al creato, ma nascosta in
lui, realizzando degli oggetti visibili impressa al creato, ma nascosta in lui, realizzando degli
oggetti visibili che siano simboli del Dio invisibile.
• E' quindi come un prolungamento dell’Incarnazione, della discesa del divino nel creato, e a
questo titolo si potrebbe estendere all’arte in generale la giustificazione delle icone data dal
secondo Concilio di Nicea: " Il Verbo indefinibile del Padre si è lui stesso definito
assumendo la carne […] Reintegrando l’immagine sporcata nella sua forma primitiva, Egli
l’ha penetrata di Bellezza divina. Confessando tutto ciò noi la riproduciamo in opere e in
atti".
• In un’arte così concepita, che ha un valore quasi "sacramentale", l’artista non può lasciarsi
guidare dalle sue proprie ispirazioni; il suo lavoro non consiste nell’esprimere la propria
personalità, ma nel cercare una forma perfetta rispondente a dei sacri prototipi d’ispirazione
celeste. Questo per dire che l’arte non è sacra per l’intenzione – soggettiva – dell’artista, ma
per il suo contenuto oggettivo.
Così l’estetica si ricollega gerarchicamente alla cosmologia e, attraverso di essa,
all’ontologia e alla metafisica. Tale ordine gerarchico determina il carattere essenziale
dell’arte sacra che è quello di essere simbolica, cioè di tradurre per mezzo di immagini
polivalenti la corrispondenza che collega i diversi ordini della realtà, di esprimere attraverso
il visibile l’invisibile e di condurvi l’uomo.
In questa prospettiva, una chiesa non è semplicemente un monumento, ma è un santuario, un
tempio. Il suo fine non è solo quello di "riunire dei fedeli", ma di creare per essi un ambiente
che permetta alla Grazia di manifestarsi meglio; e raggiunge lo scopo nella misura in cui
riesce a
Nel pensiero tradizionale la concezione del tempio non è lasciata all’ispirazione personale
dell’architetto, ma è data da Dio stesso. In altre parole il tempio terrestre è realizzato
conformemente ad un archetipo celeste comunicato agli uomini attraverso l’intermediazione di un
profeta, e questo è ciò che fonda la legittima tradizione architettonica.
Così, i differenti santuari dell’Antico Testamento sono stati edificati seguendo le indicazioni di Dio.
E’ detto, a proposito di Bezaleel e Ooliab, gli architetti designati per l’Arca dell’alleanza, che Dio
"li ha riempiti di sapienza, di intelligenza, di scienza per ogni sorta di opere, per inventare tutto
quello che si può fare" (Es 35,31-32). Tutto ciò che riguarda il tempio mosaico dà luogo a delle
dettagliate prescrizioni del Signore: "Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Essi
lo faranno conformemente a ciò che mostrerà, secondo il modello del tabernacolo, e secondo il
modello di tutti gli arredi…" (Es 25,8-9).
Il tempio cristiano segue, pur con le sue differenze, al tempio degli Ebrei ed è questo che la
tradizione afferma sin dalla più remota antichità. Un documento capitale a tal proposito è quello di
san Clemente di Roma che, occupandosi degli uffici divini, afferma: "Dio stesso ha indicato, in
virtù della Sua Suprema volontà, il luogo in cui questi uffici vanno celebrati e chi li deve celebrare"
(Ad Cor., 1,40).
Il tempio cristiano è il riflesso sulla terra di un archetipo celeste, la Gerusalemme dell’Apocalisse
che ci viene presentata da san Giovanni in maniera analoga a quella di Ezechiele. Come il profeta,
san Giovanni ci ha trasmesso i prototipi delle dimensioni calcolate da un angelo architetto grazie a
una canna d’oro (Ap 21).
E’ lei che è al centro della liturgia della Dedicazione, ed è da lei che il tempio trae tutto il suo
significato fondamentale. Ora, la Gerusalemme celeste sintetizza l’idea cristiana di "comunità degli
eletti" e di "corpo mistico" e l’idea ebraica del tempio quale dimora dell’Altissimo, e assicura la
continuità da un Testamento all’altro e da un tempio all’altro. Tale aspetto appare ancora più
nettamente con lo studio del simbolismo cosmologico di questa Gerusalemme celeste.
TEMPIO E COSMO
CAMPANE E CAMPANILI
Dopo aver studiato il significato del tempio nel suo insieme, converrà esaminare quello delle sue
parti, in quanto tutte, a diversi livelli, sono simboliche. Ci accontenteremo quindi di esaminare, fra
le più importanti, qualcuna delle parti del tempio, scegliendo quale principio di ricerca il più
semplice, che consisterà nel seguire il fedele durante il suo tragitto dal mondo profano alla dimora
di Dio. Una volta avvisato dalla voce familiare del campanile che lo chiama al culto divino, il fedele
incontra in successione la porta, l’acquasantiera dove si segna, la navata che lo dirige verso l’altare,
centro e fine di tutto l’edificio. Quest’ordine di scoperta sarà anche quello della nostra spiegazione.
Il campanile, che ha assunto nel corso dei tempi una grande importanza, non è un elemento
primitivo dell’architettura cristiana. Nelle più antiche chiese conosciute non si trova il campanile.
Negli autori medievali il simbolismo dei campanili si sviluppa secondo due direttrice. Talora,
riprendendo un tema antichissimo (dal Pastore d’Erma a Melitone), si vide nelle torri un’immagine
di Maria e della Chiesa, definite correntemente nella liturgia, prendendo in prestito le parole del
Cantico dei Cantici (4,4), la "Torre di Davide"; talaltra, ed è il caso più frequente, il simbolismo
"moralizzante" della campana determina quello del campanile: l’una e l’altro furono assimilati ai
predicatori e ai prelati che istruivano e ammonivano gli uomini.
Il tentativo più interessante, così ci sembra, per spiegare il significato del campanile è quello che lo
ricollega al simbolismo cosmico del tempio in generale.
ACQUASANTIERE E BATTISTERI
Non si entra in una chiesa come nella bottega di un commerciante. L’area che una chiesa delimita è
uno spazio sacro, e d’altro canto è questo il senso etimologico dei termini templum – in latino – e
temenos – in greco -, entrambi derivanti da una radice comune che significa "tagliare", "separare". Il
recinto del tempio delimita e separa nettamente dall’ambito profano, racchiudendo un ambiente
sacro riservato alla Divinità. Terribilis est locus iste… .Dall’atrio al santuario, il fedele percorre la
"via della salvezza" che la chiesa in qualche modo riproduce nella sua planimetria: il portale con il
nartece predispone alla transizione fra i due ambiti; la navata in cui riecheggia la Parola di Dio che
ci guida – "Io sono la via, la verità e la vita" – è anche il luogo dell’adorazione; infine, il santuario
– centrato sull’altare come peraltro tutti gli edifici -, il santuario insormontabile, nuovamente
separato dal cancello, è il luogo della Presenza Divina.
Prima di penetrare in questo mondo sacro del tempio, l’uomo deve subire una mondatura: il
battesimo, e in un certo qual modo, ogni volta che entra in chiesa, egli è invitato a riattualizzare
questa purificazione, purificandosi con l’acqua dell’acquasantiera.
Nelle vicinanze delle chiese antiche vi erano delle fontane destinate a questo uso, come quella che
san Paolino fece costruire a Tiro, quella della vecchia basilica del Vaticano, di Notre-Dame a Parigi
(in quest’ultimo caso le fontane, oggi scomparse, si trovavano sul sagrato
ARMONIE NUMERICHE
Cristo ha affermato molto chiaramente che il Suo Corpo è un tempio, o piuttosto il Tempio:
"Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora
i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in te giorni lo farai risorgere?".
Ma egli parlava del tempio del suo corpo" (Gv 2,19-21).
Questo versetto racchiude un insegnamento della più elevata importanza. Nell’uomo individuale il
corpo è l’abitacolo dell’anima; in Gesù, Uomo – Dio e Uomo universale, il Corpo è l’abitacolo
della Divinità: "E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9),
perché "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14), realizzando in tal modo
ciò di cui il tempio mosaico non era che una figura: l’inabitazione di Dio fra gli uomini ed anche
negli uomini.
Il tempio rappresenta per l’assemblea cristiana il Corpo di Cristo, ma giacchè anche l’assemblea è il
Corpo di Cristo, questa ne costituisce il tempio spirituale, il Corpo mistico di Cristo. Infine, anche
l’anima individuale è capace di diventare questo tempio. L’edificio sacro può dunque essere
considerato sotto un triplice punto di vista: in quanto Umanità di Cristo, in quanto Chiesa e in
quanto anima di ogni fedele, essendo questi tre punti di vista peraltro indissociabili, dato che gli
ultimi due non sono che conseguenze del primo.
• Guglielmo di Saint – Thierry ha sottolineato che un uomo con le gambe e le braccia distese
può iscriversi in un cerchio tracciato da un compasso il cui centro sia fissato sull’ombelico.
Questa figura si sovrappone al diagramma utilizzato nel rito di fondazione: la croce nel
cerchio; la croce costituita dall’uomo con le membra distese si sovrappone agli assi
cardinali. Una tradizione che risale ai primi tempi del cristianesimo ha messo in rapporto
questa figura con il nome generico dell’uomo: adam. In effetti, le quattro lettere della parola
Adam sono in greco le iniziali delle parole che designano i quattro punti cardinali: A=
Anatolè (oriente), D= Dysmè (occidente), A= Arctos (Settentrione), M= Mesembria
(meridione). E’ d’altro canto ugualmente curioso constatare che i due gruppi formati da
queste lettere nell’ordine in cui si presentano corrispondono esattamente alle linee rispettive
dei due assi: AD-AM: AD = Oriente – Occidente, AM = Settentrione – Mezzogiorno.
Peraltro, il valore numerico di queste lettere ci dà il totale di 46, che è precisamente il
numero degli anni impiegati per costruire il tempio.
LA CROCE
Il campanile, che ha assunto nel corso dei tempi una grande importanza, non è un elemento
primitivo dell’architettura cristiana. Nelle più antiche chiese conosciute non si trova il campanile.
Negli autori medievali il simbolismo dei campanili si sviluppa secondo due direttrice. Talora,
riprendendo un tema antichissimo (dal Pastore d’Erma a Melitone), si vide nelle torri un’immagine
di Maria e della Chiesa, definite correntemente nella liturgia,
prendendo in prestito le parole del Cantico dei Cantici (4,4), la
"Torre di Davide"; talaltra, ed è il caso più frequente, il
simbolismo "moralizzante" della campana determina quello del
campanile: l’una e l’altro furono assimilati ai predicatori e ai
prelati che istruivano e ammonivano gli uomini.
Il tentativo più interessante per spiegare il significato del
campanile è quello che lo ricollega al simbolismo cosmico del
tempio in generale. La forma del campanile ripete lo schema del
tempio stesso: una cupola che sormonta il cubo, laddove la
cupola assume la forma di una "piramide" a sei oppure otto
facce (una delle fasi del passaggio della sfera al cubo), pertanto
tutto ciò che è stato detto sul simbolismo del tempio vale
ugualmente per il campanile.
La torre in quanto tale ha un simbolismo speciale:ascensionale.
La torre, con la piramide e il pinnacolo che gli sta a strapiombo,
sale all’assalto del cielo ed è un’immagine della montagna, della
Montagna cosmica.
A partire dal X secolo si cominciò a posizionare frequentemente un gallo al disopra dei campanili.
Ad esempio, sotto il pontificato del papa Pasquale II (XI secolo) ve n’era uno sulla basilica del
Laterano. Si tratta certamente di un antichissimo simbolo cristiano ricollegato al rinnegamento di
san Pietro, ma anche ad un insieme simbolico che concorda perfettamente con il senso ed il ruolo
della torre e della campana. Il gallo, in effetti, è un animale solare. Esso ha occupato un posto di
rilievo nella religione mazdea in cui era consacrato allo stesso Ahura – Mazda, il dio della luce.
Adottato dai Pitagorici il suo culto si diffuse a Roma e in Grecia e in seguito si incorporò alla
tradizione cristiana: non si potrebbe altrimenti spiegare la sua fortuna nella letteratura dei primi
secoli e del Medio Evo, fortuna che non si giustificherebbe solamente con il testo del Vangelo. In
effetti, gli sviluppi ai quali questo tema ha dato luogo si sono avuti in due direzioni che erano già
state affrontate dagli stessi Padri. Secondo i Padri, il gallo aveva il ruolo di scuotere i pigri e
richiamare al culto mattutino, e anche di allontanare gli spiriti cattivi, poiché annuncia la luce del
sole che dissipa tutte le larve notturne:negotium perambulans in tenebris.
ACQUASANTIERE E BATTISTERI
L’area che una chiesa delimita è uno spazio sacro, a partire dal senso etimologico dei termini
templum – in latino – e temenos – in greco -, entrambi derivanti da una radice comune che significa
"tagliare", "separare". Il recinto del tempio delimita e separa nettamente dall’ambito profano,
racchiudendo un ambiente sacro riservato alla Divinità. Terribilis est locus iste… Dall’atrio al
santuario, il fedele percorre la "via della salvezza" che la chiesa in qualche modo riproduce nella
sua planimetria: il portale con il nartece predispone alla transizione fra i due ambiti; la navata in cui
riecheggia la Parola di Dio che ci guida – "Io sono la via, la verità e la vita" – è anche il luogo
dell’adorazione; infine, il santuario, centrato sull’altare, insormontabile, nuovamente separato dal
cancello, è il luogo della Presenza Divina.
Prima di penetrare in questo mondo sacro del tempio, l’uomo deve subire una mondatura mediante
il battesimo, e in un certo qual modo, ogni volta che entra in chiesa, egli è invitato a riattualizzare
questa purificazione, purificandosi con l’acqua dell’acquasantiera.
Nelle vicinanze delle chiese antiche vi erano delle fontane destinate a questo uso, come quella che
san Paolino fece costruire a Tiro, quella della vecchia basilica del Vaticano, di Notre-Dame a Parigi
(in quest’ultimo caso le fontane, oggi scomparse, si trovavano sul sagrato). Ovunque ci si lavavano
le mani e la faccia, come testimonia un’iscrizione greca sull’acquasantiera della chiesa abbaziale di
Saint-Mesmin – vicino a Orlèans – così concepita: "Lava qui i tuoi peccati e non solamente il tuo
volto". L’acquasantiera sostituì le fontane, di cui è un ricordo. Venne posta in un primo momento
all’esterno, davanti la porta; poi nell’atrio, e infine all’interno, vicino all’entrata.
L’acquasantiera e il battistero sono costituiti essenzialmente da una vasca d’acqua. Questa vasca è
rotonda oppure ovale, o ancora ottagonale. Infine, nel caso dell’acquasantiera, la vasca è
frequentemente rimpiazzata da una conchiglia.
Nel simbolismo tradizionale ogni vasca rituale rappresenta l’Oceano primordiale, le "acque" della
Genesi sulle quali lo Spirito di Dio planò per operare la creazione. Ed è in riferimento a queste
acque che il battistero o l’acquasantiera possiedono il potere di operare una rigenerazione, una
ricreazione.
Parlando delle grandi conchiglie con cui sono spesso realizzate le acquasantiere, non abbandoniamo
il simbolismo acquatico al quale è legata tutta l’idea di purificazione e di rinascita. La conchiglia è
un simbolo sacro universale, sia come utensile rituale che come motivo ornamentale. La conchiglia,
ancor più della vasca, richiama l’utero e soprattutto l’utero universale che è il contenitore delle
Acque originali e dei germi degli esseri. Essa evoca in maniera sorprendente questo abisso oscuro
dell’energia creatrice. Si spiega così come la conchiglia sia diventata l’emblema della seconda
nascita. La conchiglia è rimasta fino ai nostri giorni un simbolo battesimale vivo: l’utensile che
serve ad attingere l’acqua santa e a versarla sulla fronte del nuovo eletto è spesso costituito da una
conchiglia metallica. Come l’uovo, la conchiglia serve quale ornamento funebre e, come lui, essa
annuncia l’altra vita e la resurrezione. Tutto questo simbolismo spiega il suo impiego come
acquasantiera, alla quale la conchiglia conferisce un carattere spiccatamente battesimale.
LA PORTA
La sacralità del passaggio e della porta assume tutto il suo valore quando si tratta del tempio, ed
ecco perché all’entrata degli edifici sacri si piazzavano dei "guardiani della soglia", statue di arcieri,
draghi, leoni o sfingi, personaggi semi-divini oppure divini come il Giano dei Romani, il dio della
porta – janua – e del primo mese dell’anno, quello che "apre" l’anno: januorius. Questi guardiani
della soglia avevano per compito quello di ricordare, a chi si disponeva per entrare, il carattere
temibile del passo che stava per compiere nel transitare all’interno dell’ambito sacro. "Tu che entri,
guarda verso il cielo", dice un’iscrizione sulla porta d’ingresso della chiesa di Mozat.
Nel sacro recinto che separa il luogo santo dal mondo profano vi è questo vuoto, questa cesura, che
è davvero qualcosa di prodigioso: attraverso di esso si passa da un mondo all’altro.
Se da una parte il tempio è un’immagine del mondo, dall’altra esso può essere considerato come
una porta aperta sull’Aldilà, come ci ricordano le parole della Scrittura che vengono riprese dalla
santa liturgia: "Quanto terribile è questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta
del cielo" (Gen 28,17). Ora, è stato dimostrato che la porta è essa stessa un riassunto di tutto il
tempio. In effetti, essa si presenta come una nicchia a base rettangolare sormontata da un arco a
tutto sesto oppure spezzato, e cioè essa ripete molto semplicemente il coro della chiesa, il quale è
anch’esso una grande nicchia uscita dalla caverna sacra delle origini – a sua volta simbolo della
Caverna cosmica – di cui si trovano ancora oggi delle forme viventi nelle sacre nicchie dell’India o
nell’Islam (il mihrab delle moschee).
Ma è anche un simbolo mistico. Giacchè il tempio rappresenta il Corpo di Cristo, la porta, che ne è
il riassunto, deve anch’essa rappresentare Cristo. Egli stesso, d’altronde, lo ha detto in maniera
molto netta: "io sono la porta da cui entrano le pecore […] Io sono la porta: se uno entra
attraverso di me, sarà salvo" (Gv 10,7-9). La porta della chiesa diventa effettivamente questa porta
mistica e cristica attraverso il rito di consacrazione nel corso del quale il pontefice fa un’unzione
con il santo crisma su ciascuno degli stipiti, dicendo: "Che questa porta sia benedetta, consacrata.
[…] Che essa sia un’entrata di salvezza e di pace; che essa sia una porta di pace attraverso
l’intercessione di Colui che Si è chiamato "la Porta", Nostro Signore Gesù Cristo".
L’ALTARE E CRISTO
Quando, una volta oltrepassata la soglia, si penetra nelle cattedrali o anche nelle chiese più modeste
delle grandi epoche, si resta come affascinati e invasi da questa "sobria ebrezza" di cui ci parlano i
mistici cistercensi. I tempio agisce come un incantesimo, perché si sente pulsare in lui un’anima
armoniosa il cui ritmo, venendoci incontro, prolunga, oltrepassa e sublima il nostro proprio ritmo di
viventi e lo stesso ritmo del mondo ove si immerge. Questa "magia"
proviene dall’esistenze di un centro da cui si irradiano delle linee
che generano, seguendo la divina proporzione, delle forme, delle
superfici, dei volumi in espansione fino a un limite sapientemente
calcolato che li arresta, li riflette e li rimanda verso il punto da cui
sprigionano; e questa doppia corrente costituisce in qualche modo la
"respirazione" sottile di tale organismo di pietra che si dilata verso
l’esterno per riempire lo spazio e poi si raccoglie nella sua origine,
nel suo cuore, che è interiorità pura.
Questo centro da cui tutto si sprigiona e verso cui tutto converge è
l’Altare. L’Altare è l’oggetto più sacro del tempio, la ragione della
sua esistenza e la sua stessa essenza, perché in caso di necessità si
può celebrare la divina liturgia fuori dalla chiesa, ma è
assolutamente impossibile fare questo senza un altare di pietra.
Introibo ad altare Dei…, "Verrò all’altare di Dio": il versetto del
salmista che apre la messa ci pone, sin dall’inizio, della santa
funzione, di fronte a questo prestigioso oggetto del culto. L’altare è
la tavola, la pietra del sacrificio, quel sacrificio che costituisce – per
l’umanità caduta – il solo mezzo di prendere contatto con Dio.
L’altare è il luogo di questo contatto: attraverso l’altare Dio viene
verso di noi e noi andiamo a Lui. Esso è l’oggetto più santo del tempio, perché lo si riverisce, lo si
bacia e lo si incensa. E’ un centro di raggruppamento, il centro dell’assemblea cristiana; e a questo
raggruppamento esteriore corrisponde un raggruppamento interiore delle anime e dell’anima, il cui
strumento è il simbolo stesso della pietra, uno dei più profondi – come l’albero, l’acqua e il fuoco –
che raggiunge e tocca nell’uomo qualcosa di primordiale. I
gradini, che ancora una volta svolgono una funzione di regola per l’erezione di un altare, sono
anch’essi simbolici: ricordano che l’altare si erge sulla "Santa Montagna". Si tratta di un’immagine
del mondo e del paradiso e il suo significato si congiunge a quanto già sappiamo dell’altare e lo
rinforza.
In una maniera generale, è possibile dire che i ceri dell’altare si ricollegano al cero pasquale che
rappresenta la "colonna di fuoco" e il Cristo resuscitato, ma questo significato generale dei ceri in se
stessi si sdoppia con un significato particolare che risulta dal numero dei ceri utilizzati.
• Per celebrare la messa sono normalmente necessari sei ceri sull’altare, disposti ai lati della
Croce in due gruppi di tre. Ora, è quasi certo che questi sei ceri dovevano in verità essere
sette, perché è quanto meno sicuro che questi ceri ricordano il candelabro a sette braccia
degli Israeliti. E’ per tale motivo che un tempo, in molte chiese – come a Vienne, Lione,
Rouen -, si poteva notare una trave con sette ceri che attraversava tutta la larghezza del
santuario e che era espressamente destinata a rappresentare il candelabro ebraico. D’altra
parte, alla messa in presenza di un vescovo, si trovano sull’altare dei ceri, ma davanti al
candelabro centrale. Stabilito questo è dunque riportandosi al simbolismo del candelabro
israelita che si potrà tentare di definire quello dei nostri luminari.
La menorà del Tempio di Gerusalemme, posto a sinistra dell’altare degli incensi, era
costituita da un fusto centrale dritto e da sei bracci ricurvi, a semicerchi concentrici. Le sette
braccia comunicavano fra loro attraverso dei canali interni piani d’olio d’oliva consacrato
che alimentava le lampade. Come lo stesso Tempio e come l’Arca dell’Alleanza, la menorà
fu eseguita secondo un modello celeste visto da Mosè sulla montagna (Nm 8,4. le
indicazioni relative a questo oggetto di culto si trovano in Es 25,31-40;37,17-24 e Lv 24,1-
4;6,5-6).
Se la menorà è passata dal culto ebraico al culto cristiano, è perché essa appartiene anche al
Nuovo Testamento. In effetti, nell’Apocalisse Cristo appare attorniato da sette candelabri
d’oro (Ap 2,1) e questa apparizione assomiglia stranamente a quella ricevuta dal profeta
Zaccaria.