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Tuti i gusti i xe gusti, gh’era anca quel che ciuciava ‘n ciodo.

Esistono anche versioni un po’ più ricche. Ad esempio: «I gusti i xe gusti ga dito el muraro che ciuciava el ciodo, el can
che se roteava ne la merda e el gato che se lecava el cul».
Curiosa e pungente la variante trentina: «Question de gusti: come quel che se fregheva ‘l cul su le ortighe».
Più sconcia quella ligure: «Chi ghe piaxe a turta de risu, chi ghe piase piggialu int’u cȕ».

Sono le versioni dialettali del vecchio adagio latino: De gustibus non est diputandum ovvero “dei gusti non si discute”.
Il poeta Giuseppe Gioachino Belli scriveva invece: «Su li gusti, lo sai, nun ce se sputa».

È quello che i filosofi chiamano relativismo estetico: non esiste un bello oggettivo, valido per tutti ma solo opinioni
personali che non si possono discutere perché ognuno ha il suo punto di vista e tutto è equivalente.
Anche Goldoni apre così la sua opera “De gustibus non est disputandum”:

Il mondo è bel, perch’è di vari umori.


Vari sono degli uomini i capricci:
A chi piacciono l’armi, a chi gli amori,
A chi piaccion le torte, a chi i pasticci.
De’ gusti disputar cosa è fallace;
Non è bel quel ch’è bel, ma quel che piace.

Kant, però, nella “Critica del giudizio” distingue ciò che piace da ciò che è bello.
La bellezza è certamente un piacere: contemplare un bel paesaggio, un fiore o la Nascita di Venere del Botticelli dà
certamente un piacere. Ma non tutto ciò che è piacevole è necessariamente anche bello.

Il giudizio di gusto, infatti, è individuale: ognuno ha il suo e nessuno pretende che sia condiviso.
Pensate a un gruppo di italiani al bancone di un bar: chi vuole il caffè normale, chi macchiato caldo, senza zucchero,
lungo, corretto-sambuca, molto ristretto … mi raccomando!
Non si pretende che anche gli altri si adeguino al nostro gusto: è una questione molto personale che non implica
nessuna condivisione.
Possiamo però domandarci: il gusto individuale può comunque essere educato, migliorato? Se non possiamo definire il
cattivo gusto possiamo almeno distinguere un gusto grossolano da un gusto raffinato? Prendete ad esempio il vino: chi
è abituato a bere un vinaccio da osteria saprà gustare un Dom Pérignon del 1953, come James Bond in “Licenza di
uccidere”?
E poi c’è chi sa gustare poche cose e chi, invece, ha un orizzonte ben più ampio. C’è chi ascolta con sommo piacere e
competenza Mozart, Debussy, i Pink Floyd, gli Iron Maiden e magari anche Gigi D’Alessio. Chi ascolta solo Sfera
Ebbasta ovviamente ha molte meno possibilità e quindi gusta il piacere quantomeno in quantità più ridotta.

Quando invece si dà un giudizio di bellezza c’è l’aspettativa che il nostro piacere sia condiviso e quindi si discute. Se
sosteniamo che la Divina Commedia di Dante, la Trasfigurazione di Raffaello, l’Amleto di Shakespeare, il Taj Mahal, la
Nona di Beethoven …sono capolavori universali, beh, magari non tutti saranno d’accordo ma certamente ne possiamo
discutere e potremmo anche giungere all’opinione condivisa che l’opera “Merda d’artista” dello scultore Piero
Manzoni non è paragonabile al David di Michelangelo!

Platone riteneva che il Bello fosse un’Idea, avesse una realtà a sé stante ovvero indipendentemente dai singoli soggetti
e dalle loro opinioni. Il Bello è bello oggettivamente e tutto ciò che noi riteniamo bello è tale perché ha qualcosa a che
fare con questa idea di bellezza che tutti noi custodiamo nella nostra anima; anche se, forse, non ne siamo coscienti.

E quando diciamo “Quella è proprio una bella persona” cosa intendiamo? Qui il bello si identifica con il buono: una
bella persona è anche e soprattutto una persona giusta, buona, generosa, leale.
Ma chi stabilisce che cosa è buono? Ci sono davvero dei valori universali validi per tutti oppure ognuno può avere i
suoi?
È questo il relativismo morale.
Don Basilio, ne “Le nozze di Figaro”, suggerisce a Susanna di cedere alle proposte del Conte d’Almaviva:
Non c'è alcun male.
Ha ciascun i suoi gusti: io mi credea
che preferir dovreste per amante,
come fan tutte quante,
un signor liberal, prudente, e saggio,
a un giovinastro, a un paggio ...

Ognuno ha i suoi gusti anche in campo morale e può seguire le proprie passioni e i propri desideri. Ogni
comportamento è lecito perché non c’è un’unica legge valida per tutti e, se non c’è legge, non c’è colpa.
Non è un problema solo dei nostri giorni.
Protagora di Abdera, nel V secolo avanti Cristo, scriveva:
Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo, e dopo le
nozze brutto; presso i Greci è brutta l’una e l’altra cosa. Presso i Traci, il tatuaggio per le fanciulle è un ornamento;
presso gli altri popoli, invece, il tatuaggio è una pena che s’impone ai colpevoli... I Persiani reputano bello che anche gli
uomini si adornino come le donne e si congiungano con la figlia, con la madre, con la sorella; per i Greci son cose turpi
e contro legge.
Il relativismo appare a molti come la garanzia della tolleranza e della democrazia: un segno di libertà e di civiltà.
Nessuno può imporre le proprie convinzioni agli altri, altrimenti diventa arrogante, violento, prevaricatore.
Eh già! Però per vivere insieme è necessario avere alcuni valori condivisi e validi per tutti altrimenti non esistono né
società né legge: possiamo tollerare il nazismo, l’antisemitismo, la pedofilia e il traffico degli organi?
Ha scritto Claudio Magris: «Questo relativismo, in cui tutto è interscambiabile, non ha niente a che vedere col rispetto
laico dei diversi valori altrui accompagnato dal fermo proposito di contestarli rispettosamente ma duramente in nome
dei propri».
La verità esiste e - proprio per questo - ha senso la ricerca filosofica ed esistenziale; nessuno però può pretendere di
possederla né definitivamente né completamente.

Il nostro mondo è sempre più interconnesso, in una crescente mescolanza di usi, costumi e religioni per cui diventa
indispensabile saper mettere in discussione i propri tradizionali valori, integrandoli o abbandonandoli, se si incontrano
verità più profonde.
Con la consapevolezza però che ci sono pochi ma irrinunciabili principi che valgono per tutti, non importa se fondati
sulla parola di Dio o sulla Ragione. Ad esempio, il rispetto dell’altro e della sua dignità, come ci insegna Kant: «Agisci in
modo da trattare l'umanità che è in te e negli altri, sempre come un fine, e mai semplicemente come un mezzo».

Il proverbio del prossimo appuntamento: «Tempo, cul e siori i fa quel che i vol lori»

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