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Beatrice è in realtà Bice, figlia di Folco Portinari, nata a 

Firenze nel 1266 e che a diciannove anni sposò


Simone dei Bardi, morendo ventiquattrenne nel 1290. Nella Vita Nuova Dante racconta di averla conosciuta
per la prima volta quando entrambi avevano nove anni e di averla poi rivista a diciotto anni, incontro dal
quale era nato il suo amore per lei. Beatrice non è altro che un senhal, ovvero un nome fittizio (secondo la
tradizione della lirica provenzale) che significa letteralmente «colei che rende beati».
Beatrice è protagonista di molte delle prime poesie stilnoviste di Dante, poi raccolte nella Vita Nuova e
nelle Rime. Nel «libello» giovanile la donna non è solo la donna-angelo dello Stilnovo, ma è già
raffigurazione di Cristo e sembra anticipare il valore allegorico che avrà nel poema, ovvero quello della
grazia divina e della teologia rivelata che sola può condurre l'uomo alla salvezza eterna e al possesso delle tre
virtù teologali (fede, speranza, carità).
Dopo la sua morte Dante attraversò un momento di «traviamento» morale, che vide l'inizio di studi filosofici
(ne parla Dante stesso nel Convivio) e nuove esperienze poetiche, come le Rime petrose. Si è ipotizzato che
tale traviamento sia all'origine del peccato rappresentato dalla selva oscura e che si tratti di una colpa di
natura intellettuale, ovvero del tentativo di raggiungere le verità teologiche col solo ausilio della ragione e
della filosofia umana.
- Questa sarebbe la ragione dei rimproveri che Beatrice rivolgerà a Dante in Purg., XXX, 103 ss.,
nonché in XXXI, 37 ss. e XXXIII, 85 ss.
Beatrice compare nel poema per la prima volta nel Canto II dell'Inferno, quando scende
nel Limbo e prega Virgilio di soccorrere Dante.  È la Vergine a sollecitare l'intervento di santa
Lucia per la salvezza del poeta, e Lucia si rivolge a Beatrice (che siede nel suo scanno celeste
accanto a Rachele) pregandola di intervenire in soccorso di Dante.

- Beatrice ricompare poi nel Canto XXX del Purgatorio, al termine della processione simbolica


nel Paradiso Terrestre, sul carro che rappresenta la Chiesa trainato dal grifone. Qui Beatrice è
coperta da un velo bianco su cui è posta una corona di ulivo, indossa un abito rosso e un mantello
verde, colori che simboleggiano le tre virtù teologali (il bianco è la fede, il verde è la speranza, il
rosso è la carità). Nell'attimo preciso in cui lei appare scompare Virgilio, il che provoca in Dante un
profondo turbamento e un pianto accorato.
Beatrice, dopo gli aspri rimproveri rivolti a Dante, lo condurrà a bagnarsi nell'acqua del Lete (il
fiume dell'oblio che cancella la memoria dei peccati commessi) e dell'Eunoè (il fiume che rafforza la
coscienza del bene compiuto).

In seguito la donna accompagnerà Dante nell'ultima parte del viaggio, in Paradiso, come già preannunciato
da Virgilio in Inf., I, 121-123. La funzione di Beatrice nella terza Cantica sarà analoga a quella di Virgilio
nelle prime due, ovvero di guida e maestra di Dante. Il rapporto tra i due sarà però naturalmente molto
diverso: Dante si riferisce a lei col termine donna, carico di significati stilnovisti, e Beatrice avrà spesso nei
confronti del discepolo un atteggiamento severo, rimproverandogli molte volte la sua ignoranza in materia
dottrinale. Significativo è poi il fatto che nel Paradiso Beatrice smentisca varie volte delle affermazioni di
carattere scientifico fatte da Dante soprattutto nel Convivio, a cominciare da quella riguardante la natura
delle macchie lunari (II, 61 ss.). Ciò significa che la teologia rivelata è superiore alla filosofia umana e che ci
sono argomenti riguardo ai quali la sola ragione umana è insufficiente senza la fede (discorso analogo è
quello di Virgilio in Purg., III, 34-45).

- Nel Canto XXXI del Paradiso, infine, Beatrice lascia il posto a una terza guida che accompagnerà Dante
nell'ultima parte del viaggio e alla visione di Dio: è san Bernardo, che il poeta vede improvvisamente accanto
a sé appena giunto nell'Empireo. Il santo invita Dante a guardare nella candida rosa dei beati, dove Beatrice
ha ripreso il suo scanno.

Purgatorio - Canto XXX (Apparizione di Beatrice, sparizione di Virgilio, rimproveri di Beatrice a Dante)

Quando il settentrïon del primo cielo, Quando le sette stelle dell’Empireo,


che né occaso mai seppe né orto che non conobbero mai né alba né tramonto
né d’altra nebbia che di colpa velo, né altra nebbia se non quella del peccato, 

e che faceva lì ciascuno accorto e che lì indicava a ciascuno


di suo dover, come ’l più basso face il suo dovere, come fa l’Orsa minore
qual temon gira per venire a porto, ai timonieri che devono andare in porto, 
fermo s’affisse: la gente verace, si fermò: gli anziani portatori di verità,
venuta prima tra ’l grifone ed esso, presentatisi tra il grifone ed i candelabri,
al carro volse sé come a sua pace; si volsero al carro come fonte di pace; 

e un di loro, quasi da ciel messo, e uno di loro, come fosse inviato dal cielo,
’Veni, sponsa, de Libano’ cantando “Vieni, mia sposa, dal Libano” cantò
gridò tre volte, e tutti li altri appresso. tre volte a voce alta, e gli altri dietro di lui. 

Quali i beati al novissimo bando Come i beati all’ultima chiamata


surgeran presti ognun di sua caverna, usciranno veloci dal loro sepolcro,
la revestita voce alleluiando, cantando l’alleluja di nuovo nel loro corpo, 

cotali in su la divina basterna allo stesso modo sul carro divino


si levar cento, ad vocem tanti senis, si alzarono cento, per la voce del vegliardo,
ministri e messagger di vita etterna. angeli messaggeri della vita eterna. 

Tutti dicean: ’Benedictus qui venis!’, Tutti dicevano: «Benedetto colui che viene»,
e fior gittando e di sopra e dintorno, e gettando fiori sulle loro teste e intorno,
’Manibus, oh, date lilïa plenis!’. «Spargete gigli a piene mani». 

Io vidi già nel cominciar del giorno Io vidi in terra l’inizio del giorno
la parte orïental tutta rosata, e la parte orientale divenir rosa,
e l’altro ciel di bel sereno addorno; e l’altra parte del cielo vestirsi d’azzurro; 

e la faccia del sol nascere ombrata, e la faccia del sole nascere in ombra,
sì che per temperanza di vapori stemperata dai vapori del mattino
l’occhio la sostenea lunga fïata: e si poteva guardarla anche a lungo: 

così dentro una nuvola di fiori velata da una nuvola di fiori


che da le mani angeliche saliva che saliva dalle mani angeliche
e ricadeva in giù dentro e di fori, e ricadeva in giù dentro e fuori, 

sovra candido vel cinta d’uliva su di un candido velo e cinta d’olivo


donna m’apparve, sotto verde manto una donna mi apparve, sotto un verde manto
vestita di color di fiamma viva. vestita di un colori di fiamma viva. 

E lo spirito mio, che già cotanto Ed il mio spirito, che già da tanto
tempo era stato ch’a la sua presenza tempo era stato senza provare meraviglia
non era di stupor, tremando, affranto, alla sua presenza, né stupore, fremito o logorìo, 

sanza de li occhi aver più conoscenza, senza poterla vedere con gli occhi,
per occulta virtù che da lei mosse, per un suo misterioso potere,
d’antico amor sentì la gran potenza. sentì la gran potenza dell’antico amore. 

Tosto che ne la vista mi percosse Appena mi colpì la vista


l’alta virtù che già m’avea trafitto il nobile sentimento che già mi aveva preso
prima ch’io fuor di püerizia fosse, prima che uscissi dalla fanciullezza, 

volsimi a la sinistra col respitto mi guardai a sinistra con l’ansia


col quale il fantolin corre a la mamma con cui il bimbo guarda la madre
quando ha paura o quand'elli è afflitto, quando ha paura o è preoccupato, 

per dicere a Virgilio: ’Men che dramma per dire a Virgilio: «Meno di una goccia
di sangue m’è rimaso che non tremi: di sangue m’è rimasta che non trema:
conosco i segni de l’antica fiamma’. riconosco i segni dell’antico amore». 
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi Ma Virgilio non aveva lasciato traccia
di sé, Virgilio dolcissimo patre, di sé, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio a cui per mia salute die’ mi; Virgilio cui m’ero affidato per la mia salvezza; 

né quantunque perdeo l’antica matre, e tutto ciò che perse l’antica madre


valse a le guance nette di rugiada non impedì che le mie guance pulite dalla rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre. di tornare a sporcarsi di pianto. 

"Dante, perché Virgilio se ne vada, «Dante, per la partenza di Virgilio,


non pianger anco, non piangere ancora; non piangere ancora, non piangere ancora,
ché pianger ti conven per altra spada". perché presto piangerai per colpi più duri». 

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora Come un ammiraglio che da poppa a prora
viene a veder la gente che ministra va a vedere gli equipaggi che guidano
per li altri legni, e a ben far l’incora; le navi minori, e l’incoraggia a far bene; 

in su la sponda del carro sinistra, sul lato sinistro del carro,


quando mi volsi al suon del nome mio, quando mi girai al suono del mio nome,
che di necessità qui si registra, che qui si ricorda solo per necessità, 

vidi la donna che pria m’appario vidi la donna che prima mi apparve,
velata sotto l’angelica festa, velata dalla festa angelica, guardare verso di me che
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. ero da questa parte del fiume. 

Tutto che ’l vel che le scendea di testa, Sebbene il velo che le scendeva dalla testa,
cerchiato de le fronde di Minerva, cerchiato dalle foglie dell’albero di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta, non la facesse apparire chiaramente, 

regalmente ne l’atto ancor proterva con atteggiamento nobilmente altero


continüò come colui che dice continuò come colui che parla tranquillamente
e ’l più caldo parlar dietro reserva: lasciando per ultimo gli argomenti più scottanti: 

"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. «Guardami bene! Sono io, proprio io Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte? Come hai osato salire fino all’Eden?
non sapei tu che qui è l’uom felice?". Non sapevi è un posto solo per l’uomo felice?». 

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; Abbassai gli occhi nel fiume limpido;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba, ma vedendovi la mia immagine, guardai l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte. tanta era la vergogna che m’appesantì la fronte. 

Così la madre al figlio par superba, Nel modo in cui una madre appare severa al figlio,
com’ella parve a me; perché d’amaro così lei sembrò con me, perché si amareggia
sente il sapor de la pietade acerba. del sapore della pietà severa. 

Ella si tacque; e li angeli cantaro Lei tacque; e li angeli cantarono


di sùbito ’In te, Domine, speravi’; subito “In te, o Signore, ho sperato”;
ma oltre ’pedes meos’ non passaro. ma non andarono oltre “i piedi miei”. 
Come la neve tra i rami si congela sul dorso d’Italia,
Sì come neve tra le vive travi soffiata e schiacciata dai venti dell’est, poi, goccia a
per lo dosso d’Italia si congela, goccia, scava nel suo stesso strato di ghiaccio
soffiata e stretta da li venti schiavi,
al soffio della terra dove l’ombra scompare,
poi, liquefatta, in sé stessa trapela, come fa il fuoco che consuma la candela; 
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;
così fui senza lacrime e sospiri
prima del canto di quelli che s’intonano sempre
così fui sanza lagrime e sospiri seguendo le note delle armonie celesti; 
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri; ma poi compresi le dolci armonie
con le quali mi compativano, come se avessero
ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre detto: «Signora, perché lo avvilisci?», 
lor compartire a me, par che se detto
avesser: ’Donna, perché sì lo stempre?’, il gelo che mi s’era stretto al cuore,
si fece aria e acqua, e con angoscia
lo gel che m’era intorno al cor ristretto, uscì dal petto attraverso occhi e bocca. 
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto. Ella, pur rimanendo ferma su quel
lato del carro, ai pii spiriti
Ella, pur ferma in su la detta coscia poi cominciò a parlare: 
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia: «Voi vegliate nella luce eterna,
e né notte né sonno vi distolgono
"Voi vigilate ne l’etterno die, dal cammino che fa il mondo per le sue strade; 
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie; per cui la mia risposta è per farmi
capire da colui che piange al di là del fiume,
onde la mia risposta è con più cura perché il dolore e la colpa siano della stessa misura. 
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura. Non solo per opera dei cieli,
che indirizzano ognuno al proprio destino
Non pur per ovra de le rote magne, in base alla propria costellazione, 
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne, ma per generosità della Grazia divina,
che piove da nubi così alte,
ma per larghezza di grazie divine, che le nostre viste non possono avvicinarsi, 
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine, costui nella sua giovinezza ebbe tali virtù
in potenza, che ogni buona inclinazione
questi fu tal ne la sua vita nova avrebbe prodotto in lui risultati ammirevoli. 
virtüalmente, ch’ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova. Ma molto più cattivo e selvatico
si fa il terreno con il seme cattivo incolto,
Ma tanto più maligno e più silvestro tanto più esso è fertile e vigoroso. 
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
quant’elli ha più di buon vigor terrestro. Per qualche tempo lo sostenni col mio viso:
mostrandogli i miei occhi di giovinetta,
Alcun tempo il sostenni col mio volto: seguiva il mio sguardo rivolto alla retta via. 
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto. Ma non appena fui sulla soglia
della mia adolescenza e cambiai vita,
Sì tosto come in su la soglia fui egli smise di seguirmi, e si diede ad altre. 
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui. Quando trascesi da corpo a spirito,
aumentando sia in bellezza che in virtù,
a lui divenni meno gradevole e cara; 
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era, e i suoi passi imboccarono strade false,
fu’ io a lui men cara e men gradita; che non mantengono nessuna promessa. 

e volse i passi suoi per via non vera,


imagini di ben seguendo false, Né servì l’aver ottenuto per lui sante ispirazioni,
che nulla promession rendono intera. con cui sia in sogno che in altro modo
lo richiamai: così poco a lui importò! 
Né l’impetrare ispirazion mi valse, Cadde tanto in basso, che tutti i rimedi
con le quali e in sogno e altrimenti per la sua salvezza erano inefficaci,
lo rivocai: sì poco a lui ne calse! tranne che mostrargli i dannati. 

Tanto giù cadde, che tutti argomenti Per questo visitai il limbo,
a la salute sua eran già corti, e a colui che l’ha condotto fin qui,
fuor che mostrarli le perdute genti. porsi, piangendo, le mie preghiere. 

Per questo visitai l’uscio d’i morti, La gran volontà di Dio sarebbe violata,
e a colui che l’ ha qua sù condotto, se passasse il Lete e un tal cibo
li preghi miei, piangendo, furon porti. gustasse senza pagare alcun prezzo 

Alto fato di Dio sarebbe rotto, di pentimento che faccia spargere lacrime».
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto

di pentimento che lagrime spanda".

Figure retoriche del Canto XXX del Purgatorio


 Vv. 1-7, Quando… s’affisse – Lunga perifrasi che indica la fine del sacro corteo iniziato nel Canto
XXIX.
 V. 11, Veni, sponsa, de Libano – Parafrasi del versetto del Cantico dei Cantici.
 V. 15, revestita voce – Metafora per indicare la resurrezione delle anime il giorno del Giudizio
Universale.
 Vv. 31-33, sovra … presenza – Beatrice è vestita dei tre colori che, con un’allegoria, rimandano alle
tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità.
 Vv. 49-51, Ma Virgilio… die’ mi – Prima iterazione che prepara quella successiva di Beatrice.
 V. 58, Quasi ammiraglio – Similitudine che descrive il piglio di Beatrice come militaresco.
 V. 73, Guardaci … Beatrice – Seconda iterazione che rimanda a quella dei vv. 49-51.
 Vv. 109 - 111, Non pur … son compagne – Altra perifrasi in cui s’intende che la costellazione dei
Gemelli, sotto la quale era nato Dante, favorisce l’attitudine alla letteratura e alla scienza.

Il Canto XXX del Purgatorio rappresenta un nodo cruciale dell'intero impianto della Commedia. Le scelte


lessicali, le citazioni latine ed i latinismi, i riferimenti culturali alla cultura pagana e biblica, le metafore
pervasive e quasi ermetiche, danno all'intera cantica un tono aulico che esalta la solennità dell'evento
narrato: la comparsa di Beatrice, momento fondamentale dell'intero Canto. L'apparizione della donna
segna il primo punto d'arrivo nel percorso di redenzione dantesca: al suo arrivo, a seguito
dell'invocazione dei vegliardi, Virgilio scompare, mentre Dante va incontro al suo momento catartico,
l'espiazione delle colpe attraverso il pianto con cui si chiude il Canto ed un'intera fase dell'opera, cominciata
con l'ingresso del poeta nella selva oscura. 
Inizio del canto
L’invocazione di Beatrice
Il XXX Canto del Purgatorio si apre con la fine della processione dei sette candelabri, che aggancia la
narrazione direttamente al Canto precedente quasi continuandola. Già questa prima fase (vv. 1-21) è
caratterizzata da un tono teso e solenne che proseguirà pe tutto il canto e si chiude con l'invocazione di
Beatrice da parte di uno dei ventiquattro anziani della processione, che inizia a cantare «Veni, sponsa de
Libano», preghiera tratta dal Cantico dei cantici. 
L’apparizione di Beatrice e la scomparsa di Virgilio
I versi 22-54 raccontano la comparsa di Beatrice, un momento già preannunciato nei canti XXVII e XXIX.
Questa appare tra i cori dei ventiquattro anziani e tra i lanci di fiori degli angeli; la sua stessa figura viene
caricata da Dante di forti elementi simbolici e cristologici: al v. 19, la frase «Benedictus qui venis» è la stessa
che si ritrova nei Vangeli (Mc 11,10 ma anche Gv 12,13; Lc 19, 38; Mt 21,9) e che viene intonata dagli
abitanti di Gerusalemme quando il Cristo entra in città; il v. 21, invece, riprende il v. 882 del VI libro
dell'Eneide, dove Anchise piange Marcello, il nipote di Augusto, altra citazione che accentua la carica
sacrale di quella che appare come una vera e propria cerimonia. Quando finalmente appare (v.32),
Beatrice ha il viso coperto ma, per una forza misteriosa, viene riconosciuta dal poeta che, turbato, si gira
per trovare conforto in Virgilio che, però, è scomparso. 
Il rimprovero di Beatrice
Comincia così il rimprovero di Beatrice (vv. 55-81), che si rivolge in maniera dura e diretta a Dante: al v.
55, si legge il nome del poeta e protagonista per la prima ed unica volta nell'intero poema. La donna lo fissa
con sguardo altero, rivela finalmente la propria identità e gli chiede come abbia osato arrivare fino al
Paradiso Terrestre, luogo di felicità per gli uomini. Dante non riesce a sostenere lo sguardo della donna ed
abbassa il suo, ma vede il suo volto riflesso nelle calme acque del Lete.
Il rimprovero di Beatrice
Al rimprovero di Beatrice segue il pentimento di Dante
Il quarto momento del canto (vv. 82-99) è, insieme la terzo, il nodo centrale della cantica, in cui al
rimprovero di Beatrice segue il pentimento di Dante. Dopo aver duramente redarguito il poeta, Beatrice
tace mentre Dante è impietrito nelle acque del Lete. Gli angeli allora iniziano a cantare il Salmo XXX «In
te, Domine, speravi» col quale intercedono per lui verso Beatrice, e le lacrime del poeta, trattenute come
fossero ghiaccio, si sciolgono in un pianto prorompente.
Beatrice accusa Dante di traviamento
L'ultima parte del canto 30 del Purgatorio (vv. 100-145) scioglie finalmente la tensione accumulata con la
solenne apparizione della donna ed il suo severo rimprovero. Beatrice risponde alla richiesta
d'intercessione angelica spiegando che la sua durezza nei confronti di Dante deriva dal fatto che questi,
pur avendo egli mostrato in gioventù di avere in potenza grandi virtù e capacità, in quanto favorito dagli
influssi delle stelle e da una particolare grazia divina, dopo la sua morte preferì seguire altre donne,
rifiutando la sua bellezza e preferendole quella di altre immagini illusorie: una scelta che, a lungo andare,
lo portò a traviarsi. Per salvarlo non c'era altro modo che mostrargli l'Inferno, e così si recò da Virgilio nel
Limbo per pregarlo di accompagnare Dante nel suo viaggio nei primi due regni: ma per continuare il suo
viaggio Dante, ora, deve pentirsi e piangere.  
Il Canto XXX in cinque partiLa Cantica, quindi, può essere suddivisa in cinque differenti momenti:
1. Prima parte (vv. 1-21): introduce il canto agganciandosi alla fine del canto precedente. Questa parte
prepara l'arrivo di Beatrice.
2. Seconda parte (vv. 22-54): tra canti ed una pioggia di fiori appare Beatrice. Dante, smarrito,
cerca Virgilio, che però è sparito.
3. Terza parte (vv. 55-81): Beatrice ammonisce Dante duramente, rimproverandogli la sua presenza
nel Paradiso Terrestre.
4. Quarta parte (vv. 82-99): gli angeli intercedono per Dante presso Beatrice. Dante scoppia in
lacrime.
5. Quinta parte (vv. 100-145): Beatrice spiega che il motivo della sua severità è che, dopo la sua
morte, Dante ha smarrito la strada della salvezza, al punto da rendere necessario il viaggio che sta
compiendo.

Figure retoriche e immagini simboliche


Il tono alto, aulico, a tratti sacrale che connota l’intera cantica si regge sull’uso continuo di figure retoriche
ed immagini simboliche che rinviano ad un piano di significati diversi e complessi.
I sette candelabri
La cantica si apre con la fine del corteo dei sette candelabri (vv. 1-6) cominciata al Canto XXIX,
un'immagine dall'alto valore simbolico che Dante riempie di ulteriori significati e differenti piani di lettura
già a cominciare dal v.1, dove il 'settentrïon' va letto come parola di derivazione latina da septem triones,
cioè 'sette stelle', che sdoppia il piano metaforico legato ai candelabri che, oltre a rappresentare i sette doni
dello Spirito Santo (sapienza, consiglio, intelletto, pietà, fortezza, scienza e timor di Dio), diventano
anche immagine delle sette stelle della costellazione dell'Orsa minore che guida i viaggiatori e i marinai.
Gli angeli
Ai vv. 13-18 si trova un'altra potente similitudine, quando al canto dei ventiquattro anziani (vv.10-
12) segue il sollevarsi degli angeli (v.18 'ministri e messaggier di vita etterna') che richiama lo scenario
del Giudizio Universale, quando tutte le anime usciranno dai loro sepolcri cantando l'Alleluja. 
L'iterazione del nome di Beatrice
Lo stile del canto si nutre anche di allusioni e rimandi interni, come l'iterazione del nome di Beatrice al v.
73, che sembra rispondere e riprendere, con un ritmo più serrato, la ripetizione del nome di Virgilio nella
terzina 49-51, che segna il momento in cui la figura del poeta latino scompare dalla narrazione del
poema per lasciare il posto alla nuova guida.
Beatrice come madre "superba"
Allo stesso modo va letta la metafora che descrive Beatrice come una madre ‘superba’ (v. 79)
contrapposta al ‘dolcissimo patre’ (v. 50) che invece definisce Virgilio; in entrambi i casi il protagonista si
dipinge come un bambino dapprima smarrito e poi avvilito dal rimprovero della severa figura materna. 
Il silenzio di Beatrice davanti alla vergogna di Dante
La fine della prima parte dell'invettiva di Beatrice contro Dante segna l’apice drammatico della cantica: dopo
un inizio carico di tensione che prepara il solenne arrivo della donna angelicata ed il rimprovero di questa a
Dante, arriva una fase di sospensione che comincia con il silenzio di Beatrice (v. 81 – 'Ella si
tacque') davanti alla muta vergogna del fiorentino (vv. 76-78). Il silenzio, però, viene subito rotto dal coro
angelico che intona i primi nove versi del Salmo XXX 'In te, Domine, speravi' che danno voce alla fiducia
che i peccatori pentiti ripongono nel perdono di Dio: un modo per intercedere a favore del poeta presso la
donna beata.
Il canto degli angeli
La sequenza narrativa è spezzata: il canto degli angeli si ricollega direttamente al salmodiare già
incontrato nel coro dei ventiquattro anziani (v. 11) e in quelli degli angeli che preannunciavano la
comparsa di Beatrice (vv. 19 e 21), e chiude questa parte del canto. 
Le lacrime del poeta
La seconda si apre, come la prima, con una lunga metafora (vv. 85-93): Dante, mortificato dal rimprovero di
Beatrice, resta immobile, ma l'ascolto del dolce canto angelico scioglie le lacrime del poeta che gli erano
rimaste dentro, quasi fossero ghiacciate come la neve sugli appennini durante l'inverno. Anche questo
passaggio può essere letto su più livelli, il più evidente dei quali è quello meramente narrativo: il pianto
dirotto del protagonista, che resta in silenzio fino alla fine, apre la strada alla seconda parte del rimprovero di
Beatrice, che spiega il motivo della sua severità verso di lui, avviando così il canto alla sua conclusione. Ma
su un piano letterario rappresenta la prosecuzione di questa sorta di dramma sacro che racconta il travaglio
psicologico di Dante, reso attraverso una similitudine naturalistica che rende, con un'immagine vivida, il suo
evolversi sia su un piano emotivo che nella sua traduzione fisica.
Il pentimento di Dante
La colpa, il peccato e la vergogna si sciolgono in un 'pentimento' (v. 145) che deve esprimersi attraverso
le lacrime in ossequio ad un decreto divino la cui inosservanza impedirebbe il passaggio del Lete e la
prosecuzione del viaggio (vv. 142-145).
La redenzioneIn questo momento Dante è tanto protagonista della sua vicenda di personale
redenzione quanto di quella collettiva dell’umanità, assolvendo, all’interno di questo Canto, come del resto
in tutta la Commedia, al ruolo dell’everyman, protagonista di una vicenda esemplare per l’intera umanità.
Beatrice tra realtà e stilnovo
Nella realtà storica Beatrice è Bice, figlia di Folco Portinari nata a Firenze nel 1266, sposa di Simone de’
Bardi, uno dei protagonisti della vita politica fiorentina dell’epoca. Muore nel 1290, all’età di soli
ventiquattro anni. Nella storia letteraria, però, è diventata immortale come la donna amata da Dante. 
Le donne stilnoviste
La poetica stilnovista, corrente di cui il giovane Dante era partecipe, rielabora il concetto letterario
della donna-angelo già a partire da Guido Guinizzelli (cfr. Canto XXVI del Purgatorio) operando
un’identificazione tra la donna e la bellezza che scaturisce da Dio, di cui la donna stessa diventa tramite,
quasi come fosse un angelo la cui mediazione ha effetti benefici sul cuore degli uomini. Le donne
stilnoviste non sono perciò da intendersi come figure individuali, né vengono raccontate come tali, esse sono
invece descritte attraverso i sentimenti che suscitano negli uomini in quanto figure intermediarie della
Grazia divina: in questo senso il sentimento amoroso viene inteso come uno strumento di perfezionamento
interiore, mentre centrale diventa il tema del saluto della donna come gesto salvifico. 
La figura di Beatrice appare per la prima volta nella “Vita Nuova”
Dante porta alla massima maturità espressiva tutti questi concetti attorno alla figura di Beatrice, che
compare per la prima voltanella Vita Nuova, la prima opera attribuibile a Dante, una raccolta di liriche e
prose in cui il poeta narra del suo amore per lei, che già dal nome, Beatrice, rivela la capacità di ‘rendere
beati’. L’opera, che la critica divide tradizionalmente in tre parti, racconta dell’amore del giovane Dante
verso Beatrice fino alla di lei morte; a seguito di quest’evento il poeta sembra trovare un nuovo amore in
un’altra donna, ma poi la ragione lo induce a proseguire il suo primo amore, poiché solo attraverso di lei
potrà giungere a Dio.  
Beatrice nel simbolismo della Commedia
La figura di Beatrice è complessa e ricca di significati
La Vita nuova, dunque, si conclude con il sonetto Oltre la spera che più larga gira che annuncia il ritorno di
Dante all’amore per Beatrice di cui il poeta promette di «dicer di lei quello che mai non fue detto», frase che
in molti leggono come un preludio alla Commedia. In effetti, quando Beatrice appare nel Canto XXX del
Purgatorio, ci si pone davanti una figura complessa e densa di significati, annunciata e presentata da una
serie di rimandi che si intrecciano e agiscono su una molteplice quantità di piani interpretativi. 
I ventiquattro vegliardi
Già dal v. 9 si vedono i ventiquattro vegliardi, rappresentanti gli altrettanti libri del Vecchio
Testamento (cfr. Canto XXIX, vv. 82-83), rivolgersi al carro simboleggiante quella Chiesa di Cristo ch’essi
avevano profetizzato, e dal quale sorgerà Beatrice, che iniziano a cantare ‘Veni, sponsa, de Libano’ (v.11) un
versetto del Cantico dei Cantici in cui l’esegesi biblica tradizionalmente individua un appello di Cristo alla
Chiesa. 
"Benedictus qui venis" e "Manibus, oh, date lilïa plenis
"Nello stesso ambito di significati vanno collocate le due invocazioni riportate direttamente in latino presenti
ai vv. 19 e 21: il ‘Benedictus qui venis’ rivolto dai gerosolimitani al Cristo al suo ingresso in città, e che
si ricollega direttamente all’altra citazione biblica al v.11, viene qui rivolto a Beatrice poco prima della
sua apparizione; la citazione virgiliana al v.21 va intesa invece come un omaggio alla purezza di
Beatrice che, in quanto personificazione della Teologia, merita l’omaggio dei gigli simboleggianti la
purezza. 
Come appare Beatrice a Dante?
Beatrice appare ai vv. 31-32: il capo coperto d’un velo bianco e cinto d’ulivo, albero sacro della dea
Minerva, e vestita d’un abito rosso acceso e d’un manto verde. Questi tre colori, il bianco, il verde e il
rosso, corrispondono a quelli delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. 
Beatrice nella Vita Nuova
Le prime parole della donna angelicata (v. 55 e sgg) e la prima parte del suo rimprovero a Dante ci
presentano una figura estremamente lontana da quella della donna distante, muta ed eterea della Vita
Nuova. 
Figura di Beatrice nella Commedia
Quella della Commedia è, invece, una figura concreta, dura, severa al punto di essere paragonata ad un
‘ammiraglio’ (v. 58) e capace di brandire ben ‘altra spada’ (v. 57) per far piangere il poeta. Da qui in avanti
la figura di Beatrice si muove su un filo doppio, da una parte è la persona storica la cui dimensione reale
viene riproposta e ricordata in diverse occasioni: quando ella ‘per occulta virtù’ si fa riconoscere da Dante
come colei che ebbe amato in gioventù (vv. 37-42), o quando la stessa Beatrice intima al poeta di guardarla e
riconoscerla (v. 73) o, infine, quando ancora lei fa esplicito riferimento alla sua morte (v. 125). 
Beatrice: allegoria della Teologia
L’altro filo, invece, è quello puramente simbolico che vede Beatrice come allegoria della Teologia. Nel
percorso redentore di Dante la sua comparsa comporta la scomparsa di Virgilio (v. 49), che invece raffigura
la ragione naturale la filosofia, incapace di proseguire il viaggio oltre la soglia del Paradiso Terreste e che,
perciò, deve cedere il passo alla Teologia rivelata. Ma questa funzione allegorica si esplicita con la ripresa
del rimprovero a Dante che inizia al v. 103 e si protrae fino alla fine della cantica, in una lunga arringa in cui
Beatrice accusa Dante di aver seguito, dopo la sua morte, una ‘via non vera’ ed immagini false ed illusorie
(vv. 121-132). La chiave di lettura allegorica suggerisce che qui Beatrice rimproveri a Dante l’aver fatto
per troppo tempo affidamento alle filosofie e alle speculazioni umane trascurando lei, cioè la Teologia:
un atteggiamento, quello di affidarsi troppo alla filosofia e al puro intelletto che, alla lunga, lo avrebbe
condotto in un errore talmente tanto grave da non essere redimibile se non con il viaggio che Dante sta
affrontando (vv. 136-138). 

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