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L'ICONOGRAFIA

PALEOCRISTIANA,
LA BASILICA DI SAN CLEMENTE,
IL BATTOSTERO LATERANENZE,
LA BASILICA DI SAN PAOLO,
LE TECNICHE DEL MOSAICO E
AFFRESCO

L'Iconografia paleocristiana
La nascita e lo sviluppo dell'iconografia cristiana nei primi
secoli può essere compresa solo alla luce della concezione che
ebrei, greci e romani avevano delle immagini.
L’iconografia paleocristiana ha il compito di rintracciare nei
prodotti dell’arte cristiana antica tutte le informazioni che
possono far luce sulla cultura cristiana dei primi tempi. La sua
attività quindi si svolge in base a quei monumenti e a quei resti
monumentali che offrono rappresentazioni figurate, studiate
non come creazioni artistiche corrispondenti a fini estetici , ma
nel loro contenuto. È Considerata in un primo tempo come
scienza piuttosto analitica e descrittiva, limitata alla ricerca del
vero significato dei temi e motivi iconografici.
Tra l’iconografia e la storia dell’arte vi è una certa differenza,
ma differenza non significa, o non dovrebbe significare,
antagonismo, giacché l’una è sussidio e completamento
dell’altra. Anche se in certi casi diventa difficile stabilire dove
finisce il compito dell’iconografo e comincia, invece, quello
dello storico dell’arte o viceversa, in linea di massima si può
dire che per il primo l’elemento formale, non ha un interesse
diretto (anche una rappresentazione priva di bellezza rimane
per lui preziosa testimonianza) mentre, per il secondo, la
qualità estetica, stilistica e tecnica e le sue vicende sono di
primaria importanza.
I simboli astratti
Il ricorso al simbolo astratto, proprio del cristianesimo delle origini, dipende anche dal
divieto di idolatrare le immagini (iconoclastìa) che i cristiani assorbirono dalla
tradizione ebraica. In un primo momento, infatti, si impedì qualsiasi rappresentazione
di Cristo e di Maria.
Quindi i primi cristiani utilizzano due tipi di rappresentazioni comprensibili solo a
loro:
Simbolica-astratta, con segni e forme astratte, per esempio la croce, il pesce stilizzato,
le lettere greche, ecc.
Figurata, ma con significati nuovi e nascosti. Oppure Figurata, ma con temi biblici (ad
esempio le storie della Genesi, di Mosè, di Giona) o quelli più rari, tratti dal Vangelo e
riferiti alla vita e ai miracoli di Cristo.

Croce: Tra i simboli astratti, simbolo cristiano per eccellenza è la croce, il cui
significato allude alla morte e resurrezione di Cristo. Tuttavia si tratta di una forma
simbolica molto antica, che prima del cristianesimo aveva già assunto un significato
universale: rappresenta l’unione del cielo con la terra, della dimensione orizzontale
con quella verticale, congiunge i quattro punti cardinali ed è usata per misurare e
organizzare le piante degli edifici e delle città. Con il cristianesimo assume significati
nuovi e complessi ed è spesso associata ad altri elementi.
Alfa e Omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, indicano che Cristo è l’inizio
e la fine di tutto.
Ancora: simbolo della speranza cristiana. In una Lettera di san Paolo agli Ebrei (6,
18-19) si legge che l’ancora a cui affidarsi è Cristo
X e P (Chi e Ro): prime due lettere del nome di Cristo in greco. Indicano la sua
presenza e contrassegnano il luogo sacro.
Fenice: simbolo della resurrezione. Secondo una leggenda pagana orientale, la fenice
rinasce dalle proprie ceneri.
Palma: simbolo di resurrezione e vita eterna, poiché si trovava nel giardino dell’Eden.
In seguito sarà associata al martirio e ai santi martiri.
Colomba: simbolo dell’anima del fedele di fronte a Dio.
Pesce: simbolo di Cristo, acronimo formato dalle iniziali delle parole greche “Gesù
Cristo Figlio di Dio”.
I simboli figurati
Alcune scene figurate di tradizione pagana vennero assunte dall’iconografia cristiana.
Anche gli eroi e le personificazioni del mondo romano vennero ripresi, ma collegati, con
significati nuovi, a contenuti cristiani.
Apollo sul carro del sole si trasforma nella rappresentazione di Cristo come Dio
Sole. Il sole è simbolo di verità già in molte culture pagane, diviene suprema allegoria di
Cristo, portatore di vita eterna e salvezza spirituale.
La figura del Moscophoros, il pastore che porta sulle spalle un vitello, presente già
nell’arte greca arcaica, oltre che diffusa nell’arte romana, diventa il Buon Pastore
cristiano. Per il mondo classico-pagano il Moscophoros rappresenta un aldilà come regno
di serenità e di pace, ed è simbolo della philantropia, l’amore disinteressato verso l’uomo.
Il cristianesimo trasforma il Moscophoros nel Buon Pastore. Si sostituisce il vitello con
un agnello, simbolo del “gregge” dei fedeli e prefigurazione del sacrificio di Cristo.
A queste si aggiungono le rappresentazioni di Bacco o Dioniso, o alle scene di
vendemmia con gli amorini, usate dai cristiani per alludere all’Eucarestia, dove la vite e il
vino indicano il sangue di Cristo.
Altre volte la narrazione è diversa, legata ai temi biblici. Le
prime illustrazioni di scene bibliche risalgono alla seconda metà del III secolo.
La scelta delle scene deriva probabilmente dalla liturgia funeraria, che si riferiva agli esempi bi
blici di salvezza accordati da Dio agli uomini. Inizialmente dominano temi dell'Antico Testame
nto, mescolati a scene pastorali e bucoliche.
Ma anche nelle scene bibliche si rintracciano frequenti collegamenti con la mitologia pagana, in
un complesso intreccio di somiglianze e derivazioni.

Dagli inizi del IV secolo diventano più frequenti le scene tratte dai Vangeli, soprattutto:
i miracoli di Cristo, l'Adorazione dei Magi, il Battesimo nel Giordano,
la Natività, che sottolineano la salvezza recata dalla venuta del Cristo.
Ma nei primi secoli del cristianesimo l'iconografìa di molte dì queste scene non
è ancora fissata e presenta numerose varianti: si inseriscono elementi tratti dai Vangeli apocrifi,
come il bue e l'asinello della stalla della Natività.
Presto compare anche la raffigurazione dell'apostolo Pietro, che si distingue nell'assemblea dei
discepoli, forse per via dell'importanza del suo culto a Roma.
Il repertorio si arricchisce ancora nel corso del IV secolo, con scene dalle vite degli apostoli
Pietro e Paolo e del ciclo della Passione, in cui
la Crocifissione è rappresentata con il Cristo trionfante.
La scultura
Nella scultura, scene e personaggi sono collocati sui lati del sarcofago senza necessariamente seguire l'ordine del racconto, ma badando soprattutto all'effetto di
insieme: per esempio la scena di Daniele nella fossa dei leoni, con composizione simmetrica, si colloca spesso al centro, mentre il sacrificio di Isacco e la
consegna delle Tavole, dominate da linee oblique, si inseriscono meglio ai lati dell'elemento centrale. Spesso sono collocati alle estremità la scena di Mosè e la


sorgente e la Resurrezione di Lazzaro e infine la rappresentazione dei Tre giovani nella fornace si colloca regolarmente sul bordo del coperchio, per via della sua
orizzontalità.
La Basilica di San Clemente
La basilica di San Clemente prende nome dal papa omonimo, terzo successore di San Pietro, morto
intorno all’anno 100.
Fino al primo secolo il livello della valle su cui sorge l basilica si trovava una ventina di metri più in
basso del livello attuale. Tuttavia, con l’incendio del 64, gli edifici distrutti vennero sommersi dal terreno
e furono riutilizzati come fondamenta per nuove costruzioni.
Al terzo livello di San Clemente vi sono due edifici, separati da uno stretto vicolo. Il meno imponente era
probabilmente un'insula romana, suddivisa in piccoli appartamenti che si dispongongo attorno ad un
cortile. Qui vi sono i resti d'un tempietto della fine del II secolo, dedicto al culto del dio Mitra. Dall’altra
parte del piccolo vicolo si elevava una struttura rettangolare di grandi blocchi di tufo, che fungevano da
appoggio per le pareti in mattoni.
All’interno di questo edificio vi era un cortile, ampio e spazioso, che superava in dimensioni anche la
navata centrale della basilica. La prima chiesa di San Clemente ricopre interamente la superficie del
precedente palazzo.
Al livello della chiesa, la parte dedicata al coritle è diventata la navata centrale della chiesa e le stanze che
si affacciavano dalle due parti sul cortile stesso sono state trasformate nelle due navate laterali.
Il culto mitriaco celebrato nell'antico tempietto venne abolito nel 395, quando il terreno fu comprato dal
clero di San Clemente che aggiunse un’abside alla chiesa rettangolare.
Il mosaico absidale di San Clemente
Si può interpretare il mosaico di San Clemente come un susseguirsi di “strati teologici” che rivelano la
storia della salvezza, sintetizzata nell’evento pasquale e presente nella liturgia eucaristica.
Il primo “strato” è lo sfondo oro. La tradizione dello sfondo dorato è tipica dell’arte medievale bizantina e risale
all’epoca paleocristiana. L’oro richiama immediatamente la luce dello sguardo di Dio. L’ oro è anche un simbolo
ancestrale di fedeltà. Proprio perché metallo resistente e duraturo, esso è usato nelle simbologie dell’alleanza.
A San Clemente, l’oro ricopre tutta la superficie, che è immagine del creato. Un modo per dire che la bellezza di
Dio ricopre tutta la creazione. Lo sguardo di chi entra in chiesa, attratto dal luccichio dell’abside può
ripercorrere tutta la superficie musiva e trova luce. Il luccichio delle creature riflette l’invisibile luce del
Creatore, ogni singola creatura riflette questa Luce. C’è però un’eccezione, nel centro geometrico del mosaico
infatti si staglia una superficie del tutto diversa, essa contrasta brutalmente con l’oro della Creazione: la croce. I
mosaicisti la rappresentano con un colore blu oscuro, esso coincide esattamente con l’asse centrale del mosaico,
cioè con l’area dove lo sguardo finisce per concentrarsi seguendo la “pendenza” della curva absidale. Questo
abisso della croce “rompe” la superficie uniforme del mosaico e cattura lo sguardo come una sorta di “buco
nero”.
Il colore giallo-oro richiama istintivamente la fisicità e la vicinanza. Il suo opposto è il blu oscuro che conferisce
un senso di astrattezza e di allontanamento. Nel centro della creazione però, come una ferita profonda, si
delinea un abisso, una crepa a forma di croce. E’ l’emblema del male, il luogo dove la creazione è “rotta”.
L’abisso blu oscuro cattura lo sguardo del cuore e impedisce di contemplare l’oro della creazione. In questa
“crepa della creazione” si nasconde l’uomo ferito e peccatore, come la colomba del Cantico, nascosta “nella
fenditura della roccia”. I mosaicisti di San Clemente hanno posto dentro a questo abisso dodici colombe. Esse
rappresentano i dodici apostoli e le dodici tribù d’Israele. L’intero popolo. Il suo sguardo attratto dall’abisso lo
ha fatto precipitare nella fenditura della roccia e adesso non può più uscire.
Questo messaggio forte del mosaico di San Clemente è ribadito dalla simbologia che scopriamo ai piedi della
croce. Nel luogo stesso dove è “piantato” l’asse verticale della croce, sotto il cespuglio di acanto che nasconde la
sua base, i mosaicisti hanno rappresentato un minuscolo cervo il cui muso sfiora una sorta di nastro rosso a
forma di serpente, si tratta probabilmente della ripresa di una simbologia paleocristiana in cui l’uomo
dell’antichità pagana era colpito dalla sete di questo animale, capace di ingurgitare enormi quantità di acqua. Era
nata così la convinzione che il motivo di questa sete fosse il fatto che i cervi mangiavano i serpenti e che il
veleno dei serpenti esigeva grandi quantità di acqua per essere neutralizzato. La tradizione simbolica cristiana
aveva ripreso questa convinzione interpretandola in modo allegorico: noi tutti siamo come i cervi perché noi
tutti abbiamo inghiottito il serpente del peccato che ci avvelena la vita; ma proprio questo veleno ci spinge
Il primitivo mosaico paleocristiano
Nel primitivo mosaico paleocristiano di San Clemente, ciò che adesso è
una ghirlanda rossa il cui senso non è decifrabile, era
molto probabilmente un serpente, inghiottito dal cervo rappresentato proprio
in asse ai piedi della croce. Numerosi sono i paralleli iconografici paleocristiani che mostrano
i cervi inghiottire un serpente e/o bere all’acqua della vita.
La croce del nostro mosaico è dunque piantata esattamente nel punto
dove si compie il peccato, nel punto dove il cervo inghiotte il serpente velenoso. E allora non
è
un caso se appena sotto vediamo due cervi di dimensioni maggiori, posizionati simmetricame
nte, che bevono a quattro corsi d’acqua che sembrano sgorgare dai piedi della croce, sono i qu
attro fiumi del paradiso, secondo il racconto dell'antico testamento.
Proprio il luogo del peccato diventa luogo della grazia, proprio perché il cervo ha inghiottito il
serpente esso beve adesso dai quattro fiumi del paradiso.
La croce di Cristo ha trasformato il luogo del peccato in paradiso è
facile quindi capire l’ultimo “strato”
di questa narrazione iconografica.Proprio dai piedi della croce nasce un cespuglio le
cui volute riempiono tutto lo spazio disponibile, tutta la terra.
Nel mosaico originario paleocristiano si tratta senza dubbio di
una pianta di acanto. L’acanto era nella simbologia pagana antica la pianta della vittoria. Le
sue
spine richiamavano le sofferenze del combattimento e il suo profumo intenso richiamava il pi
acere della vittoria. Essa è poi
una pianta sempre verde usata in particolare nella decorazione dei capitelli corinzi.
Il cristianesimo primitivo ha ripreso in chiave pasquale questa simbologia, in cui l’acanto è
la pianta della morte (spine) e della Risurrezione (profumo).
Per i mosaicisti, il Cristo morto e risorto ha trasformato tutta la creazione, frantumata dal pecc
ato, in giardino della vittoria. Le volute sono esattamente 50, in greco “Pentecoste”: e’
la cifra del compimento, dello Spirito che riempie tutto lo spazio e porta la
Chiesa fino agli ultimi confini.
Cinquanta è anche la cifra biblica dell’anno giubilare, l’anno della remissione dei debiti e
del ritorno alla terra, l’anno della liberazione degli schiavi,
ma soprattutto queste cinquanta volute fanno della croce un albero che riempie l’universo, in
cui la croce è diventato albero della vita.

Il Battistero Lateranense

La leggenda del battesimo di Costantino è raffigurata all’interno del battistero stesso, nel bassorilievo in
bronzo del XVII secolo posto sulla vasca battesimale, come rovescio del battesimo di Cristo nel Giordano.
Nella raffigurazione Costantino è rappresentato bambino, mentre ricevette in realtà il battesimo solo in
punto di morte. Il battistero lateranense appare come una derivazione di costruzioni romane a pianta centrale,
rimaneggiata nel V secolo da papa Sisto III al quale si deve la pianta ottagonale che ancora esiste.
L’ottagono richiama simbolicamente la Pasqua, l’ottavo giorno, cui trova definitiva realizzazione la redenzione,
come compimento del primo giorno, quello della creazione. Il Battistero fu influenzato dal Barocco, senza
alterarne le strutture classiche e senza sostituirle, aggiungendovi decorazioni con voli di angeli e puttini,
finte scenografie e illusioni pittoriche.

Nell’originario ingresso del battistero, il pronao biabsidato con le due colonne di porfido, trova invece
posto la Cappella dei santi martiri Cipriano e Giustina con un mosaico del secolo V a racemi, con un
emiciclo con l’Agnello, quattro colombe e piccole croci gemmate.
Diverse cappelle circondano il magnifico monumento battesimale.
L’architrave di ingresso della cappella dedicata a San Giovanni reca l’iscrizione dedicatoria: "Al suo
liberatore il beato Giovanni evangelista, Ilaro, servo di Dio", e la citazione giovannea: "Diligite alterutrum
(amatevi gli uni gli altri)", principio fondamentale del cristianesimo.
Ilaro, diacono, era stato inviato dal papa Leone I Magno al Concilio di Efeso del 449 per contrastare le tesi
dell’eretico Eutiche. Per questa sua opera gli venne dedicata questa cappella.
Il fonte battesimale al centro del Battistero è stato soggetto a
numerose restaurazioni rinascimentali e barocche.
Tra queste, il pontefice Gregorio
XIII aggiunse un draghetto alato sul fonte simbolo del
serpente primordiale cioè del peccato.

Nell’area circostante alla vasca vi sono dei cervi che si
abbeverano alla fonte, sinonimi dei pagani appena convertiti
che per la prima volta ricevono la parola di Cristo.
Gli affreschi all'interno dell'aula battesimale celebrano
l'impegno profuso da Papa Urbano VIII,
come anche attestano le api della famiglia Barberini, sparse
quasi dovunque nell'area del fonte.

Nell’affresco dell’allegoria dell'Abbondanza e della Pace,
che probabilmente celebra la
fine della Guerra dei trent'anni figura la colomba, nel
cristianesimo simbolo di pace e stemma di papa Innocenzo,
pontefice che promosse
contemporaneamente la grande riedificazione della Basilica
Lateranense.

Il battistero presenta intorno al fonte battesimale,
dove i catecumeni erano battezzati per immersione, otto
colonne con capitelli ionici e corinzi alternati, le quali lo
isolano dal deambulatorio.
Il raccordo tra le parti è ottenuto con un soffitto in
legno policromo con fregi, simboli e quattro
figure intagliate: Gesù Salvatore, la beata Vergine Assunta,
Il fonte battesimale San Giovanni Battista e San Giovanni evangelista.

Il mosaico del catino absidale
Il mosaico del catino absidale ha al centro la figura del
Cristo benedicente fiancheggiato da
due angeli tra nuvole colorate, rappresentati il mistero della verità divina,
come nella rappresentazione quasi omologa nella Basilica di San
Paolo fuori le mura.

Nel registro più basso è raffigurata la sua Chiesa: al centro la Vergine orante, con
le braccia protese verso il cielo, a destra San Pietro con l’asta crociata, San
Giovanni Battista, il vescovo Domnione, Papa Giovanni IV (senza nimbo); a sinistra
San Paolo con il libro in mano cioè la parola di Dio, San Giovanni evangelista,
San Venanzio e papa Teodoro I
(anch'egli senza nimbo) che offre il modello della chiesa.

Sull'arco, entro quattro pannelli fra le finestre sono i simboli degli evangelisti (il tor
o per Luca, l’uomo per Matteo, il leone Marco e l’aquila Gioavvani) e
le città di Betlemme e Gerusalemme turrite e gemmate.
Nei due riquadri laterali, posti all'altezza del catino,
vi sono 8 martiri dalmati che subirono il martirio insieme a
San Domnione durante le ultime persecuzioni di Diocleziano,
e cioè a destra il vescovo Mauro, il diacono Settimio, Antiochiano, e Gaiano; a
sinistra Anastasio, il monaco Asterio, Tellio e Paoliniano.
Le reliquie di quest’ultimi sono conservate in
una delle cappelle che circondano l’area battesimale.


La Basilica di San Paolo fuori le mura
La Basilica di San Paolo fuori le mura fu costruita subito dopo l'Editto di Milano del 313, con cui l'imperatore
Costantino concedette ai cristiani libertà di celebrare il proprio culto, con conseguenza la costruzione di numerosi
luoghi di preghiera tra cui, per l'appunto, la basilica stessa. L'edificio sorge dove secondo la tradizione sarebbe stato
martirizzato San Paolo, quindi il complesso è stato metà di numerosi pellegrinaggi soprattutto in epoca medioevale.
La basilica nel corso degli anni venne ampliata e decorata da numerosi imperatori e papi, ma ad inizio '800 venne rasa
al suolo da un incendio per poi essere ricostruita su di un modello molto simile a quello originario. Al giorno d'oggi,
l'edificio fa parte dello Stato della Chiesa ed è amministrato da un Arciprete.

L'ingresso del complesso è preceduto da un grande quadriportico, che presenta 150 colonne, di marmo bianco, dal
fusto monolitico e con capitelli corinzi. Il nartece ha una sola fila di colonne ed è sormontato da una facciata ed un
timpano decorati a mosaico. Essi insieme sono divisi in tre registri: quello inferiore raffigura quattro dei cinque
profeti biblici: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, distinguibili per le pergamene che tengono in mano. Il registro
mediano è carico di rappresentazioni simboliche: un agnello mistico, Cristo, stanzia su di un monte, il Paradiso, dal
quale hanno origine quattro corsi d'acqua, i quattro Vangeli, a cui si abbeverano dodici agnelli, i dodici Apostoli. Il
terzo registro è dominato dalla figura di un Cristo "benedicente", ovvero nell'atto di benedire con la mano destra, che
ha il mignolo e l'anulare abbassati. La sinistra invecetiene un libro, simbolo dell'avverarsi ineluttabile della Scritture.

A sinistra di Gesù, dal punto di vista dell'osservatore, vi è San Pietro, che detiene una chiave, mentre a destra vi è San
Paolo, che invece impugna una spada. Un'ulteriore raffigurazione di San Paolo è la statua al centro del cortile. Paolo è
rappresentato adulto, con una folta barba e la spada.

La spada, oltre che strumento della sua morte, è una citazione alla lettera agli Efesini del santo stesso, nella quale egli
descrive come la parola di Dio sia più viva, efficace e tagliente di qualunque spada, poiché penetra l'uomo sino al
punto di divisione tra anima e spirito. La "parola di Dio" è anche individuabile nel libro che San Paolo regge nella
mano sinistra.
L'Arco trionfale di Galla Placidia
Oltre le colonne del quadriportico vi sono le tre porte d'ingresso alla basilica. Quelle
centrale, la più grande, è bronzea e presenta una Croce adornata da tralci di vite,
pianta che allude all'Ultima Cena di Cristo, per il vino, così come alla parabola
evangelica nella quale Gesù si paragonava ad una vite, i cui tralci sono i fedeli. Alla
vite sono attaccati degli ovali, in cui si trovano simboli evangelici, quali ad esempio il
toro, che è un riferimento a Luca. Attorno alla Croce vi sono degli angeli, mentre
sopra di essa la testa di San Paolo. La Croce separa i due battenti della porta: in
quello sinistro Cristo Pantocratore, ovvero onnipotente, assiste alla vita ad al martirio
di San Pietro, in quello destro alla vita e martirio di San Paolo. A destra della porta
centrale vi è la cosiddetta "Porta Santa", di origine bizantina e decorata da 54
pannelli. Essi presentano scene di vita di Gesù, storie degli Apostoli e dei Profeti. La
prima dozzina di pannelli raffigura le feste cristiane. La Natività è segnata dalla
nascita di Cristo, che, illuminato da una stella, giace su di un sepolcro anziché su di
una mangiatoia, poiché si predice la sua morte per la redenzione dell'umanità. La
Crocifissione presenta Gesù trionfante sulla morte, secondo il modello bizantino.
Nella Resurrezione il Figlio di Dio sottrae all'inferno Adamo ed Eva, per redimere
l'intera specie umana.
L'interno della basilica è a croce latina e diviso in 5 navate, con quella centrale che
ospita l'Arco trionfale di Galla Placidia. Al centro dell'arco vi è il busto del Salvatore
che nella mano sinistra regge un bastone mentre ha la mano destra con le dita alzate,
ad eccezione del pollice e dell'anulare, congiunti tra loro. Tale disposizione delle dita
è sinonimo della Trinità di Dio, le tre dita alzate, così come dell'incarnazione, l'unione
della natura divina e umana in Cristo, il pollice e l'anulare che si toccano. Ai lati del
Figlio di Dio, nel cielo con nuvole colorate, vi sono le rappresentazioni iconografiche
degli evangelisti: un toro, Luca, un uomo, Matteo, un leone, Marco ed infine
un’aquila, Giovanni. In basso vi sono due angeli e 24 uomini anziani che presentano
al Cristo le proprie corone, riferimento ai racconti dell'Apocalisse. L'interno dell'arco
è ornato da un mosaico, uno dei pochi elementi decorativi sopravvissuti all'incendio
della basilica ad inizio '800.
Abside con mosaico

Oltre l'arco vi è l'abside, al centro del quale sono situate quattro colonne scanala-
te in marmo, al di sopra delle quali vi è una ricca trabeazione. Il grande mosaico
absidale è diviso in due parti: in quella superiore è raffigurato Gesù in trono che
benedice con la destra e con la sinistra regge un libro che riporta una frase latina
sul Giudizio Finale dal vangelo di Matteo.
Alla sua sinistra San Pietro è accompagnato da Andrea, mentre alla sua destra San Paolo
viene presentato accanto a Luca. Accanto a quest'ultimi, sia a sinistra che a destra, vi
sono due alberi di palma, il cui significato è legato alla rinascita e all'immortalità. Gli
altri 10 apostoli sono rappresentati nella fascia inferiore, assieme a due angeli e ai santi
Mattia e Marco. Il pontefice Onorio, che commissionò l'opera,è raffigurato ai piedi di
Cristo molto piccolo, ad indicare la propriaumiltà. Accanto al l'abside, lungo la navata
centrale ed il transetto, si sviluppano 36 affreschi raffiguranti la vita di San Paolo,
l'ultimo dei quali rappresenta il Martirio del santo. Da qui si susseguono i
tondicontenenti tutti ritratti dei pontefici, da San Pietro fino all'attuale papa Francesco.
Questa successione è un chiaro riferimento alla continuità della chiesa.
La tecnica del mosaico
Il Mosaico è una tecnica decorativa con la quale
viene riprodotto un determinato disegno, per mezzo
di frammenti (detti tessere musive) di diversi
materiali, applicati su una superficie solida con del
cemento o del mastice.
È usato per ornare pavimenti, pareti o singoli
elementi architettonici e scultorei (amboni, balaustre
di chiesa, colonnine di chiostri ecc.). ​Ad esempio
nella basilica di San Paolo fuori le mura il timpano e
la facciata sono decorati a mosaico, mentre
nell'architettura greca si usava adornarli con
bassorilievi .
Si possono adottare molti tipi di materiali, che
permettono effetti diversi, tra cui ciottoli, pasta di
vetro, quadrati d'arenaria, ceramica smaltata, marmo,
oro, argento e vetro soffiato.​
Le tessere del mosaico necessitano di un supporto, il
più diffuso è il calcestruzzo (conglomerato di sabbia
e cemento), dato il suo basso costo e la sua
adattabilità a vari contesti. Si possono anche trovare
altri sostegni, come il legno o il vetro. ​
Come collante per le tessere musive il materiale più
utilizzato è la malta, applicabile su tutte le superfici. I
Romani tuttavia usavano fissare le tessere anche con
la cera.​
Storia del mosaico
Il mosaico fu in origine una tecnica con scopo pratico anziché estetico: per proteggere I muri o
i pavimenti in terra battuta li si ricopriva con argilla smaltata o ciottoli.
Le prime decorazioni musive risalgono ai Sumeri, per appunto tale scopo di protezione
della muratura. ​
A partire dal IV secolo a.C. s'iniziò ad usare cubetti di marmo, onice e pietre varie, poichè si possono
applicare con maggiore precisione dei ciottoli. Nel III secolo a.C. vennero introdotte le tessere
tagliate. ​
Proprio al III secolo a.C. Risalgono le prime testimonianze di mosaici a tessere. Inizialmente
influenzato da quello greco, il mosaico romano divenne poi indipendente, diffondendosi in tutto
l'Impero.
La tradizione del mosaico continuò con nuovi stilemi nel periodo bizantino. ​
Tra le più alte espressioni, si ricordano le chiese di Ravenna e quella di Santa Sofia a Costantinopoli.​
Tra il XI ed il XII secolo ha particolare sviluppo lo stile cosmatesco a Roma e in Italia centrale. ​

I Cosmati
I Cosmati furono la famiglia di marmorari romani più importante, ricevendo le più grandi
commissioni dai papi nel corso degli anni. Furono talmente abili nella decorazione musiva che oggi si
definisce "stile cosmatesco" quello utilizzato da questi maestri e dai loro imitatori. Al capostipite
della famiglia Tebaldo e alla sua bottega si deve la realizzazione di quasi tutti
i pavimenti musivi delle basiliche romane sotto I pontefici Pasquale II e Onorio III.
Nota opera cosmatesca, nonchè decorazione dei chiostro della basilica di San Paolo fuori le mura,
sono le colonne binarie di diversa forma, alcune delle quali decorate con tessere musive.
L'Affresco
L'affresco è una delle più antiche tecniche pittoriche, realizzata riempendo le

campiture con pigmenti stemperati nell'acqua su di un intonaco fresco. Il colore viene

assorbito dall'intonaco stesso dopo che quest'ultimo abbia completato
il processo di carbonatazione. L'affresco generalmente è suddivisibile in tre part: il
supporto, l'intonaco, ed il colore vero e proprio.​​
Il supporto è di pietra o mattoni; per permettere l'assorbimento dei pigmenti è necessario
che non sia una superficie irregolare. A tale scopo, si utilizza l'arriccio, una malta
composta da calce spenta o grassello, per "spianare" il supporto.
L'intonaco è invece costituito da un impasto di sabbia fine, polvere di marmo, calce ed
acqua.​
Il colore viene steso sull'intonaco quando è ancora umido e dev'essere un ossido, in modo
da non reagire chimicamente con la carbonatazione della calce.

Storia dell'Affresco
Gli affreschi erano già usati dai Minoici, ma fu sotto i Greci, gli Etruschi ed i Romani che se ne fece maggior
utilizzo.
In epoca paleo-cristiana e alto-medioevale la preparazione del muro fu velocizzatata: la fiogurazione si svolgeva
direttamente sulla preparazione.
L'affresco in quest'epoca veniva principalmente utilizzato per far arrivare il messaggio delle parabole anche ai
fedeli che non sapevano leggere. Ne sono testimonianza le opere della basilica di San Clemente, dove viene
rappresentato il miracolo del santo in meravigliosi affreschi parietali.
In epoca romanica la tecnica iniziò a raffinarsi: si cominciarono ad introdurre anche altri materiali, quali la paglia o i cocci,
al fine di mantenere l'umidità dell'intonaco durante i lunghi tempi di stesura.
Nel XIV secolo si apportarono importanti innovazioni alla tecnica: l'introduzione del disegno preparatorio, la sinopia e
lo svolgimento dell'opera in più giornate. La sinopia venne tuttavia sostituita nel Rinascimento dal cartone preparatorio

FINE
Riccardo Nuzzi Somasca
Matteo Pini Prato
Costanza Giordano
Margherita Dessi
Lisa Matarazzo
Luca Sforza

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