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29 marzo 2021 - 07:32 > Versione online

Vincenzo Mollica, storia del critico più


amato di tutti

Ha conosciuto i nomi più grandi del cinema e della musica. Ma l'hanno accusato di
essere, con loro, troppo "buonista". Eppure, il "mollichismo" piace a molti. Tra questi,
anche Maurizio Costanzo e Vasco Rossi

di Chiara Dalla Tomasina


Ha amato così tanto i personaggi creati da Walt Disney, Vincenzo Mollica, 68 anni, da
riuscire a diventare egli stesso un fumetto, Vincenzo Paperica; dal suo “balconcino” ha
seguito trentanove Festival di Sanremo diventandone quasi parte integrante. E anche
quest’anno – nonostante sia in pensione da un anno – è riuscito comunque ad essere
presente, sotto forma di ologramma (sotto, con Fiorello).
Ha scritto libri, poesie, favole e ha curato programmi televisivi di successo; ha incontrato
tutti i grandi della storia del cinema, del fumetto e della musica leggera.
Non solo: è stato amico di Fellini, De Andrè e Pratt; decennio dopo decennio ha
raccontato i protagonisti del mondo dello spettacolo con leggerezza e professionalità. Il
suo cognome è stato oggetto di facile ironia per anni (come fa a fare il critico uno che
si chiama… Mollica?!?) e nonostante tutto per qualcuno il Presidente – soprannome
che gli diedero i colleghi della Rai – rimarrà l’unico critico della storia a non aver mai
criticato nessuno.
Le origini di Vincenzo Mollica
Nato nel 1953 a Formigine – un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, Mollica
lascia l’Italia quando ha appena tre mesi. Trascorre l’infanzia in Canada per fare poi
ritorno nel nostro paese – a Motticella, in provincia di Reggio Calabria – all’età di sette
anni. Frequenta il liceo a Locri, l’università a Milano e si laurea a Urbino. Poi, nel
1980, arriva alla la Rai.
Da primattore, perché Mollica riesce a diventare uno dei primi giornalisti televisivi
specializzati in spettacolo. È conduttore di trasmissioni di successo – Prisma,
Taratatà, Per fare mezzanotte, la celebre DoReCiakGulp, rubrica settimanale del Tg1
(sotto), ma soprattutto inviato.

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Nel suo curriculum vitae oltre al Festival di Sanremo – che merita un capitolo a parte – ci
sono anche il Festival di Cannes, la cerimonia di premiazione degli Oscar, la Mostra
internazionale d’arte cinematografica di Venezia (dove – nel 2019 – ha ricevuto il
Premio Pietro Bianchi da parte dei Giornalisti cinematografici).
Ha scritto un numero incalcolabile di saggi su cinema e musica mentre tre romanzi
brevi – Romanzetto esci dal mio petto, Stripstrip e Favoletta ristretta si fa leggere
in fretta – e una raccolta di aforismi – Scritto a mano pensato a piedi – rappresentano
le sue escursioni nella narrativa.
Un “genere” – quello degli aforismi – con una storia millenaria alle spalle, frequentato da
poeti, filosofi, scrittori e giornalisti. Sono sufficienti poche, pochissime parole, quelle che
servono per regalare un’immagine in cui convivano il dolce e l’amaro della vita. «Una
risata festosa», scrive Mollica, «nasconde sempre una lacrima dolorosa». E ancora, «La
vita ci mette alla prova… E quando finisce ci riprova».
Le tre malattie di Vincenzo Mollica
Sembra riferito a se stesso, quest’ultimo pensiero e alle malattie – diabete, Morbo di
Parkinson e glaucoma, che ha definito “tre fiji de ‘na mignotta” – con cui purtroppo
deve convivere e contro cui deve lottare.
«I miei genitori mi portarono da un oculista in Calabria», ha raccontato al Corriere della
Sera due anni fa. «Avrò avuto 7-8 anni. Origliai la sentenza da dietro la porta: “Diventerà
cieco”. Da quel momento adottai una tecnica: imparare a memoria tutto quello che mi
circondava, in modo da ricordarmene quando sarebbero calate le tenebre». Come
gli ha detto Andrea Bocelli, «abbiamo avuto la vista lunga. Vedo ombre in un mare di
nebbia. Più spesso non vedo un tubo, ma continuo a coltivare la speranza».
Andrea Camilleri l’ha spronato a non abbattersi, a sviluppare gli altri sensi. «Ignoro
che cosa sia la depressione. Mi sostengono due pilastri: famiglia e lavoro. Nella vita
non ho altro». Mai messo piede nei salotti. Prima scriveva, leggeva, disegnava. mentre
ora «mi tocca andare a braccio. Il mio libro, Scritto a mano pensato a piedi, s’intitola
così perché sono aforismi che ho dettato a Siri».
La malattia lo ha costretto a privilegiare il verso, ma non a restringere l’orizzonte dei
suoi interessi o a rinunciare alla battuta, che – a dispetto delle difficoltà – è insieme
amara e folgorante. «Omerico non fui per poesia ma per mancanza di diottria».
Gli inizi di Vincenzo Mollica come giornalista
L’amore per la professione, per il giornalismo in lui è sempre stato totale. Mollica non
fa mistero di aver avuto la possibilità di “imparare il mestiere” e di apprenderne i segreti
direttamente da uno dei più grandi: Enzo Biagi, che lo volle con sé a Linea diretta.
«Quello che so, lo devo a lui», racconta. «Era uno specialista nell’insegnarti senza
insegnare».
Il primo incarico fu intervistare Paulette Goddard (stella del cinema degli anni ’30 e ’40,
ndr). «Mi diede un numero di telefono. Rispose una donna, credevo fosse la colf: “Di che
vorrebbe parlare con la signora Goddard?”. E io: di Tempi moderni, di Charlie Chaplin.
Chiacchierammo per un po’. Alla fine m’impietrì: “Non do interviste, il signor Biagi lo sa”.
Andai da Enzo con le orecchie basse: è stata lei a fare il terzo grado a me, dice che non
parla con i giornalisti e che la cosa ti è nota. «Certo», rispose Biagi, «ma nelle interviste
bisogna cominciare da Dio. A scendere si fa sempre in tempo».
Il legame con Enzo Biagi
La stima nei confronti del giornalista emiliano, scomparso nel 2007, è totale. Mollica gli
riconosce un merito importante, quello di aver precorso i tempi, intuito il futuro e di
essere stato – come ha dichiarato alla Gazzetta del mezzogiorno – «il primo giornalista
veramente multimediale. Nel senso che è partito dalla carta stampata per approdare

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alla televisione comprendendone i meccanismi. Inoltre ha fatto la radio ed ha usato il


fumetto come strumento per i suoi libri».
Biagi ha avuto sempre ben in mente che la carta stampata, la televisione e la radio
dovevano convivere come vasi comunicanti nella sua vita e lo ha fatto
magnificamente inventando dei programmi televisivi che sono nella storia del
giornalismo. «Mi piace pensare anche che sia stato il primo grande giornalista che ha
usato il fumetto come forma di espressione. La sua Storia d’Italia a fumetti è un
vero capolavoro capace di farti innamorare del nostro meraviglioso Paese».
Gli aneddoti che lo riguardano
In una carriera che abbraccia quattro decenni gli aneddoti, ovviamente, non si contano.
Un giorno, ricorda Mollica, «Lello Bersani, il primo cronista ad aver raccontato il mondo
dello spettacolo al Tg, mi mise in mano la sua agendina. “Vedo in te il mio erede. Copia
i nomi che ti servono”. Li trascrissi tutti sulla rubrica che uso ancor oggi. Morti inclusi,
da Roberto Rossellini a Totò: non si sa mai. Infatti, il giorno che dovetti fare un servizio
su Anna Magnani, chiamai il numero dell’attrice scomparsa e rispose il figlio Luca».
Già, quando pensi a Vincenzo Mollica pensi – inevitabilmente – alle sue interviste. Ha
avuto la possibilità di incontrare tutti i protagonisti del cinema (sotto, con
Scarlett Johansson) e della musica degli ultimi 40 anni e non solo. Stelle di Hollywood
o di casa nostra non fa differenza, prima o poi tutte si sono ritrovate di fronte al suo
microfono.

Vincenzo Mollica e Scarlett Johansson (Instagram)


Qual è il suo approccio? Come le prepara, le sue interviste? «Non le preparo», spiega.
«Devo solo sapere tutto su chi ho davanti. Per il resto, basta il dialogo schietto.
Ricordo che a Cannes ero l’ultimo in una lista d’attesa di inviati da tutto il mondo per
avvicinare Diane Keaton, che presentava il film Heaven». Lo ricevette dopo tre ore.

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Stremato, le chiese di potersi servire al buffet.


«Lei fece portare il tè e prese a raccontarmi della sua relazione con Woody Allen, di
cui non aveva mai parlato. Per fortuna l’operatore filmò l’intera conversazione. Alla fine
mi alzai per salutare. “E l’intervista?”, si stupì lei. Ha già detto tutto, risposi. “In effetti è
la migliore che ho dato oggi. Può usarla. Ma non mostri troppi pasticcini”».
Perché Sanremo è Sanremo
Sanremo, come detto, rappresenta un capitolo a parte. C’è un motivo, se Amadeus lo
ha definito “la storia del Festival”. Anno dopo anno tra Mollica e Sanremo si è creato
un rapporto quasi simbiotico, la sua rassicurante presenza al Tg1 delle 20:00 ha
rappresentato per milioni di spettatori una abitudine piacevole. C’era la possibilità di
sbirciare dietro le quinte, di “toccare” l’emozione di chi stava per esibirsi, di assistere a
qualche inaspettato fuoriprogramma, di godersi un pezzetto di televisione sempre
parlata e mai urlata.
Il suo modo di porsi, il fatto di non essere “costruito”, ma anzi di aver sempre trasmesso
un’idea di genuinità hanno contribuito a renderlo un personaggio popolare e amato.
La sua bravura forse sta proprio nel fatto di essere un professionista ancora capace di
sgranare gli occhi di fronte ad un mondo – quello dello spettacolo – che più di qualsiasi
altro continua a esercitare su tutti noi un fascino ineguagliabile.
Quell’ultima notte all’Ariston
Un consenso trasversale, quello raccolto da Mollica, Sanremo dopo Sanremo, fino a
quello di un anno fa, l’ultimo della sua carriera. «Dovevo andare in pensione lunedì
scorso, il 27 gennaio (2020, ndr), quando ho compiuto 67 anni», raccontò alla
Adnkronos. Ma la Rai gli ha prorogato il contratto di un mese per permettergli di fare
quel Sanremo. «Un regalo dell’amministratore delegato Fabrizio Salini e del direttore
del Tg1 Giuseppe Carboni».
Loro hanno accolto una scherzosa ma determinata campagna di Fiorello «per farmi
seguire per il Tg questo ultimo festival, che per me è il 39mo. Non solo, questo mi
permetterà di compiere il 25 febbraio i miei 40 anni di Tg1, prima di lasciare la
redazione il 29 febbraio».
Era l’ultima notte dell’inviato del Tg1 Vincenzo Mollica a Sanremo e non era più tempo di
domande, era arrivato quello delle risposte ai colleghi che a decine riempivano la sala
stampa dell’Ariston, al primo piano dello storico teatro sanremese. Terminata la diretta e
calato il sipario è toccato a lui, per una volta, ritrovarsi dall’altra parte della
“barricata”.
«Mi sono amminchioluto, come direbbe il mio amico Fiorello (sotto con lui). Con quel
poco di vista che mi è rimasta», disse quella sera di fronte a tutti i giornalisti presenti a
Sanremo, «vi posso dire che me la cavo discretamente. Mi tolgo dai coglioni e me ne
vado in pensione».

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Fiorello e Mollica
«Non ho proclami da fare», proseguì, dopo un lunghissimo applauso. «Fare il cronista
è stato il mio mestiere. La Rai è stata la mia casa. Ringrazio tutti voi per l’affetto. Mi
piace che una delle regole della mia vita me l’abbia insegnata Federico Fellini.
“Vincenzo, non sbagliare mai il tempo di un addio o di un vaffanculo, che ti si
potrebbe ritorcere contro in un secondo».
L’abbraccio degli artisti
In quell’occasione non ci fu solo l’abbraccio dei colleghi, ma anche quello degli
artisti. Uno che la storia della musica ha contribuito a farla – Vasco Rossi – ringraziò
così Vincenzo Mollica, uno che la storia della musica l’aveva raccontata. «Sono qui solo
per te», disse in occasione dell’addio di Mollica. «Per ringraziarti a nome di tutti per la
tua passione unica nel raccontare la musica, soprattutto italiana, senza una esterofilia
esagerata e con rara sensibilità».
Vincenzo Mollica e Vasco (Getty Images)
Il Festival di Sanremo per Vincenzo Mollica
Ma per chi in pratica a Sanremo ha avuto per anni la
residenza, che cos’è davvero il Festival della canzone
italiana? «È una festa nazionale, come il 2 giugno», ha
affermato sicuro Mollica. «Unifica l’Italia. Lo seguono
anonimi e vip. Luchino Visconti andava a vederlo con la
Magnani a casa di Lello Bersani (storico inviato della Rai, ndr)». Sanremo per il
giornalista è diviso in tre fasi. «C’è il prefestival che è fatto di polemiche, il festival che
è fatto di canzoni e il postfestival che è fatto di oblio. Perché tutte le polemiche non se
le ricorda nessuno e quello che restano sono le canzoni».
Il presentatore migliore «resterà sempre Pippo Baudo» e se dovesse selezionare tre
momenti da ricordare sceglierebbe «Bruce Springsteen voce e chitarra nel 1996 e Paul
McCartney e George Harrison nello stesso Sanremo del 1998, ma separati. Tutti

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speravamo in duetto improvvisato e invece no. E poi l’intervista del 1997 a David
Bowie che pensava al festival come ad una festa folkoristica. Poi capì quando gli parlai
di Domenico Modugno».
Il “mollichismo”
Il suo modo di condurre le interviste è stato però oggetto di giudizi anche poco teneri.
«È un libro parlante, una sola moltitudine di arguzia e sapienza», scrisse Aldo Grasso a
proposito del giornalista emiliano. «Un’intelligenza acuta che si è fatta tv. Non può
neppure immaginarsi di cedere a un giudizio, a un appunto, a un dissenso. Parla
sempre bene di tutti».
Quest’ultima frase è divenuta, secondo il noto critico televisivo, un tratto distintivo – il
mollichismo, appunto – che ha caratterizzato una tendenza a cui si sono ispirati
molti altri giornalisti. Un giudizio tagliente, simile a una sentenza che gli è rimasto
appiccicato addosso. «La verità», ha puntualizzato Mollica a Il Venerdì, «è che io ho
sempre parlato di chi meritava e piuttosto che una stroncatura ho sempre preferito
l’ironia… Non sono buonista ma non mi piacciono le domande inquisitorie».
Le testimonianze di stima e affetto
Tra i suoi maggiori sostenitori, invece, c’è Maurizio Costanzo (sotto, insieme). «Ci sono
professionisti della televisione», dichiarò a Panorama nel 2004, «i quali, senza sentirsi
obbligati a rincorrere Telegatti, costruiscono, servizio dopo servizio, una carriera che ha
dell’eccellente».
Mollica e Costanzo a Sanremo nel 2010
(Getty Images)
Chiaramente il presentatore si riferiva a

Vincenzo Mollica, che da più di venti anni si occupa di cinema, fumetti, letteratura e
dello spettacolo in genere. E lo fa «con una umiltà e una competenza da portare
esempio alle nuove generazioni. Non a caso Federico Fellini (sotto, insieme in una foto
d’epoca) lo aveva eletto a suo intervistatore preferito. Ma non vedrete mai un
atteggiamento di Mollica, in video o fuori dalle telecamere, che lasci supporre la benché
minima alterigia, presunzione, consapevolezza di essere nello specifico il migliore. Nei
fumetti credo che siano pochi a saperne quanto lui».
Al passo coi tempi

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Memore degli insegnamenti del suo maestro Enzo Biagi, anche Vincenzo Mollica ha
superato i confini del medium televisivo entrando nel mondo dei social network.
Instagram, per esempio, è divenuto lo strumento che ha deciso di utilizzare per
raccontare quelle che ha definito «favole scorrette». Un piccolo esempio, quello della
maialina che voleva fare la modella: «Una maialina vanitosa volva fare la modella, ma la
moda le impose di diventare snella. Lei rifiutò perché solo paffutella si sentiva veramente
bella».
Piccoli haiku, aforismi, tranche de vie (sotto) utili anche nella vita di tutti i giorni, che
Mollica – molto amato dal pubblico – regala oggi ai suoi followers tramite Instagram e
Facebook.
Mollica e il fatalismo
Sul social network creato da Mark Zuckerberg il nome del profilo è MOLLICA
ISTANTANEE, forse perché tali sono le immagini che condivide con tutti quelli – e sono
tanti – che sentono la mancanza della sua voce e della sua presenza in occasione del
Festival di Sanremo, ma non solo. Nei suoi versi ritroviamo anche la malattia e la cecità
incipiente. «Vedo poco o niente, più niente che poco
E in questo pressappoco d’arte tingo il mio gioco», scrisse.
Poi emerge anche il fatalismo e la consapevolezza delle difficoltà legate all’età. «Ora
che sono entrato nell’era della dimenticanza… Non ricordo più di cosa sento la
mancanza», ovvero “istruzioni per l’uso e consigli di vita per affrontare il quotidiano”.
«Bisogna aprire il cuore per capire/Il bene che non riusciamo più ad intuire».
La famiglia di Vincenzo Mollica
Ha fatto del suo sogno di bambino una professione, Vincenzo Mollica, ma i suoi punti
fermi non sono stati la fama o gli incontri con le celebrità, conosciute a centinaia nel
corso di una carriera lunghissima. Le sue certezze sono la moglie Rosa Maria e la figlia
Caterina.
Certo, la Rai è stata una delle cose più importanti della sua vita, e in quanto servizio
pubblico ne ha dato una definizione bellissima. «Un sentimento», come dichiarò a un
noto settimanale, «e la consapevolezza di dover lavorare non per il proprio narcisismo
ma per gli altri. Sempre con chiarezza e attendibilità».
L’epitaffio sulla tomba del “cronista Paperica”
Non abbandona l’ironia neppure quando parla del Morbo di Parkinson. «Mi fa sentire
come certe canzoni degli anni ’60 di Celentano, quelle con due ritmi, uno slow e l’altro
rock», e sa già come vorrà essere ricordato. «Qui giace Vincenzo Paperica (sotto) che
tra gli umani fu Mollica» è l’epitaffio che dovrà essere scolpito sulla sua tomba.
«È un desiderio», ha detto, «che mia moglie dovrà rispettare. Al cimitero guardo gli
ovali sui loculi e capisco che nessuno dei defunti ha scelto la foto per la lapide. Il
cronista Paperica, inventato da Andrea Pazienza e Giorgio Cavazzano per Topolino,
mi rappresenta come nessun altro».
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