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PER UNA NUOVA DIDATTICA DELLA VOCALITA' JAZZ E POPULAR COME RESISTENZA

ALL'OMOLOGAZIONE VOCALE IMPOSTA DAI TALENT SHOW

FRANCESCO FORGES-DAVANZATI
Docente a Contratto di Canto Jazz presso il Conservatorio "B. Marcello" di Venezia

La diffusione dell'insegnamento del Canto Jazz o Moderno in Italia

risale all'inizio degli anni '80.

In quell'epoca pionieristica gli insegnanti per lo più si

improvvisavano tali, seguendo loro stessi una formazione di tipo

classico o studiando con qualche insegnante di "voce impostata"

interessato (avendo avuto qualche esperienza di confine) a

confrontarsi con la vocalità jazz. A loro volta si trovavano poi

ad insegnare o lo stile jazz in senso stretto o quella vasta gamma

di linguaggi che in ambito musicologico sono definiti "popular

music" e che, in modo più grossolano ma più immediatamente

comunicativo, le scuole di musica, fin da quell'epoca, hanno

definito Canto Moderno.

Da allora ad oggi le cose sono molto cambiate: più di 30 anni dopo

assistiamo ad una proliferazione impressionante di scuole di

musica private ma anche di Conservatori che offrono corsi di

questo genere, come quello nel quale io stesso insegno.

Addirittura, in alcuni casi, i corsi accedemici sono di due tipi:

uno dedicato al jazz specificamente inteso e un altro che viene

definito "ad indirizzo popular", se non direttamente "pop/rock".

Gli allievi e gli insegnanti sono aumentati in modo esponenziale

anche grazie ad alcuni fenomeni come la diffusione del musical

contemporaneo, importato dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra, che

ha coinciso con la diffusione di molte tecniche di insegnamento di


derivazione americana (la più famosa delle quali è il cosiddetto

Voice Craft ma ce ne sono molte altre). In tempi più recenti

invece la diffusione delle scuole è stata favorita dall'avvento

dei talent show televisivi di cui ormai si contano numerosi esempi

(solo per riferirci al caso italiano ne possiamo contare 3 o 4 con

diversi anni di programmazione alle spalle). Questi format

televisivi creano un enorme bacino potenziale di allievi per i

corsi di cui stiamo parlando e allo stesso di aspiranti

partecipanti a questo genere di programmi. Osserviamo ogni anno il

fenomeno inusuale di migliaia di persone che partecipano alle

audizioni per potervi partecipare. Parrebbe quindi una situazione

favorevole alla diffusione del canto e dell'attività musicale ma a

mio parere non è così. Questi spettacoli televisivi in realtà sono

basati più sulla scoperta di "personaggi" che sullo scouting di

"voci". Esemplare in questo senso è il caso della giovane

religiosa - in procinto di prendere i voti - salita alla ribalta

solo in virtù di questa sua vicenda esistenziale e non

particolarmente dotata dal punto di vista vocale, riproducendo

semplicemente un "gospel-style" che centinaia di altre giovani

cantanti, anche amatoriali, sanno eseguire come e meglio di lei.

Dal punto di vista musicale e vocale i talent show ricercano

costantemente qualche cosa di riconoscibile e mai imprevedibile.

Essi tendono, nonostante l'apparente intento opposto, a una

standardizzazione o, se vogliamo, a una omologazione della

vocalità mutuata dai modelli imperanti nella mainstream della

"popular music" più commerciale, di derivazione principalmente


statunitense o anglosassone, annullando così ogni tipo di

interesse nei confronti della "singolarità" vocale, vale a dire la

caratteristica principale dello strumento-voce, almeno per come lo

intendiamo dal punto di vista dell'insegnante che desidera

lavorare sulla particolarità timbrica, corporea ed esistenziale di

ogni singolo cantante.

Lo strumento-voce infatti può essere insegnato al pari di altri

strumenti ma, sia in veste di insegnanti di canto jazz e "popular"

che in quella di insegnanti di canto lirico, non possiamo

dimenticare che è uno strumento diverso da tutti gli altri. Questa

diversità è dovuta a quattro caratteristiche principali:

- in primo luogo la singolaritá - corporea ed esperienziale - di


timbro, inflessioni, potenza e durata, diversi per ciascun
individuo; lo strumento fa parte del corpo e ne è una sua
espressione sonora e dunque, essendo ciascun corpo umano diverso
dagli altri, non potrà che produrre una voce diversa da tutte le
altre, anche se sappiamo che esistono qualità ed estensioni che
rendono alcune voci somiglianti fra loro.

- vi è poi la trasformazione incessante cui è sottoposta, giacché


ogni trasformazione o alterazione del corpo diviene trasformazione
della voce, anch'essa determinandone il potenziale performativo;
le trasformazioni possono essere temporanee(malattia, emozione,
stanchezza) o irreversibili(l'età, con la continua crescita e poi
decadimento del corpo, e lo studio, che determina una
consapevolezza nel cantante che poi difficilmente potrà perdere,
al pari di quanto accade nel momento in cui, per esempio,
impariamo a nuotare o ad andare in bicicletta).

- la terza caratteristica è l'invisibilità (lo strumento vocale


non può essere osservato, se non in minima parte e di sfuggita,
perché totalmente interno al corpo): l'apprendimento passa dunque
attraverso la percezione interiore e l'intuizione, mediate
entrambe da uno scambio verbale fra allievo e insegnante, spesso
foriero di ambiguità;

- e infine abbiamo l'articolabilità in linguaggio, perché la voce

è uno strumento che intona parole e si modella nella diversità di

ogni lingua del pianeta, salvo i rari casi di melodie prive di

testo poetico.

Vi è poi un'ulteriore caratteristica che riguarda proprio il canto

jazz o "popular",i quali storicamente (e a differenza di ciò che

accade nella vocalità "impostata") sono il frutto dell'intenzione

artistica ed espressiva di auto-didatti.

Tutti i più grandi cantanti che hanno fatto la storia di questi

generi musicali lo sono stati e questo almeno fino all'epoca alla

quale ci siamo riferiti all'inizio di questo intervento. Stiamo

parlando, tanto per citarne solo alcuni fra i più noti, di Louis

Armstrong come pure di Billie Holiday o di Janis Joplin, di

Roberto Murolo o Domenico Modugno oppure di Cesaria Evora e Miriam

Makeba. Gli esempi sono infiniti.

Il loro canto non è il frutto di uno studio tecnico (assolutamente

necessario invece per eseguire le composizioni della musica colta

occidentale) ma il risultato di una necessità psichica e culturale

che li ha portati a cantare in quel modo e senza preoccuparsi di

fare dei suoni giusti, corretti e funzionali al corpo. Tutte

queste sono attenzioni che nascono in tempi più recenti. Il

problema dunque è che rischiamo di perdere la ricchezza di quella

che io chiamo, in un testo inedito e assai più approfondito dal

quale questo intervento trae spunto, la "bio-diversità vocale".

Una bio-diversità generata principalmente dalla singolarità e


dalla trasformazione di cui ho parlato prima.

La diffusione delle metodologie legate alla figura del "vocal

coach" (non più un insegnante di canto ma un allenatore, non più

qualcuno che insegna un'arte ma colui che mantiene in forma

l'apparato fonatorio) - tende invece, come avviene (anche se con

modalità diverse) nella cosiddetta voce impostata, a

standardizzare e uniformare i timbri, nella ricerca di un suono

prevedibile, riconoscibile e quindi commercializzabile. Occorre

dunque esercitare una critica serrata di questa tendenza,

veicolata dai talent show televisivi, contrapponendole la vitalità

inesauribile della bio-diversità vocale che ha origine nelle

culture musicali tradizionali.

Il canto jazz (o il blues da cui deriva e dal quale derivano anche

molte forme della "popular music" più diffusa oggi) non è altro

che una forma più raffinata ed evoluta di musica tradizionale di

origine afro-americana incrociata con armonie europee. E allo

stesso modo gran parte della popular music italiana trae spunto,

almeno a livello di timbrica vocale, dal patrimonio delle musiche

tradizionali delle varie regioni e culture locali della nostra

penisola. In queste forme di canto, e in molte altre diffuse nei

cinque continenti, la tecnica di emissione vocale è interamente

costruita a partire dalla "singolarità" di ciascun cantante,

comprendendo in essa molti suoni che, seguendo le regole della

"voce impostata" o le raccomandazioni dei foniatri, sarebbero

considerati "sbagliati" o dannosi per l'apparato vocale. E

tuttavia proprio questa assenza di "impostazione corretta" ci

permette di ascoltare voci che emozionano e consentono


all'ascoltatore un'individuazione immediata, a livello energetico

e culturale a un tempo, delle intenzioni artistiche e comunicative

di chi le sta suonando. E' dunque fondamentale recuperare il

valore di queste fragilità, di queste irregolarità, di questi

suoni che possono essere graffi dell'anima o espressioni di

rabbia, fortissime rappresentazioni identitarie o incarnazioni del

desiderio. La tecnica vocale dunque può solo essere intesa come

trasmissione di consapevolezza in merito ai limiti e le

potenzialità di ciascuno, come scoperta dell'imprevedibile celato

in ciascun essere umano che canta. Solo in questo modo è possibile

insegnare l'arte del canto, in una prospettiva che è allo stesso

tempo segnata dalla necessità psichica dell'espressione vocale e

caratterizzata dalla resistenza all'omologazione imposta dal

mercato e dalla cultura individualistica che lo mantiene in vita.

Come ci ricorda lo psicoanalista e filosofo Miguel Benasayag:

"bisogna avere una visione d'insieme che non separi in modo

artificiale la vita delle persone dal contesto sociale ed

antropologico nel quale vivono, in modo che le persone sviluppino

la loro singolarità e non il loro individualismo."

Due scene di "Mouchette", il capolavoro del regista francese

Robert Bresson, ci indicano infine, in qualche modo

involontariamente, il percorso da seguire. Non quello certamente

della maestra che afferra per il collo la ragazzina protagonista

del film quasi sbattendola sulla tastiera del pianoforte per farle

imparare le note giuste di un inno religioso che lei si rifiuta di

cantare insieme alle compagne. Ma piuttosto l'utilizzo spontaneo

di quello stesso inno che la giovane adolescente mette in pratica


per lenire in qualche modo i postumi di una crisi epilettica di

uno sbandato presso il quale trova rifugio in una notte di

tempesta. Quel canto, svincolato dalle esigenze di correttezza

dell'apprendimento scolastico si rivela in chi lo ascolta come

del tutto nuovo. Mouchette si è lasciata attraversare da quella

melodia e ce la restituisce come mai udita prima, grazie alla

funzione terapeutica (e auto-terapeutica, al pari della balia che

intona la ninna-nanna "Summertime" nell'opera di George Gershwin

"Porgy & Bess") che le attribuisce inconsapevolmente.

Il suo canto - espressione di una necessità psichica e relazionale

allo stesso tempo - ci riconduce al grado zero dell'arte, o

dell'attività umana, del cantare.

Solo ascoltando con attenzione espressioni come queste si potrà

insegnare qualcosa a chi canta con "voce naturale", nella

coscienza infine che l'insegnamento non può basarsi altro che sul

continuo apprendimento di ciò che né l'insegnante né l'allievo

ancora conoscono.

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