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Analisi di "Dunkirk": un altro caso

"Apollo 13"?
Analisi Storie Nov 09, 2019

Ho visto Dunkirk e mi è piaciuto molto, anche se non mi ha lasciato la voglia di rivederlo. È


il tipo di film che preferisco, con personaggio credibili che fanno cose eroiche ma possibili
invece di eroi esagerati che fanno cose palesemente da film e basta. Avevo un po’ di timori
per via del problema di fondo di questo genere di film storici che cerca di presentare prima di
tutto l’evento, lo scenario, invece di costruire una storia tradizionale sfruttando la base
storica.

Voglio concentrarmi su alcuni aspetti narrativi. Non parleremo della regia o delle scelte visive,
perché non è il mio campo. Non parleremo degli eventuali anacronismi ed errori, ma se
proprio volete vi lascio un link a tema. Non parleremo del fatto che la spiaggia di Dunkerque
qui rappresentata sia molto meno caotica di quella reale, per cui il regista Nolan ha preferito
rappresentarla più sobria e assieme opprimente, con meno soldati di quelli reali, meno aerei
e molte meno esplosioni. La realtà storica era più casinista e hollywoodiana del film, e Nolan
non voleva fare qualcosa che ricordasse i soliti film di guerra americani.

Non parleremo dell’uso dei suoni per costruire l’atmosfera, del fatto che sia un film che
non ha paura di ridurre al minimo le musiche e non cerca di riempire ogni momento senza
battute con delle melodie invasive: ciò che vediamo e i suoni ambientali dominano tutto,
proiettandoci nella vicenda come se fosse vera, senza musiche complicate a ricordarci che
non sta accadendo per davvero. Dico solo, perché rientra nel mio campo, che la realtà non ha
musiche di accompagnamento, quindi perché l’imitazione della realtà, la narrativa, per
somigliarle dovrebbe sentirsi  in obbligo di averne? Vi rimando a questo articolo per
approfondire.

Parleremo solo di questioni narrative.

Dunkirk, non è difficile notarlo, non ha delle “storie vere e proprie”, basate su un arco del
personaggio. Non sono nemmeno storie davvero complete, ma solo uno sprazzo nella vita di
tre gruppi di personaggi durante i giorni della ritirata inglese, anche se è possibile delineare
perlomeno un inizio, uno svolgimento e un “finale”, diciamo, per tutte. Per chi non lo ha visto
o non ha letto niente sul film, mi spiego meglio: il film segue tre gruppi di personaggi sul molo
(i soldati che tentano di tornare in Inghilterra), in mare (una barca civile che fa rotta verso
Dunkerque per aiutare nell’evacuazione) e in cielo (i piloti della RAF che proteggono le navi
dai bombardieri nemici).

La durata delle vicende è diversa in base allo scenario, e i diversi eventi sono presentati
alternando scene senza badare all’esatto scorrere del tempo: gli eventi sul molo arrivano a
durare una settimana, quelli della barca un giorno e quelli dei caccia un’ora. A fine film
vediamo la conclusione di tutti e tre, nonostante la durata molto diversa per cui le vicende del
pilota d’aereo sono solo una frazione del tempo della vicenda della barca civile, e questa a
sua volta è solo una frazione degli eventi dei soldati sulla spiaggia e sul molo.

A me le diverse durate non hanno creato alcun problema, anche se non avevo idea che ci
fossero. Però dopo la visione ho letto che diverse persone hanno trovato fastidiosa la
violazione della narrazione lineare, cronologica, e questo è normale. Tecnicamente è un
punto debole, c’è poco da fare, e si può solo “lottare” per farlo pesare il meno possibile.
Anche in sala ho sentito dei commenti, a fine film (seguito direi in religioso silenzio, non ho
mai sentito voci, e la sala era abbastanza piena), di alcuni ragazzi che non avevano capito
bene gli eventi o avevano capito la differente durata solo al termine della visione.

In realtà la differente durata delle tre storie è “raccontata”, in modo goffo, da alcune
scritte iniziali. Quando vediamo le prime tre scene, troviamo impresso per alcuni secondi il
titolo (es. Il mare) con sotto per sottotitolo un’indicazione temporale (es. un giorno). Il
problema è che senza sapere cosa significhino queste scritte, diventano addirittura una
distrazione: se uno legge “un giorno” non pensa “la durata dell’evento sarà un giorno”, ma
“perché rimani sul vago e non dici quale giorno?”. Stesso discorso leggendo “un’ora”.

Queste scritte delle durate arrivano, a peggiorare la situazione, dopo le scritte


iniziali. Altro “raccontato” fortemente deprecato nel cinema: mentre vediamo un gruppo di
soldati avanzare in una cittadina deserta, stanchi, demoralizzati, e li vediamo cadere preda
del fuoco dei tedeschi nascosti chissà dove, non ha alcuna utilità fermare il film ogni pochi
secondi per mostrarci una schermata nera in cui un po’ alla volta si formano le scritte che ci
dicono che sono soldati in fuga e che ci vorrà un miracolo per salvarsi. “Raccontato” inutile
completamente, senza nemmeno quel minimo di utilità delle scritte introduttive di certi film
storici, perché la scena con cui va a interferire è ben più chiara delle scritte stesse!

Parliamo dell’assenza di una storia vera e propria nelle tre vicende. I personaggi ci
appaiono perfettamente formati, già in grado di arrivare a fine vicenda. Il soldato
protagonista delle vicende sulla spiaggia grazie al proprio approccio molto determinato riesce
dove altri accanto a lui, ugualmente attivi e aggrappati alla vita, muoiono: lui ha le doti per
farcela, ma capiamo che la fortuna è altrettanto o più importante dell’iniziativa personale.
D’altronde buona parte delle forze inglesi alla fine si salvano, no?

Ancora più marcata la questione con l’anziano che guida la barca e con il pilota della
RAF: entrambi si mostrano professionisti altamente qualificati, e compiono fino in fondo la
propria missione seppur con un finale molto diverso (ma non faccio spoiler a riguardo) legato
al solo caso.

Ci troviamo di fronte a un problema:


quello di Apollo 13.
All’epoca Apollo 13 fu un successo, proprio come è stato Dunkirk adesso, ma fu un successo
di breve durata e cadde poi nel dimenticatoio. Il motivo è quello individuato già da alcuni
recensori all’epoca: la mancanza di un forte impianto emotivo, di un’esperienza interiore che
trasformi il protagonista. Il comandante già a inizio film è perfettamente in grado di cavarsela,
il suo viaggio verso la Luna non comporta alcun cambiamento interiore. Non possiamo
rispecchiarci nella sua vicenda e vederci le nostre vite, e il nostro stesso bisogno di cambiare:
vediamo solo che se uno è coraggioso e abilissimo, vince…
Questo esempio mi è rimasto impresso, perché Dara Marks lo discute con grande efficacia
all’inizio del saggio L’arco di Trasformazione del Personaggio. Appena è terminata la visione
di Dunkirk, mi è subito saltato in mente.

L’assenza di archi narrativi nelle tre vicende che permettano di risuonare con le nostre
esperienze, dandoci qualcosa che vada oltre i meri eventi, può penalizzare fortemente
l’opera in futuro. Non dico che verrà messa da parte come Apollo 13, di cui molti non
ricordano nemmeno il nome del comandante (Jim Lovell), un eroe vero, mentre più o meno
tutti si ricordano quello di un eroe inventato, ma con un forte viaggio interiore, come Luke
Skywalker, però può succedere.

A parte questo problema Dunkirk ha fatto un gran lavoro visivo e ho letto paragoni


con Mad Max: Fury Road, altro film la cui trama ha dalle fortissime carenze narrative (e
soprattutto ha dei contenuti abbastanza stupidi, a differenza di Dunkirk) che a molti non è
piaciuto proprio per questo. Tra parentesi, Mad Max: Fury Road a me è piaciuto più
di Dunkirk e l’ho rivisto volentieri una volta.

Se la storia è infestata dalle idiozie che distraggono e buttano fuori dalla vicenda perché ne
mostrano la natura fasulla, priva di credibilità, per chi cerca un film “vero e proprio”,
“completo”, conta poco la grande bellezza visiva se c’è carenza del resto…
… anzi, è un aggravante non aver speso qualche spicciolo per una storia ben fatta dopo aver
investito barche di soldi per fare inseguimenti ed esplosioni senza computer grafica! Significa
proprio che al regista non gliene fregava nulla di lavorare davvero bene e si accontenta di
fare le cose a metà (ma noi il biglietto lo paghiamo intero, non dimezzato). Dunkirk almeno ha
evitato (in parte) questo problema di Mad Max: Fury Road.

Il cinema è un media visivo e sonoro, ma rimane sempre narrativa, quindi ci si aspetta


che sviluppi bene tutti gli aspetti dell’esperienza: solo gli animi ingenui si stupiscono dei film
dalla grafica stupenda che dopo il successo iniziale poi cadono nel dimenticatoio, mentre film
o serie televisive con immagini e sonoro solo “buoni” (non eccelsi), ma storie davvero ricche e
incisive, conquistano il pubblico e rimangono per decenni nel cuore della gente.

Dimenticarsi che la narrativa tramite audio e immagini sia sempre narrativa, è il


marchio del dilettante. E Nolan non lo è, e proprio per questo possiamo lodare il modo con
cui affronta il problema: mentre troppa gente che parla di film senza conoscere la teoria
proietta la propria stupidità sugli altri credendo che i registi siano altrettanto ignoranti di loro.
Non pensate che Miller non sapesse, in tutto o in parte, che rischi ha corso con Mad Max: Fury
Road, o che non lo sapesse Nolan con questo film.
In più, come accennavamo, Dunkirk ha ricordato al cinema che la musica non è sempre
obbligatoria e che altri suoni più reali possono agire anche meglio per costruire il nostro
responso emozionale, la nostra ansia per il tempo che scorre e la tragedia imminente se un
“miracolo” non salverà gli inglesi, per cui un piccolo posto nella storia del cinema se lo è
scavato anche solo così.

Però, come detto all’inizio, non mi sento in grado di parlare di queste cose per cui evito, a
differenza della massa dei commentatori di film che parlano di cose che apertamente non
conoscono, e mi concentro sul mio campo tecnico…

Film visivamente fantastico, ma si possono trovare facilmente molte critiche alla storia anche da parte di
chi ha adorato l’esperienza visiva e sonora. Chi si dimentica che la narrativa cinematografica è narrativa,
sbatte gli occhioni vacui senza capire o essere in grado di spiegarsi che qualcuno possa non apprezzarlo e
accusa gli altri di non capire nulla di cinema. Chi invece tiene conto di tutto e applica la teoria nota, e non
solo ciò che gli piace considerare in un film, non ha problemi a spiegarsi sia le critiche che i pregi del film.

Il Trucco usato da Nolan.


Proprio nel gestire questo problema, l’assenza di forti archi narrativi per rendere più “reale” e
meno “film” la vicenda, Nolan ha dato il meglio. Appena ho visto che il film seguiva tre gruppi
di personaggi, nei primi minuti di visione, ho tirato un sospiro di sollievo: a livello tecnico era
evidente cosa aveva scelto di fare per risolvere il problema del troppo realismo a scapito
della finzione narrativa.
Avendo deciso di non voler creare storie col modello classico, basate su personaggi che
superano o falliscono nel superare un difetto interiore, Nolan ha adottato una soluzione
semplice ed elegante per ridurre al minimo i problemi: ha scritto tre storie brevi invece di
una lunga. In pratica invece di scegliere di sbagliare apertamente, ha scelto di evitare in
buona parte il problema per poter fare ciò che voleva senza causare un errore completo.

Ricordate come mai le storie hanno bisogno di una struttura? Per tenerci incollati lungo la
durata della vicenda. La lunghezza di un film o romanzo ci richiede, se possibile, una storia
solida che ci mantenga lì fino alla fine. Una storia corta, invece, può terminare prima che il
nostro interessi si riduca e basare tutta la propria forza su un’idea di fondo. È la classica
questione dei racconti che devono reggersi su una idea o una situazione, mentre i romanzi su
solide strutture narrative. Un racconto dilatato in un romanzo, senza una ristrutturazione
completa, non funzionerà.

Cosa ha fatto allora Nolan? Dovendo fare un film “realistico” fino al punto di rifiutare il
modello restaurativo classico, un film che è più documentaristico che narrativo nel suo
volerci mostrare la realtà fisica dell’evacuazione, pur con tutte le licenze che si è preso per
renderla meno caotica e meno hollywoodiana, invece di raccontarci una sola vicenda di 106
minuti ne ha raccontate tre. E all’improvviso non hai più una sola vicenda di 106 minuti, ma
hai tre entità separate di poco più di 30 minuti l’una e che collettivamente costruiscono una
macro-vicenda corale di 106 minuti.

Facendo un paragone con la narrativa, dalle mie stime, un film da 90-120 minuti equivale a
un romanzo senza riassunti, nello stile di Vaporteppa, di 40.000-60.000 parole, quindi un
romanzo non molto lungo. Tanti romanzi che leggiamo vanno oltre le 90.000 parole, senza
contare i mattoni di 200-300.000, e hanno diverse parti riassunte che bisognerebbe
estendere in un film per mostrarle oppure tagliarle del tutto. Avere, mettiamo, 30-35 minuti
per storia equivale ad avere circa 16.000-17.000 parole di sole scene vivide e immersive. Un
racconto molto lungo, al limite col romanzo breve.

Una struttura narrativa classica non ci sta in così poco spazio.  Alieni Coprofagi dallo
Spazio Profondo con 28.900 parole ha faticato a sviluppare tutto l’arco correttamente, e un
paio di migliaia di parole in più per mostrare la vita di Nunzio in cella avrebbero aiutato
notevolmente l’opera. Con 16.000-17.000 parole ci fai le opere più brevi di Carlton Mellick III,
come Il Ninja Morbosamente Obeso o Puttana da Guerra, che si reggono solo sull’idea di fondo
e non brillano certo per struttura narrativa.

Il vantaggio però è che una storia così breve la finisci prima che il problema si faccia
grave per l’esperienza di lettura, o di visione. L’assenza di una struttura ricca di significato
non pregiudica il completamento dell’esperienza, danneggia solo il risultato dell’esperienza
stessa perché in assenza del plusvalore dato dalla struttura rimangono solo i fatti nudi privi di
un significato ulteriore. Qui un racconto di fantascienza si salva con l’idea meravigliosa, che ci
fa dire “cavolo, che forza!”, mentre una storia basata su fatti reali avrà dalla sua il realismo
puntiglioso, che ci farà dire “cavolo, ma è stato davvero così, vivere quell’evento era proprio
così.”
Dunkirk costruisce l’esperienza dell’attesa per imbarcarsi e dei pericoli per tornare la
casa. L’esperienza di combattere su uno Spitfire britannico. L’esperienza di cosa deve aver
significato per i tanti proprietari di piccole imbarcazioni andare a salvare il proprio esercito in
pericolo. Sfortunatamente non ho visto dettagli così entusiasmanti, così vividi e sorprendenti
da farmi dire “devo rivederlo per imprimermi meglio quella cosa”, ma solo quanto bastava a
farmi pensare “sì, suona credibile, suona come gli eventi veri” (escluso il numero minore di
esplosioni e i pochi aerei, ma anche se ho notato subito l’errore non mi ha dato alcun fastidio
reale, come non mi ha dato fastidio l’assenza assurda di sigarette). Se questo genere di cose ti
acchiappano, sei a cavallo… altrimenti ti farà schifo.

I personaggi mancano di una costruzione solida dell’empatia: sono i “buoni” solo perché
non fanno cose brutte e sono inglesi, mentre gli altri sono nazisti e quindi cattivi perché sì
nella logica del film, fine.

I personaggi mancano di solide motivazioni e solidi obiettivi, nessuno di loro sta lottando
per realizzare un sogno o simili, ma solo per sopravvivere agli eventi, mentre il tempo scorre
e la fine dell’esercito inglese sembra imminente:

 Nel caso della coppia di soldati nonostante siano pro-attivi e determinati a vivere, è la
fortuna a salvarli (anzi, se fossero stati meno pro-attivi e fossero rimasti a fare la fila
sulla spiaggia avrebbero evitato buona parte dei momenti in cui si hanno rischiato di
morire) e non hanno un obiettivo preciso reale, se non tornare a casa “in qualche
modo”. Reagiscono agli eventi, non perseguono un disegno più vasto.
 Il pilota sta facendo il suo dovere, abbattere aerei tedeschi, e ovviamente pure lui non
vuole morire. Reagisce solo agli eventi, non ha un grande obiettivo in mente.
 Il comandante dell’imbarcazione civile sa che la missione di salvataggio è sicura, perché
difficilmente aerei o sottomarini se la prenderanno con piccole barche come la sua, per
cui non rischia granché e infatti porta i due giovanotti senza farsi problemi: fa il proprio
dovere da bravo inglese, è competente, e sa di rischiare poco.

Sono molto diversi da Michael Corleone o da Luke Skywalker, insomma. Sembrano persone
per bene come tante in una guerra di massa che li travolge, non sono singoli individui che
guidano il proprio destino in una vicenda che è del tutto personale e che ha solo per sfondo
la guerra.

Nolan ha fatto un ottimo lavoro con ciò che poteva fare nonostante tutti gli handicap
che aveva scelto. Il film risultante rimarrà nella memoria e verrà discusso con entusiasmo
come ancora tanti discutono e ricordano Il Padrino o Pulp Fiction? Probabilmente no.
Probabilmente il film verrà ricordato per i suoi meriti nell’uso del suono e di un modo molto
documentaristico e volutamente più asettico, più psicologico e meno “boom boom sangue
urla budella”, di rappresentare la guerra.

Mi piacerebbe vedere più film così, o magari a metà tra questo approccio e quello classico di
Hollywood per non farcirsi di troppi handicap. Magari lavorando un po’ di più sull’empatia e
sugli obiettivi personali, per rendere meno “anonimi” i protagonisti. Più simili a Stalingrad del
1993, per esempio, o a Band of Brothers.
Il pericolo Apollo 13 è lì in attesa, ma a parte questo ancora complimenti a Nolan: meglio un
film così che l’ennesima porcata a base di soldati dalle doti incredibili che fanno stragi
incredibili e vincono perché la rule of cool domina e il realismo vale zero. ^__^

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