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ITALO SVEVO

VITA
Italo Svevo, pseudonimo Hector Schmitz, nasce a Trieste, allora territorio dell’impero asburgico nel
1861. Gli studi di Svevo, iniziati in Baviera e proseguiti a Trieste, vengono indirizzati dal padre
verso la carriera commerciale, ma il giovane Svevo contemporaneamente si dedica alla lettura di
scrittori tedeschi, come Goethe, Schiller, Heine, manifestando il suo grande interesse letterario.
Fa parte di un’agiata famiglia borghese ma nel 1880, in seguito ad un investimento industriale
sbagliato, l’azienda paterna fallisce e Svevo si trova a vivere l’esperienza della declassazione
sociale passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Italo Svevo è costretto a
cercare lavoro e ad impiegarsi presso la filiale triestina della Banca di Vienna. Parallelamente
coltiva la sua passione letteraria cominciando a scrivere.
A proprie spese, nel 1892 Svevo pubblica il suo primo romanzo Una vita e poi  Senilità. Queste due
opere non incontrano i gusti del pubblico e della critica di quei tempi.
Lo scarso successo di questi primi due romanzi induce Italo Svevo ad abbandonare l’attività
letteraria. Svevo giura a se stesso che non avrebbe mai più dedicato del tempo al "vizio" della
letteratura. Muore la madre, a cui lo scrittore era molto legato.
Italo Svevo sposa la cugina Livia Veneziani, molto più giovane di lui e l’anno successivo nasce la
sua unica figlia, Letizia. I suoceri sono ricchi industriali, ciò permette a Svevo di lasciare l’impiego
in banca per entrare come dirigente nella ditta dei suoceri ed uscire definitivamente dalla situazione
di ristrettezza economica. Due eventi inducono Italo Svevo a riprendere l’attività letteraria:
• l’incontro nel 1905 con James Joyce, il celebre scrittore irlandese, che viveva allora a Trieste
che diede dei giudizi lusinghieri sui due romanzi pubblicati in precedenza da Svevo.
• l’incontro con la psicoanalisi e con le opere di Freud, ancora sconosciuti in Italia, che avviene
tra il 1908 e il 1910. L’occasione è data dal cognato di Svevo che in quegli anni aveva sostenuto una
terapia a Vienna con Freud.
Nel 1919, Svevo inizia il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che viene pubblicato nel 1923.
Come per i due precedenti romanzi, l’opera passa inosservata.
Grazie a James Joyce, a cui Svevo invia il romanzo, l’opera, tradotta in francese, conosce
immediatamente una larga fama in Francia, dove, all’epoca, Joyce si era trasferito a vivere, e
successivamente in Europa. L’Italia continua invece ad ignorare il valore di Svevo e l’unica voce a
suo favore è quella di un giovane poeta, Eugenio Montale.
Italo Svevo, già in condizioni di salute precarie, muore il 13 settembre 1928 a causa di un collasso a
seguito di un incidente automobilistico.
CULTURA DI SVEVO
Schopenhauer, Nietzsche e Darwin
La base dell’opera alla base dell’opera di Svevo c’è una robusta cultura filosofica arricchita
dall'apertura verso la scienza. Il pensatore che ebbe un peso determinante fu Schopenhauer, che
opponeva un pensiero irrazionalistico al sistema hegeliano, affermando un pessimismo radicale e
come salvezza la contemplazione e la rinuncia alla volontà di vivere. Svevo conobbe anche
Nietzsche: da lui trasse l’idea del soggetto non come salda unità, ma come pluralità di stati in fluido
divenire. Un altro punto di riferimento fu Darwin, con la teoria evoluzionistica fondata sulla lotta
per la vita. Svevo però tendeva ad utilizzarli in modo critico, cioè per fornire risposte alle sue
esigenze. Rifacendosi a Marx e Schopenhauer, nei romanzi mira a mascherare gli autoinganni dei
suoi personaggi. Rifacendosi al determinismo positivistico darwiniano, presenta il comportamento
degli eroi come prodotto di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà. Ma coglie
anche comportamenti che sono prodotto storico. Quindi mette in luce la responsabilità individuale
nell’agire.
I rapporti col marxismo e psicoanalisi
Fu influenzato dal socialismo e dal marxismo poiché nei romanzi c’è la percezione dei conflitti di
classe e la consapevolezza del fatto che i fenomeni sono condizionati dalla realtà delle classi. I
conflitti dei suoi eroi non sono dell’uomo in assoluto, ma del borghese di un determinato periodo.
Inoltre dal marxismo assorbe anche l’atteggiamento critico verso la società borghese. Però non
condivise la dittatura del proletariato e preferì prospettive utopistiche.
Problematico fu anche il rapporto con la psicoanalisi. Verso Freud lo spingeva l’interesse per le
tortuosità della psiche profonda. Ma non apprezzava la psicoanalisi come terapia, ma come
strumento di conoscenza, capace di indagare più a fondo la realtà psichica e di conseguenza, come
strumento narrativo.
I maestri letterari
Quelli che ebbero più peso furono i romanzieri realisti francesi. Da Flaubert di Madame Bovary,
egli ha preso la maniera impietosa di rappresentare la miseria della coscienza piccolo borghese.
Nitti e Brentani sono dei sognatori che evadono dal grigiore della loro vita quotidiana, costruendosi
una realtà alternativa; filtrano tutta la loro esperienza attraverso stereotipi ricavati dai libri, sino a
restarne vittime. Flaubertiano è anche l’irrisione fredda verso quei 2 personaggi. In realtà questi
comportamenti sono anche propri dello scrittore. Il modello zoliano si scorge invece nella
ricostruzione minuziosa dell’ambiente della banca. Da Bourget, scrittore in polemica col
naturalismo zoliano, ricava il romanzo psicologico. Dai romanzieri russi fu influenzato da
Tugheniev, che presenta personaggi inetti, sognatori e inconcludenti. Da Dostoievskij ricava la
descrizione delle zone segrete della psiche. Fu influenzato poi anche dagli umoristi inglesi come
Swift, Sterne, Dickens, nel mettere l’umorismo nella Coscienza di Zeno. Infine l’amicizia con Joyce
contribuì a rafforzare la fiducia nelle proprie forze intellettuali. Una critica frettolosa ha potuto
accostare il ‘flusso di coscienza’ dell’Ulisse di Joyce alla confessione di Zeno. In realtà la tecnica
narrativa della Coscienza di Zeno non ha punti di contatto con l’Ulisse.
La lingua
La prosa di Svevo è lontana dal ‘bello scrivere’ . Ma occorre tener presente che la lingua da lui
parlata era il dialetto triestino, e per bocca di Zeno rivela la difficoltà nel trovare termini appropriati.
Svevo inoltre conosceva perfettamente il tedesco, e ci sono tracce di costrutti tedeschi nella
scrittura. La sua prosa non è brutta, ma anzi è efficacissima nel rendere le tortuosità labirintiche
della psiche. Inoltre la scrittura sveviana tende a riprodurre il modo di esprimersi dei personaggi.
Ciò vale per i 3 romanzi. Certe imperfezioni stilistiche sono quindi volute.
OPERE
-Una vita
Avrebbe voluto intitolarlo Un inetto, ma fu sconsigliato dall’editore che lo riteneva poco
accattivante. Alfonso Nitti abbandona il paese e la madre per venire a lavorare a Trieste, dopo che la
morte del padre medico, ha lasciato la famiglia in ristrettezze. Si impiega presso la banca Maller,
ma il lavoro gli appare arido. Imbevuto di letteratura, si costruisce dei sogni da megalomane.
L’occasione per un riscatto gli è offerta da un invito a casa del padrone della Maller, dove conosce
Macario, giovane brillante e sicuro di sé. In Macario Nitti trova un appoggio nella sua timidezza. La
figlia di Maller, Annetta, sceglie Alfonso come collaboratore nella stesura di un romanzo. Alfonso,
pur senza amarla, la seduce e la possiede. A questo punto potrebbe trasformare la propria vita
sposandola, ma per paura fugge da lei e adduce come pretesto una malattia della madre. Dopo la
morte della madre, effettivamente ammalata, ritorna a Trieste. Credeva di aver superato le passioni,
invece, appreso che Annetta si è fidanzata con Macario, è geloso; si sente anche ferito dal disprezzo
in banca. Trasferito ad un compito di minore importanza, affronta il signor Maller, ma si lascia
sfuggire frasi che vengono interpretate come ricatti. Scrive ad Annetta per chiederle che cessino le
persecuzioni verso di lui ma il suo tono sembra di nuovo ricattatorio. All’appuntamento che ha
chiesto con la ragazza si presenta il fratello, che lo sfida a duello e si lascia uccidere.
I modelli letterari
-Si rifà al romanzo della scalata sociale: un giovane provinciale ambizioso vuole avere successo
nella società cittadina (es. il Rosso e il Nero), ma Alfonso sogna il successo senza mai muovere un
dito per conquistarlo.
-Si rifà al romanzo di formazione: percorso secondo cui un giovane si forma alla vita.
-Influsso di Zola: volontà di ricostruire un settore di attività della società, come nella descrizione di
aspetti tecnici del lavoro di banca, oppure l’indagine sociale nella descrizione della famiglia
Lenucci oppure nello scontro che oppone l’eroe ai meccanismi della società capitalistica, che
schiaccia i deboli ed è rappresentata dalla Maller.
L’inetto
L’inettitudine è una debolezza, un’insicurezza psicologica che rende l’eroe incapace alla vita.
Alfonso è un piccolo borghese ed è intellettuale. Il combinarsi di questi 2 fattori lo rende ‘diverso’
nella società borghese, i cui unici valori sono il profitto e la produttività. Alfonso è afflitto da questa
diversità e l’impotenza sociale diventa impotenza psicologica: il giovane non coincide più con
un’immagine virile e forte, quella imposta dalla società borghese. Alfonso quindi ha bisogno di
crearsi una realtà compensatoria: la cultura umanistica diventa motivo di orgoglio. Si costruisce così
una maschera fittizia e gratificante, tipico dell’inetto sveviano.
Gli antagonisti
Maller è l’incarnazione della figura di Padre, possente e terribile (Alfonso è alla ricerca di una
figura paterna a cui appoggiarsi per trovar sicurezza). Macario è brillante, disinvolto, sicuro di sé,
adatto alla vita. Sottrarrà all’eroe la donna. Ha tutte le qualità che Alfonso non ha.
Impostazione narrativa
La narrazione è condotta da una voce fuori campo, in terza persona, ed è vicino al codice
dell’impersonalità di Flaubert. Predomina la focalizzazione interna del protagonista: il punto di
vista da cui sono narrati i fatti è nella sua coscienza, il lettore vede le cose come le vede Alfonso.
Inoltre si intrecciano sogni, velleità, momenti di lucidità, autoinganni, etc. Le riflessioni di Alfonso
e quelle della voce narrante sono intricati. Non c’è l’esplorazione di una coscienza, ma della
pluralità di piani contraddittori di una psiche, che danno l’impressione di intrecciarsi all’infinito.
Spesso il narratore interviene nei punti chiave per giudicare un’azione, a smentire
un’interpretazione. Il romanzo si regge su questa opposizione tra punti di vista antagonisitici.

-Senilità
Emilio Brentani, trentacinquenne, vive di un modesto impiego presso la società di assicurazioni
triestina e con una certa reputazione abito cittadino per un romanzo pubblicato anni prima. Egli ha
attraversato la vita con prudenza, evitando i pericoli ma anche i piaceri, appoggiandosi alla sorella
Amalia e all’amico Stefano Balli che è uno scultore, con personalità forte, che compensa
l’insuccesso artistico con la fortuna con le donne, e che rappresenta una figura paterna.
L’insoddisfazione per la propria esistenza vuota lo spinge a cercare godimento con una ragazza del
popolo, Angiolina, imitando il dongiovannismo di Balli. In realtà si innamora perdutamente e la
idealizza in una creatura angelica. Angiolina in realtà ha amanti ed è mentitrice, scatenando la sua
gelosia. Ma egli non riesce a staccarsi dalla ragazza. Prova a separarsi da lei ma diviene prostrato.
Così riallaccia la relazione, la possiede ma lo lascia insoddisfatto, perché ha avuto la donna reale, di
carne, che disprezza. E’ disgustato da lei, che si rivela rozza e volgare. Balli s’interessa di lei e la
ragazza si innamora di lui. Anche Amalia si innamora di Balli. Emilio, accortosene, lo allontana ma
così distrugge la vita della sorella. Amalia si suicida con l’etere, soccombendo in una polmonite.
Emilio, all’appuntamento con Angiolina, scopre l’ennesimo tradimento e la insulta pesantemente.
Così torna a rinchiudersi nel guscio della senilità. Nei suoi sogni fonde le figure di Amalia e
Angiolina, in un’unica figura intellettuale, simbolo di un’utopia socialista.
Il titolo pensato era Il carnevale di Emilio, riferendosi che gran parte della vicenda era ambientata
nel periodo di carnevale, ma aveva anche valore allusivo: la relazione di Emilio con Angiolina è
simile al carnevale, in cui per breve tempo ci si diverte, ma presto si ritorna all’esistenza consueta.
Struttura psicologica del protagonista
Questo romanzo non offre più un quadro sociale, ma si concentra sui 4 personaggi. Inoltre non sono
più affrontati direttamente i problemi sociali, quindi i fatti esteriori e la descrizione di ambienti
fisici e sociali hanno poco rilievo: ciò che conta è la dimensione psicologica.
Emilio Brentani è il fratello carnale di Alfonso Nitti. E’ un piccolo borghese e al tempo stesso un
intellettuale. Dal punto di vista psicologico è un debole che ha paura di affrontare la realtà e quindi
si è costruito un sistema protettivo, conducendo un’esistenza calma con la rinuncia al godimento. E’
una sorta di limbo e sospensione vitale, che è definita ‘senilità’. Essa si oggettiva nella chiusura
entro il nido domestico. Ma resta in Emilio un’inquietudine, che nasce da un desiderio irrefrenabile
di godimento. La vita e il godimento assumono le sembianze di Angiolina, che diventa simbolo di
pienezza vitale. Ma proprio la relazione con lei fa venire alla luce l’inettitudine di Emilio ad
affrontare la realtà.
Questa inettitudine è immaturità psicologica: Emilio ha paura della donna e del sesso e quindi
sostituisce alla donna reale una donna ideale, trasformandola in una creatura angelica, equivalente
alla madre. Nel rapporto con lei Emilio rivela un bisogno di dolcezza materna. Il possesso fisico lo
lascia insoddisfatto perché contamina il puro ideale.
L’inetto e il superuomo
Nella relazione con la donna si costruisce quell’immagine virile che non sa incarnare nella realtà, e
si compiace di recitare un ruolo paterno nei suoi confronti, immaginandosela ingenua. In realtà
Emilio non coincide con l’uomo forte e sicuro proposto dalla società borghese ottocentesca. Quella
figura era entrata in crisi in quell’età di intense trasformazioni, col trionfo della società massificata
che distruggeva l’idea di individuo. Emilio quindi incarna questa crisi.
Per questo si appoggia a Balli, che è forte, dominatore. In realtà anche quest’ultimo cela una
debolezza. I 2 personaggi incarnano 2 risposte diverse ma complementari alla stessa crisi: Emilio è
il chiudersi vittimistico nella sconfitta, Balli ha la fisionomia di superuomo e rappresenta il tentativo
di rovesciare l’impotenza in onnipotenza, mascherando la debolezza con l’ostentazione della forza
dominatrice. In superficie è il racconto di un’ossessione amorosa, in realtà è il ritratto
dell’intellettuale piccolo borghese di un periodo di crisi.
La cultura di Emilio Brentani
Emilio rivela la dipendenza dalla cultura umanistica, trasformando la donna in una figura angelica,
prendendo le mosse dallo Stilnovismo per arrivare alla cultura romantica. Può vedere Angiolina
anche come donna fatale, secondo cliché tardoromantici e dannunziani.
Per quanto riguarda la filosofia e la politica, in lui ci sono residui positivistici, in quanto si atteggia
a scienziato che studia freddamente Angiolina, convinto che i comportamenti umani siano regolati
dalle leggi della natura, ma manifesta anche un pessimismo filosofico di matrice shopenhaueriana e
superomismo nietzschiano in quanto si sente uomo immorale superiore. Ha idee socialiste intrise di
utopismo e umanitarismo sentimentale. Svevo proietta nel personaggio la sua stessa cultura. Ma
quelle tendenze culturali sono ridotte a stereotipi.
In realtà questi principi filosofici e politici sono anche falsi, perché il suo modo di agire è del tutto
diverso rispetto all’ideologia professata. L’eroe si atteggia come scienziato studiando freddamente
la ragazza ma poi si rivela un romantico, che idealizza la donna; se si presenta come uomo
immorale superiore, che disprezza la morale comune, appare schiavo di un moralismo perbenista,
per cui si scandalizza della libertà sessuale della ragazza del popolo, ossessionato dal culto della
fedeltà, della famiglia e della carriera.
Il suo pessimismo filosofico è paura della realtà, nata non dall’esperienza, ma succhiata dai libri.
Così il suo socialismo rivoluzionario è il sogno evasivo di un letterato ozioso, senza mai passare
all’azione e che cela un aristocraticismo sprezzante verso il popolo. Quindi i principi filosofici e
politici di Emilio sono solo maschere che il personaggio indossa per occultare ai suoi stessi occhi la
sua debolezza. Emilio rappresenta un ceto sociale in crisi, con tutte le sue contraddizioni.
Impostazione narrativa
Svevo ha un atteggiamento critico. I fatti sono filtrati quasi sempre attraverso la coscienza del
protagonista e sono presentati come li vede lui. Ma poiché Emilio è portatore di una falsa coscienza
e si costruisce maschere, il suo punto di vista è inattendibile. Questa inattendibilità è denunciata da
Svevo attraverso 3 procedimenti narrativi. In primo luogo la voce del narratore interviene con
commenti taglienti quando smaschera gli autoinganni. Così si presentano 2 prospettive: quella del
protagonista e quella del narratore, che ha lucidità superiore. Altre volte i giudizi sono affidati a
sfumature ironiche nell’uso di aggettivo o avverbio. Ma spesso il narratore tace di fronte alle
menzogne del protagonista: basta il contrasto che si crea tra le mistificazioni di quest’ultimo e la
realtà oggettiva. Può essere definita ironia implicita o oggettiva. Il terzo procedimento è la
registrazione del suo linguaggio, sia nelle battute del discorso diretto, sia nel discorso indiretto
libero. Il linguaggio di Emilio appare stereotipato con espressioni enfatiche e al tempo stesso banali.
Ma non bisogna attribuire allo scrittore stesso uno stile del genere. Qui Svevo mima il linguaggio
del suo personaggio, che è lo specchio della sua cultura.
-La coscienza di Zeno
Il nuovo impianto narrativo
Il terzo romanzo appare 25 anni dopo Senilità. Il nuovo romanzo risentì di eventi storici come la
Prima Guerra Mondiale, e di eventi culturali come la nuova società europea, la concezione del
mondo, le avanguardie letterarie e artistiche, la psicoanalisi e la relatività. La Coscienza è una
confessione autobiografica che Zeno Cosini scrive su invito del dottore S. Stesso, per vendicarsi del
paziente, che si è sottratto alla cura frodando al medico il frutto dell’analisi. A questo testo di
aggiunge una sorta di diario di Zeno, in cui questi spiega l’abbandono della terapia e si dichiara
sicuro della propria guarigione in coincidenza con i successi commerciali ottenuti durante la guerra
con speculazioni. Ha un impianto autodiegetico.
Il trattamento del tempo
Svevo chiama il tempo ‘tempo misto’. Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione
cronologica, inseriti in un tempo oggettivo, ma in un tempo soggettivo, in cui il passato si intreccia
infinitamente al presente, in un movimento incessante.
La struttura del racconto non è lineare ma si spezza in momenti distinti. La ricostruzione del proprio
passato si raggruppa intorno a temi fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. Così,
singoli capitoli, dedicati ad un particolare tema, possono abbracciare vari periodi della sua vita. La
narrazione va avanti e indietro nel tempo, seguendo la memoria del protagonista. Dopo la
prefazione del dottor S. e un preambolo in cui Zeno racconta i tentativi di risalire all’infanzia, gli
argomenti sono: vizio del fumo, morte del padre, storia del proprio matrimonio, rapporto con
moglie e amante, la storia dell’associazione commerciale con il cognato Guido Speier. Alla fine c’è
il capitolo Psico-analisi, in cui Zeno sfoga il proprio livore contro lo psicoanalista e racconta la
propria presunta guarigione.
Le vicende
Il protagonista-narratore è una figura di inetto che Svevo stesso definisce un fratello di Emilio e
Alfonso. Negli anni giovanili conduce una vita oziosa, passando da una facoltà universitaria
all’altra, senza mai giungere ad una laurea e senza dedicarsi ad attività serie. Il padre, facoltoso
commerciante, non ha la minima stima per il figlio, e nel testamento lo consegna in tutela
all’amministratore Olivi. Zeno, pur amando sinceramente il padre, con la sua inconcludenza non fa
che procurargli amarezze e delusioni, rivelando inconsci ostili. Il vizio del fumo, a cui Z. collega
sensi di colpa, ha nel suo fondo inconscio proprio l’ostilità contro il padre, il desiderio di sottrargli
le sue prerogative virili e farle proprie (inizia a fumare rubando un sigaro acceso dimenticato dal
padre). Quando il padre sta morendo, quest’ultimo gli dà uno schiaffo e non sa se è un gesto
prodotto dall’incoscienza oppure da un’intenzione punitiva. Cerca di costruirsi giustificazioni per
dimostrare a se stesso di non aver colpa nei confronti del padre. Ora Zeno va subito in cerca di una
figura sostitutiva del padre e la trova in Giovanni Malfenti, che incarna la tipica immagine del
borghesee rappresenta l’Antagonista. Zeno s’innamora della figlia Ada (di Malfenti) ma col suo
comportamento goffo sembra far di tutto per alienarsi i sentimenti della ragazza. Respinto da lei, si
rivolge ad Alberta che lo rifiuta, e poi fa la proposta alla sorella più brutta, Augusta. Si rivela la
donna di cui ha bisogno, amorevole come una madre. E’ l’antitesi di Zeno, perché come il padre ha
un solido sistema di certezze. Zeno soffre di nevrosi e proietta nella malattia la propria inettitudine
ed attribuisce la colpa dei malanni propri al fumo. Cerca di liberarsi dal vizio, ma fallisce. Alla
moglie affianca la giovane amante Carla, una ragazza povera che egli finge di proteggere in modo
‘paterno’. Ma questo rapporto è difficile perché Zeno prova sensi di colpa verso la moglie e Carla lo
abbandona per un uomo più giovane. Zeno aspira a entrare nella borghesia divenendo buon padre e
buon uomo d’affari. Fonda quindi un’associazione commerciale col cognato Guido, che ha sposato
Ada. Questi è un bell’uomo, sicuro di sé, l’antitesi di Zeno ed è il Rivale. L’amicizia fraterna
ostentata mascherano un odio profondo, che si traduce ai funerali di Guido, morto suicida per
dissesto finanziario: Zeno sbaglia corteo funebre. Ormai anziano, intraprende la psicoanalisi ma si
ribella alla diagnosi del medico, che individua il complesso edipico. Lo scoppio della guerra lo
trasforma casualmente in uomo d’affari, e si proclama così guarito, anche se non vero. Zeno infine
sottolinea il confine incerto tra salute e malattia e si conclude con una riflessione sull’uomo
costruttore di ordigni, che porteranno ad una catastrofe cosmica.
L’inattendibilità di Zeno narratore
Il narratore della Coscienza, cioè Zeno stesso, è chiaramente inattendibile. Lo denuncia subito la
prefazione del dottor S., che insiste sulle bugie del memoriale. L’autobiografia di Zeno è un
tentativo di autogiustificazione che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti col padre,
con la moglie, con l’amante, con Guido; in realtà traspaiono i suoi impulsi reali, che sono ostili e
omicidi. Ma non sono menzogne intenzionali: sono autoinganni determinati da processi
inconsapevoli, con i quali cerca di tacitare i sensi di colpa. Ogni gesto rivela motivazioni ambigue,
addirittura opposte a quelle dichiarate consapevolmente. Per cui la coscienza appare come una
cattiva coscienza e il titolo può anche essere letto come ‘L’incoscienza di Zeno’.
La funzione critica di Zeno
A differenza di Emilio, Zeno non è solo oggetto di critica, ma anche soggetto. Vi è sia l’ironia
oggettiva che pesa su Zeno, sia il distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo. La sua malattia
funziona da strumento straniante nei confronti dei ‘sani’. Zeno, nella sua imperfezione di inetto, è
disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le forme dell’esistenza, mentre i sani sono
cristallizzati in una forma rigida. In Zeno non vi è un atteggiamento critico verso il mondo, ma vi è
un disperato bisogno di salute: vorrebbe essere buon padre, abile uomo d’affari. Però non riesce mai
a coincidere con quella forma compiuta di uomo. Il suo sguardo di irriducibile estraneo corrode quel
mondo, ne mina alle basi le certezze indiscusse. Zeno scopre che la salute atroce degli altri è
anch’essa malattia. Il suo sguardo fa divenire tutto ambiguo e l’oggetto di questa messa in
discussione è proprio la salute degli essere normali. In Zeno si fondono menzogna e acutezza, in
modo che è impossibile fissare confini certi. Zeno è un personaggio negativo da una parte, ma
dall’altra positivo perché è strumento di conoscenza, perché porta alla chiarezza la realtà degli altri.
L’inettitudine e l’apertura al mondo
Nel saggio L’uomo e la teoria darwiniana, l’inetto appare come un abbozzo, un essere in divenire,
mentre i sani, che sono già compiuti, sono incapaci di evolversi ulteriormente, cristallizzati nella
loro forma definitiva. Ora l’inettitudine non è più considerata un marchio di inferiorità ma è una
condizione disponibile ad ogni forma di sviluppo. Il saggio è la prova che l’atteggiamento di Svevo
verso l’inetto non è più quello critico ma è aperto e problematico. Poiché Zeno è un eroe non del
tutto negativo, è portatore oggettivo di una visione straniante e non avrebbe più ragione d’esistere
un narratore esterno al narrato. Quindi la voce narrante inattendibile di Zeno è l’unica fonte del
narrare. Tutto il resto diviene aperto e passibile di varie interpretazioni. L’atteggiamento dello
scrittore verso gli eroi rivela il passaggio dalla visione del mondo chiusa, propria della cultura
ottocentesca, alla visione aperta propria del Novecento; l’evoluzione delle tecniche narrative segue
l’evoluzione ideologica.

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