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ANDY WARHOL

IL PIU’ GRANDE ARTISTA DEL VENTESIMO SECOLO

Solo l’anno scorso, il grande Warhol è stato decretato come il più grande ed innovatore artista del
ventesimo secolo, più di Salvador Dalì, Picasso ed altri.

Ha fatto della pop art già nata nella prima metà degli anni ’60, la più grande rivoluzione mai
successa nella storia dell’arte contemporanea.
La nascita di fumetti “colti” come Barbarella ideata da Jean Claude Forest, fanno conoscere alla
gente, la tecnica di grafica fumettistica ed erotica che segnerà un epoca, dando così modo ai fumetti
di guadagnarsi un posto ambito ed allora assolutamente vietato a letture del genere, considerate
alienanti o peggio ancora.
Quelle copertine piene di colori forti, intensi, lisergici, e quei disegni così suadenti ed anche
sicuramente osè, cominciano a prendere piede, mentre un giovane Warhol, intravede negli oggetti a
lui più cari e che la massa consuma sempre più, un nuovo tipo di comunicazione, che però per
essere immediata, deve assolutamente rompere ogni schema della pittura allora usata, dai grandi.
I colori ad olio, lasciano il posto a smalti, tempere ed inchiostro, mentre le tecniche pittoriche ormai
diventate “classiche” lasciano posto agli stencil, adoperati per riprodurre più volte la stessa figura
senza doverla ridisegnare.

La scatoletta di zuppa Campbell’s diventa allora una vera e propria icona, un enorme sollievo per
gli occhi e per lo stomaco, quasi a poterlo riempire il solo vederla, sempre più grande e sempre più
frequentemente ripetuta nella tela, sostituita dalla carta, pannelli di legno, materiali plastici e
vinilici.
La coca cola, altra grande tentazione irresistibile per Warhol, che deve anch’essa avere un podio,
una posizione dominante, diventando non tanto grande come dimensioni, ma senza fine nelle sue
ripetizioni sugli enormi pannelli, come se non dovesse finire mai ( si deve pensare che le bottiglie
allora erano da 21 cl, poco più di un sorso e quindi destinate a finire in fretta.)

Vengono esorcizzate due paure dell’artista da cui cerca disperatamente di sfuggire: la fame e la sete.
Poi dopo essersi saziato, vuole divertirsi, così realizza copie delle più celebri star della musica e
soprattutto del cinema, così irraggiungibili per la massa d’allora, da far sembrare quasi che non
siano nemmeno umani.

Warhol propone allora di ingigantirli, (a volte arriva alla grandezza naturale), e ripeterli in colori
immaginari, lisergici ed onirici, come li sognava lui da piccolo, che come età non è più, ma come
spirito ed ingenuità continua a rimanere immutato nel tempo; li riproduce e li rende fruibili a tutti,
come se non avessero più mistero o meglio come se chiunque potesse avere un James Dean, o un
Elvis Presley personale, un Lennon verdognolo o una Marylin multicolor, solo per se.
Ma tutto ciò non basta, nella passione di creare e dare libera espressione al fuoco che arde dentro di
se, Warhol fonderà la Factory che cambierà diversi indirizzi negli anni, una vera innovazione di
quegli anni.
La Factory è una vera e propria fabbrica dove si crea, si distrugge, si rimodella e si cambia tutto e si
da forma a tutto: vengono girati film, cortometraggi underground che daranno poi ispirazione a Lou
Reed per fondare il suo primo gruppo “ Velvet Underground” diventando una parte del grande
macchinario del business artistico che si stava formando e che sembrava non avrebbe mai avuto
termine.

Decine di persone entravano ed uscivano in continuazione da quel luogo, spesso non sapevo
neppure chi fossero, ma ognuno lasciava qualcosa di se!
Questa è la definizione ricordo della Factory, come disse Warhol stesso in un’intervista.
Non c’è una sola direzione artistica in cui Warhol non si cimenta, anche servendosi di altre persone
che spesso fanno poi le spese di questo grande momento veloce che porta al consumo di beni che
diventano sempre più necessari, e delle persone, che diventano sempre più obsolete a velocità
vertiginosa, come grandi meteore che bruciano nell’atmosfera dell’artista, ma che poi si riducono
velocemente in cenere.
È un’anarchia controllata, o forse che ancora non esplode, quella che regna in quella grande fucina
di arte, letteratura e musica, e tutto quel che può essere riprodotto su pellicola o pannello o vinile.
Accanto alla prima copertina per Lou Reed, trova posto quella dei Rolling Stones, così come la
pubblicità della Esso con il marchio sbavato dalla troppa vernice sullo stencil, o dalle tele con
inserti in rame e ottone su cui veniva orinato da giovani pagati per bere litri di birra, in modo da
dare strane sfumature al metallo che si ossidava.
Le persone non possono essere riprodotte come gli oggetti, e così quando non funzionano più,
quando non si possono più mutare, allora bisogna sostituirli, senza pensarci nemmeno un po’, come
nel caso di quella che fu la sua storica e forse unica musa vivente Edy Sedgwick.
Venne inglobata, mangiata e digerita dalla Factory, come se palpitasse di vita propria, un
prolungamento di Warhol, una creatura venuta da un altro mondo, che si nutrì dell’anima di quella
ragazza che morì a soli 38 anni di overdose, dopo aver provato dalla prigione alla casa di cure per
malattie mentali.
Edy fu la musa che ispirò moltissime pellicole, centinaia di fotografie ed altro ancora, diventando
accanto a Andy, una stella del firmamento, le disegnò un carattere, ne cambiò la pettinatura, la
forma, la sostanza ed inevitabilmente ne assorbì l’anima, rendendola così piena di frustrazioni,
paure ed insicurezze, facendola piombare dal cielo pieno di stelle al marciapiede, dove era stata
trovata.
Warhol usò la giovane bellezza di Edy, per promuovere la factory, per aumentare le produzioni, che
come in una vera fabbrica crescevano sempre più, e dove ormai non si sapeva neanche più di chi
fosse questo o quello, ma tutto era di tutti, ma era anche di nessuno.
Edy che venne così salvata dalla strada dove inevitabilmente sarebbe finita prima o poi, venne
messa a sedere su di un trono di velluto, ori, champagne e pagine patinate di riviste famose, che non
avrebbero nemmeno pensato per sbaglio a lei, se non avesse conosciuto Warhol, arrivando a
diventare per una specie di droga, che si aggiungeva a quella di cui faceva uso abbondante, e
quando venne a conoscere Bob Dylan, mollò tutto per andare con lui, seguire quell’icona,
finalmente in carne ed ossa che le veniva presentata, e quando lui la scartò, come una delle tante, lei
si sentì tradita e tornando sui suoi passi, si sentì abbandonata completamente davanti al rifiuto di
Warhol di prenderla ancora con se.
Il suo tempo era scaduto e non poteva più tornare.
La musica comincia una nuova era chiamata Glam, che racchiude Marc Bolan, che ispira poi David
Bowie, che ne diventa una vera e propria icona di quell’epoca così in subbuglio.
Si riscoprono libri e letteratura, fino ad allora poco considerata, comincia l’epoca dei whriters di
città, una sorta di poeti maledetti che scrivono sui muri le loro verità, invece che su carta.
Il libro di George Horwell “ 1984” ispira David Bowie che ne trarrà un intero album “diamond
dogs”, proprio nel primo pezzo intitolato “future legend” dove dice:
Pulci grandi come ratti succhiavano il sangue di ratti grandi come gatti;
E diecimila umanoidi, divisi in piccole tribù,
Arrancavano sul più alto tra gli sterili grattacieli.
Proprio queste parole sembrano dare ispirazione ad un giovane di colore che si chiama Jean
Michel Basquiat, che dal dormire sulle panchine del parco, perché non ha nemmeno una casa,
diventa uno dei massimi esempi di artista di quel che viene chiamata, il grafittismo.
Samo, come si firmava sui grandi muri neri, dove scriveva le sue poesie, conosce ed incontra
Warhol per caso, e riesce a vendergli qualche suo lavoro, della grandezza di una cartolina, che
lui portava sempre con se, comincia quindi a frequentare quello che per lui diverrà in pochi
anni una vera e propria miniera d’oro, dipingendo tele sempre più grandi di quel universo a lui
noto, dove gli enormi grattacieli, sembrano ancora più imponenti se li guardi dal basso di una
panchina, e dove le pulci sembrano grosse come topi quando ti pungono senza tregua perché
non riesci a cambiarti e a lavarti per settimane.
Basquiat segue wahol in tutto il mondo diventando la sua ombra, il suo amante, la sua musa e
qualcosa di così irrinunciabile, che quando Warhol morirà, Jean Michel non tarderà a
raggiungerlo per un’overdose di eroina e solitudine di quelle che ti mangiano dentro, soltanto
un anno dopo.
Warhol arriverà fino a Ferrara (la sua prima tappa italiana) nel 1975 dove vi resterà
fisicamente con tutta la sua “corte” per 3 giorni, presentando una delle mostre più significative
dell’artista “ladies and gentlemen” .
Girerà film come “lonesome cowboys” il primo e vero film sulla presunta e nel caso della
pellicola, ostentata omosessualità di quella che è sempre stata considerata come la classe più
“macho” che possa esistere, e che influenzerà il regista Ang Lee per il suo film molto discusso

”.

Warhol morirà nel 1987 per le complicazioni dovute ad un colpo di pistola che gli sparò

Valerie Solanas, anch’essa


frequentatrice della factory, ma di cui non si è mai sentita di farne parte, così presa dalla
frustrazione e carica della frase di Warhol stesso, che disse che nel futuro ognuno avrebbe
avuto il suo quarto d’ora di notorietà, lei lo ottiene sparando proprio al suo mito, come
avvenne nel ’79 per John Lennon.

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