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In seguito alla lettura Interactivity and live computer music di Sergi Jordà e Live Electronic Music di

Nicolas Collins ho avuto modo di approfondire gli aspetti legati alla storia e allo sviluppo dei mezzi e degli
strumenti legati al mondo della musica elettronica e non senza stupore, data la complessità – che già mi
immaginavo – e la quantità di sperimentazioni, alcune quasi al limite della creatività (ad esempio CKT
(1974) di Paul de Marinis, del quale si dice che “utilizzò pezzi di verdura come componenti elettrici, in modo
che i circuiti elettrici venissero così sottoposti ad un processo di invecchiamento naturale”).

Un aspetto che mi ha colpita particolarmente è presente nel testo di Jordà, quando si parla di
interazione e musica interattiva; per esserci interazione, deve per forza essere presente una reciproca
influenza o un’azione in funzione della quale si risponde e si reagisce all’altra. Questo fa considerare il
computer, o il device da cui scaturisce il suono, al pari di un esecutore in carne ed ossa. Non solo, ma c’è la
volontà – che agli albori delle sperimentazioni è solo un’ambizione, mentre andando avanti con le decadi
diventerà sempre più concreta – di rendere l’intervento del mezzo elettronico non soltanto una risposta
automatica ad uno stimolo, bensì una risposta non prevedibile; insomma, di costruirgli un’intelligenza che
sia in grado di recepire il carattere, il colore, la dinamica dello stimolo e di produrne uno affine o contrario.
Questa considerazione conferisce in automatico all’elettronica delle specificità tipiche dell’umano

In occasione del compleanno del suo caro amico e collega flautista Ivo Visser, che stava per festeggiare i
suoi 50 anni, Egbert Jan Louwerse decise di scrivergli un brano per flauto solista. Dal momento che lo
soprannomina scherzosamente “Vis” (che in olandese significa “Pesce”) è stata per lui una decisione ovvia
quella di scrivere qualcosa che girasse attorno a questo nomignolo. Come spesso fa quando scrive usando
l’elettronica, Louwerse ha utilizzato nella sua composizione effetti che rimandassero al mondo marino.
Mentre componeva, entrava in un mondo sonoro subacqueo, misterioso e tranquillo, pieno di bolle e suoni
dagli abissi, approfondendo in particolare gli intriganti suoni delle balene, cercando di capire sia come quei
suoni potessero essere sia “tradotti” in note e destinati al flauto, sia come potesse inserirli in un contesto
dialogante con lo strumento. Egli stesso, flautista, utilizza alcune tecniche e alcuni effetti conosciuti già da
decenni, ma molto efficaci, scoprendo, se non nuove tecniche, un nuovo modo di collocarle alle immagini
che voleva rievocare: in questo modo cercò di capire come bolle, richiami di balena, suoni che
richiamassero il movimento delle onde avrebbero suonato sul flauto. Mentre si lasciava ispirare da questa
figura animale per la stesura del proprio brano, Louwerse riscopre la grazia ma anche il mistero di queste
grandi creature marine; perciò, per rendere ancora più suggestiva l’esperienza di ascolto ha deciso di non
renderla soltanto uditiva, ma anche visiva, inserendo immagini video (opzionali) da proiettare sugli abiti
dell’esecutore durante lo svolgimento dell’opera. “50 Fish” è un viaggio sott’acqua che immerge
l’ascoltatore tra i suoni e i colori presenti nella profondità dell’oceano, in cui egli si lascia guidare
incontrando ad un certo punto del viaggio le balene che, improvvisamente, così come appaiono, altrettanto
velocemente se ne vanno scomparendo in lontananza, regalando quell’attimo di stupore e meraviglia di un
mondo apparentemente molto lontano, ma molto affascinante.

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