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La sua autonomia
Il diritto dell’Unione europea ha faticato molto per affermare la propria autonomia e identità, perché
inizialmente esso era considerato semplicemente come una branca del diritto internazionale,
successivamente però venne a differenziarsi da esso per via delle peculiarità che andava assumendo.
L’Unione infatti è molto più simile a uno Stato che a una organizzazione internazionale e si fonda
su principi di diritto interno, infatti ha la tendenza a interferire con gli ordinamenti degli Stati e ad
attribuire diritti e doveri ai cittadini senza passare dalle istituzioni dei loro Stati. Il collegamento con
il diritto internazionale è rimasto perché l’Unione opera sempre attraverso dei trattati, ma il diritto
dell’Unione europea si è trovato a dover affermare la loro autonomia anche nei confronti del diritto
dei singoli Stati. Spesso però esso è un mix di diritto nazionale ed europeo, perché punta alla
conformazione degli ordinamenti di tutti gli Stati membri. Alcuni infatti ritengono che esso vada
letto alla luce dei principi dello Stato cui si riferisce, ma questa prospettiva è infondata, perché in
realtà è il diritto dell’Unione europea ad attrarre una certa materia nella propria orbita, quindi la
disciplina per tutta la sua vigenza rimane condizionata dai principi dell’Unione. Si deve quindi
parlare di europeizzazione del diritto nazionale. Questo conferma l’esistenza del diritto dell’Unione
europea come una disciplina autonoma.
3. Profili generali
Struttura e contenuti dei trattati istitutivi dopo Lisbona
Il Trattato di Lisbona ha portato a un risultato simile a quello del Trattato del 2004, modificando
semplicemente i nomi delle varie istituzioni. Esso ha anche incorporato nelle funzioni dell’Unione
le strutture dell’Euratom, a questo si è arrivati con la revisione dei Trattati sull’Unione europea e
istitutivo della Comunità europea emendando i singoli articoli. I due trattati sono quindi diventati
TUE e TFUE, il primo sulla struttura e il secondo sulle competenze dell’Unione e sul loro esercizio.
I due Trattati si riferiscono entrambi all’Unione europea, che ha assorbito le Comunità precedenti, e
sono interdipendenti. Il TUE enuncia gli obiettivi generali, i valori comuni agli Stati membri, il
principio di democrazia. Anche la PESC è inclusa nel TUE, ma per un certo numero di altre
materie il TUE si limita a enunciare gli obiettivi e a lasciare la completa regolazione al TFUE, il
quale enuncia i principi generali del funzionamento dell’Unione e poi regola tutta una serie di
materie, sia interne che esterne (ad eccezione della PESC, regolata dal TUE per mantenere la sua
caratteristica di disciplina specifica).
diritto dell’Unione gode di autorità da poter essere fatto valere all’interno degli Stati e da poter
prevalere sul diritto nazionale. Da tutto questo emerge la soggettività europea dei cittadini, che
possono applicare direttamente il diritto dell’Unione, inoltre possono accedere direttamente alla
Corte di Giustizia e ai Tribunali, i quali giudicano anche sull’operato delle istituzioni. I giudici della
Corte di Giustizia garantiscono inoltre l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, perché
l’applicazione differente penalizzerebbe l’efficacia diretta dello stesso.
È previsto, inoltre, il divieto per gli Stati di farsi giustizia da sé, quindi per l’inadempimento degli
obblighi intervengono direttamente le istituzioni dell’Unione, mentre nelle forme di cooperazione
tra Stati è possibile usare la reciprocità.
Questa conformazione dell’Unione però non fa connotare la stessa come uno Stato, perché gli Stati
continuano a godere della propria autonomia e ad operare all’interno del sistema come soggetti,
infatti sono essi ad essere responsabili e nel caso di antinomie con il diritto europeo il diritto
nazionale non può essere cancellato. Gli Stati sono inoltre funzionali alla coercizione
sull’applicazione del diritto.
Segue: L’applicazione differenziata del diritto dell’Unione agli Stati membri. In particolare, la
cooperazione rafforzata
Il sistema dell’Unione è un sistema rigoroso di applicazione generale e uniformazione del diritto,
ma i Trattati possono prevedere delle deroghe a questo principio, sebbene transitorie, soprattutto
nel caso dei nuovi membri. Sono però previsti altri tipi di deroghe anche non necessariamente
temporanee:
Territoriale: è esclusa l’applicazione integrale dei Trattati ad alcune isole di proprietà del
Regno Unito o della Danimarca contigue alle coste o ai territori lontani dall’Europa ma parte di
uno Stato membro.
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: si applica per intero ad alcuni Stati ma non a tutti,
perché alcuni es. Regno Unito hanno deciso di restare fuori in virtù di una serie di Protocolli
allegati, per problemi di carattere politico o ordinamentale.
Cooperazione rafforzata: risponde all’esigenza di alcuni Stati di proseguire la cooperazione
nell’ambito di alcune materie senza attendere l’uniformazione da parte degli altri Stati, la
possibilità è stata introdotta dal Trattato di Amsterdam e perfezionata dal Trattato di Lisbona.
Un gruppo di Stati può quindi decidere di realizzare, nell’ambito delle disposizioni dei Trattati,
un obiettivo che non può essere raggiunto dalla totalità degli Stati. Questa forma però non
prevede una sottrazione dalla normativa dell’Unione, che continua a restare in vigore per questi
e per tutti gli altri Stati. La procedura è prevista all’art. 20 TUE, l’iniziativa deve provenire da
un gruppo di almeno nove Stati e il suo oggetto deve rientrare nelle competenze dell’Unione,
ma non essere una sua competenza esclusiva. Non può violare i Trattati e il diritto e non può
causare pregiudizio di qualunque tipo agli altri Stati. La proposta deve essere autorizzata dal
Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e approvazione del
Parlamento. Se riguarda il settore della PESC il Consiglio deve autorizzare all’unanimità. Si
tratta tuttavia di un’autorizzazione in ultima istanza, in quanto va adottata quando non vi sia la
possibilità di procedere con tutti gli Stati, la Corte tuttavia ha ammesso la cooperazione
rafforzata anche nel caso in cui gli Stati non trovino l’accordo sul contenuto dell’azione. In
alcuni casi previsti dal TFUE però l’autorizzazione si può ritenere concessa de iure se non è
presente l’accordo nel Consiglio europeo per la materia giudiziaria penale e di polizia. La
cooperazione rafforzata deve consentire l’adesione di qualsiasi altro Stato membro che desideri
unirsi purché soddisfi le condizioni di partecipazione, ad esso verranno poi applicate le misure
già approvate dalla cooperazione. Il Consiglio, in questi ambiti, può riservarsi di modificare le
procedure di voto e di legislazione. Gli atti adottati si applicano solo agli Stati che aderiscono
alla cooperazione.
Alla cooperazione rafforzata talvolta si riconduce anche la moneta unica, ma il fatto che alcuni Stati
ne siano esenti dipende dall’esito negativo dell’accertamento delle condizioni per aderire, una vera
e propria deroga è prevista solo per Regno Unito e Danimarca, per i quali è escluso l’obbligo di
adottare la moneta unica.
4. Il quadro istituzionale
Profili introduttivi
L’Unione europea dispone di un quadro istituzionale volto a promuoverne i valori e a perseguirne
gli obiettivi. Di questo quadro istituzionale fanno parte le istituzioni elencate all’art. 13 TUE, ma
possono essere compresi altri organismi operanti nell’ambito dell’Unione, infatti spesso le stesse
istituzioni dell’Unione tendono a delegare alcune delle funzioni ad organi appositamente istituiti,
che svolgono un ruolo simile a quello delle agenzie indipendenti.
Questi organi non sono tutti intergovernativi, lo sono solo il Consiglio europeo e il Consiglio, i
membri degli altri organi invece sono indipendenti dal Paese di provenienza e partecipano
all’istituzione in quanto soggetti. In questi altri organi si hanno diversi rapporti di
rappresentatività, alcuni della sovranità popolare (il Parlamento), altri del decentramento o degli
interessi di categoria (altri Comitati). In questo modo i vari interessi godono all’interno dell’Unione
europea di una rappresentanza non mediata dal governo, dall’altra parte però questi organi non
esauriscono il loro compito nella rappresentanza di quegli interessi, ma contribuiscono
all’efficienza del sistema. In virtù di questa moltiplicazione di compiti e poteri l’Unione è andata
differenziandosi dalle altre forme di unione di Stati, perché ha diverse competenze proprie degli
Stati e le esercita mediante organi complessi come quelli statali.
Il potere normativo è diviso tra Parlamento e Consiglio, il potere esecutivo è detenuto dal
Consiglio e dalla Commissione, la funzione giurisdizionale è esercitata sia dalla Corte di
Giustizia che dai Tribunali. Fa eccezione solo l’ambito della PESC, in cui l’Unione interviene in
misura essenziale attraverso l’operato di Consiglio e Consiglio europeo, perché di composizione
governativa.
Ogni istituzione gode di un potere di auto-organizzazione che deve essere rispettato dalle altre
istituzioni e dagli Stati membri, ma sempre con il rispetto delle norme dei Trattati.
I rapporti tra le istituzioni sono anche regolati dal principio di leale cooperazione, che è contenuto
all’art. 13 TUE ma è di origine giurisprudenziale, la Corte infatti lo ha desunto dal principio di
cooperazione degli Stati con le istituzioni. Esso impone di rispettare le attribuzioni rispettive e di
adottare procedure che assicurino il buon svolgimento del processo decisionale. La violazione di
questo obbligo permette l’adozione di un atto senza rispettare le prerogative dell’istituzione
responsabile.
Le istituzioni politiche
Le istituzioni politiche sono il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento,
sono politiche sia per composizione che per funzioni. Il rapporto tra queste istituzioni si bilanciava
in passato attraverso il rapporto tra le istituzioni governative e quelle non governative, ma il
Consiglio europeo non era annoverato tra le istituzioni prima del Trattato di Lisbona, ma era un
organo informale. Era però necessario che le decisioni prese dal Consiglio venissero recepite dalle
altre istituzioni, quindi è stata inserito tra le istituzioni e ha modificato così l’assetto precedente,
perché la sua composizione coincide sostanzialmente con quella del Consiglio, inoltre la previsione
di una sede diversa gli esecutivi nazionali vengono organizzati gerarchicamente. Inoltre
l’attribuzione di competenze al Consiglio europeo ha spostato l’equilibrio verso la componente
governativa delle istituzioni, perché rimane sovraordinato rispetto alle altre istituzioni.
a) Il Consiglio europeo
Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri più il presidente
della Commissione, ha una funzione di indirizzo politico, inoltre in alcuni casi può mediare tra Stati
di maggioranza e di minoranza nell’ambito del Consiglio dell’Unione. Nella prassi esso però
interviene sempre più di frequente in ambito legislativo anche se non è presente un contrasto. Nel
caso in cui nel processo decisionale siano coinvolti altri organi, però, la volontà del Consiglio
europeo deve essere subordinata al consenso di quest’altro organo perché trovi attuazione.
Se il suo intervento si fonda su norme dei Trattati, invece, gli effetti possono essere prodotti anche
su altre istituzioni. Il Trattato di Lisbona apporta delle significative novità per quello che riguarda
questa istituzione:
- Egli viene inserito all’interno delle istituzioni dell’Unione europea, anche se prima faceva già
parte dell’integrazione come organo di indirizzo politico. Diversamente dal Consiglio, il
Consiglio europeo è più ampio e comprende anche il Presidente e il Presidente della
Commissione, inoltre rimane un organo governativo, perché sono espressione del governo di
uno Stato.
- La presidenza spetta a un Presidente eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata
per due anni e mezzo, è una nomina incompatibile con un mandato nazionale, ma non con un
mandato europeo. Egli gestisce il funzionamento dell’istituzione e la rappresenta sia all’interno
dell’Unione che all’esterno. L’interpretazione però è stata estensiva, perché talvolta il
Presidente del Consiglio europeo si sostituisce alla Commissione ad es. in ambito di iniziativa
legislativa.
- Le riunioni ordinarie sono una volta ogni tre mesi a Bruxelles, anche se il Presidente può
predisporne di straordinarie. Le decisioni vengono prese per consensus, cioè senza una effettiva
votazione, anche se in alcuni casi i Trattati gli attribuiscono delle regole di voto formali, come
l’unanimità, che si raggiunge anche in presenza di astenuti, la maggioranza semplice, che si
applica a questioni di procedura, e la maggioranza qualificata, che tiene conto del peso di ogni
Stato. Il Presidente e il Presidente della Commissione non partecipano al voto, in questo modo
viene meno la differenza con il Consiglio perché si riduce alla volontà dei governi degli Stati
membri.
- Le deliberazioni hanno la forma della decisione, mentre prima non era previsto, se non in casi
particolari, un atto specifico. Rimangono tuttavia le conclusioni, come strumento ordinario di
manifestazione della volontà, anche se sono qualificate come conclusioni dell’intero Consiglio
europeo e non solo del Presidente, ma sono prive di effetti giuridici formali. Le decisioni invece
possono avere carattere procedurale, esortativo o vincolante, in questo caso possono essere
impugnati davanti alla Corte di Giustizia.
Il Consiglio
Il Consiglio dell’Unione è la riunione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, ed è il
centro di gravità di tutte le istituzioni. Esso è, a norma dell’art. 16 TUE, titolare del potere
esecutivo e legislativo, a volte da solo e a volte in associazione con altri organi.
- Si riunisce a Bruxelles e vede cambiare la propria composizione sulla base degli argomenti
all’ordine del giorno, infatti vengono convocati i ministri competenti per materia. Le formazioni
sono decise dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata ad eccezione degli “Affari
generali” (che si occupa dell’operato del Consiglio europeo e del collegamento con il
Parlamento e con la Commissione) e degli “Affari esteri”, che sono previsti dai Trattati. Ogni
composizione ha quindi assunto, nella prassi, una denominazione differente. Non fa parte del
Consiglio l’Eurogruppo, previsto dal Protocollo 14, che è composto dai ministri delle finanze
dei Paesi che adottano l’euro, dalla BCE e dalla Commissione e si riunisce per discutere di
questioni in materia di moneta unica. La scelta del membro da inviare a ogni Consiglio è
rimessa allo Stato membro, purché abbia livello ministeriale e la sua volontà impegni anche il
governo dello Stato (possono partecipare quindi anche sottosegretari o organi locali).
- Vi è anche una formazione verticale a clessidra, alla cui base vi sono i gruppi di lavoro
specializzati, poi vi è il Comitato dei Rappresentanti permanenti degli Stati membri a Bruxelles
(COREPER) che preparano le deliberazioni, che vengono poi prese dai ministri. Queste
articolazioni però sono interne al Consiglio e non hanno un potere autonomo, a parte il
COREPER, ma solo negli ambiti previsti dal regolamento interno del Consiglio. Esso però ha
una funzione essenziale, perché indirizza l’operato dei gruppi di lavoro verso ciascuna
composizione, avendo carattere generale.
- Il Consiglio è presieduto a turno da uno degli Stati membri sulla base di un sistema di rotazione
previsto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, cioè la presidenza di tre Stati per
volta per un periodo di 18 mesi (6 per ogni Stato), questa composizione sarà in vigore fino al
2020. A questo meccanismo è sottratto il Consiglio Affari Esteri, che è presieduto dall’Alto
Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, i cui rappresentanti
presiedono gli analoghi gruppi di lavoro. Il Consiglio è assistito dal Segretariato generale, al cui
vertice sta un Segretario nominato dal Consiglio a maggioranza qualificata.
- Dove non previsto diversamente dal Trattato di Lisbona il Consiglio vota a maggioranza
qualificata, la maggioranza semplice è applicabile per l’adozione del regolamento interno e per
questioni di procedura. L’unanimità rimane per le decisioni politicamente più sensibili, come
ad es. la PESC (settore in cui in alcuni casi il TUE prevede la maggioranza qualificata, ma un
qualunque membro in questo caso può opporsi alla votazione, e la decisione sarà rimessa al
Consiglio europeo all’unanimità, però lo Stato che si astiene non si vedrà applicata la
disposizione, si parla di astensione costruttiva). L’astensione costruttiva blocca la decisione
qualora adottata da 1/3 dei membri del Consiglio che rappresentino almeno 1/3 della
popolazione dell’Unione.
possibile. Gli stessi Trattati prevedono però altri meccanismi quale il c.d. freno d’emergenza con il
quale uno Stato può appellarsi al Consiglio europeo contro una proposta di un atto legislativo.
Inoltre, in presenza di una quasi minoranza di blocco, il Consiglio deve proseguire le proprie
discussioni cercando di tenere conto delle preoccupazioni espresse da quegli Stati, ma al termine di
un tempo ragionevole è comunque possibile procedere al voto.
Il Parlamento europeo
Nel Parlamento europeo si esprime il principio di democrazia dell’Unione, perché composto da
rappresentanti di cittadini degli Stati membri eletti a suffragio diretto. Esso è dunque uno dei
protagonisti del processo decisionale dell’Unione, garantendone la democraticità. La sua
partecipazione però è diversa a seconda del processo previsto, fino a diventare inesistente
nell’ambito della PESC. Esso ha però anche il ruolo di controllo politico, in particolare sulla
Commissione, ma ha anche un potere di interrogazione nei confronti del Consiglio e dell’Alto
rappresentante, inoltre il Consiglio europeo deve presentare al Parlamento una relazione dopo ogni
riunione.
Più in generale il potere di controllo è esercitato con altri due strumenti:
Inchiesta: possibilità di istituire commissioni di inchiesta che giudichino sulla infrazione o
cattiva applicazione del diritto dell’Unione dietro petizione di cittadini o persone giuridiche
residenti in uno Stato membro.
Mediatore europeo: organo permanente nominato dal Parlamento con le stesse competenze.
Infine esso si occupa della formazione e dell’approvazione del bilancio dell’Unione.
- Il numero dei membri, compreso il Presidente, non può essere superiore a 751, i membri sono
ripartiti in base al peso demografico di ogni Stato, ma non sulla base di una proporzionalità
pura. La ripartizione è affidata a una deliberazione del Consiglio europeo all’unanimità su
iniziativa e approvazione del Parlamento europeo.
- I cittadini dell’Unione godono di elettorato attivo e passivo anche in Stati diversi dal proprio,
inoltre la Corte di Giustizia ha stabilito che l’elettorato possa essere attribuito dallo Stato anche
a un soggetto che non goda della cittadinanza dell’Unione. Le elezioni attualmente si svolgono
sulla base dell’Atto del 1976, ma l’impossibilità di giungere a un accordo tra gli Stati ha portato
a prevedere una serie di alternative tra le quali questi possono scegliere. I parlamentari europei
sono incompatibili con cariche parlamentari nazionali, cariche di governo e di altre
istituzioni dell’Unione, ma ogni Stato può prevederne di ulteriori.
- Il Parlamento europeo è eletto per 5 anni e all’inizio di ogni legislatura elegge un Presidente e
dei Vicepresidenti che restano in carica per due anni e mezzo, i membri si accorpano in gruppi
sulla base dell’affinità politica purché sia rappresentato più di uno Stato. Essi godono di
immunità per i voti e le opinioni espresse nell’esercizio e sull’esercizio delle loro funzioni,
inoltre finché sono in carica godono delle stesse immunità dei parlamentari nazionali e quando
sono sul territorio di un altro Stato sono immuni alla detenzione e ai procedimenti giudiziari. In
alcuni casi questa immunità può essere revocata dal Parlamento europeo. L’attività si divide tra
le Commissioni parlamentari e la sessione plenaria, che ha solo potere deliberativo a
maggioranza (salvo ove sia previsto diversamente dai Trattati per la sfiducia verso la
Commissione e il parere sull’ammissione di un nuovo Stato). Le sedute ordinarie si tengono a
Strasburgo, quelle supplementari e il lavoro delle Commissioni si svolge a Bruxelles, mentre il
Segretariato è stanziato a Lussemburgo.
La Commissione
La Commissione nell’ambito dell’Unione gode di più competenze:
Normative: sia per quello che riguarda la formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento,
con il potere di iniziativa legislativa che le attribuiscono i Trattati (nel caso del Consiglio questo
può discostarsi solo con un voto all’unanimità), che per quello che riguarda l’adozione di atti
propri. Gli atti propri nei Trattati sono limitati, ma la loro consistenza aumenta con
l’attribuzione alla Commissione di una delega da parte del Parlamento e del Consiglio per le
misure di applicazione o integrazione di alcuni atti.
Esecuzione del diritto: sia dal punto di vista amministrativo che da quello dell’osservanza da
parte dei destinatari, infatti può sanzionare sia i privati che gli Stati inadempienti.
Rappresentanza dell’Unione nei settori diversi dalla PESC: sia per quello che riguarda la
negoziazione di accordi sia per la gestione degli stessi.
Essa ha quindi un ruolo di indirizzo legislativo, senza precedenti nel panorama internazionale.
- Essa è espressione e garante dell’interesse generale dell’Unione: essa è composta di individui
indicati dal governo di ogni Stato membro, ma questi non lo rappresentano e agiscono sulla
base degli interessi dell’Unione senza accettare istruzioni. Il Parlamento o il Presidente della
Commissione possono sindacare la scelta di uno dei membri se vengono meno ai requisiti
previsti. In origine la procedura di nomina era identica per tutti i membri, che spettava ai
governi degli Stati, in seguito la procedura ha assunto un carattere più istituzionale, è stata
differenziata per il Presidente ed è stato previsto un ruolo crescente del Parlamento europeo. La
procedura si articola in tre fasi:
-Designazione del presidente: proposto a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo al
Parlamento che deve eleggerlo a maggioranza dei suoi membri. È possibile una seconda
proposta entro un mese in caso di rifiuto.
-Individuazione degli altri membri: il Consiglio con il Presidente eletto procede a tal
proposito sulla base delle proposte degli Stati, tenendo conto dei requisiti necessari.
-Approvazione della Commissione dal Parlamento e nomina dal Consiglio europeo a
maggioranza qualificata
L’Alto rappresentante, invece, è nominato dal Consiglio europeo ed è soggetto solo alla terza
fase. Il Parlamento ha inserito nel proprio regolamento interno la prassi di sottoporre ad
audizioni pubbliche i candidati, in modo da approvare anche il singolo in vista
dell’approvazione dell’intera composizione. Nelle ultime elezioni è stato anche affermato un
collegamento tra il Presidente della Commissione e la maggioranza politica nel Parlamento.
- I membri della Commissione sono 28 inclusi il Presidente e l’Alto rappresentante e rimangono
in carica per cinque anni. Il Trattato di Lisbona in realtà ha previsto dal 2014 una composizione
corrispondente ai due terzi degli Stati in base a un sistema di rotazione, ma a causa delle
resistenze si è tornati al sistema di un membro per ogni Stato, salva la facoltà del Consiglio
europeo di prevedere una riduzione. La durata è correlata a quella del Parlamento per istituire un
collegamento tra le due istituzioni, infatti la sostituzione può avvenire solo per il resto del
mandato. La cessazione dalla carica può avvenire per dimissioni volontarie o d’ufficio su
decisione della Corte di Giustizia qualora un membro non risponda più ai requisiti previsti o
abbia commesso una colpa grave. Può anche riguardare la Commissione nel suo insieme, con
l’approvazione di una mozione di censura da parte del Parlamento o su decisione volontaria,
restando in carica per il disbrigo degli affari correnti fino al subentro di quella nuova. Il
requisito dell’indipendenza riguarda anche i comportamenti successivi alla nomina, perché essi
rispetto alle altre istituzioni, ma rimangono comunque delle istituzioni dell’Unione e devono
collaborare con le altre per perseguirne gli scopi. L’autonomia infatti riguarda solo le loro funzioni,
per tutto il resto sono soggette alle norme che disciplinano le altre istituzioni.
La Banca centrale europea è il nucleo del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) che ha lo
scopo di garantire la stabilità dei prezzi e le politiche economiche generali dell’Unione.
- Al Consiglio direttivo della BCE spettano la definizione di indirizzi generali e l’esercizio delle
funzioni consultive, comprende il comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali dei
Paesi aderenti all’euro. Ogni membro dispone di un voto e le decisioni sono prese a
maggioranza semplice salvo quanto previsto diversamente dai Trattati.
- Al Comitato esecutivo spettano la gestione della Banca e l’attuazione degli indirizzi decisi dal
Coniglio direttivo, è composto da un Presidente che è il Presidente della BCE, da un
Vicepresidente e da quattro membri nominati di comune accordo per otto anni non rinnovabili
dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata con previa consultazione del Consiglio
direttivo e del Parlamento europeo. Esso decide a maggioranza semplice con voto del Presidente
in caso di parità.
- Consiglio generale: Presidente e Vicepresidente della BCE con tutti i governatori di tutte le
Banche centrali degli Stati membri.
La BCE emette le monete e ha sede a Francoforte, può anche adottare atti normativi, svolge il
controllo sulle istituzioni e sugli Stati, ha potere di iniziativa legislativa e di sanzione delle imprese
inadempienti gli obblighi delle decisioni e dei regolamenti che adotta. Nell’ambito delle funzioni
relative alla moneta unica il Consiglio (che può partecipare alle riunioni del Consiglio direttivo) e la
Commissione godono anche di alcune competenze. Il Consiglio ha il ruolo del coordinamento delle
politiche economiche degli Stati membri con un potere anche sanzionatorio dietro impulso della
Commissione.
Le agenzie europee
Il sistema dell’Unione è andato arricchendosi grazie al nascere delle agenzie europee, degli
organismi specializzati dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa e finanziaria.
Esse forniscono assistenza alle istituzioni con un compito consultivo o ispettivo o ancora
sanzionatorio nei confronti di singoli soggetti. Non sono del tutto assimilabili alle autorità
indipendenti, perché queste agenzie rappresentano anche la Commissione. Negli ultimi anni esse
sono state configurate come strumenti per l’attuazione della politica comune, come confermato
anche dalla Corte di giustizia e dal Trattato di Lisbona, che li rendono sottoponibili a controllo
giurisdizionale e i loro atti sono impugnabili davanti alla stessa Corte.
Da queste sono diverse le c.d. agenzie esecutive, che gestiscono programmi finanziari operanti nelle
diverse politiche dell’Unione sotto la responsabilità della Commissione. Sono istituite e regolate
direttamente da essa e ne condividono la sede.
dell’Unione con la stessa diligenza con cui le combattono al loro interno. A questo fine il
Consiglio può adottare anche delle misure penali purché effettive, proporzionali e dissuasive.
5. Le fonti
Profili introduttivi. Il diritto primario e il diritto derivato
Il sistema creato dai Trattati istitutivi appare organizzato attorno a un sistema di fonti, all’interno
delle quali si distingue tra diritto primario e diritto derivato, più altre categorie di fonti che erano
previste fin dai Trattati istitutivi o che derivano dall’arricchimento dell’ordinamento, o ancora di
fenomeni paranormativi che condizionano il funzionamento del sistema giuridico creato dai Trattati.
Segue: Gli effetti delle norme di diritto primario sui soggetti dell’ordinamento
Siccome le norme di diritto primario sono collocate ai vertici dell’ordinamento esse impongono il
rispetto da parte di tutti i soggetti, quindi anche i singoli cittadini sono destinatari di diritti e doveri
che provengano da un Trattato, anche se non da tutte ma solo da quelle che possono essere invocate
davanti a un giudice nazionale. Queste norme devono avere le seguenti caratteristiche indicate dalla
Corte:
Chiarezza
Precisione
Completezza
Carattere incondizionato della norma invocata: in alcuni casi questo è stato riconosciuto con
la scadenza del termine concesso agli Stati per l’adeguamento al diritto dell’Unione.
I principi generali di diritto. In particolare il principio del rispetto dei diritti fondamentali e la Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea
Il TUE afferma l’esistenza dei principi generali di diritto, ma questa categoria inizialmente è stata
solo elaborata dalla Corte di giustizia sulla base dell’esempio di altri sistemi giuridici o sulla base
di quanto ricavabile dai Trattati. I principi di leale collaborazione, rispetto dell’equilibrio
costituzionale, certezza del diritto, legittimo affidamento e rispetto dei diritti quesiti si è reso
necessario per il carattere generale o parziale di molte parti e regole di funzionamento del sistema
giuridico, sono quindi serviti per ricostruire il dettato normativo altrimenti generico e incompleto, a
rafforzare delle disposizioni o a costituire dei parametri di legittimità del comportamento degli Stati
membri. Questo è valso in particolare per quello che riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, che
la Corte ha riconosciuto come competenza propria e che soprattutto diventano criterio di
interpretazione e principio da rispettare per gli atti di diritto derivato.
La Corte ha però affermato che il rispetto dei diritti fondamentali deve essere, salvo per quei diritti
es. il diritto alla vita, che non ammettono restrizioni, conformato al principio di proporzionalità
nel confronto con altri diritti.
Inoltre, per quello che riguarda l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali da parte dei Trattati, la
Corte ha precisato anche che questo obbligo non vale solo nei confronti delle istituzioni dell’Unione
ma anche nei confronti degli Stati membri quando si occupano dell’applicazione del diritto previsto
dai Trattati. Le fonti dei diritti fondamentali sono:
- Tradizioni costituzionali degli Stati membri
- CEDU
- Strumenti internazionali di cui siano membri tutti gli Stati
I diritti riconosciuti operano nell’ordinamento dell’Unione con limitazioni analoghe a quelle
previste dagli ordinamenti nazionali, ma in funzione del sistema dei Trattati. Va infatti considerata
la loro funzione nella società e le restrizioni sono possibili sulla base di finalità di interesse generale
dell’Unione purché non risultino sproporzionate e inammissibili.
Segue: La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’adesione alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo
Nel 2000 l’Unione si è dotata di uno strumento autonomo di rilevazione dei diritti fondamentali
grazie alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche detta Carta di Nizza.
Inizialmente essa non aveva valore vincolante ma aveva valore ricognitivo perché conteneva, ad es.
tutti i diritti contenuti già nella CEDU, più una loro riformulazione e dei diritti nuovi. Essa si divide
in sei parti:
- Dignità
- Libertà
- Uguaglianza
- Solidarietà
- Cittadinanza
- Giustizia
La Corte ha operato spesso un rinvio a questa Carta, anche se per allora priva di valore vincolante.
Essa ha acquisito efficacia vincolante con i Trattati di Lisbona, quindi diviene il primo criterio di
consultazione dei diritti fondamentali riconosciuti dall’Unione europea. Esso si applica sia alle
istituzioni e agli organi dell’Unione che agli Stati membri nei limiti delle competenze dell’Unione,
infatti la Corte ha stabilito che essa vale solo negli ambiti del diritto dell’Unione. Non possono
quindi valere nei confronti di una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto
dell’Unione. La tutela dei diritti fondamentali, però, in questo caso non viene meno ma verranno
utilizzati altri strumenti, come ad es. la CEDU.
Nell’applicare la Carta, l’art. 6 TUE stabilisce che vadano tenute in considerazione le Spiegazioni
che la accompagnano senza valore ufficiale. Nel caso in cui i diritti siano gli stessi di altre
dichiarazioni dei diritti vanno intesi allo stesso modo, ma comunque è possibile che l’Unione
assicuri una protezione più estesa. È comunque salvo il più elevato standard di protezione
riconosciuto da altre fonti. Nel caso in cui la normativa nazionale preveda una procedura di
attuazione questa non deve vanificare lo standard di tutela previsto dalla stessa Carta.
Le limitazioni ai diritti riconosciuti da questa Carta sono possibili purché siano previsti per legge e
non ne pregiudichino il contenuto, in ogni caso non deve trattarsi di un intervento sproporzionato
e inammissibile. In ogni caso i diritti principali, come quello alla vita e all’integrità fisica, non
tollerano restrizioni.
In ogni caso la Carta non estende le competenze dell’Unione.
Un Protocollo ha previsto l’esonero dall’applicazione per il Regno Unito e la Polonia, ma la Corte
ha smentito la sua efficacia derogatoria, stabilendo che il Protocollo si limita ad esplicitare l’ambito
di applicazione.
Il Trattato di Lisbona ha anche previsto l’adesione alla CEDU dell’Unione europea, facendo in
modo che l’Unione fosse sottoposta al sistema di controllo previsto dalla CEDU, quindi la Corte di
Strasburgo può pronunciarsi sul diritto dell’Unione per favorire un controllo più stringente dei
diritti dell’uomo. Questa adesione però non deve incidere né sulla struttura né sulle competenze
dell’Unione. Vanno però definiti i meccanismi di individuazione del destinatario delle eventuali
sanzioni da parte della Corte di Strasburgo, per non lasciare a questa la competenza a giudicare sul
riparto di competenze tra gli Stati e l’Unione. Per questo motivo la Corte europea ha formulato un
parere negativo sulla proposta di adesione formulata dalla Commissione, perché non garantiva
le caratteristiche di autonomia del diritto dell’Unione e avrebbe sottoposto alcune delle controversie
al giudizio della Corte di Strasburgo sottraendole all’Unione.
ulteriore. Esse però devono essere esaminate alla luce dell’oggetto e dello scopo, che può escludere
l’effetto diretto, così è avvenuto ad es. per la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare.
Gli accordi conclusi con Paesi terzi o organizzazioni internazionali sono subordinati ai Trattati,
perché l’esercizio delle competenze internazionali dell’Unione deve rispettare le regole materiali e
procedurali in essi stabilite. La Corte quindi può giudicare sulla compatibilità di un accordo con il
diritto primario, sia prima che dopo la conclusione dell’accordo. Questi accordi però forniscono un
parametro di legittimità per il diritto derivato, che per questo motivo può anche essere annullato
dalla Corte.
Non fanno parte del diritto dell’Unione gli accordi tra gli Stati membri e gli Stati terzi. Gli
accordi tra Stati membri si intendono tali solo se successivi all’adesione (perché quelli precedenti
vengono abrogati e sostituiti dai Trattati). Questo vale anche per gli accordi conclusi presso sedi
istituzionali dell’Unione o riguardanti materie connesse con il funzionamento dell’Unione. Gli
accordi tra Stati membri e Paesi terzi, invece, possono incidere sul diritto dell’Unione se conclusi
prima dell’adesione, perché essi non pregiudicano il diritto dell’Unione. Nel caso in cui invece
venga pregiudicato, il TFUE impone di eliminare le incompatibilità, ma se questo non riesce allora
lo Stato membro dovrà procedere alla denuncia di tale accordo.
In alcune condizioni da accordi stretti da tutti gli Stati membri può derivare un vincolo in capo
all’Unione, o perché il Trattato ne impone il rispetto o perché vi è un effetto di sostituzione
dell’Unione nei diritti e negli obblighi spettanti agli Stati.
a) I regolamenti
Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente
applicabile, quindi è un atto con natura essenzialmente normativa. È l’atto che meglio concretizza il
trasferimento di competenze dagli Stati membri alle istituzioni perché la normativa adottata con i
regolamenti va a sostituirsi alla normativa nazionale. La qualifica di destinatario dell’atto dipende
da una situazione obiettiva di diritto o di fatto, definita dall’atto in relazione alle sue finalità, ma
non è detto che l’atto vada applicato a tutto il territorio dell’Unione.
Non è detto che il contenuto dei regolamenti sia completo, è anzi possibile che esso debba essere
integrato da atti ulteriori anche su previsione del regolamento stesso (è comunque possibile
l’integrazione in caso di silenzio del regolamento, solo per le finalità di attuazione del
regolamento).
Per la loro entrata in vigore non è necessario alcun atto di ricezione da parte dei singoli Stati,
quindi i regolamenti sono suscettibili di porre in essere delle situazioni giuridiche in capo ai privati
senza la mediazione dello Stato, che anzi deve assicurarne l’efficacia diretta. Nel caso in cui non
siano ancora intervenute le misure di attuazione, però, la Corte ha escluso la produzione di effetti
giuridici in capo ai cittadini.
b) Le direttive
La direttiva prevede un riparto di competenze tra l’Unione e gli Stati membri, perché opera sulla
base di una riserva di competenza in favore di questi ultimi, infatti è vincolato solo lo Stato, mentre
i mezzi sono lasciati alla discrezionalità dello Stato. In alcuni casi la riserva di competenza dello
Stato può risultare ridotta nella sostanza, ma la Corte non ha ritenuto questa prassi in contrasto con
l’art. 288 TFUE perché lo scopo della direttiva è quello di armonizzare gli ordinamenti degli Stati
membri. La Corte è però intervenuta per limitare la discrezionalità degli Stati membri in merito alla
scelta del mezzo con cui dare attuazione alla direttiva: la direttiva deve essere attuata con un lo
stesso atto che lo Stato avrebbe utilizzato per raggiungere quel fine con esigenze di chiarezza e
certezza del diritto. Queste due caratteristiche non possono essere date dall’esistenza di una
giurisprudenza nazionale che interpreti le disposizioni in modo conforme al diritto dell’Unione, ma
devono essere date dalla natura stessa dell’atto.
Le norme di una direttiva possono anche avere effetto diretto senza la mediazione di uno Stato, in
particolare attribuendo ai privati la possibilità di invocarle davanti a un giudice nazionale, anche se
solo a titolo di garanzia minima per i soggetti. Questo è possibile solo nel caso in cui la direttiva
non sia stata attuata e sia scaduto il termine per farlo (la ricezione non è sufficiente perché gli
Stati devono assicurarne l’effettiva applicazione). Le caratteristiche che deve avere una direttiva per
godere di effetti diretti all’interno di uno Stato sono:
- Contenuto precettivo chiaro e preciso
- Mancanza di un condizionamento all’emanazione di altri atti per il dispiego degli effetti
- È possibile far valere gli effetti diretti solo nei confronti dello Stato
- Non possono creare obblighi in capo a un singolo
Sono quindi possibili solo gli effetti verticali di un cittadino verso lo Stato, perché lo Stato non può
giovarsi della mancata attuazione di una direttiva.
L’obbligo per gli Stati membri di recepire una direttiva non si esaurisce con la mera trasposizione
di essa all’interno dell’ordinamento, ma si impone anche agli organi dello Stato, i quali devono
garantire l’applicazione della direttiva, in particolare quelli giurisdizionali devono interpretare il
diritto nazionale in modo che sia conforme al diritto dell’Unione e disapplicarlo solo nel caso in cui
non siano possibili delle interpretazioni conformi. L’interpretazione conforme trova tuttavia un
limite nei principi generali del diritto e in particolare in quello di certezza e in quello di non
retroattività, inoltre non può essere la base per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.
c) Le decisioni
Fino al Trattato di Lisbona la decisione era obbligatoria solo per i destinatari designati, mentre ora
essa può designarli o avere portata generale. Essa nasce come un atto individuale e amministrativo,
ancora adesso si configura come un atto amministrativo con cui le istituzioni applicano al caso
concreto le norme astratte, sia che i destinatari siano soggetti sia che siano degli Stati membri. Essa
ha efficacia diretta e può costituire titolo esecutivo, ad es. per la comminazione di multe. In ogni
caso restano esclusi gli effetti diretti orizzontali.
Esse sono spesso usate in realtà con funzione normativa, ad esempio per attuare regolamenti, ma i
Trattati la prevedono anche come strumento a disposizione delle istituzioni (es. per gli atti formali
del Consiglio europeo).
6. Il processo decisionale
I profili generali
Il processo decisionale dell’Unione vede la partecipazione di più istituzioni o organi, che però
avviene con modalità diverse a seconda del contenuto dell’atto da adottare, perché il processo
decisionale è stabilito dalla sua base giuridica. Il Consiglio è sempre il centro di gravità, bilanciato
tuttavia dall’intervento di altri organi, facendo in modo che le procedure siano molto numerose.
Nei casi in cui questo potere spetti solo alla Commissione, esso è configurato come una prerogativa
assoluta, quindi nel caso in cui la Commissione decida di non assumere l’iniziativa dovrà
solamente motivare la propria decisione all’organo che l’ha sollecitata. Nella prassi tuttavia la
Commissione dà sempre seguito alla proposta, soprattutto se proviene dal Consiglio europeo,
perché uno dei membri è il Presidente della Commissione.
Il Trattato di Lisbona ha previsto che nel caso in cui la Commissione sia sollecitata a presentare una
proposta di un atto dell’Unione, una richiesta in questo senso possa provenire anche da un gruppo
di cittadini rappresentativi di un numero significativo di Stati membri (almeno un milione). La
Commissione gode tuttavia di un potere di filtro:
- Fondatezza giuridica dell’iniziativa
- Merito dell’iniziativa
Il rifiuto in ognuno dei due gradi di filtro concede il ricorso al Tribunale.
Il potere di iniziativa costituisce un elemento chiave del processo decisionale, perché è condizione
dell’avvio del procedimento e non può essere modificata dal Consiglio se non all’unanimità, ma
sempre restando nell’ambito della proposta. La Commissione può modificare o ritirare la
proposta finché l’atto non viene adottato, sempre a garanzia dell’interesse dell’Unione, che è il
criterio del suo potere di iniziativa, come è stato di recente legittimato dalla Corte.
c) La procedura di approvazione
La procedura di approvazione deve essere adottata per alcuni atti e prevede la necessità di un
parere positivo del Parlamento, si applica:
Nell’ambito della procedura legislativa speciale: è preferibile a quella ordinaria in alcuni settori
di intervento, perché la volontà del Parlamento è sullo stesso piano di quella del Consiglio,
quindi il Consiglio terrà anche conto della possibile posizione del Parlamento in sede di
adozione dell’atto, ma comunque la decisione finale spetta al Consiglio.
Nell’ambito di decisioni rilevanti del Consiglio, come la nomina di componenti di istituzioni.
Infine i privati possono presentare un reclamo alla Commissione per denunciare la violazione del
diritto dell’Unione da parte delle autorità nazionali, per indurla ad attuare la procedura di infrazione
che può sfociare in un’azione davanti alla Corte.
Segue: Il ruolo svolto dalla Corte per il rafforzamento del sistema e delle sue garanzie. La tutela dei
diritti fondamentali
La Corte ha svolto un ruolo fondamentale nell’integrazione europea e nel connotare le
caratteristiche del sistema giuridico dell’Unione, tanto che il diritto è diventato un aspetto
fondamentale di tutto l’assetto creato dai Trattati. Essa quindi non ha solo avuto un ruolo
giurisdizionale ma addirittura strutturale dell’Unione.
Il suo contributo si è avuto, in particolare, con la costruzione dell’ordinamento giuridico
dell’Unione come un sistema omogeneo e compiuto, la cui costituzione è data dai Trattati, inoltre
ha reso effettivo il rispetto del diritto da parte delle istituzioni e degli Stati in funzione delle finalità
del processo. Essa ha interpretato il profilo del riparto delle competenze tra Unione e Stati membri
in una prospettiva dinamica, volta all’evoluzione dell’ordinamento. Ha inoltre contribuito a
elaborare in via giurisprudenziale la costituzione europea e a fondare la tutela dei diritti
fondamentali, elevati a livello di principi generali dell’ordinamento.
Considerazioni conclusive
La Corte grazie al suo ruolo ha potuto contribuire allo sviluppo di un sistema organico alla luce
dell’obiettivo della Comunità prima e dell’Unione poi, realizzando il processo di integrazione,
sebbene nel fare questo abbia ricevuto anche delle critiche.
dai Trattati di Roma anche se, al posto di costituirne di distinte, ne venne costituita una unica, che
però operava separatamente per ogni organizzazione. Essa entrò in funzione nel 1958 e da lì ha
continuato accrescendo solo le proprie dimensioni, anche se nel 1989 venne affiancata dal
Tribunale di Primo Grado (TPI), competente a giudicare solo per una serie limitata di materie. In
seguito tra il Trattato di Nizza e quello di Lisbona furono previsti dei Tribunali specializzati. La
Corte è quindi diventata principalmente un giudice di legittimità, mentre gli altri sono dei veri e
propri giudici di merito. Questi organi però sono strettamente coordinati sul piano funzionale, infatti
l’art. 19 TUE nomina all’interno della Corte di Giustizia dell’Unione europea sia la Corte che il TPI
che i Tribunali specializzati, tutti competenti per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione
e nell’applicazione dei Trattati.
Segue: Il Tribunale
Il Tribunale è stato previsto nell’ambito dell’AUE e poi dal Trattato di Maastricht.
- Ha il compito di rendere meno gravoso il lavoro della Corte, le sue competenze sono state
progressivamente estese a tutti i ricorsi promossi da persone fisiche e giuridiche e in alcuni tipi
di ricorsi che coinvolgono Stati membri e istituzioni. Altre materie tuttavia possono comunque
essergli attribite dallo Statuto.
- È composto da soli giudici, la nomina di AG è eventuale e decisa volta per volta per singole
cause. È presente un giudice per ogni Stato membro, anche se per accelerare il lavoro il loro
numero verrà raddoppiato entro il 2019. Il regime dei membri è quasi identico a quello della
Corte.
- Vengono eletti un Presidente e un Vicepresidente, inoltre si organizza in sezioni analoghe a
quelle della Corte. In alcuni casi è possibile anche un giudice unico.
La procedura
La procedura innanzi alla Corte e al Tribunale è sostanzialmente comune.
- Vi sono una fase scritta e una fase orale, può essere disposta anche una fase istruttoria. La fase
orale invece è eventuale e viene aperta solo nel caso in cui la Corte non si senta
sufficientemente edotta sulla base delle memorie scritte. In una successiva udienza vengono
presentate le memorie dell’AG e si passa alla deliberazione della causa.
- Rinvio pregiudiziale, cioè la domanda del giudice nazionale, che deve essere chiara e completa,
pena l’irricevibilità. La domanda è notificata alle parti, agli Stati, alla Commissione e se
necessario alle altre istituzioni, che entro due mesi possono presentare le proprie osservazioni.
Se però la natura della causa richiede un rapido trattamento la Corte può concedere una
procedura accelerata che comporta una riduzione dei tempi e dei passaggi. Vi è inoltre la
procedura pregiudiziale d’urgenza, istituita per l’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, di cui si occupa una sezione ad hoc della Corte.
- Nei ricorsi diretti l’atto introduttivo è il ricorso depositato dal ricorrente presso la cancelleria
della Corte, che viene notificato al convenuto il quale h due mesi per presentare un
controricorso, seguono le repliche. Gli Stati membri e le istituzioni possono intervenire in tutte
le cause, mentre gli organi solo se dimostrano di avere un interesse, e così i privati. I ricorsi non
hanno effetto sospensivo ma le parti possono chiedere dei provvedimenti provvisori in questo
senso.
- Dopo la fase orale e udite le conclusioni dell’AG la causa passa in camera di consiglio, a meno
che non vi sia stata una transazione tra le parti o una rinuncia. La decisione ha la forma della
sentenza o dell’ordinanza. Le sentenze hanno forza obbligatoria dal giorno della pronuncia e
costituiscono titolo esecutivo. La Corte può anche limitarne gli effetti nel tempo. Non sono
soggette a impugnazione se non con mezzi straordinari (es. sentenza in contumacia del
convenuto), entro due anni la Corte può essere chiamata nuovamente per la loro interpretazione.
- Per l’impugnazione delle sentenze del Tribunale davanti alla Corte questa è concessa alle parti
principali, agli Stati e alle istituzioni (anche se non intervenuti) entro due mesi dalla notifica
della decisione e solo per motivi di diritto, quindi non possono essere poste nuove questioni ed
eccezioni. L’accoglimento produce l’annullamento del provvedimento di primo grado, quindi la
Corte può decidere direttamente o rinviare la causa al Tribunale con indicazione dei punti di
diritto.
- Se è investita di un ricorso su un ricorso presentato al Tribunale da tribunali specializzati la
Corte procede al mero riesame del provvedimento entro un mese, che prevede un controllo più
limitato degli altri mezzi di impugnazione. Ha infatti una portata eccezionale e una procedura
accelerata e semplificata.
- Vi sono delle disposizioni apposite per i pareri consultivi emessi dalla Corte
dell’Unione non possono essere perseguiti. Le procedure possono essere attivate dagli stessi Stati
membri ma anche dalla Commissione.
I ricorsi della Commissione nei casi di infrazioni degli Stati membri. I presupposti generali
Nell’ambito di queste procedure sono preminenti le azioni della Commissione contro uno Stato
membro per inadempimento degli obblighi derivanti da uno dei Trattati. La procedura può anche
essere attivata dal singolo Stato, ma ha più rilevanza quella della Commissione perché questa ha il
compito di vigilare sul rispetto dei Trattati. L’oggetto è quindi la sussistenza di un inadempimento
degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro. Gli obblighi in
questione sono quelli enunciati dai Trattati istitutivi e dagli atti vincolanti adottati dalle istituzioni,
più il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Carta di Nizza e dalla CEDU.
È possibile anche che venga sindacato il comportamento di uno Stato che, pur non contrastando con
nessuna di queste disposizioni, pregiudichi il funzionamento degli organi dell’Unione, in
violazione quindi del principio c.d. di leale collaborazione.
La responsabilità incombe allo Stato nella sua unità e può trattarsi sia di azione che di omissione
(es. mancata trasposizione delle direttive comunitarie), ha carattere assoluto e oggettivo, infatti non
rilevano la gravità dell’inadempimento o l’assenza del pregiudizio, è esclusa solo per forza
maggiore e per periodi limitati. Uno Stato non può invocare delle proprie norme a sua discolpa o
l’infrazione commessa da un altro Stato. Lo Stato non può farsi giustizia da sé.
Per escludere la responsabilità gli Stati devono assicurare l’adempimento non sul piano formale ma
sul piano dell’effettività (es. una prassi amministrativa può costituire inadempimento dell’obbligo
anche se la legislazione dello Stato è conforme). Le situazioni devono inoltre essere chiare, quindi
la normativa incompatibile deve essere rimossa per non causare ambiguità nell’applicazione del
diritto dell’Unione, quindi uno Stato non può invocare a propria discolpa l’esistenza di una prassi
giurisprudenziale che determina un’applicazione conforme del diritto.
L’inadempimento può essere contestato anche se parziale, purché sia attuale, deve quindi sussistere
nel momento in cui sia contestato, senza che rilevi l’eventuale rimozione da parte dello Stato,
perché le istituzioni hanno un interesse ad accertare la sussistenza di una violazione del Trattato o
meno. Inoltre può fondare la responsabilità dello Stato nei confronti di altri soggetti.
si protrae per molto tempo, ma in ogni caso non possono essere pregiudicati i diritti di difesa dello
Stato. La fase precontenziosa si articola a sua volta in due fasi:
Diffida: la Commissione comunica formalmente allo Stato l’apertura della procedura e lo mette
in condizione di presentare le proprie osservazioni entro un termine. Prima però essa richiede
delle spiegazioni in via informale allo Stato, se queste non la soddisfano aprirà la procedura. In
alcuni casi di urgenza è possibile adire direttamente la Corte, questo passaggio serve solo a
rispettare il diritto di difesa dello Stato e a definire i termini della questione.
Parere motivato: se lo Stato non risponde alla diffida o non lo fa in modo convincente la
Commissione emette un parere motivato con il quale precisa la propria posizione e sollecita lo
Stato a mettere fine all’inadempimento entro due mesi. Non ha carattere vincolante ed è un
semplice passaggio intermedio, infatti la sua adozione o meno non possono essere oggetto di
ricorso alla Corte, perché il ricorso riguarderà sempre la violazione del Trattato. Il parere non
può modificare, se non in negativo, l’oggetto della contestazione della diffida, e deve essere
motivato.
- Gravità dell’infrazione
- Durata dell’infrazione
- Effetto dissuasivo
Nel caso in cui sorgessero dei contrasti sull’applicazione della sentenza o sul pagamento delle
somme, la Commissione non può imporre allo Stato un adempimento in termini corretti ma deve
adire nuovamente la Corte, infatti non è praticabile la procedura di interpretazione della sentenza.
I ricorsi di annullamento
Premessa
Il ricorso di annullamento è l’attribuzione più importante della Corte. La disposizione centrale è
l’art. 263 TFUE, che permette agli Stati, alle istituzioni e ai soggetti privati di ricorrere alla Corte
per chiedere l’annullamento di un atto.
La legittimazione passiva
L’oggetto del giudizio sono i comportamenti delle istituzioni, quindi solo queste ultime possono
essere convenute davanti alla Corte, non le autorità nazionali. Inizialmente la legittimazione
passiva era solo a carico del Consiglio e della Commissione, ma con l’evoluzione del sistema è stata
prevista per tutte le istituzioni i cui atti possono produrre effetti giuridici in capo al ricorrente.
Sono quindi legittimati passivamente sia il Consiglio europeo che tutti gli organi e organismi,
compresa la Corte quando non opera in sede giurisdizionale.
La sentenza di annullamento
Se il ricorso viene accolto l’atto è nullo e non avvenuto, anche se può precisare quali effetti
dell’atto siano da reputarsi definitivi. Essa infatti non ha alcun potere di condanna nei confronti
dell’istituzione e può solo annullare l’atto, salvo che nelle ipotesi di piena giurisdizione. La
sentenza di annullamento però ha un’efficacia assoluta perché l’atto è annullato ex tunc e quindi
sono preclusi nuovi ricorsi. L’istituzione dovrà eliminare gli effetti prodotti dall’atto in questione,
anche se non sempre è possibile perché verrebbe meno la certezza del diritto e il rispetto dei diritti
quesiti. La stessa Corte però può stabilire quali effetti si mantengano, l’annullamento degli effetti
inoltre non esclude un risarcimento del danno.
La giurisprudenza ha nei fatti ampliato molto questo potere.
I ricorsi in carenza
Condizioni generali
L’art. 265 TFUE consente agli Stati membri, alle istituzioni e alle persone fisiche e giuridiche di
adire la Corte per l’omissione di un’istituzione. Le istituzioni alle quali può essere contestata
questa ipotesi sono quelle che possono incidere sugli interessi tutelati dal diritto dell’Unione e può
essere proposto solo quando hanno l’obbligo di pronunciarsi, a prescindere dal tipo di atto che
devono adottare. L’unico motivo del ricorso può essere la violazione dei Trattati, perché gli altri
vizi non possono sussistere.
Possono ricorrere gli Stati membri, le altre istituzioni e i soggetti di diritto interno (che però godono
di limitazioni analoghe a quelle per i ricorsi di annullamento, infatti possono adire la Corte se è stata
omessa solo una decisione che li interessasse direttamente e individualmente).
L’azione di danni
Caratteristiche e specificità di tale azione
L’azione per il risarcimento dei danni è prevista dall’art. 340 TFUE ed è di competenza della
Corte ma sono autonome rispetto a quelle di annullamento dell’atto, perché è volta ad accertare i
danni prodotti da un atto o da una sua omissione. Nella prassi le due azioni vengono sempre
promosse congiuntamente, ma siccome sono autonome il rigetto di una non vale anche per l’altra.
Se il danno deriva invece dagli atti nazionali di esecuzione di un certo atto, il soggetto dovrà
proporre l’azione davanti ai giudici nazionali, che eventualmente apriranno un rinvio pregiudiziale
per l’annullamento dell’atto. Il ricorso davanti alla Corte è quindi subordinato all’esperimento dei
rimedi interni. Sono legittimati i soggetti di diritto e gli Stati membri, senza distinzioni.
La legittimazione passiva sta in capo a tutti gli organi e le istituzioni cui può essere imputato il
comportamento illecito che ha provocato il danno, purché l’agente abbia prodotto il danno
nell’esercizio delle sue funzioni. L’istituzione ha comunque diritto di rivalsa nei confronti
dell’agente.
- Illiceità del comportamento contestato alle istituzioni: non è necessaria la violazione di norme
giuridiche, all’origine vi è qualunque comportamento illecito anche di carattere omissivo. Se si
tratta di un ambito in cui l’istituzione gode di potere discrezionale si ritiene che la violazione
sussista qualora siano stati superati i limiti imposti all’azione dell’Unione. Nel caso
dell’esercizio di attività legislativa, invece, la Corte richiede la violazione di una norma
superiore a tutela dei singoli.
- Esistenza di un danno rilevante: il danno deve essere certo e attuale (a volte anche se
prevedibile e imminente) e deve aver leso una categoria di soggetti ben individuata, inoltre deve
eccedere i rischi economici insiti nell’attività in questione.
- Nesso di causalità: il danno deve essere dovuto a un comportamento diretto delle istituzioni e in
assenza di un atteggiamento negligente del soggetto interessato.
Il danno risarcito è sia materiale che immateriale, con relazione sia al danno emergente che al
lucro cessante. L’azione si prescrive in cinque anni dal momento in cui avviene il fatto dannoso, la
Corte interpreta il decorso del tempo dal momento in cui sorge il diritto al risarcimento. La
prescrizione si interrompe anche con la richiesta dei danni all’istituzione in causa.
Il giudice di rinvio deve aver fornito gli elementi di diritto o di fatto necessari
Rilevanza dei quesiti ai fini della decisione del giudizio a quo (vi è comunque una
presunzione di rilevanza).
Non si tratti di un processo fittizio
Stati membri non sono tenuti ad applicare l’atto invalido e l’istituzione competente deve, come er i
giudizi di annullamento, adottare gli opportuni provvedimenti.
In nome della certezza del diritto, in alcuni casi le sentenze interpretative sono state soggette a dei
limiti di validità nel tempo dalla stessa Corte se la nuova interpretazione rischia di causare gravi
ripercussioni economiche.
procedimento davanti alla Corte è lo stesso degli altri ricorsi. Il diritto applicabile è quello della
legge regolatrice del contratto o quello che deriva dalla volontà delle parti.
La funzione consultiva
La funzione consultiva non è giurisdizionale e riguarda la conclusione di accordi internazionali
da parte dell’Unione, sui quali la Corte può essere sollecitata a esprimere un parere sulla loro
conformità al Trattato o sulla competenza dell’Unione a concluderlo. Il parere della Corte è
vincolante, quindi l’accordo per entrare in vigore dovrà seguire le indicazioni di questa. Il parere
positivo tuttavia non impedisce una nuova richiesta di un parere.
La domanda di un parere deve essere notificata a tutti gli Stati membri e alle istituzioni¸ con un
termine di due mesi per presentare osservazioni scritte. Il parere è emesso in udienza pubblica ma
può essere convocata preventivamente, se necessario, un’udienza di discussione.
La tutela cautelare
La tutela cautelare è stata sancita nella sentenza Factortame del 1990, in cui la Corte, adita in via
pregiudiziale per la compatibilità di una legge britannica con il diritto dell’Unione, venne consultata
anche sulla possibilità per il giudice di disapplicare la legge in questione in attesa della decisione.
La Corte quindi ha stabilito che il giudice nazionale deve disapplicare la norma che osti alla
concessione di provvedimenti provvisori. Lo stesso però vale nel caso inverso.
La Corte ha quindi riconosciuto la competenza per il giudice nazionale la competenza a concedere
provvedimenti provvisori sia negativi che positivi, che creino cioè delle nuove situazioni giuridiche
soggettive in capo ai soggetti parti del procedimento, però a condizione:
- Il giudice a causa delle gravi riserve solleva una questione pregiudiziale
- Ricorrono gli estremi dell’urgenza per evitare un danno grave e irreparabile alla parte
- Il giudice deve tenere conto dell’interesse dell’Unione
- Devono essere rispettate le pronunce della Corte o del Tribunale sulla legittimità dell’atto
dell’Unione
I principi e i valori
A partire dall’AUE nei Trattati si è fatto sempre più riferimento ai principi e ai valori su cui si fonda
l’Unione, che oggi sono enunciati in modo esplicito e sistematico nei Considerando del TUE e nei
suoi primi articoli. In particolare molti di essi si possono ritrovare all’art. 2 TUE, che fa riferimento
ai valori, intesi come politici e ideali, prima che giuridici. Nessuno di essi prevale sugli altri, perché
sono complementari e comuni agli Stati membri. Altri valori sono presenti sempre nei Trattati e nei
Protocolli ad essi allegati, anche se spesso sono corollari di quelli previsti all’art. 2 TUE. Il mancato
rispetto di detti principi e valori comporta delle conseguenze giuridiche per lo Stato inadempiente
fino ad arrivare alla perdita del diritto di voto in seno al Consiglio, mentre gli Stati terzi possono
perdere l’opportunità di aderire all’Unione o di cooperare con essa.
Gli obiettivi
Gli obiettivi dell’Unione sono elencati dai Trattati, oggi sono molto più ampi rispetto a quelli,
meramente economici, che vigevano in passato. Non è prevista una gerarchia tra di essi, anche se
non sempre è facile conciliarli. L’art. 3 TUE prevede:
Promozione della pace, dei valori dell’Unione e del benessere dei suoi popoli
Creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne
Unione doganale
Concorrenza
Politica monetaria
Conservazione delle risorse biologiche del mare
Politica commerciale comune
I settori di competenza concorrente (art. 4 par. 2 TFUE) sono:
Mercato interno
Politica sociale
Coesione economica, sociale e territoriale
Agricoltura e pesca
Ambiente
Protezione dei consumatori
Trasporti
Energia
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
Sicurezza nell’ambito della sanità pubblica
E la competenza complementare:
Cultura
Turismo
Istruzione
Formazione professionale
Gioventù e sport
Protezione civile
Cooperazione amministrativa
L’elencazione tuttavia non è esaustiva, soprattutto nell’ambito della competenza concorrente, e gli
ambiti non sono delineati in modo preciso. Il TFUE infatti elenca solamente gli ambiti di
competenza, non le competenze esercitate. Per comprendere la portata e la modalità delle
competenze, lo stesso art. 2 TFUE stabilisce che sia necessario fare riferimento alle disposizioni dei
Trattati relative a questi settori, anche se nemmeno in questo modo la loro individuazione è agevole.
La Corte tuttavia tende ad ampliare queste competenze, stabilendo che la disposizione che ne
attribuisca a un’istituzione voglia dotarla di tutti i poteri indispensabili per questo compito. In
particolare questo è valso per affermare il c.d. principio del parallelismo tra competenze interne
e competenze esterne, per cui l’Unione ha la competenza a stipulare degli accordi internazionali
nelle materie in cui ha competenza interna.
La clausola di flessibilità
La clausola di flessibilità permette di attenuare il principio di attribuzione consentendo all’Unione
di agire anche al di fuori di una specifica competenza, oggi è compresa all’art. 352 TFUE. Questo
articolo prevede che dietro delibera all’unanimità del Consiglio e approvazione del Parlamento può
essere stabilito che l’Unione eserciti anche al di fuori delle proprie competenze per perseguire un
obiettivo. Data la portata estensiva di questo principio, l’approvazione di questa clausola è soggetta
a una procedura rigorosa con il veto del Parlamento e la possibilità di attivare il meccanismo di
controllo del principio di sussidiarietà.
La giurisprudenza della Corte ha individuato un limite intrinseco alla clausola di flessibilità,
stabilendo che essa non può ampliare i poteri dell’Unione o per modificare i Trattati. L’art. 352
TFUE inoltre esclude la PESC dalla clausola di flessibilità, perché altrimenti il Consiglio e il
Parlamento avrebbero un ruolo maggiore di quello che è attribuito loro in questo settore.
Nel settore di competenza concorrente, invece, la competenza non esclusiva dell’Unione limita
quella degli Stati membri, i quali possono intervenire solo nel caso in cui non vi sia ancora stato un
intervento da parte dell’Unione. La fissazione dei limiti in questi casi compete alle istituzioni
dell’Unione, e può essere diversa in ogni caso. Si tratta di una competenza reversibile, in quanto gli
Stati membri possono ritornare a esercitare la propria competenza in questo ambito nel caso in cui
l’Unione cessi di farlo.
Anche nell’ambito delle competenze esclusive degli Stati membri, tuttavia, questi sono condizionati
dal diritto dell’Unione e non totalmente liberi. Alla Corte spetta vigilare sulla discrezionalità degli
Stati membri.
competenza esclusiva dell’Unione. Delle limitazioni alla pesca sono possibili solo per le acque
territoriali, cioè entro 12 miglia nautiche.
- Asilo: il TFUE impone di rispettare le convenzioni internazionali sul rispetto del diritto di asilo
e di prevedere un sistema comune di status e di cooperazione nella gestione dei flussi di
immigrazione.
- Immigrazione: il TFUE impone un’efficace gestione dell’immigrazione, e prevede due regimi a
seconda del tipo di immigrazione. Per quanto riguarda l’immigrazione regolare, vi è un
permesso unico di soggiorno e lavoro e un insieme di diritti unici che sono ancora più generosi
nel caso di residenza continuativa per cinque anni in un solo Stato membro. Sotto l’aspetto
dell’immigrazione irregolare, invece, vi sono delle direttive comuni in ambito di rimpatri.
Sicurezza: la cooperazione giuridica e giudiziaria in materia penale e di polizia è quasi
totalmente comune, anche se restano ancora dei profili particolari. Essa si articola in tre filoni, il
primo dei quali è il reciproco riconoscimento delle decisioni penali, che si fonda sul rispetto
reciproco degli Stati membri (es. mandato d’arresto europeo). Il secondo si fonda
sull’avvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri e il terzo la prevenzione della
criminalità. La cooperazione è rafforzata dai due organi Eurojust, che aiuta la cooperazione tra
le autorità degli Stati membri, e la Procura europea, che può essere istituita dal Consiglio nel
caso dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Nell’ambito della cooperazione di
polizia, invece, è rilevante l’Europol, che coordina le autorità degli Stati membri, alle quali
spetta il potere di emanare delle misure coercitive.
Giustizia: l’Unione punta a una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni
transnazionali, quindi vi è un riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali ed
extragiudiziali degli Stati membri. Per questo il legislatore deve favorire la cooperazione tra gli
Stati membri in modo da armonizzare la procedura civile ed eventualmente prevedere dei
metodi alternativi per la risoluzione delle controversie.
Fiscalità: gli scambi intracomunitari non possono essere limitati attraverso lo strumento
fiscale, ma questo non aiuta a superare la diversità tra i sistemi fiscali dei vari Stati. Il TFUE
infatti prevede l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di imposte indirette,
ma non in materia di imposte dirette. Un ruolo importante, anche in questo caso, è stato quello
della Corte che ha spinto per un adeguamento delle legislazioni nazionali per eliminare le
discriminazioni di qualsiasi tipo.
Ravvicinamento delle legislazioni: gli articoli che riguardano questo tema hanno una grande
importanza per il mercato interno, perché in alcuni casi degli obiettivi dell’Unione possono
essere conseguiti solo con l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, quindi sono previsti
degli interventi in caso di contrasto di qualunque tipo con gli obiettivi dell’Unione. In materia di
proprietà intellettuale sono possibili dei regimi comuni, infatti una cooperazione rafforzata sta
operando in vista di un regime comune dei brevetti.
Le politiche settoriali
Oltre alle competenze storiche dell’Unione ve ne sono altre che vogliono favorire il processo di
integrazione e che sono state assegnate dai Trattati alle competenze concorrenti o parallele sebbene
esse si fossero già affermate nella prassi. Tra queste vi sono, ad es., la cultura, la sanità pubblica, la
protezione dei consumatori, la ricerca, l’energia e la cooperazione amministrativa.
Principi e obiettivi
L’art. 21 TUE contiene i principi e gli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione. I principi
corrispondono con i valori fondanti dell’Unione (democrazia, Stato di diritto, diritti dell’uomo
ecc.), mentre i secondi attuano i principi e promuovono lo sviluppo sostenibile, gli scambi e la pace
e la cooperazione internazionale. Essi danno coerenza all’azione dell’Unione, che deve essere
realizzata attraverso la cooperazione tra il Consiglio, la Commissione e l’Alto rappresentante.
Il settore di intervento deve essere individuato dal Consiglio e approvato all’unanimità dal
Consiglio europeo, le proposte al Consiglio vengono fatte congiuntamente dalla Commissione e
dall’Alto rappresentante.
diplomatico europeo creato dal Trattato di Lisbona che opera sotto l’autorità dell’Alto
rappresentante e che deve assisterlo nell’esecuzione dei suoi mandati, soprattutto nell’ambito della
presidenza del Consiglio Affari esteri e nelle delegazioni presso i Paesi terzi e le organizzazioni
internazionali. Queste delegazioni sono diventate unitarie con il doppio ruolo dell’Alto
rappresentante, quindi rispecchiano l’intera azione esterna dell’Unione.
Nelle altre materie però la rappresentanza non è assicurata da queste delegazioni: nell’ambito della
PESC, ad esempio la rappresentanza compete al Presidente del Consiglio europeo sulla base delle
attribuzioni dell’Alto rappresentante. Per gli altri settori diversi da quello diplomatico, invece, la
rappresentanza è attribuita alla Commissione, ma esistono anche dei settori di rappresentanza
congiunta previsti dai Trattati.
b) Gli accordi con paesi terzi o organizzazioni internazionali. La c.d. competenza a stipulare
dell’Unione
La parte più significativa dell’azione esterna dell’Unione consiste nella conclusione di accordi
internazionali, perché attraverso di essi si è costruita la soggettività internazionale dell’Unione.
Questo potere è previsto dai Trattati sia nell’ambito dell’azione esterna che in quello delle altre
politiche dell’Unione, a volte esplicitamente e a volte no, consolidando una risalente giurisprudenza
della Corte, per la quale esiste un parallelismo tra competenze interne ed esterne.
Oltre ai settori in cui la competenza dell’Unione a stipulare accordi internazionali è prevista dai
Trattati in modo specifico, questi prevedono anche degli accordi di associazione, che non sono
collegati a una competenza materiale dell’Unione, ma devono creare delle azioni in comune e
delle procedure particolari nei rapporti con la controparte e con essi l’Unione può contrarre impegni
nei confronti di Stati terzi in tutti i settori disciplinati dal Trattato. Per questo motivo gli accordi di
associazione sono vari nella struttura, nei contenuti e nelle finalità (es. accordi con Paesi che
vogliono condividere le norme dell’Unione senza farne parte, come Islanda, Norvegia e
Lichtenstein).
La Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) è considerata parte della PESC e consiste nel
contributo da parte dell’Unione alla pace e alla sicurezza internazionale. Si tratta quindi di
interventi di vario tipo con lo scopo di prevenire i conflitti e di gestire le crisi nell’ambito delle
Nazioni Unite. Il Trattato di Lisbona ha integrato questo ambito aggiungendo una politica degli
armamenti e una clausola di difesa reciproca. Al momento non è prevista un’integrazione degli
apparati di difesa nazionali, ma è possibile adottarla in futuro. Siccome l’Unione non è dotata di
mezzi militari, una missione militare può svolgersi anche con la partecipazione di un gruppo
ristretto di Stati fino ad arrivare a un’eventuale cooperazione strutturata permanente. Il Trattato di
Lisbona ha anche formalizzato l’Agenzia europea per la difesa, che favorisce la cooperazione e la
produzione comune di armamenti. In questo settore l’unanimità è una regola ancora più stringente,
che può essere modificata solo con una revisione dei Trattati.
La politica commerciale comune è stato il primo strumento di politica estera della Comunità
europea. Essa gestisce gli scambi commerciali dell’Unione con i Paesi terzi ed è una competenza
esclusiva dell’Unione, la quale può adottare sia lo strumento degli accordi internazionali che misure
autonome. Un esempio di misura autonoma è il Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG) che
attraverso tariffe doganali di favore stimola l’economia di alcuni Paesi o, al contrario, vi è una
misura di difesa che aumenta i dazi per le merci che altererebbero eccessivamente la concorrenza.
Vi sono anche le misure di salvaguardia, che possono essere attivate in presenza di un danno alle
imprese dell’Unione derivante da distorsioni del mercato (es. importazioni eccessive).
Vi è infine la cooperazione con Paesi terzi e l’aiuto umanitario, che fanno parte dell’attività
dell’Unione da prima che i Trattati le fornissero una base giuridica. È una competenza parallela
dell’Unione, che può essere esercitata sia attraverso accordi internazionali che attraverso atti interni
da adottare con procedura legislativa ordinaria.
È prevista anche una clausola di solidarietà per uno Stato membro vittima di una calamità o di un
attacco terroristico, l’Unione quindi deve mobilitare tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi i
mezzi militari. Questo dovere è imposto anche ai singoli Stati membri dietro richiesta delle autorità
dello Stato in questione.
Corte di giustizia affermando la supremazia delle norme europee anche precedenti, sempre sulla
base dell’art. 11 Cost.
Il problema si è posto anche per l’interpretazione della supremazia, perché il giudice nazionale in
caso di contrasto è tenuto a sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, mentre la sent.
Costa c. Enel ha affermato l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare il diritto interno
confliggente. La Corte costituzionale ha quindi dovuto cambiare il proprio orientamento nel caso
Granital, riconoscendo il ruolo esclusivo della Corte di giustizia e sistemando i rapporti tra
ordinamento giuridico e ordinamento comunitario. I due ordinamenti sono coordinati, ma quello
italiano si è aperto alle interferenze europee e quindi deve applicarne le norme che abbiano effetti
diretti, qui comprese anche le sentenze della Corte di giustizia.
L’art. 11 Cost però viene richiamato anche per le norme che non hanno effetti diretti come
questione di legittimità costituzionale. La Corte costituzionale è comunque competente a giudicare
sulla conformità delle norme di diritto interno con il diritto europeo nel corso dei rinvii che le
vengono fatti. Solo nel 2001 i vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione sono stati recepiti nella
costituzione, perché l’art. 117 Cost prevede anche il rispetto dei vincoli comunitari, precisando il
contenuto dell’art. 11 Cost che costituisce il fondamento dei rapporti tra i due ordinamenti.
perché i tribunali nazionali hanno espresso preoccupazione per i principi fondamentali degli Stati,
quindi i tribunali costituzionali italiano e tedesco hanno enunciato una prima volta la teoria dei
controlimiti. La stessa Corte di giustizia ha poi affermato che i diritti fondamentali sono parte del
diritto europeo, quindi la Corte tedesca ha riconosciuto l’adeguatezza della protezione offerta a
livello europeo.
La Corte di giustizia elaborò dei diritti ispirati al diritto comunitario e a quello degli Stati membri,
ma veniva richiesta una base scritta, quindi si proposero due soluzioni:
- Accesso dell’Unione europea alla CEDU: questa proposta fu accantonata dopo un parere
negativo della Corte di giustizia per contrasto con il diritto dell’Unione.
- Adozione di una propria Carta dei diritti fondamentali: i principi furono dettati nel 1999 sulla
base dell’ispirazioni alle Carte dei diritti esistenti e delle tradizioni costituzionali degli Stati. La
Commissione fu composta con membri delle istituzioni e rappresentanti dei parlamenti
nazionali.
La Carta è divisa in sette capi, dei quali i primi sei elencano dei diritti e l’ultimo riguarda l’ambito
di applicazione e i principi di interpretazione. I titoli sono:
Dignità
Libertà
Uguaglianza
Solidarietà
Cittadinanza
Giustizia
Essa contiene sia dei diritti già previsti dagli ordinamenti degli Stati membri che dei diritti nuovi,
es. divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. I diritti previsti da questa Carta
sono considerati il fulcro dell’Unione europea.
L’ambito di applicazione della Carta riguarda ogni persona, ma essa si applica solo agli Stati che
devono attuare il diritto dell’Unione, inoltre essa non estende i poteri o le competenze
dell’Unione, ma in nessun caso il livello di protezione dei diritti già esistente può essere abbassato.
Sono possibili delle limitazioni a tali diritti, ma solo qualora siano proporzionate e necessarie per
tutelare i diritti altrui o l’interesse generale. Si applica a tutti gli Stati membri, anche se un
Protocollo specifica l’applicazione al Regno Unito e alla Polonia.
Il Parlamento europeo ebbe a sua volta un ruolo, perché adottò delle risoluzioni con le quali si
impegnava a rispettare i diritti fondamentali, inoltre propose l’adesione alla CEDU.
basato su una serie di hotspots verso i quali indirizzare gli sforzi. È prevista anche la creazione di
una Agenzia che si occupi di coordinare le operazioni di salvataggio.
Il rispetto dei diritti fondamentali è previsto anche dall’agenza europea sulla sicurezza, che è
complementare con essi e anche nell’ambito della lotta al terrorismo verranno garantiti questi
principi, senza favorire la discriminazione ma promuovendo l’integrazione a tutti i livelli della
società.
Nel 2015 è stato approvato il Piano d’azione sui diritti umani e la democrazia, che si sofferma in
particolare sulla tutela della vita privata a fronte delle riforme della giustizia e della sorveglianza
contro il terrorismo. Anche la strategia Commercio per tutti collega il progresso commerciale alla
tutela dei diritti umani nei Paesi terzi. Infine la Commissione è intervenuta in un dialogo presso le
Nazioni Unite per la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.
La Corte, invece, ha reputato invalida la decisione Approdo sicuro della Commissione sul
trasferimento di dati negli USA, non ritenendo che venisse tutelata la vita privata permettendo
l’accesso delle autorità pubbliche ai dati sulle comunicazioni private. La Commissione ha quindi
pubblicato degli orientamenti su dei sistemi alternativi di trasferimento.
Continua il lavoro in merito all’Adesione alla CEDU, la Commissione sta tenendo nuovi negoziati
per giungere a un progetto di accordo che soddisfi il diritto dell’Unione.
La Commissione vigila sul rispetto della Carta dei diritti fondamentali da parte degli Stati membri,
nel 2015 le procedure di infrazione che sono state sollevate hanno riguardato essenzialmente il
mancato rispetto della direttiva sulle procedure d’asilo. La Corte ha fornito dei nuovi criteri di
interpretazione della Carta, stabilendo che costituisce discriminazione anche il comportamento
peggiore riservato a un soggetto che non appartiene a quel gruppo etnico ma discriminato allo
stesso modo. Ha ritenuto ammissibile invece il decreto francese che limitava la possibilità di donare
il sangue ai soggetti omosessuali, per evitare il contagio da HIV.
I giudici nazionali, dal canto loro, continuano ad applicare la Carta, e un sondaggio ha rivelato che
una buona parte della popolazione dell’Unione auspica una maggiore informazione
sull’applicazione della Carta. A questo scopo verrà tenuto un convegno annuale per approfondire il
rispetto dei diritti contenuti nella Carta: il primo ha trattato della discriminazione antisemita e
antiislamica. Sono stati nominati due coordinatori per le azioni e si è discussa la strategia per
combattere gli incitamenti all’odio online. Dei fondi per sovvenzionare a livello nazionale delle
campagne contro il razzismo e la xenofobia sono stati stanziati nel 2015.
La Corte precisa l’ambito di applicazione della Carta dei diritti fondamentali ed interpreta il
principio del ne bis in idem
La Carta precisa che se uno dei diritti che afferma è contenuto anche nella CEDU, allora avrà lo
stesso contenuto, e uno di questi diritti è il principio del ne bis in idem. La questione è stata
sollevata da un giudice svedese sulla possibilità di comminare una sanzione penale a un soggetto
dopo che gli sia stata inflitta una sanzione fiscale. Questo è possibile, precisa la Corte, qualora la
sanzione fiscale non sia di natura penale. La sua natura deve essere valutata in base a tre criteri:
- Qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale
- Natura dell’illecito
- Natura e severità della sanzione
Il principio del ne bis in idem è previsto dal Protocollo n. 7 della CEDU, che non prevede deroghe
per tale diritto, e all’art. 50 della Carta di Nizza.
La prevista adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
L’appartenenza degli Stati membri sia alla CEDU che all’Unione portano a dire che vi sono difficili
e importanti elementi di integrazione tra il sistema comunitario e quello della Convenzione. La
Corte dell’Unione applica anche la CEDU nei suoi giudizi, ma solo la Corte di Strasburgo è
competente per la sua applicazione.
La CEDU è il luogo d’incontro con altri Paesi europei che non fanno parte dell’Unione, inoltre al
momento attuale non è possibile proporre un ricorso contro l’Unione davanti alla Corte CEDU, in
più la cessione di sovranità da parte degli Stati nei confronti dell’Unione non fa venir meno la loro
responsabilità nel caso di violazioni della CEDU. La Corte CEDU ha riconosciuto che la Corte di
giustizia assicura una protezione equivalente dei diritti umani, alcuni diritti della Carta di Nizza non
sono contenuti all’interno della CEDU o sono solo stati esplicitati dalla giurisprudenza della Corte
di Strasburgo.
L’eventuale adesione dell’Unione richiederà degli adattamenti, perché essa non entrerà a far parte
del Consiglio d’Europa e quindi non contribuirà al bilancio, sarebbe altresì necessario aggiungere
un giudice proveniente dall’Unione nell’ambito della Corte di Strasburgo e un membro nel
Comitato dei Ministri che vigili sull’esecuzione delle sentenze.
Per questo motivo il Consiglio e la Commissione dovranno riattivarsi nuovamente per adottare un
nuovo accorso, perché l’adesione alla CEDU è stata prevista dai Trattati di Lisbona (art. 6 par. 2
TUE).