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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
Friedrich Schiller
Fuori da questo confuso dibattito, ancora una volta, è la voce dell’unico economista e statista
che ha saputo puntualmente spiegare e prevedere l’inevitabilità della crisi a cui sarebbe
giunto il modello della globalizzazione finanziaria, Lyndon LaRouche. Egli dice: «The issue
of creativity is the key!» ; la soluzione per uscire dal disastro in cui siamo piombati passa per
la riscoperta del concetto di creatività, come referente ontologico della più profonda natura
umana.
È fondamentale allora interrogarsi sul chi siamo e su quale sia la nostra autentica natura.
Nella sua recensione del Gesù di Nazaret di Papa Benedetto XVI, LaRouche dice:
Ecco dunque chi siamo. Siamo uomini fatti ad immagine del Creatore, siamo la ripetizione in
piccolo di quella “forza intelligente” che tutto conosce e tutto ha creato, ed il fatto di essere a
questo somiglianti è dimostrato dalla nostra stessa capacità di conoscere e di creare. Si tratta
di un dato distintivo che differenzia l’uomo da ogni altra entità della biosfera; la prova
empirica dell’efficienza di questa capacità ontologica è data dal continuo aumento della
densità demografica relativa potenziale. Quest’ultima, infatti, non racconterebbe altro che
l’aumentata capacità dell’uomo di relazionarsi al Tutto, e dunque di conoscerlo (conoscere e
creare).
Il processo cognitivo-creativo è allora il dialogo che instauriamo con la verità; esso è quel
fenomeno dove l’uomo allo stesso tempo coltiva la sua natura individuale e si riconosce
come essere facente parte di una più ampia comunità.
I fautori della crescita hanno ragione quando sostengono che il mondo è entrato in crisi a
causa di un eccesso di finanziarizzazione dell’economia, con la distrazione dell’impegno
economico da produzioni per beni e servizi, a pure operazioni speculative considerabili alla
stessa stregua di un grande casinò globale. Si pensi infatti che nel 2005 il prodotto interno
lordo globale (esprimente all’ingrosso il valore delle produzioni reali) era pari a circa 45.000
miliardi di dollari, mentre quello delle transazioni finanziarie era pari a circa 2.000.000 di
miliardi di dollari (di cui 1.400.000 miliardi relativi a derivati, 570.000 miliardi relativi a
valute, e 50.000 miliardi relativi ad azioni). I crescitisti sostengono dunque che si debba dare
nuovo spazio alle produzioni. Ma di quali produzioni parlano? Che concezione di uomo vi è
dietro? Quale parte dell’uomo? La sua capacità di creare in modo sempre più efficiente o il
suo desiderio di godere?
I fautori della decrescita, invece, sostengono che l’attuale sistema di misurazione della
crescita – rimesso in particolare alla produzione interna lorda – non esprima efficacemente un
miglioramento od un peggioramento delle condizioni di vita. Ed anch’essi hanno ragione.
Questi propongono allora un nuovo modello, di “recessione ben temperata” centrato sull’idea
di sobrietà, di consumo critico e consapevole; una “nuova” – a loro dire – economia fondata
sull’autoproduzione e sullo scambio non mercantile. Si sta progressivamente creando un
plotone di persone che aderiscono a questa nuova religione; si tratta di gente proveniente dai
più disparati ambienti, da quelli eredi del catto-comunismo, a quelli dei centri sociali, a quelli
della destra sociale che non rinnega il suo passato fascista. Si tratta di persone accomunate
tutte da un punto: l’aver intuito prima di altri che il modello sinora dominante era un modello
insano, fatto di ostentazione, di consumismo, mercificazione dell’altro, sfruttamento dei
popoli più deboli; in ogni caso, un modello che li ha delusi; potremmo parlarne come del
popolo dei delusi. Quanta ragione vi è nelle loro considerazioni!
Ma ecco adesso la punizione divina, la crisi del modello. E se l’analisi trova molti elementi di
ragione, la soluzione proposta – quella della decrescita appunto – rappresenta però una non
soluzione, anzi la radicalizzazione dei problemi che oggi affliggono l’umanità.
La soluzione dei decrescitisti appare come una presa di coscienza circa il fatto che lavorare
avendo come proprio fine il consumo, rappresenti un modello figlio dell’inconsapevolezza.
Come non poter essere concordi con ciò? Tuttavia essi sono lontani dal proporre una
soluzione frutto della consapevolezza. Se il modello oggetto della loro critica è vittima di una
lettura antropologica per cui l’uomo è essere sensuale finalizzato a consumare, i decrescitisti
propongono una diversa via, dove però la concezione antropologica è la stessa; anche per
loro l’uomo sarebbe un essere sensuale, dominato dalla voglia di vedere, di toccare, di
ascoltare, di odorare, di assaporare. Nel loro mondo ideale, infatti, l’uomo potrà tornare ad
assaporare i sapori di una volta, respirare l’aria di una volta, vedere i paesaggi di una volta.
Questo approccio alla realtà (che si ricordi, è per essenza in continuo divenire) è
profondamente sbagliato; portato alle sue estreme conseguenze, infatti, il semplice salto
tecnologico fatto dall’uomo che passa dalla raccolta dei frutti, alla coltivazione dei campi,
all’uso del fuoco, rappresenta un pericoloso cambiamento dell’ambiente, dove l’azione
umana finisce con l’essere concepita come un elemento di disturbo di madre terra Gaia.
Ed invece, l’evoluzione che deve compiere l’uomo è di tipo antropologico: non riscoprire la
natura (l’ambiente) che fu, quanto riscoprire la sua più profonda natura; da essere sensuale ad
essere razionale dedito alla conoscenza ed alla creazione.
Dunque per i crescitisti bisogna fare di più; per i decrescitisti bisogna fare di meno. Con fare
di più e fare di meno, entrambe le due correnti fanno riferimento alle quantità prodotte, alla
materia fisica prodotta, e non guardano al tempo materiale impiegato per fare, dunque non
guardano all’uomo chiamato a questo fare. Se in merito ai fautori della crescita non vi è
dubbio che le cose stiano così, in quanto anche in presenza di miglioramenti tecnologici, la
persona è comunque chiamata ad aumentare il tempo dedicato alla produzione materiale,
qualche perplessità può invece sorgere per i fautori della decrescita; infatti per questi ultimi
l’uomo deve limitarsi a produrre quel tanto che gli basta per il sostentamento, dimentichi però
del fatto che il modello nostalgico che vanno proponendo è un modello di economia agricola
a bassa capacità produttiva, dove la persona si trova gioco forza impegnata tutta la vita nella
cura dei campi.
Lungi dall’essere un modello politico o filosofico, di illuminata relazione con sé stessi, gli altri
e la natura, la decrescita è di fatto un nuovo modo per rubricare il concetto di austerità; essa è
di fatto il processo di “disintegrazione controllata dell’economia globale” , così come fu
definita durante gli anni ’70 dall’allora governatore della Federal Reserve, Paul Volcker, oggi
messo dal Presidente Barack Obama a capo dell’Economic Recovery Advisory Board.
Se i fautori della crescita scappano dal passato dimenticandone l’importanza per un futuro
migliore, i fautori della decrescita scappano dal futuro sognando un mondo congelato ad una
non chiara epoca passata.
E ancora, i primi concepiscono un uomo schiavo del lavoro a bassa specializzazione, per una
sempre maggiore quantità di merci, i secondi un uomo schiavo del lavoro a bassa
specializzazione, per quel tanto che a lui basta per il sostentamento. L’una e l’altra visione del
mondo, non tiene conto della naturale inclinazione umana alla conoscenza ed alla creazione.
Si tratta di due visioni sostanzialmente fasciste, nel momento in cui sono funzionali ad
incatenare l’uomo ad un quadro che disconosce l’autentica natura umana.
L’attuale stadio dell’organizzazione sociale datasi dagli uomini, ha finito col ripartire in modo
sempre più puntuale le competenze umane. Tuttavia si tratta di un’organizzazione della
società che nel corso della storia si è sempre manifestata. Anche nel più piccolo villaggio a
“dimensione d’uomo”, come suol dirsi, vi era il piccolo produttore di vesti, piuttosto che di
libri, piuttosto che l’agricoltore. Non è di fatto possibile un’organizzazione sociale dove
ognuno possa occuparsi di tutto. Pensare ad una società di questo genere, sarebbe –
contrariamente a quanto pensano i fautori della decrescita – incentivare forme di spreco e di
arretratezza culturale, dove l’uomo mancherebbe inevitabilmente del tempo per le attività di
tipo intellettuale.
Quali prospettive
Il piano Obama per il rilancio dell’economia statunitense non è perfetto, in quanto non mostra
ancora il coraggio necessario per riorganizzare l’intero sistema finanziario mondiale, secondo
le linee più volte proposte da LaRouche. Tuttavia quel piano dimostra che passi in avanti si
stanno facendo. Il credito messo a disposizione dal governo federale sarà vincolato al
miglioramento delle fatiscenti infrastrutture statunitensi, ed alla relativa creazione di posti di
lavoro. Se da una parte i decrescitisti, vittime della fallace concezione entropica della realtà,
stanno muovendosi per incidere sulle leadership locali, dall’altra il nostro compito deve essere
quello di attivarsi affinché il rilancio dell’economia e del lavoro non sia finalizzato a ridare
fiato alle oligarchie finanziarie, quanto piuttosto a reindirizzare il pianeta verso il
miglioramento delle condizioni di vita, ed allo sviluppo della persona umana. Per fare questo
si deve puntare a ridare al lavoro la sua essenziale dignità di fenomeno applicativo delle
più alte cognizioni raggiunte, ma senza un sistema di infrastrutture pesanti (sistemi
energetici, stradali, ed idrici) e di infrastrutture leggere (istruzione e sanità, legge e giustizia)
al più alto livello tecnologico, il lavoro dell’uomo sarà obbligato ad esprimersi in modi non
funzionali rispetto al sempre maggior grado di complessità che la crescita demografica
comporta. Senza quei passi, quest’ultima, piuttosto che inestimabile risorsa diventa pauroso
problema.
Claudio Giudici
Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà
4 di 4 15/01/2009 16.26