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IX Colloquio AISCOM 20-22 febbraio 2003-02-15

Criteri e metodologie dell’intervento di conservazione e restauro del mosaico con


rappresentazione del malocchio dalla Basilica Hilariana al Celio.
Elisabetta Anselmi, Carla D’Angelo, Daniela Gennari, Valeria Massa

Il mosaico pavimentale in materiale lapideo (1), rinvenuto negli scavi del 1889 tra le rovine
della Basilica Hilariana al Celio, fu collocato nel 1929 in un pavimento del Museo
dell’Antiquarium; da qui fu rimosso nel 1939 e conservato nei depositi. E’ probabile che a
quegli anni si deve l’attuale sistemazione su supporto in cemento armato contenuto in una
cassa di legno con cornice. Le sue dimensioni sono cm. 190x150x7,5 (il frammento misura
cm. 182x143x1 ca., al netto del cemento) pari a mq 2,85, con un peso stimabile oltre i 500 kg.
Il mosaico non appariva in buone condizioni di conservazione, infatti presentava deformazioni
della superficie e numerose tessere erano interessate da fenomeni di degrado quali
fratturazioni, scagliature e decoesioni (2,3,4).
La decisione di intervenire per sostituire il supporto in cemento è stata determinata da criteri
conservativi, di movibilità e filologico-estetici.
• Il cattivo stato di conservazione interessava sia il supporto in cemento che la cassa in
legno, delimitata da cornice, che lo conteneva. Il cemento presentava numerose fratture
(5,6) che minavano la funzione per la quale ere stato realizzato, tanto che in alcune zone
lungo i bordi il supporto cementizio non era più in grado di sostenere le tessere,
provocandone il sollevamento e la caduta (7). La cassa di legno era dissestata per la
disgiunzione delle tavole (8,9,10 ).
• Il peso eccessivo rendeva l’opera praticamente inamovibile o movibile con grosse
difficoltà.
La leggibilità dell’opera era piuttosto confusa per lo strato di sporco (11,12), le differenze
cromatiche delle malte interstiziali delle zone di rifacimento (13,14) e per la presenza di
tracce di cemento e di piccole stuccature sparse sulla superficie (15 ). A questo va aggiunta
l’intenzione di ricostituire l’ambiente originario rimettendo insieme i vari manufatti che lo
costituivano.

L’intervento di restauro a cura dell’Istituto Centrale per il Restauro è stato eseguito in attività
didattica dal laboratorio manufatti musivi con la Direzione lavori della dott.ssa Maria C.
Laurenti, nell’ambito dei corsi quadriennali di conservazione e restauro dei manufatti lapidei
e musivi.
In questo intervento si è sostituito il supporto di cemento con materiali che ne hanno
alleggerito il peso di ca. 1/3 e si è ricreata attraverso il nuovo pannello di supporto la
dimensione reale del pavimento originario.
In considerazione del fatto che l’asportazione di un supporto cementizio è sempre un
intervento traumatico per le tessere soprattutto se, come in questo caso, non esiste più traccia
di allettamento originale, le operazioni sono state condotte con il massimo della cautela e nel
rispetto di tale considerazione.
Le fasi dell’intervento sono state le seguenti.
Dopo aver smontato la cornice ed aver effettuato una prima pulitura della superficie (16) da
quelle sostanze (incoerenti e grasse) che avrebbero impedito una buona adesione della
velatura, si sono messe in sicurezza tutte le zone che presentavano difetti di coesione e/o
adesione delle tessere. Queste infatti erano in alcuni casi molto fratturate e scagliate, per cui si
è reso necessario bloccarle con una malta provvisoria (17), che è stata anche usata là dove era
necessario ripristinare una continuità della superficie al fine di renderla il più possibile
compatta in previsione delle operazioni di rimozione del supporto. Sempre in questa ottica è
stata effettuata sulla superficie, opportunamente velata con doppio strato di garza (18), uno
strato ammortizzante in gomma siliconica. Nel caso in esame la gomma siliconica aveva lo
scopo principale di attutire le vibrazioni provocate dagli srtumenti da taglio impiegati per
l’eliminazione del supporto nonché di contenere nella sua posizione originale il tassellato
(19,20). Per la realizzazione dello strato ammortizzante sono stati usati due tipi di gomma
siliconica, di cui una colabile per seguire perfettamente gli andamenti della superficie. Al fine
di ridurre ulteriormente le sollecitazioni dovute alle operazioni successive è stato messo sulla
gomma siliconica un foglio di neoprene sul quale è stata posata una tavola di legno
opportunamente morsettata in funzione del ribaltamento dell’opera.
Successivamente il mosaico è stato trasportato in un ambiente idoneo alle operazioni di
eliminazione del massetto di cemento (21,22). Alla rimozione si è proceduto, previo
bloccaggio con morsetti per ridurre al massimo l’incidenza delle vibrazioni, effettuando
tagli ortogonali con fresa a disco diamantato sul cemento che è stato poi asportato per
mezzo di scalpello e martello (23). Dopo l’eliminazione del primo strato di cemento si è
tagliata la struttura in metallo che è stata rimossa in sezioni (24). Sempre con lo stesso
sistema si è eliminata la rete metallica con parte dell’ultimo strato di cemento. Dopo aver
riportato il mosaico in laboratorio si è proceduto alla eliminazione totale del cemento dal
retro delle tessere (25,26), effettuando contestualmente delle stuccature provvisorie per
salvaguardare zone a rischio (27); in questa fase ci si è serviti di strumenti che
permettevano un maggior controllo dell’operazione (micromotori con frese di piccole
dimensioni, vibroincisori e vibroscalpelli a punta sottile) (28 ).
Non è stato rimosso il cemento tra gli interstizi delle tessere per evitare possibili
danneggiamenti al tessuto musivo.
Per il nuovo supporto si è utilizzata una malta tradizionale resa strutturalmente più efficace
con l’inserimento di una rete in fibra polipoprilenica (materiale ad elevata resistenza
meccanica) (29). La stratigrafia prevede strato sottile di malta piuttosto fluida, strato di malta,
fibra, ulteriore strato di malta per uno spessore complessivo di cm. 2,5 (30 ).
La scelta di conferire allo strato di malta un’alta resistenza meccanica è stata determinata
dall’esigenza di non creare zone più deboli, e quindi più facilmente soggette a cedimenti,
all’interno della stratigrafia del manufatto che prevede tessellato, malta, pannello rigido (in
nido d’ape d’alluminio con intelaiatura in alluminio).
Si è quindi proceduto alla preparazione del pannello rigido creando (31) su una delle due
facce uno strato aggrappante di graniglia di marmo; nel pannello sono anche stati predisposti
i fori di alloggiamento per i perni che serviranno ad unire questo mosaico all’altro con
l’iscrizione che verrà prossimamente sottoposto ad analogo intervento di restauro (32).
Successivamente, dopo aver atteso il tempo necessario di maturazione della malta di supporto
(27 giorni), questa è stata incollata con resina al pannello rigido.
Ad incollaggio avvenuto il mosaico è stato ribaltato ed è stata effettuata la rimozione dello
strato di gomma siliconica e della velatura. Si è quindi proseguito con la pulitura chimica e
meccanica della superficie asportando i vecchi residui di cemento e delimitando le stuccature
che debordavano sulle tessere; infine, dopo aver portato sotto livello il cemento presente negli
spazi interstiziali (33,34), si è eseguita la stuccatura degli stessi con una malta che ripropone
quella probabilmente esistente in origine (35). Questo per cercare di ricreare un’unita di
immagine che non esisteva più in seguito all’ampliamento degli interstizi causato
dall’allentamento del tessuto musivo dopo gli interventi che l’opera aveva subito nel tempo
(36,37,38).
Un discorso a parte meritano i rifacimenti presenti sul mosaico. Alcuni sono facilmente
identificabili perché eseguiti su una malta di allettamento diversa dal cemento, altri perché
fatti inserendo tessere di dimensioni maggiori, a spigoli vivi, meglio conservate, che
presentano anche evidenti segni di abrasione sulla superficie (39). In molti altri casi è evidente
una differenza nella tessitura (40,41), ma si tratta spesso di tessere originali reinserite tra le
quali, a volte, compaiono tessere più recenti (42). Potrebbe trattarsi in alcuni casi di
rifacimenti antichi, ma la datazione è piuttosto difficile non essendo rimasta alcuna traccia
delle malte originali a cui potersi riferire.

Materiali utilizzati.

Malta provvisoria: polv. Travertino, grassello (3:1 +10% Acril 33)


Strato ammortizzante: gomma siliconica colabile ( RTV/TF) e spatolabile (RTV al 25)
mm 5-6
Velatura: doppio strato di garza e Paraloid al 25% in acetone
Pulitura chimica: impacchi di carbonato d’ammonio (con polpa di carta per 5-30 minuti)
Malta di supporto: pozzolana, grassello (2:1)
Pannello rigido: Aereolam con intelaiatura in alluminio (cm 260 x 145 x 1,2)
Incollaggio pannello: resina epossidica (Araldite LY 554 + HY 956 + silice
micronizzata)
Malta interstiziale: sabbia gialla, polv. Travertino, grassello (1:1 + 10% Acril 33)
Malta per tessere: polv. marmo, carbonatodi calcio, grassello (2:1)
Nombre de archivo: Anselmi, E. et al. Criteri restauro mosaico malocchio.
2003
Directorio: H:\Arqueología\Mosaico
Plantilla:
C:\Users\Jose\AppData\Roaming\Microsoft\Plantillas\Nor
mal.dot
Título: IX Colloquio AISCOM 20-22 febbraio 2003-02-15
Asunto:
Autor: Franceschini Osvaldo
Palabras clave:
Comentarios:
Fecha de creación: 02/07/2001 12:24:00
Cambio número: 5
Guardado el: 18/07/2001 10:47:00
Guardado por: Franceschini Osvaldo
Tiempo de edición: 59 minutos
Impreso el: 21/02/2011 17:00:00
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