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Molteplici sono i fili che possono essere seguiti per rintracciare svolte e continuità del
discorso economico. Ne proponiamo due abitualmente poco frequentati: il concetto di
razionalità e quello di tempo.
Anche per Marx non è l'individuo, in ultima istanza, l'attore del processo sociale. Il
"senso" dei comportamenti soggettivi è inintenzionale: gli individui agiscono in quanto
inseriti in strutture (materiali, sociali, culturali), e sono queste gli oggetti dell'analisi: le
classi sociali ed il sistema.
Pur avendo in comune con i classici questa visione olistica della società, il giudizio di
Marx sul funzionamento della "macchina" economica è molto più critico. L'elemento
dominante è quello della contraddizione: non come semplice "conflitto" tra gruppi
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sociali (questo era già presente in Smith e Ricardo), ma come compresenza e
tensione tra due finalità del processo sociale. Marx contrappone ad esempio una
circolazione "mercantile" dove la merce (cioè il suo consumo) è il fine dello scambio
e il denaro un semplice intermediario, ad una circolazione "capitalistica" dove il
denaro (capitale) diventa lo scopo dell'attività economica; distingue poi tra la
"riproduzione semplice" del sistema (la capacità di questo di ricostituire le proprie
condizioni di esistenza e garantire il consumo sociale) e la "riproduzione allargata"
(dominata dall'accumulazione); e contrappone il concetto di lavoro come attività
autodiretta e socialmente integrata a quello di "lavoro estraniato" e di "forza-lavoro"
ridotta a merce.
La "razionalità" del mercato capitalistico appare così a Marx come una lacerazione,
un'inversione rispetto ad una condizione naturale (o utopica) di armonica
corrispondenza tra bisogni e produzione, tra lavoro e proprietà, tra individuo e
società.
Anche in Marx la dimensione temporale è fondamentale, ma ad un livello differente
rispetto ai classici: nella sua teoria è centrale non tanto l'idea della crescita
cumulativa del prodotto sociale quanto la dinamica delle strutture e l'analisi dei
momenti di rottura (il passaggio da un "modo di produzione" ad un altro) prodotti
dalla tensione, dallo svolgimento delle contraddizioni del sistema. Il "tempo" è cioè in
Marx un processo irreversibile e dialettico.
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4. L'ampliamento del campo di applicazione del criterio di razionalità comporta un
parallelo svuotamento del concetto. La razionalità è infatti concepita come
"organizzazione efficiente dei mezzi rispetto ai fini"; ma i fini sono indifferenti,
insindacabili e non indagabili dall'economista. Ciò appare evidente su due piani.
Da un lato il concetto di costo perde ogni significato "oggettivo" (costo di
produzione come misura del consumo di risorse) e risulta ammissibile solo come
costo-opportunità (il "valore" di qualcosa consiste unicamente nel fatto che si
rinuncia a qualcos'altro). Dall'altro lato, l'utilità che si configurerebbe come lo
scopo del processo economico è soggettivizzata al massimo, così da non poter
piuù esistere come grandezza misurabile e confrontabile: non posso dire "quanto
desidero" qualcosa, ma solo "quanto lo preferisco" a qualcos'altro. Vilfredo Pareto
è allora costretto a dimostrare che esistono infinite ed incommensurabili situazioni
di "ottima allocazione" delle risorse sociali, a seconda della struttura della
distribuzione delle risorse da cui si parte. Solo l'efficienza e non la prosperità
appare valutabile: la ricerca di una garanzia di avalutatività per i propri strumenti
analitici porta così l'economia ad autolimitare la significatività sociale delle proprie
affermazioni.
5. L'accento viene posto sulla allocazione efficiente di risorse date e non
sull'accrescimento di dotazione di tali risorse. Questo significa non solo che il
concetto di "sovrappiù" viene rigettato in base al postulato della scarsità dei mezzi,
ma, soprattutto, che i problemi della crescita e dello sviluppo vengono accantonati
dagli economisti neoclassici e che l'analisi diventa statica, uniperiodale. Anche
l'"allocazione intertemporale" (ad esempio la decisione di risparmiare) viene
affrontata come problema di scelta in condizioni di certezza (il futuro è considerato
noto.
Il paradigma neoclassico è ancora oggi dominante. E' però vero che consistenti
progressi nella conoscenza del funzionamento del sistema economico hanno potuto
aver luogo solo quando si è provato ad abbandonare l'orizzonte statico ed il rigido
concetto di "comportamento ottimizzante" elaborato dal pensiero neoclassico.
Richiamiamo alcuni di questi filoni di ricerca "divergenti".
1. Il modello neoclassico considera solo "mercati di concorrenza perfetta" (cioè
formati da operatori la cui dimensione economica è irrilevante rispetto al mercato,
e quindi con identico potere contrattuale) e intende le "imprese" come semplici
meccanismi di decisione. Nella realtà appare sempre più rilevante il ruolo delle
grandi imprese e la prevalenza di mercati imperfetti. Tutti i tentativi di elaborare
modelli teorici adeguati a queste realtà hanno portato a postulare criteri di
comportamento non ottimizzanti (gli studi di Bearle-Means sulle garndi
"corporations") o indeterminati (l'applicazione della "teoria dei giochi" da parte di
von Neumann per spiegare il comportamento degli oligopoli, o il modello di Sylos
Labini). Gli studi sulle organizzazioni e sulle proprietà dei sistemi socio-tecnici
hanno mostrato poi la rilevanza di concetti meno rigidi di "razionalità" (come la "ra-
zionalità debole" di H.A.Simon o l'"efficienza-x" di T.C.Koopmans). Al valore critico
di queste indagini non corrisponde però la capacità di porsi come modelli di base
alternativi sufficientemente generali.
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2. L'unico economista ad aver elaborato (fuori dal filone marxista) una vera "teoria
della crescita", intesa come fenomeno basilare e peculiare dell'organizzazione
capitalistica dell'economia è stato J.A.Schumpeter. Al centro della sua teoria è
l'idea che lo sviluppo consiste nell'innovazione, e che questa è un atto creativo
dell'imprenditore (e spiega/giustifica il suo profitto). Ciò che realmente conta
nell'evoluzione dei sistemi economici non è insomma il frutto di una scelta
"razionale" ma di una scommessa, di un'apertura verso il futuro. Il tempo è
chiamato in causa, nella visione di Schumpeter, nei due aspetti di un "flusso circo-
lare" autoperpetuantesi e di una serie di rotture; e questo sembra suggerire che
una teoria del cambiamento è incompatibile con un'analisi statica
dell'organizzazione razionale.
3. Dalla fine degli anni '30 l'opera di J.M.Keynes ha influenzato profondamente le
scelte e l'atteggiamento dei governi nei confronti dell'economia. Nella sua teoria gli
investimenti hanno un ruolo centrale quali determinanti del livello di attività del
sistema economico. Ora, questa decisione di spesa, per se motivata dall'obiettivo
della massimizzazione del profitto, non è basata su un calcolo razionale ma sulle
aspettative degli imprenditori rispetto ai valori futuri dei prezzi, della domanda, ecc.
Keynes arriva a dire che questo momento fondamentale della vita economica è
governato da una sorta di animal spirits. Anche in Keynes, il tempo assolve
dunque una funzione cruciale: quella di introdurre l'incertezza e porre in crisi la
possibilità del "calcolo economico razionale". Ciò appare evidente nello sviluppo di
"modelli di sviluppo keynesiani" (Harrod, Pasinetti, Robinson), nei quali le decisioni
di investim,ento, nella misura in cui determinano contemporaneamente il livello
attuale della domanda e quello della caspacità produttiva futura, diventano fonte di
instabilità.