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Guido Caretti

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Parte 1

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CAPITOLO 1

Arrivai all’Hotel Da Luciano di Torre Pedrera di Rimini, verso le 8 del


mattino, dopo un paio d’ore di coda in autostrada; non avevo certo
scelto il momento migliore per partire, ma la decisione di
accompagnare mia mamma in vacanza era stata mia, comunque
ormai era fatta e dopo aver parcheggiato nel piccolo garage, ci
dirigemmo verso la reception, dove il padrone ci accolse
amichevolmente, dato che già da diversi anni frequentavamo il suo
albergo.
Posai le valige, mia madre, e mi avviai vero la spiaggia che, come il
solito era super affollata, nonostante il Ferragosto fosse già passato.
Il patto era che mia madre si faceva la sua vacanza tranquilla con le
amiche di sempre, mentre io che occupavo un’altra camera avrei fatto
la mia vacanza in solitario e lei era tranquilla che nonostante i suoi
problemi di salute, qualcuno era con lei per ogni evenienza.
Un anno particolare il 1982, inaspettatamente campioni del mondo,
io avevo perso il lavoro e non mi avevano chiamato per il corso
ufficiali, un anno davvero fantastico.
Non rinunciai al piacere della colazione, seduto comodamente nel
piccolo bar in riva al mare e inizia ad osservare tutto quanto mi
circondava. In effetti, sarà pur vero che gli anni passano, ma Rimini
rimane comunque la stessa. I bambini giocano con le biglie di plastica
e la pista di sabbia, i vitelloni in riva al mare si impegnano a fare
sfoggio del loro fisico, prendendosela con una povera palla da tennis,
la famiglia media italiana, con moglie in arrostimento e il marito con
il torcicollo nel tentativo di seguire tutti i fondoschiena che vede
(tanto poi l’annuncio della Capitaneria di porto gli comunicherà che
il figlio che doveva sorvegliare è stato trovato) e gli immancabili flirt
nazionali e non, che nascono e muoiono nell’ambito di una giornata,
oppure si trascinano fino all’ultimo giorno, strappando qualche
lacrima e la promessa di scriversi.

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Quando si torna sempre negli stessi posti e si ritrovano le stesse cose,
sembra che il tempo non sia mai passato; anche se pensieri come
questo vengono a gente più adulta di me, io in effetti mi sentivo
vecchio, vuoto, nonostante l’ambiente che mi circondava mi stesse
riportando un po’ di buonumore.
L’aria era abbastanza fresca, grazie al temporale della sera precedente
che aveva spazzato via giorni e giorni di afa soffocante.
Dopo aver terminato la colazione, presi a nolo un ombrellone in riva
al mare mi feci un sonnellino di paio d’ore, incurante del caos che mi
circondava. Al risveglio decisi per un bel tuffo in acqua e una
poderosa nuotata, tanto per scaricare i nervi, finché raggiunti gli
scogli, mi distesi iniziando a pensare ad Sigrid, la mia ragazza, anzi
ex-ragazza di Bolzano, che dopo una relazione triennale e con poche
lapidarie parole, aveva detto:
- Guido, mi dispiace ma è meglio che non ci vediamo più, voglio
essere di nuovo libera.
Dietro queste sue parole, ne ero sicuro, c’era ben altro che un
desiderio di libertà, ci vedevamo solo il fine settimana e non sempre.
Non avevo un lavoro fisso e dovevo fare ancora il servizio militare.
Tutte queste cose messe assieme, non davano decisamente al nostro
futuro, un aspetto invitante, per cui lei si era sicuramente stancata di
aspettare tempi migliori.
Avevo tentato di tornare assieme agli altri, di capire i motivi, ma mi
ero trovato davanti all’ostilità dei suoi genitori prima, e al suo
ostinato silenzio poi, per cui avevo definitivamente capito che lei non
mi amava più…Ma forse questo lo avevo capito da tempo, anche se
non avevo mai voluto rendermene conto.

A un tratto un allegro vociare mi distolse dai miei tristi pensieri, un


gruppo di ragazzi e ragazze stava dando allegramente la discesa agli
scogli, io li guardai con un po’ di nostalgia, perché una compagnia di
amici così, in questo momento, sarebbe stata il toccasana per tutti i
miei problemi, ma il mio carattere solitario e indipendente mi aveva

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fatto sempre evitare i gruppi numerosi. Avevo un paio di amici fidati,
ma in questo momento erano tutti impegnati negli studi universitari,
per cui non mi avevano potuto seguire.
Lo sguardo distratto si posò sul mio orologio il ché mi fece precipitare
giù dagli scogli per tentare di arrivare in tempo per il pranzo ……….
Chiaramente non ce la feci e quando entrai in sala da pranzo, erano
già tutti al loro posto.
Fortunatamente mi era stato riservato un tavolo in posizione
strategica, così appena seduto, cominciai una veloce indagine degli
altri clienti dell’hotel, ritrovando più o meno tutto il panorama che la
società può offrire, dai giovani fidanzatini, alla coppia di anziani,
dalla chiassosa e rumorosa famiglia, al gruppo di giovani alla loro
prima vacanza da soli. Tutto normale.
Dalla parte opposta della sala, notai una coppia di anziani signori che
conoscevo da diversi anni, in quanto frequentavano un altro albergo
dei medesimi proprietari Rivabella e che io trovavo simpaticissimi.
Con loro c’era anche la figlia, il cui nome mi sfuggiva, anche perché,
pur avendo trascorso almeno 3 o 4 vacanze in quel hotel, non,
avevamo mai avuto grossi rapporti in quanto lei era inserita in una
compagnia affiatata dalla quale mi ero sempre escluso.
Dopo pranzo me ne andai in giardino a fumare la mia immancabile
sigaretta e trascorsi pochi minuti, mi ritrovai davanti la ragazza di cui
parlavo prima che con uno smagliante sorriso mi disse:
Ciao, ti ricordi ancora di me?
Beh sì eri quella che ogni tanto mi invitava ad uscire assieme ai suoi
amici e.
- E tu dicevi sempre di no, chissà poi perché.
Sei sempre così orso? – mi chiese con un’espressione maliziosa.
- Forse sono peggiorato, specie ultimamente, scusa se te lo chiedo ma
come ti chiami chiesi io un po’ imbarazzato
- Monica, io invece mi ricordo del tuo nome -

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Mi rendevo conto che non stavo intrattenendo Monica nel migliore
dei modi, ma di fronte a questa biondina mi sentivo stranamente
timido. Comunque Monica non si perse d’animo di fronte al mio
atteggiamento un po’ scontroso e continuò a farmi delle domande su
quello che avevo fatto negli ultimi due anni, cioè da quando non ci
eravamo più visti. A poco a poco, abbandonai la mia ritrosia e mi
ritrovai a parlare con lei, come fosse una vecchia amica, finché i suoi
genitori non vennero a chiamarla per andare in spiaggia, e lei sempre
sorridente mi lasciò.
Durante il pomeriggio non andai a cercarla, ma rimasi seduto sulla
spiaggia a rimuginare su quello che il mio cervello stava combinando,
fino a qualche ora prima ogni mio pensiero era preso da Sigrid, ora
non vedevo il momento di poter rivedere Monica.
Ma sarò normale?
- Devo avere qualcosa che non funziona in questa mia testa - dissi ad
alta voce, mentre una signora anziana, passandomi accanto, mi
guardò preoccupata e si allontanò velocemente.
Dopo cena, fu naturale per me e Monica ritrovarci in giardino a
chiacchierare, e pian piano aprimmo l’un l’altro le nostre storie più
segrete; io senza problemi le parlai di Sigrid, poi a mia volta raccolsi
le sue confidenze sui suoi primi approcci amorosi, fino a quel
momento non molto felici. Mentre la nostra chiacchierata
proseguiva, io mi sentivo sempre più calmo e sereno.
Il mattino successivo, ero deciso più che mai a trascorrere tutta la
giornata con lei, purtroppo i suoi genitori avevano deciso di andare a
fare una gita a San Leo, per cui non feci nemmeno un tentativo nei
suoi confronti per farla rimanere a casa, mi sembrava di essere
tornato un timido ragazzino alle prime armi.
Ma cosa mi stava succedendo?

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CAPITOLO 2

I giorni passavano velocemente, ed io cominciai a, provare nei


confronti di Monica un sentimento che andava al di là della semplice
amicizia e ciò creava una grande confusione nel mio animo; come,
fino a pochi giorni prima impazzivo di dolore, pensando a Sigrid ed
ora avevo già dimenticato tutto? Ero arrabbiatissimo con me stesso a
causa della mia mia mancanza di coerenza. Non potevo accettare che
gli anni trascorsi con la mia "ex" non contassero più nulla o
addirittura avessi solo sprecato tempo con lei, perché a questo punto
era chiaro che io Sigrid avevo smesso di amarla da un pezzo.
A questo punto telefonai al mio amico Piero che pur oberato dagli
studi, si precipitò a Rimini per verificare cosa stava combinando quel
deficiente del suo amico.
- Come per settimane hai usato la mia spalla per piangere, ricordando
la tedesca, come la chiamava lui, ed ora mi vieni a dire che non l’hai
mai amata solo perché un paio di begli occhi verdi ti hanno stregato?
- Azzurri – puntualizzai io
- Ma va a cagher ….
Ok, ormai il tuo rapporto precedente è finito, ma mi sembra un po’
presto per istaurarne un altro e per volare sulle nuvolette. Di questa
Monica non sai nulla, nemmeno se ha il ragazzo o almeno una
simpatia …no no, tu devi avere qualcosa fuori registro - mi disse
molto duramente Piero.
Continuammo a parlare tutta la notte, del passato, del presente e del
futuro, su cosa avrei dovuto fare, come avrei dovuto agire:
- Tanto è inutile che ti dia dei consigli, perché alla fine tu farai di testa
tua.
Una cosa cerca di capire, che quando ti butti in una storia
sentimentale se hai fatto le cose in fretta non sarai solo tu a soffrire.
Fa in modo di non utilizzare Monica per dimenticare Sigrid, perché

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chiodo scaccia chiodo è un detto che non paga e procura solo altre
sofferenze. Prova a capire cosa frulla nel tuo cervello e che tipo è
questa romagnola e cerca di non coinvolgere altri nelle tue follie
estive.

Dopo di ciò salutammo e lui tornò a casa a preparare la sua tesi; era
inutile che lo facessi rimanere con, me tanto in fondo era solo un mio
problema al quale solo io potevo trovare una soluzione.
Diceva bene Piero, cercare di capire che tipo era Monica, ma non era
faci1e; lei sembrava gradire la mia presenza, anche se le occasioni per
rimanere soli non erano molte, infatti i molti bambini che
“infestavano” l’albergo ci avevano eletti loro tutori e non ci lasciavano
un momento soli.
Monica era una ragazza simpatica, cordiale, il suo sorriso e i suoi
occhi color del mare conquistavano tutti, però a volte proprio i suoi
occhi erano attraversati da fugaci ombre, quasi a nascondere un
tormento segreto ed inconfessabile. Era forse per questo che nei miei
confronti aveva un comportamento ambiguo: dapprima cercava la
mia compagnia, poi quando le accennavo alla possibilità di uscire
soli, specialmente di sera, lei trovava tutte le scuse per rimandare.
Una sera, dopo che durante tutto il giorno era infuriato un grosso
temporale, stufo dell’aria pesante che si era fatta al bar dell’albergo,
chiesi a Monica di uscire in giardino per approfittare del momento di
pausa che il maltempo ci aveva concesso.
Stranamente lei accettò e quando rabbrividendo dal freddo, la presi
tra le braccia, lei non fece alcuna rimostranza, anzi si abbandonò alla
mia forte presa come in cerca di protezione. Nessuno dei due parlava,
ma il momento era ugualmente magico. Quasi per incanto qualche
stella riuscì a fare capolino tra le nuvole segno che ormai il peggio era
passato, mentre all’orizzonte, dove mare e cielo si univano in un
minaccioso nero, ogni tanto, qualche luce spuntava tra i marosi,
sicuramente qualche grossa nave incurante del mare furioso, aveva
preso il largo.

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- Mi devi scusare Guido, se qualche volta non mi comporto nei tuoi
confronti, esattamente come dovrei o come tu ti aspetteresti, ma
appena mi lascio andare, vengo presa dalla paura, dalla diffidenza
verso tutto ciò che è maschile e perdo tutta la mia naturalezza. In
questo momento ho il terrore di stare qui tra le tue braccia, vorrei
fuggire lontano, anche se so che tu non mi faresti mai del male.
Non osai chiedere nulla, forse in questo momento si stava liberando
di un incubo del suo passato, per cui lasciai scegliere a lei i tempi
giusti per farlo, limitandomi a stringere ancora le mie braccia attorno
al suo corpo.
- Quando avevo 15 anni, proprio da queste parti, conobbi un ragazzo
di qualche anno più grande di me, e presi subito una cotta per lui.
Ancora una pausa di riflessione, che indicava tutto il dolore che
Monica stava ancora provando nel tentativo di far riaffiorare quei
ricordi lontani nel tempo, ma ben presenti nella sua mente, poi con
voce tremolante riprese.
- Ero molto impacciata, non sapevo cosa dire, cosa fare, perché era
la prima volta che provavo dei sentimenti così forti per un ragazzo e
credevo di essere ricambiata, perché lui era sempre così gentile con
me. Una delle ultime sere della nostra permanenza in riviera, lui mi
invitò sulla spiaggia ed io accettai ingenuamente. Seduti sul bordo di
una barca, cominciò a baciarmi, poi le sue mani andarono
dappertutto, io non ero ancora pronta per questo, così reagii
violentemente. Invece di scusarsi e tutto sarebbe finito lì, cercò di
fare all’amore con me con la forza, sbattendomi sulla sabbia. Io iniziai
a urlare così lui se ne andò, non senza avermi prima coperto di insulti.
Rimasi lì a piangere diverso tempo, poi riuscii a tornare verso l’hotel
e nessuno ha mai saputo nulla di questa storia, nemmeno mia madre,
che è la mia più grande confidente. Sono passati 5 anni ormai da
quella notte, ma tutte le volte che un ragazzo mi si avvicina più del
dovuto, oppure mi si presenta l’occasione di rimanere sola con lui,
ecco che riaffiorano le mie paure e attacchi di panico, reagisco nei
modi più strani come ormai sai bene. Da allora non ho mai più avuto
alcun ragazzo. Quando ne conosco uno, i primi approcci sono

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normali, ma quando mi invita fuori, comincio a pensare che potrebbe
succedere come l’altra volta e dico di no, così vengo subito scaricata.
- Hai capito adesso che razza di complicazione sono?
Risposi, nell’unico modo possibile in quel momento, accarezzandola
sulla guancia e in quel momento la sentii proprio irrigidirsi, come un
gatto pronto a balzare sulla preda.
- Ehi, stai calma ti ho solo accarezzato, non voglio andare più in là –
sentendo che stava nuovamente rilassandosi, cercai di entrare ancora
più in confidenza con lei.
- Perché mi hai raccontato tutto? Eppure mi conosci da poco tempo
Monica rimase un attimo pensierosa, poi staccatasi da me si diresse
verso una piccola altalena, che la grossa quercia del giardino aveva
risparmiato alla furia del temporale. Mi sedetti accanto a lei, senza
che io la forzassi, appoggiò la testa sulle mie ginocchia, poi dopo
qualche minuto riprese a parlarmi:
- Sono in effetti un paio danni ormai che non conosco ragazzi che
non fossero i miei compagni di scuola, e comunque grandi come te
non ne ho mai incontrati. Forse questo è stato un errore, tu sei
dolcissimo, buono con me, non hai mai avuto gesti di rabbia, quando
dopo averti invitato a prendere il gelato ti dicevo no a passare la
serata insieme in giro per Rimini. Sei l’unica persona di sesso
maschile che mi ha ispirato fiducia da non so quanti anni e mi è
venuto spontaneo raccontarti tutto e ti ringrazio per avermi ascoltato
con pazienza. Forse a te non interessavano nemmeno i miei discorsi,
però è stato gentile da parte tua rimanermi vicino e in silenzio.

Ormai perso nei suoi occhi che l’innaturale luce delle lampade
rendevano ancora più grandi e belli, tentai almeno parzialmente di
scoprire le mie carte, anche se mi sembrava strano che non avesse
capito il tipo di sentimenti che provavo per lei.
- A parte che tutto ciò che hai detto mi interessa, sarebbe ipocrita da
parte mia starti vicino ad ascoltare, pensando ad altro, poi il punto

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centrale è che mi interessi tu, come persona, come donna. Non voglio
correre, non voglio illudermi, però mi farebbe piacere continuare a
starti vicino anche dopo questa vacanza, visto dove abitiamo,
problemi non ce ne sono e ……

Le parole di Monica, smorzarono in bocca il resto del mio discorso,


infatti, con voce anche un po’ gelida mi chiese di rientrare perché il
freddo era troppo pungente.
Tutte le parole che volevo ancora dirle, tutti i sentimenti che volevo
ancora esprimerle, mi rimasero accavallati gli uni sugli altri, senza la
possibilità che uscissero poi per lungo tempo.

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CAPITOLO 3
Nei giorni immediatamente precedenti la partenza di Monica, non
ritornammo sull’argomento. Sia io che lei, ancora più delle altre volte
cercava di non rimanere mai sola con me, per cui cercai di non forzare
la mano; volevo lasciarle almeno una settimana per riflettere, poi
forse avrei cercato di chiarire le cose. Monica infatti partiva, il sabato
successivo sarebbe tornata per trascorrere quell’ultimo weekend
estivo, Inoltre Paola, una sua amica di Siena, aveva preventivato il suo
arrivo proprio per quel giorno. Il distacco dalla mia piccola
romagnola, come ormai la chiamavo tra me e me, non fu
particolarmente struggente proprio per questo, una settimana
sarebbe passata in fretta soprattutto in vacanza e questo tempo
avrebbe permesso ad entrambi di vedere più chiaramente dentro se
stessi.

Tra le tante persone conosciute all’albergo, avevo stretto


particolarmente amicizia con Allen, un ragazzo di Verona,
ossessionato dall’idea delle donne e dalla loro conquista. Anche lui,
come mi disse poi, si era accorto di quanto stava accadendo tra me e
Monica, per cui non mi aveva mai chiesto di accompagnarlo nelle sue
scorribande notturne. Appena lei partì, propose un programmino
serale che mi avrebbe fatto dimenticare qualsiasi donna dei miei
sogni.
Era un gran fanfarone, ma simpatico, con le donne non combinava
mai nulla, perché era troppo arruffone, impacciato, mentre a sentire
lui invece, era uno dei più grossi latin lover della riviera, così decisi di
assecondarlo, tanto sapevo che si sarebbe tornati a casa a bocca
asciutta, mentre nel caso avessimo conosciuto qualche ragazza, avrei
aggiunto alla mia collezione, una nuova amicizia e nulla più.
Il modo con cui Allen tentava gli approcci, era veramente buffo; alla
fine riuscivamo a farci mandare a quel paese pure dalle straniere in
cerca di avventure. Io non gli correggevo mai il tiro, proprio per
evitare di scuotere il benché minimo successo. Alla fine della serata,
anzi della nottata, perché erano ormai le 4 del mattino, rientrammo

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in albergo e Allen sconsolato si scusò con me per non aver mantenuto
la promessa di una serata tutto pepe.
- Non ti preoccupare, in effetti, non è che stasera mi andasse molto,
di fare altre conoscenze femminili, mi bastano e avanzano quelle fatte
nei giorni scorsi.
- Già – fece lui seriamente – sembra proprio che la biondina abbia
fatto un bel danno nel tuo cuore, e pensare che quando è arrivata ero
impegnato con un’olandesina piccantissima altrimenti ci avrei
pensato io a lei e tu non avresti avuto tutti questi problemi. Io lo
guardai, lui mi guardò e poi ci mettemmo a ridere, questa volta
l’aveva sparata davvero grossa!
Il resto della settimana fu abbastanza lungo da trascorrere, qualsiasi
cosa facessi. Fosse scrivere ai miei corrispondenti, fosse leggere,
nuotare, bighellonare, dopo poco tempo già mi annoiavo. Vacanza
ben strana questa! Ero passato dallo sconforto totale all’esaltazione,
per ripiombare poi nella noia e nell’attesa di cosa, poi non sapevo
neppure io!! La giornata comunque non era iniziata sotto i migliori
auspici, infatti dopo una notte agitata, mi ero svegliato a pezzi.
L’abbondante colazione e una lunga passeggiata in riva al mare con
una temperatura ancora accettabile, finirono poi per rimettermi in
sesto. Erano le 9 del mattino quando il mio amico Allen in uno dei
suoi soliti colpi di testa, aveva sfidato un gruppo di tedeschi ad una
partita di calcio, dietro le cabine e naturalmente riuscì a coinvolgere
anche me. Un’ora di calcio fu più che sufficiente per rendere il mio
ginocchio sinistro simile ad una grossa palla e soltanto un’opportuna
dose di giaccio, evitò fortunatamente guai più seri.
Mentre stavamo ancora sistemandoci le ferite, i bambini che erano
ancora in vacanza nell’albergo, mi informarono che Monica era
arrivata. L’incontro di calcio se da un lato mi aveva prodotto un sacco
di guai fisici, dall’altro aveva scaricato gran parte della tensione
accumulata nei giorni precedenti, per cui abbastanza sicuro di me,
andai in albergo a salutarla. Come prevedevo la sua amica Paola se
l’era accaparrata, ma dopo un anno che non si vedevano, era giusto
così. Quando Monica mi vide, si alzò di scatto dal divanetto, dove era

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seduta e mi corse incontro abbracciandomi e dandomi un bacio sulla
guancia. Non mi aspettavo un’accoglienza simile, ma la gioia che
provai, fu in parte spezzata, quando guardando dietro le spalle di
Monica, vidi l’espressione di fuoco con la quale ci guardava Paola;
quando era arrivata due giorni prima, avevamo fatto amicizia, anche
se superficialmente, forse avevo disatteso le sue aspettative, in
quanto non l’avevo mai invitata fuori, nonostante lei mi avesse fatto
chiaramente capire che era disponibile.
La felicita nel rivedere Monica, prese però il sopravvento e non pensai
più a quello sguardo assassino, ma avrei avuto a che pentirmene
molto tempo dopo. Durante tutto il giorno io e Monica non
riuscimmo mai a rimanere soli, in quanto Paola, incurante
dell’intimità che evidentemente ci legava, era sempre tra i piedi ed
ebbi l’impressione che anche Monica ne fosse seccata. Nel
pomeriggio inoltrato decidemmo di andare a fare il bagno tutti
insieme e con noi si aggregò Allen, che capita la situazione, tentò di
darmi una mano e perché no risolvere a suo favore la situazione.
Infatti dopo aver a lungo sguazzato ci issammo tutti sugli scogli ad
asciugarci e lui, sfruttando le lamentele di Paola circa il sole troppo
caldo, la invitò sotto l’ombrellone e così lei fu costretta ad andarsene.
Man mano che il tempo passava, la spiaggia si svuotava, il sole aveva
smesso di bruciare come un forno, il nostro angolo di scoglio con la
leggera brezza che accarezzava i nostri corpi, era diventato un luogo
di incanto. Non ricordo quanto rimanemmo in silenzio, ma era
troppo bello assaporare i rumori del mare, i suoi odori e non
volevamo rompere con le nostre parole quella magia. Fu Monica la
prima a cominciare il discorso chiedendomi cosa avevo fatto in
questa settimana:
- Una vita molto morigerata, ho letto un sacco di libri, ho scritto a
tutti i miei amici sparsi per il mondo e ho pensato – feci io senza
affrontare il suo sguardo di cui sentivo la presenza fisica su di me.
-- Mi sei mancato in questi giorni, anche perché sei l’unica persona
che dopo tanto tempo sia riuscita a farmi sfogare. Vorrei tanto

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rivederti anche dopo queste vacanze, ma poi penso che sia tutto
sbagliato, ho una gran confusione in testa, Guido -
-- Stammi a sentire, Monica, Bologna e Forlì sono vicinissime,
abbiamo il telefono e sappiamo scrivere entrambi perché decidere ora
e poi decidere cosa?
Lasciamo che le cose vadano come devono andare, teniamoci in
contatto e vediamo cosa ci riserva il destino – Monica, stringendomi
la mano, mi ringraziò per la mia sensibilità e portammo il discorso su
argomenti più leggeri e ameni. Sarebbe stato il futuro a decidere cosa
sarebbe stato di noi.
Il giorno successivo si svuotava praticamente tutto l’albergo, Monica
se ne era andata la sera prima, Allen partì invece il mattino presto, al
pomeriggio doveva presenziare alla prima uscita stagionale della sua
squadra di calcio, il Verona.
Io avevo deciso di partire dopo pranzo, per non rinunciare alle
lasagne di nonna Ines, la mamma del padrone dell’hotel che era una
cuoca sopraffina. Paola lasciò l’albergo verso metà mattina, salutando
tutti con grandi effusioni e con la promessa di tornare l’anno
successivo per una vacanza più lunga. Beh, non salutò proprio tutti,
a me non degno nemmeno di uno sguardo e quando mi passò
davanti, vidi solo il grande astio, anche se ancora capivo perché.
Nonna Ines, che mi conosceva fin da ragazzino, si avvicinò a me e mi
disse una frase molto sibillina. Stai attento quella è una ragazza molto
cattiva e vi farà soffrire – Immerso nei miei pensieri, faticai a
realizzare le parole della cuoca e quando mi voltai lei se ne era già
tornata nel suo regno. La raggiunsi ma non volle dirmi di più.

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CAPITOLO 4

Dopo qualche giorno trascorso a casa e passato in prevalenza a


riflettere, ormai non avevo più dubbi, ero irrimediabilmente
innamorato di Monica. Addirittura la seconda sera, preso da un colpo
di follia, ritornai a Rimini nello stesso albergo da cui ero appena
tornato, soltanto per tentare di riassaporare quelle sensazioni
splendide provate nei giorni precedenti. Tra l'altro, visto che arrivai
tardi (erano quasi le dieci di sera) scroccai una lauta cena con i
camerieri e con nonna Ines che mi guardava e sorrideva, avendo già
capito tutto.
Non era il solito flirt estivo, che nasce e matura tra sabbia, piadine e
discoteca e poi tra le stesse cose muore, ma un sentimento più serio,
che mi stava travolgendo i sensi senza che io fossi in grado di fare
nulla; purtroppo non avevo mai provato nella mia vita nulla di simile
e non fui mai in grado se non troppo tardi, di rendermi conto del
significato pieno di tale sentimento.
Tentennai per diversi giorni, prima di decidere cosa, fare, i consigli
dei miei anici Piero e Alberto, pur preziosi (e lo sapevo), non
sarebbero mai stati utili ad una persona che come me, voleva decidere
per forza da sola. L'unica cosa che ascoltai fu il modo con cui iniziare
a comunicare a Monica parte dei sentimenti che sentivo per lei. Io
volevo telefonarle, poi invece mi lasciai convincere che una bella
lettera ponderata sarebbe stata più efficace, ed in effetti questa fu una
bella idea.
Il tono che mantenni nella lettera fu molto amichevole, senza
scendere a basse sdolcinature, sicuramente controproducenti. Le
parlai di alcuni episodi che ci avevano coinvolto al mare, di come la
sua compagnia avesse cambiato una vacanza che si era prospettata
molto triste per me. Fui un po' subdolo, cercando di dire e non dire,
lasciando dappertutto appigli a cui lei, se voleva, poteva aggrapparsi.
Non era logico cosi di primo acchito aggredirla sentimentalmente,
vista anche la situazione psicologica in cui si trovava. Monica era una

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ragazza intelligente e avrebbe letto senz'altro tra le righe le cose che
avevo più o meno velatamente nascosto. .
Era questo un periodo dove io vivevo in perenne attesa di qualcosa:
prima aspettavo tutti i giorni una telefonata di Sigrid che mi
chiedesse di tornare insieme, poi aspettavo e mendicavo ogni attimo
per stare solo con Monica, ora poi aspettavo una sua lettera, forse non
stavo gestendo molto da protagonista la mia vita.
Visto e considerato che la chiamata per il militare si faceva attendere,
iniziai a dare una mano ad un amico di mio padre che aveva un
mobilificio, cosi dalla mattina alla sera, mi davo da fare montando
salotti, cucine, camere da letto e intascando un discreto gruzzolo che
mi permetteva almeno di sentirmi indipendente dal lato economico.
Tutte le sere assieme ai miei inseparabili amici si usciva come sempre,
visitando pub, o semplicemente trascorrendo gran parte della notte
casa di campagna di Alberto a scolare intere bottiglie di vino e a
parlare delle disavventure amorose dell'uno e dell'altro.
La tanto attesa lettera di Monica arrivò due settimane dopo e se io
avevo scritto una lettera politica, anche lei non fu da meno, facendo
il verso a tutti gli argomenti che avevo toccato io e con abilità ed
eleganza eluse tutti i sottintesi che avevo cercato di farle capire. Anzi
come disse Alberto, la lettera era velata di una certa strafottenza, che
non era propria della ragazza che avevo conosciuto ed imparato ad
amare proprio per la sua dolcezza.
Era evidente un certo imbarazzo da parte sua nel cercare di parare i
miei affondi. In una cosa fu mo1to chiara; per ora di vederci non se ne
parlava come invece io avevo sperato.
Infatti Monica scrisse senza mezzi termini che mi avrebbe avvertito
quando si sarebbe sentita pronta per vedermi, intanto potevamo
coltivare la nostra amicizia epistolare che a suo avviso avrebbe potuto
essere una grande amicizia. Eravamo tutti d'accordo che spingersi
oltre per il momento non era il caso.
- Se lei vuole solo scriverti per ora, accetta, lo so che è difficile, ma
non puoi fare altro, guarda che visto tutto quanto ha passato questo

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suo comportamento non è affatto strano, anzi a mio avviso è molto
positivo, in quanto se lei ha paura di vederti e vuole prendere tempo
questo è indice che per te prova qualcosa di più di una semplice
amicizia e ne ha paura. Dalle tempo Guido non fare di testa tua come
al solito e sono convinto che se sarai in grado di starle vicino senza
assillarla, tutto andrà a finire bene.
Le parole di Piero erano di una saggezza infinita, ma purtroppo io
non ero in grado di aspettare. Era troppo grande quello che sentivo
dentro il mio cuore e volevo gridarlo al mondo e soprattutto a lei, pur
sapendo che avremmo sofferto in due.
Impiegai una settimana a decidere, poi scrissi un'altra lettera, dove
mi dichiaravo apertamente, le chiedevo scusa per il mio
comportamento, ma concludevo la lettera:
- Non ce la faccio a tenermi tutto dentro - chiusi la lettera e via ad
imbucare, senza ripensamenti.
Qual era stata la molla che aveva scatenato in me questa tempesta di
sentimenti che mi aveva impedito di ragionare? Monica mi aveva
fatto una tenerezza infinita, proprio per il suo modo di fare, per la sua
fragilità, che a volte mascherava dietro una facciata di sfrontatezza
come aveva fatto nella lettera, ma che derivava soltanto dalla sua
situazione familiare e da quanto successole. Come molte ragazze, lei
era attaccata più al padre, che alla madre, quest'ultima però aveva un
carattere molto forte ed autoritario e teneva le redini della famiglia.
Così Monica aveva preso il carattere debole del padre, tendendo
sempre ad aggirare gli ostacoli piuttosto che affrontarli di petto.
Come avrebbe reagito davanti alla mia lettera cosi decisa? Nel
momento in cui mi feci questa domanda capii anche l'errore che
avevo fatto a scriverle quelle cose, ma ormai come disse Piero, dopo
avermi riempito di insolenze, la frittata era fatta.
La risposta di Monica arrivò abbastanza velocemente, quasi tremavo
quando l'aprii e le parole che vi erano scritte non fecero che
confermare quanto avevo supposto del suo carattere.

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In sintesi mi confessava di provare per me qualcosa di più di una
semplice simpatia, ma tra noi c'erano troppi ostacoli, la distanza, il
servizio militare che dovevo ancora assolvere, il lavoro sicuro che
nessuno dei due aveva e per queste ragioni non voleva affrontare
qualcosa di cui non vedeva il futuro e che avrebbe potuto portare
sofferenze ad entrambi.
Si sentiva orgogliosa di avere un amico come me, ma lasciava al
sottoscritto ogni decisione se continuare a scriverci o meno e se
avessi troncato tutto avrebbe capito.
Ma erano poi così insormontabili questi problemi?
La ferma militare durava un solo anno, 100 chilometri non erano
certo la fine del mondo e in quanto al lavoro, non credevo di avere
grossi problemi a trovarlo una volta tornato. Se ogni decisione era
lasciata a me, bene!
La settimana successiva sarei andato a Forlì a verificare quanto era
veramente orgogliosa della mia amicizia, decisione che ricevette il
plauso di tutti. Monica aveva detto di provare qualcosa per me, ed io
dovevo lottare per quello. Avrei dovuto lottare da solo per entrambi,
ma ero convinto di essere nel giusto.
Il servizio militare in effetti mi preoccupava un po', perché pur
avendo fatto domanda per accedere al corso ufficiali, nessuno al
distretto sembrava sapere niente della mia domanda e questo era un
guaio, perché in breve tempo avrei potuto finire in qualunque parte
d'Italia anche lontanissima, senza aver grandi possibilità di tornare a
casa per molto tempo. Sapevo che il corso della durata di 5 mesi si
teneva a Roma e da lì non avrei rivisto Bologna per parecchio, ma poi
la destinazione sarebbe stata in un raggio non molto ampio, inoltre
con più libertà economica (avendo uno stipendio) e di movimento
avrei potuto stare accanto a Monica più frequentemente.
Purtroppo la data prevista per il corso e cioè il 12 ottobre trascorse e
passò senza che fossi chiamato. La mia raccomandazione doveva
essere di quelle sicure, bel risultato!

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Al distretto mi dissero che a questo punto fino alla primavera non se
ne sarebbe parlato di partire, per cui cercai di organizzare nel
migliore modo possibile l'autunno e l'inverno. Il lavoro al mobilificio
non mi mancava, con Monica il rapporto epistolare proseguiva nel
migliore dei modi e mi stavo preparando ad incontrarla. Non ero
subito andato a casa sua come pensato in un primo tempo, avevo
voluto rassicurarla prima sulle mie reali intenzioni, ma ormai alla fine
di ottobre giudicai i tempi maturi per un incontro.

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CAPITOLO 5

Avevo trascorso tutto il lunedì mattina trasportando su e giù per il


settimo piano di un vecchio palazzo di Bologna i componenti, di una
cucina lussuosissima, per conto di una giovane coppia che si doveva
sposare di lì a poco. I due giovani dopo averci osservato trasportare
pezzi pesantissimi per tutte quelle dannate scale, non trovò niente di
meglio da fare che concedersi effusioni l'un l’altro noncuranti della
nostra presenza. La cosa mi dava abbastanza fastidio, più che per una
questione di pudore, per una sorta d'invidia che provavo alla vista
della loro felicità.
Arrivai a casa verso mezzogiorno, stanco per la fatica, ma anche
notevolmente irritato. Lo squillo del telefono arrivò proprio nel bel
mezzo del pranzo e di malavoglia mi alzai a rispondere.
- Buongiorno, qui è il distretto militare, per un disguido dei nostri
uffici, non le è stata inviata la lettera di chiamata alle armi per il 109°
corso Allievi Ufficiali, per cui lei domani entro le ore 16 dovrebbe
presentarsi al Centro Trasmissioni della Cecchignola a Roma - mi
disse una voce femminile molto impersonale.
- Ma il corso è iniziato da quasi due settimane! - balbettai io.
- Non si preoccupi, riuscirà a recuperare, ah non, dimentichi di venire
qui domattina a ritirare la lettera di ammissione e i tagliandi
ferroviari. In quelle poche ore da civile che mi rimanevano, non ebbi
tempo di pensare molto, troppo preso com'ero dai preparativi, con
mia madre allucinata che si aggirava per la casa nel tentativo di cucire
segni di riconoscimento su tutti gli indumenti che portavo con me.
Avvertii poco meno 10% di tutte le persone che conoscevo e che avrei
voluto salutare, anche perché persi la maggior parte del tempo a
riavermi da stati comatosi.
Beh, quello che volevo l'avevo ottenuto, la raccomandazione seppur
in ritardo aveva funzionato, in modo talmente perfetto da farmi
saltare le prime 2 settimane di corso, solitamente durissime. L'unica

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cosa che mi dispiaceva era non aver potuto andare da Monica e
pensavo che ormai non l'avrei fatto per un bel pezzo; forse era il
destino che a modo suo cercava di sistemare le cose e soprattutto la
mia irruenza.
L'impatto con la vita militare, almeno con quel tipo di vita militare,
fu una delle cose più tragiche che pensavo potessero capitarmi. A
distanza di anni ripensando a quei momenti, mi viene da sorridere,
perché se il trattamento riservatoci era molto duro, il tutto era
candito da un pizzico di goliardia, che però al momento mi sfuggiva.
Nessuno di noi veniva sottoposto a torture, ma tutto il disagio
derivava maggiormente dal distacco dagli affetti familiari, dalla
disciplina, (cosa misteriosa ai più, me compreso) e dall'incertezza del
futuro in quanto si sapeva che alla fine non tutti sarebbero stati
promossi ufficiali e gli scartati sarebbero diventati militari di leva.
Nonostante l'arrivo ritardato, (ma come scopersi non fui l'unico), non
ebbi soverchie difficoltà ad inserirmi sia per il mio carattere bonario
che per l'aiuto dei compagni di camerata con i quali ben presto
formammo un blocco unico, confidandoci anche i più piccoli segreti,
soprattutto di carattere sentimentale.
Era questo un modo come un altro per liberarci un poco delle
tensioni della giornata appena trascorsa, dove tra esercitazioni
militari, lezioni in aula, esami, arrivammo alla sera a pezzi.
Una notte si discuteva dei problemi di Pasquale che gelosissimo della
fidanzata lasciata in Puglia, trascorreva notti insonni, cercando di
immaginare dove lei potesse essere in quel momento, salvo poi
correre dietro a tutti gli esseri di sesso femminile, appena era in libera
uscita. Un'altra sera si parlava di me e Monica e tutti davano i loro
consigli su come dovevo comportarmi.
Nelle sere in cui nessuno di noi era punito, e gli esami ci lasciavano
un poco di respiro, ci precipitavamo in centro a Roma, per respirare
una boccata di aria, più che pulita, libera.

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Ma procediamo con ordine: durante i primi tre o quattro giorni, non
riuscii a pensare ad altro che non fosse come entrare nel meccanismo
militare, per cui dimenticai tutto, genitori, amici e.... Monica.
Lentamente assorbii lo shock provocato da quel cambiamento
repentino di vita nel modo più semplice, cioè cercando di
confondermi, non farmi notare in modo da non dare ai superiori il
motivo di prendersela con me. La loro severità era più una facciata
che reale, anche se qualcuno pensava fosse puro sadismo. La nostra
situazione comunque, non era semplice, in quanto al mattino
dovevamo sobbarcarci ogni sorta di esercizio fisico, dal percorso di
guerra, ai tiri, all'atletica, mentre nel pomeriggio eravamo occupati in
noiosissime lezioni in aula su diritto militare, strategia, e materie
tecniche visto che eravamo trasmettitori.
Alla sera se non capitava tra capo e collo una punizione, si usciva in
giro per Roma, per poi recuperare le ore perse durante la notte, dove
in branda studiavamo alla luce di una torcia elettrica, infatti ogni 4 o
5 giorni eravamo sottoposti ad un esame scritto e guai a prendere
un'insufficienza. A parte rimanere consegnati per una settimana,
c'era sempre lo spettro di essere buttati fuori.
Come detto in poco tempo mi ripresi e iniziai a telefonare ai miei
genitori per tranquillizzarli, e a scrivere un po' a tutti. Con Monica
fui leggermente più tragico del dovuto, dicendole inoltre che contavo
molto sulla sua amicizia per superare tutte le difficoltà a cui eravamo
sottoposti.
Travolto dall’esuberanza del mio amico-camerata Pasquale, qualche
serata mi lasciai coinvolgere assieme a lui nella caccia alle belle
donne, tanto come diceva sempre non bisognava confondere il sesso
con, l'amore. Chiaramente a due militari con tutte le ristrettezze in
cui vivevano non poteva certo andare bene, specie in una città come
Roma che di militari ne aveva anche troppi.
Le materie di studio non erano proprio il mio interesse maggiore, ma
studiavo ugualmente con impegno perché, volevo raggiungere quel
grado di ufficiale che per me avrebbe rappresentato un obiettivo
importante, un qualcosa che avevo cominciato e finito, senza come

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al solito iniziare mille cose per poi stancarmi a causa del mio carattere
volubile. Poi avrei dimostrato a Monica quanto ero bravo e maturo.
L'impegno negli studi in effetti mi servì non poco per superare
positivamente tutti gli esami e per pareggiare le difficoltà che avevo
nelle esercitazioni fisiche. Le lettere di Monica arrivavano con
cadenza settimanale e per me erano un aiuto non indifferente anzi,
come le scrivevo, l'unica ragione che mi permettesse di continuare.
Verso la metà di dicembre dopo due mesi di permanenza a Roma
senza mai essere tornato a casa, la lettera che Monica mi scrisse
riaccese in me la speranza di riuscire a conquistarla infatti mi scriveva
che la mia presenza nella sua vita era sempre più importante e
attendeva le mie lettere con ansia, inoltre voleva vedermi al più
presto per trascorrere una giornata con un amico veramente sincero
quale io ero. Queste parole mi fecero assumere l'aria del trionfatore,
ma invece di ascoltare le parole di Fabio un altro mio commilitone,
feci di testa mia come al solito.
In sostanza secondo lui diceva che era possibile che Monica stesse
pian piano innamorandosi di me, però io che ero più adulto e
teoricamente più maturo, dovevo anche pensare al significato di
quanto stava accadendo. Dividere la propria vita, con una donna,
significa assumersi degli impegni seri, visto che una persona ti dona
tutta se stessa e altrettanto si fa con lei.
Erano problemi, gli dicevo io che avrei affrontato al momento
opportuno, e Fabio guardandomi dubbioso, scuoteva la testa alla mia
testardaggine. Probabilmente pensava a tutto ciò che la vita gli aveva
riservato e sapeva che programmare prima le cose era molto meglio,
e visto come mi comportavo in giro con Pasquale, non ero per nulla
maturo e prima o poi se l’avessi avuto avrei rotto pure il giocattolo
Monica.
- E’ vero che tu e Pasquale fate sempre figuracce, anche perché tu non
t'impegni, ma se una sera vi va bene? Voglio vedere allora il tuo
grande amore per Monica o se darai retta ad un’altra parte anatomica
che non sia il cuore.

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-Le parole di Fabio mi facevano riflettere per non più di due minuti,
poi pensavo che mi comportavo cosi solo perché ero sotto pressione
da troppo tempo e poi in definitiva, mica ero fidanzato con Monica
per ora.

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CAPITOLO 6

- Allora Monica, vuoi venire a tavola, si può sapere cosa stai facendo
in giardino con questo freddo? Fece la mamma
- Uffa, arrivo, stavo solo aspettando il postino, sembra che oggi si sia
dimenticato di noi - rispose Monica con voce apprensiva mentre con
lentezza entrava in casa.
Un po' triste sedette a tavola, mentre il padre sogghignando le suggerì
di alzare il piatto, sotto il quale c'era la lettera tanto attesa di Guido.
- Ma come fai ad averla tu papà?
- Semplice, il postino l'ho visto un'ora fa prima di rientrare dal lavoro,
casi mi sono fatto consegnare la posta.
La velocità con cui mangiò Monica fu supersonica ed in pochi minuti,
presa la lettera si rifugiò in camera sua, seguita dallo sguardo un po'
preoccupato e un po' divertito dei genitori.
Guido era il simpaticone di sempre e lei si divertiva a leggere le sue
lettere, ma ormai non bastava più quel rapporto epistolare voleva
vederlo e verificare se il cuore avrebbe palpitato ancora come ogni
volta che riceveva una lettera.
Quel ragazzo dagli occhi a volte tristi, un po' orso, ma che se preso
nel modo giusto era di una simpatia estrema, si era lentamente
scavato una galleria fino al centro del suo cuore. Certo che già
durante la vacanza a Rimini lei si era sempre sentita attratta da lui,
ma la paura degli uomini e delle sofferenze sentimentali le aveva fatto
tenere un comportamento assurdo ed ora era pentita di non avergli
detto subito di sì. Nei momenti di maggior euforia pensava che forse
tutto questo sarebbe stato una prova della saldezza del loro amore.
La lettera, lunghissima, come al solito, raccontava tutta la precedente
settimana passata in caserma tra esami e duro addestramento, ma il
modo in cui Guido raccontava le cose, riusciva a divertirla
profondamente e apprezzava in lui quel suo modo di prendersi in giro

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e di ironizzare su tutto quanto gli capitava, anzi in una certa misura
invidiava questo suo modo di essere. Guido sembrava essere un
ragazzo molto più maturo della sua età e anche questo le piaceva di
lui.
Purtroppo ancora non sapeva cosa sarebbe successo per il Natale e il
Capodanno, per cui lei doveva ancora attendere e sperare di poterlo
rivedere al più presto. Fuori aveva ripreso a nevicare, dopo la pausa
avuta durante il mattino, così altra neve si aggiungeva a quella già
caduta durante la notte e nei giorni scorsi. A Monica piaceva la neve,
ma le piaceva soprattutto sciare, anche se per quest'anno non aveva
ancora trascorso la tradizionale settimana bianca. Avrebbe atteso di
sapere quando Guido sarebbe venuto a trovarla.
In quel momento il telefono squillò, distogliendola dai suoi pensieri
che ormai, come le accadeva da giorni, erano rivolti in una sola
direzione; la voce della mamma che la chiamava riuscì a svegliarla
completamente. Al telefono era la sua inseparabile amica Katia che le
ricordava la festa che quella sera si teneva in casa del loro amico
comune amico Cristiano.
- Oddio Katia, me ne ero completamente dimenticata – si scusò
Monica.
La voce secca dell’amica la fece alterare un po’:
- Da quando quel bolognese ti è entrato nel cervello, sei
completamente svampita. Dai che stasera ci saranno un sacco di
ragazzi fantastici tutti per noi e mi sa che qualcuno verrà proprio per
incontrarti –
- Stammi a sentire Katia - Disse risentita Monica - Io e te siamo
amiche da un sacco di tempo e ci confidiamo tutto però se tu non sei
in grado di approvare la mia scelta sentimentale io non posso farci
niente, Guido mi piace e forse ne sono innamorata, per cui che stasera
qualcuno possa venire alla festa per me, mi lascia completamente
indifferente, anzi se è vero mi imbarazzerà molto fargli capire che
poteva starsene anche a casa -

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Katia anche se in tono non molto convincente si scusò per quanto
aveva detto e dopo averle promesso di passare a prenderla verso le 9
di sera, riagganciò.
Monica era furiosa, non capiva tutto questo astio verso Guido solo
perché era di Bologna, anche i suoi genitori, che lo conoscevano bene,
approvavano tale scelta, per cui non si sarebbe mai aspettata che le
difficoltà sorgessero con i suoi migliori amici. Se un giorno si fosse
trovata a scegliere tra Guido e la sua compagnia, non avrebbe avuto
dubbi, l'amore è ben più importante. Poi cos'era questa storia di
qualcuno venuto alla festa per incontrarla? Sicuramente c'era la mano
di Katia o di Lorenza, sua sorella, che cercavano di distoglierla da
quella che come chiamavano loro era un'insana passione. Presa carta
e penna e iniziò a scrivere a Guido, una lettera-fiume, in cui
raccontava della festa e di come si sarebbe vestita, dilungandosi sui
particolari del vestito di velluto e lamé nero che aveva deciso di
indossare e che era decisamente provocante - Chissà se si ingelosisce?
- pensò tra sé e sé Monica.
Katia assieme a Lorenza passarono a prenderla con la solita
puntualità, arrivando infatti verso le 21,30, e adducendo come scusa
la neve e la difficoltà a camminare; per fortuna abitavano a ottocento
metri da lì! Le due sorelle erano molto carine, ma Monica a parte la
bellezza, aveva un'eleganza imbattibile, che non risiedeva tanto nel
vestito, quanto nel modo di indossarlo.
In una ventina di minuti, uscirono da Forlì, raggiungendo ben presto
il casolare di campagna che alcuni amici comuni avevano affittato per
un anno intero proprio per organizzare feste e libagioni a non finire.
Il casolare era organizzato in modo pressoché perfetto, con un ampio
salone con musica da discoteca e diversi tavoli addossati alle parete
colmi di panini, dolci e bevande, mentre la gente si scatenava
ballando; altre camere più lontane erano organizzate in piccole sale
musica con reggae, rock e afro.
Al loro arrivo le tre ragazze, tutte piuttosto appariscenti, destarono
l'interesse generale, soprattutto del popolo maschile. Monica
conosceva un sacco di persone e ci volle circa mezz'ora per salutarle

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tutte. Ad un certo punto un bel ragazzo moro, alto e fisicamente ben
dotato, sicuramente uno sportivo, si abbracciò Katia, che subito fece
le presentazioni:
- Questo è Francesco un mio vecchio amico, e questa è Monica, mia
sorella la conosci già, beh ragazzi divertitevi, e con velocità le due
sorelle si dileguarono.
Monica sapeva di non comportarsi molto bene con Francesco,
rispondendo in modo svogliato alle sue domande, senza poi mostrare
interesse per quanto le raccontava, però visto che l’incontro era
evidentemente combinato, non voleva prestarsi al gioco e poi
Francesco che pure era carino non le interessava.
- Allora cosa ne pensi Monica se per questo sabato facciamo una
capatina al mare; andiamo a mangiare pesce in un ristorante sulla
spiaggia, poi all'Embassy a fare 4 salti?
- lo sguardo speranzoso di Francesco la irritava notevolmente, per cui
decise di tagliare subito corto e di mettere in chiaro le cose.
- Ascolta Francesco, non vorrei sembrarti scortese, ma sono già
impegnata con un altro ragazzo e anche se adesso siamo lontani
quando lui tornerà a casa dal servizio militare, probabilmente ci
metteremo assieme, per cui con me stai solo perdendo tempo.
L'espressione di Monica non lasciava scampo, e Francesco dopo un
po' si sganciò da lei facendole tirare un sospiro di sollievo.
Al ritorno dalla festa avrebbe cercato di spiegare alle sue due amiche,
che se volevano continuare a conservare la sua amicizia dovevano
lasciarla vivere come voleva e come ormai aveva deciso.

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CAPITOLO 7

Alcuni di noi avevano già avuto la possibilità di ottenere una licenza


durante questi 2 mesi, così io, che Bologna l'avevo vista solo in
cartolina, riuscii a scegliere il periodo delle feste di fine anno che
preferivo passare a casa. Come sempre scelsi il Natale, non mi era mai
interessato il Capodanno, e questa mia decisione fece felice Pasquale
che voleva a tutti costi partecipare al veglione organizzato nella sua
città insieme alla sua adorata Stefania.
Quando glielo dissi, quasi mi baciava e volle assolutamente pagarmi
una pizza la sera prima della mia partenza. A quella cena, a cui
parteciparono anche altri compagni di camerata ci divertimmo come
matti, bevendo anche più del lecito, ma per fortuna di noi si
prospettava finalmente la prima licenza dopo tanto tempo e gli altri
dovevano attendere ancora una settimana.
Il treno che mi portava a Bologna, sembrava una lumaca, non vedevo
l’ora di arrivare e respirare finalmente l’aria di casa. Se Dio volle, verso
le dieci di sera arrivai e ad attendermi c’era mio padre con l’auto che
mi riportò a casa. Dopo più di due mesi riassaporai la gioia della
cucina di mia madre che aveva preparato un sacco di cose, e
nonostante l’ora tarda, mangiai da scoppiare, poi me ne andai a letto,
perché lo stress dovuto all’attesa di partire e il viaggio mi avevano
distrutto.
L’indomani mattina, una bella domenica di sole, anche se fredda, me
ne andai in giro a salutare un po’ tutti, poi con i miei amici organizzai
subito la giornata, che trascorsi al campo sportivo a vedere la partita
di calcio della mia squadra, poi in, birreria dove per ore raccontai
tutte le peripezie a cui ero stato sottoposto in quei mesi. Piero e
Alberto si divertirono un sacco a sentirmi raccontare tutti gli
aneddoti della vita militare, ma come dissi loro, avrebbero riso di
meno quando sarebbe toccato il loro turno, anche se per ora con la
scusa degli studi l'avevano scampata. Inevitabi1mente il discorso
cadde su Monica e loro mi chiesero se c'erano stati degli sviluppi. Non
potevo dire molto, solo che l'atteggiamento di Monica negli ultimi

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tempi era cambiato, il suo interesse per me era in aumento, come la
quantità di lettere che lui scriveva,
- Ma non pensi che sarebbe il caso di andare a trovarla a casa, visto
che ha detto di volerti vedere?
Le parole di Piero mi fecero riflettere un attimo, poi risposi che era
ancora troppo presto per vederci e volevo lasciarle un po' di tempo in
più. Inoltre nei prossimi due giorni che mi rimanevano, avevo troppe
cose da fare. Loro si guardarono un po' dubbiosi, ma non dissero una
parola e questo gliel'ho sempre rinfacciato. Avrei avuto bisogno in
quel frangente di una bella scossa, per farmi capire cosa era
veramente importante, ma come dissero in seguito, avevano pensato
che se con la mia tattica avevo ottenuto casi tanto, forse ero io dalla
parte della ragione.
Trascorsi infatti il Natale in parte assieme a loro, in parte a casa
attorniato da un sacco di parenti, cosa importante visto che mi
foraggiarono di una discreta quantità di denaro e di regali.
Il giorno di Santo Stefano io e Piero andammo a Imola a trovare
alcune nostre vecchie amiche e ci fermammo a casa loro a mangiare.
Giovanna e Sonia erano delle compagne di università di Piero che
avevo conosciuto anch'io, tempo prima, mentre assistevo ad un
esame del mio amico, e da quel momento si era stabilita tra noi una
complice amicizia, fatta da cenette in ogni dove, gite al mare e
diciamo di un'amicizia molto aperta. Non c'era mai stato infatti da
parte di nessuno il tentativo di dare una definizione più precisa al
rapporto che si era instaurato all'interno delle due coppie. Quella sera
dopo una passeggiata nel centro di Imola, città tra l'altro stupenda,
ritornammo a casa Infreddoliti come pochi e Piero assieme a Sonia
sparirono in breve tempo in una delle due camere della loro casa,
mentre io e Giovanna iniziammo a parlare, io di come mi stava
andando a Roma e lei del prolungarsi degli studi, visto che l'esame di
diritto romano era la quarta volta che andava male. Ben presto però
esaurimmo tutti gli argomenti e ci trovammo uno nelle braccia
dell’altra senza rendercene conto…. No, perché mentire, io sapevo
benissimo cosa stavo facendo, il pensiero di fare all’amore con lei mi

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aveva preso già dal pomeriggio. Il pensiero di Monica non mi sfiorò
minimante, infatti, come diceva Pasquale, perché confondere il sesso
con l’amore?
Di quella notte ricordo un particolare, lo sguardo di Piero, che
incrociai alcune ore dopo, quando lui entrato nel salotto ci vide
abbracciati e nudi, con uno sguardo di disapprovazione e con una
punta di disgusto.
Al ritorno, verso mattina, nessuno dei due parlò, io mi vergognavo
del mio comportamento, ma quello che più avrebbe dovuto farmi
pensare, è che il senso di disagio lo provavo nei confronti di Piero e
non di Monica.
Passai la mattinata a letto poi nel primo pomeriggio, presi
mestamente il treno del ritorno. Durante il viaggio pensai molto, a
ciò che era successo e mi sentivo a disagio per quello che avevo fatto.
Lo sguardo di Piero era stato eloquente, tanta che non ebbi nemmeno
il coraggio di salutarlo prima della partenza. Per giorni e giorni gli
avevo riempito la testa delle mie lamentele su Monica e ora alla prima
occasione gli dimostravo tutta la mia immaturità, proprio a lui che
aveva sempre osteggiata questi comportamenti. D'accordo che io e
lei eravamo liberi, ma se era vero che il mio cuore era incatenato al
suo, allora perché la prima occasione che avevo di far vedere quanto
l'amavo l'aveva persa e persa male?
Non mi sfiorò nemmeno il pensiero che io non fossi poi così
innamorato di Monica, ma diedi la colpa solamente alla stress
militare.
Il giorno successivo, durante la pausa per il pranzo riuscii ad arrivare
ad un telefono libero e chiamai Piero in un puerile tentativo di
giustificarmi, tentativo che con una persona che mi conosceva come
lui falli miseramente e le sue parole furono dure nei miei confronti,
pregandomi di pensare bene a ciò che stavo facendo prima di far
soffrire una persona che non aveva certo bisogna di altri problemi.
L'appello rimase chiaramente inascoltato, tanto che dopo tanto
tempo telefonai la sera stessa a Monica.

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Lei rimase molto male nel sentire che io era stato a casa per Natale e
non avevo nemmeno pensato di andare a trovarla o perlomeno di
telefonarle per gli auguri. Io mi scusai con lei, adducendo banali
motivi, assicurandola che lei era sempre nei miei pensieri.
La telefonata si incanalò ben presto in uno strano binario, in cui c'era
amicizia e qualcosa di più, con molto imbarazzo da entrambe le parti
per le cose che uno avrebbe voluto dire, ma aspettava che fosse l'altro
a cominciare, Il feeling tra noi c'era, io dimenticai presto quanto
successo a Natale, archiviandolo sotto la voce "errore di gioventù" e
poteva anche esserla, ma bisognava esserne convinti ed io non lo ero.
Io e Monica ci telefonavamo sempre più spesso, e sempre di più lei
mi diceva di sentire molto la mia mancanza e il bisogno di vedermi,
ma io le concessi questa possibilità solo in aprile quando, finito il
corso, ebbi una licenza-premio di 10 giorni. Da gennaio a marzo
tornai a casa altre tre volte, per brevi periodi nel senso che arrivavo
al sabato mattino e ripartivo la domenica nel primo pomeriggio;
sarebbe stato un grosso sacrificio andare a Forlì per vederla, come
facevo a rinunciare a tutte le cose che mi era sempre piaciuto fare?
Come andare al palazzo dello sport al sabato sera, dove alcune mie
amiche giocavano a basket, nella squadra del paese e poi trascorrere
insieme tutta la notte in giro per i vari locali, oppure vedere gli amici
il pomeriggio successivo!
Il corso ufficiali intanto procedeva, tra alti e bassi, con i soliti patemi
ogni volta che c'era un esame e i sospiri di sollievo quando la
sufficienza, anche risicata, era conquistata. Con i miei compagni di
camerata avevo stretto un rapporto ottimo e tutte le sere, quando era
possibile andavamo alla ricerca di qualche ristorante dai prezzi
accessibili e trascorrevamo le poche ore concesse dalla libera uscita,
chiacchierando come vecchi amici, facendo ben presto cadere fra di
noi qualsiasi segreto. E' strano come persone tanto diverse fra loro e
vissute nelle più disparate realtà, messe in un ambiente le cui
condizioni non erano proprio reali, riescano a socializzare in tal
modo, come per cercare l'uno nell'altro la forza di superare le
difficoltà che ogni giorno si presentavano. Uno dei miei amici

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Vincenzo, reggiano purosangue dopo due mesi venne scaricato dalla
fidanzata. E pensare che ci aveva messo al corrente dei loro progetti
di matrimonio fin nei minimi particolari. Nei successivi quattro mesi
la mia spalla divenne il rifugio sicuro delle sue crisi di sconforto. Il
tipo più strano era Costi di Lucca; non parlava mai tranne qualche
mugugno. Finiva immancabilmente punito per le cose più, assurde,
essendo dotato di una jella fuori dal comune. Una sera io cui rimase
dentro a scontare il primo dei cinque giorni che il capitano in persona
gli aveva appioppato, mi chiese nel modo più naturale:
- Hai un minuto per parlare?
Il tono con cui mi rivolse tale domanda, mi gelò la battuta che stavo
per fare.
- Ma certo sono qua apposta - Gli dissi serio
Le due chiacchiere durarono tutta la sera e proseguirono sino al
contrappello. Ne venne fuori un quadro familiare aberrante: un padre
alcolizzato, la sorella di sedicenne scappata di casa e la madre malata
di artrite deformante e bisognosa di cure. Ecco spiegato il motivo dei
soldi che mandava a casa dalla magra paga che ricevevamo come
Allievi Ufficiali, e del perché andava a casa in licenza con l'autostop.
Scopersi quella sera, dopo tre mesi che eravamo assieme, che fumava
perché lui chiese una sigaretta. Da quella sera fino alla fine del corso,
riuscì il suo unico interlocutore e unico a cui passava i compiti delle
"materie tecniche in cui era ferratissimo.
Si piazzò all'ottavo posto, ma avrebbe meritato il primo se non fosse
stato per i problemi disciplinari, riuscendo, comunque scegliere la
destinazione più vicina a casa in quel momento e cioè Firenze.
Rimanemmo poi in contatto e devo dire che quando lo sentii l'ultima
volta, la sfortuna sembrava averlo abbandonato; la sorella era tornata
a casa anche se incinta e il suo ragazzo l'avrebbe sposata di lì a poco,
la madre era notevolmente migliorata, mentre il padre purtroppo
mori d'infarto a cinque giorni dal congedo del figlio.
Gli altri compagni di camerata, nella loro anormalità non avevano
cose strane di cui mi ricordi particolarmente

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CAPITOLO 8

Ormai il Corso Ufficiali era alle strette, chi doveva essere bocciato, lo
fu senza problemi da parte dei superiori; a parte la scocciatura di
finire il militare come soldato semplice dopo aver accarezzato il
sogno di essere un ufficiale, per molti fu anche un dramma
economico, visto che lo stipendio da Sottotenente era molto alto. Ma
queste erano considerazioni di cui non venne tenuto conto nella
valutazione finale.
Come si sapeva, i primi dieci classificati avrebbero scelto la
destinazione con sicurezza, gli altri avrebbero preso quello che
rimaneva. Tenendo conto se possibile delle loro richieste.
Io, che tra i primi dieci ero sicuro di non esserci, quando si trattò di
scegliere dove andare feci alcune valutazioni di comodo. Dovevo
cercare una destinazione poco ambita, ma che fosse comoda per dove
abitavo e dopo alcune ricerche scopersi che Bolzano faceva al caso
mio. Nessuno voleva andare a prestare servizio nel corpo degli Alpini,
ma la città era sulla stessa linea ferroviaria di Persiceto il paese dove
abitavo io, e tre ore di treno non erano poi tante. La mia scelta manco
a dirlo fu subito accettata, con grossa soddisfazione da parte mia e
assai meno da parte degli altri quattro colleghi che assieme a tue
furono destinati nella città altoatesina.
L'ultimo giorno di corso eravamo tutti in cortile, pronti per
tornarcene a casa per la famosa licenza premio, e proprio in quel
momento ci fu consegnata la busta con la conferma della
destinazione che però conoscevamo già. Tra gran saluti e abbracci,
ognuno prese la sua destinazione con la promessa di tenerci in
contatto e poi salutammo la caserma e la Cecchignola, sperando fosse
l'ultima volta che vedevamo quel posto.
Mentre il treno proseguiva la sua destinazione verso Bologna, pensai
a come organizzare quei dieci giorni di licenza e sicuramente
l'incontro con Monica era in cima a tutto, poi da quello che sarebbe
derivato dal nostro incontro mi sarei regolato di conseguenza.

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La gioia dei miei genitori di avermi a casa per un po' di tempo durò il
breve spazio di mezza giornata, infatti arrivato a Persiceto nel primo
pomeriggio di martedì, il giorno successivo ero di nuovo su un treno
con destinazione Forlì. Partii la mattina abbastanza presto cosicché
non avendo calcolato bene i tempi mi ritrovai nel capoluogo
romagnolo alle 9, un po' presto per andare a casa dalla gente. Mi
infilai in un bar, a fare un’abbondante colazione, anche se mangiai
più per nervosismo che per altro. Verso le dieci dopo aver aperto la
pianta della città, mi diressi verso la casa di Monica. Naturalmente
sbagliai più volte strada e dovetti chiedere ad un sacco di persone
dove si trovava la via che mi interessava. Finalmente verso le 11 del
mattino arrivai davanti a casa sua con il cuore che mi batteva
impazzito.
Mi venne ad aprire suo padre che molto amichevolmente mi fece
entrare e dopo essermi accomodato in salotto arrivò anche la madre.
Ecco, pensai, ora manca anche il gatto poi ci siamo tutti! Girandomi
per mettermi a sedere su una poltrona mi accorsi che il gatto era già
li acciambellato e per niente convinto a lasciarmi sedere. Il mio
imbarazzo era notevole, ma i genitori di Monica che erano molto alla
mano cercarono di mettermi a mio agio chiacchierando con me del
servizio militare che stavo facendo.
Monica a quanto dissero, era in camera sua che si stava vestendo,
infatti era rientrata tardi la sera prima e si era alzata da poco. Chissà
dove era andata mi chiesi con una punta di gelosia!
Dopo ben 10 minuti Monica scese dal piano di sopra – Era bellissima
e il mio cuore che aveva da un attimo accennato a calmarsi, riprese
un'andatura da centometrista. Quello che avrebbe dovuto essere un
ciao, uscito dalle mie labbra divenne un mugolio incontrollato e di
dubbia codifica. Fortunatamente comprendendo il mio stato
confusionale, Monica mi prese per mano e mi portò direttamente in
camera sua al primo piano.
- Allora Guido cosa mi racconti. A proposito dove ti mandano? Ieri
sera al telefono non me l'hai detto - mi chiese Monica con una nota
di apprensione nella voce.

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- Fra dieci giorni parto per Bolzano, dove resterò per nove mesi. Al
suo sguardo di disappunto, ripresi subito:
- Guarda che non è in capo al mondo, la linea ferroviaria è
comodissima e l'autostrada pure per cui ti verrò a trovare spesso!
- Vorrei vedere che non lo facessi - replicò lei guardandomi
intensamente negli occhi. Il discorso che mi fece poi mi mise con le
spalle al muro, in sostanza aveva capito il filo conduttore che legava
tutte le mie lettere e il messaggio che volevo trasmetterle, per cui….
- Mi vuoi dire guardandomi negli occhi quello che provi per me?
Penso che riuscii a cambiare colore nel giro di pochi secondi,
passando dal bianco cereo a tutte le tonalità di rosso. Stavo cercando
nei meandri del mio cervello tutti i discorsi che mi ero ripetuto nei
giorni precedenti, ma discutere tra sé e sé non è la stessa cosa che,
avere la persona amata a pochi centimetri di distanza.
- Beh, Monica è inutile girare attorno al discorso, in settembre ti
scrissi che mi ero innamorato di te e nel corso di questi mesi non solo
non ho spento il mio sentimento per te, ma se è possibile l'ho
aumentato ancora di più.
Monica mi guardava fisso senza proferire parola. Nei suoi occhi trovai
la forza di continuare il discorso che stavo facendo senza ulteriori
tentennamenti.
- Tu sei stata molto importante per me, sin dal primo momento; il
Corso Ufficiali è stato durissimo, e molti hanno rinunciato dopo
qualche settimana, altri sono arrivati fino in fondo per poi non
farcela, se io ci sono riuscito è stato solo grazie a te. Mi sono cullato
nella speranza di riuscire un giorno a restarti accanto, per cui ho
sfruttato tutte le mie più nascoste riserve di orgoglio per riuscire a
dimostrarti qualcosa. Non vorrei con queste mie parole metterti con
le spalle al muro e farti prendere una decisione se non vuoi, perché
l'importante è conservare l’amicizia, ma un'amicizia costante a cui
tengo più di ogni cosa Monica, dopo quella che mi sembrò
un'eternità, si alzò dalla moquette dove ci eravamo seduti e

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avvicinandosi a me, posò le sue labbra sulle mie. Lo, la strinsi tra le
braccia mentre con un filo di voce mi sussurrava:
- Ti amo Guido.
Era da tanto tempo che volevo sentire dalla sua bocca uscire quelle
parole ed ora finalmente avevo avuto il mio sogno coronato di
successo. Le ripetei non so quante, volte che ero innamorato di lei e
da tantissimo tempo.
- Anch'io Guido, ti amo da un sacco di tempo, forse proprio dallo
scorso anno a Rimini, ma tutte le mie paure e tutti i problemi che
c'erano tra noi, mi avevano fatto esitare. Poi in questi mesi ho capito
che l'amore fa crollare ogni barriera, anche qu.el1e che avevo
costruito io per difendermi dagli uomini –
Scendemmo per le scale mano nella mano e passando davanti ai suoi
genitori io allargai le braccia, dicendo:
- E' successo !!
Loro mi guardarono divertiti e contenti, approvando senz'altro il
rapporto tra me e la loro figlia.
Andammo a mangiare, vista l'ora, in un, piccolo ristorantino fuori
Forlì, che in quel momento era molto tranquillo e Monica mi parlò di
quello che aveva fatto in tutti questi mesi e delle speranze che ogni
giorno di più riponeva su di me e sul nostro rapporto.
Durante il pomeriggio passeggiammo per la città e nello splendido
parco zoo, abbracciati e felici come due ragazzini, io non mi ero mai
sentito così euforico. Sentivo proprio che Monica si stava lentamente
abbandonando sempre più nelle mie mani, affidandomi tutta se
stessa. Purtroppo il tempo passava ed io dovetti partire per Bologna,
in quanto rischiavo di perdere la coincidenza per la cittadina dove
abitavo. Ci accordammo per vederci nei giorni successivi e poi salito
sul treno ripresi la via di casa.
Nel breve viaggio verso Bologna, compii il primo di una lunga serie
di errori, che poi avremmo pagato entrambi in prima persona. Io ero
raggiante, felice, come il vincitore di quella dura battaglia ma sempre

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incosciente di ciò che significava veramente quanto conquistato, cioè
avere una donna che dipende da te, che pensa a te, che ripone in te
tutte il suo mondo, le sue speranze, le sue illusioni.
Il mio precedente rapporto con Sigrid, l'unica cosa più o meno seria
che avevo avuto nella mia vita, era comunque stato un rapporto
fantoccio, visto che a causa della grande distanza, ci si incontrava solo
ogni due o tre settimane, ed era come se fossi sempre stato libero.
Ma ora con Monica il rapporto andava gestito diversamente, avrei
dovuto modificare al mio rientro dal servizio militare, il mio abituale
standard di vita, fatto di uscite con gli amici, discoteca gite al mare e
avventure occasionali.
E' dura vincere una qualsiasi battaglia, ma il difficile viene dopo,
quando si tratta di sfruttare le posizioni raggiunte e soprattutto di
mantenerle. Ma quando avrei capito queste cose, sarebbe stato
troppo tardi.

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CAPITOLO 9

Nei giorni successivi, divisi il mio tempo tra gli amici, lo sport e
qualche mezza giornata con Monica il rapporto tra di noi stava
andando benissimo, anche se a sentire Piero, grosso esperto in campo
sentimentale, il mio coinvolgimento emotivo sembrava superficiale.
Una delle ultime sere di licenza, affrontai dopo varie insistenze di
Monica, la compagnia dei suoi amici; una delle tose che mi seccava
di più, perché sapevo che quella sera sarei stato sotto continuo esame,
per vedere se ero la persona giusta per la loro amica.
Io e Monica partimmo da Forlì versa sera, alla volta di Casalborsetti
una simpatica località balneare sul mare Adriatico situata nei lidi
ravennati. Qui la sua amica Katia dava una mano alla madre a gestire
un negozio di articoli da regalo e propria al negozio era
l'appuntamento con tutti gli altri da dove poi saremmo partiti per
raggiungere una casetta sul mare per stare insieme. Già il programma
mi irritava, perché io non avevo mai amato le compagnie numerose,
dove bisognava scendere sempre a patti per accontentare tutti,
mentre io volevo fare sempre quello che mi pareva; inoltre avrei
preferito rimanere solo con Monica in questi ultimi giorni di licenza.
Quando poi una relazione è all'inizio sarebbe meglio comunque
rimanere soli, parlare, cercare di conoscersi meglio, specie noi che di
tempo non ne avevamo tanto.
Prima di arrivare a Casalborsetti io e Monica ci fermammo in un
posticino un po' isolato in riva al mare dove facevano ottime piadine,
poi visto che eravamo in netto anticipo, passeggiammo sulla spiaggia
in un tratto di costa che a differenza del resto della riviera era
completamente solitario, senza strutture, ma anche senza il solito
caos che un venerdì pomeriggio portava. Il tempo era abbastanza
brutto e minacciava pioggia da un momento all'altro, ma l'atmosfera
che noi riuscimmo a creare era splendida. Il mare in burrasca ruggiva
minaccioso, scaricando sulla rena grosse onde spumeggianti, Monica
non parlava e nemmeno io, bastavano gli sguardi profondi che di
tanto in tanto ci lanciavamo e i baci lunghissimi che ci scambiavamo

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per sopperire al nostro silenzio. Non so quanto tempo passammo su
quella spiaggia, ma a me non importava perché mi sentivo felice
come non lo ero mai stato, se Faust di Goethe non aveva mai trovato
l'occasione per dire:
-Attimo fermati sei bello – Cosa potevo volere di più dalla vita?
Già cosa?
Finalmente ritornammo sulla terra e ci accorgemmo che si era fatto
tardi per cui ritornammo velocemente alla nostra auto per coprire i
pochi chilometri che ancora ci separavano dal centro del paese.
Arrivati al negozio di Katia, cominciarono le presentazioni infatti
erano già arrivati diversi amici di Monica, che alcuni lei non vedeva
da tempo, dopo avermi presentato si perse qualche minuto nei saluti
con loro ed io rimasi in disparte senza che nessuno mi degnasse di
uno sguardo. Avevo capito a mie spese che l'antipatia tra Emilia e
Romagna era una cosa reale e non solo un fatto sportivo. Monica
accorgendosi della situazione si mise subito al mio fianco dove rimase
sempre senza più lasciarmi e nei suoi occhi lessi un grosso
rincrescimento; quando anche tutti i ritardatari si unirono alla
compagnia, partimmo tutti alla volta di una casa nelle campagne
circostanti, dove la mamma di Andrea, uno dei ragazzi meno
antipatici aveva preparato un buffet freddo.
Fortunatamente Monica non si lasciò mai portare via dalle sue
amiche che, chissà per quale motivo o quali segreti dovessero
confidarle, cercavano di staccarla da me. Solo una volta, quando
Monica in un eccesso di generosità andò in cucina ad aiutare a
tagliare l'anguria io rimasi solo, nel vero senso della parola. Fu
estremamente imbarazzante, vedere come tutti parlavano tra loro,
molti ballavano scatenati la disco-dance che usciva da un hi-fi,
mentre io me ne stavo lì come un cretino a guardare da tutte le parti.
Scartata l'ipotesi di andare anch'io in cucina a dare una mano, per
non far credere che fossi andato a cercare rifugio sotto le gonne di
Monica, senza esitare uscii all'aperto dove l'aria era molto più
respirabile e accesi la mia inseparabile sigaretta. Con l'animo
infuriato per la situazione che si stava creando, osservai con

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attenzione quanto in cielo stava succedendo; grosse nuvole grevi di
pioggia si rincorrevano ormai da molte ore senza decidersi a scaricare
il loro pesante fardello, mentre all'orizzonte grossi lampi indicavano
che altrove la situazione non era altrettanto incerta. Vedendo quei
lampi e sentendo il tuono in lontananza lo paragonai al mio umore,
che a causa degli amici di Monica era passato da sereno a tempesta.
- Guido cosa stai facendo lì da solo? - mi chiese Andrea piuttosto
imbarazzato.
- Sto respirando aria pulita - risposi con voce tagliente come un
rasoio.
- Mi dispiace ma sai oltre al campanilismo che ci può essere tra voi e
noi...
- Certo che di fronte a situazioni di questo genere, parlare di Europa
Unita è veramente ridicolo - lo interruppi molto sgarbatamente.
Hai ragione, ma vedi come ti stavo dicendo, c'è anche qualcos'altro
dietro quest’ostilità.
A questo punto capii che il discorso si stava facendo interessante e
lasciai perdere la mia espressione truce.
- Tu non mi sei antipatico, anzi direi che sei un bravo ragazzo per cui
è meglio tu sappia tutto. Ma ti prego, fa finta che non ti abbia detto
nulla, altrimenti mi metto in urto con i miei amici e poi nemmeno
Monica sa quello che sto per dirti. C'è un ragazzo, Francesco, che è
innamorato di Monica; no lui stasera ovviamente non c'è, comunque
è uno della compagnia, inoltre è il tipico trascinatore, per cui avendo
molto carisma è molto popolare, e il fatto che tu gli abbia portato via
la ragazza, non è stato visto bene dagli altri –
E da te? Gli chiesi io, cercando di capire fino a che punto potevo
fidarmi di lui.

- A me Francesco non piace molto, mi sembra un tipo pericoloso. Ti


consiglio di stare attento, anche se credo che tu sia un tipo molto

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deciso. Poi in definitiva deve essere Monica a decidere del suo futuro,
non la sua compagnia -
- Andrea, non so se noi diventeremo amici sul serio, un giorno, da
parte mia la porta è già aperta - gli risposi io tendendo gli la mano,
che lui strinse con forza, proprio nel momento in cui Monica usciva
per cercarmi. Vedendo le nostre espressioni amichevoli, il sorriso
sostituì l'espressione preoccupata che aveva un attimo prima. Ci
chiamò dentro entrambi, ma Andrea preferì cercare delle musi-
cassette in auto e che sarebbe arrivato dopo, strappandomi un
sorriso, per il suo goffo tentativo di non farsi vedere con me. Questo
mi diede l'idea di quanto potevo fidarmi di lui.
Dopo aver ballato un po' e bevuto ancora qualche cocktail, Monica
mi venne vicino e mi chiese se mi dispiaceva se ce ne andavamo e
mentre me lo chiedeva mi strizzò l'occhio. Era una ragazza fantastica,
aveva capito che per quella sera avevo già sopportato abbastanza,
cavandomela tutto sommato bene, per cui forse era meglio chiudere
la serata in modo più piacevole.

Quando lei comunicò l'intenzione di andare via, tutti protestarono e


io venni accusato di voler monopolizzare la loro amica, di essere un
asociale e altre cosette del genere, chiaramente il tutto in apparente
allegria, io elargii a destra e sinistra, sorrisi nascondendo bene ciò che
pensavo di loro.
Katia venne con noi in, quanto la sua auto l'aveva prestata alla sorella,
in vacanza con il suo ragazzo.
Io, non avrei certo pensato mentre eravamo in macchina di sollevare
l'argomento, anzi avevo apprezzato Monica durante la festa, per non
aver detto nulla di come mi stavano trattando i suoi amici, in quanto
mi avrebbe messo di più messo in imbarazzo. Lei invece poco dopo
la nostra partenza, aggredì la sua amica, dimostrandole tutta la sua
delusione nei suoi confronti visto che invece di facilitarle le cose per
il raggiungimento della sua felicità, stava solo mettendole i bastoni
fra le ruote e non capiva perché. Katia rimase sempre in silenzio;

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anche se io non riuscivo a vedere la sua espressione, ne sentivo il
dispiacere, in quella che probabilmente era la prima lite fra di loro. E
la causa ero io.
- Quindi Katia come ti avevo detto, se tu e gli altri non siete in grado
di accettare la mia vita privata, mi sembra inutile continuare a vederci
- concluse Monica con rabbia. A questo punto dovevo intervenire io,
non potendo permettere che si interrompesse un'amicizia cosi solida,
specie quando nei prossimi mesi Monica, trovandosi sola, ne avrebbe
avuto bisogno.
- Un attimo ragazze, scusate, ma vorrei dire anch'io la mia visto che
sono parte in causa. Posso capire che essendo nuovo ci sia diffidenza
nei miei confronti, soprattutto nei ragazzi, visto che ho rapito la
migliore del gruppo - feci io cercando di buttarla sul ridere.
- Per cui adesso fate la pace, anzi prima Katia mi dai un bel bacio cosi
Monica capisce che non c'è rancore tra noi –
Katia si girò di scatto con il volto raggiante e issandosi al di sopra del
sedile mi schioccò due baci, uno dei quali un po’ troppo affettuoso,
proprio sulle labbra. Monica un po' dubbiosa si girò verso di me e
vedendomi sorridente, ogni remora le passò e abbracciò l'amica.

Durante il viaggio di ritorno verso Forlì, Monica mi disse un sacco di


belle cose, di quanto ero fantastico e io mi sentivo veramente
importante.
Fu lei a dirmi di non accompagnarla subito, ma mi indicò una strada
buia dove mi fece fermare l'auto. Parlammo ancora un po’ poi
cominciammo a baciarci sempre più appassionatamente. Io, temevo
di andare oltre per cui lasciai fosse Monica a prendere una qualsiasi
iniziativa, ed infatti fu lei a prendere la mia mano per portarsela al
seno, facendomi capire che quella sera voleva qualcosa di più dei
soliti baci. Lentamente le slacciai la sottile camicetta di seta e con un
tocco leggero iniziai ad accarezzarle i seni sodi, mentre i capezzoli si
stavano inturgidendo per l'eccitazione. Lasciai la sua bocca, passando
a baciarle il collo, e poi il seno, fino a sentirla fremere sotto le mie

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mani. Timidamente Monica cercò di spogliarmi ed io lasciai fare,
cercando di agevolare questi suoi timidi primi contatti. Ad un certo
punto l'eccitazione prese il sopravvento e cercai di fare all’amore con
lei, ma a questo punto Monica si ritrasse, e alcune lacrime le
sgorgarono dagli occhi. Un'ondata di tenerezza mi travolse e presi la
mia donna tra le braccia stringendola forte e sussurrandole tutte le
parole tenere che conoscevo, finché lei si calmò.
Non era ancora pronta per un rapporto completo, già stasera aveva
fatto passi da gigante e dovevo solo aver pazienza e aiutarla.
Dopo di ciò rimanemmo abbracciati per lungo tempo, parlando,
parlando, baciandoci fino a sentire male alle labbra e quando
decidemmo che era giunto il momento di salutarci, lessi nei suoi
occhi l'enorme gratitudine che provava nei miei riguardi, perché
grazie a me stava lentamente guarendo dai sui incubi, lasciandosi alle
spalle i fantasmi del passato. Quando ci rimettemmo in sesto ormai
stava albeggiando ed io riportai Monica, a casa; prima di salutarla le
promisi che la sera successiva, l’ultima, prima della partenza per
Bolzano, saremmo stati insieme.

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CAPITOLO 10

Katia con un enorme sorriso sulle labbra attendeva davanti al


cancello che quell'imbranato del suo futuro cognato riuscisse a
parcheggiare l'auto nel vialetto. Appena l'auto si fu fermata, corse
incontro alla sorella coprendola di baci che vennero ricambiati con lo
stesso entusiasmo. Per Corrado, il ragazzo di Lorenza, un misero"
Ciao " e il fardello delle valigie da portare dentro da solo. Erano
rimasti via per tre settimane durante quelle vacanze pasquali ma
sembrava che le due sorelle non si vedessero da anni, era veramente
ammirevole l’affetto che provavano l'una per l'altra, essendo tra
l'altro completamente diverse non solo d'aspetto (una bionda e l'altra
mora), ma soprattutto nel carattere. Fin da piccole, non avevano che
un anno di differenza, sembrava avessero stretto un patto di
reciproco aiuto e con quel sistema erano cresciute, senza mai avere
uno screzio, fino a 22 anni.
Appena entrati in casa e accomodatisi in salotto, Katia andò a
preparare un'abbondante merenda a base di panini, frutta
estremamente graditi visto il lungo viaggio.
Dopo averli osservati mangiare divertendosi della loro voracità, volle
sapere tutto del loro soggiorno in Spagna.
- Beh come ti abbiamo detto per telefono, ad un certo punto abbiamo
cambiato la nostra intenzione di girare per tutto il paese e ci siamo
fermati un paio di settimane a Tossa de Mar, poi un'altra settimana a
Gerona. Ogni giorno abbiamo visitato qualcosa di diverso e di
interessante, inoltre siamo riusciti a prendere il sole e fare il bagno,
c’erano giorni infatti in cui il caldo era veramente opprimente –
Concluse Corrado con quella sua aria da eterno bambinone
nonostante i 27 anni ormai compiuti.
Non è che sei stato tu, pigro come sei a non volerti muovere tanto?
Chiese Katia con un'espressione tra il serio e il faceto.
Ma anche Lorenza come confermò la versione del suo ragazzo, come
sempre faceva del resto per cui sarebbe stato praticamente

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impossibile sapere la verità, tanto che ad un certo punto anche
Lorenza sembrava credere che tutte le decisioni fossero prese
assieme. Fortunatamente Corrado non aveva approfittato mai del suo
potere su Lorenza, cosi anche se non era decisamente il suo tipo,
aveva imparato a volergli bene.
I due giovani trascorsero le ore successive raccontandosi tutti gli
aneddoti del loro viaggio spagnolo, delle cose meravigliose viste e
tutto quanto era successo, come bucare due volte nel giro di 2
chilometri e farsi rimorchiare da un carretto con tanto di mulo, in
paese dove c'era una specie di meccanico. L’ora di pranzo arrivò in un
batter d'occhio, per cui decisero di recarsi dai genitori al negozio di
Casalborsetti e poi andare a mangiare una pizza, magari tutti insieme.
Lasciata la commessa sola in negozio entrarono nella vicina pizzeria
per stare insieme ancora una volta dopo tanto tempo. Il padre di
Katia, un burlone di natura, non perdeva mai l'occasione per
prendere in giro le figlie, specialmente Katia che era la sua vittima
preferita.
- Come sempre abbiamo il broncio, non c'è verso che Katia trovi
qualcuno che riesca a sopportarla – disse il padre sollevando l'ilarità
generale.
- Io li trovo, ma sono sempre occupati e tutti quelli liberi che conosco
sono o maniaci sessuali o deficienti, ormai resterò zitella - disse Katia
sorridendo, anche se l'ombra di disappunto non sfuggi a Lorenza.
- Tira fuori la novità, perché ti leggo negli occhi che hai conosciuto
qualcuno che ti ha interessato parecchio in questi giorni-
- Si, è vero non posso negarlo, e non immaginereste mai chi è la
persona che ho conosciuto - dopo che al tavolo aveva catturato
l'attenzione di tutti, Katia continuò
- Venerdì scorso ho incontrato finalmente il ragazzo di Monica. Non
è il solito fusto di turno, ma è straordinariamente intelligente e
maturo, ci ha dato a tutti una lezione di comportamento - Katia
fattasi seria, raccontò tutte le peripezie di quella serata, senza

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omettere i particolari e assumendosi la propria parte di responsabilità
per come era stato trattato Guido.
Erano stati gli amici di Francesco a organizzare tutto e lei come tutti
gli altri si era adeguata, trovando anzi divertente ad un certo punto
cercare di mettere in imbarazzo Guido, senza capire che in tal modo
stavano facendo del male solo alla loro amica. Ma lui si era sempre
comportato da signore e mentre raccontava l'episodio accaduto in
auto, gli occhi le brillavano sollevando la preoccupazione di Lorenza
che mai aveva visto la sorella parlare di un ragazzo con tanto
trasporto ed entusiasmo.
- Ma adesso Guido è già partito per Bolzano? Chiese Corrado
- Si credo sia partito ieri mattina, ma ha detto che la prossima volta
vorrebbe rincontrarci tutti, o almeno quelli che per lo meno lo
sopportano.
La madre di Katia, un po' preoccupata, disse:
- Spero che tu non ti faccia delle illusioni su quel ragazzo, io non ho
avuto modo di parlargli molto, ma una cosa credo di aver capito e
cioè che è sinceramente innamorato di Monica, per cui cerca di
girargli al largo, l'amicizia è un sentimento più importante e non vale
la pena di rovinarlo.

Katia guardò la madre in modo strano, ma non disse nulla


concentrandosi sulla pizza che ormai si stava freddando. Un solo
pensiero la sfiorò, in amore tutto è permesso e doveva decidere
ancora se l'amicizia per Monica valeva quanto sentiva crescere dentro
per Guido e che stava travolgendola come un’ondata in piena.
Stavolta avrebbe deciso tutto da sola, senza consultare la sorella e la
madre, per la prima volta nella sua vita aveva capito che era in gioco
la su felicità e se sbagliava voleva farlo da sola.

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CAPITOLO 11

Alla caserma Vittorio Veneto di Bolzano eravamo stati assegnati in 5


e visto che 3 erano di Milano, 1 di Genova e io di Bologna, decidemmo
di trovarci tutti insieme alla stazione di Verona e da lì prendere tutti
insieme la coincidenza per il capoluogo altoatesino. Fu bello
ritrovarci ancora una volta insieme, in quanto dopo l’esperienza del
corso, tra noi era nato un discreto rapporto di amicizia. Durante il
viaggio tenni banco, raccontando le mie avventure amorose e
ricevendo le congratulazioni di tutti, anche se come disse Stefano, un
milanese purosangue, il difficile cominciava adesso, lui infatti di 6
anni più vecchio di me aveva portato a compimento gli studi di
ingegneria prima di partire per il militare, era ormai fidanzato da
oltre 7 anni e attendeva solo la conclusione del militare por potersi
sposare, tanto il lavoro nell’azienda di suo padre era assicurato, e
come mi disse quel giorno:
- Non considerare il fatto che vi si siete messi insieme un punto di
arrivo, ma solo un punto di partenza in un rapporto che tu non hai
mai avuto e vedrai quanti ostacoli ci saranno sul vostro cammino.
Io invece nella mia presunzione, credevo che tutti gli ostacoli fossero
stati già superati e pur considerandolo un bravo ragazzo, lo ritenevo
un po’ retrogrado, tanto che non mi rivolsi mai a lui per consigli o
suggerimenti.

La nostra preoccupazione maggiore come nuovi ufficiali era il


trattamento che ci sarebbe stato riservato dai colleghi anziani al
nostro arrivo in caserma. Una delle ragioni che ci aveva fatto scegliere
il corso e quindi 3 mesi in più di vita militare, era proprio il rischio di
finire in una caserma dove il “nonnismo” era spinto all’eccesso.
Durante il corso a Roma non avevamo mai avuto problemi, in quanto
eravamo tutti allo stesso livello, ma ora i parametri cambiavano per
cui un po’ di ansia era presente in tutti.

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L’accoglienza dei colleghi anziani e dei superiori, fu invece ottima, e
tutti si diedero da fare per metterci a nostro agio. Io e gli altri prima
del nostro arrivo, eravamo decisi a prendere alloggio fuori dalle mura
della caserma, visto l’ambiente invece optammo per il più economico
alloggio interno, tranne Franco che invece non ne volle sapere e prese
in affitto una camera al centro della città. Era normale in effetti, lui
scapolo impenitente, aveva un’idea tutta sua del modo di impiegare
il tempo libero e in quel modo le ragazze occupavano una fetta
consistente.
Dopo qualche giorno di permanenza, prestammo giuramento e
fortuna volle che il soffitto dell’ufficio del Colonnello fosse basso,
cosicché non usammo la sciabola per il rituale ma solo la pistola che
prevedeva evoluzioni molto meno complicate e diciamo più sobrie.
Durante la cerimonia comunque qualche errore fu commesso e ci
costò il pagamento di qualche bottiglia a Circolo Ufficiali, ma niente
di irreparabile. Fatto il giuramento alcuni colleghi di stanza a Bolzano
da ormai 9 mesi, si congedarono e per noi si trattò di prendere il loro
posto, sostituendoli in tutti i compiti a loro assegnati. Tra i 4 posti
vacanti, 3 erano di tipo amministrativo, come gestione delle officine,
addestramento del personale e solo uno era operativo, chiaramente
visto il mio rifiuto per la vita sedentaria, scelsi io quel compito,
sfruttando anche il fatto che nessuno spingeva per occuparlo. In
pratica mi dovevo occupare dei centri radio in alta montagna,
portando i rifornimenti, gestendo il personale e i cambi, controllando
la manutenzione degli apparati e cose del genere. Come mi aveva
suggerito uno dei colleghi congedanti:
- Se odi la vita su una sedia, quello è il tuo posto, parti la mattina,
torni la sera non ti rompe nessuno e alla fine stai in giro attraverso
bellissimi posti, conosci gente, vai a sciare gratis, che vuoi di più?
Era un lavoro duro comunque: la sveglia al mattino arriva prestissimo
sia per me che per la mia squadra, poi se non c’era neve, era una bella
gita attraverso bellissimi boschi, dove il contatto con la natura,
scoiattoli, cervi, era all’ordine del giorno, ma se la neve era presente,
la salita diventava ogni volta un’avventura se non un dramma.

50
Arrivati lassù però poi si trovava la pace totale ed espletate le
operazioni di scarico, controllo, prova collegamenti, era come essere
in vacanza, gite nei boschi, sciate e grigliate di carne innaffiate da
vino a fiumi.
Sinceramente lo sci non era il mio sport preferito, ma dovetti
impararlo più che per diletto, per necessità.
Una notte infatti una furiosa nevicata ci aveva bloccato i camion, per
cui in poche ore dovetti imparare a stare sopra gli sci, se volevo
scendere a valle e da quel momento divenne uno sport che praticavo
quando avevo un attimo di tempo.
Dopo tre settimane di permanenza a Bolzano, sfruttai il primo fine
settimana in cui non ero in servizio, per correre da Monica. Arrivai a
Forlì il sabato mattina verso mezzogiorno senza avvertire la mia
ragazza che quando mi vide in pedi sulla porta per poco non svenne.
Mi fermai a pranzo con lei e i suoi genitori, poi, il pomeriggio lo
trascorremmo in giro per la città a passeggiare e a raccontarci tutto
quello che avevamo fatto in quel periodo, anche se poi erano le stesse
cose che ci scrivevamo nelle lettere …….
Ben 10 in 20 giorni! Ma non era importante, mi piaceva sentirla
parlare, mi piaceva sentire il suono della sua voce, il suo respiro su di
me, perdermi nel suo sorriso che mi stava ridando tutto lo smalto
perso durante la notte in un viaggio di quasi 500 km. Camminavamo
stretti stretti per la città come se io e lei fossimo soli, era una
sensazione bellissima, offuscata dal pensiero della partenza il giorno
successivo. Non preannunciare il mio arrivo a Monica, qualche
giorno prima, non era stata poi una grande idea, quella sera lei infatti
si era impegnata con i suoi amici ad andare al mare, così non me la
sentii di farla rinunciare anche se lei aveva insistito per rimanere a
casa. Speravo che dopo quanto successo la volta precedente, se non
tutti, almeno qualcuno dei suoi amici avesse imparato ad accettarmi.
Ci ritrovammo tutti nella piazza principale di Forlì e notai con piacere
che diversi ragazzi e ragazze vennero a salutarmi molto
cordialmente. La più contenta di vedermi fu Katia che mi si appiccicò

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accanto senza più mollarmi, ma anche Lorenza, la sorella fu molto
cordiale. Gli unici che si dimostrarono se non ostili, almeno
indifferenti, furono gli amici di Francesco, che a come mi avevano
detto, era innamorato di Monica.
Nella mia auto, Katia prese immediatamente posto accanto a me,
mentre a Monica non restò altro che sedersi dietro accanto a Corrado
e alla sua ragazza anche se non sembrava particolarmente turbata
dall’atteggiamento della sua amica che invece a me imbarazzava non
poco. Già faticavo ad inserirmi tra loro, figuriamoci se avessi dovuto
creare complicazioni sentimentali. Katia era una splendida ragazza,
con una cascata di capelli lunghi neri e un viso perfetto in cui gli occhi
azzurri davano un risalto particolare.
Proprio questo aspetto, a sentire lei, le aveva impedito di trovare un
ragazzo serio che guardasse più a ciò che aveva dentro che al suo
aspetto esteriore. Su quello che aveva dentro, però mi stavano
venendo molti dubbi, visto il comportamento sfacciato che stava
tenendo nei miei confronti. Monica sembrava non essersi accorta di
niente, magli sguardi di disapprovazione di sua sorella, mi fecero
capire che i miei dubbi su Katia erano più che leciti.
Arrivammo in breve tempo in un ristorante di Milano Marittima,
situato nell’entroterra e piuttosto noto in tutta la regione. Il locale era
un vecchio rustico riadattato, dove si poteva far casino senza
disturbare nessuno. Io fui abile a dirottare Monica verso il fondo del
tavolo evitando Katia che dovette sedere abbastanza lontana. La
serata trascorse allegramente, proprio come se fossi uscito in
compagnia dei miei amici e riuscii a monopolizzare l’interesse
generale con i miei aneddoti militari e le mie barzellette,
divertendomi un sacco e sentendomi finalmente bene con loro.
Pensavo erroneamente di aver rotto il ghiaccio.
Come tutte le cose belle, anche quella serata finì e ci dirigemmo tutti
verso casa quando erano ormai le 3 del mattino con Monica
preoccupata di quello che avrebbero detto i suoi genitori, vista l’ora.
Ero da poco fidanzato e quindi non avevo il permesso di dormire in
casa loro per cui parcheggiai l’auto in stazione e dormii al suo interno

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La mattina, sembrava che mille aghi si fossero infilati nella mia
schiena, mentre la testa mi sembrava un punging ball, ma a parte
questo, ero abbastanza in forma.
Monica verso le 9 del mattino venne a prendermi e il solo vederla fu
un toccasana per tutti i dolori. Facemmo colazione poi visto il clima
già molto caldo e soleggiato, tornammo al mare, proprio nei luoghi
che meno di un anno prima avevano visto nascere il mio amore.
Passammo le ore più calde della giornata, sulla spiaggia non molto
affollata, distesi sulla sabbia. Parlammo di noi, del nostro amore, dei
nostri progetti e io mi sentivo benissimo, come se non avessi avuto
più altro da chiedere alla vita.
Avevo pensato di ripartire per Bolzano prima di cena, ma visto che
non avevo particolari orari di rientro, rimasi con Monica anche tutta
la serata e soltanto verso le 23 mi apprestai al mesto ritorno.
Devo ringraziarla tuttora, perché quando ci salutavamo, anziché
piangere era lei ad incoraggiarmi, ad assicurarmi che i giorni che ci
separavano dal prossimo incontro sarebbero volati. Salii in auto senza
voltarmi indietro.

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CAPITOLO 12

A Bolzano avevo organizzato una discreta combriccola di amici, con


i quali tutte le sere o quasi, uscivo a cena o da qualsiasi altra parte
dove potessimo divertirei Nonostante lo stipendio da ufficiale fosse
alto, facevo fatica ad arrivare alla fine del mese. Quei dieci mesi, se
avessi avuto una briciola di maturità in più, avrebbero potuto
fruttarmi un discreto gruzzolo, che sarebbe servito come base per il
mio matrimonio con Monica; invece, sebbene con lei parlassi di
matrimonio e di figli, non mi comportavo certo come un uomo che
pensasse veramente a quello che diceva. Senza rendermene conto la
mia insicurezza e la mia immaturità, minavano tutto ciò in cui
credevo, tutto ciò che avevo ritenuto importante per me fino a quel
momento. Non arrivai a tradire Monica né in quel periodo né mai,
ma credo fosse stato solo per circostanze sfavorevoli e non per
effettivo convincimento che un amore come il nostro andasse
conservato come il bene più prezioso. Da giugno in poi riuscii a venire
a casa abbastanza regolarmente tutti i fine settimana che dividevo tra
famiglia e Monica, sobbarcandomi centinaia di chilometri anche per
stare un’ora solo, assieme a lei.
Monica che pure non voleva che io facessi questi "tour de force",
apprezzava questo attaccamento: tuttora non mi spiego come potessi
poi la sera successiva, uscire con un mio collega e due ragazze di
Bolzano, conosciute in modo occasionale la settimana prima. Fu solo
per impedimenti tecnici che non finimmo a letto con loro, ma
moralmente è come se l'avessi fatto; nonostante la lontananza di tale
episodio, mi fa ancora male parlarne.

Piero e Alberto, per ovvie ragioni li vedevo assai di rado, per cui in
quelle poche serate che fummo in grado di trascorrere insieme, non
riuscii mai ad andare a fondo dei miei sentimenti. Anche perché era
difficile parlare di un problema che ancora non sapevo di avere.
Inoltre in quel momento Piero era travolto da un uragano
sentimentale che gli stava procurando guai a non finire oltre che a

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più di una notte insonne, per cui in quel periodo fui più spesso io a
dare consigli a lui che a riceverne.

Monica intanto, aveva deciso non fosse giusto che fossi io il solo a
viaggiare per incontrarci così nonostante il mio parere contrario, una
domenica mattina di buon ora si mise in viaggio per raggiungere
Bolzano. Arrivò dopo circa 5 ore di treno, verso le 11 del mattino
visibilmente stremata dal viaggio e dall'attesa delle coincidenze; in
quel momento capii l'utilità di una camera fuori dalla caserma.
Sfortuna volle che Franco proprio quel giorno avesse un incontro con
una ragazza del luogo, tra l'altro la figlia di un maggiore, altrimenti
sarebbe stato disposto a cederla a me. Non potevo permettere che
Monica si rinfrescasse nella toilette di un bar, per cui rischiai il tutto
per tutto, e dopo aver telefonato all'Ufficiale di Picchetto che era un
mio amico, la feci entrare in caserma, direttamente con l'auto. La
domenica mattina, solitamente non c'è nessuno in giro e così riuscii
a portarla su in camera mia e a farle fare una doccia e risistemarsi,
infine ce ne andammo a pranzo in una simpatica osteria della città
molto caratteristica. Fu una sfacchinata, ma come disse lei, quando
l'accompagnai al treno, ne valeva la pena e sempre sorridendo se ne
andò.
Non contenta la settimana dopo Monica venne a trovarmi a Persiceto
dove abitavo, proprio nel giorno della festa del patrono. In
quell’occasione conobbe i miei genitori e così ufficializzammo il
nostro rapporto una volta per tutte. Monica piaceva ai miei, ma con
il suo dolcissimo carattere era impossibile fosse stato altrimenti. La
sera dopo aver cenato a casa dai miei, rifiutai di farla partire in treno
e così la riaccompagnai in auto. Volevo stare assieme a lei ogni
minuto, anche perché nel mese di luglio a causa di un campo in Val
di Fassa, avremmo potuto vederci di rado.
Proprio quella settimana, un suo amico le aveva trovato un lavoro
part-time e lei me ne parlò con entusiasmo; in pratica doveva
archiviare delle pratiche in uno studio notarile e poi man mano,
avrebbe avuto altri incarichi più soddisfacenti. Quando le chiesi chi

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le aveva procurato il lavoro, lei mi rispose che si chiamava Francesco,
un ragazzo della sua compagnia, che però non avevo ancora
conosciuto.
- Francesco, uhm – feci io pensieroso – ma non era quello innamorato
di te? Domandai io candidamente.
Monica divenne rossa come un peperone e capii che in quel momento
avevo fatto una gaffe imperdonabile.
- E tu come fai a saperlo se non l’hai mai visto?
La voce di Monica era seria come mai l’avevo sentita, per cui pensai
bene di non nasconderle la verità e le confessai chiaramente che era
stata Katia a dirmelo, anche se non ci vedevo niente di male.
- Allora visto che fai il geloso, caro Guido, cosa mi racconti proprio di
Katia? Quella sera l'ultima volta in cui siamo stati tutti insieme, mi
sono accorto dei suoi tentativi puerili di starti sempre vicino...
- Spero ti sarai anche accorta dei miei tentativi di svicolare! La
interruppi un po’ preoccupato per la piega che stava prendendo la
discussione.
- Certo altrimenti se ti fossi messo a civettare con lei non mi avresti
visto più - e dicendo così mi piazzò uno sguardo profondo, che mise
a nudo tutto quello che avevo dentro; poi senza aspettare una
reazione da parte mia, mi baciò, non dolcemente come faceva
sempre, ma quasi con violenza come a voler ribadire una volta ancora
a chi appartenevo. Io risposi con altrettanto ardore e quando i sensi
stavano per prendere il sopravvento, ci accorgemmo che oltre ad
essere davanti a casa sua, la madre stava osservando gli sviluppi che
stava prendendo la situazione, per cui ci ricomponemmo, ma prima
di salutarci Monica riprese l'argomento precedentemente interrotto:
- Francesco non significa niente per me e tu lo sai. Forse gli piacevo,
questo non lo nego, ma ora non credo e comunque mi fido di lui e
poi non lavoriamo assieme, perché io sono nello studio di suo padre
mentre lui fa il rappresentante di articoli sportivi.

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- Monica - Risposi - Mi fido di te più di me stesso, so benissimo che
mi ami e dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per metterei assieme
sarebbe stupido rovinare tutto per una simile sciocchezza. Ti chiedo
scusa per aver tirato fuori una storia che non meritava nemmeno di
essere pensata.
Un altro lungo bacio, stavolta più dolce e appassionato suggellò,
definitivamente la fine del nostro primo screzio.
Verso l'alba riuscii finalmente a rientrare in caserma dopo un viaggio
durato un'eternità per il sonno che mi aveva preso durante il viaggio.
Quando rientrai (erano ormai le sei del mattino), trovai sul letto un
messaggio del mio compagno di camera che mi comunicava che alle
sette mi sarebbe passato a prendere, destinazione Laggio di Cadore
dove per ordine del colonnello dovevamo compiere un'escursione per
preparare il campo del battaglione. Una bella notizia visto che ero a
pezzi!
Fortunatamente anziché con il camion partimmo con una delle
nuove jeep" dell'esercito: lasciai guidare lui durante tutto il tragitto
mentre io mi addormentai appena fuori Bolzano.

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CAPITOLO 13
Il campo che dovevamo fare serviva a simulare un intervento in zona
disastrata, per cui dovemmo fornire tutti i collegamenti radio mentre
i genieri si occupavano di quelli stradali, il programma invece andò a
catafascio in quanto fummo inseriti in un'operazione Nato che di
umanitario aveva ben poco. Inoltre anziché i 10 giorni previsti
l'esercitazione continuò per 20 durante i quali non fu certo possibile
andare a casa. Tutte le sere perciò quando non ero impegnato in zona
operativa, telefonavo brevemente a Monica visto che nel paesino
dove il nostro battaglione era accampato c'era un solo bar con due
telefoni e certo bisognava aver rispetto anche degli altri.
L'esercitazione comunque stava andando benissimo e noi stavamo
facendo un figurone poiché non avevamo fallito alcun collegamento,
e il colonnello, soddisfattissimo, mi promise alla fine del mese una
licenza di una settimana. Era una notizia fantastica, ma aspettai a
dirlo a Monica in quanto l'esercito aveva la prerogativa di cambiare
idea da un momento all'altro; sarebbe bastato un inghippo al
momento sbagliato che al posto delle licenze premio arrivassero le
consegne in caserma.
Fortunatamente tutto andò per il verso giusto, noi tutti ricevemmo
un plauso per il nostro comportamento ed io la licenza che mi era
stata promessa. Trascorsi un paio di giorni a casa, poi il resto lo passai
da Monica a Rimini. Purtroppo, nell'albergo dove alloggiavano i suoi
genitori, ogni camera era occupata, cosi io e lei decidemmo di fare i
pendolari tra Forlì e Rimini. Alla mattina partimmo e trascorremmo
tutto il giorno sulla spiaggia, poi alla sera (o alla notte) tornavamo a
casa di Monica per dormire. In quel frangente, il destino ci mise lo
zampino, perché avere tutta la casa a disposizione era la situazione
migliore per noi, potendo avere finalmente il primo rapporto sessuale
completo. Monica lo desiderava tantissimo come del resto io, ma
proprio il primo giorno in cui restammo insieme lei ebbe con una
settimana d'anticipo il suo ciclo, con vero disappunto da parte di
entrambi.

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Trascorrevamo la notte a baciarci, parlare e lei mi confessò che i suoi
sentimenti nei miei confronti si rafforzavano giorno dopo giorno ed
io diventavo sempre più importante ed insostituibile per la sua vita.
- Sei il mio mondo, Guido, non potrei mai vivere senza di te.
Io sorrisi, ma ripensando molto tempo dopo a quei momenti; ricordo
che dalle mie labbra non uscivano le stesse parole e mi sentii molto
agitato e spaventato da questo amore così profondo, possessivo che
provava verso di me, specialmente quando lei mi disse che se l'avessi
lasciata non avrebbe potuto vivere un attimo di più. Ero spaventato,
o almeno cominciava a spaventarmi di tanta responsabilità che avevo
nei suoi confronti.
A volte pensavo di non essere ancora pronto poi, appena questi
pensieri mi sfioravano, li ricacciavo indietro senza indagare oltre.
Come tutte le cose belle anche quella vacanza finì e io dovetti tornare
a Balzano; l'ultimo giorno prima della mia partenza, sentii Monica
rimanermi vicino con più forza del solito, non era il solito struggente
dolore per la mia partenza, c'era qualcos’altro. Dotata di rara
sensibilità, penso avesse intuito qualcosa di anomalo nel mio
comportamento e si attaccava a me come una foglia in autunno che
non vuole staccarsi dal suo ramo scosso dal vento.
Con la promessa di tornare presto partii e sarebbe passato oltre un
mese prima che ritornassi da lei. Le cause erano indipendenti dalla
mia volontà, in quanto io e la mia compagnia fummo inviati in una
zona d'alta montagna del Trentino per un'altra, esercitazione.
In questo periodo il mio cervello andò in tilt, mancavano pochi mesi
ormai alla fine della leva, dovevo trovare un lavoro, ma Monica mi
aveva detto che se ne sarebbe occupato suo padre, dando per
scontato il prossimo matrimonio tra noi due ed anche il fatto che io
andassi ad abitare nella loro casa, opportunamente ristrutturata.
In fondo ero stato io il primo a parlarle di matrimonio, ero stato io a
dirle di volere a tutti costi un figlio da lei, per cui Monica si era
adeguata. Lei il lavoro l'aveva già, la casa anche, ero io quindi a
dovermi trasferire, ma se questo non mi andava come in effetti era,

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sarebbe bastato dirlo. Invece iniziai a pensare a senso unico. Vedevo
un problema e nella mia testa già ne individuavo la causa ed anche la
possibile soluzione, senza verificare se avevo ragione o se le soluzioni
passibili potevano essere altre. In poche parole andai in crisi con
Monica da solo, senza che in effetti lei c'entrasse per nulla.
La ragione? Immaturità, paura delle responsabilità, ero sempre
vissuto libero fino a quel momento, figlio unico viziato e abituato a
fare quello che volevo, mentre ora vedevo Monica decidere per me il
mio futuro senza che io mi sentissi protagonista.
In pratica tutto il mio mondo e il modo che avevo di vedere le cose
sarebbero stati sconvolti…se avessi lasciato andare avanti le cose.
Ma quale era il mio mondo? La compagnia del sabato sera con cui si
andava a vedere le ragazze che giocavano a basket, imbastire di tanto
in tanto un'avventura senza importanza, andare allo stadio alla
domenica, stare con i miei amici fidati durante la settimana e
combinare tutte le sere un casino diverso. Tornando a casa dopo il
servizio militare, tutto questo avrebbe avuto fine, specie dopo il
matrimonio. Ma non sarebbe stato più semplice chiedere a Monica
cosa ne pensava di trasferirsi lei a Bologna e in caso di risposta
affermativa coinvolgerla, nel mio mondo, continuando a fare assieme
quasi tutto quello che facevo prima?
Certo, ma ragionare con il senno di poi è facile, in quel momento,
non fui in grado di vedere al di là del mio naso e con presunzione
pensai di essere in possesso della verità assoluta. In questo modo non
chiesi aiuto a nessuno, né a Piero o Alberto che probabilmente con
pazienza sarebbero riusciti ad aprirmi gli occhi, né tanto meno a
Monica che avrebbe potuto in attimo dare risposta a tutti i miei
dubbi. Esclusi tutto e tutti e lasciai che questa crisi corrodesse giorno
dopo giorno l'amore che con tanta fatica avevo conquistato e con
tanta pazienza avevamo costruito insieme.
Nei mesi successivi, quando stavo con Monica non provavo più lo
stesso entusiasmo dei primi momenti lo stesso desiderio del suo
corpo, della sua bocca, sembrava perfino che la sua pelle non avesse
più lo stesso sapore.

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Trascorrevo sempre più fine settimana a casa mia anziché a Forlì,
adducendo come scusa che con l'autunno e la brutta stagione il mio
lavoro di collegamento con i centri in alta montagna era aumentato.
Monica, sensibile com'era, sentì subito che c'era qualcosa che non
andava e pur nella sua inesperienza mi offrì l'ancora di salvataggio,
ma io non seppi raccoglierla.
Una sera mi affrontò decisamente, dicendo che si era accorta che
qualcosa non andava più tra noi e voleva sapere cosa stava
succedendo. A questo punto sarebbe bastato confessare tutto il mio
tormento e credo che quella sera sarebbe stato il definitivo suggello
al nostro rapporto; invece da bastardo quale ero, non feci altro che
rassicurarla, adducendo il tutto al nervosismo alla vita militare che
mi aveva stufato, ai pericoli che quotidianamente ero costretto a
correre andando su e giù per le montagne con i convogli.
Lei mi guardava con quei suoi occhi verdi, ormai da tempo segnati da
un velo di tristezza, sforzandosi di credermi. Aggrappandosi a me
come se avesse capito che le stavo sfuggendo. E più si aggrappava a
me, più io mi staccavo.
Mi sono chiesto sino alla nausea, perché mentii cosi spudoratamente,
perché tentai di mantenere in piedi quel rapporto su basi che non mi
andavano e perché tentai di costruire qualcosa sulla menzogna.
Inoltre ero ossessionato dal fatto che Monica potesse restare incinta,
arrivai anzi a pensare che fosse lei a volere un bambino per legarmi
in modo definitivo: sapevo che in quel frangente non sarei mai
scappato. Supportato dalla mancanza di un luogo dove stare insieme,
riuscii a posticipare quel rapporto sessuale che Monica in un
cambiamento dei ruoli attendeva da me come una prova d'amore. Le
dicevo che quando era la prima volta non si poteva farlo in macchina,
perché non si sapeva cosa avrebbe potuto succedere, ci
accontentavamo quindi delle solite cose che ormai stavano
stancando entrambi. A Monica poi trovavo in ogni minima cosa dei
difetti: non mi andava che si confidasse troppo con sua madre
specialmente per ciò che riguardava le nostre cose intime, non mi

61
andava che alla sera uscisse con le sue amiche e i suoi amici con la
scusa della gelosia. Assurdo vero
Verso la metà di dicembre, la sua amica Paola di Siena, venne a
trovarla e trascorse una settimana a casa sua. Quando Monica me lo
disse io mi ricordai delle parole di nonna Ines e sentii subito puzza di
bruciato. La volta successiva, infatti quando ci incontrammo, trovai
una Monica sempre innamorata, ma più decisa a prendere in mano
le redini del nostro rapporto strappandolo a me; poteva essere il
sistema giusto, ma i consigli di Paola non erano andati nella direzione
giusta. Come scoprii molti anni dopo, Paola dal racconto di Monica
aveva capito molto, troppo, e soprattutto che il mio problema
fondamentale era la paura di perdere la libertà, per cui le consigliò di
aggredirmi per scuotermi dal mio torpore, l’unico sistema che non
avrebbe mai funzionato con un uomo.
Fu la stessa Paola a dirmelo, quando in una circostanza molto triste,
ci ritrovammo di nuovo e fu soltanto l’intervento di Piero se lo
schiaffo che le diedi non ebbe un seguito. Voleva farmela pagare per
non averla considerata in quella settimana a Rimini in cui io e lei
rimanemmo soli.

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CAPITOLO 14
Durante le vacanze natalizie, Monica mi invitò a trascorrere 3 giorni
su ad Alleghe, io pur accettando sapevo cosa sarebbe scaturito da
quella vacanza, ma non ebbi la forza di dirle di no. Monica voleva fare
un estremo tentativo di recuperare il mio amore, ma anche il mio
corpo. Io però non le avrei permesso di incastrarmi e partire per stare
insieme alla propria ragazza per tre giorni non è l'idea migliore.
Sarebbe stato molto meglio che ognuno avesse passato quelle
vacanze per conto proprio e tentare di capire se potevano esistere
ancora dei punti di contatto fra di noi.
Quei tre maledetti giorni andarono come previsto: invece di
riavvicinarci, ci allontanammo ancora di più. Durante il giorno
sembrava andare tutto bene, si passeggiava per il paese in
un'atmosfera splendida. La neve ricopriva ogni cosa e si sentiva
l'imminenza del Natale, con tutti i negozi colmi di addobbi e di regali,
mentre il Babbo Natale di turno andava in giro per le strade con la
sua slitta trainata da cavalli a distribuire regali ai bambini. Purtroppo
la sera io mi trasformavo e mi ritornava la paura di Monica e della sua
presenza, casi trascorsi una serata ad assistere da solo ad una partita
di hockey su ghiaccio tra la squadra locale e l'Ortisei, e la successiva
a vedere, sempre da solo una fiaccolata dei maestri di sci. Rientrai tra
l'altro molto tardi e trovai Monica che stava osservando le luci di
Alleghe dalla finestra, mentre grosse lacrime sgorgavano dal suo
volto.
A quel punto provai un'indicibile stretta al cuore, l'abbracciai
tenendola stretta per un lunghissimo tempo durante il quale nessuno
dei due ebbe il coraggio di parlare. Non riuscii comunque a tirare
fuori ciò che mi stava rodendo il cuore, non riuscii a farmi aiutare da
lei a superare quella crisi, perché nemmeno io capi cosa stava
succedendomi.
Le dissi che l'amavo troppo, e avevo paura di un sentimento così forte
che non avevo mai provato. Le dissi anche per giustificare il mio
rifiuto di fare all'amore con lei che temevo restasse incinta in un
momento delicato per noi. Cosa avremmo fatto?

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Volevo aspettare che fosse tutto a posto tra noi e che anche i problemi
logistici, come il lavoro, la casa fossero risolti. Monica mi credette
ancora una volta, anzi lodò il mio comportamento maturo. Ridicolo!
Quale maturità poteva avere una persona (non riesco nemmeno a
definire uomo ciò che ero allora) non in grado di esternare alla
propria donna i dubbi, i problemi che gli laceravano l'animo?
Ritornammo a casa il mattino successivo da quell'inutile vacanza, io
per far ritorno alla caserma dove da lì a 10 giorni avrei ottenuto il
congedo e lei per riprendere la sua vita di tutti i giorni.

Il congedo tanto sospirato arrivò finalmente e uscendo dalla caserma


mi sentivo libero, sensazione che poi durò il breve arco di qualche
ora. Sul treno per il ritorno pensai infatti con ironia che se il militare
in qualche modo poteva giustificare il mio nervosismo di questi
ultimi mesi, d’ora in poi se volevo continuare a stare con Monica avrei
dovuto comportarmi di conseguenza e cercarmi o farmi cercare un
lavoro da quelle parti.
Nei giorni successivi Monica venne spesso a Bologna dove ci
incontravamo per trascorrere assieme qualche ora, rubata a ciò e che
credevo importante per me. Trovato finalmente un poco di coraggio
le dissi che per il matrimonio non mi sentivo ancora pronto, era
troppo presto.
Perché? mi chiese Monica con gli occhi velati di pianto e da una
tristezza infinita.
- Ma Monica, io sono appena tornato a casa dal militare, non so
ancora cosa voglio fare nella vita, che lavoro voglio. Devo decidere se
abitare a Forlì o se questo è un passo troppo grande da fare, ci sono
tante cose da risolvere prima di pensare al matrimonio e forse io non
sono così maturo come tu hai pensato.
- Ho capito, che questi sono problemi che con il tempo si risolvono
ed io non ho fretta come sembra tu stia pensando, il punto
importante è se tu mi ami o no.

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Amavo Monica allora come adesso, ma quando le dissi di sì sapevo di
mentire, perché ero ormai convinto che tutto il sentimento che per
mesi avevo provato nei suoi confronti fosse stata solo un'illusione del
mio animo ferito.
Poco prima di Natale mi hai regalato un anello di oro, dicendomi che
questo ci avrebbe legati per tutta la vita, sei ancora convinto di queste
parole? Sii sincero per favore, non ho bisogno di soffrire ancora dopo
quello che ho passato.
Riuscii persino a guardarla negli occhi mentre le dicevo che l'amavo
e lei fidandosi del mio sguardo falso mi abbracciò stretto.

Fu l’ultima volta che la vidi


Da quel giorno non le telefonai più, nemmeno lei fece dei tentativi
per contattarmi, ma aveva pienamente ragione; ero io ad essere in
crisi e dovevo essere io fare il primo passo, perché è inutile legare una
persona se questa non vuole. Inoltre non sapevo che nell'ombra
troppe persone stavano tramando o per invidia o per raggiungere i
propri sporchi scopi, dietro le mie spalle, anzi dietro le nostre spalle
ma nonostante questo non riuscii reagire.
Preso com'ero dalla ricerca di un lavoro e da alcuni importanti
impegni sportivi, non uscii più per diverse settimane con Piero e
Alberto; mi vergognavo di quanto stavo facendo, ma non volevo
interferenze o paternali da nessuno. Una delle cose che più mi
lacerava erano taluni sguardi di disapprovazione di mio padre che
adorava quella ragazza ma nemmeno quello fu in grado di
smuovermi.
Dopo diversi giorni, arrivò a casa mia una lettera di Monica, in cui
con poche righe prendeva atto che la nostra storia era finita e mi
augurava buona fortuna.
Mi resi conto della pena che le era costata, scrivere quelle poche righe
e quante lacrime aveva versato. Una sbavatura sul foglio, sintomo di
una lacrima caduta, era forse stata volutamente lasciata lì, in un

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tentativo di smuovere il mio cuore diventato improvvisamente di
pietra. Sicuramente un amore cosi come inizia, può anche finire, la
vita di tutti i giorni è piena di queste storie, di queste piccole tragedie
personali che si lasciano dietro solo persone sconfitte dalla vita e dal
destino.
Non parlo delle solite cose come dignità, signorilità. Per chiudere un
rapporto che non dice più niente, specie se il problema è di uno solo,
ci vuole umanità. Io invece calpestai Monica nel modo più cattivo
possibile, ferendo i suoi sentimenti come fossero stati cose inutili e
da buttare e non parte integrante, essenza di un essere
umano…Cos'ero diventato?
Pur capendo queste cose già allora, rimasi lì in balia degli eventi,
senza alcuna capacità di reagire. La sera stessa, dopo almeno tre
settimane, chiesi a Piero di uscire. Venne anche Alberto quella sera,
cosi potei dimostrare ad entrambi quale bella persona ero io. Appena
seduti al tavolo della birreria, lanciai loro quasi con rabbia la lettera
di Monica, lettera che lessero con attenzione rimanendo poi ad
osservarmi in silenzio per qualche minuto.
- Non credere che non avessimo capito che già da mesi avevi dei
problemi con lei, ma ogni tentativo da parte nostra per parlarne era
sempre preso da te come un'intromissione nella tua vita privata. Sono
tre settimane che ci eviti perché ti vergogni e non negarlo, ora cosa
vuoi? - mi chiese Alberto
- Non lo so cosa voglio, lo sapessi avrei già risolto l'arte dei miei
problemi. Forse non ho mai saputo dove incanalare la mia vita, per
questo ora mi trovo in questa situazione.
- Guarda Guido che nonostante questa lettera, anzi proprio da questa,
traspare la possibilità di tornare indietro. Dipende da te. Si può
sapere se l'ami o no Monica?
- Continuo a ripetermi che l'amore è finito, ma allora non capisco
perché mi sento così male - dissi io con il groppo in gola già pronto
per uscire -

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Alberto, che fin da piccolo aveva sempre avuto un istinto protettivo
nei miei riguardi, cercò di giustificarmi:
- Ma questo è normale ti sei comportato nel modo peggiore con lei,
non sei mai stato sincero e ora ti senti in colpa per averla fatta soffrire,
ma non confondere i sentimenti con il rimorso.
A questo punto Piero sbottò spazientito:
- Tu smetti di difendere questa vipera; ma come ci ha rotto le palle
per mesi perché lei non lo voleva, poi non capisco ancora in che modo
per lettera riesce a conquistarla e ora quando l'ha ben illusa, le ha
promesso il matrimonio, i figli, lui si scusa e dice" No grazie, mi sono
sbagliato"; ma sai il basket, il calcio, gli amici sono più importanti,
per cui andiamo ognuno per la sua strada. Non solo non ha avuto il
coraggio di dirglielo ma l’unico sistema che trova è quello di non farsi
più sentire come un vigliacco. Mi fai quasi schifo, e dico quasi perché
la nostra amicizia mi impedisce di andare oltre.
Alberto mentre subivo questa tempesta di parole, mi guardava negli
occhi, ma capii dal suo sguardo che seppur non approvava la forma,
ne approvava il contenuto.
Quella notte non dormii per nulla, ma rileggevo e rileggevo quella
lettera, sapendo di avere in mano non solo il mio destino ma anche
quello di Monica. La mia mente andava a quei momenti magici che
c’erano stati nel nostro rapporto. Quando sulla terrazza di un
ristorante di Castrocaro che declinava sulle colline romagnole,
attirammo l’attenzione di tutti gli altri clienti, tanto era l’intensità dei
nostri sguardi persi l’uno nell’altro. Mi ricordai anche di quella sera,
quando in compagnia dei suoi amici, e sottolineo suoi, Francesco mi
si avvicinò e mi chiese:
- Ma come hai fatto a conquistare Monica? – Non ricordo nemmeno
cosa risposi, l’unica cosa che mi rimase impressa, mentre stavo per
rispondere, fu lo sguardo duro e ostile che mi rivolse e mi fece capire
che un giorno le nostre strade si sarebbero incrociate, anche se avrei
mai immaginato la drammaticità di quel futuro incontro.

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CAPITOLO 15

Successivamente a mia insaputa, Piero e Alberto, tentarono di porre


rimedio a quello che giudicavano un errore che mi sarebbe costato
caro e cercarono di coinvolgere Monica. Piero, più intraprendente,
senza por tempo in mezzo partì per conto suo, alla volta di Forlì per
cercare Monica e parlare con lei. Purtroppo non prese molte
precauzioni e quasi rischiò di subire un mezzo linciaggio da parte
degli amici di Monica.
Arrivato a casa sua, dopo cena, i genitori di lei gli dissero che era
uscita e come mi raccontò, li aveva trovati ben disposti, dato che gli
fornirono tutte le informazioni per trovarla. Monica assieme a tutta
la compagnia era in un paese alle porte di Forlì, davanti ad una
gelateria. Piero vedendo la situazione esitò un attimo, poi pensando
che se era venuto fin lì doveva compiere quanto si era proposto, con
passo deciso si diresse verso il gruppo di ragazzi e sorridendo a
Monica, che subito lo riconobbe la salutò:
- Ciao, anche se ci siamo visti una volta sola vedo che ti ricordi di me.
Potresti darmi un minuto del tuo tempo? - Dovrei parlarti - Monica
con un'espressione a metà tra la curiosità e la sorpresa e qualcosa che
Piero identificò nella speranza, accettò e alzandosi lasciò gli amici che
ammutoliti seguivano la scena. Raggiunto un tavolo libero, i due si
sedettero, mentre Piero cercava le parole giuste per cominciare il
discorso; sapeva che probabilmente da tutto ciò poteva dipendere la
felicità del suo amico Guido, per cui non poteva sbagliare.
- Ascolta Monica, io sono qui, ti dico subito a titolo personale, non
mi manda Guido, che tra l'altro se sapesse che sono venuto da te non
so come reagirebbe. Voglio solo spiegarti alcune cose, poi lascerò
decidere a te.
Monica lo guardava in modo strano, ma non proferì parola, per cui
Piero pensò di continuare il discorso.
- Vedi, Guido a causa delle donne e lui ha sempre conosciuto quelle
sbagliate, ha sofferto molto, poi grazie ai suoi interessi sportivi grazie

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a noi che siamo i suoi amici è sempre riuscito a venirne fuori. Quando
ti ha conosciuto, ad un certo punto non so perché nel suo cervello è
scattata una molla sbagliata che gli ha detto che le due cose non
potevano coesistere. Per cui si è trovato a scegliere tra te e noi, senza
che però noi sapessimo niente di questo suo tormento. Pensa che
addirittura non si è fatto vedere per quasi un mese, non è riuscito a
capire cos’era veramente importante per la sua vita e si è comportato
nel modo più bastardo e vigliacco che potesse. Ti posso assicurare che
lui non è così.
- A Monica non interessa sapere com’è quel porco soprattutto saperlo
da te hai capito?
Chi aveva parlato in modo così duro e volgare era un ragazzo alto,
moro, con uno sguardo cattivo, che avvicinatosi al tavolo prese Piero
per il bavero della giacca.
Monica a questo punto intervenne prima che la situazione
degenerasse, con effetti non troppo piacevoli per Piero che si trovava
solo in un ambiente ostile.
- Prima di tutto sono in grado di cavarmela da sola, per cui lascialo
subito - poi rivolgendosi a Piero con tono non molto sicuro di sé:
- Mi spiace che tu abbia fatto tanta strada per niente, ma ormai quello
che c'è stato tra me e Guido è morto per sempre. Ho capito ciò che
mi hai detto, ma non credo che sarei mai più in grado di fidarmi di
lui e poi nel mio cuore, che era pieno del suo ormai c'è solo un gran
vuoto e voglio essere lasciata in pace.
Piero capi che per il momento non era il caso di insistere dopo aver
salutato Monica stringendo le la mano, si avviò verso l'auto per nulla
intenzionato a lasciare cadere il discorso in quanto aveva visto negli
occhi di Monica quanto bastava per insistere ancora.

Erano ormai le due e di Monica non c'era ancora traccia, vuoi vedere
che trascorre la notte fuori?

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Dopo pochi minuti invece due fari spuntarono all'inizio della strada
e un'auto di grossa cilindrata si fermò proprio davanti alla casa della
ragazza. Le due persone all'interno rimasero a parlare animatamente
per oltre un'ora poi il ragazzo che Piero riconobbe nel bullo con cui
si era scontrato in gelateria, cercò di baciare Monica, ma lei senza
dare in escandescenze lo respinse e usci dall'auto che con un stridore
di gomme parti verso il centro della città. Mentre Monica cercava alla
debole luce del lampione, le chiavi del cancello, Piero le si avvicinò e
per evitare di spaventarla troppo la chiamò appena giunto ad una
decina di metri dalla casa.
Monica si girò di scatto e appena riconosciutolo gli sorrise e si
avvicinò a lui. Un buon inizio pensò Piero dentro di sé.
- Cosa fai qui? - gli chiese Monica con voce sorpresa.
- Non avevo ancora finito il discorso che ti stavo facendo quando
quell'idiota si è intromesso e allora ti ho aspettata sotto casa -
Un poco lo invidio Guido, ha degli amici fantastici – disse Monica
parlando con voce molto bassa.
Non credere, anche lui quando qualcuno ha avuto bisogno è sempre
il primo ad accorrere - Rispose Piero fissandola intensamente.
- Dimmi pure quello che devi dirmi e scusa se non ti faccio entrare in
casa, ma non credo che i miei genitori sarebbero contenti -
- Non c'è problema, quello che ho da dire lo posso dire anche in piedi.
Il discorso che ti ho fatto qualche ora fa l'hai capito, quello che non
ti ho ancora detto, è che Guido, adesso sta male e purtroppo non si
rende conto di quanto ti ama, quando lo farà, quando capirà cosa ha
buttato via, sarà una tragedia e noi non vogliamo che accada, anche
perché, ne sono sicuro tu gli vuoi ancora bene. Ti chiedo solo questo,
prova a chiamarlo al telefono e parlargli, vedrai che correrà da te
subito dopo. Non se, se ne rende conto ma sta aspettando solo
questo, lo so che con la sua ultima lettera gli avevi già concesso una
possibilità, ma adesso gli abbiamo parlato noi, fallo per favore, ne va
della vostra felicità.

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- Vedi Piero, mi rende molto triste quello che dici e mi dispiace per
Guido che sta soffrendo e come dici tu potrebbe soffrire molto di più
nei prossimi mesi, ma c’è una cosa che hai sbagliato, io non sono più
innamorata di lui; ormai Guido ha abusato della mia fiducia, negli
ultimi mesi non ha fatto altro che mentirmi, dicendomi che mi
amava, mentre non era affatto convinto; non potrei più stare con lui,
né ora né mai.
Lo sguardo di Monica era pieno di sofferenza mentre diceva queste
cose, ma non ci fu verso di farle cambiare idea, per cui Piero, dopo
averla salutata, riparti verso Bologna.
- Idiota - Pensò - Aveva tra le mani una ragazza meravigliosa ed è
riuscito a farsela scappare. E sicuramente il peggio deve ancora
venire.
Nei giorni seguenti Piero e Alberto discussero a lungo di quanto
successo a Forlì, ma decisero di non parlarne con Guido anche perché
sembrava che lentamente il loro amico stesse riprendendosi.
Nessuno dei due credeva che la storia fosse chiusa, speravano di
sbagliarsi naturalmente, per cui si comportarono normalmente,
evitando l'argomento Monica ma cercando di coinvolgerlo quanto
più possibile nei loro interessi e culturali, una tattica che sembrò ad
un certo punto, dare i risultati desiderati.

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CAPITOLO 16
- Con Monica è finita alla fine di gennaio, stasera dovrebbero essere
tre mesi che non hai più notizie di lei.
Chissà cosa fa adesso? - Pensavo tra me e me, mentre ero seduto sulle
tribune del palazzetto di Russi, in attesa dell'incontro più importante
del campionato in quanto avrebbe stabilito se avremmo disputato i
play-off per la serie A. Ero stranamente silenzioso, anche quelli che
erano con me se ne accorsero, ma nonostante i loro tentativi, preferii
rimanere da solo. Nonostante la partita andasse secondo le nostre
aspettative, io non riuscivo a capire cosa stava succedendo e perché
avevo la testa tutta da un'altra parte. L'unica soluzione era fare due
chiacchiere con qualcuno, purtroppo non ero con la mia auto ma con
il pullman della squadra, per cui mi misi il cuore in pace e attesi il
ritorno a casa. La partita finì con la vittoria dei nostri colori poi, dopo
aver atteso che le ragazze si cambiassero, andammo tutti insieme a
mangiare. Fu veramente dura cercare di stare allegro o almeno
fingermi tale per così tanto tempo, ma alla fine se Dio volle
rientrammo a Persiceto.
Forse non era l'ora più giusta per andare a casa dalla gente (erano le
3 del mattino) ma non potevo attendere ancora, per cui posizionato
sotto la finestra dove Piero dormiva, iniziai a tirare sassolini contro il
vetro; se in quel momento fosse passata una volante della polizia per
quella notte sarei stato sistemato. Finalmente, dopo una bella salva
di sassi, la finestra si apri e una caricatura umana si affacciò
guardando di sotto. Impiegò qualche secondo per mettermi a fuoco
e quando ci riuscì, alzando le braccia al cielo, rientrò in casa. Sapevo
che si stava vestendo. Dopo qualche minuto, Piero usci di casa can
un'espressione buffa, tra il divertito e l'irritato.
- Siamo insonni stanotte, eh ??? - mi chiese ironicamente.
- Già, anche perché siamo appena tornati da Russi – replicai
imbronciato.

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- Perfetto, perché non fare allora una bella scappata dal vecchio Piero,
tanto cosa vuoi che faccia alle 3 del mattina? Devi essere proprio
deficiente. Almeno avete vinto anche se mancavo io? –
- Si – risposi io con noncuranza - Ma sinceramente stasera non mi
importava molto.
Piero mi guardò serio e poi dicendomi che stare in piedi sotto casa,
non era l'ideale per discutere, mi portò nell'unico bar della città,
ancora aperto a quell'ora e ordinò un paio di bottiglie di vino. Alla
mia espressione sorpresa, mi rispose che sarebbero servite per
ingoiare meglio i rospi.
- Allora cosa è successo? Mi chiese Piero con l'aria di saperla lunga.
- Non lo so - feci io non sapendo deve guardare.
- Non prendiamoci in giro per favore, da quando hai lasciato Monica
non sei stato più tu. Improvvisi silenzi, sguardi persi. Sulle prime
parlandone con Alberto, lui pensava fosse una cosa normale, in
quanto la fine di un amore è sempre traumatica, e le cose belle
continuano sempre a riaffiorare anche davanti ad un particolare
insignificante.
Io non ne sono mai stato convinto di ciò e col passare dei giorni ho
capito che c'era ben altro come avevo sempre sospettato. Tu Guido
sei ancora innamorate di Monica, anzi non hai mai smesso di amarla,
solo che te ne rendi conto sole ora e adesso ne vedremo delle belle.
Le sue parole risuonarono sul mio capo come una mazzata, anche se
era da tempo che questa verità voleva affiorare e io la ricacciavo
indietro.
- E adesso cosa deve fare? Chiesi con voce rotta.
- E' un problema, perché, io Monica l'ho già contattata per conto mio
- Mi disse lui buttando lì la frase con noncuranza, dopodiché mi
raccontò tutto, concludendo che difficilmente una donna torna sulle
proprie decisioni e Monica in particolare sembrava più dura delle
altre.

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- Se tu avessi le palle, al più presto prenderesti la macchina e andresti
da lei, anche perché forse i tempi stringono e un altro potrebbe
prendere il posto tuo nel cuore di Monica. Sona sicuro che non lo
farai e che non avrai il coraggio nemmeno di telefonarle vero?
- Infatti, avevo pensato di scriverle una bella lettera, dove cercavo ……

A questo punto Piero si infuriò:


- Dove cercavi cosa? Di dirle che sei stato un deficiente, che hai
sbagliato tutto e che hai capito che lei è veramente la donna della tua
vita? O non conosci le donne o sei scemo o forse tutte e due le cose.
Sarò anche scemo, ma non me la sento di andare a Forlì - risposi un
poco abbattuto dalla sua sfuriata. - Tanto prima o poi dovrai agire
con più decisione, perché Monica non risponderà mai alle tue lettere.

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CAPITOLO 17

Come sempre Piero ebbe ragione, Monica infatti non rispose alle mie
lettere e io attesi quasi due mesi prima di prendere una decisione. In
questo periodo coinvolsi Piero, che stava vivendo anch'egli, una
complicata storia sentimentale, in una vita veramente dissoluta.
Tutte le sere eravamo fuori a scolarci intere bottiglie di vino e a
raccontarci sempre le stesse cose, le stesse storie, a domandarci come
avremmo dovuto agire per cambiare il nostro destino. Verso la metà
di giugno, finalmente, mi decisi a telefonarle, anche se prima di
mettere in atto tale decisione impiegai una settimana: ogni volta che
prendevo in mano la cornetta, venivo infatti preso da mille dubbi e
rinunciavo. La sera decisiva fu un piovoso venerdì, quando ormai
risoluto nella cabina telefonica del bar che frequentavamo e senza
esitazione composi il numero. Non avevo pensato che avrebbero
potuto rispondere i genitori, altrimenti chissà quanto tempo avrei
atteso ancora prima di decidermi. Chi mi rispose fu proprio lei.
- Ciao Monica, sono Guido, come stai?
Mi rispose con voce molto cordiale e subito si scusò per non aver
ancora risposto alle mie lettere, ma non riusciva a trovare il tempo
necessario.
Mi chiese come stavo, se avevo trovato il lavoro e un sacco di altre
cose, senza però darmi mai il tempo di rispondere. Dopo qualche
minuto presi la parola, risposi alle sue domande e chiesi di lei, poi
quando la telefonata dopo l’iniziale tempesta di parole, stava
languendo per l'imbarazzo che entrambi stavamo provando, azzardai
la mia mossa:
- Avevo pensato che se per te è un problema scrivermi, potremmo
vederci, cosi forse è meglio dirsi di persona tutte le cose che sono
rimaste in sospeso tra noi, non dirmi di no per favore, ho veramente
bisogno di parlarti -

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Monica rimase in silenzio per quella che credetti un'eternità; aveva
capito perfettamente sin dall'inizio, da quando aveva riconosciuto la
mia voce che la telefonata aveva quello scopo, ma il suo silenzio,
serviva a farle guadagnare una qualche posizione di vantaggio in più.
- Guido, sono d'accordo di vederci, però preferirei che ci
incontrassimo di giorno e non a cena come mi hai proposto tu.
- Guarda che non ti mangio - feci io tentando di ironizzare.
- Lo so che non mi faresti mai del male, ma insisto a dire che è meglio
come dico io.
A questo punto mi misi a sua disposizione e lasciai scegliere a lei dove
e quando incontrarci. Il giorno scelto fu il sabato successivo, lei
sarebbe venuta a prendermi in stazione. Era abbastanza chiaro che il
lasciarmi ancora una decina di giorni a bollire nel mio brodo faceva
parte del suo piano, ma non potevo far altro che assoggettarmi ai suoi
voleri in fin dei conti ero io che avevo bisogno di lei e non il contrario.
Presi gli accordi necessari, tentai di proseguire la conversazione su
toni amichevoli, chiedendole delle sue amiche Katia e Lorenza.
- Loro stanno bene, Lorenza è sempre con Corrado, mentre Katia,
preferisce la vita libera da zitella. Sono entrambe arrabbiatissime con
te, anzi alcuni dei miei amici hanno detto che se ti vedono ti fanno
nero -
- Sicuramente la cosa potrebbe anche riuscire, però se tieni ai tuoi
amici di loro di non scaldarsi troppo, perché potrebbe essere
pericoloso - Feci io con voce un po' seccata per la piega che stava
prendendo la discussione.
- Dai su non essere tragico Guido, sono amici miei ed è logico che mi
vogliano difendere.
- Già sono amici tuoi, perché miei non si può dire lo siano mai stati -
Le risposi amaramente, poi prima che la conversazione andasse su
binari non desiderati, decisi di troncare la telefonata, ricordando
ancora a Monica il giorno e l'ora del nostro prossimo incontro.

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Dopo la telefonata, rimasi qualche minuto ancora nella cabina
telefonica, finché un furioso bussare di un tizio che voleva entrare,
non mi riportò alla realtà, ed uscii.
Appena fuori, il tizio mi apostrofò con voce seccata, dicendo di
andare a pensare da un'altra parte. Io gli risposi molto volgarmente,
ma dal mio sguardo probabilmente, capì che non era il caso di
proseguire oltre la discussione.
Raggiunsi Piero che, nel frattempo si era quasi scolato un'intera
bottiglia di lambrusco.
- Bene, vedo che non hai sofferto di solitudine - dissi indicando il
misero resto della bottiglia.
- Beh, mentre tu ti avvii verso nuovi casini, io annego i miei -
Eravamo proprio una bella coppia di svitati; forse per questo,
andavamo cosi d’accordo.
In breve gli raccontai il succo della telefonata, prevenendo la naturale
protesta quando seppe che non l'avevo portata a cena; gli raccontai
che Monica era stata tassativa su quel punto.
Lo sapevo cosa stava pensando, che c'era un altro uomo nella vita di
Monica, questo l'avevo capito anch'io, ma ormai non ci potevo fare
più nulla.
- Si è premurata di dirmi persino che alcuni suoi amici mi farebbero
volentieri a pezzi se mi vedessero - Continuai io.
- Carina - Commentò Piero - Certo che a questo punto non so se sia
il caso di andare a Forlì da solo -
- Ma figurati se Monica mi attira in una trappola. Non è mica un film
di cappa e spada! - Risposi io sdegnato.
- Non mi riferivo a Monica, se lei ha un ragazzo, dovrà pure dirgli di
questo incontro e da ciò potrebbero nascere dei problemi,
specialmente se lui è quel personaggio che temo io e comunque credo
che se tu a Forlì trovassi dei guai non sarebbe poi così strano, dammi
retta. Sarà meglio che questa trasferta la organizziamo in modo

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accurato. Per esempio tu potresti andare là in treno come hai stabilito
con Monica, mentre io e qualche amico andremo là in auto a dare
un’occhiata intorno e poi quando avrete finito di parlare, torneremo
a casa tutti insieme -
- Davvero faresti una cosa del genere? - Gli chiesi con finta sorpresa,
perché sapevo bene che non mi avrebbe lasciato mai solo in un simile
frangente. Con entusiasmo cercai di trovare un aggettivo adatto per
l'occasione.
- Sei ….
- Scemo, mi sembra la parola adatta alla situazione in cui mi sto per
ficcare, e poi tu non fare il furbo perché sapevi benissimo che ti avrei
proposto una cosa del genere -
Scoppiammo entrambi in una risata allegra, mentre il barista
scaricava un'altra coppia di bottiglie sul nostro tavolo e si riportò via,
scuotendo la testa, le quattro già vuote.
Passai giorni interi nella spasmodica attesa di quel sabato
ripetendomi fino alla nausea tutto quanto dovevo dire, passando da
momenti di esaltazione (pochi), a momenti di sconforto (molti),
perché quando la mia razionalità riusciva ad avere la meglio sulle
ragioni del cuore, sapevo che non avrei dovuto farmi soverchie
illusioni sull'incontro di sabato. Monica probabilmente mi aveva
concesso la possibilità di vederci ancora più per curiosità di sapere
come erano andate effettivamente le cose quando avevo deciso di
lasciarla, ma anche per mettere la parola fine a tutto ciò che rimaneva
tra noi.
Mi rendevo conto perciò che l'obiettivo principale era prima di tutto
riconquistare la sua amicizia, fare in modo cioè che quel sottile filo
che ancora esisteva tra noi non si spezzasse, ma anzi si consolidasse;
poi chissà il destino è talmente strano.
La mattina dell'incontro, come d'accordo, io partii da solo,
prendendo il treno, mentre i miei amici partirono in auto molto
prima.

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Il viaggio in treno della durata di poco più di un'ora, fu per me un
lento calvario, finché con il cuore che batteva all'impazzata arrivai a
Forlì e sceso in stazione uscii immediatamente per raggiungere una
delle panchine situate nel piccolo giardinetto.
Vidi anche il piccolo parcheggio alla sinistra dell'uscita, parcheggio
che poco meno di un anno prima aveva visto le nostre prime
schermaglie amorose.
Una stretta al cuore mi prese subito, anche se cercai di calmarmi,
perché in questo stato ben difficilmente sarei stato in grado di parlare
con naturalezza.
Dopo qualche minuto d'attesa, un paio di auto mossero proprio da
quel parcheggio e mi sfrecciarono davanti, vedendo chi c'era al
volante abbozzai un mezzo sorriso: ancora una volta i miei amici non
mi avevano abbandonato. La mia agitazione riprese subito, quando
mi accorsi che la ragazza in bicicletta che si stava avvicinando dal
fondo del viale era Monica.
Evitando abilmente un'auto che stava per investirla, lei mi arrivò
davanti e con un bel sorriso mi salutò.
Ci sedemmo entrambi sulla panchina e per una decina di minuti
parlammo del più e del meno, mentre io resistevo alla tentazione di
prenderla tra le braccia, stringerla a me e baciare quelle labbra
morbide a cui avevo attinto sempre con un immenso piacere. Dopo
aver parlato di noi, delle nostre famiglie, delle vacanze, mi decisi a
prendere in mano la situazione come era logico dato che ero io che
avevo chiesto il colloquio.
Cercai quindi di spiegarle chi ero e cosa ero, anche se in effetti
neppure io lo sapevo. Mi scusai per essermi comportato come un
bastardo, e per averla lasciata senza una parola.
Mi assunsi anche tutte le responsabilità della morte del nostro
rapporto, e questo fu uno dei tanti errori che commisi; probabilmente
non avrei dovuto buttarmi così giù, davanti a lei.

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Monica mi guardava seria, con, quei suoi splendidi occhi, che non
riuscivo a guardare per più di qualche secondo senza essere travolto
da ondate di emozione. In quegli occhi c'era un miscuglio di
sentimenti davvero strani, rabbia, nostalgia forse per quello che
avrebbe potuto essere ma non era stato, divertimento per qualche
mio balbettio, esitazione per cosa non sapevo.
Non mi interruppe mai, lasciandomi finire il discorso, poi quando si
avvide che avevo finito, iniziò a parlarmi con voce misurata, senza
astio, ma decisa.
- La ragione della tua crisi io l'ho capita e l'avevo capita anche allora,
per questo non ho fatto niente. Come potevo farti cambiare idea se
tu volevi la libertà? Ho sofferto, Guido, ho sofferto, quanto mai
potresti immaginare, ma i miei genitori, i miei amici mi hanno aiutata
a capire che la vita va avanti, che la vita è bella e non si può sprecarla
in lacrime o, peggio, in pensieri di morte. Dopo aver trascorso intere
notti insonni a piangere e a piangermi addosso ho lentamente ripreso
contatto con la realtà e ho ricominciato a vivere.
Di fronte a queste parole, persi gran parte di quella sicurezza che
avevo man mano guadagnato durante il mio discorso. Sapevo
benissimo, conoscendo la sua sensibilità, quale sofferenza potevo
averle provocato, ma sentirlo direttamente dalle sue labbra fu
lacerante.
Dopo un attimo di pausa, Monica riprese:
Tra tutte le persone ce mi sono state particolarmente vicine, in questo
momento, c’è un ragazzo, Francesco, che lentamente mi ha fatto
tornare il sorriso e di cui mi sono innamorata.
Il nostro rapporto si è consolidato nel weekend di Pasqua, siamo stati
ad Alleghe, nello stesso albergo dove eravamo stati noi a Natale.
Probabilmente ci sposeremo fra qualche mese, in quanto potrei
essere incinta ora. Questo è il mio momento di farti del male, anche
se ti assicuro non che c'è astio da parte mia, sei stato tu a volermi
vedere ed era giusto che sapessi tutto –

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- Monica sei felice? Le chiesi con una voce che non riconobbi mia.
- Si immensamente, come non lo sono mai stata prima, e ti sto
dicendo la verità -
- Monica, certo è che speravo in un diverso esito da questo incontro
ma il saperti felice è già per me una bella notizia. E' proprio per il
fatto che ti voglio bene che sono felice per tutto ciò che di positivo
sta accadendo nella tua vita, anche se questo spezza definitivamente
ogni illusione che mi ero fatto su di noi.
- Sei molto caro, purtroppo il momento era quello sbagliato,
altrimenti avrebbe potuto essere molto bello tra di noi.
L'espressione con la quale Monica mi disse questa frase, faceva il paio
con quella precedente, quando le avevo chiesto se era felice, mi
sembrava che le sue parole arrivassero più dal cervello che dal cuore,
per cui come deciso in precedenza tentai di mantenere un esile filo
con lei.
- Cosa ha detto il tuo ragazzo quando ha saputo di questo incontro?
Le chiesi scherzosamente, per spezzare un'atmosfera che si stava
facendo pesante.
- Non voleva che venissi, ma la vita è mia, gli ho detto che decido io.
Piuttosto tu a che ora hai il treno per tornare a Bologna? Vorrei
rimanere con te fino alla partenza, perché temo che Francesco con
alcuni amici sia nei paraggi per attaccare briga –
- Non ti preoccupare Monica, se dai un'occhiata intorno vedrai più
auto targate Bologna che Forlì, mi sono ricordato di quanto mi avevi
detto e ho preso le mie precauzioni. I miei amici mi aspetteranno
tutto il tempo necessario, anzi io avevo pensato di invitarti a pranzo,
ma non so se sia il caso, non vorrei tu avessi problemi con lui.
Monica esitò parecchio, capii, che voleva stare ancora con me a
parlare, poi però decise che era meglio separarci li. Fu lei a chiedermi
di rimanere in contatto o per telefono o per lettera, proprio quello
che stavo per proporle io.
- Stai tranquilla, su di me potrai sempre contare -

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Quasi d'istinto, lei mi schioccò un bacio sulla guancia, che ricambiai
al volo, poi ci salutammo. Non mi voltai per vederla allontanarsi,
sarebbe stato troppo penoso.
Dopo qualche secondo, non meno di tre auto mi circondarono. Dalla
prima scese Piero che con uno sguardo speranzoso mi disse:
- Ho visto che vi siete baciati, non dirmi che ce l'hai fatta?
Poi cambiando espressione aggiunse che sarebbe stato meglio parlare
lontano da lì, così partimmo subito.
Alberto aveva visto alcune vetture sospette, e quello era stato il
motivo della nostra veloce partenza. Un paio di auto ci seguirono
infatti fino alle porte della città senza tentare di nascondere il fatto
chi ci seguivano; avremmo anche potuto tentare la rissa ma a che
scopo? A questo punto i miei piani erano ben diversi.

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CAPITOLO 18

- Allora Monica, come è andata stamattina con Guido? Chiese Katia


con finta apprensione.
- E' andata nell'unico modo che poteva andare, Guido mi ha spiegato
cosa è successo e perché si è comportato in quel modo, io ho capito,
ma tanto ormai c'è ben poco da fare per noi due. disse Monica con
un'espressione triste.
- Sembri quasi dispiaciuta o sbaglio?
- Certo che sono dispiaciuta, io ho sofferto tanto per questa storia,
ora sta soffrendo Guido per lo stesso motivo e solo perché abbiamo
avuto troppa fretta. Se avessimo aspettato a metterei insieme alla fine
del suo servizio militare ora probabilmente non saremmo a questo
punto. Guido è un ragazzo di rara sensibilità ed essersi accorto di aver
fatto un errore simile lo sta tormentando come tu non immagini
nemmeno. Se avessi le idee confuse mi sarei lasciata trasportare dai
sentimenti stamani, ma io adesso voglio bene a Francesco e non si
può più tornare indietro -
A questo punto, Lorenza, sorprendendo tutti intervenne a favore di
Guido.
- Pensaci bene Monica, pensa a come ti tratta a volte Francesco, ai
suoi mancati appuntamenti, alle sue improvvise assenze e a tutto
quanto forse tu non ci hai mai detto. Non è mai troppo tardi per
tornare indietro e forse Guido è veramente la persona giusta per te.
Queste parole sollevarono l'ira della sorella, che difese Francesco e i
suoi strani comportamenti, giustificandoli con il duro lavoro che
stava svolgendo in questi ultimi tempi, nel commercio delle vernici.
Lorenza non rispose a questa difesa d'ufficio, ben sapendo quali erano
gli scopi reconditi di Katia e cioè di sistemare definitivamente
Monica, con chiunque non fosse Guido e di tenersi quest'ultimo per
se stessa. Anzi si chiedeva come mai stesse attendendo ancora tanto
a farsi avanti con lui.

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Monica, rispose in modo definitivo alla domanda di Lorenza
asserendo di essere probabilmente incinta e per questo, la strada di
entrambi era segnata. Una frase buttata lì a rispondere a una
domanda che avrebbe voluto una risposta diversa. Stava con
Francesco perché lo amava o perché era incinta? A questa notizia, il
lampo di trionfo di Katia illuminò la notte, cosa che non sfuggì a
Lorenza facendola ancor di più arrabbiare, perché non le interessava
tanto la sorte della sorella, una ragazza che Katia non riconosceva
più, ma quella di Monica, temendo che l’infelicità sentimentale che
l'aveva accompagnata per gran parte della sua vita fosse di nuovo
dietro l'angolo ad attenderla.

Durante il tragitto verso Persiceto, chiesi agli amici di aspettare fino


alla sera successiva, quando avrei raccontato tutto quanto, per adesso
volevo raccogliere le idee su quanto successo e farmene un’idea
precisa; l’unica cosa che dissi loro, fu che non era andata per nulla
bene come invece avevano sperato.
Ci ritrovammo tutti insieme la sera dopo, nella casa di campagna di
Alberto, assieme ad un paio di nostre amiche d’infanzia. Preparammo
una splendida pizza con il forno a legna e mangiammo in allegria
sotto l’immensa quercia, posta al centro del giardino.
Finita la cena, tutti si fecero intorno a me, per sapere cosa era
successo a Forlì. Prima di iniziare il racconto, li misi al corrente di
quanto accaduto, appena un’ora prima e cioè che Katia, l’amica di
Monica, mi aveva telefonato, dimostrandomi tutto il suo
rincrescimento per quanto successo, dicendo che Monica non capiva
nulla, non sapeva cosa perdeva a lasciarsi sfuggire un ragazzo come
me, ma che ormai aveva perso la testa per Francesco dal quale inoltre,
aspettava un bambino. Mi proponeva quindi di uscire assieme una di
queste sere, perché aveva tante cose da dirmi. Il mio primo impulso
fu di sbattere giù il telefono, poi ripensandoci, preferii dirle che in
questo momento avevo bisogno di stare da solo senza altre
interferenze, e forse questo era stato un errore in quanto non me l’ero
tolta definitivamente dai piedi.

84
- Che la tua ex ragazza fosse circondata da persone non propriamente
di qualità l'avevamo sempre detto - Mi disse Katia - Ma che arrivasse
a questo punto quella che Monica ritiene la sua migliore amica, non
me l'aspettavo.
Quando cominciai a raccontare gli avvenimenti della mattina
precedente, intorno a me si fece un silenzio glaciale, rotto solo dal
rumore delle foglie che stormivano alla fresca brezza serale. Appena
terminato il racconto, Piero che stava fremendo mi disse:
- Prima di tutto bisogna vedere se le espressioni che dici di aver visto
negli occhi di Monica erano una pura fantasia oppure avevano una
qualche aderenza con la realtà. Così facendo stai solo rischiando di
cullarti in una chimera e di perdere inutilmente il tuo tempo in un
sogno che non si avvererà mai. Poi, se anche fosse tutto vero per quel
poco che conosco Monica, ti posso dire che è tutto finito, sempre che
sia confermata la storia del bambino. Lei non lascerà mai il padre di
suo figlio anche se la sua felicità non è al massimo apice e magari sa
che con te lo sarebbe di più. Non vedo grandi vie d'uscita da tutto
questo, per cui vorrei sapere quali saranno le tue future mosse.
Piero aveva fatto un'analisi perfetta della situazione ed io presi atto
che era giunto alle mie stesse conclusioni.
- Prima di tutto ti do ragione, per cui ora smetterò di piangermi
addosso e accetterò la proposta di Alberto di trascorrere un paio di
settimane al mare, anche se preferirei andare insieme a te a Cuba.
Per quanto riguarda le mie mosse future, continuerò a scriverle per
le prossime settimane; se lei mi risponderà, bene, vedrò di agire di
conseguenza, altrimenti mi farò vivo per telefono; inoltre cercherò di
sapere chi è Francesco, che tipo è, se è una persona a posto e tutto
quanto potrebbe essere utile.
Non fate quelle facce, non ho nessuna intenzione di lavorare
sott'acqua contro di loro, se dovessi scoprire che è tutto a posto, mi
tirerò da parte, adesso non ne sono convinto per niente, come non
sono convinto che lei ne sia follemente innamorata come ha tenuto a
precisare Katia.

85
Nei giorni successivi, fui occupato nei preparativi della vacanza a
Rimini e nelle ricerche su Francesco. Erano giorni in cui mi sentivo
attivo e sembravo aver ritrovato l'entusiasmo del passato, avevo di
nuovo qualcosa per cui lottare, anche se mi rendevo conto che era
molto effimero e che da un momento all'altro avrebbe potuto crollare
come un castello di carte.
Grazie ad un amico in polizia, scoprimmo tutto di Francesco.
Aggiungendovi anche come si era comportato con Piero,
l’impressione che ne avevo avuto io e quanto successo alla stazione
di Forlì, il quadretto che ne venne fuori non fu propriamente
tranquillizzante. Questo tipo aveva avuto in passato guai con la
giustizia per furto con scasso e truffa, poi da qualche anno sembrava
aver messo la testa a posto, avendo trovato prima un posto in una
ditta di vernici e poi, dopo aver fatto carriera, diventando
rappresentante della stessa ditta, il che gli permetteva anche diversi
viaggi all'estero e una buona tranquillità economica. Altri due miei
amici avevano seguito Francesco e Monica in una loro uscita serale,
dapprima in pizzeria, e già lì pur non avendo avuto la possibilità di
udire i loro discorsi, avevo notato l'atmosfera tesa, non proprio quella
che ci dovrebbe essere tra due folli innamorati, con Monica che aveva
parlato molto, mentre l'altro faceva solo brevi commenti, sembrando
anzi quasi annoiato. Dopo che lui l'ebbe accompagnata a casa,
l’atmosfera tra i due sembrò sgelarsi con qualche bacio, ma poi lei lo
respinse e lui se ne andò abbastanza seccato.
- Poi abbiamo seguito ancora - Prosegui Andrea che assieme a Paolo
avevano fatto questa operazione di spionaggio. - E lui si è diretto
verso i colli, fermandosi in un bar sulla strada, un posto, a quanto ci
è sembrato, non proprio raccomandabile, dove si è incontrato con un,
sacco di gente. C'era anche una ragazza che gli si è strusciata contro
per un bel pezzo, finché i due sono partiti in macchina assieme - Va
bene ragazzi, per ora non posso che ringraziarvi per quanto avete
fatto per me, ormai il quadro di tutta la storia è emerso ben chiaro,
anche se in cuor mio, vorrei che invece fosse andato tutto bene e
Monica fosse felice. Ora però me la devo vedere da solo "

86
Finalmente un'idea sensata - Mi fece Alberto, battendomi una mano
sulle spalle - Forse così riusciremo a pensare anche alle nostre ferie,
visto che partimmo fra due giorni -
- Alberto direi che una vacanza in questo momento ci vuole proprio
- Feci io sentendomi piuttosto euforico. Era vero che volevo la felicità
di Monica, ma la volevo felice assieme a me.

87
CAPITOLO 19

Io e Alberto trascorremmo una bella vacanza in riviera, fatta di


spiaggia, sole, bagni, ottima cucina e la parola stress eliminata dal
nostro vocabolario. Io pensai spesso a Monica, le scrissi anche con
alcune lettere, ma l'argomento più dolente lo feci diventare tabù tra
noi due, anche perché sapevo che prima o poi avremmo certamente
dovuto parlarne fino alla nausea.
Come solito, Monica non si degnò mai di rispondere alle mie lettere,
anche se stavolta aveva le sue buone ragioni, per cui provai a cercarla
al telefono, ma una volta, poi due, poi tre, erano sempre a turno i
genitori a rispondere e dire che Monica non c’era.
Capii che lei voleva agire da sola e non avermi tra i piedi e quindi
decisi di rispettare il suo volere e misi di chiamare al telefono,
rimandando ulteriori lettere all’autunno.
Non ritenni opportuno comunque svolgere ulteriori indagini sulla
sua vita privata in quanto non essendo un investigatore, avrei potuto
combinare qualche guaio o, peggio, rovinare quel debole legame che
ancora ci legava.
A cavallo tra i mesi di ottobre e novembre, visto che la mia situazione
economica era mutata e gli investimenti consigliati stavano dando
frutti al di là di ogni più rosea aspettativa, decisi di licenziarmi dal
lavoro alla fabbrica di mobili
Visto che era da tanto che mi interessavo di giornalismo, decisi di
iscrivermi a scienze della comunicazione, il tempo lo avevo, i soldi
pure, potevo stare vicino alla società calcistica che stava crescendo
portando a casa tutti gli obiettivi previsti.
Il problema sarebbe stato trovare la giusta concentrazione per
studiare, visto che in tutti questi mesi non riuscivo a trovare
nemmeno la concentrazione per leggere un libro.
Finalmente a metà dicembre arrivo una lettera di Monica. Una gioia
il suo arrivo, tanta tristezza dopo aver letto quelle poche righe.

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La premessa era che non voleva nulla da me, ma solo mettermi al
corrente della situazione per far sì che non lo venissi a sapere da altri
e in modo distorto. Brevemente mi confermava di essere incinta e
quando l'aveva scoperto, l'atteggiamento di Francesco era cambiato;
mi diceva che aveva fatto quasi le stesse cose che avevo fatto io,
latitanza, discorsi strani sulla sua immaturità finché alla fine di
settembre aveva deciso di prendersi una pausa di riflessione e da quel
momento non si era fatto più vedere.
Sapeva anche dei tentativi fatti da Katia nei miei confronti, essendo
stata proprio lei a confessarle tutto una sera durante una lite, mentre
Lorenza, a causa del suo nuovo lavoro si era allontanata da lei. Mi
diceva di non volere la mia pietà, mi ribadì, che aveva solo voluto dare
una versione corretta dei fatti, per evitare che io scoprissi tutto in
maniera distorta. Monica era orgogliosa, non voleva dirmi che aveva
un disperato bisogno di amicizia, anche se questo bisogno traspariva
da ogni riga della sua lettera.
Piero mi mise in guardia non da Monica ma da me stesso; secondo
lui io ero un'arma letale incontrollata, visto che i sentimenti e la
testardaggine dominavano ogni mia decisione.
Il suo uomo sarà anche un bastardo per come si è comportato, ma
Monica in, questo momento ha solo bisogno di una persona che le sia
sinceramente amica. Non andare da lei con l'aria del trionfatore, non
pretendere nulla, non gettarle in faccia il tuo amore e i tuoi soldi
soprattutto, non fare altre cazzate.
Il discorso di Piero era stato chiaro ma io anche se non lo dissi, non
ero affatto d'accordo, avendo già in mente cosa fare.
La sera successiva senza por tempo in mezzo, appena rientrato
dall’università dopo aver seguito una lezione di semiotica di cui non
avevo capito nemmeno una virgola, presi la mia auto e mi portai a
Forlì. Trovandomi di fronte alla porta della casa di Monica, non ero
imbarazzato, ma baldanzoso e sicuro di me stesso... Troppo.

89
Venne ad aprirmi proprio lei e quando mi vide, oltre ad
un’espressione di sorpresa di sorpresa, ci fu anche quella di sollievo,
dando ancora più forza ai miei pensieri malati.
- Entra Guido, ma perché non mi hai avvertito?
- Lo sai che adoro le sorprese – risposi io divertito
Ormai incinta da circa sei mesi, il pancione di Monica era molto
evidente ed io chiedendole come stava andando gliela accarezzai
amorevolmente, gesto che Monica apprezzò posando la sua mano
sulla mia e sorridendomi.
La gravidanza stava procedendo bene, per il resto disse che se la
sarebbe cavata anche questa volta come le precedenti.
- Grazie Monica, per la frecciata - Feci io fingendo di risentirmi e
strappandole una sincera risata.
In breve tempo esaurii quanto c'era da dire su di me. Dopo qualche
tempo arrivarono anche i genitori che mi salutarono cordialmente e
con i quali scambiai qualche amichevole battuta.
Quando rimanemmo di nuovo soli introdussi lentamente il discorso
che più mi stava a cuore e Monica si aprì senza problemi, segno di
una fiducia che faticosamente avevo riconquistato. Il suo Francesco,
come lo chiamava ancora, lo conosceva da tempo e quando io e lei
avevamo cominciato ad avere dei problemi lui le era stato vicino a
darle buoni consigli.
A questo punto non ce la feci a stare zitto:
- Ma via Monica, non prendermi in giro, che consigli buoni ti può
aver dato?
Non puoi certo venirmi a dire che ha fatto per noi quello che hanno
tentato di fare i miei amici, specialmente Piero?
Monica abbassò lo sguardo dando ragione alle mie parole, e
rendendosi conto forse solo ora della verità. Senza ulteriori
commenti, Monica proseguì nel suo racconto; Francesco le era stato
molto vicino nel periodo più brutto; quando il distacco tra noi

90
divenne definitivo la simpatia naturale che era nata fra loro e si
trasformò ben presto in amore.
Proprio la prima esperienza sessuale fece scattare in Monica l'idea
che il grande amore fosse finalmente arrivato, in quanto quella notte
fu un'esperienza splendida, quanto di più dolce le fosse mai capitato.
Parole queste molto difficili da digerire per me, in quanto la gelosia
mi stava rodendo fin nel profondo dell'animo, ma che avrebbero
dovuto farmi capire quanto Monica mi considerava un amico e
quanto si fidava di me. Per questo avrei dovuto considerare ciò che si
stava riallacciando quella sera come un punto di partenza e non di
arrivo.
I genitori di Francesco, per qualche oscura ragione, avevano in
antipatia Monica, forse perché lei era una brava ragazza a differenza
di tutta quanta la loro famiglia, pensai io amaramente; Francesco
purtroppo era molto influenzabile dalla madre e quando Monica
rimase incinta, lui non resse alle pressioni delle responsabilità che
stavano per piovergli sul capo e a quelle negative che provenivano dai
familiari e si allontanò forse definitivamente.
-Perché lo difendi ancora quel disgraziato? Chiesi io.
- Perché è il padre di mio figlio ed io lo amo ancora, capisci Guido?
- Francamente no, non vedo perché tu voglia stare con un uomo che
chiamare tale è un insulto alla categoria e soprattutto perché voglia
dare un padre del genere a tuo figlio. Poi scusa, ma tu ami Francesco
perché è Francesco o perché è il padre di tuo figlio?
Monica mi guardò a lungo mentre i suoi occhi si stavano velando di
pianto.
- Non so più rispondere a queste domande, ormai ho perso gran parte
della mia sicurezza -
In quel momento il feeling di un tempo si ristabilì tra noi, come se
quei dodici mesi non fossero mai esistiti. Fuori intanto, da qualche
ora, era iniziata una bufera di neve, che avrebbe reso tutto il mio
viaggio di ritorno, un vero inferno, ma non me ne importava nulla e

91
presi Monica tra le braccia, stringendomela al petto e lì vi rimasi per
un po’, poi lei si riscosse e guardandomi severamente mi lanciò un
muto avvertimento a non andare oltre e poi cambiò argomento. A
quel punto l’incanto si era rotto e la serata passò piacevolmente,
toccando i più disparati argomenti, dallo sport, alla politica, finché
non venne l’ora di andarmene. A questo punto le chiesi di rivederla
ancora.
- Non c’è alcun problema Guido, parlare con te Guido, è sempre
piacevole a patto che ti comporti bene – mi rispose lei con un leggero
tono di rimprovero nella voce.
- Stai tranquilla, ormai sono un ometto – risposi, facendo ridere
entrambi alla mia battuta.
Il tragitto sulla via di ritorno fu un inferno come supposto, fui
fortunato ad apprendere dalla radio, che l’autostrada era bloccata da
un gravissimo incidente, così imboccai la statale, ma anche lì la
situazione non era certamente migliore: le tre ore di furiosa nevicata,
avevano reso il fondo stradale praticamente impraticabile e solo verso
le tre del mattino, dopo quasi tre ore di viaggio, arrivai a casa
stremato.
Quanto successo quella sera, mi aveva fatto conquistare la fiducia di
Monica, ma non seppi considerare l’entità di un tale successo, mentre
non fui in grado di comprendere che non stava scritto da nessuna
parte che io e lei dovessimo per forza ricominciare una storia
d’amore.
Non dissi a nessuno quanto avevo intenzione di fare e cioè di
dichiararmi con lei appena avessi avuto la possibilità di rivederla
ancora. Lei sapeva dei miei sentimenti, ma io dovevo farle capire che
non era cambiato nulla per il fatto che lei era in cinta di un figlio non
mio. Tra l’altro io non avevo mai creduto che il suo amore per me
fosse finito, ma fosse solo una reazione al mio comportamento.
La settimana successiva io e Monica decidemmo di trascorrere una
giornata al mare. Il mattino lo passammo in giro per il mercato, poi
ce ne andammo a pranzare in un piccolo ristorante sul porto. La

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giornata era grigia, tipica del mese di dicembre, ma anche in quelle
condizioni, il mare conservava tutto il suo fascino e la sua poesia,
forse anzi, aumenta la magia per il paesaggio solitario e il silenzio
rotto solo dall’intermittente rumore della risacca diventa musica.
Cielo e mare si fondono all’orizzonte come in un amplesso totale,
fonte inesauribile di poeti, cantanti e amanti, che qui ritrovano linfa
per le loro parole e i loro gesti. Poco più di un anno prima, gli stessi
posti ci videro teneramente abbracciati, follemente innamorati a
sussurrarci quelle parole che soli il connubio tra mare e amore riesce
a esprimere.
Dopo pranzo andammo a camminare su quella spiaggia, lasciando
che il silenzio, o per meglio dire quella musica, prevalesse tra di noi.
Ad un certo punto dalle mie labbra uscirono quelle parole che
cominciarono ad aprire crepe in un rapporto a livello embrionale
quale il nostro.
- Monica ti amo, non dire nulla, lo so che non sono ricambiato, so che
hai ben altri problemi, ma io ti voglio bene, come voglio bene al
bambino che sta crescendo dentro di te e di cui sarei orgoglioso di
esserne il padre –
- Guido, io non sto cercando un padre per il bambino, io voglio che
suo padre sia quello vero, io voglio che Francesco ritorni e se ciò non
sarà possibile, sono anche disposta a restare sola, almeno per il
momento. Se il destino ha deciso che io, e te dobbiamo stare insieme,
così sarà, ma per ora non voglio forzare i tempi, cerca di capire - La
voce di lei aveva un che di disperato, perché capiva che ancora non
ero in grado di gestire neppure un rapporto di amicizia. Figuriamoci
qualcosa di più importante.
- Ma tu Monica, mi vuoi ancora un poco di bene? Le dissi in tono
dimesso, dimostrando di non aver capito nulla del suo discorso.
- Insomma, quando imparerai a crescere? Perché vuoi sapere cose a
cui non so dare una risposta? Con quello che mi sta succedendo, ti
sembra che mi debba mettere a pensare anche a te? E poi cosa credi,

93
che io con Francesco sia andata a letto per sport, per ripicca nei tuoi
confronti, tu che invece il mio corpo lo hai sempre rifiutato?
Se pensi questo allora non hai mai capito nulla di me. Guido caro, se
io a lui ho dato il mio corpo, assieme c’era anche tutta me stessa e
tutto il mio amore e io ancora lo amo –
Le sue parole mi bastarono per una buona mezz'ora, in cui io non fui
in grado di replicare nulla mentre lei non aveva certo più voglia di
parlare alquanto delusa dal mio comportamento.
Finalmente, prima di rovinare completamente tutta la giornata e con
la scusa di assistere ad una gara di Wind-surf, fui in grado di rompere
la barriera che si era creata tra di noi.
La sera, dopo averla accompagnata a casa, le chiesi subdolamente se
dopo quanto successo nel pomeriggio, lei voleva ancora vedermi.
- Tu sai cosa devi fare o non fare, se vuoi continuare ad uscire con me.
Mi fai stare bene, ma questo ti deve bastare. Se sei in grado di
accettarmi così, bene, io sono felice di vederti tutte le volte che vuoi
altrimenti ….
Chiaramente accettai quanto proposto, ma per niente convinto, così,
con la promessa di telefonarle in settimana, la salutai.
Mentre mi allontanavo con l’auto, mi accorsi che lei immobile
davanti al cancello, mi seguiva con lo sguardo pensieroso. Non mi
aveva definitivamente chiuso la porta in faccia, lasciando tutto nelle
mani nel destino, ma io, fautore del detto che il destino ce lo
costruiamo da soli, comincia a pensare a quali alchimie sentimentali
inventare per farla cadere nella mia rete.

94
CAPITOLO 20

Durante il mese di gennaio, io e Monica facemmo qualche uscita,


poche per la verità, visitando le cittadine dei colli romagnoli o
tornando al mare. Nel mese successivo, le sue condizioni fisiche
peggiorarono notevolmente, il che ci costrinse durante i pochi
incontri a rimanere in casa. Lei accusava sempre forti dolori
addominali, cali di pressione con conseguenti svenimenti, inoltre il
dottore ad un certo punto le ordinò di rimanere a letto immobile in
quanto c'era minaccia d'aborto.
Durante le mie visite a Monica, ebbi l'occasione di incontrare a turno
prima Katia e poi Lorenza. La prima si presentò con una scatola di
cioccolatini e una fretta del diavolo, degnando la sua amica solo di
qualche sguardo, mentre a me ne riservò anche troppi e tutti molto
eloquenti. Appena se ne andò io e Monica ci mettemmo a ridere,
perché così facendo si stava proprio mettendo in ridicolo.
Poi venne a trovarla anche Lorenza. Era un peccato che tra loro due
l'amicizia si fosse un poco annacquata e certamente Monica non ne
era responsabile. In questo periodo anche se non ebbi mai
fortunatamente l’occasione di incontrarlo, Francesco tornò. Forse
avvertito delle pessime condizioni fisiche della sua donna, forse preso
da rimorsi e dubbi, fatto sta che, anche se solo a livello di amicizia,
ripresero a frequentarsi Quando chiesi a Monica se sarebbero tornati
insieme, lei rispose che non avrebbe messo la sua vita, e men che
meno quella di suo figlio, nelle mani di un immaturo, per cui avrebbe
dovuto prima verificare cosa di buono c'era ancora in Francesco.
I rapporti tra me e lei invece, dopo un lungo stallo, stavano subendo
un lento deterioramento e la colpa non era del ritorno dell'ex, ma solo
mia, perché ogni volta che ci vedevamo, io ero sempre lì ad esprimere
tutti i miei sentimenti.
Alberto, molto dubbioso a riguardo mi chiese una sera, mentre
stavamo chiacchierando nella sua casa in campagna:

95
- Ma sei sicuro che con lei ti stai comportando onestamente da vero
amico? Guarda che una donna poi si esaspera, stai attento!
Io negavo recisamente, anzi giuravo sul mio comportamento sincero,
anche se come ebbi occasione di sapere, loro, non mi avevano mai
creduto. In effetti mi conoscevano troppo bene.
Fu proprio a causa di Francesco, e di questo nonostante tutto lo
ringrazierò sempre, che un caldo giovedì sera, vissi una delle più belle
esperienze della mia vita. Dovevo infatti andare da Monica la sera
successiva, poi lei mi telefonò, dicendo che per quella sera sarebbe
arrivato Francesco ed era giusto che rimanesse insieme a lei in quegli
ultimi giorni: il parto era previsto verso la fine del mese. Mentre
stavamo chiacchierando e commentando un documentario sugli
animali che stavano trasmettendo alla televisione, Monica si sentì
male. Iniziarono le contrazioni e ruppe le acque, per cui assieme ai
genitori, la portammo immediatamente all'ospedale. Quando
arrivammo i dottori, dissero che probabilmente qualche sforzo fatto
la mattina precedente aveva accelerato le cose e così il parto sarebbe
stato imminente. Monica ad un certo punto, semisvenuta dal dolore,
mi strinse forte la mano e mi disse con voce molto flebile:
- Non mi lasciare, non mi lasciare per favore.
- D’accordo con i sanitari, indossai tanto di camice e mascherina ed
entrai in sala parto, dove assistetti a tutti i preliminari, finché dopo
indicibili sforzi il bambino nacque ed era splendido.
Non era stato da me assistere a cose di questo genere, io che avevo
sempre avuto problemi alla vista del sangue, ma in quei momenti non
ebbi mai alcun segno di cedimento e quando il bambino usci mi sentii
orgoglioso come se fossi il vero padre. L'unico dubbio che ebbi prima
di entrare in sala parto fu proprio quello del sangue, temendo poi di
creare più problemi, rimasi invece accanto a Monica per tutto il
tempo stringendole la mano e abituandomi a quella situazione, che
probabilmente mi temprò. Di lì a pochi mesi il sangue lo avrei visto
scorrere a fiumi!

96
Poche ore dopo il parto, arrivò, preceduto da un enorme e pacchiano
mazzo di rose rosse, Francesco, che senza degnarmi di uno sguardo,
andò dai genitori, chiedendo in tono arrogante come stava Monica e
dov'era. I genitori risposero che era andato tutto bene, ed era nato un
bel maschietto, ma i sanitari la stavano ancora visitando. Proprio in
quell'attimo i dottori uscirono dalla camera e diedero il via libera alle
visite e Francesco, senza chiedere nulla a nessuno, entrò nella
camera, chiudendosela alle spalle. I genitori mi guardarono un attimo
per abbassare subito lo sguardo e fu solo per loro che non diedi in
escandescenze. E poi in definitiva che diritti avevo io?
Nella camera in quel momento c'erano i genitori naturali del
bambino, io non c'entravo proprio nulla.
Un dottore, che aveva assistito alla scena, ci guardò tutti in modo
strano, non capendo bene la situazione, e pensando evidentemente:
- Ma come quello è stato in sala parto e un altro fa la prima visita?
Non era facile da capire e la situazione alquanto grottesca mi strappò
persino un sorriso.
Tra me e Francesco l'antipatia era proprio a livello epidermico,
sembrava persino che anche i genitori di Monica ne avessero paura,
non osando entrare nella camera chiusa, come sarebbe stato invece
nel loro pieno diritto. Finalmente dopo una ventina di minuti la porta
si apri e Francesco uscendo, salutò velocemente i suoceri, mentre a
me riservò uno sguardo molto duro, che sostenni senza problemi e
ricambiandolo con uno sguardo quasi divertito, forse pensando che
al nostro prossimo incontro, lui avrebbe perso molto della sua
arroganza.
I genitori mi presero sotto braccio e mi fecero entrare insieme a loro
a vedere la loro figlia e il loro nipotino che devo dire era veramente
splendido. Dopo un po' io fui lasciato solo con Monica e di questo
devo ringraziare sua madre che le stava provando tutte per avermi
come genero. Rimanemmo qualche minuto in silenzio, poi Monica
mi ringraziò di quanto avevo fatto in sala parto, dicendo che ero stato
semplicemente fantastico. In quel momento trovai ancora il modo di
rovinare tutto:

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- Monica è stato bellissimo assistere alla sua nascita anche se so che
tu avresti preferito fosse Francesco a rimanere con te, anzi me l'hai
detto -
Lo sguardo di Monica era piuttosto sorpreso, per cui continuai
imperterrito:
- Prima di entrare in sala parto mi hai chiesto di non lasciarmi, poi
mi hai chiamato Francesco -
Monica mi guardò con uno sguardo desolato. Ma come, anche in quel
momento come questo dovevo fare una scenata di gelosia?
Il fatto che sapesse benissimo chi era con lei mentre partoriva, doveva
essere più che sufficiente per me. E anche se aveva pronunciato il
nome dell’altro, dopo tanti mesi trascorsi insieme, era naturale, ma
io questo lo capii molto tempo dopo. Con la scusa che era molto
stanca e voleva riposare, in pratica mi congedò.
Nei giorni successivi, andando a trovare Monica e il piccolo Riccardo,
compii l'ultimo atto del mio folle comportamento.
Con il bambino facevo le stesse cose che avrebbe fatto un padre, ero
premuroso fino all'eccesso, volevo cambiare i pannolini, mi
preoccupavo tutte le volte che piangeva, pensando che stesse male. A
volte uscivamo anche tutti insieme ed ero io ché volevo portare la
carrozzina, che gli aggiustavo il parasole, il cuscino, con una
presenza, la mia, quasi ossessionante. Forse un padre si comporta
così, ma non potevo comportarmi io in tal modo; forse col tempo,
non ora.
Francesco non si faceva più vedere, e Monica parlava di lui, le si
illuminavano gli occhi e si vedeva che ne era innamorata, anzi forse
innamorata è una parola troppo grossa, meglio infatuata, affascinata.
Lui ormai con il lavoro che faceva era diventato importante e ricco,
anche se non capivo come facesse ad avere tanti soldi, vendendo
vernici; vestiva alla moda, aveva dei bei modi ed era anche un bel
ragazzo. Sicuramente nel confronto con lui, ci perdevo nettamente
come prima impressione, io era un operaio, mentre Francesco
apparentemente, partendo dalla gavetta aveva sfondato,

98
dimostrandosi un uomo maturo, mentre di me non si poteva certo
dire lo stesso.

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CAPITOLO 21
Era un lunedì, l'ultima volta che vidi Monica; solo da qualche minuto
a casa sua, già mi stavo spupazzando come al solito il piccolo
Riccardo, che si divertiva un mondo alle facce buffe.
- Guido, lascia Riccardo a mia madre, perché ti devo parlare - mi disse
Monica con voce seria, facendomi capire che il momento che
attendevo da diversi giorni era arrivato.
- Dalla faccia con cui lo dici, non deve essere in problema di
pannolini, vero? Dissi io tentando di scherzare.
Fingendo di non aver sentito la battuta, Monica continuò:
- Quando ci siamo rivisti qualche mese fa, i sentimenti che provavo
nei tuoi confronti erano piuttosto confusi. Avevamo avuto dei
momenti meravigliosi insieme, ma mi avevi fatto anche soffrire come
mai mi era successo, poi, dopo l'altra batosta subita con Francesco,
ho creduto che tu meritassi un'altra possibilità a livello di amicizia;
avevo bisogno di qualcuno su cui appoggiarmi, tu invece volevi di più
e subito, volevi qualcosa che in quel momento non potevo dare a te e
a nessuno, mi hai confusa ancora di più.
Molti dei tuoi gesti e delle tue parole, miravano solo, non a
consolidare la nostra amicizia, ma a conquistare il mio amore, anzi a
riconquistarlo, perché a te mai è entrato nel cervello di averlo perso
definitivamente tanto tempo prima. Anche nei confronti di Riccardo
ti stai comportando in modo innaturale, te ne rendi conto almeno?
Un padre naturale non sarebbe così premuroso, apprensivo e ciò non
è umanamente possibile. Col tempo sono anche sicura che saresti un
padre perfetto, ma non può essere vero il tuo amore per Riccardo ora,
molti tuoi comportamenti suonano falsi, anche se in buona fede, e
così facendo mi dimostri di non essere ancora maturo per un
rapporto serio, figurati per uno complesso come sarebbe il nostro; mi
dispiace dirlo ma non dai garanzie di affidabilità, capisci?
- Mentre Francesco queste garanzie te le dà vero? Risposi io sarcastico

100
- Forse devo ancora decidere, sicuramente non ho mai smesso di
amarlo, per cui vedremo se nel futuro, saremo in grado di costruire
insieme qualcosa di duraturo. Anche se so di farti del male, ti devo
chiedere per il momento di lasciarmi vivere la mia vita, in poche
parole è meglio non vederci più, anche se tu potrai continuare a
scrivermi quando vorrai.
- E tu continuare a non rispondermi, vero?
- Stai tranquillo, lo farò questa volta, però devi promettermi di non
telefonarmi più e di non venire più qui a Forlì -
Anche Monica stava mentendo a se stessa, era impossibile che nel
profondo del cuore non mi amasse più, come era impossibile che
fosse cosi innamorata di Francesco, ma a questo punto, continuare a
parlarne sarebbe stato preso come un tentativo estremo da parte mia
di recuperare le posizioni perdute e preferii tacere. Il colpo ricevuto
lo assorbii in effetti abbastanza bene, in quanto me lo aspettavo da
un momento all’altro, quando Francesco si era di nuovo fatto vivo.
Sicuramente avevo compiuto grossolani errori e solo ora che Monica
mi ci aveva ficcato la testa dentro, capivo la stupidità del mio agire.
La cosa che mi faceva più male era sapere che probabilmente durante
i nostri primi incontri a dicembre i sentimenti di Monica nei miei
confronti erano ancora confusi, per cui se avessi seguito alla lettera i
consigli dei miei amici, forse non saremmo arrivati a questo punto.
- Forse hai ragione, anzi solo ora mi rendo conto che gran parte di
quanto hai detto risponde al vero, ma se ho sbagliato l'ho fatto per
troppo amore verso di te, comunque esaudirò ogni tuo desiderio.
- Guido, cerca con calma di ricostruire la tua vita impara ad essere te
stesso sempre in ogni occasione, ci sono tante brave ragazze in giro e
tu meriti tanto, però ricorda che con una donna devi essere sempre
sincero come faresti con i tuoi amici e poi, anche se instauri un
rapporto serio, non è detto che tu debba cambiare totalmente il tuo
modo di vivere; puoi semplicemente coinvolgerla nelle cose che stai
facendo, forse troverai oltretutto una preziosa collaboratrice.

101
- In questo momento Monica un'eventualità del genere non è certo
nei miei pensieri, poi se non sono maturo per te non lo sarei
nemmeno per un'altra, non credi?
Monica non rispose, ma mi guardava in silenzio con un'espressione
strana, indefinita. Decisi allora che era il momento di abbandonare il
terreno di battaglia, ormai sconfitto.
- Bene Monica, ti auguro tanta fortuna a te e a Riccardo e anche al
tuo compagno sperando che tu possa essere sempre felice.
- Grazie, ma non deve essere un addio questo, ti ho già detto che puoi
scrivermi quando vuoi e io ti risponderò.
Parole queste dette più per circostanza che per effettiva convinzione
e me ne resi conto, ma ormai che importanza aveva? Dopo averle
stretto la mano la salutai e mi avviai verso l'uscita, trovando nel
giardino i suoi genitori che mi guardavano tristemente. Conoscevano
la decisione della loro figlia e certo non l'approvavano, ma la vita
aveva già deciso il destino di entrambi.

- Sarebbe inutile arrabbiarsi con te ormai, forse solo adesso hai


effettivamente capito la montagna di errori che hai commesso, anche
se nelle tue condizioni, forse anche io avrei agito come te.
Le parole di Piero erano un ben misero elisir di consolazione, ma
oramai avevo maturato la mia decisione che incontrò la
disapprovazione di tutti. Non me la sentivo più di vivere in questo
modo e la sterzata che diedi in seguito alla mia vita fu di quelle
decisive.

Impiegai cinque giorni per decidere, poi feci quella telefonata che mi
avrebbe cambiato per sempre la vita. La mattina successiva presi il
treno per Bolzano e come stabilito al telefono mi presentai a rapporto
dal generale Poli.

102
Il generale, intuì un grande dolore dietro la mia richiesta, ma mi disse
solo una volta:
- Ci pensi bene tenente stiamo perdendo gente come funghi in
quella polveriera –
- Non si preoccupi generale ci ho già pensato anche troppo, questa
è la mia decisione.
- Bene tenente, la mia segretaria qui fuori le darà la lista di tutto
quello che dovrà ritirare dal magazzino tranne le armi che le
saranno fornite sulla nave a Civitavecchia. Oggi è il 4 di luglio e
da domattina lei è di nuovo in servizio attivo, quindi cerchi di non
fare cazzate perché è un militare. Rimarrà in licenza sino al 3
agosto, giorno in cui è prevista la partenza della fregata americana
Rosemary che porterà lei e gli altri volontari in Libano. La fregata
è americana e quindi lei appena salito si metterà a rapporto dal
Contrammiraglio Jenkins, un veterano della guerra del Vietnam.
Sarà lui a darle tutte le indicazioni sulla sua destinazione e sui
suoi compiti.
- Signorsì signor generale
- Fino a domattina è ancora un civile, basta un colpo di telefono e
annullo tutto. Se mi permette, vedo che dietro questa decisione
c’è un grande dolore, i suoi occhi parlano per lei –
- La ringrazio generale, ha centrato tutto ma non ci sono e non ci
saranno ripensamenti, stia sicuro.
- Bene tenente, come le ho detto la situazione a Beirut, non è
esplosiva, molto peggio. Noi non siamo una forza di
interposizione dove possiamo essere più decisi, siamo sotto
l’egida dell’Onu e quindi Caschi Blu. Avremo in mano le armi più
sofisticate ma prima di reagire ci devono aver sparato 100 volte.
- Forse so - replicò il generale - Ma non si rende conto di cosa
troverà nei campi di Sabra e Chatila e in tutta la città in generale,
il tutto condito da una corruzione dilagante, dove nessuno anche
nelle più alte sfere del governo libanese è chi dice di essere o è suo
alleato. Stia attento, nessuna amicizia locale e le si allungherà la
vita.

103
Nonostante manchessero ancora parecchie ore al mio rientro in
servizio salutai militarmente, il generale invece mi strinse la mano.
Sarebbero passati diversi anni prima di incontrarci ancora.
La mia amica Mariangela che aveva seguito la mia storia dall’inizio
mi chiese di vederci qualche sera dopo, quando la informai della
decisione presa.
Andai io da lei a Scandiano, con la promessa che se avessimo fatto
tardi mi sarei fermato a dormire a casa dei suoi. Mariangela scelse un
ristorante incastrato sulle montagne dopo Roteglia a Borgo Casa
Maffei, un posto bellissimo e davvero tranquillo.
Raccontai a Mariangela le ultime settimane e la decisione di rientrare
nel sevizio attivo nell’Esercito come ufficiale e partire volontario per
Beirut.
- Ovviamente come sempre hai fatto tutto da solo, senza
consigliarti con nessuno?
- Ovviamente, tanto anche quando mi date dei consigli giusti, poi
non li seguo e faccio come mi pare, per cui perché tediarvi. Faccio
e ve lo dico – Replicai sorridendo amaramente
- Molto bene Guido, adesso però mi permetterai di darti la mia
valutazione su questa storia. Così te la porti a Beirut e ci rimugino
sopra per giorni, settimane, mesi e se non salti su una mina, o ti
fanno secchi i Hezbollah, o altre milizie, forse rinsavisci.
- Magari mi sarà utile quello che mi devi dire –
- Mah quando avrò finito non so se saremo ancora amici.
- Non ti preoccupare accetto tutto.
- Ok Guido allora, torniamo all’inizio della vostra storia, già lì è
tutto sbagliato. Dopo essere stati una settima insieme al mare,
avere avuto un’altra giornata assieme, che fate a 22 e 24 anni, vi
scrivete, ma siete fuori? Guido tu dovevi andare subito da lei e
non perdere tempo con stupide lettere. Se lo facevi vi mettevate
insieme subito e guadagnavate 2 mesi almeno dove potevate
vedervi, poi tutto il militare lo facevate da fidanzati non da
corteggiatori. In questo modo avete cacciato via sette mesi. Ad

104
inizio aprile vi siete trovati al punto in cui vi sareste trovate a
settembre.
- Vero – risposi io
- Zitto non ti ho detto di replicare. Dunque vi siete messi insieme
ma in una situazione anomala, tu stai a 400 km di distanza, e cosa
fai? La induci all’errore. Intanto non la conosci caratterialmente
avete perso mesi a corteggiarvi per lettera senza conoscervi a
fondo. Lei ha il desiderio di una famiglia e tu che ormai l’hai
conquistata, ma non sai cosa vuoi fare da grande quindi? Le inizi
a parlare di matrimonio e di figli. Monica cosa fa prende la palla
al balzo, probabilmente spinta dalla madre e comincia a
programmare il vostro futuro. L’estate passa, state bene, poi lei ti
prospetta il pacco dono, trasferimento a Forlì, lavoro che ti verrà
trovato dai genitori e vita assieme ai suoceri che abitano al piano
di sotto. Non ci sarebbe nulla di male, a patto che il progetto fosse
condiviso. Tu invece di frenare questo progetto che fai ti allontani
e fai lo stronzo, se non conoscessi tua mamma bene, direi anche
il figlio di mignotta. In questa storia hai proprio dimostrato di non
avere le palle. Tu come detto fai lo stronzo e lei consigliata da
amici idioti, che non vedevano l’ora che ti togliessi dai piedi, e
magari qualche amica interessata, la consigliano male e anzi la
gettano tra le braccia di un altro.
Qui i tuoi amici intervengono quando capiscono da soli che tu sei
a pezzi e ci arrivi a capire pure tu la ragione di quelle settimane
di malessere e disagio. Se partivi subito forse una possibilità
l’avevi ancora. Invece no, ricominci a scrivere, e aspetti, aspetti,
aspetti, forse che ti crescano le palle. Finalmente Piero si scassa i
maroni e riesce ad organizzare un incontro fra voi due a metà
giugno.
Questo incontro sembra fantascienza e tu non te ne accorgi e i
tuoi amici che ti vogliono troppo bene non ti sbattono in faccia la
realtà. In un incontro del genere, una Monica qualsiasi avrebbe
ascoltato le tue ragioni, ne avrebbe discusso, poi ti avrebbe detto
che da qualche tempo si era innamorata di un altro ragazzo e che
per voi due non c’era futuro. Qualche frase di circostanza e poi
ognuno per la sua strada. Invece no!

105
Le in 40 minuti, tanto mi hai detto è durato l’incontro tira fuori 4
perle che io da donna mi vergogno. Prima cosa: Monica ti manda
l’ultima lettera con la restituzione dei regali a metà febbraio e
nella lettera ci sono evidenti tracce di apertura, tu puoi fare
ancora qualcosa, ci sono mille porte aperte in quella lettera.
Monica, 70 giorni dopo che fa? Ha già un uomo e ci va a fare il
weekend di Pasqua, e dove? Ad Alleghe dove voi due siete stati a
fine anni meno di 4 mesi prima…magari nella stessa camera.
Quando me lo hai raccontato mi è venuta la nausea.
Ma che cazzo aggiunge alla storia, perché dirtelo? Qui o il suo
odio era davvero mortale o come penso lei è molto ingenua e ha
seguito consigli di altri, alcuni amici che ti odiano molto o meglio
amiche. Veramente è una bastardata questa che non ha eguali e
tu subisci senza una reazione degna? Ma dovevi mandarla a fare
in culo. Questo grande amore per te, il pensiero del suicidio e
dopo 8 settimane è in vacanza con un altro nello stesso posto dove
era con te a Natale a farsi sbattere!!!! Vergognoso.
Ma non è finita, perché tu con il carattere da panda-bradipo le
chiedi se potete rimanere amici, e lei ti dice di sì senza poi dar
seguito alla promessa. Ma è normale, pensa te come saresti
contento se la tua morosa riceve lettere dall’ex e lei risponde. Uno
normale spacca la faccia tutti e due.
Ma Piero e Alberto queste cose te le hanno mai sbattute in faccia?
- No anche se effettivamente è vero quello che dici Mariangela –
- Non credo che Monica sia una cattiva ragazza, solo molto
influenzabile e se si fida di qualcuno fa tutto quello che le dicono
senza pensare alle conseguenze.
Ma non finisce qui perché dopo quasi sei mesi Monica ti scrive
una breve lettera che è un altro spettacolo. Iniziare con: “ti scrivo
perché voglio raccontarti io come sono andate le cose e non voglio
che tu lo impari da altri in modo distorto”.
Ma da chi lo impari? A 100 km di distanza che cazzo, lo leggi sul
giornale? In questa lettera, e forse lo zampino di sua mamma
stavolta c’è, e tu sei finito nella rete.
- Che rete – chiesi io un po’ frastornato da questo fiume di parole.

106
- La rete del sostituto, se il padre biologico era scappato ne
occorreva uno putativo e tu eri perfetto. Inoltre Monica nei tuoi
confronti aveva ancora dei sentimenti e quindi scriverti quella
lettera non è stato complicato.
Tu subito metti avanti il petto anzi il tuo cuore immenso, questo
te lo riconosco e proponi subito di andare a trovarla. Monica non
ti fa andare, ma ti scrive tutte le settimane, si fa chiamare al
telefono e tu già qualche giorno dopo ti proponi come padre,
marito, in trasferimento lì a Forlì. Ma lei aspetta il vero padre tu
sei un sostituto per questo ti nega il permesso di assisterla al
parto. Lei e sua madre sono convinto che nel momento delle
doglie lui arriverà a rivestire il suo ruolo. A te è andata bene, che
le doglie arrivarono improvvise nelle notte e dovettero correre
all’ospedale, perché se era una cosa programmata, vedrai che
all’ultimo tu saresti stato lì a stringerle la mano.
Il bambino nasce, ma il padre non arriva e guarda caso, appena
Monica esce dall’ospedale dopo 2 giorni ti viene permesso di
andare a trovarla, per quella che chiamo la fase 2. Tu prima vieni
legato con lettere e telefonate poi adesso serve la tua presenza,
una specie di lenta tela di ragno.
Per tre mesi vai sia di sabato che di domenica, tutti i pomeriggi a
trovare Monica e suo figlio, dimostri che non ti importa più di
amici, sport, ma conta solo lei, guarda che a lei dai tutte le
sicurezze di questo mondo. Poi sei un rompipalle, perché ogni
momento che stavate insieme tu eri lì ad implorare di stare
insieme e alla fine te lo rinfaccerà, ti accuserà di immaturità ma
non è vero niente.
Il tuo alleato era il tempo e il tuo nemico era il tempo. Più tempo
passava e più tu guadagnavi punti, ma c’erano delle tappe e ti sei
fermato ma non per colpa tua. Vedrai che se arrivavi a luglio,
avreste cominciato a passare qualche sabato o domenica al mare,
andare a cena o pranzo e alla fine dell’estate sarebbero scattati i
primi baci. Entro Natale eravate assieme e a Pasqua sposati.
Purtroppo, poi non so se purtroppo, lui è tornato e tu non servivi
più. Fatico a credere che i suoi erano dispiaciuti più di tanto. Il
padre del bambino è affermato, ha soldi, vedrai e tu non puoi

107
competere. Sei un operaio, non hai casa, per cui bisogna tornare
al punto di partenza, licenziarti trovarti un lavoro a Forlì, andare
da lei ad abitare e con una prospettiva modesta. Il suo attuale
compagno le può regalare una vita agiata.
E con tutto non sono convinta che se il tempo avesse lavorato per
te, questa sarebbe stata la migliore situazione per entrambi. In
base a quello che ti ho detto prima, sono certo del tuo amore,
anche se tu lo hai capito troppo tardi, lei invece non so se ti
amasse davvero. Tu ti sei impegnato così tanto per conquistarla,
la prima volta, che quando che ci sei riuscito hai pensato che tutto
fosse risolto.
Per lei era la prima storia seria e forse si è fatta travolgere dalle
emozioni, ma forse erano solo emozioni e non amore.
Non so che dirti di più Guido, cerca di portarti a Beirut queste
considerazioni per cercare di stare un po’ meglio, iniziare a
cauterizzare le tue ferite, cercando di non fartene altre di tipo
fisico.
Sarebbe passato molto tempo primo che ci vedessimo ancora, per cui
l’abbraccio fu lunghissimo e intenso, Mariangela aveva le lacrime agli
occhi temendo per la vita dell’amico fraterno, praticamente un
fratello. Guido le promise più volte, fino a giurarlo, che avrebbe
tenuto sempre in evidenza la propria vita e non avrebbe fatto follie,
né avrebbe cercato di fare l’eroe

108
CAPITOLO 22
A due giorni da quell’incontro e a venti giorni dalla partenza per il
Libano, mentre ero a casa dai miei per la consueta pausa del pranzo,
arrivò una telefonata di un notaio di Reggio Emilia che mi convocava
nel suo ufficio per la lettura di un testamento. Nonostante la mia
insistenza la segretaria, non volle dirmi di più, solamente che due
giorni dopo, venerdì dovevo presentarmi da loro alle 15 e dopo di ciò
riagganciò il telefono.
Io non conoscevo nessuno da quelle parti, mentre mio padre dopo un
attimo di silenzio mi disse che aveva un cugino anziano proprio in
quella città, ma non lo vedeva ormai da una quindicina d'anni, per
cui forse la cosa poteva essere in relazione a quella parentela. Attesi
il giorno dell'incontro con il notaio senza eccessiva impazienza, in
quanto negli ultimi tempi, ben poco riusciva a sollevare in me
particolari emozioni.
Il giorno prefissato, partii verso le 5 del mattino, per andare a fare un
salto a Rimini, anzi a Torre Pedrera per raccogliere le idee e ritrovare
sensazioni di un passato non certo lontano.
Sapevo che mi facevo del male e rivedere quell’Hotel, quel lembo di
spiaggia, ma la testa andava in quella direzione. Tutto sommato fu
una mattinata positiva, feci colazione e mi distesi sugli scogli, dove
un po’ dormii e per il resto del tempo rimasi a guardare il mare,
l’orizzonte, la gente che mi circondava e trovai un po’ di serenità.
Verso mezzogiorno mangiai una piadina nel ristorante del bagnino,
poi presi la macchina e tornai verso casa, anzi verso Reggio Emilia,
senza sapere bene cosa attendermi o cosa sperare da quell'incontro.
Visto che lo studio notarile era in centro, ebbi non poche difficoltà a
trovare il posto, ma poi anche se con un certo ritardo, arrivai davanti
al pesante portone in legno. Fui fatto entrare dalla segretaria e mi
accomodai in quella che doveva essere la sala d'aspetto. Certamente
questo studio doveva essere uno dei più importanti della città a
giudicare dai costosi arredamenti. Pesanti librerie in stile inglese
rivestivano tre delle quattro pareti ed erano colme di libri di diritto a

109
parte una sezione dedicata alla nautica. Sul pavimento erano posati
splendidi tappeti persiani, mentre in giro per la sala c'erano grandi
poltrone in pelle, ognuna corredata da un tavolino con riviste di
argomento più leggero rispetto al del resto della biblioteca. Su due
delle poltrone erano seduti due anziani signori, molto distinti e che
si dimostrarono piuttosto interessati e sorpresi quando feci la mia
entrata.
Dopo una buona mezz'ora fummo fatti accomodare nell'ufficio del
notaio, un ometto piccolo ma simpatico che ci attendeva sorridendo
dietro una pesantissima scrivania di mogano; ci accomodammo sulle
poltrone a noi riservate, fissando il notaio quasi a volerlo indurre a
parlare. Questi si prese un attimo di riflessione poi attaccò con una
delle più incredibili storie che abbia mai sentito.
- lo sono il Notaio Marini e rappresento il Sig. Ferretti, deceduto
purtroppo 2 mesi fa. Essendo l'esecutore testamentario del suddetto
vi ho convocato in quanto uniche persone nominate nel testamento
che ora sto per aprire. A lei Ing. Sarsina in qualità di presidente del
circolo filatelico della città, verrà donata tutta la raccolta filatelica e
numismatica del mio cliente, inoltre viene devoluta sempre al suo
circolo, la somma di cento milioni e l'immobile sede di detto circolo.
A lei Dott. Levante verrà devoluta, in quanto rappresentante
dell'Associazione per la ricerca sul cancro la somma di ottocento
milioni.
In quanto a lei Sig. Guido Testi pur non conoscendo questo suo
lontano parente, lui la conosceva molto bene. Alcuni anni fa aveva
fatto svolgere delle ricerche sull'intero parentado per trovare
qualcuno a cui lasciare qualcosa di suo, ma come mi diceva sempre,
doveva avere quelle caratteristiche necessarie a renderlo degno.
Il mio sguardo era sempre più sorpreso, in quanto non credevo nella
mia vita di aver fatto mai qualcosa di particolarmente eroico, anzi
ultimamente l'opinione che avevo di me stesso era piuttosto bassa.
- Dal suo sguardo vedo che non ha capito e del resto non è facile, lei
è un grande tifoso della squadra di calcio del suo paese non è vero?

110
- Beh si – risposi sorpreso
- Inoltre, lei sta dando da tempo continuità alla storia societaria
raccogliendo materiale, fotografie, magari con l’idea un giorno di
farci un libo, ma questo è secondario ora. Il nonno paterno che gli ha
fatto in pratica da padre in quanto il suo papà era morto in un
incidente sul lavoro, quando abitava a San Giovanni, ha giocato tanti
anni nella Persicetana, diventandone anche dirigente.
- Il Sig. Ferretti – proseguì il notaio – Le ha lasciato tanto, ma poi le
spiego perché. A lei sono state donate alcune collezioni complete di
monete d’oro che, come vedrà valgono più di tutto il resto, che se lei
venderà le serviranno per pagare le tasse di successione. Poi le ha
lasciato, due villette situate nei colli bolognesi e sulla Riviera
Romagnola, dove lui si recava appena poteva, Ultimo lascito, una
busta chiusa che le consegno immediatamente.
Detto fatto il notaio apri un cassetto e tiratane fuori una grossa e
pesante busta me la consegnò. Ancora non riuscivo, bene a realizzare
quanto era uscito dalla bocca del notaio Marini, collezioni di monete
e due villette …era incredibile fosse successo proprio a me, tra l’altro
le sorprese non erano ancora finite.
Ad un certo punto il notaio congedò i presenti, dicendo che le
indicazioni relative ai versamenti e ai rogiti, sarebbero state
consegnate loro nel più breve tempo possibile. Quando gli altri due
personaggi furono usciti, io ero ancora seduto sulla mia poltrona a
fissare il notaio che mi stava osservando leggermente divertito.
Se lei pensa che certe cose capitano solo nei film, aspetti a vedere cosa
c'è dentro la busta per giudicare, ma scommetto che vuole sapere
qualcosa di più, su questo suo parente, che le sta cambiando la vita.
.
Mi stavo fermando proprio per questo dissi - Vorrei sapere, quale
uomo era come faceva a sapere tante cose su di me e perché non si è
mai fatto vivo nei miei confronti. -
- Il Sig. Ferretti era un uomo eccezionale un industriale con i fiocchi,
che si occupava di produzione di materie plastiche. Qualche attimo

111
fa, dopo che la moglie si ammalò, vendette l'azienda per seguire le
cure della consorte, ma non ci fu nulla da fare e pochi mesi dopo lei
morì. Così, non avendo figli e parenti prossimi degni di tal nome
come diceva lui, cercò, anzi fece cercare tra quelli lontani,
individuando proprio lei come quello che avrebbe potuto apprezzare
le cose che le lasciava. Ma apra la busta e vedrà.
A questo punto mi scossi e mi ricordai della lettera che mi era stata
consegnata prima. Al suo interno c'era un pacchetto di assegni per
una ammontare di un miliardo e una lettera. Quasi in trance la lessi
tutta d'un fiato. In poche parole mi diceva le stesse cose appena
comunicatemi dal notaio, inoltre mi chiedeva di conservare sempre
la memoria, la storia della Persicetana e se possibile rafforza la società
e creare un museo sportivo storico.
Il notaio mi disse inoltre che il suo cliente avrebbe voluto contattarmi
prima, purtroppo il cancro che stava lavorando nel pancreas l'aveva,
ucciso prima del previsto.
- Caro Guido, la vedo perplesso e comunque non esattamente felice
come dovrebbe, ma non sono affari miei. Per le modalità penserò a
tutto io, inoltre nella lettera, l’ing. Ferretti, le suggerisce anche il
nome di un direttore di banca a cui rivolgersi per investire il danaro
ereditato e che le saprà dare buoni consigli sulle case se non ha
intenzione di usarle.
Le collezioni di monete sono conservate presso la Banca e questa è la
chiave della cassetta di sicurezza. La loro valutazione approssimativa
è sui duecento milioni.
- Fidandomi, di quello che ormai chiamavo mio zio, mi aveva indicato
nella lettera, affidai il denaro che avevo trovato dentro la busta, al
direttore della banca, che era anche un suo caro amico. Dalla somma
defalcammo anche gli oltre ottanta milioni che avrei dovuto sborsare
per il fisco e altre tasse varie.
Visitai anche quelle, che venivano definite villette: una era situata a
Rastignano ed era enorme, l'altra tra Viserba e Torre Pedrera era più
piccola e adatta a me per andarci a vivere da solo. Seguendo i consigli

112
del direttore della banca, affittai la villa antica di Bologna, per quella
che ritenni una somma spropositata; quasi il mio stipendio di 4 mesi.
Tutti questi avvenimenti servirono come palliativo a non farmi
pensare a Monica, anche se l’idea di trasferirmi nella villa al mare
venne osteggiata da Piero e Alberto secondi cui, vedere quei luoghi
in continuazione mi avrebbe fatto più male che bene.
Sapevo che avevano ragione, ma era una punizione che volevo
infliggermi per il male che avevo fatto a Monica.
Per quanto riguarda la società di calcio, se è vero che i soldi non fanno
la felicità, aiutano a realizzare un sacco di cose. Nel giro di una
settimana comprai la società, trovai un general manager un direttore
sportivo a cui diedi chiari compiti di crescita sia della squadra che di
tutto il settore giovanile. Assunsi un’impresa edile per sistemare e
mettere a nuovo lo stadio.
Assegnai una cospicua borsa di studio a Piero e Alberto, con il
compito di raccogliere tutte le notizie, fotografie, interviste, articoli,
con l’obiettivo di realizzare entro un anno una mostra itinerante e
poi appena trovata la sede un museo. Il loro compito era anche quello
di controllare e sovraintendere tutte le attività edili e di costruzione
della società.
In effetti non avevo vincolo alcuno per realizzare tutto ciò e spendere
tutti quei soldi, infatti l’Ing. Ferretti aveva manifestato un desiderio
che gradiva fosse portato avanti e aveva scelto la persona giusta. A
parte la mi passione per la squadra, il vincolo morale con quel signore
che aveva pensato a me, io lo sentivo forte e avrei fatto tutto il
possibile per realizzare il tutto.
Sicuramente in altri momenti e con la testa a posto avrei seguito in
prima persona tutto da solo, oggi non era proprio il caso, non avevo
testa, voglia e spinta e poi ormai mancavano 18 giorni alla partenza.

113
II PARTE

114
CAPITOLO 1

La situazione a Beirut era disperata, tra le macerie, larve di uomini,


donne, bambini si aggiravano con lo sguardo perso nel vuoto, chi in
cerca di un parente, chi in cerca di un po' di cibo, una cosa era certa,
in quell'inferno non avrebbero mai trovato era la pace.
Noi, eravamo quelli del contingente italiano di Pace…Che bel nome
vero? Ma quale pace portavamo? Non eravamo nemmeno in grado di
fronteggiare la catastrofica situazione sanitaria e alimentare,
figuriamoci quella militare, premuti dai siriani da una parte e dagli
israeliani dall'altra, senza contare la miriade di fazioni che a turno si
sentivano in obbligo di spararci addosso.
Nel nostro campo arrivavano i profughi in quantità maggiore che
negli altri campi gestiti dalla Francia, dall'Inghilterra o dagli Stati
Uniti, forse proprio perché noi eravamo nei loro confronti molto più
umani, arrivando addirittura a dividere le nostre razioni di cibo con i
civili, specialmente con i bambini che ci erano terribilmente
affezionati, non tanto perché davamo loro da mangiare, ma perché
quando eravamo liberi dai servizi vari, giocavamo con loro a calcio,
sport che amavano svisceratamente dimostrando di conoscere tutto
sul campionato italiano. Molti dei miei militari che finivano il loro
periodo semestrale di servizio in quella terra martoriata e tornavano
a casa, avrebbero voluto portarsi con sé qualcuno di quei bambini
diventati ormai come fratelli minori.
Il tempo per pensare a noi stessi era praticamente inesistente e
quando capitava, l’enormità della tragedia di cui eravamo muti
testimoni, ci faceva sembrare molto insignificante ogni nostro
problema che avevamo lasciato alle spalle, Erano ormai diciotto mesi
che stazionavo a Beirut, rinnovando periodicamente la richiesta di
rimanere lì, puntualmente accolta dal mio comando per il buon
lavoro che stavo svolgendo appena assieme ai miei uomini.
Ero rientrato nell'esercito 2 anni prima, poco dopo la conclusione
della mia storia con Monica; non era stato difficile con le giuste

115
conoscenze, farsi arruolare di nuovo e dopo sei mesi di corso passati
in una scuola di addestramento militare nel Lazio, partii per il Libano
con il grado di tenente. Come comandante della scuola trovai il mio
colonnello, sotto il quale avevo prestato il servizio di leva a Bolzano
e che ora era stato promosso generale.
Fu molto sorpreso di vedermi, visto che lui aveva insistito molto
perché mi raffermassi, così volle sapere da cosa era scaturita la mia
decisione. Avevo sempre avuto fiducia in quell’uomo, e fu facile
raccontargli a grandi linee la mia storia.
Il generale rimase un attimo pensieroso, poi con voce lenta:
- M i ascolti bene tenente, in questo momento le parlo come un padre
farebbe a suo figlio, i tempi delle fughe d'amore nella Legione
Straniera sono finiti, laggiù a Beirut (ed io ci sono stato), c'è morte,
fame e disperazione, un inferno le cui dimensioni, lei non può
nemmeno immaginare. Ne ho visti tanti partire pieni di entusiasmo
e poi crollare dopo poche settimane, ci pensi ancora prima di
decidere.
Le parole del generale mi colpirono molto, tanta era la loro intensità,
ma non riuscirono a farmi cambiare idea, anzi come gli dissi, se laggiù
era così dura, forse sarei riuscito a capire quali erano veramente le
cose importanti della vita, invece di piangermi addosso ogni
momento e comunque, gli raccontai, che pure il Generale Poli che
aveva favorito il mio rientro nell’esercito mi aveva rivolto le stesse
raccomandazioni.
Mi seccava non fossero dei nobili ideali di pace e giustizia a spingermi
in quelle terre martoriate, bensì la disperazione che mi
accompagnava giorno per giorno, ma non potevo fare altrimenti
Durante i mesi di addestramento conobbi tre commilitoni con i quali
diventai amico fraterno e con cui poi lentamente divisi gli
avvenimenti più importanti della mia vita. Due di questi, Franco e
Stefano erano, ironia della sorte, romagnoli purosangue, mentre
Franco era di Roma. Loro erano i classici figli di papà che
fortunatamente, invece di andare in giro a combinare guai, come

116
molti dei loro coetanei, avevano pensato bene di fermarsi
nell’esercito, aspettando il momento di trovare la strada del loro
futuro.
La cosa che principalmente li differenziava da me era proprio questa:
io decisi di partire verso Beirut per disperazione, loro per noia, e fu
per questo che assorbii in modo più veloce l'impatto con la situazione
che trovammo laggiù.
Certo è, che come atterrammo e prendemmo contatto con quanto ci
aspettava e ci avrebbe aspettato per i prossimi sei mesi almeno,
venimmo colti dall'angoscia più profonda. La città ormai non era
altro che un cumulo di macerie, morte, fame, epidemie, guerra. E noi
eravamo in mezzo a tutto ciò. La popolazione locale, ci prese subito
a ben volere, più per la nostra opera di assistenti sociali, che di tutori
dell'ordine.
I primi tre mesi passarono anche abbastanza bene dal punto di vista
bellico, poi quando tutti i Fedayn furono evacuati, l'inferno
ricominciò: dapprima l'assassinio del presidente libanese Gemayel,
poi l'incrudimento degli scontri tra Siria e Israele che trovarono nel
territorio libanese un territorio perfetto per misurarsi. Come al solito
a fame le spese furono i civili e anche noi delle forze di pace.
Gravissime furono le perdite nelle fila dei Legionari francesi, ma
anche noi italiani, seppur più fortunati, dovemmo piangere i nostri
morti. Franco assieme a un altro ufficiale, finirono con la jeep, sopra
una mina, e se Franco non riportò che lievi anche se estese ferite, così
non fu per il suo compagno che non ce la fece. Due giorni dopo
quell'episodio, io e il mio sergente, di pattuglia sul versante est,
quello più caldo fummo centrati in pieno da un colpo di mortaio e
soltanto il coraggioso intervento del caporale Finelli che ci seguiva
con il camion, impedì ai miliziani di chissà quale fazione di finirci a
colpi di mitra. Purtroppo il sergente perse una gamba, mentre io ebbi
il braccio fatto a pezzi.
Soltanto la valentia dei nostri sanitari, riuscì a salvarmi
dall'amputazione: al termine del primo intervento sul mio braccio si
contarono 190 punti di sutura.

117
Questi episodi, costrinsero il governo a mettere in discussione la
permanenza del nostro contingente, ma pressioni da più parti lo
convinsero a prolungare di un altro anno ancora la nostra missione
in territorio libanese. Per conto mio, rifiutai la licenza in Italia, ma
trascorsi 20 giorni di convalescenza nella base americana di Aden,
finita la quale ottenni il permesso di prendere il mio regolare servizio
a Beirut, dove mi ricongiunsi con Franco, Stefano e Franco e……
Selina, una delle poche persone che ancora mi permettevano di
guardare al futuro con speranza.
Chi era Selina? .
Selina era una splendida ragazza libanese di 22 anni che frequentava
l'università araba e tra tutte le sue qualità che aveva bellezza,
simpatia, intelligenza, spiccava su tutti per le sue doti di grande
umanità.
Ci conoscemmo in circostanze che definire tragiche è un eufemismo.
In un bombardamento israeliano la sua famiglia era stata
completamente spazzata via. Ricordo la sera in cui l’incontrai e non
dimenticherò mai quei momenti.
Tutto il giorno dalle postazioni israeliane era partito un
martellamento continuo verso la zona ovest dove erano asserragliate
le milizie filo siriane. Verso sera fu dichiarata la solita tregua, insicura
e labile come la vita a Beirut. Con la calma sopraggiunta io con i miei
uomini, cominciammo a perlustrare le strade in cerca dei superstiti e
per soccorrere eventuali feriti, o per seppellire le vittime e prevenire
pericoli di infezione.
Vicino ad un cumulo di macerie, i resti di quello che fino a ieri doveva
essere una villetta signorile, c'era una ragazza seduta, capelli neri,
carnagione stranamente chiara, il viso sporco di fuliggine e lacrime
che fissava intensamente le macerie senza una parola. La chiamai, ma
lei parve non udirmi, allora mi avvicinai:
- Era la tua casa? Chiesi, senza ottenere ancora alcuna risposta.
- La tua famiglia? Provai ancora per tentare di scuoterla dallo shock
che evidentemente l'aveva colta.

118
Fece un gesto con il braccio indicandomi le macerie, per cui chiamai
il caporale ed insieme a lui cercammo di organizzare le ricerche dei
corpi tra le macerie. Dopo alcune ore di duro lavoro, ricomponemmo
4 cadaveri, quasi irriconoscibili: erano i genitori e i due fratelli della
ragazza come ci disse lei in seguito. Il padre della giovane nel
tentativo di proteggere la moglie con il proprio corpo era rimasto
schiacciato dal crollo di una pesante trave e purtroppo il suo gesto
coraggioso non era servito a niente.
Selina dopo qualche minuto si avvicinò a quei poveri resti, fissandoli
con muta disperazione ma anche con grande compostezza,
lentamente la presi per le spalle e nell'arabo stiracchiato che ormai
avevo imparato le sussurrai:
- Piangi, sfogati adesso, non tenere tutto dentro, devi vivere e
combattere anche per loro. Finalmente le mie parole sembrarono
scuoterla, e grosse lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi
incredibilmente espressivi, tracciandone strani solchi sulle guance
piene di fango e polvere- La crisi aumentò ben presto di intensità,
tanto che fui costretto a forza tra le braccia per impedirle di gettarsi
sui corpi della sua famiglia che l’autoambulanza stava proprio
caricando in quel momento.
Fu allora che il mio vecchio generale, di cui non sapevo della presenza
a Beirut, passò attorniato da altri ufficiali in una ispezione, i nostri
sguardi si incontrarono; nei mie c’era tutta la pena per quello che ci
circondava e la muta domanda di un perché di tutto ciò, nei suoi lessi
l’impotenza a fermare quel massacro.

La crisi di pianto dopo aver raggiunto il suo apice, fortunatamente


passo ed io riuscii a trascinarla via da quel luogo di morte e la portai
al nostro campo, dove l’affidai alle cure della CRI, promettendole di
andare da lei il mattino successivo.

119
CAPITOLO 2
Tutte le mie buone intenzioni di andare alla Croce Rossa per visitare
quella ragazza, furono frustrate appena poco dopo l'alba, quando due
fazioni opposte pensarono bene di fronteggiarsi nel vecchio mercato.
Alcuni reparti del contingente italiano furono chiamati per cercare di
imporre il cessate il fuoco, cosa più facile a dirsi che a farsi. Non era
mai ben chiaro come iniziare l'operazione, in quanto se si sparava in
una direzione, i miliziani che erano sull'altra sponda ci aiutavano, ma
non era questo che volevamo, noi dovevamo essere imparziali, per
cui dividendoci cercavamo di stanarli entrambi con il bel risultato di
farci prendere in mezzo dove tutti ci sparavano addosso.
Questa volta l'operazione andò meglio, in quanto riuscimmo in
un'azione congiunta con alcuni reparti inglesi a far sloggiare
entrambi i combattenti dalle posizioni che avevano conquistato.
Lasciammo presidiare il mercato a un reparto dei Marines, ma
mentre stavamo per tornare ai rispettivi campi, arrivò la notizia che
le due fazioni che si erano appena fronteggiate, si erano spostate da
un'altra parte della città a ricominciare ciò che noi avevamo
interrotto. Il simpatico ufficiale inglese, in un italiano stentatissimo
ci disse sorridendo:
- Se la posta non fosse la vita umana, sarebbe un gioco quasi
divertente.
Lo guardai e sorridendo gli battei la mano sulla spalla e ci
preparammo entrambi per una nuova operazione come sempre
facevamo, all'infinito, sprecando colpi, rischiando la vita, spezzando
vite per niente, perché poi tutto ricominciava.
Era ormai sera, quando dai tavoli delle trattative a Ginevra
Washington (o dove accidenti fossero) arrivò il cessate il fuoco ma
tutto era all'erta per il " Ciak si ricomincia" del mattino successivo.

120
Arrivato al campo dopo una veloce doccia, me ne andai alla tenda
della mensa ufficiali per buttar giù qualcosa di veloce e lì trovai i miei
amici, tra cui anche un incerottato Stefano, il quale con la più
assoluta indifferenza mi raccontò che nel pomeriggio, un cecchino
l'aveva colpito di striscio alla testa e a salvarlo era stato un sobbalzo
della camionetta. Un episodio di per sé insignificante, se non fosse la
dimostrazione di quanto ormai giorno dopo giorno dovessimo fare i
conti con la vita.
Oramai questa roulette, era diventata una familiare routine. Con
qualche risolino di scherno, Franco mi disse che una ragazza mi aveva
cercato tutta la mattina e anche il pomeriggio, doveva essere quella
che avevo riportato al campo la sera precedente.
Ho provato a farle compagnia io, ma non ne ha voluto sapere, devi
averle fatto veramente colpo - Scherzò Franco che evidentemente
non sapeva niente. .
Deficiente, ieri sera quella ragazza ha perso i genitori e due fratelli e
cioè tutta la famiglia, io l'ho solo raccolta e portata alla Croce è Rossa
- risposi alquanto seccato.
Franco balbettò qualche parola, di scusa, poi Franco che chiamavamo
il conciliatore, tirò fuori una bottiglia di Sangiovese, (che ancora oggi
non è chiaro dove prendesse) e ricreò presto un'atmosfera
amichevole. Ad un certo punto vista l’ora avanzata, dissi ai miei
compagni che sarei andato a trovare quella ragazza libanese, e
alzatomi mi diressi velocemente verso il campo della CRI.
- Hai notato che stasera, non ha accennato nemmeno una volta a
Monica? - Disse Stefano agli altri due.
- Ieri sera dopo il bombardamento, Guido è improvvisamente
cambiato, chissà che non si riprenda un giorno o l'altro – gli rispose
Franco pensieroso.
All'ospedale da campo, trovai la ragazza indaffarata a sfamare i
bambini più piccoli e sistemare le medicazioni di quelli feriti; rimasi
così a guardarla per un po' da lontano e pensai che le sofferenze altrui
spesso alleviano le proprie, come era successo a me con Monica,

121
anche se ora a pensare alla mia delusione sentimentale come una
sofferenza a confronto di quella sua mi vergognavo un poco. Appena
mi vide, mi lanciò un gran sorriso e venne di corsa verso di me.
. Ciao Guido come stai? Mi chiese con voce forte ed in perfetto
italiano.
- Bene e tu? Sai che è la prima volta che sento la tua voce?
A proposito come ti chiami? Le chiesi.
Mi chiamo Selina - Rispose e da quel momento uscì da lei un fiume
di parole con il quale misi assieme il mosaico della sua vita.
Il padre, un francese che commerciava in tessuti si era stabilito lì
dopo aver sposato una ragazza locale da cui erano nati lei e i suoi due
fratelli, di qualche anno più piccoli.
Erano vissuti nell'agiatezza fino a poco tempo prima, poi la guerra, la
paura, il terrore, il dolore per i parenti, gli amici che se ne andavano
l'uno dopo l'altro in un lento stillicidio. Ieri era appunto uscita per
andare al funerale di un'amica e al rientro aveva trovato tutto
distrutto. Dopo queste parole Selina si portò le mani al volto e
cominciò a piangere. Lasciai che lentamente si calmasse, poi la feci
alzare dal bordo della strada dove ci eravamo seduti e lei prese la mia
mano stringendola con una forza che non le avrei mai creduto.
Grazie Guido, se non era per te, aveva perso tutto. Passai un poco
sarei impazzita - mormorò con gli occhi ancora gonfi di pianto.
La accompagnai nella zona docce, intanto io mi recai alla Caritas per
cercarle dei vestiti puliti dato che nel crollo della sua casa della roba
che avevo recuperato all'infermiera che gestiva le docce femminili e
attesi con vera impazienza che Selina uscisse. Tra i vestiti che le avevo
portato misi anche una piccola borsa per il trucco, completa di tutti
gli accessori, alla Caritas avevo un sacco di conoscenze, anche se alla
mia richiesta di vestiti da donna e di una borsa per il trucco, tutti mi
avevano guardato con sospetto.
Quando uscì, Selina sembrava un'altra, se prima era comunque bella
ora la vedevo bellissima e fui quasi obbligato a dirglielo, mentre un

122
diffuso rossore si distribuì sul suo viso e lei mi guardò senza dire una
parola ma con un sorriso splendido.
Passeggiammo nei dintorni del nostro campo, al riparo da eventuali
attacchi, anche se con i cecchini c'era ben poco da fare, o rimanere
tutto il giorno nei bunker o imparare a convivere quotidianamente
con quel pericolo.
Selina mi spiegò che conosceva bene la mia lingua, avendola studiata
all'università assieme all'inglese e al tedesco, mentre il francese,
grazie al padre lo conosceva alla perfezione. Oltre a questo mi parlò
dei suoi sogni: finita l'università le sarebbe piaciuto fare un viaggio in
Italia e forse trovare un lavoro e stabilirsi nel nostro paese che, anche
se non aveva mai visto, lo amava profondamente per tutta la sua
storia e la sua cultura e per la simpatia della sua gente.
Il tempo passò veloce in sua compagnia, era molto bello ascoltare le
sue parole, ma il tempo si sa era prezioso e il giorno successivo avrei
dovuto svegliarmi alle 4 per un’ispezione con alcuni grossi papaveri
dell'esercito, per cui le dissi che era ora di andare.

- Selina, mi sembra ormai ora di andare a letto, domani decideremo


il da farsi.
Lei mi guardò spaventata e con gli occhi sbarrati.
- Ehi, cosa hai capito, adesso ti riporto al campo ospedale, non
preoccuparti - feci io sorridendo dell'abbaglio che aveva preso.
Selina rise sollevata e prendendomi per mano in un gesto privo di
qualsiasi malizia, ma solo a voler ribadire un’amicizia profonda che
stava nascendo, attraversammo le strade dissestate verso l'ospedale
dove avevamo trovato per lei una sistemazione, grazie alla mia
amicizia con una suora svedese con cui ero in ottimi rapporti. Prima
di andarmene mi fermai proprio da questa suora che avrebbe fatto il
turno di notte pregandola ogni tanto di dare un’occhiata a Selina.
Visto quello che aveva dovuto sopportare era prevedibile un'altra
crisi, specialmente quando rimaneva sola con se stessa.

123
CAPITOLO 3
Purtroppo come avevo previsto, la tregua dichiarata a migliaia di
chilometri di distanza, ebbe la durata della levata del sole e questa
volta, l'interruzione del cessate il fuoco, avvenne nel modo più
inconcepibile che si potesse immaginare.
Quando venimmo chiamati al campo profughi di Beirut, 1500 civili
palestinesi erano caduti sotto i colpi delle milizie falangiste alleate di
Israele. Tra i morti, donne, bambini, vecchi, gente comune e inerme
venne falciata per le strade da colpi di mitra. Scene indescrivibili si
aprirono davanti ai nostri occhi e molti dei miei uomini non ressero
a quelle visioni. Anch'io temetti per un attimo di farmi travolgere dai
sentimenti, dal disgusto, ma recuperai in breve il sangue freddo e
impartii a destra e a sinistra ordini secchi per sgomberare le strade
per l'arrivo dei camion e delle autoambulanze per i feriti che erano a
migliaia, molti dei quali con orride mutilazioni. Trascorremmo tutto
il giorno e quello successivo e poi quello dopo ancora a caricare i
cadaveri sui camion a disinfettare le strade.
Non mangiai per 72 ore, sostenendomi solo con tavolette di
energetico e con del brandy; ogni qualvolta provavo di mangiare
qualcosa di più solido, il mio stomaco non reggeva. L'odore del
sangue e della morte era insopportabile, facendo temere gravi
epidemie se non ci fossimo sbrigati a ripulire il più in fretta possibile.
A noi italiani e ai legionari francesi fu assegnato questo ingrato
compito, anche se avrei preferito essere con i marines o con gli inglesi
fuori di pattuglia, in mezzo al pericolo.
Fortunatamente il mondo si mosse, sia a livello umanitario che a
livello politico; massicci rifornimenti di medicinali, cibo, vestiti
arrivarono da ogni parte, mentre alcune nazioni non ancora presenti,
inviarono ospedali da campo e interi staff medici per dare una mano
ai nostri ormai allo stremo.

124
Per oltre quindici giorni, tanto ci volle perché la situazione ritornasse
ad una parvenza di normalità, non vidi Selina che per brevi attimi, lei
inquadrata come crocerossina all'ospedale, io invece finito il lavoro
di raccolta e di disinfestazione, ero sempre di pattuglia, giorno e
notte.
Dopo appunto un paio di settimane io e Selina trovammo una serata
libera per stare insieme. Prendemmo un po' di razioni di cibo e
andammo a mangiare al limitare del mio campo che, posto com'era
su una piccola collina, offriva una vista deliziosa sulla vallata
circostante. Mangiammo in silenzio, poi dopo esserci concessi una
sigaretta sdraiati sull'erba fresca, le chiesi:
- Come va Selina?
- Il corso di infermiera che avevo fatto qualche anno fa, purtroppo è
venuto utile in uno dei momenti più drammatici della mia terra. Sto
prendendo coscienza, giorno dopo giorno, che aiutare tutta questa
gente, fa sembrare piccolo il mio dolore, anche, se scusami se te lo
ripeto, sei stata tu la mia ancora di salvezza. Tu un italiano volontario,
vieni qui, rischi la vita per gente che nemmeno conosci penso a
questo e credo che il mondo sia ancora pieno di sentimenti buoni, e
così vado avanti.
Grosse lacrime rigarono il suo bel volto, mentre i singhiozzi
scuotevano il suo petto lei si aggrappò a me come a una speranza.
Provai un'immensa tenerezza e stringerla tra le braccia e baciarla fu
un attimo. Lei rispose a quel bacio con una forze e 'una disperazione
tali che mi fecero persino male, poi staccatasi da me e guardandomi
intensamente negli occhi, mi sussurrò:
- Guido ti amo
A queste parole io la strinsi ancor di più tra le braccia ma non fui in
grado di andare oltre.
- Lo so che non corrispondi il mio amore, perché il tuo cuore è ora
ferito da un'altra donna. Come faccio a saperlo? Ti ho visto diverse
volte con lo sguardo perso nel vuoto e non per la realtà che ti

125
circondava, ma per quello che ti lacera da tanto tempo l'animo, mi è
venuto normale pensare che doveva essere una donna l'origine di ciò.
- Hai ragione, per cui vedi che non sono stati dei sentimenti poi così
nobili a spingermi quaggiù, ma solo una fuga da una realtà che non
ero più in grado di sopportare.
- Guido per favore, non metterti ad un simile livello, se, tu non fossi
quella persona eccezionale che sei, non saresti venuto qui, avresti
fatto cento altre cose. Se vuoi aprirmi il tuo cuore puoi farlo. Io sono
stata sincera con te, perché visto che sei l'unico amico che ho. Non
potevo nasconderti un sentimento come quello che provo per te, non
ci sarei nemmeno riuscita.
Fu più che naturale a questo punto raccontarle tutto di Monica, senza
tralasciare alcun particolare e di come poi si era conclusa la storia,
con lei che era andata a vivere con Francesco nell’appartamento di lui
assieme a Riccardo. Durante i mesi di corso, prima di partire per il
Libano avevo continuato a scriverle senza mai ricevere alcuna
risposta, le informazioni me le avevano fornite alcuni amici, per cui
ritenendola ormai felice ero partito e da quel momento non avevo
fatto più alcun tentativo di parlare ancora con lei.
- La ami ancora Monica, i tuoi occhi non mentono, si illuminano
quando parli di lei
- Può darsi che tu abbia ragione Selina, anche se a questo punto non
so più se sono innamorato di lei dell'amore o dei bei ricordi del
periodo in cui eravamo insieme se per il rimorso di averla fatta
soffrire così tanto. Mi impedisco di dimenticare per cercare di nuovo
di essere in pace con me stesso e di essere felice.
- Guido, io ho bisogno della tua amicizia e tu non immagini
nemmeno quanto; spero che quanto ti ho detto, non incrini il nostro
rapporto, ti amavo prima di conoscere la tua storia e ti amo ancora di
più ora, vorrei rimanerti accanto e quando un giorno avrai risolto il
tuo conflitto io sarò qui se mi vorrai ancora.
- Deve essere un destino maledetto il mio, devo far soffrire tutte le
donne che hanno la sfortuna di essermi accanto. Forse con te ho

126
iniziato la strada giusta per uscire dal mio tormento, non ti avrei
baciata prima se fosse stato solo per soddisfare una mia voglia,
altrimenti sarei andato fino in fondo. Sento qualcosa che sta per
nascere e che vuole crescere dentro di me, ma ho bisogno di tempo.
- Guido, ricorda che tu non mi hai fatto soffrire, ma mi hai fatto
vivere, senza di te quella sera, sicuramente non avrei visto l'alba, poi
tu non sei responsabile di quello che si agita nel mio animo anche
perché non mi hai mai illusa né con le parole né con i gesti -
Detto ciò Selina si rifugiò ancora tra le mie braccia e rimanemmo per
un tempo interminabile stretti l'uno all'altra.
Parlando con Stefano e gli altri, nei giorni successivi, realizzai che
Monica nonostante tutto era ben presente nel mio cuore. Avevo
scavato nei ricordi che credevo ormai di aver sepolti e avevo trovato
grosse braci che non aspettavano altro che di scatenare un incendio.
Come disse Franco l'unico rimedio era andare da Monica, sperando
di trovarla felicemente unita al suo uomo, così da eliminare il rimorso
che sempre era presente in me.
- Poi scusa - Disse Franco - Non mi interessa se ti arrabbi, ma questa
Monica, dopo due mesi che la lasci se ne va nello stesso albergo dove
avevate trascorso la settimana bianca tu e lei, a scopare con un altro,
ma che razza d'amore era il suo?
- Anche te con sta cosa! – Risposi io incazzato
- Sveglia questa era una storia che andava avanti da prima, non dico
che ti facesse le corna, ma certo è che uscivano insieme durante il
periodo di crisi. E non credere alla storiella che lei si è gettata tra le
braccia del primo venuto per il dolore. O non era la ragazza che hai
sempre pensato che fosse, oppure come invece sono sicuro, con
quello che le hai fatto, tutti i sentimenti che provava per te sono
crollati e si è innamorata di un altro.
Va bene che ti sei dimostrato immaturo anche dopo, ma bastava
conservare la tua amicizia, farti capire gli errori cosa che non mai ha
fatto, e poi rimettersi con te al momento giusto.

127
No Guido, lei voleva Francesco perché l’amava e tu eri solo l’unico
amico che probabilmente in quel momento le è stato vicino, poi ti ha
scaricato quando la tua presenza si è fatta inutile, ma sarebbe
successo anche se tu ti fossi comportato come ti avevano consigliato
i tuoi amici a casa.
- Sai quale sarebbe stata la tua sfortuna? Che quello là non fosse
tornato, vedrai che allora non ti mandava via e nel giro della
primavera successiva eravate sposati. Che culo hai avuto!!!
Lei di amore per te non ne aveva più. Selina è una ragazza eccezionale
non buttare via la possibilità che il destino ti ha concesso per essere
finalmente felice. .
Franco aveva ragione su tutto, purtroppo solo una cosa sbagliò, il
destino non aveva nessuna intenzione di concederci un’altra
possibilità di rinascere.
Due giorni dopo quella sera Selina morì tra le braccia, con il petto
sfondato dal proiettile di un cecchino. In quei pochi minuti in cui la
vita combatteva una lotta disperata contro la morte, Selina trovò la
forza di sorridermi e di accarezzare le mie gote mentre le gridavo
disperato tutto il mio amore, rendendola felice in quegli ultimi attimi
di vita.
Reagii nel modo peggiore, che potessi fare, iniziai a bere in modo
forsennato, e nelle condizioni in cui ero le responsabilità di comando
erano nelle mie mani una mina pronta ad esplodere, per cui i miei tre
compagni dopo aver parlato con il consulente del nostro reparto, mi
fecero mandare in licenza per un mese, licenza che ebbero anche loro
dato che ormai eravamo a Beirut da quasi 2 anni.

128
CAPITOLO 4

Ritornare a casa, rivedere i genitori, gli amici di un tempo con i quali


tra l'altro ero sempre rimasto in stretto contatto, sembrò rimettermi
in sesto almeno dal punto di vista fisico. Smisi infatti di bere,
fermando la pericolosa china verso cui stavo pericolosamente
precipitando, e in breve tempo riguadagnai il rispetto di me stesso
cominciando a valutare seriamente la possibilità di congedarmi,
anche perché il nostro lavoro in Libano era ormai terminato e il
contingente italiano avrebbe presto lasciato il Medio Oriente.
Lunghe passeggiate in riva al mare, in quel freddo novembre, mi
avevano fatto capire molte cose, avrei dovuto imparare a convivere
con il ricordo di Monica e lentamente trattarlo solo per quello che
era, un ricordo; inoltre dovevo a Selina e a tutta la sofferenza di cui
ero stato testimone a Beirut l'impegno di sfruttare la mia vita nel
modo migliore e non a buttarla via come più volte mi ero ritrovato a
fare.
Mi sentivo pieno di voglia di vivere e di agire e la telefonata di Franco,
a metà della nostra licenza, non poteva giungere nel momento
migliore.
Lo raggiunsi assieme agli altri due compagni d'avventura nella sua
villa a Novafeltria, come me convocati senza sapere il motivo di
quella telefonata misteriosa.
Appena arrivati, ci venne incontro la mamma di Franco, una signora
veramente spiritosa e cordiale come solo romagnoli possono essere;
ci offerse l'aperitivo e quando Franco rientrò dalla ditta dove stava
momentaneamente aiutando il padre, ci preparò una cena che
definire sontuosa sarebbe stata un'offesa nei suoi confronti
Prendemmo una lunga serie di digestivi, in uno splendido salotto
arredato con mobili antichi di pregevole fattura, che crearono subito
un'atmosfera di complicità tra noi quattro, ed eravamo pronti per
ascoltare quelle importanti rivelazioni che ci aveva promesso Franco,
e finalmente lui andò al sodo della questione.

129
Suo padre, sei mesi prima aveva avuto il secondo infarto e da quel
momento aveva passato le redini del comando della ditta di
costruzioni ai suoi collaboratori, che per un motivo o per l'altro
avevano abbassato il rendimento dell'azienda del trenta per cento.
A questo punto il padre gli aveva chiesto di sostituirlo alla guida
dell'azienda e lui aveva accettato, ritenendo ormai giunto il momento
di mettere la testa a posto. Il problema erano alcuni dirigenti che per
inettitudine o per malafede, stavano portando la baracca alla rovina
per cui aveva pensato a noi come possibili suoi collaboratori per fare
risorgere l'azienda.
C'era tutto il settore commerciale da riorganizzare, cosi come quello
di controllo sui cantieri sparsi in giro per l'Italia e anche all'estero, e
quello finanziario che forse era il più, disastrato.
Franco disse subito che il settore commerciale non avrebbe potuto
essere che il mio, per la faccia di bronzo che mi ritrovavo.
- A parte Guido, voi due siete dei figli di papà come me, sempre vissuti
nell'agiatezza e nel dolce far niente, ma in due anni di Libano forse
abbiamo dimostrato qualcosa almeno a noi stessi, ed ora mi sembra
il momento di capitalizzare ciò che la vita ci ha insegnato-
- Vuoi una risposta subito o ci dai 10 minuti per pensare - Feci io
scherzando per spezzare l'atmosfera troppo seria che era calata fra di
noi.
Franco ci concesse un decina di giorni per decidere, poi avrebbe
dovuto agire altrimenti, aspettare avrebbe significato incancrenire
una situazione già pesante e invece erano urgenti misure drastiche.
Dopo una chiacchierata sulle varie tipologie di lavoro che avremmo
dovuto svolgere, io presi da solo la mia decisione, anche se Stefano e
Franco si presero alcuni giorni per decidere.
- Tu Guido sei il primo ad aver deciso, ma sinceramente potresti
anche fregartene, Sei pieno di soldi, hai un progetto che altri
seguono per te e che sta andando bene, diciamo che un obiettivo
nella via ce lo hai già

130
- Si hai ragione Franco, ma non mi vedo a fare il presidente di una
società sportiva, va bene essere l’amministratore delegato, il
padrone come dici tu, ma presenzio a qualche riunione, vado a
qualche partita, ho i miei collaboratori fidati che seguono tutto e
lo fanno di mestiere. Io l’entusiasmo di un tempo che avevo di
vivere in questo ambiente, ormai l’ho perduto. Vado avanti
giustamente per il vincolo morale con l’Ing. Ferretti che mi ha
regalato la sua fiducia, ma niente di più.
Anche gli altri due pirla della compagnia finirono di accettare la
proposta di lavoro di Franco, per cui presi i dovuti accordi,
presentammo insieme le domande congedo, che furono accettate in
breve tempo. Io fui quello che ebbi più problemi ad avere il nulla osta
per il congedo, in quanto il mio comandante, tentò in tutti i modi di
farmi restare, ma la mia decisione era ormai irremovibile e finalmente
anche il comandante capi e mi lasciò andare. Il militare era stato un
periodo effettivamente utile per la mia maturazione e si era collocato
in un preciso momento della mia vita. Caduti i presupposti, caddero
anche le mie motivazioni per rimanere sotto le armi.
Sembrerà egoistico dire che il militare era stato utile viste, le indicibili
sofferenze che avvolgono il mondo proprio a causa delle armi e degli
eserciti, ma m effetti era cosi: quel periodo fu utile per scaricare la
rabbia che avevo dentro, ma anche per capire i veri valori della vita.
Finite tutte le beghe burocratiche per il congedo, dopo una settimana
riuscii a lasciare Roma e invece di telefonare a Franco decisi di fare
uno scherzo a tutti e tre che sapevo insieme da diversi giorni.
Arrivai alla villa di Franco all'indomani, senza avvertire nessuno, per
cui raggiunsi silenziosamente il giardino ed entrai da una finestra
aperta.
Dall'ampio salone provenivano le voci di una televisione, per cui
spalancai di colpo la porta e trovai i miei tre amici spaparanzati su
dei divani alle prese con birre, patatine e una partita di basket alla
televisione.
- Bene, sono proprio contento - Urlai io divertito.

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- Ti prendesse un…ma ti sembra questo il modo di entrare in casa
d'altri delinquente?
- Sono le due del pomeriggio, fuori quasi nevica, dove vuoi che
troviamo giovani pulzelle con cui sollazzarci? - Rispose Stefano - che
sembrava abbastanza brillo.
Dopo questa divertente scaramuccia, Franco ci illustrò nei dettagli
tutta la situazione della ditta e i nostri rispettivi compiti, anche se
soltanto nei prossimi giorni avremmo preso contatto con i nostri
collaboratori. Io proposi subito un'idea che mi era venuta in mente e
cioè di coinvolgere il mio vecchio amico Piero che aveva fondato
assieme ad un collega d'università una società di scavi archeologici.
Noi avremmo procurato dei contratti e loro ci avrebbero garantito un
lavoro curato ma veloce, con soddisfazione da ambo le parti. Franco
che sapeva quanti cantieri aveva fermi a causa dei vincoli della
Sovrintendenza, fu entusiasta di questa proposta e mi diede carta
bianca per portare a compimento questa futura collaborazione.
- Vedete, quando dicevo che alla nostra azienda servivano idee
fresche e sano entusiasmo, intendevo proprio questo, abbiamo, fatto
grandi cose insieme, ma credo che nel futuro faremo ancora meglio -
Quando terminammo la discussione erano ormai le nove di sera,
decidemmo allora di andarcene a mangiare in un piccolo ristorante
al centro di Bertinoro.
Vedendo la mia espressione contrariata, durante la cena, Stefano
indovinò subito il motivo e mi chiese a bruciapelo:
- Ci venivi spesso qui con Monica?
- Abbastanza, ma penso che con una decina di bottiglie riuscirò
mandare giù tutto - Risposi io ridendo e coinvolgendo anche gli altri
nella mia ritrovata allegria.
Nei giorni che seguirono, i contatti con il nostro nuovo lavoro ci
assorbirono completamente, anche perché se l'entusiasmo che
avevamo era tanto, la mole di lavoro non era da meno. Nel settore di
cui mi occupavo io, trovai una situazione a dir poco disastrosa, con

132
molti dei clienti che ci avevano commissionato dei lavori, imbestialiti
dai ritardi, dai preventivi non rispettati.
Il principale obiettivo fu proprio quello del recupero di immagine e
nel tentativo di cancellare tutta la pubblicità negativa che ci era stata
fatta negli ultimi mesi. Stefano, che come geometra si occupava delle
ispezioni nei cantieri, scoprì cose a livello di denuncia, specie quando
i materiali acquistati erano di qualità pessima, mentre sulla carta
risultavano i migliori e come tali erano stati pagati. Ma come detto,
l’entusiasmo e la voglia di fare compiono miracoli, e poi la base dei
dipendenti era più che, sana, per cui nonostante l'aspetto finanziario
fosse il più preoccupante anche al di là delle peggiori aspettative,
riuscimmo a risollevare l'azienda dall'impasse in cui era piombata,
nel breve arco di sei mesi.
Non ci consideravamo arrivati ma la strada intrapresa era quella
giusta: sarebbe bastato continuare per migliorarsi ogni giorno

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CAPITOLO 5
Una sera di fine Febbraio e, dopo una accesa discussione di lavoro a
cui partecipò anche Piero la cui collaborazione diventava sempre più
fattiva, ci ritrovammo tutti e cinque soli, senza una meta precisa per
trascorrere in allegria la serata. Ormai era troppo tardi per
raggiungere la compagnia di Franco, e accettammo l'idea di Franco
di andare alla periferia di Cesena dove c'era una specie di hard-rock
caffè, famoso proprio per la sua musica e per le sue birre provenienti
da tutto il mondo.
Capimmo ben presto che la zona dove ci stavamo recando, non era
una delle più tranquille della città; non dico in che modo
apostrofammo Franco per l'avventura in cui ci stava ficcando, anche
se poi nessuno ne avrebbe mai immaginato i risvolti drammatici che
seguitano.
Dopo aver lasciato l'auto nell'unico garage notturno che era
disponibile da quelle parti, ci preparammo ad una lunga camminata,
finché non ci infilammo in un dedalo di strette viuzze non proprio
rassicuranti e che sfociavano su una piccola piazzetta circondata da
vecchi e cadenti palazzi. Al centro della piazza, attorno ad una
fontana che doveva aver sicuramente visto tempi migliori, c'erano
una quindicina di giovani drogati, indaffarati nelle loro attività di
morte. A volte si pensa che scene come quella possano esistere solo
nei film, ma purtroppo la realtà spesso è più crudele e vicina a noi di
quanto ci si immagini. Allungammo il passo, finché in fondo alla
strada vedemmo il famigerato bar in cui entrammo decisamente
sollevati. Dietro di noi Piero e Franco si attardarono a parlottare con
una ragazza, alla quale poi allungarono del denaro, prima di lasciarla.
L'ambiente del pub era tipico di un rock-caffè americano: luci soffuse,
musica alta dove imperavano i Kiss, gli Iron Maiden e altri gruppi del
genere. La gente nel locale apparteneva alle più diverse classi sociali,
ma comunque tutti perfettamente integrati nell'ambiente
circostante. Trovammo a fatica un piccolo tavolo proprio vicino alla
pedana di legno dove probabilmente qualche gruppo si esibiva dal
vivo.

134
Ordinammo una quantità spropositata di panini e di birre, alcune
delle quali con nomi stranissimi e mai sentiti.
- Cosa stavate parlottando con quella ragazza là fuori? Chiesi io
curioso.
Piero e Franco si guardarono con una strana luce negli occhi, poi,
Piero mi disse che voleva solo un po' di soldi e loro le avevano dato
una piccola somma anche sapendo che quel denaro sarebbe servito
solo a farle del male.
- Piero ti vedo stranamente silenzioso, la vecchiaia sta devastando il
tuo spirito da indomito guerriero? Gli chiesi con tono ironico.
- No è solo che ho visto un fantasma -
Piero sviò subito il discorso e ben presto argomenti più ameni ci
presero tutti, anche aiutati dalle abbondanti libagioni.
Quando decidemmo di andarcene, la notte era parecchio inoltrata,
anche se il locale che stava diventando sempre più fumoso era ancora
pieno di gente; Franco e Piero si alzarono per andare a pagare il
conto, e ripresero il loro fitto parlottare che mi provocò un senso
d'inquietudine, anche perché la loro amicizia era ancora a livello
embrionale e non capivo tutta questa confidenza da dove arrivava.
Quando fummo fuori dal locale, Piero senza mezzi termini, mi disse
che la ragazza che li aveva fermati all'entrata del pub, era sicuramente
Monica.
- Sei impazzito! Cosa diavolo ci farebbe qui? Urlai io con astio.
- Questo non lo so, quello che so è che sono quasi sicuro, e il mio
unico dubbio è dovuto solo alle sue condizioni attuali, sembrava
molto provata
- Sono passati quasi 3 anni ormai dall'ultima volta che ci siamo visti,
ma cosa può essere successo? Chiesi più a me stesso che agli altri che
mi guardavano preoccupati.

135
- Guido, voi quattro in questi anni avete fatto cose da riempire un
libro, per cui tutto può essere successo, se vuoi adesso andiamo nella
piazza e vediamo se per caso è ancora lì - Rispose Piero
Dopo aver percorso lo stretto viottolo che portava alla piazza, il
medesimo spettacolo che ci aveva colpito all'andata, ci si ripresentò
nuovamente. Stavolta anzi ai giovani sbandati sistemati in quello
sporco angolo della città erano sicuramente di più alcuni dei quali
sistemati alla meglio per terra sdraiati su dei cartoni chi a dormire,
chi anche a fare all’amore chi a drogarsi, incuranti di chiunque
passasse nei dintorni. Piero mi indicò una ragazza con la camicetta
gialla che stava parlando con un tipo dalla faccia poco
raccomandabile, resa ancora più truce dalla mancanza dei capelli. Mi
avvicinai decisamente e afferrata Monica per un braccio la costrinsi a
girarsi, quasi con violenza, sapendo già in cuor mio che era lei. Infatti
appena si girò il cuore mi salì in gola, - Dio in che stato era!
-Monica, non mi riconosci più? Sono Guido! Quasi le gridai vedendo
il suo sguardo spento. A queste parole sembrò svegliarsi e
divincolatasi dalla mia stretta, mi apostrofò con rabbia:
- Cosa vuoi ancora da me? Poi senza porre tempo in mezzo, fuggì
velocemente imboccando un viottolo buio. Io feci per lanciarmi
dietro di lei ma il tipo con il quale stava parlando pochi attimi prima
mi si parò dinanzi e con fare minaccioso mi mise la mano sul petto.
Reagii nel modo più violento a quella provocazione. Un colpo in
mezzo alle gambe e mentre si stava piegando in due per il dolore, un
altro colpo con il taglio della mano proprio dietro la nuca.
Fortunatamente i miei amici mi fermarono prima che potessi
mettermi nei guai, poi lì attorno la situazione rischiò di precipitare in
quanto diversi giovani, forse amici quello che avevo steso, si stavano
minacciosamente avvicinando a noi. Mi lasciai convincere ad
allontanarmi anche grazie alle parole di Franco:
- Stai tranquillo la ritroveremo - Poi molto in fretta ce ne andammo
verso il garage per recuperare la nostra auto. Un sacco di pensieri si
agitavano dentro di me. Non riuscivo a capacitarmi di una cosa
simile. Come poteva essere caduta così in basso?

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Erano ormai le quattro del mattino quando arrivammo nella villetta
di Torre Pedrera che avevo ereditato.
La villa non era molto grande, ma mi permetteva di aprire le finestre
e vedere il mare e per almeno 6 mesi l’anno la pace regnava sovrana.
Poi da Pasqua a settembre, vista la posizione, direttamente sulla
spiaggia circondato da sdrai e ombrelloni la situazione non era delle
più calme, ma a me andava benissimo ugualmente. Tutte cose che
quando arrivammo quella notte, non mi interessavano molto.
Gli amici che avevo, si potevano definire amici con la A, maiuscola in
quanto si dichiararono pronti ad aiutarmi. Fu Stefano a farmi quella
domanda che avevo sempre cercato di evitare sempre a me stesso, e
cioè se ero ancora innamorato di Monica, ma questa volta affrontai i
miei sentimenti e non cercai di mentire. Sì lo ero ancora.
-Stabilito questo - Continuò Stefano - Vediamo come si può fare per
dare una mano a questa ragazza cercando di tirarla fuori dai guai
dove si è cacciata; poi il resto, Guido, sono affari tuo mi capisci?
Il mattino successivo, proprio assieme a Stefano decidemmo di
andare a Forlì a verificare se nella casa dove abitava Monica c'erano
ancora i suoi genitori, visto che dall'elenco, il nome del padre
sembrava scomparso. Quando suonammo alla porta della villetta, che
era rimasta praticamente uguale a come la ricordavo io, venne ad
aprirci una bella ragazza di circa vent’anni, che riscosse molto
successo nei confronti di Stefano. La ragazza che si chiamava Sonia,
ci disse che i suoi genitori avevano comprato quella casa poco meno
di un anno e mezzo prima e che i vecchi padroni, oberati dai debiti,
se ne erano andati ad abitare da qualche parte nei pressi dello stadio,
ma lei non sapeva altro. A questo punto dissi a Stefano che io sarei
andato a dare un'occhiata da quelle parti e che ci saremmo rivisti nel
pomeriggio a casa mia, lui mi fece l'occhiolino d'intesa e fu ben felice
di lasciarmi andare.
Vecchio maiale, non perdeva un’occasione!
Inforcata la mia moto, me ne andai, e preso dalla curiosità, dopo
essermi fermato a prendere qualcosa in un bar, ripassai davanti a

137
casa. Stefano non c'era più ma la sua moto era già parcheggiata
dentro il giardino, cosi rombando fortemente per farmi sentire, me
ne andai.
Dopo un'ora che passavo e ripassavo nel quartiere vicino allo stadio,
specie dove c'erano le case più dimesse, come previsto non avevo
risolto nulla per cui pensai quasi di tornarmene su a casa. Poi mi
venne improvvisamente un'idea. Avevo visto un piccolo bar latteria,
nei pressi; ritornai indietro e, fermata la moto ed entrai. Non c'era
nessuno, tranne il proprietario, un ometto anziano e simpaticissimo,
che in breve tempo attaccò con me un lungo discorso sul governo,
sulle tasse, sullo sport, riuscendo in breve tempo a farmi tornare il
buonumore. Quando nel fiume di parole che mi riversò addosso,
inserì una pausa, gli chiesi quello che mi stava a cuore; fui molto
preciso nella descrizione dei due genitori e alla fine qualcosa tornò
alla memoria dell'anziano. Mi disse che effettivamente da circa un
anno, un signore attempato la cui descrizione corrispondeva a quella
fatta da me, veniva nel suo negozio a comprare latte, pasta e altri
generi alimentari; si ricordò pure che nei primi tempi gli aveva
chiesto dei pannolini per neonato.
- Mi ricordo anche che tempo fa, lo avevo visto passare con una
ragazza e un bimbo piccolo di circa un anno e mezzo, poi la ragazza
non l'ho più vista, mentre il signore di cui stiamo parlando viene
ancora, anche se molto di rado -
A questo punto, dopo aver appreso anche qualche indicazione più
precisa sul loro indirizzo, lo ringraziai e me ne andai.
Mentre stavo mettendomi il casco, l'anziano barista mi disse:
- Li aiuti se può, sembravano brave persone - io gli sorrisi e partii
quasi con rabbia.
Arrivato nella zona indicatami, individuai anche il palazzo dove forse
abitavano e mi vennero i brividi; da fuori infatti, la casa a 5 piani
sembrava molto malmessa e fatiscente e sapere che dentro potevano
abitare delle persone, magari dei bambini, mi procurò un senso di
risentimento nei confronti di tutto e di tutti.

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Era ormai ora di pranzo e in giro non vidi nessuno, per cui ero
piuttosto indeciso sul da farsi, quando un poco di fortuna mi venne
in aiuto. Da lontano vidi un signore anziano allampanato, con
un'inconfondibile zazzera bianca. Si era proprio lui il padre di
Monica, così mi avvicinai e lo chiamai per nome:
- Signor Ferrari?
Questi si voltò e dopo aver sbarrato gli occhi per la sorpresa, mi lanciò
un bel sorriso.
- Guido, cosa fai da queste parti?
- Vi stavo cercando - Risposi io, come se fosse la cosa più naturale del
mondo.
A questo punto i suoi occhi furono velati da un improvvisa tristezza
e mi chiese se volevo salire da loro, pregandomi anche di non far
molto caso al disordine che avrei trovato. Mi condusse all'interno
della casa, dove salimmo per tre piani, usando delle scale che non
capivo come facessero ancora a reggere il loro peso, figuriamoci poi
quello della gente che ci camminava sopra. L'appartamento in cui
entrammo invece sembrava appartenere non a quel palazzo ma ad
una casa normale. I mobili si capiva che erano tutti riciclati, ma la
pulizia in giro era esemplare, come l'ordine, cosa di cui la madre di
Monica, aveva sempre avuto il pallino.
Quando lei mi vide, passato il primo momento disorientamento, mi
corse incontro e mi abbracciò, abbraccio che io ricambiai di cuore.
- Cosa è successo? Chiesi ansiosamente
Fu la madre a parlare, in effetti possedeva ancora il polso e la grinta
che conoscevo e mi raccontò un’assurda storia, che purtroppo anche
vera.
Francesco, il ragazzo di Monica, non era quel bravo ragazzo che
sembrava, ma un vero e proprio truffatore. Acquistava merce da
fallimenti per poi rivenderla a prezzi molto maggiorati, ma gli affari
non andavano come sperato e ad un certo punto iniziò a comprare
anche a credito e a non pagare, per cui i guai arrivarono molto presto.

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Tra l'altro lui non aveva mai fatto cenno della sua situazione
economica, così quando chiese loro di fargli da garante per l'acquisto
di una grossa partita di elettrodomestici e hi-fi, (un affare sicuro come
lo aveva chiamato) loro firmarono senza sospettare nulla. L'affare si
dimostrò una bufala tremenda e i creditori vennero da noi per la
riscossione. Per questo motivo la casa fu venduta, ma anche questo
non fu sufficiente per pagare tutti i debiti, così dovettero chiedere un
prestito alla banca, che fortunatamente fu concesso. Ora tutti i mesi
per pagare le rate se ne andava quasi una pensione e mezza, questo
era il motivo della loro indigenza.
- A quanto ammonta il debito con la banca? Chiesi
decisamente
- Saranno circa 80 milioni per cui passerà un'altra decina d'anni
prima di saldare il tutto.
- Monica e Riccardo dove sono? '
- Monica - Mi fece suo padre con un sospiro - Perse il lavoro
per il fallimento della ditta e non riuscì a trovare niente altro che
qualche ora a servizio da una signora anziana che abita in centro, cosi
circa un anno fa se ne è andata a Cesena con il bimbo assieme a
Francesco, dove a sentire lui le avrebbe trovato un lavoro sicuro.
Negli ultimi tempi pero non la riconoscevo più era sempre nervosa e
non credo fosse solo per la situazione in cui ci trovavamo. Ci telefona
spesso e talvolta ci manda anche dei soldi, che noi tra l'altro non
usiamo mai, ma li mettiamo via per Riccardo, che almeno lui abbia
un futuro migliore un giorno!
Comunque a parte le telefonate sono otto mesi che non si fa vedere,
come se tra Cesena e Forlì ci fosse un abisso. E così dicendo grosse
lacrime scesero dagli occhi di quell'uomo, che la vita aveva segnato
irrimediabilmente proprio quando era il momento di rimanere in
pace a godersi la pensione.
Trascorsi ancora diverso tempo con loro, raccontando cosa avevo
fatto io durante quegli armi e promisi loro che nel giro di un mese li
avrei tirati fuori da quel buco in un modo o in altro.

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Perché faresti questo per noi, Guido? Mi chiese la madre.
- Semplice, perché amo ancora Monica come il primo giorno risposi
io con tono sicuro, anche se il vero motivo (o almeno buona parte)
era il rimorso che provavo nei suoi confronti, per il mio
comportamento e perché nel mio cervello mi ritenevo materialmente
responsabile di quel casino.

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CAPITOLO 6

- Ammesso che la troviamo, cosa pensi di fare? La riporti dai suoi


genitori e li metti a vivere tutti nella tua casa e magari dopo un paio
di giorni le chiedi uscire insieme? La voce di Piero mentre mi diceva
queste cose era molto seccata e aveva ragione.
In effetti il problema non era di facile soluzione, perché se potevo fare
tutte le cose di cui sopra rimaneva sempre il fatto che Monica ormai
era una drogata e io anche se non volevo dovevo accettare questa
realtà. Sicuramente non aveva cominciato a drogarsi da molto tempo,
ma comunque andava curata, per cui bisognava trovare una clinica
dove disintossicarla ed eventualmente una comunità dove cercare di
inserirla, sempre che lei avesse la volontà di fare tutto ciò. La madre
di Franco, una signora dalle eccezionali risorse, sollecitata dal figlio
ci venne in aiuto, dicendo di avere un'amica a Verona il cui marito
era direttore di una clinica privata. Dopo una telefonata ci disse che
la cosa era possibile, anche se la clinica era attrezzata per curare
malattie nervose, si erano in passato, già occupati casi come quelli e
se l'erano sempre cavata piuttosto bene. L'unico ostacolo, mi disse
erano i costi esorbitanti ma a me questo non interessava, pur di
rivedere sulle labbra di Monica, il sorriso di un tempo, avrei fatto
qualunque cosa.
A questo punto rimaneva solo da trovare Monica e portarla via
assieme a Riccardo dall'ambiente malsano, dove era vissuta sinora.
Prima di cominciare l'operazione ricerca, però io dovetti recarmi in
Svizzera, per approfondire un contatto di lavoro, contatto che ben
presto si concretizzò in un grosso affare per la nostra ditta. Avremmo
dovuto occuparci della costruzione di un grosso centro commerciale
nei pressi di Lucerna e di tutte le vie di comunicazione necessarie per
accedervi.
Purtroppo i tre giorni previsti, divennero una settimana, ma non
potevo trascurare il mio lavoro che mi piaceva e mi dava grosse
soddisfazione, ma che mi portava anche grosse somme di denaro,

142
denaro di cui nei prossimi mesi avrei avuto un gran bisogno.
Finalmente potei lasciare la Svizzera un sabato mattina sotto una
pioggia torrenziale – la primavera di quell'anno sembrava voler
annegare tutti.
Passai tutta la giornata con Franco a definire i termini del progetto e
avviare i preventivi, poi alla sera ci concedemmo un meritato riposo
in collina, nella mia casa. I miei amici capendo perfettamente il mio
stato d'animo avevano chiamato pure Piero e quando lo vidi, capii
che quella sera saremmo partiti per iniziare le nostre ricerche.
Stefano come al solito, aveva sempre letto troppi romanzi polizieschi,
infatti quella sera tirò fuori da una grossa borsa un vero arsenale,
fornendo una pistola ad ognuno di noi, tranne che a Piero che avendo
meno dimestichezza di noi nelle armi da fuoco si rifiutò di
cominciare proprio allora ad impugnarle.
- Se ci ferma la polizia, ci ficcano dentro e buttano la chiave, feci io
un po' dubbioso
- E tu cosa vorresti, tornare là in quel bellissimo ambiente a mani
nude?
Mi rispose lui in tono seccato. Certo non potevo dargli torto.
Arrivammo nella piazzetta dei drogati, direttamente con l'auto
stavolta e bastò una rapida occhiata in giro per ritrovare il tizio che
una settimana prima io avevo così duramente picchiato.
Come questi ci vide, tentò la fuga, ma avevamo già previsto la mossa
e furono proprio Piero e Franco a bloccarlo nella stradina stretta dove
era scomparsa Monica l'altra volta.
- Cosa volete da me ancora? Chiese con voce impaurita
- La ragazza con cui parlavi la settimana scorsa prima che
arrivassimo noi la ricordi vero? Voglio sapere come si chiama, dove
abita e tutto quanto sai di lei e bada a non raccontare frottole
altrimenti in questo cassonetto di immondizia ci finisci a pezzi. A
quanto dissero poi gli altri, il tono della mia voce era tremendamente

143
cattivo e bastò evidentemente quello per fargli ammettere tutto
quanto sapeva di Monica.
Ci disse che era venuta diversi mesi fa assieme ad un certo Francesco
ed aveva acquistato delle dosi di eroina. Ma non veniva sempre
perché il resto delle notti lo trascorreva, facendo la prostituta nei
pressi della stazione di Cesena. Era Francesco che la portava là ed era
lui che l'andava a prendere e riuscimmo anche ad avere una buona
indicazione sul luogo dove abitava.
La notizia che Monica era una prostituta non mi aveva colto troppo
di sorpresa, immaginando che Francesco non l’avesse portata con se
per amore e per regalarle dosi di eroina.
Erano le due di notte quando arrivammo sotto la casa di lei, una casa
discreta, situata in un quartiere normale.
Verso le quattro, una grossa auto si fermò, proprio davanti al portone
e Monica quasi di corsa scese, mentre la grossa Mercedes ripartì
sgommando.
- Corri, corri Francesco ma prima o poi salderemo il conto.
- Ha fatto i soldi il porco. Feci io con rabbia.
- Non preoccuparti, arriverà il suo momento, questo te lo garantisco
- Mi rispose Franco mentre annotava il numero di targa dell'auto.
- E ora per salire? Chiesi io
- Semplice, suoniamo, però entrate solo tu e Piero, mentre noi stiamo
qui a coprirvi le spalle, non si sa mai, e attento al mio clacson se la
sentite, vuol dire che c'è qualcosa che non va o un pericolo in arrivo,
per cui uscite subito, intesi? Mi disse Franco con la voce preoccupata.
Naturalmente tra tutti i nomi presenti sul portone d'ingresso non ce
ne era nessuno che conoscessi, ma poi Piero fece una scoperta
davvero incredibile, la parta d'ingresso era aperta!
Salimmo in silenzio le scale, soffermandoci davanti ad ogni porta per
cogliere qualche parola o un indizio di dove fosse entrata Monica.

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Fu al terzo piano che mi sembrò di carpire una voce familiare, si non
mi sbagliavo era lei ne ebbi la certezza quando alla sua voce si
mescolò anche quella di un bambino, per cui senza indugio bussai
alla parta.
- Chi è? fece una voce impaurita.
- Sono Guido, ho parlato con i tuoi genitori e ti devo vedere, dai
Monica apri!
La porta fu immediatamente aperta, mostrandomi il volto segnato ed
ansioso della ragazza che amavo alla follia.
- Cosa è successo ai miei genitori?
- Niente stai tranquilla e la spinsi dentro facendo passare anche Piero,
poi chiusi la porta. Io e lei ci guardammo lungamente negli occhi, che
non avevano perso la fierezza e la voglia di lottare di un tempo. Da
quello sguardo capii che ce l'avrebbe fatta se qualcuno l'avesse
aiutata.
- Come hai fatto a trovarmi? Mi chiese Monica
Non è stato poi così difficile, dopo averti vista quella sera, sono
riuscito a trovare i tuoi genitori e ha saputo un poco della tua storia,
Così mi sono deciso ad aiutarti, anzi ci siamo decisi ad aiutarti perché
io e Piero non siamo soli come vedrai - le dissi sorridendo.
Poi le parlai del colloquio avuto con i genitori, delle condizioni in cui
erano costretti a vivere e di come si sarebbero sentiti se l'avessero
vista in quelle condizioni. In quel momento un bambino di circa tre
anni, usci dalla cameretta e strofinandosi gli occhi con le manine
corse, come vide me e Piero, dalla sua mamma.
- Ciao Riccardo - gli dissi dolcemente, ma le mie parole ottennero
l'effetto contrario, infatti si mise a piangere. Monica sorridendo, mi
disse di non preoccuparmi, in quanto Riccardo era un po' turbato
dalle presenze maschili visto che Francesco qualche volta lo trattava
male.

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- Come puoi permettere una cosa del genere? Quasi le urlai io e
questa volta Monica crollò, e fu presa da una crisi di pianto, la lasciai
sfogare, offrendole un caffè che Piero tra mille imprecazioni era
riuscito a preparare.
- Non ho un lavoro, mi servono soldi in continuazione …… Poi
Francesco ha detto che possiede certe altre cambiali che se andassero
in giro potrebbero peggiorare la situazione per i miei genitori. Inoltre
mi ha fotografato in alcuni incontri con i miei clienti e ha minacciato
di mandare le foto a mio padre, tu sai com’è il suo cuore, come
reagirebbe vedendole?
Piero ed io ci guardammo, con lo stesso pensiero nella mente, se
quelle cambiali esistevano veramente, avremmo mangiato un bue
intero, mentre sicuramente poteva essere vero per le foto, per cui in
pochi secondi le prospettai una soluzione per tutti i problemi. Le dissi
che l'avrei fatta ricoverare in una clinica privata per disintossicarla,
Riccardo avrebbe abitato con i nonni nella casa che gli avrei messo a
disposizione, tanto io avrei potuto benissimo trasferirmi al centro di
Novafeltria dove Franco aveva un attico niente male.
- Ma Francesco mi cercherà? Mi disse Monica, mentre nel suo
sguardo passava tutta la paura e il terrore che le incuteva quel
bastardo.
- Perfetto, noi stiamo cercando lui, cosi renderemo più snella la
faccenda e vedrai che per molto tempo avrà altro a cui pensare.
A questo punto Monica, prese la sua decisione, forse nemmeno per
se stessa, ma per dare un futuro migliore al suo bimbo, e per i suoi
genitori di cui si riteneva materialmente responsabile di tutte le loro
sofferenze.
La aiutammo a fare le valigie e mentre Monica si faceva una doccia,
noi rimanemmo con Riccardo, il quale molto assonnato, vista l'ora,
sembrava però gradire molto più di prima la nostra presenza. Monica
fu velocissima, come richiestole, ma quando uscì dal bagno, vestita
con un paio di jeans e un pile colorato, il tutto condito da un leggero
velo di trucco, non potei astenermi dal farle i complimenti.

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- Sei bellissima.
Come sempre lei arrossi ancora, come allora e in quel momento
sembrava che il tempo non fosse trascorso, invece quei tre anni
avevano segnato forse irrimediabilmente il destino di due persone.
- Perché fai tutto questo per noi? Mi chiese Monica prima di uscire
- Perché sei un'amica nei guai e di amicizia da me ne hai sempre
ricevuta poca, per cui mi sembra il momento di fare sul serio.
Scendemmo velocemente per le scale e dopo aver caricato le valigie
nel bagagliaio ed esserci stipati nel furgone, partimmo alla volta di
Novafeltria. Quando arrivammo, tutti si diedero da fare per aiutare
Monica a scendere dal furgone e a portare tutte le valigie; i miei amici
a volte erano veramente dei bambinoni, ma erano anche fantastici.
Per prima cosa mettemmo Riccardo a dormire, anche se non ne
voleva assolutamente sapere, sentendo tutta l’eccitazione di quei
cambiamenti poi ci sedemmo tutti nell'ampio salone e notai con
orgoglio lo sguardo di compiacimento dei miei amici nei riguardi di
Monica la cui trasformazione dopo la doccia aveva un qualcosa di
miracoloso. Dopo un'amichevole chiacchierata, se ne andarono tutti
e Franco mi prese da parte, dicendo che potevo prendermi tutto il
tempo che volevo per sistemare tutto, per il lavoro c'era tempo.
- Franco ti ringrazio, ma per domani sera ogni cosa deve essere già a
posto, non so se sarei in grado di affrontare un crisi di astinenza di
Monica, per cui vorrei portarla al più presto in clinica a Verona -
- Non preoccuparti, domattina prendo i contatti con il direttore della
clinica poi ti faccio sapere OK?
Io e Monica rimanemmo soli e anche se ormai stava albeggiando,
rimanemmo ancora a lungo a parlare.
- Lo sai perché sono rientrata così tardi stanotte? Mi chiese lei con
una punta di sofferenza nella voce, ma decisa ad affrontare
l’argomento.

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- Lo so Monica, le informazioni sul tuo conto, compreso, l'indirizzo
le abbiamo avute da uno dei tuoi amici, giù nella periferia di Cesena
-
- E non mi disprezzi?
- Chi sono io per giudicare? Come mi sono comportato io nei tuoi
confronti? Per cui potrei chiederlo io a te se non mi disprezzi -
Con gli occhi colmi di gratitudine, Monica mi strinse forte la mano e
senza ulteriori parole ce ne andammo a letto o per lo meno lasciai
andare a letto lei perché io ero troppo agitato per poter dormire.
Verso le 10 del mattino, andai a Forlì, dai suoi genitori, spiegando loro
quanto successo, anzi non proprio tutto, avevo prudentemente
taciuto d'accordo con lei, il lavoro che svolgeva, sarebbe stata lei
stessa a parlare quando e se avesse trovato il coraggio.
Furono molto felici di abbandonare il tugurio dove vivevano, e di
riabbracciare finalmente la loro figlia e il nipotino, anche se poterono
godersi Monica solo per poche ore perché, Franco al telefono mi
aveva, comunicato che, nel tardo pomeriggio eravamo attesi alla
clinica di Verona.

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CAPITOLO 7
Il viaggio verso la clinica fu alquanto silenzioso, Monica cominciava
a stare male, era nervosa, si torceva le mani, con una violenza tale da
rompersi la pelle per poi smettere appena io giravo lo sguardo verso
di lei. Erano i primi chiari sintomi di astinenza e mi sentivo
veramente male a vederla così, ma sapevo anche che se tutto fosse
andato per il verso giusto (almeno stavolta), queste sofferenze
sarebbero finite, diventando solo un brutto incubo ormai
appartenente al passato.
Naturalmente, arrivato in città, visto il poco tempo a disposizione che
sapevo di avere, riuscii a perdermi e arrivammo in clinica con circa
un'ora di ritardo e grosso disappunto del personale medico.
Monica venne prese subito in consegna da una giovane dottoressa,
mentre un inserviente, le portava la valigia; io invece, che dovevo
andare a colloquio con il direttore, feci una mezz'ora di anticamera,
che mi sembrò quasi una punizione per il ritardo del nostro arrivo.
Finalmente fui fatto entrare in un ampio studio, finemente arredato,
con vecchi mobili e dotato di un'enorme libreria alle spalle della
scrivania colma di testi medici nelle lingue più disparate. Dalla
scrivania, alquanto massiccia, emergeva l'imponente figura del dottor
'Moniti, che nonostante la mole e l'aspetto burbero era una persona
bonaria e alla mano, dotata di una grossa dose di umanità, come avrei
verificato anche in seguito. Eliminata l'iniziale soggezione che avevo
nei suoi confronti, mi ritrovai a parlare con il dottore come fosse un
vecchio amico; finché arrivai al sodo della questione e raccontai a
grandi linee la vita idi Monica .
- Bene - Disse - il fatto che sia iniziata da non molto tempo
l'assunzione di droghe pesanti, dovrebbe facilitare il nostro compito,
che se dal punto di vista medico non presenta eccessivi problemi, può
essere molto più arduo dal punto di vista psicologico. Nella nostra
clinica abbiamo una equipe di psicologi di prim'ordine, che hanno già
affrontato problemi di questo tipo con successo, anche se a volte il
nostro lavoro è stato poi vanificato dalla situazione familiare e
dall'ambiente che circondava il paziente. Quando Monica uscirà da

149
qua dentro, sembrerà una persona perfettamente a posto, ma dal
punto di vista della forza interiore sarà come una bambina e dovrà
lentamente riabilitarsi ed affrontare la vita. Considerato che lei mi ha
informato sulla sua situazione familiare, quella economica com'è?
- Nessuna difficoltà - Risposi io con sicurezza - Ormai mi sono preso
a carico tutti i problemi di quella famiglia per cui sono il responsabile
di tutto, e le garantisco che sono in grado di sostenere qualunque
spesa.
- Non mi fraintenda, la signora Galdi ha garantito per lei quello che
volevo sapere era se una volta tornata a casa Monica potesse essere
soggetta a stress di questo genere, ma è un dubbio che lei ha già
chiarito. Mi rispose lui guardandomi profondamente.
- Dovete darle il tempo di recuperare le energie mentali perdute, in
modo che di fronte a qualsiasi problema, impari non più a ricorrere
alla siringa come prima ma si rivolga a se stessa per trovare la
soluzione. Tornerà quella di un tempo, anche se il recupero sarà
molto più lungo rispetto a ci ha messo per cadere nel tunnel della
droga. Come sempre è molto facile scendere, ma molto più difficile
salire. Lasciatela tranquilla per i primi tempi e non mettetela mai
davanti a scelte gravose.
Dopo un attimo di silenzio, il dottor Moniti, riprese il suo discorso:
- Da quanto mi ha detto, lei è qui in veste di amico, bene: si comporti
come tale, finché (e se) Monica non vorrà cambiare qualcosa nei
vostri rapporti. Sono d'accordo che lei sta tacendo una cosa molto
nobile, sia verso i suoi genitori che verso Monica, ma come
ricompensa le deve bastare riconoscenza e amicizia, l'amore non si
compra.
Le sue parole furono dette con tono pesante e grave, colcando molto
sulla parola “Compra” ma su questo aspetto avevo capito benissimo
stavolta.
Dopo esserci salutati con una vigorosa stretta di mano, me ne andai
dall'ufficio. Mi fecero salutare Monica per pochi minuti in cui lei si
raccomandò per i suoi genitori e per Riccardo, poi dopo avermi

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stretto fortemente a sé mi lasciò andare prima che l'infermiera
cominciasse a fibrillare.
Prima di uscire dalla clinica, il dottor Moniti, mi venne incontro e mi
invitò al bar di fronte per un aperitivo, più che gradito vista l’ora.
- Mi ero dimenticato di dirle - Riprese con espressione seria mentre
sorseggiava il suo cocktail - Che lei per tutta la durata della terapia,
non potrà vedere Monica, aspetti…. Fece al mio tentativo di protesta.
La prima visita verrà permessa, se tutto procede nel modo stabilito,
tra circa un mese ai suoi genitori e a suo figlio, poi solo loro
continueranno a vederla.
Lei no e le spiego subito perché.
Inutile nascondersi dietro un dito, lei è innamorato di quella ragazza,
per cui è una persona emotivamente instabile; venendo qua a trovarla
sono sicuro che lei saprebbe controllare le sue parole, ma non i suoi
occhi che sarebbero lo specchio dei suoi sentimenti. E per il discorso
che le ho fatto prima in ufficio, ciò sarebbe deleterio. Non so se
riuscirà un giorno a riconquistare l'amore di quella ragazza, ma se ci
riuscirà, dovrà farlo su un piano di perfetta parità, quando tutti e due
vorrete le stesse cose, mi capisce?
Rimasi un attimo pensieroso, poi annuii, conscio che quanto detto
dal dottore, corrispondeva al vero. Questa volta ci salutammo
definitivamente ed io presi la via del ritorno verso Novafeltria, dove
avrei raccontato ai genitori di Monica, quanto accaduto quel
pomeriggio.
*********
Arrivai all'ora di cena, nella mia casa, dove erano alloggiati i genitori
di Monica. La madre mi aveva preparato la cena, deliziosa come al
solito, e così mentre mangiavamo, loro ascoltarono quanto aveva
detto il dottore. Diedi loro il numero di telefono della clinica, dicendo
che potevano telefonare quando volevano per sapere qualcosa delle
condizioni della loro figlia.

151
Il padre di Monica ad un certo punto, affrontò il problema della loro
situazione finanziaria, argomento che non avrei mai voluto toccare,
in quanto temevo di urtare la loro sensibilità con qualche parola
sbagliata; inoltre non avevo in effetti pensato a cosa dirgli per
giustificare il fatto che il loro debito era stato estinto il mattino stesso,
da Franco, che per conto mio aveva versato alla banca l'intero
importo. Li rassicurai comunque che per la casa non ci sarebbe stato
problema, loro potevano rimanere lì, io mi sarei trasferito in riviera,
mentre per i soldi, avevo deciso di fare un regalo a Riccardo per
festeggiare il suo compleanno.
Il regalo che lui voleva ero sicuro, era di non vedere il nonno piangere
ancora, e io l'avevo accontentato, facendo in modo che per quanto
riguardava i soldi non ci fossero più problemi. Era forse banale la mia
scusa ma fu di sicuro effetto e anche se ce ne volle, riuscii a far loro
accettare quanto avevo già fatto.
A tarda sera, dovetti lasciarli perché come d'accordo, dovevo andare
a casa di Franco per discutere assieme agli altri di lavoro e di come
avremmo affrontato i nuovi problemi suscitati dalla ricomparsa di
Monica. La discussione sul lavoro fu molto breve, e l'unica cosa che
ne usci fu che io avrei dovuto andarmene in Puglia a visitare alcuni
paesini della costa, poi accordarmi con un grosso imprenditore
napoletano che da quelle parti voleva costruire alcuni lussuosi
residence. Avrei dovuto quindi vedere bene il posto, tracciare a
grandi linee un preventivo d'azienda come lo chiamavamo noi, cioè,
prevedere più o meno quale dispiego di mezzi e uomini avremmo
dovuto impiegare laggiù, anche se la più difficile sarebbe stato lo
scontro con l'imprenditore e la mania congenita di abbassare i costi
con tutti mezzi, cosa a cui noi mai ci piegavamo.
Concluso l'argomento feci agli altri un breve sunto di quanto successo
e poi affrontammo anche gli altri nuovi problemi che tutta la
faccenda Monica aveva portato. Francesco, era ancora un pericolo
non indifferente, poteva in effetti avere documenti e foto
compromettenti ed inoltre, se era possibile, avrebbe dovuto sborsare
una somma non indifferente per ripagare almeno dal punto di vista

152
materiale tutti i danni provocati. Stefano. Aveva scoperto, grazie ad
alcune amicizie in polizia, che Francesco era già noto per spaccio di
droga e sfruttamento della prostituzione, a parte le accuse per truffa,
dalle quali se l'era sempre cavata con una fortuna sfacciata: un tipo
pericoloso, comunque e da prendere con le molle. Non era il caso di
lasciar perdere, sia perché temevamo che lui non l'avrebbe fatto, sia
per un senso di giustizia. Poi visto che eravamo in ballo dovevamo
ballare fino alla fine.
Il nostro piano era molto semplice, ci saremmo introdotti dentro la
sua casa cercando di trovare tutto quanto potesse esserci utile, poi in
base a quanto recuperato avremmo deciso le ulteriori mosse.
Scartammo l'ipotesi di fargli dare una lezione da qualcuno pagato da
noi, in quanto dovevamo dimostrargli di essere gente decisa e che
non aveva paura.
Quattro sere più tardi, decidemmo di partire per quella che
chiamavamo l'operazione, anche se io non ero molto propenso a
portare i miei amici e a coinvolgerli in una cosa che presentava
sicuramente dei pericoli; ma non ci fu verso di far cambiar loro idea.
Arrivammo presso Civitella, la casa dove abitava Francesco non
presentava particolari problemi, anzi essendo un poco isolata dal
paese ci facilitava il compito.
Lasciammo Franco e Piero all'esterno dove, ci avrebbero avvertito
con il walkie l'eventuale profilarsi di qualche pericolo, mentre noi tre
ci arrampicammo a fatica su per una grondaia, raggiungendo un
finestra aperta al primo dei due piani. La casa all’esterno era molto
elegante ma l'interno ci sorprese ancora di più, per la grossa raccolta
di mobili antichi che trovammo, anche se la loro collocazione nelle
varie camere, rivelava un gusto barbaro. Cercammo in tutte le stanze
senza trovare nulla di interessante, finché, in un piccolo ambiente,
arredato a salottino, scoprimmo dapprima una cassaforte nascosta
dietro una pesante tenda e poi una scrivania con un cassetto centrale
chiuso a chiave. Grazie all'esperienza che avevo maturato anni prima
lavorando per il mio amico mobiliere, non fu difficile aprirlo e
all'interno dopo un attento esame, trovammo dei documenti molto

153
interessanti, nonché un assegno di trenta milioni, intestato a
Francesco.
- Non capisco, possiede una cassaforte e ha lasciato un assegno del
genere nel cassetto! Fece Stefano perplesso.
- Siamo in autunno inoltrato e abbiamo trovato tre finestre aperte,
sembra quasi che abbia dovuto andare via di fretta - Gli rispose
Franco, che poi continuò -
- Considera inoltre che sicuramente avrà saputo qualcosa circa
Monica e potrebbe temere che lei abbia fatto una confessione su tutto
quanto accadutole. Sai quanti capi d'accusa penderebbero sul suo
capo?
In effetti questa della confessione è una cosa a cui avremmo dovuto
pensare prima: si chiamava un avvocato, lei raccontava tutto per
iscritto e poi una bella firma con un documento e l'avremmo sempre
tenuto in pugno - Feci io amaramente
- Credo sia più importante la sicurezza e la felicità di Monica e della
sua famiglia, che procurare la galera a quel bastardo, che comunque
prima o poi ci finirà - Concluse Stefano, prima di ad armeggiare con
la cassaforte. Francesco, doveva sentirsi molto sicuro di se stesso, la
cassaforte a muro, era uno di quei cassoni da ferramenta, che l'unica
cosa che ti assicurano è il furto; infatti dopo non più di una decina di
minuti, la, serratura scattò e tutto quanto c'era dentro finì sul tavolo
della scrivania. In una grossa busta, trovammo in effetti le fotografie
e relativi negativi a cui faceva riferimento Monica, ma per quanto
riguarda altri documenti compromettenti, non trovammo niente.
C'erano circa venti milioni, parte in contanti e parte in assegni, che
provvedemmo a requisire.
- No no si arrabbiò Stefano - Pendete i soldi ma gli assegni dateli a
me che li distruggo. Non immischiamoci in chissà quali porcherie
A parte il denaro e le foto, il documento più interessante era l'atto di
acquisto della casa dei genitori di Monica, dove risultava che la
proprietà era passata ad un certo Savini.

154
- Francesco chiaramente non poteva comprarla in prima persona,
per non scoprirsi, e si è servito di un prestanome, che potrebbe essere
anche il padre di quella puttanella che si è fatto Stefano quella
mattina - Sbottai io con violenza.
Il discorso era chiaro, ma altrettanto chiaro era che ora l'atto di
acquisto l'avevamo noi. Stefano ad un certo punto scese da Franco e
Piero per raccontare quanto successo, e spiegando che avevano
deciso di rimanere fino al mattino, sperando di vedere arrivare
Francesco. Erano quasi le cinque del mattino quando il mio walkie,
gracchiò qualcosa di indefinito. Aggiustata la sintonia, la voce di
Piero ci avvisa che un’auto era ferma davanti al cancello e un tipo
stava armeggiando con il lucchetto.
Guardammo dalla finestra ed era proprio lui, Francesco, da solo -
Meglio di così non poteva andare, ci dicemmo.

155
CAPITOLO 8

Francesco entrò e dal suo comportamento mostrò di non sospettare


nulla, tanto che passò un buon quarto d'ora in bagno a farsi una
doccia, poi in cucina, dove aprendo il frigo, capimmo che si stava
preparando qualcosa da mangiare. A questo punto decidemmo che
era il momento di intervenire. Mentre era girato ai fornelli entrammo
tutti nell'ampio locale, disponendoci a semicerchio, poi io
lentamente mi avvicinai a lui, a questo punto lui si girò e rimase un
attimo interdetto vedendoci tutti alle sue, spalle, attimo che mi bastò
per aggredirlo e per sommergerlo sotto una gragnuola di pugni.
Francesco tentò una difesa disperata, ma troppa era la rabbia covata
durante tutto quel tempo, non sentii i colpi che mi arrivavano,
mentre i miei erano di una forza superiore al normale,
fortunatamente Stefano e Franco riuscirono a trascinarmi via.
- Vuoi ammazzarlo, idiota? Mi fece duramente Franco
Lentamente ripresi il controllo dei miei nervi ed insieme lo
trascinammo nel salotto, adagiandolo sul pavimento. In breve riprese
i sensi e guardandomi con occhi spaventati, diede finalmente segno
di riconoscermi.
-Cosa vuoi da me? Chiese lui faticando a parlare per le ferite.
Potrei non volere niente, solo ammazzarti per quanto hai fatto a
Monica. Ma se tu riuscissi a rispondere a tutte le domande che ti
facciamo forse, anche se non lo meriti potresti cavartela. Allora
cominciamo dai genitori di Monica -
Il racconto che ci fece, ricalcò quanto avevamo ipotizzato sulla casa
di Monica: in effetti non esistevano documenti compromettenti per
spillare altri soldi ai suoi genitori. Impallidì notevolmente quando
scopri che avevamo aperto sia lo scrittoio che la cassaforte.
- I soldi che abbiamo trovato qui se non ti dispiace, li usiamo noi, sai
servono per pagare i debiti con la banca, e terremo anche le foto con
i negativi. Inoltre abbiamo già depositato presso un avvocato la piena

156
confessione di Monica su quanto successo; penso Che se finisse in
mano alla polizia, 10 anni di galera non te li toglierebbe nessuno, a
cui si aggiungono anche questi documenti che abbiamo trovato
molto interessanti. Infine l'atto di vendita della casa dei genitori di
Monica lo girerai a loro un'altra volta, domani pomeriggio. Fatti
trovare a casa perché un notaio e alcuni amici verranno da te per
formalizzare il tutto, credo che non avrai nulla in contrario vero?
- Volete dire che non mi denunciate? Chiese lui molto sorpreso.
- Per adesso no e se ti comporti bene, vedremo di lasciarti in pace per
il futuro, ma se per puro caso dovessi cercare di vedere ancora
Monica, o i suoi genitori o Riccardo, arriverà tutto alla polizia.
Quando ti troveranno, sarai in condizioni tali, che non potranno far
altro che chiamare il prete
Ma Riccardo è mio figlio - Disse Francesco debolmente. TI calcio di
Stefano lo colpi alla base dell'inguine, strappandogli un urlo di
dolore.
- Allora non hai capito cosa ti abbiamo detto!
Per te quella gente non esiste più e se dovessi mai incontrarla per
caso, girati dall'altra parte, scappa, ma non cercare di fare niente per
parlare con loro, gli ribadii io –
A questo punto chiamai Piero con il walkie per sapere se tutto era a
posto, annunciando gli che tutto era ormai finito e stavamo per
scendere. Quando uscimmo dalla casa, mi voltai un attimo per
guardare Francesco, che cercava di rimettersi in piedi e gli rivolsi le
ultime parole di quell’incontro che sapevo essere definitivo.
- Sei fortunato a passarla cosi liscia, per conto mio ti avrei anche fatto
secco, ma ho promesso di lasciarti in vita, anche se mi auguro che un
giorno se ci dovessimo incontrare mi darai l'opportunità di togliere
la tua presenza dal mondo – Detto questo uscii assieme a Stefano che
era tornato indietro e mi stava osservando con espressione
preoccupata.

157
Ormai la notte era andata, per cui rinunciammo a una veloce
dormita, ma ci infilammo tutti in un bar per un'abbondante colazione
e fare il punto di quanto era successo.
Sembrava finalmente che le cose stessero girando per il verso giusto,
anche perché nel pomeriggio il notaio e gli amici di Franco che lo
avevano, accompagnato, trovarono Francesco e il Savini ad
attenderli, calmi come agnellini, che senza problemi firmarono la
vendita a favore dei signori Ferrari per la modica cifra di Lire 1000-
Quando mostrai ai Ferrari il contratto di vendita prospettando a loro
la possibilità di rientrare nella loro vecchia casa entro l’estate, per
poco non svennero, e la loro felicità fu aumentata anche dalla notizia
che il mattino successivo avrebbero potuto sentire al telefono
Monica, essendo ormai passata più di una settimana dal giorno del
ricovero.
Come mi aveva detto il dottor Moniti al telefono, le cure si stavano
rivelando efficaci, come pure le terapie, ma Monica era un soggetto
facile, con la forza di volontà e la voglia di vivere che aveva sarebbe
sopravvissuta a ben di peggio.
A fine maggio, dopo un mese dal ricovero, accompagnai i genitori e
Riccardo a Verona, rimanendo però ad aspettare in auto e mi assorbii
tutto d'un fiato il racconto che mi fecero sulle condizioni di Monica,
che avevano trovato in perfetta forma anche se ancora molto magra.
Fu molto tenero, Riccardo, quando tirandomi la manica del
giubbotto, mi disse:
- Dovresti vedere com'è bella la mia mamma! E mentre lo diceva con
tono d'orgoglio nella voce i suoi occhi brillavano di felicità. Mi
augurai che quegli occhi avessero potuto sorridere cosi per tutta la
vita.
Il giorno dopo, il dottor Moniti, mi chiamò al telefono chiedendomi
un incontro al più presto; io dovevo partire nel pomeriggio per la
Svizzera, dove gli stessi proprietari che avevano commissionato il
centro commerciale di Lucerna, volevano aprirne un altro sulle rive
del lago di Lugano, per cui rinviai di mezza giornata tutti gli

158
appuntamenti che avevo già preso e con una certa inquietudine,
partii alla volta di Verona.
Al mio arrivo, la segretaria del dottor Moniti, non mi fece fare
anticamera come la volta precedente ma mi ammise subito nello
studio del primario. Dopo i soliti convenevoli, il dottore, studiandomi
con attenzione e con uno sguardo che mi metteva a disagio, disse a
bruciapelo:
- Lei ha mai avuto contatti sessuali, ultimamente, con la signorina
Ferrari?
-Ma dottore, sa benissimo tutta la storia, tra me e Monica non ci sono
mai stati rapporti completi - Risposi io, avendo ormai capito dove si
stava incanalando il discorso.
- Bene, non starò qui a girare attorno all'argomento, mi dispiace dirle
che la sua amica Monica è risultata, dopo tutte le analisi, sieropositiva
al test. Abbiamo ripetuto i controlli più volte ma la risposta è stata
sempre la stessa
- Ma lei come sta ora? Chiesi io non rendendomi ancora ben conto di
quanto avevo udito.
- Monica sta bene, lentamente sta ritrovando tutta la sua forma fisica,
aiutata anche dai genitori e dal figlio, sa già quanto le ho detto io in
questo momento. Per quanto ne sappiamo Monica è soltanto una
portatrice sana, però il morbo lo può diffondere. Mi ha chiesto di
vederla e ho acconsentito a questa richiesta, anche se non avrei
dovuto dirle niente sul problema dell'Aids, ma so bene cosa tenterà
di fare Monica.
Cercherà di mandarla via, di convincerla che non l'ama e cose di
questo genere, anche se credo che per amore della sua famiglia non
compirà gesti estremi. Io credo invece che quella ragazzi l'ami
profondamente, per cui se e quando deciderà di vederla, dovesse
accadere quanto le ho detto, dovrà regolarsi di conseguenza.
- Sono disposto a vederla anche adesso - Risposi io

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- No adesso lei tornerà a casa e penserà a cosa vuole fare della vita,
della vita di Monica e di Riccardo e penserà bene a cosa vuol dire
dividere la propria esperienza con una persona affetta dal virus
dell'AIDS.
Pensi a cosa vuoi dire, avere rapporti sessuali solo con l’uso del
profilattico, pensi a cosa vuol dire non andare mai oltre un certo tipo
di carezze, pensi al timore che la protezione si rompa e possa nascere
una nuova tragedia; pensi anche che il più bell'atto d'amore di una
coppia, cioè mettere al mondo un figlio, per voi si trasformerebbe
quasi in un atto d'egoismo, viste le poche probabilità che possa
nascere sano e non ancora contagiato.
Vada a casa ora, si immerga nel lavoro o non so che altro, rimanga
solo con se stesso oppure si confidi con i suoi amici più fidati, poi
quando si sentirà pronto mi chiami oppure venga alla clinica
direttamente
Lo ringraziai calorosamente e feci per tornare verso Cesena, poi
pensai che il lavoro mi aspettava e due p tre giorni in Svizzera di
immersione totale in progetti, preventivi, potesse farmi stare
aderente alla realtà.

Tornai a casa dai miei proprio la domenica mattina dopo quasi una
notte di viaggio, e dopo un’ora ero già ficcato a forza con i piedi sotto
al tavolo, mentre sopra c’era di tutto. A metà pomeriggio chiamai
Piero che anche lui era tornato a casa a salutare i suoi e quando sentì
il tono della mia voce accettò subito di vedermi.
E ci accordammo per la serata, infatti verso le 22, Piero passò a
prendermi, e dopo aver chiacchierato del più e del meno in giro per
la città, ci dirigemmo verso il suo piccolo appartamento dove sulla
tavola trovai un enorme bottiglia da 5 litri di Merlot.
- Come ai vecchi tempi? Feci io sorridendo amaramente.
- Avevo capito che era successo qualcosa di grosso - Rispose lui - Per
cui scarichiamo tutto e domani il sole tornerà a splendere.

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CAPITOLO 9

Impiegammo quasi due giorni per rimetterci dalla colossale sbornia


che avevamo preso, ma ora, dopo, aver scaricato tutte le tossine
accumulate, potevo cominciare a ragionare sul mio futuro e cercare
di capire se ero effettivamente pronto ad affrontare una prova,
sapendo che una volta cominciato, non potevo più tornare indietro.
Ma più mi concentravo sull'argomento e più mi veniva alla mente una
cosa sola e cioè che io Monica l'amavo e nulla avrebbe potuto
staccarmi da lei, per cui ad una settimana da quel giorno, presi l'auto
e mi diressi, verso la clinica di Verona. Trovai il dottor Moniti proprio
alla reception della clinica e quando mi vide mi venne incontro per
stringermi la mano.
- Come sta, mi stavo preoccupando – Mi fece in tono scherzoso.
Lei mi ha detto di pensare ed io l'ho fatto e ho concluso che non
cambierò idea per uno stupido bestiolino. Il dottore sorrise alla mia
battuta e disse che sapeva benissimo già da allora quale sarebbe stata
la mia decisione.
- Lei è una persona eccezionale, come eccezionale è Monica; adesso
vada da lei e buona fortuna -
Quando entrai nella sua camera, Monica tentò di rimanere fredda ma
io la misi subito al corrente; sapevo tutto per cui poteva smettere di
fingere un'indifferenza che non poteva provare nei miei confronti. A
questo punto sembrò che Monica si fosse liberata da un incubo,
qualcuno finalmente condivideva la sua pena, nemmeno ai genitori
aveva voluto dirlo, temendo non sapeva nemmeno lei cosa.
Parlammo tutto il pomeriggio, di ciò che era successo in quei giorni
alla clinica, a come stava decisamente migliorando. Parlammo di me,
del mio lavoro, dei miei genitori, degli amici, finché la dottoressa che
seguiva Monica, mi ingiunse per la terza volta di lasciare la camera.
Al momento di salutarci, Monica mi venne vicino e con voce
commossa:

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- Guido, io non so cosa mi riserverà il destino, e in tutto questo tempo
alla clinica, non ho avuto modo di pensare a me e a te, ma non posso
pensare che tu debba sprecare la tua vita con una come ……
A questo punto le chiusi dolcemente la bocca con la mano,
ingiungendole di tacere e mente la tenevo stretta a me, le sussurrai:
Il mio destino è legato al tuo, questo qualunque cosa tu decida;
quando tu, sei entrata nella mia vita è stato definitivamente, ho anche
provato a rifarmi una vita, cercando di dimenticarti, ma è sempre
andata male, per cui se la mia vita si dovrà incrociare con una donna,
quella donna sarai tu e nessun’altra, qualsiasi sacrificio dovessi
affrontare.
Tu non mi devi niente, ricordalo, né io ti sto chiedendo niente.
Questo discorso te l'ho fatto solo per evitare che tu continui a cercare
di allontanarmi da te a causa del tuo male, ora pensa a guarire e non
pensare al domani.

Dopo queste parole me ne andai, promettendole di tornare al più


presto a trovarla.
Sono ormai passati dieci mesi da quel giorno, Monica vive
felicemente con Riccardo e i genitori nella loro casa a Forlì.
Io e lei continuiamo a vederci, e lentamente, sta prendendo
confidenza con il mondo esterno, di cui aveva una paura folle appena
uscita dalla clinica. La prima volta che uscimmo per andare al
ristorante, Monica dopo pochi minuti presa dall'angoscia, volle
tornare a casa.
Come mi disse in seguito quando riuscii a calmarla, si sentiva addosso
gli occhi di tutti. Persino con Piero, che conosceva fin dall'inizio, non
riusciva a sbloccarsi rimanendo in silenzio, le poche volte che
avevamo provato ad uscire. Ultimamente sembra che le cose stiano
migliorando e proprio pochi giorni fa, mi ha chiesto di organizzare
una cena tutti insieme. I miei rapporti con Riccardo hanno fatto passi
da gigante, in quanto adesso che ormai ha quattro anni, pretende

162
tutte le domeniche di seguirmi allo stadio a vedere insieme la partita
e a me fa un gran piacere portarlo.
A quanto tutti dicono la prossima estate ci vedrà felicemente sposati
ma non so se questo sarà vero, perché pur uscendo sempre assieme,
non affrontiamo quasi mai questo argomento.
Sicuramente ci sono state episodi di intimità mentale tra di noi, ma
non ci siamo mai sfiorati.
Sono ancora troppo fresche le ferite che le lacerano l'animo: perché
in pochi mesi possa superare tutto.
Tanti anni fa Monica, mi disse una frase che racchiude il senso del
nostro futuro:

- Se destino vorrà che io e te stiamo insieme, succederà -

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Indice
Parte 1
 Capitolo 1 3
 Capitolo 2 7
 Capitolo 3 12
 Capitolo 4 16
 Capitolo 5 21
 Capitolo 6 26
 Capitolo 7 30
 Capitolo 8 34
 Capitolo 9 40
 Capitolo 10 46
 Capitolo 11 49
 Capitolo 12 54
 Capitolo 13 58
 Capitolo 14 63
 Capitolo 15 68
 Capitolo 16 72
 Capitolo 17 75
 Capitolo 18 83
 Capitolo 19 88
 Capitolo 20 95
 Capitolo 21 100
 Capitolo 22 109

164
Parte 2
 Capitolo 1 115
 Capitolo 2 120
 Capitolo 3 124
 Capitolo 4 129
 Capitolo 5 134
 Capitolo 6 142
 Capitolo 7 149
 Capitolo 8 156
 Capitolo 9 161

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