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 Università degli Studi di Roma La Sapienza

FACOLTA’ DI SCIENZE UMANISTICHE


Corso in Saperi e Tecniche dello Spettacolo Teatrale, Cinematografico e Digitale

Sir Henry Irving

Laureando: Pasquale Sada

Relatore: Chiar.ma Prof. Clelia Falletti

Correlatore: Chiar.ma Prof. Paola Quarenghi

Materia: Storia del teatro

Anno accademico 2009/2010

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Pasquale Sada
Henry Irving

L’eredità del grand’attore


Lavorare sull’attore è un compito arduo. Delle sue creazioni non rimangono che
testimonianze sbiadite nel tempo. Si lavora sulla memoria cercando di annodare i fili di
un discorso fatto a pezzi. Ogni indizio è utile a colmare una lacuna, ogni pezzo
sopravvissuto va tenuto in considerazione, fosse pure legato a contesti diversi da quello
teatrale. Scrivere di teatro spesso significa lavorare su materiali che hanno poco a che fare
col teatro, anzi di norma proprio lo spettacolo, l’azione viva e reale del performer rimane
fuori dalla discussione critica. La difficoltà di catturare un gesto evanescente, la sua
apparizione concreta ed effimera sul palco, diventa spesso indifferenza. La ricostruzione
della memoria di un attore deve, invece, confrontarsi con la sua complessità, senza alcun
timore delle eventuali e inevitabili lacune. È importante partire proprio dalle opere
dell’artista, scoprire il suo valore creativo e riconoscerne i tratti peculiari.
Il grande attore è in grado di impressionare e segnare il suo pubblico, lasciare una
traccia indelebile che lo storico deve seguire anche in percorsi inusitati. È impossibile
parlare di Irving senza tener conto delle testimonianze di quanti l’hanno conosciuto: con
il suo carattere scontroso e chiuso non ebbe molti amici, ma sicuramente si circondò di
ammiratori e collaboratori che non mancarono di ricordare il suo lavoro e la sua
particolare personalità. Tra questi un posto particolare occupano Bram Stoker che lo
aiutò nella direzione del suo teatro, il Lyceum, ed Ellen Terry, che fu non solo la
prim’attrice della sua compagnia ma anche una buona amica. Il rapporto di fiducia e
rispetto reciproco portò La Terry ad affidargli l’educazione artistica del figlio Edward
Gordon Craig. Tra i due s’instaurò un rapporto particolare che oltrepassò i semplici
confini della relazione allievo maestro. Craig visse il teatro irvinghiano, lo rispettò e
soprattutto ne conservò un ricordo vivo che ne condizionò, anche come rifiuto, parte del
suo lavoro di scena. Non a caso scrisse due monografie 1, una dedicata ad Irving ed una
alla madre, che costituiscono documenti indispensabili per la ricostruzione di quel
periodo. Proprio l’importanza dei testi craighiani mette lo studioso in una situazione
spiacevole, vista la tendenza del regista inglese a porsi come testimone scomodo. Più
volte la personalità di Craig deforma la memoria dei fatti e impone la propria visione del
passato. Un vizio di fondo che non smentisce il valore della testimonianza, ma richiede
solo un’attenzione maggiore nello sviluppo del lavoro critico. Attraverso le parole
dell’eterno allievo, come amava definirsi Craig2 , passando per i discorsi irvinghiani fino a
materiali manoscritti3 è possibile ricostruire parte di quella complessa figura che Henry
Irving rappresentò nel teatro vittoriano. È impossibile sulla carta decifrare
definitivamente le leggi del suo “mistero”, che si perde nella comunione viva dello
spettatore con l’attore. È, invece, possibile ripercorrere il sentiero accidentato che lo
condusse al successo, analizzando non solo la sua carriera d’attore ma le sue conquiste
come stage manager. Irving fu l’espressione di un teatro creativo nel quale il lavoro
d’attore ebbe una importanza mai secondaria e come tale gli va reso il merito di aver

1 Cfr. E. G. CRAIG, Henry Irving, J.M. Dent and Sons, London 1930 e Ellen Terry and Her secret self, Sampson
Low, Marston & Co, London 1931.
2 Cfr. E. G. CRAIG, Henry Irving, cit.
3 Fondamentale il lavoro fatto da David Mayer sul testo manoscritto di The Bells, utilizzato da Irving per lo

sviluppo del suo spettacolo. Per approfondire vedi D. MAYER, Henry Irving and The Bells: Irving's Personal
Script of the Play, Manchester University Press, Manchester 1980.

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anticipato, se pur in modo embrionale, tendenze che nel novecento conquisteranno la
scena teatrale europea.

1 John Henry Brodribb

Henry Irving nasce il 6 febbraio 1838 con il nome di John Henry Brodribb, nella
modesta cittadina di Keinton Mandeville. I suoi genitori avevano fama di persone
rispettabili e onesti lavoratori. Se il padre Samuel ebbe poca e nessuna influenza
nell’educazione del figlio, la madre Mary fu, invece, il pilastro su cui si formò il carattere
del piccolo John. Fervente cattolica e seguace della chiesa metodista, modellò nel nome
di Cristo l’infanzia del figlio. La lettura comune di passi della Bibbia e le visite del
reverendo Southey scandirono regolarmente il tempo dei suoi primi anni d’infanzia 4.
Raggiunti gli undici anni il giovane John si sposta con la famiglia a Londra dove ha la
possibilità di frequentare la City Commercial School, uno dei migliori istituti della capitale.
Qui inizia a sbocciare la passione per il teatro grazie agli esercizi di declamazione e alle
recite di poesie nelle quali primeggia rispetto alla classe. È proprio il suo maestro, il Dott.
Pinches, a intercedere presso Mary affinché permettesse al promettente alunno di recarsi
a uno spettacolo come premio per i meriti scolastici. All’età di dodici anni, mano nella
mano col padre, Henry varca la soglia del teatro Sadler’s Wells, dove Phelps stava
portando in scena Hamlet5. È un colpo di fulmine che cambierà il corso della sua vita: nel
suo primo incontro con il teatro si trova davanti al miglior attore del suo tempo in una
delle sue migliori performance. Un episodio che lascerà il segno sul percorso artistico del
futuro Henry Irving.
Completata la carriera scolastica, John viene affidato a uno studio di avvocati per
iniziare un apprendistato che gli permettesse una certa stabilità economica. Parte dei suoi
guadagni li impiega nella sua formazione con l’acquisto di testi utili al proprio
accrescimento intellettuale e in visite sempre più frequenti al teatro Sadler’s del quale
diventa spettatore abituale. Nel 1853 John s’iscrive alla City Elocution Class tenuta da
Henry Thomas6. L’obiettivo principale dell’Elocution Class era insegnare una corretta
dizione agli alunni, ma questo non impediva a Thomas di impostare le sue lezioni in
modo tale da fornire veri e propri rudimenti drammatici. I ragazzi si preparavano su
drammi moderni, e le indicazioni di Thomas s’inserivano in quel filone che inizia a essere
chiamato “nuova maniera”, ossia la tendenza “naturalista” che in quel periodo si stava
sviluppando sulla scena inglese. A questa esperienza John affiancò i consigli che gli
provenivano da William Hoskins, esperto attore della compagnia di Phelps che si
propose di fargli da maestro. Tra i due si instaurò un rapporto solido, costruito
sull’inappagabile entusiasmo del giovane nell’imparare e sul fortissimo piacere
dell’anziano attore nell’insegnare. I due presero l’abitudine di incontrarsi ogni mattina per
alcune lezioni di recitazione che si focalizzavano soprattutto sulla pronuncia e sulla
dizione, con alcuni fondamentali di tecnica pantomimica7.

2 Nasce Henry Irving

Nel 1855 Hosking lasciò l’Inghilterra per cercare fortuna all’estero proponendo a
John di seguirlo. Al rifiuto del ragazzo gli suggerì di farsi le ossa in provincia prima di
affrontare piazze più importanti. Comunicata alla famiglia la sua idea di vivere di
spettacoli, John inizia la sua vita d’attore scegliendosi un nome d’arte: mantenne il suo
secondo nome di battesimo, Henry, a cui affiancò il cognome Irving, carico di ricordi

4 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, Faber & Faber, London 1951, p. 32.
5 A. BRERETON, The Life of Henry Irving, Longmans Green and Co, New York 1908, p. 10.
6 Ivi p. 12.
7 B. STOKER, Personal reminiscences of Henry Irving, William Heinemman, London 1906, p. 129.

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d’infanzia poiché univa l’evangelista Edward, i cui sermoni erano stati punti saldi della
sua educazione, con lo scrittore Washington, le cui storie avevano riempito buona parte
delle sue giornate. Dopo un nomadismo durato anni, nel 1865 viene convocato da Miss
Herbert, impresario e attrice, che lo ingaggiò per Hunted Down. Irving accettò senza
esitazione visto che era la prima occasione dopo anni di calcare un palco della capitale.
Purtroppo la linea d’eventi positivi s’interruppe poco prima dello spettacolo. A pochi
mesi dal debutto fu chiaro che Hunted Down non poteva essere messo in scena se non con
notevole ritardo. La Herbert per non rimandare troppo l’apertura del teatro decise di
produrre The Belle’s Stratagem, con una sessione di prove molto breve e affidando a Irving
la parte di Doricourt, personaggio che nella sua esperienza aveva già dimostrato essere
inadatto alle sue caratteristiche. Irving vedeva allontanarsi sempre di più la possibilità di
conquistare il pubblico londinese, una sensazione che si portò dentro fino al debutto. I
primi atti furono disastrosi, il suo personaggio non faceva presa sugli spettatori che
rimanevano freddi e impassibili. Irving sul palco percepiva la loro distanza e quasi
disperava un cambiamento. Per tutto lo spettacolo, la situazione rimase uguale, fino al
quinto atto: Doricourt scopre che la sua amata ha sposato un altro e si finge pazzo per
fuggire un matrimonio con una donna che non ama. Irving in questa scena conquistò il
pubblico trascinandolo con sé fino al finale 8. È con Hunted Down che arriva il suo primo
vero successo, sintetizzato nelle poche battute che il filosofo George Henry Lewes e la
novellista George Eliot si scambiarono all’uscita dal teatro:

Eliot: “What do you think of him?”


Lewes: “In twenty years he will be at the head of the English stage.”
Eliot: “He is there, I think, already.”9

Nonostante la buona riuscita della produzione, Irving trovò impiego solo per una
serie di lavori saltuari. Era un periodo poco fortunato nel quale ai problemi lavorativi si
aggiungevano i dissapori con l’attrice e sua sua compagna, Nellie Moore. Una sterzata
positiva ci fu, quando Alfred Wigan gli propose di lavorare con lui a una nuova
produzione. Wigan era riuscito ad assicurarsi la direzione del Queen’s Theatre e aveva
intenzione di aprire la stagione con The Double Marriage, dramma scritto da Charles Reade
e di sicuro effetto. La produzione poteva vantare oltre ad Irving una serie d’attori di
primissimo piano: il famosissimo Lawrence Toole, l’apprezzato attore tragico John Ryder
e soprattutto l’affascinante Ellen Terry. È la prima volta che Ellen ed Henry si incrociano,
ignari di quanto gli avrebbe riservato il futuro.
A questa produzione ne seguirono altre di modeste pretese fino a The Taming of the
Shrew, nella quale Ellen e Irving ebbero la parte dei protagonisti. Allo scadere del suo
contratto Irving rimase ancora al servizio di Wigan, fiducioso di poter cavalcare il
momento positivo che il Queen’s stava avendo. L’incarico successivo prevedeva una parte
nell’Oliver Twist adattato per la scena da John Oxenford. A Irving toccò Bill Sykes, per la
sua peculiare e straordinaria capacità nel rappresentare i villains. Molto probabilmente la
primissima ispirazione e fonte di studio per questa parte fu lo stesso Charles Dickens che
poco dopo la pubblicazione del libro aveva dato una serie di letture di brani della sua
opera. L’Assassinio di Nancy era stata una delle sue performance migliori, tanto da
rimanere impressa nei cuori e nella memoria del pubblico londinese. La parte di Nancy fu
ironicamente affidata a Nelly Moore, mettendo in serio imbarazzo Irving che fu anche
incaricato di dirigere le prove in qualità di stage-manager. Al discreto successo di questa
produzione seguì una più modesta approvazione per la messa in scena del Lancashire Lass
di Byron. Tra gli spettatori c’era anche Dickens che di ritorno a casa raccontò ai suoi
familiari quanto poco gli fosse piaciuto lo spettacolo eccetto per un giovane, che lo fece

8 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. 131.
9 Ivi p. 133.

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esprimere in questo modo: “The young fellow's name is Henry Irving and if he someday
doesn't come out as a great actor I know nothing of the art”10.

3 Da Digby Grant al melodramma


Il 1869 si apre tristemente per Irving. Nellie Moore è colpita da una malattia che la
tiene sospesa tra la vita e la morte per tre giorni. Il quarto Irving apprende la notizia della
sua morte. Alla tragedia si aggiunse un altro motivo di disperazione: ad Irving fu riferito
di una relazione segreta tra Nellie ed un comune amico. Alcune prove sembravano
confermare questa teoria, mentre altre la smentivano, con la verità ormai sepolta insieme
al cadavere della ragazza. Il dubbio s’insinuò nel suo cuore e fu toccato da una profonda
delusione. Quasi disilluso per sempre dall’amore, si creò una scorza di diffidenza che
portò con sé per tutta la vita. Il 15 Luglio dello stesso anno, Irving, ormai rassegnato,
cede al non troppo velato corteggiamento di Florence O’Callaghan che ormai si
protraeva da anni. I due si sposano senza che nessuno dei familiari di Irving fosse
presente.
Superate le spiacevoli vicende amorose, la sua carriera iniziava a prendere una piega
positiva. Londra pian piano si stava arrendendo alla sua bravura. Infatti, l’anno
successivo, Irving fu contattato da un vecchio amico che organizzò un incontro con un
giovane scrittore. All’appuntamento si presentò James Albery, uno scrittore di belle
speranze che aveva lasciato l’azienda di famiglia per dedicarsi al teatro. Abery spiegò che
da pochi giorni aveva terminato la sua ultima opera, Two Roses, nella quale la parte di
Digby Grant era interamente modellata su Irving. Albery era rimasto colpito dal suo
modo di recitare e voleva che l’attore lo aiutasse durante le prove a perfezionare il suo
personaggio. Irving accettò con piacere l’offerta di lavorare insieme. Seguirono alcune
prove nelle quali attore e autore lavorarono per sviluppare il personaggio e, infine, fu
presentato al Teatro Vaudeville, dove Irving recitava in quel periodo. Irving modellò
Digby Grant ispirandosi a Chavalier Wykoff, un eccentrico signore molto conosciuto
nella Londra bene e la sua perfetta caratterizzazione gli permise di essere apprezzato dalla
stampa come uno dei personaggi meglio riusciti degli ultimi vent’anni. Irving aveva
posato il primo mattone nella costruzione della sua leggenda. Dopo una serie di circa
duecento repliche, finalmente ebbe la possibilità di recitare a suo beneficio11 . Irving
ripropose Two Roses ma con una piccola aggiunta: tra un atto e l’altro lesse The Dream of
Eugene Aram, una triste ballata scritta da Thomas Hood. Era un esperimento ambizioso e
pericoloso che, però, diede i suoi frutti: il pubblico catturato dalla sua performance
scoppiò in un applauso fragoroso che non solo né consacrò il successo, ma lo svelò
anche come attore tragico. Londra salutava la nascita di uno dei più grandi attori tragici
dell’epoca vittoriana.

4 Le radici del successo


Quando il “fenomeno” irvinghiano scoppiò sulle scene inglesi, il suo modo di fare
teatro rappresentava il culmine della tradizione inglese, una sorta di evoluzione delle
conquiste del passato. Irving all’inizio del suo successo è perfettamente inserito
all’interno di una prassi teatrale che ha solide basi. È lo stesso Irving a svelarle in un
discorso, non a caso tenutosi all’Università di Oxford. Davanti agli studenti e ai membri
del corpo accademico, l’attore descrive l’operato di quattro illustri predecessori: Richard
Burbage, Thomas Betterton, David Garrick e Edmund Kean. In questa sede non si limita
ad una innocua ricostruzione storica ma nell’analisi e nel ricordo tenta una legittimazione
del proprio teatro, anche dal punto di vista culturale. Irving trasforma i quattro illustri
predecessori in una sorta di pilastri sui quali dimostra di aver costruito la propria arte

10 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. 152.
11 Spesso agli attori era concessa una sera nella quale recitare il proprio cavallo di battaglia.

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scenica. Mettendo a nudo connessioni e debiti, svela la propria eredità e nel contempo,
come vedremo, si apre le porte per i cambiamenti che già andava meditando.

4.1 Richard Burbage


Richard Burbage (1567-1619), rappresenta sicuramente uno dei più alti ideali cui
s’ispirò Irving. Attore della compagnia Lord Chamberlain’s Men, era considerato
un’autorità massima del suo tempo in fatto di recitazione. Per lui scrissero autori come
Ben Jonson e soprattutto Shakespeare che modellò su di lui il personaggio di Amleto.
Irving in lui vide la quintessenza di un lavoro d’attore che deve necessariamente entrare
in rapporto col testo. Burbage non subì Shakespeare, ma lo aiutò nella rivoluzione della
scena inglese:

Shakespeare fitted his blank verse to the natural expression of his ideas and not his ideas to the
trammels of blank verse. In order to carry out these reforms, in order to dethrone Artifice and Affectation,
he needed the help of actors in whom he could trust, and especially of a leading actor who could interpret
his greatest dramatic creations; such a one he found in Richard Burbage.12

È evidente da queste parole, come per Irving, le spinte verso la riforma in teatro non
si originassero esclusivamente dallo sforzo degli scrittori. Il lavoro drammatico
presupponeva una vera e propria fiducia tra autore e attore per cambiare dei sistemi
produttivi radicati nel tempo. Il testo senza l’interprete non è in grado di sbaragliare la
presenza di quell’ «Artifice and Affectation» che costituisce il vizio principale dell’arte
teatrale. Nella crociata contro l’affettazione e l’artificialità, Burbabge si consacra agli occhi
di Irving come un suo precursore che fa della Natura in scena il suo tratto distintivo:

Burbage was the first great actor that England ever saw, the original representative of many of
Shakespeare noblest creations […] we may fairly conclude Burbage’s acting to have had all the best
characteristics of Natural, as opposed to Artificial acting13 .

Irving aveva bisogno di giustificare la sua tendenza al realismo e lo fa sfruttando la


memoria dell’attore shakespeariano. Nelle sue parole la nascita del teatro inglese coincide
con la “ricerca della natura”, cosicché le performance di Burbage non è più
semplicemente frutto di un mestiere acquisito ma espressione di un principio estetico che
deve essere comune a tutte le operazioni spettacolari. Irving nell’instante stesso nel quale
afferma di ispirarsi a questo teatro inizia già a promuovere il proprio.

4.2 Thomas Betterton


Thomas Patrick Betterton (1635-1710) fu uno dei primi a fondere la figura del
direttore di compagnia con quella dell’attore. Riuscì a unire la Rodhe’s Company con la
Duke’s company, facendone una delle compagnie più importanti del periodo14. Irving lo
sceglie, però, come modello d’attore che costruisce la propria parte in sinergia con il
pubblico e non contro di esso. È impossibile portare la Verità sulla scena senza sincerità
nei confronti del pubblico che deve nutrire una sorta di fiducia verso chi recita15. È un
principio che Irving sfrutterà a proprio vantaggio. Craig, infatti, rileva che Henry:
«Followed the most ancient and unshakable tradition which says that the dramatist is to
take his audience into his confidence. The actor who fails to observe this fails as an
actor». 16

12 H. IRVING, Four Great Actors, in J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving: Essay, addresses and lecture, Keele,
Ryburn 1994, p. 53.
13 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 54.
14 Cfr. O. BROCKETT, Storia del teatro, Marsilio editore, Venezia 1988, p. 332.
15 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 57.
16 E.G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 61.

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Escludendo le implicazioni pratiche e tecniche, questo dimostra come Irving sapesse
di dover stupire e insieme accontentare il pubblico. Un rapporto fondato su un equilibrio
precario ma vitale. Molti raccontano di come Irving tenesse in poco conto l’opinione
pubblica e il suo giudizio. È un’affermazione che va contro i fatti, i quali dimostrano ben
altro. Nel 1880 Irving divenne proprietario della rivista «The Theatre», e ne affida la
direzione a Clement Scott, giornalista da sempre “benevolo” nei confronti delle
produzioni irvinghiane. È un episodio quantomeno inspiegabile nell’ottica del completo
rifiuto della popolarità. L’attore inglese tenne la stampa in alto rispetto e si assicurò con
l’acquisto del giornale la possibilità di controllarne e gestirne una parte. Era una
promozione di se stesso e del suo lavoro che riteneva fondamentale. Irving era conscio,
come ogni altro attore, che il proprio personaggio era costruito a priori della scena.
L’attore non può rifiutare l’incontro e lo scontro con il pubblico che è l’anima del teatro.
Per questo cercò il successo con un approccio complesso. La popolarità era la linfa del
suo lavoro ma nel contempo le critiche non orientavano il suo modo di recitare. Irving
era in rapporto dialettico col suo pubblico e il suo progetto prevedeva sia la
soddisfazione degli spettatori che la quasi imposizione del suo personalissimo modo di
fare teatro. L’ossimoro è espresso perfettamente nel giudizio di Oscar Wilde:

Irving had his sole object been to give the public what they wanted […] but his object was not that.
His object was to realize his own perfection as an artist, under certain conditions and in certain forms of
Art. At first he appealed to the few; now he has educated the many. He has created in the public both the
taste and the temperament. […] I often wonder, however, whether the public understand that that success
is entirely due to the fact that he did not accept their standard but realized his own17 .

I meriti di Betterton agli occhi di Irving non si esauriscono qui. Per l’attore vittoriano
era anche una sorta d’ideale, la figura dell’onesto artigiano che conservava i propri valori,
la faccia pulita dello spettacolo. Betterton era stato uno dei primi a cercare di nobilitare la
figura dell’attore. La sua è una battaglia che Irving farà propria, anzi ne farà uno degli
obiettivi principali della sua vita: «Irving’s lifelong mission was to raise the taste of
audience and to educate and uplift as well as just to entertain»18 .
Nobilitare la figura dell’attore per Irving significava ricostruire non solo la sua
posizione nella società ma dare un valore morale al suo lavoro. La sua formazione
metodista e la voglia di riscatto sociale guidarono fondamentalmente le sue azioni. Irving
col suo percorso artistico raccontava un viaggio comune a tutti i borghesi vittoriani. La
rinascita e la scalata al successo erano un passaggio obbligato nel passato di quanti ora
tenevano le redini del tessuto sociale vittoriano.

4.3 David Garrick

Alla morte di Betterton passarono circa trenta anni, prima che qualcuno riprendesse
lo scettro della scena inglese e riportasse la Natura sul palco. È con Garrick (1717-1779)
che la linea si ripristina. Attore, manager e impresario del Drury Lane, rappresentò un
limite irraggiungibile per molti attori del suo tempo e lo rimase ancora, per certi aspetti,
nel periodo vittoriano. Era stato il primo a scegliere una recitazione più contenuta e
naturale, rispetto allo stile declamatorio e pomposo che caratterizzava il secolo. Per Irving
è il prototipo dell’attore che recita anima e corpo, capace anche d’estrema libertà:

17 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 15.


18 Ivi p. 11.

7
Garrick was without a doubt, a very intense actor; he threw himself most thoroughly into any part that
he was playing. Certainly we know that he was not wanting in reverence in Shakespeare; in spite of the
liberties which he ventured to take with the poet’s text, he loved and worshipped him 19.

Il rapporto conflittuale con Shakespeare è il risultato di un processo quasi fisiologico.


Il testo shakespeariano non ha più il valore di rivoluzione che aveva ai tempi di Burbage,
ma è diventato una forza in grado di annullare l’attore. Garrick è per Irving una sorta di
monito circa le possibilità di controllare il testo, renderlo recitabile e adatto al pubblico
del proprio tempo senza snaturarne il valore culturale. Infatti, per Irving, il maggior
merito di Garrick è aver reso nuovamente popolari i testi del poeta di Stratford, anche a
costo di tagli e censure che agli occhi dei puristi suonavano come mutilazioni. Il rispetto
per il testo è un valore fondamentale per Irving, secondo solo alle necessità della scena.

4.4 Edmund Kean


A chiudere il cerchio, l’ultimo anello prima del periodo che accoglie Irving è Edmund
Kean (1789 -1833). Attore che si era fatto le ossa nella provincia, allievo dello stile
romantico di Cook, Kean dovette attendere i ventisette anni per raggiungere il successo
londinese. Nel 1814 al suo debutto diventa un divo, e con il ritiro di Kemble divenne
l’attore più importante del suo tempo. Il suo stile passionale, forte ed eccessivo per certi
versi ne fece un attore più adatto ai ruoli di villain che a personaggi da commedia. Irving
vide nella storia di Kean molti punti in comune con la propria e ne trasse ispirazione. La
vicinanza temporale e lo stile recitativo più moderno ne fecero un vero e proprio
modello per l’attore vittoriano. Oltre ad apprezzarne soprattutto la capacità di affascinare
il pubblico e il modo di recitare «quasi come se procedesse attraverso lampi di luce»20, è
l’interesse e la cura per i dettagli che ereditò soprattutto da lui. Irving non lo considerò
mai come il capostipite di una scuola opposta in modo violento allo stile recitativo di
Kemble. Il classicismo di quest'ultimo poteva convivere con l’approccio maggiormente
passionale e romantico di Kean e Irving li considerò come due facce della stessa
medaglia.
I quattro attori rappresentano quattro pilastri di quella complessa architettura che
fonderà il teatro irvinghiano. Recuperando l’intuizione di Fabrizio Cruciani e
trasportandola in un contesto diverso potremmo dire che questi quattro attori
costituiscono il teatro che Irving aveva in mente21. Esattamente come la sala all’italiana
era ed è la forma “normale” per lo spazio teatrale, così per l’attore inglese i “quattro”
costituivano il canone. Irving, però, troverà in loro anche un modo per utilizzarli come
«magazzino del nuovo»22, un sistema per far ripartire l’esperienza del passato e metterne
a frutto le conquiste. L’obiettivo era mantenerne lo spirito23, in questo caso incarnato in
quell’espressione naturale che lega la linea degli attori, e trovare nuovi sistemi per
esprimerlo. L’ Irving-maniera parte proprio da questo presupposto di forte
personalizzazione-reinterpretazione di luoghi comuni, passaggi conosciuti e temi ripresi.
Alla ricerca estrema della Natura, l’attore vittoriano unì elementi più moderni che
costituirono il punto d’incontro tra presente e passato: su questa base fuse elementi
propri della cultura vittoriana, come il rapporto libero e creativo col testo, l’interesse per
il pubblico non come morbosa ricerca del consenso ma quasi come proselitismo, la

19 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 62.


20 Cfr. J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 67.
21 Cruciani utilizza questa espressione in riferimento esclusivo all’architettura teatrale ma crediamo sia un

concetto in realtà applicabile in generale al teatro e a tutti I suoi elementi. Il teatro agito è prassi che si
tramanda più che un complesso di opere lasciate in eredità. Si costruisce sempre e solo a partire dalle
certezze del passato. Il capitolo “Il teatro che abbiamo in mente” si trova in F. CRUCIANI Lo spazio del teatro,
Laterza, Roma 1992, p. 11.
22 Per approfondire: Cfr. F. CRUCIANI Lo spazio del teatro, Laterza, Roma 1992, p. 73.
23 Quasi Irving anticipasse quella Tradition de la naissance su cui Copeau fonderà il suo teatro.

8
collaborazione con gli scrittori e la scelta di non fare differenza tra cultura “bassa” e
cultura “alta”24. È da questo fusione di elementi eterogenei che si svilupperà un teatro
fuori e dentro il suo tempo.

4.5 Samuel Phelps


Irving evidentemente contrasse grossi debiti anche con i propri contemporanei. Siano
essi avversari o collaboratori lo aiutarono a sviluppare la sua tecnica performativa e a
concretizzare la sua idea di teatro. George Taylor limita a tre le maggiori influenze del
passato più recente:

We also appreciated those qualities exploited by Kemble, Charles Kean and Phelps for creating a
performance of artistic unity, of visual splendour, in which all elements of production, stars, supers and
scenery were moulded into a complete theatrical experience, with the richness of an oil painting and the
atmospheric rhythm of a symphony25 .

I tre attori citati rappresentano il meglio della scena teatrale inglese primo-
ottocentesca. Il loro teatro viene comunemente definito come «Teatro delle illusioni», in
quanto tende a immergere lo spettatore nelle sue visioni e a trascinarlo nel “senso”
artistico come una forza irresistibile. Kemble, Kean e Phelps sono i primi a sfruttare a
fondo questo meccanismo che presuppone una totale assenza di distrazioni per chi
assiste allo spettacolo. Lo spettatore deve essere cullato e assorbito dalla scena. Non a
caso Taylor si focalizza sulle qualità sinfoniche delle produzioni più che nello specifico
delle performance di questi attori. Era il complesso della produzione spettacolare e la
gestione sapiente delle sue parti che garantiva il “sogno ad occhi aperti”. Irving ereditò
questo teatro e ne fece il suo mezzo massimo di espressione. Taylor chiude giustamente il
trittico con Samuel Phelps, non solo per una questione temporale ma anche perché dei
tre è quello che influenzò di più Irving.
Phelps fu uno dei maggiori interpreti del suo tempo. È parte di quella schiera di
attori/direttori di compagnia che dagli anni ’50 dell’Ottocento iniziarono a dare una
grande importanza alla produzione degli spettacoli secondo dei canoni precisi e fuori dal
mestiere. La “nuova maniera” cercava uno spettacolo organizzato come unicum e non
come dispositivo nel quale s’inserivano delle semplici competenze acquisite. In sostanza
Phelps fu tra i primi a dare spazio a una recita moderna sul personaggio e non sul ruolo.
Le sue performance davano molta importanza alla dizione e alla corretta
rappresentazione del testo, con estrema fedeltà non solo alle parole ma soprattutto al
periodo storico. Phelps iniziò letteralmente il giovane Henry al teatro e gli fornì
indirettamente le basi per la sua carriera. Mr. Chance Newton, uno degli amici più intimi
di Irving e suo collaboratore, riporta un’affermazione dell’attore che è emblematica:

Phelps gave me my notice the first week I was with him, but nevertheless he was the greatest actor I
ever saw or ever shall see. And you and I well know, old friend, that whatever is best in my work at the
Lyceum not only in playing but also in production you and I both know, that is all Phelps 26.

Irving sentiva giustamente una sorta debito nei confronti di Phelps, ma ne esagerò la
portata. Sul versante puramente performativo l’anziano attore fu un modello che non
orientò concretamente il suo modo di recitare. Lo sviluppo della sua tecnica performativa
seguì una linea parallela a quella del suo predecessore ma non la incrociò mai per poi
seguirla pedissequamente. Irving, come punto massimo della nuova maniera, doveva
anche sottrarre qualcosa alle conquiste del passato e rivolgersi a nuovi orizzonti.

24 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p.11.


25 G. TAYLOR, Players and performances in the victorian theatre, University press, Manchester 1993, p. 48.
26 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 125.

9
È vero, invece, che nella costruzione dello spettacolo Irving prese molto da Phelps.
Da lui ereditò una sorta di forma mentis che faceva del dettaglio e dell’armonizzazione di
tutti gli aspetti della messa in scena i suoi punti forti. Irving divenne un vero e proprio
maniaco della precisione e l’accuratezza storica, che aveva reso Phelps famoso, ne
divenne la spia più evidente. Entrambi si rifecero alle avanguardistiche posizioni del duca
di Saxe-Meiningen27 , ma Irving le personalizzò, adattandole alle necessità dei propri
spettacoli. Solo un punto rimase fondamentalmente invariato, ossia la coordinazione
disciplinata di tutte le parti della messa in scena. Luci e scenografia divennero parte
integrante del lavoro d’attore, con cui questi doveva relazionarsi e armonizzarsi. Secondo
Irving era impossibile realizzare il «Teatro delle illusioni» senza calcolare con precisione
gli effetti nella loro totalità e vedere lo spettacolo fondamentalmente come Unità. Il
lavoro sulle scene e sulle musiche doveva avere lo stesso identico ritmo del lavoro sulla
performance.
Per una perfetta gestione della produzione Irving divideva il lavoro creativo in tre
sezioni, che gli permettevano di scandire temporalmente gli aspetti su cui focalizzarsi. Il
primo passo era la scelta del dramma a cui seguiva uno schema generale della produzione
che veniva completato dalla pianificazione dei dettagli esecutivi28. Il primo momento era
legato alla scelta del cast, mentre il secondo si relazionava ai problemi specifici del testo
riadattandolo e scegliendone i punti salienti. L’ultimo passo immergeva Irving nello
specifico della rappresentazione teatrale:

The next step is the consideration of the play as a play, the mutual relations of situation and character
which require perpetual harmonising to keep equal pace in the development of the plot. Then follows the
preparation of the text 29.

Prima di tutto era fondamentale considerare il testo come materiale drammatico, «a


play as a play», per metterne in luce le necessità rappresentative. Il dramma doveva avere
un passo armonico, una sorta di ritmo, dato dalle relazioni tra la situazione e i personaggi.
Definita l’andatura, iniziava la preparazione del testo che era la ricerca dello spazio
drammatico. È un nodo sostanziale che spiega lo stretto rapporto che Irving ebbe con gli
scrittori: non scelse mai drammi nei quali non gli fosse agevole costruire la propria parte.
Quando lo spazio di costruzione del personaggio gli era negato commissionava
innumerevoli riscritture fino al raggiungimento della “dimensione” adatta. Era un
processo delicato che lo costrinse a legarsi a un certo tipo di scrittori, in grado di lavorare
spalla a spalla con l’attore senza alcun tipo di preconcetto.
Adattato il testo e sviluppati gli spazi drammaturgici, Irving passa alla costruzione
pratica della struttura dello spettacolo:

The third division of our subject relates to the execution of those ideas, and here begins the course of
the study and effort, with the result of which alone the public comes into immediate contact. This branch
of the stage work has, in itself, three natural divisions – the preparation, the rehearsal, and the working of
the play. The first of these deals mainly with the mise en scène30.

Tralasciando l’ultimo dei tre punti, che riguarda esclusivamente il lavoro di regolazione
e preparazione delle macchine di scena, è interessante notare come per Irving
l’esecuzione delle idee estratte dal testo vada a dividersi in preparazione e prove. Nella
preparazione Irving fa rientrare la creazione di un medium comune che permetta
all’attore di entrare in sintonia con la costruzione della scena e di preservare il realismo.

27 W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, University of California Press, Berkley 1993, p. 71.
28 G. TAYLOR, Players and performances in the victorian theatre, cit. p. 112.
29 Ivi p. 113.
30 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 113.

10
L’atmosfera era la base fondamentale su cui procedere con gli altri elementi. L’azione
doveva rientrare perfettamente nel milieu della pièce 31. Era fondamentale che i costumi
rispondessero all’eco degli scenari dipinti, sempre a grandezza d’uomo e con le giuste
proporzioni. La luce divenne nelle sue mani un effetto drammatico che conferiva
profondità e tridimensionalità alla figura dell’attore32. Il rapporto con i suoi scenografi fu
fondamentale. Irving li dirigeva e li indirizzava esattamente come faceva con i propri
attori. Il dramma aveva un valore prima di tutto in termini pittorici come una sequenza
d’immagini da legare attraverso delle transizioni sottili. Il realismo era fittizio, frutto di
questo gioco che favoriva l’immedesimazione dello spettatore e lo catturava nel dramma.
Tutte le forzature tese alla mimesi, l’artificialità di cui parla Irving vanno intese in questo
senso, come un'eccessiva sottolineatura del valore rappresentativo del gesto rispetto a
quello emotivo.
La seconda fase era costituita dalle prove, dove la direzione delle comparse era gestita
proprio dai suoi diretti maestri: da loro Irving aveva imparato il risultato e non il
processo. La mancanza di un vero e proprio apprendistato registico, il mestiere quasi
rubato mettevano l’accento su pratiche che si sviluppavano con l’esperienza. L’idea cui
tendeva era un’idea comune, quasi del secolo, ma il lavoro era qualcosa di estremamente
personale. Il percorso delle prove era molto preciso, seguendo uno schema che si ripeteva
uguale a se stesso per tutti i drammi. Ellen Terry ricorda:

Let me speak generally of his method of procedure in producing a play. First he studied it for three
months himself, and nothing in that play would escape him. […] His concentration during his three
months' study of the play which he had in view was marvellous. When, at the end of the three months, he
called the first rehearsal, he read the play exactly as it was going to be done on the first night. He knew
exactly by that time what he personally was going to do on the first night, and the company did well to
notice how he read his own part, for never again until the first night, though he rehearsed with them,
would he show his conception so fully and completely. These readings, which took place sometimes in the
greenroom or Beefsteak-room at the Lyceum, sometimes at his house in Grafton Street, were wonderful.
Never were the names of the characters said by the reader, but never was there the slightest doubt as to
which was speaking.[…] Henry Irving swiftly, surely, acted every part in the piece as lie read. While he read,
he made notes as to the position of the characters and the order of the crowds and processions33.

È bene precisare come ci troviamo di fronte ad uno stadio avanzato di lavoro.


Abbiamo già visto come Irving prima di tutto scegliesse con cura il dramma e ponderasse
la sua effettiva rappresentabilità. L’idea generale che ne doveva scaturire si era già
precisata durante una selezione e un “thinking of” che poteva durare anni.
Le prove si aprivano con una lettura generale nella quale Irving recitava ogni
personaggio, vale a dire mostrava esattamente come pretendeva che fosse recitato ogni
personaggio. Questo tipo di lettura non veniva più ripetuto, poiché si passava a una
seconda fase nella quale erano importanti i diversi dettagli e la loro armonizzazione. La
Wholeness sarebbe scaturita proprio dalla precisa messa a punto di questi dettagli. È in
questo momento che Irving organizza le posizioni degli attori e le scene corali per le
quali era diventato molto famoso. Nessun teatro del tempo aveva una gestione delle
scene di folla precisa come quella del Lyceum che risultavano estremamente credibili.
Jeffrey Richards dimostra che il valore delle processioni e delle marce per Irving andava
oltre il teatro stesso. Per lui erano un simbolo e sicuramente raggiungevano un effetto
quasi rituale34 , come si deduce dalle parole della Terry: «He was always a tremendous

31 H. IRVING, Four Great Actors, cit. p. 81.


32 Il Lyceum passò alla luce elettrica solo per un breve periodo, per poi ritornare alle lampade a gas che
garantivano una modellazione dei chiaroscuri più netta.
33 E. TERRY, The story of my life, Hutchinson, London 1908, pp. 167-168.
34 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 12.

11
believer in procession, and rightly. It is through such means that Royalty keeps its hold
on the feeling of the public, and makes its mark as a figure and a symbol35».
La perfezione delle scene di massa era una dimostrazione concreta di come Irving
fosse in grado di gestire tutti gli uomini al suo servizio. La Terry continua ricordando
che:

On Monday came the first stand-up rehearsal on the stage. The second day exactly the same method
was pursued with the second act. All the time Henry gave the stage his personal direction, gave it keenly,
and gave it whole. He was the sole superintendent of his rehearsals, with Mr. Loveday as his working
assistant, and Mr. Allen as his prompter. This despotism meant much less wasted time than when actor-
manager, "producer," literary adviser, stage manager, and anyone who likes to offer a suggestion are all
competing in giving orders and advice to a company36.

Con la prima prova “in piedi”, Irving metteva in pratica il polso di ferro. Era la prima
prova completa dello spettacolo. La Terry ne da una spiegazione molto pratica,
facendone una necessità legata ai tempi teatrali. In realtà dietro questa direzione dispotica
si nasconde anche l’intenzione di regolare gli attori affinché rispondano esattamente alla
precisa idea del dramma che Irving si era fatto. La disciplina permetteva non solo alle
parti di essere perfettamente al loro posto e soprattutto nei tempi giusti, ma garantiva
anche che l’interpretazione dello spettacolo si uniformasse perfettamente con quella dello
Stage manager.

5 Irving and The Bells


L’incontro e la riscoperta del teatro tragico per Irving non ebbe come conseguenza
quella di inquadrarlo agli occhi nel pubblico in una tradizione performativa ben definita.
L’exploit di Eugene Aram ebbe dei riscontri più immediati e materiali. Spettatore incantato
di quel successo fu anche Hezekiah Bateman, scosso e commosso come gli altri. In quel
periodo l’impresario si trovava in una situazione difficile: aveva da poco rilevato il
Lyceum Theatre che collezionava solo insuccessi, mentre nello stesso tempo era
impegnato nel trovare un buon attore di supporto alla sua terza figlia Isabel, per la quale
sperava una splendida carriera come quella della sorella Kate. La performance di Irving
inaspettatamente gli tolse ogni cruccio, spingendolo a formulare un’interessante offerta
d’ingaggio per l’attore. Irving si dichiarò entusiasta della proposta fattagli da Bateman e
dall’anno successivo, il 1870, iniziò una collaborazione che durò fino alla morte
dell’impresario.
I primi mesi non furono semplici. Il Lyceum portò in scena spettacoli che non
diedero i risultati sperati. Isabel non era in grado di sostenere il ruolo di prima attrice
nonostante Irving s’impegnasse nel guidarla e sostenerla. Per evitare il tracollo Irving
impose la produzione di The Bells, testo nel quale riponeva la massima fiducia. La sera
della prima fu un successo clamoroso, con un’interpretazione del protagonista Mathias
mai vista. Irving a trentatré anni poneva fine al suo cammino, raggiungendo lo scopo per
il quale fin dall’infanzia aveva combattuto. La critica stessa non risparmiò parole d’elogio
e d’entusiasmo per questa versione di The Bells che divenne il lavoro più conosciuto di
Henry e della sua compagnia, quasi marchio di fabbrica del Lyceum. Mathias il
borgomastro divenne il suo cavallo di battaglia che non mancò mai di accompagnarlo nei
suoi tour37. Irving era riuscito a riconosce nel testo delle qualità indiscutibili e a metterle a
frutto. La storia era sicuramente una di queste, con una valore per certi versi

35 E.TERRY, The story of my life, cit. p. 126.


36 Ivi p. 169.
37 Dal 25 novembre 1871 fino alla sua morte quasi trent’anni dopo, rimase nel suo repertorio,

accompagnandolo anche durante gli otto tour americani. Nella prima stagione fu replicato per 151 sere,
mentre in tutto Irving interpretò Mathias per circa ottocento volte. L’ultima volta fu nell’Ottobre del 1905,
due giorni prima della sua morte.

12
emblematico: il mondo perbenista e idilliaco di Mathias si reggeva sulla menzogna,
esattamente come accadeva alla finta perfezione della società vittoriana. Tutto il suo
successo era originato dall'omicidio di un ebreo che aveva permesso al borgomastro di
costruire la sua fortuna. Rimorso, tormento ed espiazione coloravano il melodramma che
nella sua stessa struttura accoglieva spazi giusti per sviluppare il personalissimo modo di
fare teatro di Irving. Con The Bells si apre un nuovo capitolo del suo percorso artistico,
nel quale gli elementi di discontinuità rispetto alla tradizione superano i debiti col passato.

5.1 Incipit
Il passaggio dalla realtà alla finzione è uno dei punti fondamentali non solo della
poetica irvinghiana ma del «Teatro delle illusioni» in genere. Presuppone uno strappo
indiscutibilmente legato a un cambiamento forte di clima. È una condizione
fondamentale che accomuna tutti i processi artistici. Calvino con parole semplici ma
incisive lo descriveva in una delle sue Lezioni Americane:

Il punto di partenza delle mie conferenze sarà dunque questo momento decisivo per lo scrittore: il
distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che
potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole. Fino al momento precedente a quello in cui
cominciamo a scrivere abbiamo a nostra disposizione il mondo[…] L’inizio è anche l’ingresso in un mondo
completamente diverso38.

Quello che è valido per il mondo letterario lo è anche in questo caso per il testo
drammatico: Irving sapeva che nel passaggio dalle potenzialità illimitate a un mondo
definito era necessario accettare lo standard convenzionale e confinare sé stessi
all’essenziale. Il passo successivo è quello che varca la soglia, quello che ci porta
all’interno del mondo fittizio ricreato. Calvino continua descrivendo gli incipit. La sua
non è una lezione sullo strappo, ma sul momento che lo segue, su quella fase intermedia
nella quale chi fruisce l’opera d’arte è a metà tra il suo mondo e il mondo dell’artista.
L’incipit che Irving preparò per sé stesso era qualcosa di straordinario, in grado di
conferire un valore ulteriore alla sua performance. Sfruttò tutto lo spazio concessogli dal
dramma per caricare la propria apparizione. Già prima che la sua figura si presentasse
sulla scena, si era aperto un canale comunicativo in grado di veicolare esattamente quello
che lui si apprestava a fare. Il suo ingresso sul palco, racconta Craig, era qualcosa di
davvero particolare, un’esperienza difficilmente restituibile per chi non l’ha provata. Lo
scroscio del battere delle mani era una forza così spontanea da diventare quasi una parte
del dramma. Per Craig proprio lo slancio sincero di quelle mani combatteva l’ipocrisia
della convenzione. Gli spettatori non stavano semplicemente applaudendo perché le
buone maniere così imponevano, ma agivano come una forza che rispondeva a un’altra
forza39. L’applauso era necessario allo spettatore per scaricarsi più che a Irving per
ricaricarsi. La preparazione all’ingresso era fondamentale. I primi quindici minuti
raccoglievano l’attenzione del pubblico, lo sollecitavano e lo preparavano. Un’atmosfera
di sospensione quasi soprannaturale si diffondeva lentamente nella platea. Non a caso il
dottor Evans, spettatore ed esperto del teatro irvinghiano, racconta:

The thing that frightened me most that evening happened before Irving had ever appeared… It will
remembered that early in the first act, before the haunted burgomaster has appeared, two villager cronies
are sitting by the fire in the inn-parlour gossiping about the snow storm, and the murder of twenty-five
years before, while Madame Mathias sits knitting. Suddenly a crash is heard from outside, and the
burgomaster’s wife hurries off to see what has happened. Presently she return to say that it had been
nothing worse than her stupid maid Sozel40.

38 I. CALVINO, Lezioni Americane, Mondadori, Milano 1993, p.137.


39 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 54.
40 D. MAYER, Henry Irving: The Actor and His World, Faber & Faber, London 1951, p. 79.

13
Irving preparava il suo ingresso, tenendo lo spettatore in uno stato di allerta. Qualcosa
stava per succedere e l’attesa era snervante. La rottura del bicchiere fuori scena
interrompeva anche il racconto dell’assassinio dell’Ebreo. Seguiva un momento di
distensione nel quale i presenti tornavano a sedere e si stringevano gli uni agli altri
concentrando l’azione sulla parte sinistra della scena. Alle loro spalle una grande finestra
lasciava intravedere la tormenta di neve. La parte destra del palco era quasi dimenticata,
solo i rintocchi dell’orologio per due volte catturavano lo spettatore.

The acting, after a gentle, leisurely start, imperceptibly gained in tempo and intensity as the wind, or a
sound of braking glass added tension to the measured tale of the Polish Jew, and the play moved forward
on an ever-increasing swell to the flinging open of the central door, the swirling snow outside, through
which a gaunt spectre seemed to enter, so that the women half-stepped back in fear, until that voice
reassured the in tones of “Do not be afraid, it is only I! Of course! It is Mathias, husband, father,
Burgomaster, loved and revered by us all, without whom Christmas would be unthinkable!” And the
Symphony descends to the warm tones of its opening in preparation for the themes of mystery and terror
which bring the first movement to its close41.

Mathias per un attimo passava davanti alla finestra, poi di colpo apriva la porta sulla
destra, quasi con una rapida panoramica a schiaffo. L’effetto sorpresa era fortissimo, e
l’ingresso sicuramente colpiva il pubblico. La tensione che si era accumulata scoppiava
nelle mani degli spettatori. La scena stessa sembrava allargarsi ora che i punti d’interesse
erano due: Mathias sulla destra e dalla parte opposta il primo gruppo di personaggi. Le
parole di conforto, rivolte alla moglie, rassicuravano anche lo spettatore che trovava una
dimensione meno opprimente. Il ritmo teso rallentava di nuovo per lasciare spazio a un
movimento più lento, sottolineato dallo spegnersi del Crescendo42 che aveva accolto la sua
entrata. Mathias si liberava del cappotto, scrollava la neve dalle spalle e si avvicinava a una
sedia, poco vicino alla porta, per togliersi gli stivali. Seguiamo Craig:

The process of getting rid of his coat, and brushing off the snow as he stand on the mat by the door
being over, he works his way down to a chair in the center (Irving was always in the center – he had no
inferiority complex), an there, taking off his boots, he begins to put on and buckle is shoes. ‘now you
might think that the act of taking off some boots could be done in one way only – but the way Irving did
it had never been though till he did it, and has never been done since. It was, in every gesture, every half
move, in the play of his shoulders, legs, head, and arms, mesmeric in the highest degree- slowly we were
drawn to watch every inch of his work as we are drawn to read and linger on every syllable of strangely
fine writer. While he is taking off the boots and pulling on the shoes the men at the table, who are
smoking and drinking lazily are telling in drawling tones that just before he came in they were saying that
they did not remember a night like this since what was called the Polish Jew’s winter43 .

In questo punto la memoria di Craig lo trae in inganno, mancando qualche passaggio.


Leggendo il testo manoscritto di The Bells 44 utilizzato da Irving, l’altalena delle emozioni
continua anche in questa fase di raccordo tra due momenti fondamentali: l’ingresso e i
primi sintomi del rimorso. In casa sono presenti Hans, guardia forestale e Padre Walter, il
parroco della città. Mathias, subito dopo essersi scrollato la neve di dosso, racconta di
aver visto lo spettacolo di un mesmerista. Qui gli appunti di Irving segnano un’altra
piccola pausa, con l’attore immobile a centro scena e lo sguardo che vaga lontano fuori
dalla finestra. C’è una sospensione leggera dell’azione, sciolta da Hans che ricorda di aver
visto anch’egli uno spettacolo simile a Saverne. Hans racconta di come il mesmerista
fosse stato capace di far cadere alcuni volontari in una specie di sonno profondo durante

41 D. MAYER, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. XIII.
42 Ivi p. 118.
43 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 58.
44 Cfr. D. MAYER, Henry Irving and The Bells: Irving's Personal Script of the Play, cit.

14
il quale i poveri malcapitati avevano confessato ad alta voce tutti i loro peccati. La guardia
forestale continua, definendo l’esperto occultista come in grado di controllare la
coscienza sporca dei colpevoli. È a questa parola, Coscienza, che Mathias sembra come
pietrificato:

By the time the speaker had got this slowly out – and it was dragged purposely- Irving was buckling his
second shoe, seated, leaning over it with his two long hands stretched down over the buckles. We suddenly
saw these fingers stop their work; the crown of the head suddenly seemed to glitter and become frozen-
and then, at the pace of the slowest and most terrified snail, the two hands, still motionless and dead, were
seen to be coming up the side of the leg45 .

Irving si trova piegato nel gesto di slacciarsi gli stivali. Le spalle incassate, la testa di
semi-profilo e una certa immobilità della persona spostano l’attenzione sulle sue dita
frenetiche occupate nello slacciare le fibbie. L’azione rallenta, quasi s’immobilizza. Il
corpo è quasi completamente congelato con le mani che salgono lentamente lungo la
gamba. È un attimo di esitazione davanti al ricordo. Il dottor Evans che ebbe modo di
vedere lo spettacolo quasi negli stessi anni di Craig racconta:

He did freeze. But the hands crept up. He was buckling his right shoes and paused. And in that pause
Irving used his face. You saw his face registering stark terror, anticipating his words of agreement and with
that thought his body slumped. Then a brief start and he resumed his normal cheerfulness. But there was
no rushing. He took time over it46.

Mathias rimane bloccato solo per un istante, poi si riscuote cercando con gli occhi di
capire se gli altri hanno visto il suo attimo di esitazione. L’azione riprende il suo corso,
stemperando l’atmosfera in un quadretto familiare. Il borgomastro ha portato un regalo
alla figlia Annette e la gioia di mostrarglielo riesce a tenerlo per qualche istante lontano
dai ricordi che lo affliggono. Tutta la scena è sottolineata da un leggero Andante 47 che
stempera la tensione precedente. Solo quando si appresta a consumare la cena e salutare i
due ospiti che stanno per abbandonare la sua abitazione, Mathias crolla. I due fanno
partecipe anche il padrone di casa dei discorsi di poc'anzi, ricordando di nuovo come la
tormenta attuale fosse così vicina a quella di venticinque anni prima. Quel periodo era
stato ribattezzato “L’ Inverno dell’Ebreo”, in ricordo dell’omicidio. Mathias è scosso, ma
si rifugia in un’altra azione. Si versa del vino e si concentra su piccoli pezzi di tappo che
galleggiano nel suo bicchiere. Il movimento è sottile: Irving raccoglieva il sughero con il
mignolo per poi asciugarsi sui vestiti. L’attenzione degli spettatori era calamitata dai gesti
che richiedevano estrema precisione. Craig racconta di come il tempo quasi si fermasse
poco prima delle parole di Irving:

The whole torso of a man, also seeming frozen, was gradually and by an almost perceptible movement,
seen to be drawing up and back, as it would straighten a little, and to lean a little against the chair on which
he was seated. Once in that position – motionless- eyes fixed ahead of him and fixed on us all- there he sat
for the space of ten to twelve seconds, which, I can assure, seemed to us all like a lifetime and then he said
– and said in a voice deep and overwhelmingly beautiful: “oh, you were talking of that –were you?” and as
the last syllable was uttered, there came from afar off the regular throbbing sound of sledge-bells. There
he sat looking at us, and there sat the others, smoking and musing and comfortably motionless, except for
the smoke from their pipes –and on and on went the sound of these bells, on and on and on- nothing else.
Again I assure you, that time seemed out of joint, and moved as it moves to us who suffer, when we wish
it would move on and it does not stir48.

45 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 58.


46 Ibidem.
47 D. MAYER, Henry Irving and The Bells: Irving's Personal Script of the Play, cit. p. 119.
48 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 58.

15
Dal nulla improvvisamente le campane di una slitta invadono il palco. È Mathias che
in preda al terrore ha le allucinazioni: crede di sentire le stesse campane della notte
dell'omicidio. Il ritmo pressante e veloce bilanciava l’estrema immobilità che Irving,
invece, offriva agli occhi del pubblico:

He moves his head slowly from us – the eyes still somehow with us- and moves it to the right –taking
as long as a long journey to discover the truth takes. He looks to the face to the right – nothing. Slowly the
head revolves back again, down, and along the tunnels of thought and sorrow, and at the end the face and
eyes are bent upon those to the left of him…utter stillness…nothing there either –everyone is concerned
with his or her little doings- smoking or knitting or unravelling wool or scraping down over everything, and
on and on go these bells. Puzzled, motionless… he glides up to a standing position: never has anyone seen
another rising figure which slid slowly up like that. With one arm slightly raised with sensitive hand
speaking of far-off apprehended sounds, he asks, in the voice of some woman who is frightened, yet does
not wish to frighten those with her: “Don’t you…don’t you hear the sound of sledge-bells?” pipes his
companion; “Sledge-bells?” say the wife – all of them seemingly too sleepy and comfortable to apprehend
anything…see anything…or understand…and, as they grumble a negative, suddenly he staggers and
shivers from his toes to his neck; his jaws begin to chatter; the hair on his forehead falling over, writhes as
though it were a nest of little snakes. Everyone is on his feet at once to help: “Caught a chill”… “Let’s get
him to bed”… and one of the moments of the immense and touching dance closes49.

Ancora una volta l’azione concentrata e rallentata di Irving sgancia il tempo dalla sua
sede naturale trasportando lo spettatore in una dimensione diversa da quella reale. È puro
«Teatro delle illusioni». Il movimento riparte pesante con l’agitazione dei presenti che si
accorgono del momento di difficoltà del borgomastro, imputandolo a una febbre
improvvisa. Irving lascia la sedia per spostarsi verso destra, gli ospiti lasciano la casa
uscendo a sinistra. L’atto si chiude con un finale fulmineo. Mathias è perseguitato dal
suono delle campane cui si aggiunge un Andante Mysterioso50 che accelera il ritmo. Irving
con gesti frenetici attraversa tutto il palco per poi precipitarsi alla finestra. La strada vuota
gli conferma l’irrealtà del suono delle campane. Si getta sulla sedia, piega il capo nelle
braccia e alle sue spalle il quadro della Visione dell’assassinio prende il posto del realistico
ambiente della casa del borgomastro. Irving con uno scatto è in piedi al centro del palco.
Il sipario chiude sul confronto tra la figura tormentata di Mathias e la terribile visione che
occupa l’intera scena.
Da questo lungo excursus sul primo atto è facile dedurre come Irving fosse attento a
illuminare e sottolineare alcuni passaggi del testo. The Bells originariamente era conosciuto
come Le Juif Polonais, un melodramma francese rappresentato per la prima volta al teatro
Cluny di Parigi. Irving scelse di utilizzare la traduzione del giornalista Leopold David
Lewis che non costituiva la prima versione inglese, ma era sicuramente il lavoro più
moderno. Era stato lo stesso Lewis a sottoporre il testo ad Irving che lo aiutò nello
sviluppo degli spazi e dei tempi che avrebbero accolto la sua performance. È interessante
notare come quella caratteristica danza degli opposti che costituisce una parte
fondamentale dell’attore vittoriano sia poi trasposta in modo concreto e visibile
nell’intera partitura del dramma. Irving basa la sua produzione su una forte alternanza tra
momenti distensivi e veloci e momenti nei quali l’azione sembra immobile e calamitata
sulla sua persona. L’attore vittoriano è il primo a riutilizzare e combinare in senso
moderno i Points51. La descrizione che ne fa Craig dimostra proprio come lo stile
irvinghiano nella sua originalità mettesse a frutto una tecnica, consolidatasi nella recita
declamatoria e trasportata nel Romanticismo. Il processo era costruito attraverso dei

49 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 60.


50 D. MAYER, Henry Irving and The Bells: Irving's Personal Script of the Play, cit. p. 119.
51 I Points sono una tecnica utilizzata dagli attori settecenteschi che permetteva di sintetizzare un'intera

scena attraverso dei passaggi fortemente retorici. L'estraneità rispetto al contesto drammatico ne fece
decadere l'utilizzo nel Romanticismo.

16
momenti, figura per figura, creando una sorta di sequenze di punti di “passione” ognuno
dei quali era sottolineato da uno scroscio di applausi. Sono due gli elementi che
costituiscono la firma di Irving: il primo è il carattere ritmico della sequenza di punti, il
secondo è l’accento sulla fisicità dei punti stessi52. Irving recuperò i Points sciogliendoli dal
loro valore esclusivamente retorico. Come sospensione dell’azione drammatica, non
potevano sopravvivere nel «Teatro delle illusioni», ma dovevano essere reinseriti nel
contesto drammatico. Di fatti, i freeze ricordati da Craig e da altri testimoni non
sospendono il corso dello spettacolo, ma rispondono anche e soprattutto a esigenze
puramente drammatiche. Irving sospende e ferma l’azione per permettere allo spettatore
di capire e concentrarsi su un passaggio, ma quella stessa sospensione ha un valore anche
nella realtà fittizia dello spettacolo. Forma e contenuto non si respingono, ma si
completano. Irving vide nei Points un sistema per sviluppare il personaggio e dargli vita
senza distruggere il corso naturale del dramma. Tutto lo spettacolo si reggeva su un
effetto a “elastico” che catturava e imbrigliava lo spettatore, a cui si aggiungeva
un'enorme capacità di sintesi. Semplicità e ritmo erano alla base non solo del suo teatro
ma anche del suo lavoro d'attore.

5.2 Villains
The Bells, col suo strabiliante successo, rimase un fenomeno intrinsecamente legato al
Lyceum. Molti tentarono di replicarne i dettagli, le impostazioni di scena e lo stile
recitativo, ma i risultati non furono gli stessi. Già il 4 Marzo del 1872, una nuova versione
a opera di Reding Wares con il titolo The Polish Jew o The sledge Bells debuttò al Gracian
Theatre. Il diciotto dello stesso mese la versione di Emery, The Polish Jew, fu rappresentata
al Royal Theatre di Bradford, e nel 1883 il melodramma venne travestito da burlesque e
portato in tournée dal Theatre Royal di Norwich,proprio in contemporanea con la
tounée provinciale di Irving che si trovò a dover fronteggiare la concorrenza di un
surrogato del suo successo. Questi sono solo una piccola ma significativa parte dei
tentativi d’imitazione che si susseguirono con Irving ancora in sella al Lyceum. Dopo la
sua morte molti riproposero lo spettacolo cercando di assumere, spesso con maldestri
risultati, la sua pesante eredità.
Un interesse particolare, però, ha l’interpretazione di Benoit-Constant Coquelin.
Attore francese, educato al Conservatoire de Paris e allievo del simbolista Henri de
Régnier, Coquelin rappresentava un modo diametralmente opposto di intendere la
recitazione e il personaggio di Mathias. Una recensione dello spettacolo del 1887, apparsa
non firmata su «The Daily Telegraph» ci aiuta a fare il punto:

In considering the performance by M. Coquelin of Mathias in Le Juif Polonais we must never forget
that he is not playing the weird and romantic drama The Bells, as Mr. Irving has made understand it, but is
following in the footstep of M. Talien [...] The English actor used the story to show us how an evil
conscience can unnerve and fret a man; the French actor insists that by an unimaginative mind and
unsensitive nature the twinges of uncomfortable recollection can be comparatively ignored. According to
Mr. Coquelin’s idea the entrance of Mathis should be undemonstrative and ineffective. It is only an old
fellow coming home from a fair in Alsatia53.

La differenza tra l’inglese Mathias e il francese Mathis non poteva essere più marcata.
Entrambi gli attori rappresentano l’apice del proprio modo di fare teatro, entrambi hanno
un mestiere alle spalle che è sinonimo di competenza e completa conoscenza dello stesso.
Eppure i due volti sono diversi e lo è anche l’idea di fondo che sorregge lo spettacolo. La
figura dell’uomo tormentato dai suoi peccati, il rimorso e la memoria erano il terreno su
cui si basava lo scontro. Change Newton spiega così la differenza:

52 G.TAYLOR, Players and performances in the victorian theatre, cit. p. 156.


53 D. MAYER, Henry Irving and The Bells: Irving's Personal Script of the Play, cit. p. 106.

17
No two performances could be so opposed to each other as Coquelin’s and Irving’s. Irving gave a
romanticised and inescapably magnetic performance that haunted one for many a day and night after
seeing him. Coquelin made this inn keeping murder a bullet-head bully of the most matter-of-fact criminal
description. The Irving ‘Mathias’ was in continual terror at the idea of detection, whereas Coquelin gloried
in his gory crime and laughed and chuckled over it54.

Coquelin aveva studiato la parte in modo tale da restituire l’apparenza del


personaggio, i suoi tratti esteriori. Irving invece era focalizzato sulle sue passioni.
Coquelin aveva un approccio quasi sociologico, fissato sul tipo, mentre l’attore inglese era
concentrato sull’aspetto psicologico della vicenda. Per quest’ultimo era importante
sviluppare il proprio personaggio come una rappresentazione caratteristica e singolare di
un individuo. Chance Newton continua:

Irving and I talked to Coquelin about this strange disparity of view concerning the homicidal licensed
victualler. Coquelin, admitting that Irving’s was a very great, penetrating performance, asserted roundly
that nevertheless it was totally unlike the French murderer, that he represented. Coquelin added ‘I play
Mathias as I know such murderers to be in parts of my country; Irving’s is a great assumption, but not a
bit like the real thing55 .

Al campione del realismo inglese era contestata proprio l’aderenza al reale. È


interessante notare come per Coquelin questo si esprimesse quasi in termini statistici,
vista «la sua somiglianza con gran parte degli assassini che si trovano nella mia nazione».
Era impossibile per l’attore francese essere realistici senza un’analisi quasi scientifica della
media dei criminali. Il difetto maggiore per Coquelin era proprio la ricerca
dell’individualità quasi esasperata, tanto da diventare bizzarria. I tipi ideali garantivano,
invece, una sorta di margine d’accuratezza nella restituzione delle probabilità. La forza e il
magnetismo, esercitati sul pubblico vittoriano, nascevano proprio dall’estrema
particolarità del Mathias irvinghiano. Era un esempio, un simbolo quasi, e non una
descrizione tipica. L’immedesimazione e l’effetto quasi catartico del dramma erano
favoriti da alcune caratteristiche del borgomastro che lo avvicinavano al pubblico.
Mathias era un protagonista atipico, una sorta d’incarnazione delle paure del pubblico
vittoriano: la sua vita alla luce del sole è splendida, semplicemente senza macchia e degna
di lode, ma nel suo intimo si cela una colpa segreta, un rimorso per il crimine che lo
distrugge. Mathias non è una silhouette di un generico criminale, ma la rappresentazione
inconscia della maschera di perbenismo che il vittoriano sentiva di portare. È il rapporto
intimo con sé stessi che si vedeva rappresentato sulla scena. Il teatro dava allo spettatore
la possibilità di condividere un’esperienza incondivisibile e di espiare la propria colpa56 in
un processo e una morte fittizia. Non a caso nel repertorio di Irving seguiranno altri due
drammi che completeranno idealmente una trilogia del rimorso. Eugene Aram e The Iron
Chest s’inseriscono in questo filone, anche se non raggiungeranno lo stesso successo di
The Bells.
Le differenze sull’interpretazione del testo si estesero presto anche a differenze
palesemente riscontrabili nella recitazione vera e propria. I due attori differivano e
Coquelin ci tenne a spiegarlo sulle pagine dell’«Harper New Monthly Magazine», quasi
due anni dopo. Con l’articolo Acting and Actors, l’attore francese dava un sunto della sua
idea di recitazione, esprimendo riserbo su alcune caratteristiche proprie di Irving:

54 G.TAYLOR, Players and performances in the victorian theatre, cit. 154.


55 Ibidem.
56 Non a caso nel 1843 Charles Dickens pubblica A Chrismast Carol, un testo che mette in luce in modo

semplice ma efficace le paure e contraddizioni che l’epoca vittoriana portava con se . Ebenezer Scrooge è il
modello del borghese arricchito tormentato dai suoi fantasmi. Quasi quarant’anni dopo Irving porterà in
scena una figura che condivide le stesse premesse ma si presenta con un voltò sicuramente più terribile.

18
But Irving who has also made a name for himself in this role –Irving who is a kind of methodotical
Mounet, setting great store by the exterior of his parts- Irving cannot avoid seeking the picturesque even in
his slightest movement. If he wishes to touch his chin, he raises his arm and encircles it, his hand makes
the tour of his head, striking the audience as it does so with a sense of its leanness, and never seizes the
point of his beard till after it has described a complete circle57.

Se questa descrizione sembra l’ennesimo e, per certi versi, innocuo attacco al suo
senso estetico eccessivamente pittoresco, il contesto nel quale è inserito ha un respiro più
ampio. Coquelin continua:

The love of dramatic effect, and a very praiseworthy dislike of the hackneyed and commonplace, often
induce very intelligent actors to err on this side. They choose first the aspects which they suppose to be
characteristic of the person they can represent; then they allow themselves to be tempted by others which
are purely picturesque, without considering, or perhaps without caring, if they belong really to the part;
and the end is a caricature not a portrait; a monster or a puppet, never a human being58 .

L’accusa precedentemente mossa a Irving di scarso realismo diventa un vizio grave.


Secondo l’attore francese, Irving, come in generale gli attori che tendono al pittoresco, si
lascia prendere troppo la mano diventando quasi una caricatura di sé stesso. L’effettaccio,
il coup de théâtre, è quello che trascina la folla a discapito di un ritratto fedele e corretto.
Coquelin mette in discussione addirittura la buona fede dell’attore inglese che viene
accusato di utilizzare mezzucci per ottenere risultati facili.
L’attacco di Coquelin non poteva rimanere ovviamente senza una risposta, tanto più
che il suo obiettivo era di mostrare come la sua scuola d’impostazione didertottiana fosse
superiore a un fare che prendeva spunto da Kean e dalla scuola romantica in genere.
Coquelin conclude con queste parole, quasi un consiglio per i giovani attori.

Study your part, make yourself one with the character, but in doing this never set aside your own
individuality. Keep the control of yourself. Whether your second self weeps or laughs, whether you
become frenzied to madness or suffer the pains of death, it must always be under the watchful eye of your
even-impassive first self , and within certain fixed and prescribed bounds. [...] The actor ought never to let
his part “run away” with him. It his false and ridiculous to think that is a proof of the highest art for the
actor to forget that he is before the public.[...]Art is, I repeat, not identification but representation59.

L’articolo di Coquelin non rimase inascoltato. Era inevitabile che, trattando una
questione così delicata, le riposte non tardassero ad arrivare. Il paradosso diderottiano,
l’attore caldo contro l’attore freddo, era ed è una questione tuttora irrisolta. Non è
possibile mettere un punto fermo sulla scelta tra identificazione e rappresentazione,
ammesso che questi due aspetti dell’arte siano in diretta antitesi. Il presupposto è che lo
stesso corpo non possa esprimere e sopportare entrambe. Personalità dello spettacolo,
artisti come lo scrittore Dion Boucicault e il nostro grand’attore Tommaso Salvini, non si
lasciarono scappare l’occasione per mettere a nudo i propri principi sull’arte. Boucicault
si concentrò sulla differenza intrinseca tra dramma comico e tragedia che secondo il suo
modo di vedere portava a due tipi di recitazione diversi60. Salvini, invece, senza rinnegare
la passione come motore del grand’attore, la simpatia necessaria a sentire un rapporto di
comunanza col proprio personaggio, arriva in ultimo a questa conclusione:

57 B. C. COQUELIN, Acting and actors, in «Harper’s Magazine», Hodge, New York, Maggio 188, p. 894.
58 Ibidem.
59 Ivi p. 904.
60 D. BOUCICAULT, Coquelin- Irving in «The North American Review», Cedar Falls, n. 145 1887, p. 158-161.

19
While I am acting I am living a dual life, crying or laughing on the one hand, and simultaneously so
dissecting my tears and laughter that they may appeal most forcibly to those whose hearts I wish to reach.
And what is my experience has been the experience of all the greatest artists I have known61 .

La posizione di Irving non si discosta da quella dei due attori, ma aggiunge qualcosa
che manca, un particolare che contribuì alla crescita dei suoi personaggi. Dalle pagine
della «North American Review», Irving mette da subito le cose in chiaro. Il saggio che si
appresta a scrivere non è rivolto a un pubblico di lettori generico, ma è un documento di
servizio per addetti ai lavori. Ogni sua parola presuppone una conoscenza della scena.
Prosegue chiarendo due punti fondamentali. Il primo è che il lavoro sul personaggio
presuppone una certa onestà artistica. Infatti, nel suo sviluppo e nella creazione dei
dettagli che lo costituiscono non deve essere inserito alcun elemento utile esclusivamente
al raggiungimento di un effetto scenico. È una legge sulla quale Irving non transige,
confutando l’affermazione sull’eccessivo e superfluo pittoresco che Coquelin gli
rimprovera. L’attore inglese aveva avuto già modo altrove di condannare l’uso troppo
libero che si fa del termine «Picturesque» che per lui ha invece un significato molto
preciso: è l’equivalente di una selezione armonica dei dettagli per un’illustrazione che
tende al bello62. Ogni gesto, ogni particolare aggiunto nel complesso processo di
sviluppo del personaggio è essenziale e deliberatamente scelto dall’attore.
Proprio il libero arbitrio porta al secondo punto di premessa. Coquelin sembra
dimenticare che difficilmente due attori con un reale talento sviluppano le proprie
creazioni nello stesso modo. La scelta è tra «think for himself or imitate someone else »63 .
È un passo fondamentale per la creazione originale. L’imitazione ben presto diventa
fuorviante perché porta l’attore a “insegnarsi” un percorso che non si stacca mai da
quello già tracciato dalla tradizione; diventa costante reinterpretazione a discapito dello
“sguardo” che l’attore stesso può avere nei confronti del dramma. Irving qui è un passo
avanti rispetto alla sua generazione, vedendo nell’attore un creatore e non un esecutore.
Per l’attore inglese le forze individuali, le proprie capacità sceniche devono trovare un
canale d’espressione adatto al performer e non al tipo teatro. In sostanza si tratta di
riportare il teatro a misura d’uomo, anche se questo significa eliminare convenzioni
secolari. Irving sembra essere sulle stesse posizioni di Salvini e Coquelin quando afferma:

It is quite possible to feel all the excitement of the situation and yet be perfectly self-possessed. This is
art which the actor who loses his head has not mastered. It is necessary to this art that the mind should
have, as it were, a double consciousness, in which all the emotions proper to the occasion may have full
sway, while the actor is all the time on the alert for every detail of his method64.

Non dobbiamo farci ingannare dalle possibili assonanze con termini che rimandano
alla psicologia moderna. Irving nella doppia coscienza esprime una prassi esecutiva.
L’attore deve essere vigile sulla scena, in uno stato di allerta. In questo modo è in grado
di gestire tecnicamente il gesto e la sotto-paritura del gesto. Può controllare l’obiettivo e il
risultato della sua azione e nello stesso tempo l’impulso e la giustificazione che ne sono
alla base. Lo sdoppiamento dell’attore può sembrare paradossale, anche se, in realtà,
costituisce proprio il presupposto dell’arte scenica. Ogni performer deve essere in grado
di controllare i due piani che costituiscono la sua arte. Il suo corpo è sdoppiato in
risultato ed esecutore. Oggetto e creatore, nell’attore, condividono gli stessi spazi.
È una posizione, quindi, non certo originale che assume però un carattere particolare
quando Irving discute del valore della personalità. Il nucleo della discussione è proprio
racchiuso in questo termine, che dà la misura dell’apporto personale nella creazione del

61 T. SALVINI, Some views on Acting, in «The Century 41», n.2 December 1890, p. 196.
62 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 73.
63 H. IRVING, M. Coquelin on acting, in «The Nineteenth Century», Trench and Co, n.21 1887, p. 187.
64 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 33.

20
personaggio. L’attore inglese non è in grado di affidarsi a schemi produttivi tradizionali,
abdicando al proprio diritto di scelta. Irving vuole essere un creatore e sceglie una via di
mezzo nella quale tecnica e apporto soggettivo si bilanciano:

But the actor who combines the electric force of a strong personality with a mastery of the resources
of his art must have greater power over his audiences than the passionless actor who gives a most artistic
simulation of the emotions he never experiences 65.

Nel complesso la tecnica e l’effetto non portano a dei risultati, se non sono gestiti
dall’attore. Irving spiega:

It matters little whether the player shed tears or not, so long as he can make his audience shed them;
but if tears can be summoned at his will and subject to his control, it is true art to utilise such a power, and
happy is the actor whose sensibility has at once so great a delicacy and discipline66.

Il paradosso si scioglie per Irving non appena si considera un elemento costitutivo del
teatro, e dell’arte in genere:

How can anyone be temperate in the midst of his passion, lest it be that his consciousness and his
purpose remain to him? Let me say that is this very discretion which marks the ultimate boundary of an
Art, which stands within the line of demarcation between Art and Nature. In Nature there is no such
discretion. Passion rules supreme and alone; [...] it must never be forgotten that all Art has the aim or
object of seeming and not of being; and that to understand is as bad as overstate the modesty or the
efflorescence of nature. [...] the artist has to accept the conventional standard [...] of many things and
confine himself to the exposition of that which is his immediate purpose. To produce the effect of reality
it is necessary, therefore, that the efforts of an artist should be slightly different from the actions of real
life. The perspective of the stage is not that of real life, and the result of seeming is achieved by means
which, judged by themselves would to be indirect 67.

Il realismo irvinghiano è un realismo maturo che tiene conto del passaggio dalla vita
alla scena. Le proporzioni nella trasformazione devono rimanere invariate, ma sono i
termini dell’equazione che devono entrare in rapporto con la nuova situazione. È
impossibile tradurre esattamente, copia carbone, la vita sul palco e qualora ci si riuscisse
diventerebbe un’azione inutile. Il teatro ha come fondamento, per Irving, l’espressione sia
essa di una personalità o di un messaggio che viene veicolato attraverso l’effetto di realtà
e non la riproduzione della stessa.

6 L’ingresso di Ellen Terry


Nel 1878 Irving diventa unico proprietario del Lyceum in seguito ad uno spiacevole
evento con profonde radici nel passato. Henry aveva smesso di vivere con la moglie dalla
sera della prima di The Bells. Il giorno della sua consacrazione coincideva con quello della
sua sconfitta sul piano familiare. All’uscita del teatro Florence si era lasciata andare
chiedendo al marito «Are you going on making a fool of yourself like this all your life?».
Irving non rispose, ma, aperta la portiera del calesse, scese e lasciò che la moglie
continuasse il viaggio da sola. Quella fu l’ultima volta che due s'incontrarono, separando
le loro vite per sempre nonostante continuassero a essere legalmente marito e moglie.
Da quel giorno la giovane Isabel Bateman aveva covato in segreto speranze di poter
avere Irving per sé. L’attesa divenne per la ragazza estenuante e la costrinse a dichiararsi
all’attore, sperando di essere ricambiata. Ovviamente non poteva immaginare che questo

65 H. IRVING, M. Coquelin on acting cit. p. 801.


66 Ibidem.
67 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 80.

21
avrebbe destabilizzato gli equilibri della compagnia teatrale e messo in pericolo il suo
onore agli occhi della bigotta società vittoriana. Alla signora Bateman, che dopo la morte
del marito amministrava sia il teatro che le questioni familiari, toccò proteggere i suoi
interessi e quelli della figlia68. Lasciò il Lyceum nelle mani di Henry e prese in gestione un
altro teatro londinese. Henry perse la sua prima attrice e la complicità di una compagnia
che aveva imparato a conoscere negli anni. D’altro canto si trovò tra le mani un teatro
con un pubblico di fedelissimi e notevoli possibilità economiche.
Iniziò da subito a ricostruire la compagnia, cercando di riempire con elementi di
qualità i posti rimasti vacanti. Il caso mise sulla sua strada Ellen Terry che gli fu
presentata da un’amica comune, Lady Pollock69 . La signora era rimasta molto
impressionata dall'Olivia della Terry, come del resto l’intera Londra, e non poteva
esimersi dal promuoverla come degna sostituta della Bateman nel ruolo di prima attrice.
Irving contattò la Terry che fu entusiasta di lavorare per lui. Negli anni aveva imparato ad
apprezzare le realizzazioni irvinghiane e voleva far parte di quel magico mistero che si
percepiva in platea. Per lei Irving era il sinonimo del genio creativo congiunto a una
perfetta conoscenza del mestiere. Il loro rapporto già dalle prime battute si aprì
all’insegna della fiducia. Ellen da subito si lasciò guidare, ma nello stesso tempo riuscì a
inspirare vie nuove a Irving. La loro alchimia divenne qualcosa di particolare e distante
dalle altre coppie sceniche70.
Ellen Terry divenne presto una delle figure dominanti del Lyceum. Non incarnava
certamente l’ideale dell’attrice vittoriana, ma i suoi lineamenti irregolari, quasi male
assortiti, ne costituivano la bellezza. Il suo fisico mascolinamente longilineo si
trasformava sul palco in grazia e fascino. La sua voce era leggera e pungente, ma ogni
sospiro raggiungeva il fondo della platea. I suoi occhi brillanti ed espressivi divennero
armi capaci di trafiggere con troppa facilità il cuore degli uomini. Il suo ingresso nella
squadra di Irving portò a dei cambiamenti indiscutibili, superando le caratteristiche di un
semplice parteneraggio71 . Il suo apporto artistico e organizzativo è comunque non
quantificabile. Molte sono le testimonianze che la vogliono come una parte attiva nelle
creazioni irvinghiane. Craig precisò che:

She no more helped make Irving the actor he became in 1871 than Josephine helped Napoleon to be
Bonaparte. Neither did she invented a production for or with him. [...] “Without Ellen Terry, no Irving
possible” is a foolish in implication as to say that without Irving, Ellen Terry would never have been the
actress she was. It was a splendid partnership in the sense that she was herself and he himself72 .

L’intuizione di Craig non poteva essere più giusta. Il lavoro di Ellen Terry con Henry
Irving era fondamentalmente basato sulla conservazione delle proprie caratteristiche. È il
valore della collaborazione come sinergia d’individualità e non come appiattimento su
una base comune. Ellen rappresentò un’ulteriore difficoltà per Irving sulla quale costruire
la propria parte.

Irving in generale sembrava lasciare molta libertà alle donne sul palco evitando di
orientarle. È la stessa Terry che ricorda:

68 La carriera della giovane si concluse presto, preferendo al palco la vita monacale.


69 E. TERRY, The Story of My Life, cit. p. 147.
70 Qualcuno ha voluto insinuare che il rapporto tra i due fosse di ben altra natura e che si estendesse fuori

dalle scene. Irving distrusse completamente il suo carteggio personale con Ellen Terry e questo ha dato
adito a sospetti e speculazioni. D'altronde, vista la natura fantastica dei  pettegolezzi e il genere di fantasie
fantasmagoriche create da alcune menti creative, la stessa sopravvivenza delle lettere non avrebbe garantito
una maggiore chiarezza,anzi probabilmente sarebbe stata un'ulteriore elemento sul quale costruire
affascinanti teorie amorose.
71 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. 316.
72 E. G. CAIG, Henry Irving cit. pp. 125-126.

22
Henry Irving never spent much time on the women in the company, except in regard to position.
Sometimes he would ask me to suggest things to them, to do for them what he did for the men. The men
were as much like he when they tried to carry out his instructions as brass is like gold; but he never grew
weary of “coaching" them, down to the most minute detail73 .

Madeleine Bingham legge questa mancanza d’indicazioni in modo abbastanza


superficiale. Per la studiosa inglese, le donne nelle produzioni irvinghiane avrebbero
avuto una funzione di mero abbellimento, quasi fiori ornamentali utili a completare
l’effetto decorativo complessivo74 . È una giudizio abbastanza discutibile. Irving non si
disinteressava completamente del lavoro svolto dalle donne che venivano comunque
istruite sulle posizioni e sui movimenti da effettuare sul palco per garantirne la
coordinazione. La pretesa di un’estrema libertà nelle performance femminili entra in
disaccordo con quanto sappiamo sull’ordine dispotico della “regia” irvinghiana. Irving
evitava esclusivamente di “suggerire” i dettagli utili a riempire la performance, lasciando
alle attrici il peso creativo della parte. La mancanza di una vera e propria direzione è
imputabile più che a un disinteresse artistico a un rapporto diverso che intercorreva con
le parti femminili. Se da una parte i drammi messi in scena avevano parti poco
caratterizzate per le donne, dall’altra Irving utilizzò queste stesse come una sorta di
resistenza al flusso della sua recitazione. L’esempio più lampante è proprio Ellen Terry,
che rappresentò per lui una sorta di diversità con la quale rapportarsi.
Ellen proveniva da un ambiente e da una formazione profondamente diversi da quelli
di Irving. Era nata da una famiglia d’arte, una vera e propria stock company 75 che lavorò
spesso al servizio di Charles Kean e dei Bancrofts. La sorella maggiore, Kate, era un astro
nascente della scena inglese, già molto popolare, quando Ellen muoveva i primi passi nei
teatri. La sua formazione la portò a sviluppare delle caratteristiche particolari che la
distinguevano dal self-made man Irving. Ellen si vantò sempre di essere un’attrice utile, e
proprio come tale era essenzialmente preziosa a Irving76 . Il suo ingresso al Lyceum
coincise con una sorta di trasformazione delle produzioni irvinghiane: ogni suo
personaggio era naturale, ma soprattutto aveva un ritmo diverso, quasi comico, che
evitava ogni pericolo d’affettazione e retorica. Nelle sue prime incarnazioni ricordò ad
alcuni Sarah Bernhardt per la sua capacità di identificarsi e quasi fondersi con il
personaggio e per l’estrema versatilità che le permetteva di passare dal tragico al comico
con grande facilità. Molto è stato scritto sulla presunta recitazione istintiva di Ellen Terry,
mito per certi versi sfatato dalla stessa attrice nella sua autobiografia77. Le sue
performance facevano largo uso di elementi propri del mestiere e la naturalezza era un
effetto della sua enorme abilità nel nasconderli. È interessante lo spunto critico che Craig
rivela parlando della madre:

Inspiration is but a calculation made with rapidity. It is reported that Napoleon made the statement,
and the genius of Ellen Terry was always rapid and rich. Irving’s way was deliberated and nothing rash or
chance-like78.

Ellen Terry non recitava a braccio, la sua non era improvvisazione ma tecnica
decantata. I suoi gesti, il suo modo di occupare il palco scaturivano da un business che le
era entrato ormai sotto pelle. La differenza sostanziale la troviamo proprio nella tecnica
di costruzione del personaggio. Ellen Terry tendeva a fondere la propria personalità con

73 E. TERRY, The Story of my life, cit. p. 169.


74 M. BINGHAM, Henry Irving and the Victorian Theatre, George Allen Unwin, London 1978, p. 158.
75 Sono le compagnie provinciali, molto simili come struttura ed obiettivi alle nostre Compagnie dell’Arte.
76 E. TERRY, The Story of my life, cit. p. 41.
77 Ivi pp. 154-155.
78 W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, cit. p. 154.

23
quella di chi andava a interpretare, portandole quasi a coincidere. Craig afferma che la
Terry non recitò altro personaggio se non quello di sé stessa79. Il suo modo di recitare era
sincero poiché impegnava tutto di lei. È un principio che non escludeva il mestiere, ma lo
completava e lo riempiva. Piccoli gesti convenzionali la aiutavano a mantenersi nel
personaggio, che non era frutto di una selezione di caratteri operata a priori. La Terry
non sceglieva una linea interpretativa, ma viveva il personaggio.
Il metodo di Irving, invece, presupponeva la selezione come momento fondamentale
e primitivo. Irving costruiva la sua parte attorno alla propria personalità, che
rappresentava il canale primario attraverso il quale si sviluppava il personaggio. Era frutto
di natura più artificialità. Le convenzioni erano mantenute, così come il processo di
creazione che non snaturava però la sincerità del personaggio stesso. Gli impulsi che
costituivano la partitura di ogni gesto erano sinceri e motivati in modo coerente. È in
questo passaggio creativo ulteriore che si evidenziava lo scarto tra Ellen e Irving, è qui
che i due sviluppavano velocità diverse. Il suo passo era diverso da quello di Irving e i
due si rispondevano e completavano. Se Henry lasciava che tutto scorresse lentamente,
che l’immagine quasi procedesse a rallentatore, arrestandosi a momenti, fotogramma per
fotogramma, sostenendo e trattenendo le sue emozioni, la Terry, invece, era l’opposto. È
lei stessa a darcene un indizio:

It has never been in my power to sustain. In private life, I cannot sustain hatred or resentment. On the
stage, I can pass swiftly from one effect to another, but I cannot fix one, and dwell on it, with that superb
concentration which seems to me the special attribute of the tragic actress. To sustain, with me, is to lose
the impression that I have created, not to increase its intensity80 .

Come l’opera di un pittore impressionista, la sua immagine era fatta di veloci e


profonde pennellate che si opponevano all’immobilità irvinghiana. I due attori all’interno
dello stesso quadro si completavano, mettendo in equilibrio moto e stillness. Craig la
descrive così:

While Irving was so still – seldom moving- she was all movement. […]She was very rapid in her light,
long strides – large in her gesture- measured in her delivery- and impossible to follow in the variety of her
expression. […] She spread herself, and encompassed the stage, the stall, the pit, the gallery and somehow
the air […] at any moment did we expect her to overwhelm us with the thunders and lightings of rhetoric,
but always with largess81.

Non è un caso che l’occhio critico di uno dei più importanti registi del Novecento si
focalizzi sulla diversa qualità del movimento. Henry ed Ellen erano su due lunghezze
d’onda complementari: il primo faceva affidamento su una sorta di concentrazione della
recitazione, che tendeva a calamitare completamente l’attenzione dello spettatore, mentre
la Terry riempiva la scena. La mancanza di una direzione precisa durante le prove serviva
proprio a lasciare nella Terry quel ritmo diverso, evitando di uniformarlo al proprio. I due
lavoravano durante le prove per permettere ai due ritmi di entrare in sintonia. Irving si
creava dei punti fermi nelle improvvisazioni della Terry per poi lavorare alla sua parte,
partendo proprio dai cambi di velocità della sua partner. Non a caso delle piccole
variazioni potevano metterlo fuori strada, costringendo a rincorrere la Terry su nuovi
percorsi. Un episodio emblematico è riportato da Laurence Irving:

One night Ellen Terry came off the stage after a scene which she had ended with a burst of almost
hysterical laughter. Irving was waiting for her in the wings, 'evidently', she told her young friend, Graham
Robertson, much annoyed.

79 E. G. CRAIG, Ellen Terry and Her secret self, cit. p. 40.


80 W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, cit. p. 95.
81 E. G. CRAIG, Ellen Terry and Her secret self, cit. p. 165.

24
"Why did you alter the laugh?" he asked." It put me out altogether. I was waiting for you to finish."
"I laughed as usual," said Ellen Terry.
"No you didn't", said Irving, "You always say Ha-ha seventeen times. You only said it fourteen times
tonight”82 .

L’incidente, che possiamo definire domestico, ci apre a delle considerazioni non


trascurabili. La Terry era capace di crearsi un pattern specifico in un modo quasi
inconsapevole, che seguiva durante tutte le repliche. Ancor più interessante è l’abilità di
Irving di leggere e comprendere il pattern per costruire la tempistica della sua
performance. È in questo senso che va intesa la differenza tra velocità. Irving era
impegnato nel far collimare e armonizzare la propria perfomance con quella della Terry
che costituiva, invece, l’incognita dello spettacolo.

7 The Hidden dance


Ellen Terry non fu solo uno delle “resistenze” che Irving incontrò sul palco. L’altro
grande ostacolo con cui dovette confrontarsi fu William Shakespeare. Quando Irving
iniziò a ripensare le opere del poeta nazionale e non semplicemente a interpretarle, il suo
modo di recitare acquistò una profondità diversa. Il lavoro d'attore che aveva sviluppato
con The Bells dovette ridefinirsi in base a presupposti diversi. Craig spiega:

When it was Shakespeare he was dealing with, he had merely to wipe the beautiful glass window-panes.
His movements were al measured. He was forever counting - one, two, three - pause - one, two - a step,
another, a halt, a faintest turn, another step, a word. (Call it a beat, a foot, a step, all is one - I like to use the
word ‘step’. That constituted one of his dances. Or seated on a chair, at a table - raising a glass, drinking -
and then lowering his hand and glass - one, two, three, four - suspense - a slight step with his eyes - five -
then a pattern of steps - two slow syllables - another step - two more syllables - and a second passage in his
dance was done. And so right through the piece - whatever it might be - there was no chance movement;
he left no loose ends. All was sharp cut at beginning and end, and all joined by an immensely subtle rhythm
- the Shakespearean rhythm. [...] every sound, each movement, was intentional - clear-cut, measured dance:
nothing real - all massively artificial - yet all flashing with the light and the pulse of nature83.

È un brano fondamentale che riporta in vita elementi dei precedenti spettacoli e


aggiunge qualcosa. L'alternanza ritmica e soprattutto quella lineare semplicità sono
descritte con estrema chiarezza. L'elemento di novità è la necessità di doversi confrontare
col poeta nazionale. Shakesperare portò inevitabilmente con sé situazioni ritmiche che
non potevano essere direttamente controllate dall'attore. Il blank verse è già un metro
preciso che porta, alla fine di ogni piede, un accento. Dalle parole di Craig si comprende
come Irving avesse scelto di seguire il ritmo shakespeariano assecondandolo da vicino.
Ogni piede era sottolineato con scarti bruschi che ne determinavano i confini. La Risum
legge nella descrizione craighiana una perfetta assonanza con il modello dello jo-ha-kyu, il
principio giapponese della suddivisione dell’azione84 . Lo jo-ha-kyu taglia l’azione in tre
momenti definiti. Il primo “jo” è l’inizio, lo strappo, il secondo “ha” è un momento di
transizione mentre il terzo “kyu” è la conclusione del gesto stesso. La Risum continua
isolando due pezzi di danza nella testimonianza creighiana e facendoli reagire con la
suddivisione appena esposta. Se possiamo accettare l’idea di fondo, ossia lo jo-ha-kyu
come strutturazione e divisione dell’azione nella performance, è impossibile accettarlo
come fondamento ritmico dell’intera danza irvinghiana poiché non tiene conto del lavoro
di collimazione di due dimensioni diverse.
Irving aveva ritmo e doveva fare in modo che questo ritmo entrasse in sintonia con la

82 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. 530.
83 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. pp. 76-78.
84 J. RISUM, Irving’s poetic dance a slow exposure across the time in «Assaph», Tel Aviv University, n. 11 1994, p.

118.

25
danza del proprio corpo. È inutile cercare di seguire pedissequamente la descrizione
fattane da Craig come se fosse la partitura precisa di un’azione. È necessario partire a
monte, soffermandosi su una frase in particolare. Craig asserisce che Irving costruiva la
propria danza a partire da un ritmo definito, quasi matematico. Irving contava. La
partitura corporea era scandita come lo era anche a priori il verso shakespeariano che
portava un ritmo proprio e non manipolabile. Nel rapporto tra parola e corpo Irving si
esprime così:

I venture to emphasise them by two golden rules. Let the student remember, first, that every sentence
express a new thought, and therefore frequently demands a change of intonation, secondly, that the
thought precedes the word. “The actor should have the art of thinking before he speaks.” Of course there
are passages in which thought and language are borne along by the stream of emotion, and completely
intermingled. But accidental effects are obtained when the working of the mind is visible before the
tongue gives it words85.

Irving qui esprime uno snodo della sua poetica che è anche un’indicazione di metodo.
Due regole: la prima presuppone che a ogni espressione verbale corrisponde un pensiero,
mentre la seconda è che il pensiero precede l’espressione verbale. A queste due va
associata una terza regola nascosta negli ultimi righi: il pensiero deve essere visibile prima
che la lingua si muova. È facile capire come per Irving l’impulso al movimento sia una
giustificazione che precede la parola. Il ritmo ternario dello jo-ha-kyu, il «one-two-three» di
Craig, entra in risonanza col blank verse e lo completa. La partitura fisica non è costruita
sul blank verse, ma insieme con questo. Il risultato è qualcosa di infinitamente più
complesso che va oltre la concezione classica di testo e azione. Craig, completa la sua
analisi, spiegando la tecnica irvinghiana con estrema precisione:

Irving was essentially an actor, not an orator. While every sentence of a role was to him of the utmost
importance, he was ever mindful to act before he spoke, and then to follow up the words by acting again.
Before a phrase or a word Irving would always do something [...] In the plays where the meaning was only
too clear, the words too blunt and dull, Irving acted before and after these words as so to give them and
Irving significance. Sometimes a whole scene was merely a succession of things done- acting, with the
poor words used as props which hold plants 86.

Il nuovo schema fonde la partitura fisica con la partitura sonora che in realtà
costituisce una vera e propria azione. Irving era spesso criticato per l’uso delle parole e
per la sua pronuncia. Archer e Lowe con sarcasmo commentavano:

There is said to be an actor on the English stage who can make four syllables of the word "blood," by
pronouncing it "ber-a-lud-a". In no particular instance, perhaps, does Mr Irving quite attain to this height,
but his "transmogrification" of his mother tongue is as thoroughgoing as it well can be. […] It is absolutely
impossible to represent Mr Irving's pronunciation with the ordinary letters of our English alphabet; we
should have to invent new characters unknown even to the phonetic system87.

L’allungamento delle vocali, l’utilizzo di suoni aspri quasi come accenti, mette in
risalto quello che Craig ha definito un utilizzo a fini espressivi della lingua inglese88.
Irving non era assolutamente preoccupato di restituire una corretta pronuncia della
parola, ma il suo obiettivo era conferire qualità drammatiche anche ai suoni. Un’altra
testimonianza ci mette sulla strada per capire il particolare utilizzo delle parole nel pattern
costruttivo della performance:

85 H. IRVING, Preface to Talma, in J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 185.
86 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 202.
87 W. ARCHER, R. LOWE, The Fashionable Tragedian: a criticism, Thomas Grey and Company, Edinburgh 1877,

pp. 8-9.
88 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 63.

26
It is, so to speak, altogether staccato; there are no sweeps or long strokes in it, but everything is
accomplished by a series of light, disconnected touches or dabs, the total effect of which, when the subject
is not too lofty, is agreeable and harmonious 89.

La performance di Irving è fatta di vuoti sia nella partitura sonora sia in quella fisica. I
vuoti, però, non sono nella stessa posizione e nello stesso tempo ma sono compensati
dalle due partiture diverse. Se riprendiamo lo schema di Craig «one, two, three, four -
suspense - a slight step with his eyes - five - then a pattern of steps - two slow syllables -
another step - two more syllables» ci accorgiamo che la sequenza va letta come un
pattern che prevede sulla stessa linea, e non su piani diversi, sia la pausa che diventa parte
integrante del ritmo, sia la sillaba che è un equivalente del passo. Craig associa a step
un’unità ritmica sia essa fisica o sonora. Il lavoro d’attore per Irving si basava sulla
sinestesia, una contaminazione dei sensi che catturava non solo lo sguardo dello
spettatore ma anche il suo udito. Gigi Lunari afferma che Irving era parte di quella
Sumptuos School 90 che faceva dell’elemento visivo la parte più importante dello spettacolo.
È un’affermazione che tradisce completamente lo spirito della messa in scena irvinghiana
che si fondava su una compenetrazione di suoni e immagini. A essere accantonato era il
senso retorico delle parole che acquistavano un aspetto più vivo e materiale.

7.1 Artificiale e naturale


La caricatura è l’esagerazione dei tratti caratteristici di una persona a scopo comico.
Irving fu vittima di numerose caricature, tutte estremamente riconoscibili nello restituire
la sua postura e il suo modo di muoversi sul palco. Questi due elementi costituirono il
perno principale attorno al quale ruotava il suo peccato più grave, il manierismo. Irving
era criticato per il suo modo peculiare di porsi in scena, sicuramente poco naturale e
opposto alla pretesa di realismo che l’intera produzione tendeva a restituire. Il critico
Richard Russel ricorda che nei momenti più concitati Irving arrancava da un lato all’altro
del palco con «a walk somewhat resembling that of a fretful man trying to get very
quickly over a ploughed field»91 . Irving sul palco era assolutamente scomposto e quasi
innaturale. Il suo modo particolare di camminare non era ovviamente dovuto a una
mancanza di training adeguato, come insinuava qualcuno:

What he required was careful training in a good dramatic school, where he could have learnt proper
stage-bearing, good elocution, and artistic self-containment, and where, moreover, he would have been
warned against the besetting sins to which his peculiar physique and nervousness of temperament were
always luring him92.

Irving non necessitava di un training preciso, né tanto meno le sue particolari qualità
derivavano esclusivamente da mancanze fisiche. Quello che è certo è che la sua era una
“camminata di scena”. Un indizio fondamentale è dato da Sir John Martin-Harvey, attore
di spicco del Lyceum che ebbe modo di vedere spesso Irving in azione alle prove e nella
vita quotidiana:

Irving had a greater knowledge of the elements of his art than any actor I have ever met or seen. It was
only an intractable husk which sometimes obscured the perfect expression of it. I have seen him walk
loosely and naturally toward the wing from which he was going to make an entrance, and suddenly his cue
having been given, a strange metamorphosis has come over him. His limbs and neck have stiffened, he has

89 H. A. CLAPP, Reminiscences of a Dramatic Critic, with an Essay on the Art of Henry Irving, Mifflin and Co,
Boston 1902, p. 223.
90 G. LUNARI, Henry Irving e il teatro borghese dell’800, Cappelli, Bologna 1961, p. 105.
91 E. R. RUSSELL, Irving as Hamlet, H. S. King & Co, London 1875, p. 4.
92 W. ARCHER, R. LOWE, The Fashionable Tragedian: a criticism, cit. p. 22.

27
struck the boards of the stage with a preliminary stamp, tripped and plodded his stride through the
entrance and emerged upon audience, conscious for the moment, no doubt, of this unplayable muscular
system, but determined that his audience shall observe his mind and not his gait – and he triumphed93.

Secondo Martin-Harvey, Irving aveva una grande conoscenza della tecnica


performativa che, però, cozzava con una certa ruvidezza dell’esecuzione. Preparava il
proprio corpo, lo rendeva artificiale per la scena. Interpretata come una camminata
naturalista, rimaneva per i contemporanei un mistero, un fenomeno quasi inspiegabile.
William Archer, nonostante gli anni passati al Lyceum e i numerosi spettacoli cui aveva
assistito, non era in grado di descrivere compiutamente come Irving camminasse.
Quando, molti anni dopo il libretto satirico The Fashonable tragedian, il critico proverà a
fornire un quadro preciso della presenza scenica di Irving nella sua monografia Henry
Irving: Actor and manager, dovrà fare ricorso a una serie di metafore che cercano di
avvicinarsi all’obiettivo senza centrarlo. Le tre domande iniziali danno il tono di
un’estrema incertezza:

What, now shall I say of his walk? How describe it? How account for it? It is as difficult to describe as
it is easy to imitate. The idea it suggests is that every now and then Mr. Irving, like the marionette
Napoleon described by Dickens94, loses command of his legs, and becomes their unwilling slave, because,
as Mr. Gilbert's similarly-afflicted hero remarks, "they are two to one, which is a strong working majority.
But even this hypothesis would not account for the depression of the head and protrusion of the
shoulders which accompany any rapid motion, like a survival from the low stage of development
exemplified by many savage races, in which butting with the skull is an habitual practice. It seems as though
locomotion with Mr. Irving were not a result of volition, but of an involuntary spasm. Under certain
circumstances it is complicated by the most extraordinary sidelong and backward skirmishing, reminding
one of the movements of a napkin-ring when suddenly shot out from under the forefinger. That mind of
man should conceive or muscles of man should execute such complex evolutions is a standing wonder.
And there is no assignable reason for the phenomenon. Mr. Irving's head is excellently set on his
shoulders, and his motions can be, and often are, those of a normal human being. The secret probably lies
in the power of unchecked habit95 .

Archer ancora non riesce a darsi una spiegazione che non sia quella di un «unchecked
habit» sviluppato dall’assenza di una scuola drammatica. La sua analisi, però, inizia a farsi
più precisa, concentrandosi sulla presenza scenica di Irving. Il suo modo di stare sul
palco, di muoversi, presupponeva una forte contrapposizione tra il tronco e le gambe. La
parte superiore, come nella descrizione di Martin-Harvey, è completamente irrigidita,
mentre la parte inferiore si muove con estrema agilità. Il veloce movimento dei piedi era
bilanciato dalle spalle che si spingevano in modo innaturale verso l’esterno del corpo.
Irving nell’innaturale postura aveva nascosto uno dei segreti del fascino magnetico, quasi
soprannaturale, che era alla base del suo successo. Lo storico Walter King colleziona una
serie di definizioni che vanno da «mental magnetism» a «mysterious fascination»,
passando per «personal magnetism» e «dynamic force» 96. È fondamentale capire come
queste sue qualità fossero tutt’altro che naturali, ma esprimevano una profonda
conoscenza del mestiere d’attore. Uno strumento per decifrare questo segreto ci vengono
dagli studi di Eugenio Barba. Clelia Falletti spiega:

L’antropologia teatrale ci aiuta a leggere la complessa architettura di quel corpo che, in modo
consapevole o inconsapevole, sta mettendo in azione una tecnica di controllo. […]Questo è il “segreto”,

93 W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, cit. p. 184.


94Dickens ne parla nel suo libro Picture from Italy nel quale descrive uno spettacolo di marionette visto a
Milano. Della marionetta Napoleone racconta: “He has extra joints in his legs” e ”His springs are
prodigious. He continually shakes his legs”.
95 W. ARCHER, Henry Irving: actor and manager, Field & Tuer, London 1883, pp. 63-64.
96 Cfr. W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, cit. p. 191.

28
questo il “magnetismo”: un disequilibrio fisico, una serie di opposizioni mantenute in vita97.

Le indicazioni della Falletti sono rivelatrici. Irving in scena era in disequilibrio, un


principio che Eugenio Barba definisce in questo modo:

In tutte le forme codificate di rappresentazione si ritrova questo principio costante: una deformazione
della tecnica quotidiana di camminare, di spostarsi nello spazio, di tenere il corpo immobile. Questa tecnica
extra-quotidiana si basa sull’alterazione dell’equilibrio. La sua finalità è un equilibrio permanentemente
instabile. Rifiutando l’equilibrio “naturale” l’attore interviene nello spazio con un equilibrio di “lusso”:
complesso, apparentemente superfluo e che costa molte energie. Si può nascere con la grazia o con la dote
del ritmo ma non con quella dell’equilibrio instabile. Si potrebbe affermare che questo equilibrio “di lusso”
è formalizzazione, stilizzazione, codificazione98.

L’impianto teorico di Barba è illuminante, fornendoci una nuova chiave di lettura per
il magnetismo irvinghiano. È fondamentale, prima di tutto, capire la differenza tra corpo
quotidiano ed extra-quotidiano. Per il teorico italiano c’è una differenza qualitativa e
d’utilizzo, nonostante il corpo rimanga fondamentalmente lo stesso. Se nella vita di tutti i
giorni utilizziamo in modo inconsapevole la nostra persona secondo tecniche che ci sono
state tramandate culturalmente, sulla scena, invece, l’attore applica un utilizzo preciso e
cosciente della propria fisicità99. Craig scioglie questo ulteriore nodo, dichiarando:

Irving walked perfectly naturally - but only in private life. As he stepped upon the boards of his theatre,
at rehearsal, something was added to the walk - a consciousness. And this was right. He became aware of
the boards; the ordinary life was being put away [...] a springing motion was added at rehearsal100.

Il regista inglese precisa ulteriormente la differenza tra tecnica quotidiana e tecnica


extra-quotidiana: le differenze sono proprio nella coscienza che si aggiunge al
movimento. Irving era consapevole sul palco e questo determinava il rapporto con il
proprio corpo che diventava uno strumento preciso di espressione. Si costruiva, quindi,
un corpo artificiale che fosse significativo sulla scena a prescindere dal dramma
rappresentato. Ancor prima di mettere in moto la lingua, ancor prima che le linee della
trama siano chiare, Irving era pronto a mettere lo spettatore in uno stato di allerta
ricettiva. Era una tecnica che, senza maestri né scuole, aveva imparato attraverso un
apprendistato lungo una vita. Con il tempo era riuscito a lavorare sui propri limiti e punti
deboli, sviluppando una prassi che facesse proprio della resistenza, del “contro”, il mezzo
espressivo principale. Il suo modo particolare di camminare la sua presenza scenica fuori
dai canoni estetici vittoriani derivava proprio da questa necessità. Analizzato attraverso la
lente della critica, Irving mostrava subito i suoi difetti. Non a caso la Terry notava che:

Henry Irving at first had everything against him as an actor. He could not speak, he could not walk, he
could not look. He wanted to do things in a part, and he could not do them. His amazing power was
imprisoned, and only after long and weary years did he succeed in setting it free101.

Irving non assomigliava agli attori suoi contemporanei che calcavano i palchi
londinesi. La sua figura particolare ispirò Arthur Conan Doyle per il personaggio di
Sherlock Holmes: alto, eccessivamente esile e con le spalle leggermente sporte in avanti,
quasi da pugile102. Questa descrizione non risponde assolutamente a quella del tipico

97 C. FALLETTI (a cura di), Il corpo scenico, Editoria e Spettacolo, Roma 2008, p. 8.


98 E. BARBA, La canoa di carta, Il Mulino, Bologna 1993, p. 36.
99 Ivi p. 30.
100 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. pp. 73-74.
101 E. TERRY, The Story of my life, cit. p. 74.
102 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 14.

29
attore inglese che, invece, aveva una presenza scenica più armonica e proporzionata.
Irving era costretto, quindi, a ricreare la sua presenza scenica su basi diverse, lavorando
sulle resistenze, fossero queste corporee o derivanti da elementi esterni. Lo springing
motion, ricordato da Craig, dimostra come Irving sfruttasse anche il pavimento per
mettersi in tensione. Si relazionava con i limiti imposti e ne traeva la forza per liberare la
meravigliosa potenza imprigionata che era poi frutto della sua capacità di creare
un’illusione. Irving non faceva nient’altro che generare tensioni che catturavano e
ingannavano lo spettatore. Il suo corpo, simile a quello della marionetta, era impossibile
da decifrare per chi assisteva. L’equilibrio fuori asse e le imprevedibili forme che
assumeva non permettevano allo spettatore di anticiparne le mosse. Guardare uno
spettacolo di Irving significava essere diretti da Irving. In questo senso possiamo
affermare che il suo modo di recitare era management come controllo su sé stesso, sulla
compagnia ma soprattutto sullo spettatore103.
Gli stessi principi che abbiamo riscontrato nell’uso del corpo, Irving li applicava alla
mimica del volto. Abbiamo già notato come figura, volto e parola fossero
intrinsecamente legati nella partitura irvinghiana e come l’uno andasse a riempire i vuoti
temporali degli altri. È sempre Craig a darne un resoconto significativo:

His movement being measured, rhythmic, planned, it may too obvious to state that the action of his
face was part of all this, and was measured too; yet it may not have occurred to one or two of my readers
that this control of feature till immobility was achieved constituted a mask. Some actor paint away one
face, and make themselves another face; they even built up these faces – one for every new part. But then
these actors have little to say with face. It stands to reason that if you have much to say with the face, the
sooner it becomes a mask the quicker you’ll be able to speak with it. For a mask never fidgets; it endures,
and at the slightest touch it become expressive, it lights up and then speaks. Irving was all for these slight,
significant touches104.

Ritornano elementi chiave come controllo e ritmo che sono alla base della
performance irvinghina. L’elemento nuovo è il paragone con la maschera come
strumento espressivo ineguagliabile. La mobilità del suo volto era capace di restituire un
gran numero di emozioni in pochi attimi, quasi un uragano che colpiva e scuoteva gli
spettatori105. Irving riusciva a controllarla e deformarla tanto da interpretare due
personaggi diversi sfruttando solo la mimica facciale e limitando al minimo il make-up106.
Irving, quindi, sacrificava sé stesso in un processo di artificializzazione che aveva come
unico obiettivo quello di istituire un forte canale comunicativo con la platea.
È indubbio che Irving rimase, comunque, un attore del proprio tempo. Il teatro quasi
simbolista che s’incarnerà in Craig non troverà ancora spazio sul palco del Lyceum.
Henry era un attore che mirava comunque a interpretare e rappresentare personaggi in
modo autentico all’intero di drammi estremamente credibili. Nel suo teatro si basava su
una dialettica di artificiale e naturale che non finiva mai in una concreta scelta di campo.
Il suo modo di recitare era liminale, in bilico tra due mondi:

Again Irving was natural, yet highly artificial. He was natural in that he did not remind one of either an
ape or a god, but of a man. He was artificial as certain plants seem artificial –we don’t call them artificial
flowers, for they are actual alive and growing. And Irving was artificial as these – an orchid, as a cactus –
exotic and stately, forbidding, and so curiously composed as to be what we may call architectural- attractive
as all shapely thing. Every moment was formed. There are plants which lag and straggle, such as Love-lies-
bleeding: Irving was not like that107.

103 W. D. KING, Henry Irving’s Waterloo, cit. p. 137.


104 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 78.
105 A. HUGHES, Henry Irving shakespearean, Cambridge University press, London 1981 p. 56.
106 E. TERRY, The Story of my life, cit. p. 174.
107 E. G. CRAIG, Henry Irving, cit. p. 81.

30
Irving non negò mai di essere in parte un attore passionale, attraversato da ciò che
recitava. Il suo era un perfetto equilibrio tra espressione e tecnica d’espressione. Craig
afferma che spesso Irving diede dimostrazione di «one touch of nature plus art»108 . È
un’affermazione che nella sua brevità sibillina ci porta a scoprire un nucleo fondamentale
della prassi teatrale irvinghina. Abbiamo visto che Irving era sempre e incessantemente
votato alla ricerca della verità, una verità che sul palco era costretta a rispettare
determinate convenzioni. Sapeva che vita e scena non condividevano gli stessi principi,
ma era necessario che l’elemento mimetico fosse rivestito di qualità sceniche. Barba parla
di «incoerenza coerente» 109 , un’azione che nella vita reale può sembrare giustificata sulla
scena deve trovare un nuovo motivo d’esistenza. Irving, nonostante le convenzioni,
rimaneva autentico nella sua performance perché ogni sua azione fluiva verso l’obiettivo
senza blocchi. La motivazione, l’intenzione del gesto erano supportate dalla Natura, ma si
esprimevano attraverso l’artificialità e la precisione della tecnica recitativa che fornivano
un equivalente credibile dell’azione reale. Riadattando la metafora di uno scrittore
francese del novecento, potremmo dire che è necessario deformare per restituire la realtà,
esattamente come accade a un ramo immerso nell’acqua che per apparire dritto deve
essere prima leggermente piegato110 . La tecnica di base si ripeteva, mentre al variare delle
motivazioni che formavano il gesto si poteva cambiare l’intero risultato. Il “tocco di
natura” permetteva all’intera azione di assumere un valore diverso. Una testimonianza
indicativa è data da Craig che descrive un momento delle prove al Lyceum, nel quale
Irving cerca di istruire un attore:

Irving was showing Haviland the way to play the part of the Fool in King Lear, act.2. With, “Let me
hire him too-herÈs my coxcomb” in slithering far off tones, he feathered onto the stage –sideways- lopped
an imaginary cap, and floated two step, till he alighted on the edge of a table, where he smiled once- and
then blew out the smile. This passage he repeated for Haviland’s assistance, several times, several ways,
each way as lovely and as grey as those refrains in an old song, which repeat yet have ever something a
touch different as they return111 .

Quello che risulta evidente è come la partitura sia sempre la stessa, fissata e precisa,
con una tempistica calcolata. Irving entra in scena, si toglie un cappello immaginario e fa
due passi, quindi si appoggia al tavolo e sorride. All’interno di questo schema l’attore
inserisce un motivo di variazione, un cambiamento d’intensità, inizia a improvvisare ogni
volta che ripassa per i luoghi già percorsi. Aggiunge nuove e diverse motivazioni che
danno un significato nuovo allo schema prefissato. La sua recitazione acquistava
profondità e catturava completamente lo spettatore che ne era assorbito. Il suo
manierismo era in sostanza superficiale, visibile solo quando non si sospendeva il giudizio
critico.
Per capire la particolare tecnica recitativa di Irving è necessario spostare il punto
d’osservazione. Il critico drammatico Henry Arthur Clapp afferma, parlando di Irving,
che «He can never be quite trusted with his legs, his shoulders, or his tongue for five
consecutive minute»112 . La sua affermazione non è sbagliata ma inesatta. L’errore di
Clapp è nel voler giudicare la perfomance di Irving come se fosse un prodotto inserito
esclusivamente nel naturalismo. È innegabile che il processo di ricostruzione storica fosse
importante nelle produzioni irvinghiane, che fondali, quinte e oggetti di scena

108 E. G. CRAG, Ellen Terry and Her secret self, cit. p. 95.
109 E. BARBA, La canoa di carta, cit. p. 49.
110 È una metafora usata da Louis-Ferdinand Celine in relazione alla lingua “naturale” dei suoi romanzi. Lo

scrittore francese voleva mettere in chiaro che la sensazione di colloquialità era calcolata a tavolino e
riprodotta attraverso complicati artifici.
111 E. G. CRAIG, Ellen Terry and Her secret self, cit. p. 96.
112 H. A. CLAPP, Reminiscences of a Dramatic Critic, cit. p. 198.

31
concorrevano alla riproduzione del reale. Gli spettacoli del Lyceum avevano l’aspetto di
prodotti perfettamente inseriti nella moda del tempo. Era facile ingannarsi. Il teatro di
Irving era votato all’illusione, alla completa partecipazione dello spettatore. Le sue
perfomance non chiedevano trust, una fiducia incondizionata sulla verità in scena, ma
belief ossia un abbandono sottile alle arti occulte del teatro. Giudicarlo esclusivamente in
base alla costruzione calcolata della performance, dalla sua rispondenza con una certa
idea di teatro significava perdere quella parte di onestà e autenticità che Irving portava
sulla scena. Irving riempiva la sua parte con motivazioni e stimoli concreti e chiedeva allo
spettatore di sedere in platea con una «open receptivity» 113 . La realtà era costruita sotto
gli occhi della platea, attraverso partitura che utilizzava il dettaglio come strumento
creativo. Irving chiedeva allo spettatore di affidarsi a lui e accettare il gioco delle parti nel
quale l’attore avrebbe dato prova di riuscire a controllare e ricreare la realtà su regole
definite. Il suo non era un teatro mimetico, un teatro di “quarti di manzo” come quello di
André Antoine. Era un teatro che seguiva delle regole sue proprie, votato a una
dettagliata costruzione e non ricostruzione della realtà. Quando si trovò a dover scegliere
tra esigenze di scena e imitazione della vita, furono sempre le prime a prevalere114 . È
Irving stesso a definire l’obiettivo del suo teatro: «Finally, in the consideration of the Art
of Acting, it must never be forgotten that its ultimate aim is beauty. Truth is only an
element of beauty»115.
The beauty, la bellezza, era il fine ultimo di ogni spettacolo da cercare anche contro le
leggi della logica. Il bello, nel Lyceum come nella società vittoriana, non era
semplicemente una qualità estetica, ma rappresentava l’obiettivo di ogni azione morale.
Era un’indicazione per la vita, e Irving volle che il suo teatro contribuisse al
miglioramento della società.

Conclusioni
Dal 1898 iniziò il periodo di discesa nel quale furono prodotte opere che non
aggiunsero molto al repertorio del Lyceum. Una serie di sciagure finanziare e di salute
colpirono Irving. Nonostante tutto Henry continuò a recitare. Nel 1902 è ospite al
Drudy Lane di Arthur Collins e mette in scena Dante. In seguito si reca con la nuova
produzione in America. Di ritorno in Inghilterra le sue condizioni di salute precipitano. Il
suo fisico non regge il palco, ma l’anziano attore si ostina nel proseguire con gli
spettacoli. Sono gli ultimi anni, nei quali si trascina tra tournée iniziate e interrotte, fino al
1905. Il 13 ottobre è sul palco del Bradford Theatre nella parte di Becket dall’omonimo
dramma di Tennyson. Le ultime parole pronunciate dall’Arcivescovo di Canterbury sono
anche le sue. Colto da un malore, viene trasportato al Midland Hotel e qui muore116.
Irving era stato l’ultimo degli attori in grado di generare una vera e propria passione nei
suoi spettatori. Seppe rendersi riconoscibile e indimenticabile. Il suo modo di recitare, la
sua “maniera”, e le sue produzioni erano così personali e caratterizzate da sopravvivere
alla sua morte per diventare quasi stile, un modo preciso di fare teatro. Era un sistema
spettacolare che faceva appello ai gusti del pubblico borghese inglese eppure lo innovava:
il suo repertorio, ricco di presunto realismo, non accettò mai il naturalismo come veicolo
espressivo. Era un teatro del secolo precedente che non raccoglieva gli spunti dell’arte
contemporanea, ma si preoccupava esclusivamente di capitalizzare e perfezionare parte
del passato. I drammi scelti da Irving non furono mai moderni nel vero senso della
parola, e anche quando collaborò con autori contemporanei, scelse sempre e solo pièce
bien faites piuttosto classiche che gli permettessero di esprimersi al massimo e di portare
avanti la sua personalissima idea drammatica. Il suo teatro era svago, intrattenimento,

113 J. RICHARDS (a cura di), Sir Henry Irving, cit. p. 294.


114 Ivi p. 11.
115 Ivi p. 81.
116 L. IRVING, Henry Irving: The Actor and His World, cit. p. 671.

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privo di ogni impegno sociale. L’unica implicazione morale veniva solo da quella ricerca
del bello che gli permetteva di mantenersi nei limiti della decenza e aspirare a una sorta di
educazione al buon gusto. Era un teatro dei buoni sentimenti, catartico nei suoi villains
larger than life, per un pubblico che non amava gli attacchi diretti, ma preferiva una
paternale nascosta. L’effetto spettacolare rimaneva, comunque, il pezzo più importante
per i playgoers inglesi e Irving li accontentò confezionando prodotti dall’alto valore
d’intrattenimento. Riuscì a creare un teatro fatto di mobilità e ritmo, un teatro
inafferrabile, basato sul contrasto e sulla negazione che non dava sicurezze a chi vi
assisteva. Il suo teatro era un uragano di emozioni che si esprimevano sulla scena e si
agitavano in platea. Fu l’ultimo teatro ad avere una vita così importante e invasiva nel
tessuto sociale. “Irvingiana” è il nome che potremmo dare a un teatro che nel periodo
vittoriano si sviluppò come il punto conclusivo di una tradizione. Era l’apice di un
sistema in grado di spingere al massimo le caratteristiche di un certo tipo di teatro. Lo
spettacolo fondato sul personaggio, sull’orchestrazione dei dettagli per favorire la
completa immedesimazione dello spettatore, era arrivato al suo punto ultimo, grazie alla
capitalizzazione delle esperienze precedenti. La sua tecnica recitativa era il giusto
compromesso tra mestiere e passione, con uno sguardo attento sulla rappresentazione.
Alla sua morte la sua eredità era destinata ad essere deformata, non lasciando nessuna
possibilità d’evoluzione. Solo una rivoluzione poteva continuare su altre premesse il suo
lavoro, ed è esattamente quanto avrebbe fatto Gordon Craig.

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