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Appunti di Judo
A cura della ASD Kodokan Gordiani
Judo… lo sport e il bambino
Spesso genitori e bambini si approcciano al judo senza una vera e propria conoscenza
di cosa sia questa disciplina.
La percezione comune soprattutto dei giovani, dei bambini, risente, infatti, di una
serie di messaggi legati alle arti marziali, diffusi dai mass-media attraverso film,
cartoni animati, fumetti, ecc.
Il più delle volte viene così disperso con questi messaggi confusi e parziali, il senso
primario dell’apprendimento del judo inteso come sport, pieno di rituali che
conducono al rispetto della convivenza civile e all’osservanza di regole che
dovrebbero sorgere innate, ma che occorre invece imprimere nella coscienza di tutti.
E’ più che mai importante chiarire il reale valore del judo quando ad accostarsi è il
bambino, un soggetto che richiede una speciale attenzione e che può cominciare ad
intraprenderlo sin dalla tenera età di 4/5 anni.
Infatti proprio per i bambini, l’esperienza del judo viene a rivestire un importanza e
un ruolo educativo che possono rivelarsi estremamente preziosi per l’evoluzione
psico-fisica e per la crescita armonica, anche se avvicinata da principio come gioco.
Tendenzialmente, pur ammettendo delle eccezioni sappiamo che i nostri bambini,
oggi, sono bersagliati da informazioni che li depistano verso una realtà sempre più
virtuale, in cui il ruolo attivo viene appiattito al minimo; questa realtà riduce
notevolmente le dinamiche della fisicità e delle relazioni umane.
Frequentemente lo scenario in cui il bambino si trova non è abbastanza ricco di
avventura, responsabilizzazione, maturità e consapevolezza che una volta esso
apprendeva spontaneamente e per necessità dettate da situazioni sopravvivenza
precaria che imponevano uno sviluppo precoce, un’ indipendenza in tutto e per tutto.
Oggi le regole vengono supinamente o addirittura per niente seguite, i genitori
sempre di più si assumono ogni decisione sulla vita dei loro bambini.
In questa ottica è fondamentale l’affacciarsi al mondo del judo, mondo dove la
volontà del bambino si risveglia, gli si profileranno degli obiettivi, l’attore principale
finalmente sarà proprio “lui” il bambino.
Fondamentale punto di riferimento è la figura dell’educatore, in questo caso
l’insegnante di judo o il maestro. E’ lui il veicolo di un sistema rituale, di leggi e di
reazioni, che risvegliano nel bambino il senso di curiosità, attrazione ed infine di
rispetto per una realtà che sia organizzata secondo un insieme di principi.
La coscienza del proprio ruolo e maturazione nel bambino si conseguono con più
efficacia in un contesto sportivo, con una guida carismatica, perché ogni conquista
comporta fatica, movimento, agilità di pensiero. Anche la non vittoria in un confronto
ludico o nella classica garetta, reca con se un alto potenziale educativo legato al
sacrificio, al riconoscimento dei propri limiti e alla ricerca del miglioramento.
Il judo è anche stimolo a razionalizzare i propri atti nel tempo: per esempio la
capacità di indossare velocemente e correttamente il judogi, quella di annodare la
cintura nel modo giusto. L’educatore deve insistere inizialmente sulle attività di
coordinazione, deve insegnare al bambino a muoversi a destra e a sinistra, avanti e
indietro poi hanno tanta importanza i cosiddetti movimenti rotatori. Importantissimo
è assortire il livello dei piccoli atleti in modo che i più esperti accompagnino la
maturazione dei più lenti, e che allo stesso tempo anche fra i più progrediti si creino
confronti stimolanti ad ulteriori raggiungimenti.
Entrano allora in queste dinamiche relazionali fattori come la solidarietà, il
senso di protezione, il rispetto, la stima, il desiderio di emulazione sportiva.
Una seconda fase è quella di far apprendere al bambino le cadute. Deve imparare a
rotolare, a staccarsi dal suolo, deve trovare il suo equilibrio, deve salvaguardare la
propria e altrui incolumità, il che richiede una veloce intuizione dei gesti, questi
movimenti diventeranno spontanei con tanta pratica e tanta attenzione da parte
dell’educatore.
Poi viene la fase del confronto che per prevenire qualsiasi paura psicologica si fa
iniziare con la lotta “ a terra ” nel corso della quale il bambino si libererà delle prime
reazioni istintive, per conquistare gradualmente la tecnica.
Quando il bambino acquisisce consapevolezza dei propri gesti, si inizia lo studio
delle tecniche “ in piedi ” cominciando con le prese fondamentali, dagli squilibri, dal
trascinamento al suolo, per proseguire senza traumi la lotta a terra per arrivare infine
alle varie proiezioni.
Anche durante le proiezioni l’insegnante deve porre grande attenzione affinché il
bambino capisca che durante l’azione di proiezione avrà la responsabilità nel pilotare
nella direzione corretta il compagno.
L’insegnante deve evitare in ogni caso di spingere il bambino al confronto sleale pur
di vincere ad ogni costo. Non è questo l’obiettivo del judo. A questo punto il piccolo
praticante è pronto ad intraprendere la lunga fase evolutiva del judo e in futuro
seguire se lo vorrà l’attività agonistica, che non è obbligatoria.
In questo modo il bambino attraverso questo meraviglioso sport potrà incamminarsi
verso le grandi, piccole difficoltà della vita contando sulle proprie forze.
E’ sicuramente questa la più grande gratificazione per l’insegnante di judo.
Sono sicuro che il bambino sia che diventi un campione o resti semplicemente un
ragazzo sportivo, avrà comunque alle spalle un’esperienza comunque positiva e
formativa.
Le tecniche e l’autodisciplina del judo gli potranno essere utili in ogni emergenza
della vita.
L’esperienza del judo non gioverà solo i bambini iperprotetti e inattivi, ma anche
quelli più difficili, turbolenti, magari provenienti da situazioni famigliari
problematiche, perché imparano a incanalare l’aggressività in azioni regolate, quindi
a trasformarla in energia positiva per se e per gli altri.
La storia
Nasce il Judo
Jigoro Kano si trasferì a Tokyo nel 1871 con la sua famiglia. D’intelligenza
vivissima ma di gracile costituzione, doveva subire la prepotenza dei compagni, dai
quali avrebbe voluto difendersi praticando il ju-jutsu.
Poichè la disciplina era screditata e ritenuta troppo violenta, Kano dovette
rinunciarvi, dedicandosi specialmente alla ginnastica e al baseball per irrobustire il
suo fisico. Nel 1877, entrato all’università di Tokyo, potè finalmente avvicinarsi al
ju-jutsu, cui si applicò con passione, impegnandosi in duri allenamenti (sempre
ricoperto di piaghe, era soprannominato “unguento”). I suoi primi maestri furono
Hachinosuke Fukuda e Masatomo Iso, della Tenshin-Shin’yo-ryu, venendo in
possesso dei Densho (libri segreti) della scuola dopo la loro morte; conobbe quindi
Tsunetoshi Iikubo, esperto della Kito-ryu. Mentre progrediva con sorprendente
facilità, penetrando i segreti dei diversi stili, nel 1881 ottenne la laurea in lettere e
cominciò ad insegnare al Gakushuin (Scuola dei Nobili).
Nel 1882 il giovane professore aprì una palestra di appena 12
tatami nel tempio di Eisho, radunandovi i primi 9 allievi:
nasceva così il Kodokan (Luogo per studiare la Via), dove il
giovane professore elaborò una sintesi di varie scuole di ju-
jutsu.
Il nuovo stile di lotta, non più soltanto un’arte di
combattimento, ma destinato alla divulgazione quale forma
educativa del corpo e dello spirito, venne chiamato Judo (“Via
della flessibilità”): come precisò Kano nel 1922, si fondeva sul
miglior uso dell’energia (Sei ryoku zen yo) allo scopo di
perfezionare se stessi e contribuire alla prosperità del mondo intero (Ji ta kyo ei).
Nel 1895 Kano elaborò con i suoi allievi migliori il primo Go-Kyo (“cinque
principi”) o metodo d’insegnamento; nel 1906 riunì a Kyoto i rappresentanti delle
varie scuole per delineare i primi Kata (“modelli” delle tecniche di lotta); nel 1921
presentò il nuovo Go-Kyo, tuttora invariato.
Un paio di anni prima di morire, quasi presagisse il disastro della seconda guerra
mondiale, aveva lasciato una specie di testamento spirituale ai judoka di tutto il
mondo:
“Il Judo non è soltanto uno sport. Io lo considero un principio di vita, un’arte e una
scienza [...] Dovrebbe essere libero da qualsiasi influenza esteriore, politica,
nazionalista, razziale, economica, od organizzata per altri interessi. Tutto ciò che lo
riguarda non dovrebbe tendere che a un solo scopo, il bene dell’umanità”.
I numeri
Il Judogi
Proprio come i dottori hanno il loro camice,
come i calciatori hanno la loro divisa, anche i
Judoka hanno un abito adeguato alla pratica: il
Judogi (GI= divisa). Esso è composto da
pantaloni rinforzati tenuti insieme talvolta da
un elastico, specialmente nei bambini, talvolta
da un laccio; una giacca chiusa da una cintura,
che in giapponese si chiama OBI.
Il Judogi è di colore bianco, tuttavia esiste
anche il Judogi di colore blu che si usa nelle
gare internazionali per identificare il judoga.
Ai piedi si calzano le ciabatte (Zori) per spostarsi all’interno del dojo.
Il Dojo
Il dojo è il luogo dove si pratica il judo.
Kamiza è la parte della parete dove viene posta la
fotografia del fondatore del judo.
La cintura rossa è anche usata da atleti agonisti nella gara, in contrapposizione alla
cintura bianca per identificare i due judoka.
Come ci si comporta in palestra?
Il Judoka che si appresta ad apprendere la disciplina del Judo deve necessariamente
seguire poche semplici regole.
RITZU-REI
Il Ritzu-Rei è il saluto in piedi.
Schiena dritta, braccia distese lungo al corpo,
talloni uniti e punte leggermente divaricate;
Chinare il corpo di circa 20/30 gradi.
ZA-REI
Gli allievi si dispongono in riga lungo la “zona rossa”, in ordine di cintura, dal
grado più basso al grado più alto in linea di fronte al Maestro e tutte le cinture
nere.
Il capofila è colui che ha il conseguito il grado di Kyu da più tempo;
La schiena deve essere dritta, le braccia vanno distese lungo al corpo,i talloni
uniti e punte leggermente divaricate, lo sguardo rivolto al Maestro
Al segnale del capofila SEZA,i Judoka si inginocchiano. Per inginocchiarsi
correttamente occorre flettere prima il ginocchio SINISTRO e solo in seguito il
ginocchio DESTRO;
Al segnale del capofila REI, flettere il busto in avanti, con lo sguardo verso
l’orizzonte
Non alzarsi fino a che il Maestro non avrà autorizzato il capofila a dare il
comando KIRIZTU. Per alzarsi si solleva prima il ginocchio destro, e
successivamente il ginocchio sinistro.
Quando si esegue?
Viene anche definito “saluto cerimoniale”, e generalmente si esegue all’inizio e alla
fine di ogni allenamento
Le Cadute (UKEMI)
Le cadute sono una parte essenziale ed imprescindibile nella pratica del Judo.
Imparare a cadere correttamente significa evitare traumi in seguito alle proiezioni e
consentire quindi una pratica del Judo in piena sicurezza.
Per questo motivo è essenziale curare ogni aspetto delle cadute, dal passo iniziale,
alla battuta finale. Esistono quattro cadute, in giapponese UKEMI.
USHIRO UKEMI
∗E’ importante tenere il mento ben attaccato allo sterno in modo da evitare che
la testa sbatta sul tatami,
∗E’ importante battere le braccia e non i gomiti
∗E’ importante non anticipare la battuta, per non renderla inefficacie.
YOKO UKEMI
Per imparare la Yoko Ukemi, la caduta laterale, può essere di aiuto posizionarsi al
bordo di una materassina che compone il tatami. La gamba, o destra o sinistra, a
seconda del lato su cui vogliamo cadere, avanza e
scivola con un angolazione di circa 45° (più o meno, verso l’angolo della
materassina). Dopodiché si lascia cadere sul fianco e batte il braccio.
∗E’ importante cadere sul lato, altrimenti si perde il senso della tecnica,
∗E’ importante non buttarsi, ma lasciarsi scivolare, in modo da acquisire
padronanza dei movimenti,
∗E’ importante non sbattere la testa
∗E’ importante che la gamba che scivola sia davanti all’altra gamba, altrimenti
si rischia di farsi lo sgambetto da solo.
ZEMPO UKEMI
La Zempo Ukemi, può sembrare una sorta di capriola in avanti rotolata sulla spalla.
Può essere eseguita con una o due braccia appoggiate sul tatami.
Questa caduta può essere svolta sia sul lato destro che sul lato sinistro del corpo.
E’ importante rotolare sulla spalla, tenendo il mento ben saldo allo sterno in
modo da non sbattere con la nuca,
E’ importante non atterrare con le ginocchia in modo da non sforzare i
legamenti.
MAE UKEMI
SHISEI
(Posizioni)
Shintai
( Spostamenti del corpo)
KUZUSHI
Kuzushi è il termine
giapponese per indicare lo
squilibro. Il nome deriva
dal verbo transitivo Kuzusu
che vuol dire spingere in
basso, distruggere o
demolire. Quindi non si
riferisce solo alla rottura
dell’equilibro, ma al
processo di portare
l’avversario in una
posizione in cui la
possibilità di attaccare è compromessa irrimediabilmente. Esistono otto direzioni
principali in cui muoversi, e ad ogni direzione corrisponde un diverso squilibrio.
Ogni tecnica ha un suo specifico squilibrio.
TSUKURI
KAKE
TORI E UKE
Chi è Tori?
Chi è Uke?
Go-Kyo (5 principi)
Il Go-kyo (i Cinque Principi o Cinque Gruppi) è il metodo di insegnamento del judo
che classifica 67 tecniche di cui 40 classiche piu 27 aggiunte in seguito.
Dopo il 1982 furono aggiunte alle 40 tecniche basilari delle tecniche addizionali. In
Italia, il go kyo viene insegnato come base delle conoscenze judoistiche, infatti i
gradi inferiori alla cintura nera sono rilasciati in seguito ad un passaggio di cintura
organizzati dal club, dove si esgue uno dei 5 raggruppamenti di tecniche in base alle
proprie conoscenze.
Nelle gare ufficiali sono presenti tre arbitri: un arbitro "centrale" che segue i
combattenti e due arbitri detti "arbitri di angolo" che stanno seduti ai due angoli
opposti del tatami.
L'arbitro centrale, durante il combattimento utilizza dei termini in giapponese
accompagnati da gesti, per essere capito anche da lontano. Gli arbitri di angolo si
esprimono in caso di disaccordo con la decisione dell'arbitro centrale, utilizzando gli
stessi gesti.
Se uno solo dei due arbitri di angolo dà il suo parere, l'arbitro centrale prende
atto del suggerimento ma non può modificare la propria decisione, se è già stata
espressa dal relativo gesto; se invece tutti e due gli arbitri di angolo sono d'accordo
contro il parere dell'arbitro centrale, questo deve cambiare la sua decisione.
Matte
(braccio teso con palmo diretto verso il tavolo della giuria)
fermate e ritornate a posto
Soremade
fine del combattimento
Sonomama
(toccando i due combattenti)
quando l'arbitro vuole verificare qualche cosa senza modificare la posizione dei
combattenti durante la lotta a terra
Yoshi
(toccando brevemente i due combattenti)
riprendete il combattimento, dopo Sonomama
Hantei
decisione dei giudici (braccio alzato in verticale)
Yuko
(braccio teso di fianco a 45 gradi, dita tese)
vantaggio medio
Waza-ari
(braccio teso di fianco a 90 gradi, dita tese)
mezzo punto
Ippon
(braccio teso al di sopra la testa, dita tese)
vittoria acquisita (punto), fine del combattimento
Osae-komi
inizio dell'immobilizzazione (braccio teso in avanti a 90 gradi palmo verso
terra)
Toketa
uscita dall'immobilizzazione (agita il braccio teso in avanti a 90 gradi a destra e
sinistra col palmo di taglio)
Shido
(indica col dito il combattente sanzionato) sanzione lieve
Hansoku-make
sanzione grave, che presa direttamente, comporta la squalifica.
Hiki-wake
alzerà un braccio in alto nell'aria e lo porterà giù sul davanti del suo corpo (con il
pollice verso l'alto) e lo terrà fermo lì per un momento.
Inoltre può:
Per annullare un'opinione già espressa: ripeterà con una mano il gesto
dell'opinione, mentre alza l'altra mano sopra la testa davanti e l'agiterà da
destra a sinistra due o tre volte.
Uscita