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QdR 9

Didattica e letteratura

Insegnare letteratura
Teorie e pratiche di una disciplina
a cura di Ambra Carta
QdR / Didattica e letteratura
Collana diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti
La collana
La didattica della letteratura è una disciplina ancora giovane, che dagli anni Sessanta
del secolo scorso ha accompagnato con riflessioni teoriche e proposte pratiche il
cambiamento della società contemporanea. Oggi, di fronte agli sconvolgimenti legati
alla rivoluzione digitale e alle profonde mutazioni del contesto socio-culturale, si
rende necessario stipulare un nuovo patto tra scuola e università, tra insegnamento
e ricerca, al fine di individuare metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo
degli studi letterari, della scrittura, della lettura, e dell’interpretazione delle opere
letterarie.
In un momento in cui si discute la necessità di formare i docenti in servizio e,
soprattutto, si sta per avviare una nuova fase nella formazione iniziale dei docenti
(TFA), la collana intende colmare un vuoto e divenire un punto di riferimento per
coloro che, nel mondo della scuola e dell’università, sono interessati ad approfondire
i problemi dell’insegnamento letterario e degli apprendimenti correlati alla fruizione
della letteratura.

Comitato scientifico
Paolo Giovannetti (IULM)
Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari)
Marielle Macé (CRAL Parigi)
Francisco Rico (Universitat Autònoma Barcelona)
Francesco Stella (Università degli Studi di Siena)
I volumi della collana sono sottoposti a un processo di peer review.
Volumi pubblicati
- Jean-Marie Schaeffer, Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la
letteratura?
- Cinzia Ruozzi, Raccontare la scuola. Testi, autori e forme del secondo Novecento
- Pasquale Guaragnella, Barocco e «nuova scienza». Proposte di ricerca didattica per il
docente di italiano
- Marielle Macé, La lettura nella vita. Modi di leggere, modi di essere
- Le competenze dell’italiano, a cura di Natascia Tonelli
- Per leggere i classici del Novecento, a cura di Francesca Latini e Simone Giusti
- Letterature e letteratura delle origini: lo spazio culturale europeo. Prospettive
didattiche per la Scuola secondaria e per l’Università, a cura di Giuseppe Noto
- Simone Giusti, Tradurre le opere, leggere le traduzioni

Prossime uscite
- Ariosto tra gli specchi del Novecento, a cura di Clara Allasia e Carla Sclarandis
QdR 9
Didattica e letteratura

Insegnare letteratura
Teorie e pratiche di una disciplina
a cura di Ambra Carta
© Loescher Editore - Torino 2019
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Ristampe
6 5 4 3 2 1 N
2024 2023 2022 2021 2020 2019

ISBN 9788820138646

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Direzione della collana: Natascia Tonelli e Simone Giusti


Coordinamento editoriale: Alessandra Nesti - Piaccapi
Realizzazione editoriale e tecnica: Franco Cesati Editore - Firenze
Progetto grafico: Fregi e Majuscole - Torino; Leftloft – Milano/New York
Copertina: Leftloft – Milano/New York; Visualgrafika - Torino
Stampa: Tipografia Gravinese – Via Lombardore, 276/F – 10040, Leinì (TO)
INDICE

Indice

Premessa 9

1. ‘Persona’ e ‘Mondo’. L’evoluzione storica di due lemmi tra


Antichità e cultura dell’Illuminismo 13
di Pasquale Guaragnella

2. Letteratura e scienze del bios: il caso di Siri Hustvedt 27


di Michele Cometa

3. Letteratura in movimento. L’italianistica universitaria e


l’insegnamento a scuola 39
di Giancarlo Alfano

4. Come formare i futuri insegnanti? Alcune considerazioni


a partire dalle riflessioni di Antonio Gramsci 53
di Andrea Manganaro

5. Imparare dalla letteratura nella scuola delle competenze.


Il caso del Canton Ticino 65
di Simone Giusti

6. Quale analisi del testo? Il nuovo Esame di Stato e la didattica


della letteratura a scuola e all’università 83
di Silvia Tatti

7. Dietro le quinte di un commento cooperativo (ovvero,


come tentare di sopravvivere felici alla ‘Buona scuola’) 97
di Pietro Li Causi

8. Effetti di ecfrasi nei canti XVI e XVIII della Gerusalemme


liberata. Una proposta didattica 115
di Ambra Carta

7
Bibliografia 131
‘PERSONA’ E ‘MONDO’. L’EVOLUZIONE STORICA DI DUE LEMMI TRA ANTICHITÀ E CULTURA DELL’ILLUMINISMO

4. Come formare i futuri insegnanti?


Alcune considerazioni a partire
dalle riflessioni di Antonio Gramsci
di Andrea Manganaro

«Se il corpo magistrale è deficiente e il nesso istruzione-educazione viene


sciolto per risolvere la quistione dell’insegnamento secondo schemi cartacei
in cui l’educatività è esaltata, l’opera del maestro risulterà ancora più defi-
ciente: si avrà una scuola retorica, senza serietà, perché mancherà la corpo-
sità materiale del certo, e il vero sarà vero di parole, appunto retorica»1.
È una nota del Quaderno 12 in cui Gramsci rifletteva sulla riforma Gen-
tile. A colui che è stato uno dei più grandi pensatori del XX secolo si guarda
ormai molto poco in Italia, a fronte della grande e crescente attenzione che il
suo pensiero riceve in larga parte del mondo, e significativamente nell’Ame-
rica del Nord. Eppure le riflessioni di Gramsci sembrano parlare, in termini
critici e contrastivi, proprio al nostro presente, e precisamente alla situa-
zione italiana, in cui i ripetuti annunci di riforma della scuola, o del reclu-
tamento degli insegnanti, si riducono a puri e semplici «schemi cartacei», a
vuoti proclami, o all’imposizione esteriore di un lessico “didattichese”, con
la conseguente accettazione supina o indifferente di un «vero» fatto solo di
«parole». Si elude il nesso centrale «istruzione-educazione», si affronta solo la
questione dei “mezzi”, mai dei “fini”, e la scuola di cui si parla è appunto solo
una «scuola retorica».
Riflettendo sulla riforma Gentile, Gramsci rilevava come il nodo della
questione non risiedesse tanto in «schemi programmatici», ma che si trat-
tasse «di uomini, e non degli uomini che immediatamente sono maestri,
ma di tutto il complesso sociale di cui gli uomini sono espressione». E ag-

1. A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino,
Einaudi, 1975, III, Quaderno 12 (XXIX), 1932 (Osservazioni sulla scuola: per la ricerca del principio educativo), 53
p. 1542.
INSEGNARE LETTERATURA

giungeva: «In realtà un mediocre insegnante può riuscire ad ottenere che


gli allievi diventino più istruiti, non riuscirà ad ottenere che siano più colti;
egli svolgerà con scrupolo e coscienza burocratica la parte meccanica della
scuola, e l’allievo, se è un cervello attivo, ordinerà per conto suo, e con l’aiuto
del suo ambiente sociale, il “bagaglio” accumulato. Coi nuovi programmi, che
coincidono con un abbassamento generale del livello del corpo insegnante,
non vi sarà “bagaglio” del tutto da ordinare»2.
L’attenzione alla scuola nel pensiero di Gramsci non è per nulla margi-
nale. Notava infatti che «ogni rapporto di ‘egemonia’ è necessariamente un
rapporto pedagogico» e che il rapporto maestro-discepolo mette in atto «l’u-
nità di scienza e vita»3. Il binomio «scienza e vita» non può non rinviare alla
celebre, omonima, prolusione napoletana di Francesco De Sanctis4. Su quel
testo, in un anno cruciale come il 1924, si erano scontrati Croce e Gentile (cri-
tico il primo, per il timore di riutilizzazioni in funzione dell’attivismo poli-
tico, e invece apologetico, pro domo sua, il secondo). E sempre quel saggio aveva
assunto un ruolo centrale per Luigi Russo, nella sua monografia del 1928, con
la sua scelta di studiare De Sanctis a partire dall’istituzione universitaria ma
ampliando lo sguardo a tutta la cultura postunitaria5. «Scienza» per De San-
ctis indicava la cultura, la coscienza razionale del mondo, in relazione alla
«vita» (la società nel suo storico divenire). Sempre nella prolusione De San-
ctis aveva contrapposto all’«istruzione», all’aumento quantitativo, «enciclo-
pedico», delle conoscenze, quello più complessivo, di «educazione», con la sua
forte valenza sociale ed etica6. Gramsci, cinquant’anni dopo, a proposito della
riforma Gentile, precisava che «non è completamente esatto che l’istruzione
non sia anche educazione». A svolgere il ruolo difficile di legame tra istru-
zione ed educazione, tra scienza e vita, è, per Gramsci, l’insegnante: «si può
dire che nella scuola il nesso istruzione-educazione può solo essere rappre-
sentato dal valore vivente del maestro, in quanto il maestro è consapevole
dei contrasti tra il tipo di società e di cultura che egli rappresenta e il tipo di
società e cultura rappresentato dagli allievi ed è consapevole del suo compito
che consiste nell’accelerare e nel disciplinare la formazione del fanciullo con-
forme al tipo superiore in lotta col tipo inferiore»7.

2. Ivi, pp. 1542-1543.


3. Gramsci, Quaderni del carcere cit., II, Quaderno 10 (XXXIII), 1932-1935, pp. 1331-1332.
4. F. De Sanctis, La scienza e la vita, in Id., L’arte, la scienza e la vita, a cura di M.T. Lanza, Torino, Einaudi,
1972, pp. 316-340.
5. Cfr. L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, introduzione di U. Carpi, Roma, Editori Riuni-
ti, 1983; U. Carpi, Introduzione a Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana cit., pp. 11- 22: 13.
6. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana cit., p. 326; De Sanctis, La scienza e la vita cit., p. 339.
54 7. Gramsci, Quaderni del carcere cit., III, p. 1542. Cfr. G. Benedetti, D. Coccoli, Gramsci per la scuola. Conoscere
è vivere, prefazione di M. Revelli, Roma, L’Asino d’oro, 2018, cap. VI, La scuola.
4. COME FORMARE I FUTURI INSEGNANTI? ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DALLE RIFLESSIONI DI ANTONIO GRAMSCI

Una posizione per nulla accondiscendente nei confronti dell’esistente,


quella di Gramsci, che non nascondeva affatto anche il rapporto decisamente
conflittuale, di vera e propria «lotta», tra la scuola e le abitudini di cui è porta-
tore l’alunno: «La scuola con il suo insegnamento lotta contro il folclore, con
tutte le sedimentazioni tradizionali di concezioni del mondo per diffondere
una concezione più moderna, i cui elementi primitivi e fondamentali sono
dati dall’apprendimento dell’esistenza delle leggi della natura come qualcosa
di oggettivo e di ribelle a cui occorre adattarsi per dominarle e delle leggi ci-
vili e statali che sono un prodotto di un’attività umana, che sono stabilite
dall’uomo e possono essere dall’uomo mutate per i fini del suo sviluppo collet-
tivo». Una concezione della scuola, quella gramsciana, che nulla concede ai
facili miti dello spontaneismo, alla supremazia pedagogica dell’«educatività»,
all’acquiescenza supina nei confronti di atteggiamenti assimilati dal senso
comune. Una prospettiva che considera compito ineliminabile della scuola
quello di trasmettere «le nozioni di diritti e doveri», con la lucida consapevo-
lezza che esse «entrano in lotta con le tendenze alla barbarie individualistica
e localistica, che è anch’essa un aspetto del folclore»8. In quest’affermazione
gramsciana, che risuona purtroppo come un’amara previsione di tendenze
diffuse e legittimate nella scuola dei nostri giorni, l’individualismo e il loca-
lismo sono qualificati recisamente come «barbarie» da combattere.
Il nucleo centrale delle riflessioni sulla scuola all’interno dei Quaderni ri-
entra negli Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellet-
tuali (1932). Gramsci individuava un nesso strettissimo tra la questione della
scuola e la funzione intellettuale nelle società moderne. È proprio lo sviluppo
delle attività scolastiche a mostrare che la modernità, nei suoi aspetti tecnici
e conoscitivi, ha il suo fondamento essenziale nell’espansione del lavoro in-
tellettuale: «La scuola è lo strumento per elaborare gli intellettuali di vario
grado. La complessità della funzione intellettuale nei diversi Stati si può mi-
surare obiettivamente dalla quantità delle scuole specializzate e dalla loro ge-
rarchizzazione: quanto più è estesa l’“area” scolastica e quanto più numerosi
i “gradi” “verticali” della scuola, tanto più è complesso il mondo culturale, la
civiltà, di un determinato Stato»9.
Le riflessioni di Gramsci, come si è detto, sembrano parlare al nostro
tempo, ma proprio perché quella prospettiva risulta profondamente discor-
dante, e pertanto critica, rispetto alla visione del mondo oggi prevalente, ap-
piattita su un «banale atomismo sociale», che considera «gli uomini come es-
seri concorrenziali e puntiformi, ognuno privo di storia e relazioni, stranieri

8. Gramsci, Quaderni del carcere cit., III, p. 1540. 55


9. Ivi, p. 1517.
INSEGNARE LETTERATURA

ed estranei l’un l’altro, connessi solo dal legame debole del mercato». “Inat-
tuale”, quella concezione, anche perché oppositiva rispetto all’idea, sempre
più diffusa, della cultura «come risorsa mercantile scambiabile in una logica
di vantaggi competitivi»10. D’altra parte oggi la funzione intellettuale sembra
essere diventata sempre più evanescente, sempre meno riconoscibile. Il cor-
porativismo dell’universale, di cui parlava Bourdieu, appare ormai defini-
tivamente tramontato11. Gli intellettuali sempre più si rinchiudono nello
spazio ristretto del loro specialismo settoriale e disciplinare e gli insegnanti
si vedono sempre più costretti a rispondere non alla loro funzione originaria,
ma alle mansioni burocratiche richieste dal ruolo istituzionale12.
Ad averci richiamato più volte le posizioni di Gramsci, e l’opportunità
di riprendere in considerazione alcune sue prospettive, è stato soprattutto
Giulio Ferroni, uno dei non molti italianisti che alla scuola hanno anche re-
centemente dedicato articolate riflessioni, anche con saggi monografici13. Già
in un testo del 1997 dedicato alle «illusioni della riforma», Ferroni ricordava
come Gramsci rappresentasse una «luminosa eccezione» nell’atteggiamento
verso la scuola degli intellettuali italiani, continuamente ondeggiante «tra
pedagogismo programmatico e anarchico fastidio», ma con una sempre cre-
scente «sacca intermedia di quasi totale indifferenza»14. L’esordio del più re-
cente saggio dedicato da Ferroni alla scuola suona a tal proposito come un
controcanto rispetto all’infastidita indifferenza tanto diffusa tra gli intellet-
tuali italiani. La riflessione sulla scuola (come ci ricorda) comporta infatti la
necessità di sottrarsi ad ogni specialismo, ad ogni visione del particolare; im-
pone di pensare non solo a un’istituzione o a una funzione, ma, più in gene-
rale, «al destino del proprio paese, dell’umanità, del mondo»; riflettere sulla
scuola, infine, non solo significa chiamare in causa le contraddizioni del
presente, le prospettive sul futuro, ma «le ragioni stesse del nostro essere al
mondo, la cura dei propri figli e di tutto ciò che si ama»15.
La posizione di Gramsci sulla scuola (come segnalava Ferroni in un con-
vegno del 1997) ci riporta «lontano dal pedagogismo» dilagante. Alla base del
suo pensiero pedagogico infatti «c’è una critica assai netta alle pedagogie della
spontaneità, al loro spirito illusoriamente libertario e pseudoilluministico,

10. Cfr. M. Revelli, Prefazione a G. Benedetti, D. Coccoli, Gramsci per la scuola cit.
11. Cfr. R. Luperini, Tramonto e resistenza della critica, Macerata-Roma, Quodlibet, 2013, pp. 15-28.
12. Cfr. F. Fortini, Intellettuali, ruolo, funzione, in Id., Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura,
1965-1977, Torino, Einaudi, 1977, pp. 68-73.
13. Cfr. G. Ferroni, La scuola impossibile, Roma, Salerno Editrice, 2015. E cfr. anche G. Baldi, La sfida della
scuola. Crisi dell’umanesimo e tradizione del dialogo, Milano, Paravia, 2016; R. Luperini, Insegnare la lettera-
tura oggi, San Cesario di Lecce, Manni, 2013.
56 14. G. Ferroni, La scuola sospesa. Istruzione, cultura e illusioni della riforma, Torino, Einaudi, 1997, pp. 47-48.
15. Ferroni, La scuola impossibile cit., pp. 7-8.
4. COME FORMARE I FUTURI INSEGNANTI? ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DALLE RIFLESSIONI DI ANTONIO GRAMSCI

legato al presupposto della ‘trasparenza’ educativa, alla pia fiducia in una co-
municabilità e una realizzabilità immediata dei modelli positivi, che non fa i
conti con le contraddizioni delle situazioni concrete, con la resistenza mate-
riale dei soggetti e i condizionamenti eterogenei e incontrollabili del mondo
esterno»16. E in effetti contro il crescente pedagogismo già allora Gramsci ri-
chiamava la necessità del sapere disciplinare, con il suo «bagaglio» di «no-
zioni concrete»17, e di non facile apprendimento, come nel caso del latino («si
studia per abituare i fanciulli a studiare in un determinato modo», «per ve-
dere in ogni fatto o dato ciò che ha di generale e ciò che di particolare, il con-
cetto e l’individuo»18). Concludendo le sue riflessioni sulla scuola, con corag-
giosa lucidità, Gramsci non eludeva la questione «complessa» del rapporto tra
«partecipazione di più larghe masse» alla scolarizzazione e «tendenza a ral-
lentare la disciplina dello studio, a domandare “facilitazioni”», non nascon-
dendo come la diversa provenienza sociale comportasse un dislivello nell’af-
frontare la difficoltà dello studio. «Quistioni», notava, che possono «diventare
asprissime», prevedendo le «difficoltà inaudite» che «si avranno da superare».
Eppure, a maggior ragione, richiamava l’assoluta necessità di «resistere alla
tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato»19.
Per la loro discordante, oppositiva “inattualità”, le considerazioni di
Gramsci gettano un’ombra sul nostro presente, e forse possono aiutarci a
prenderne maggiore consapevolezza. Il pedagogismo che vedeva già dilagare
con tendenze facilitanti e antidisciplinari è ormai divenuto egemonico. Lo
testimonia lo spazio preponderante riservato, nei cosiddetti 24 CFU, alle di-
scipline antropo-psico-pedagogiche, con un’inversa, tendenziale riduzione
dello spazio dedicato nel percorso formativo universitario ai saperi e alle di-
dattiche disciplinari. La «retorica», il «vero» solo nelle parole, da cui Gramsci
ci metteva in guardia, si è manifestato nel lessico didattichese e burocra-
tico dilagante e imposto agli insegnanti. Ciò che tutt’al più era un semplice
mezzo sostituisce sempre più il fine. Le «difficoltà inaudite» che Gramsci pre-
vedeva non sono purtroppo state affrontate per «creare un nuovo strato di
intellettuali, fino alle più grandi specializzazioni, da un gruppo sociale che
tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini conformi»20: come testimo-
niano recenti statistiche, la scuola italiana ormai ha smesso di essere l’ascen-

16. G. Ferroni, Lontano dal pedagogismo, in Scuola, intellettuali e identità nazionale nel pensiero di Antonio
Gramsci. Atti del Convegno (Reggio Emilia, 11 dicembre 1997), a cura di L. Capitani, R. Villa, prefazione
di R. Zangheri, Roma, Gamberetti, 1999, pp. 25-36: 28-29.
17. Gramsci, Quaderni del carcere cit., III, p. 1517.
18. Ivi, p. 1545.
19. Ivi, p. 1550. 57
20. Ibidem.
INSEGNARE LETTERATURA

sore sociale che poteva consentire di superare il dislivello socioeconomico di


provenienza. «Difficoltà inaudite» sono quelle che deve ormai affrontare la
scuola pubblica di fronte alla crescente carenza di risorse, soprattutto nelle
zone svantaggiate del Paese, e in particolare nelle regioni meridionali, dove
spesso essa rappresenta uno dei pochi presidi di legalità, una delle poche te-
stimonianze della presenza dello Stato. Si assiste ormai non tanto all’amplia-
mento del «corpo insegnante» (in relazione di necessità con l’aumento della
qualità, «perché la efficenza della scuola è tanto maggiore e intensa quanto
più piccolo è il rapporto tra maestro e allievi»21), ma alla progressiva riduzione
del numero degli insegnanti, con la riduzione del turnover, con il sistematico
procrastinare prima dei percorsi abilitanti, e poi dei concorsi a cattedra. E
non più la «lotta», non più il conflitto necessario tra senso comune e i «diritti
e doveri», quella tensione ideale e utopistica connaturata alla scuola stessa,
ma ormai accomodante legittimazione del senso comune acquisito acritica-
mente all’esterno, come la «barbarie individualistica e localistica», o i tanti
miti illusori, effimeri, dell’apparenza, del profitto, del successo individuale.
L’instabilità del quadro normativo, il continuo susseguirsi di riforme an-
nunciate e poi annullate dall’avvicendarsi al governo dei diversi schiera-
menti politici, hanno reso oggi quanto mai incerto, imprevedibile, il percorso
di formazione dei futuri insegnanti. Al modello concorsuale del passato, ba-
sato sulla verifica dei saperi disciplinari, le SIS prima e i TFA dopo avevano so-
stituito un percorso abilitante fondato sull’integrazione tra formazione uni-
versitaria (disciplinare e pedagogica) e tirocinio all’interno delle istituzioni
scolastiche. Un percorso misto, complesso, problematico, con luci e ombre,
ma che in non poche realtà aveva consentito di mettere a disposizione per
la formazione dei futuri insegnanti anche competenze e professionalità ma-
turate nel mondo della scuola e dell’università in un rapporto di confronto e
reciproco scambio. Nei percorsi TFA tenuti nell’Università di Catania, nelle
classi di concorso “letterarie” è stata compiuta, ad esempio, la scelta precisa
di puntare sulle didattiche delle discipline: non tanto ripetizione dei conte-
nuti disciplinari, ma riflessione teorica e metodologica in rapporto all’in-
segnamento della materia. Gli obiettivi ad esempio indicati per quanto ri-
guarda la Didattica della letteratura italiana (nelle classi di concorso A051, A052)
nel TFA II ciclo (2014-15) sono stati i seguenti:

Sviluppare nei corsisti la consapevolezza del ruolo dell’educazione letteraria nella forma-
zione degli alunni; promuovere la capacità di individuare, nei diversi contesti situazionali,
adeguate modalità di trasmissione delle conoscenze disciplinari e in particolare di quelle

58
21. Ivi, p. 1534.
4. COME FORMARE I FUTURI INSEGNANTI? ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DALLE RIFLESSIONI DI ANTONIO GRAMSCI

relative alla civiltà letteraria italiana; promuovere la capacità di elaborare strategie didat-
tiche adatte a favorire la maturazione della competenza letteraria/interpretativa; aggior-
nare la riflessione sullo statuto disciplinare della letteratura italiana, alla luce dei muta-
menti profondi intervenuti (informatizzazione, prevalenza dell’immagine sulla lettura;
marginalizzazione dell’umanesimo). Il fine auspicato del corso è quello di poter garantire
alle nuove generazioni le possibilità formative proprie dell’educazione letteraria, e di rilan-
ciare il senso profondo, ancora oggi indispensabile, dell’insegnamento della letteratura.

E questa è stata la scansione dei contenuti indicati per il medesimo corso


di Didattica della letteratura:

Fondamenti epistemologici della letteratura - Riflessione sullo statuto disciplinare. Proble-


matiche storiografiche, metodologie critiche e modelli didattici. Strumenti e modelli didat-
tici della letteratura italiana. Modelli tradizionali, modelli innovativi. Riflessione sui loro
fondamenti teorici, sui modelli acquisiti, sulle alternative prospettate e possibili. La compe-
tenza letteraria/interpretativa. “Competenza letteraria” e insegnamento della letteratura. I
diversi e complementari aspetti della competenza letteraria. I generi letterari. La critica te-
matica. La “letteratura in pericolo”: la crisi dell’insegnamento della letteratura. La funzione
della letteratura e del suo insegnamento oggi. Quale canone? Quali autori, quali testi?

Il percorso si fondava pertanto sull’asse teoria-didattica della letteratura,


anche in prospettiva storica (modelli del passato, modelli del presente, mo-
delli possibili).
Strettamente correlato alla didattica disciplinare, il Laboratorio di didattica
della lingua e letteratura italiana, per le medesime classi di concorso, tenuto da
docenti liceali con larga esperienza di ricerca e didattica, e in costante rap-
porto di collaborazione con l’italianistica universitaria, indicava come propri
obiettivi «l’acquisizione teorica e applicativa delle più aggiornate ed efficaci
metodologie e sperimentazioni sull’insegnamento dell’italiano, in attua-
zione delle indicazioni nazionali e delle linee guida del Miur». E per i conte-
nuti puntava soprattutto su: «Didattica tradizionale e didattica per compe-
tenze. La competenza letteraria/interpretativa. Definizione di indicatori e
descrittori graduali e progressivi della competenza letteraria/interpretativa
nei suoi diversi e complementari aspetti».
Sia l’insegnamento di Didattica della letteratura, sia il Laboratorio di didattica
della letteratura, prevedevano una specifica attenzione alla “didattica per com-
petenze” (richiesta dalle Raccomandazioni europee, dalle Indicazioni nazionali
e dalle Linee guida ministeriali). Con il concetto di competenza la focalizza-
zione tende a spostarsi, nella triade costitutiva della comunicazione, dal polo
dell’autore (e della storia che lo determina), e dal polo del testo (e della storia
59
delle forme), a quello del destinatario, del lettore. In questo diverso dislocarsi
INSEGNARE LETTERATURA

della focalizzazione risiede uno dei punti più problematici e più delicati del
rapporto tra ricerca e insegnamento universitario, da una parte, e i mutamenti
nella pratica dell’insegnamento in atto a scuola, dall’altra. Su questo nodo
sono innegabili le difficoltà nell’interazione tra università e scuola nell’ambito
della formazione dei futuri insegnanti: da una parte l’oggetto della disciplina
(lo specifico letterario, lo spessore storico, la tradizione interpretativa, la filo-
logia), dall’altra la focalizzazione sul fruitore, l’esaltazione del «momento della
partecipazione interpretante»22. Conciliare l’attenzione sull’alunno-lettore (e
alle competenze) e sulla specificità della disciplina (e delle competenze scien-
tifiche dei docenti universitari) rappresenta uno dei nodi più complessi del
rapporto tra scuola e università. Nei confronti della didattica per competenze
risultano scontati i sospetti, le perplessità, la diffidenza, da parte dei docenti
universitari, e nel caso specifico, da parte degli italianisti. È più che compren-
sibile, per la diversità di funzioni, il timore del docente universitario nei con-
fronti di un possibile snaturamento della specificità disciplinare, determinata
da uno sbilanciamento sul polo dell’alunno-fruitore.
Giulio Ferroni ha messo sull’avviso di quanto possa essere pericoloso e di-
struttivo «mettere tra parentesi il corpo delle discipline, la loro compattezza
istituzionale», sostituendo ad esse «la costruzione di significati pronti ad
erompere dal mondo stesso dello studente, dallo stesso universo antropologico
dei cosiddetti nativi digitali»23. Un monito rafforzato dal richiamo a Gramsci,
al noto passo sulla severa disciplina dello studio («occorre persuadere molta
gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale
tirocinio oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di
adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza»)24.
Un monito ribadito da Ferroni anche con una citazione efficacissima di Medi-
tazione di Saba, dei versi in cui il poeta invitava a riflettere su quanto lunga e
faticosa sia stata la costruzione anche dei più semplici oggetti quotidiani:

Poco invero tu stimi, uomo, le cose.


Il tuo lume, il tuo letto, la tua casa
sembrano poco a te, sembrano cose
da nulla, poi che tu nascevi e già
era il fuoco, la coltre era e la cuna
per dormire, per addormirti il canto.

22. Cfr. Luperini, Insegnare la letteratura oggi cit., p. 67, sulla sostituzione della vecchia formula della “cen-
tralità del testo” (diffusa nelle scuole dallo strutturalismo), con quella della “centralità della lettura”.
60 23. Ferroni, La scuola impossibile cit., p. 54.
24. Gramsci, Quaderni del carcere cit., III, p. 1549.
4. COME FORMARE I FUTURI INSEGNANTI? ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DALLE RIFLESSIONI DI ANTONIO GRAMSCI

Ma che strazio sofferto fu, e per quanto


tempo dagli avi tuoi, prima che una
sorgesse, tra le belve, una capanna;
che il suono divenisse ninna-nanna
per il bimbo, parola pel compagno.
Che millenni di strazi, uomo, per una
delle piccole cose che tu prendi,
usi e non guardi; e il cuore non ti trema,
non ti trema la mano;
ti sembrerebbe vano
ripensare ch’è poco
quanto all’immondezzaio oggi tu scagli;
ma che gemma non c’è che per te valga
quanto valso sarebbe un dì quel poco25.

Da questo invito di Saba si potrebbe trarre per analogia, suggerisce Fer-


roni, la «raccomandazione a dare rilievo ai contenuti disciplinari, al lungo
impegno che ha portato alla loro costruzione»26.
Qualsiasi considerazione sull’insegnamento della letteratura italiana nel
nostro Paese non può però prescindere dalla considerazione della diversità
dello statuto disciplinare nei due diversi segmenti del sistema istruzione.
Della scuola è distintiva funzione assicurare l’offerta formativa a fasce di po-
polazione studentesca diverse da quelle proprie dell’università: più estese, più
giovani; e quindi anche meno omogenee, più difficilmente motivabili allo
studio. L’università tende inevitabilmente a vedere l’insegnamento disci-
plinare nella scuola secondaria in termini di funzionalità rispetto ai propri
corsi. E pertanto in genere addebita alla scuola la lacunosa preparazione delle
nuove matricole, sottovalutando i profondi mutamenti (nella didattica, nelle
specifiche finalità) intervenuti nella scuola secondaria. La diversità di fun-
zioni non deve comunque far ignorare le omologie, le reali convergenze, tra
scuola e università, anche nell’ambito specifico dell’insegnamento della let-
teratura italiana. Tra ricerca (storico-critica, filologica, ermeneutica), e in-
segnamento esiste una connessione definita non tanto dal tema (la lettera-
tura), ma da un’omologia più profonda, basata sul presupposto della necessità
della mediazione. I testi infatti non parlano «da soli, al di là e al di fuori di

25. Cfr. U. Saba, Meditazione, da «Poesie dell’adolescenza e giovanili», in Poesie scelte, a cura di G. Giudici, con
una nota bio-bibliografica a cura di S. Miniussi, Milano, Mondadori, 1976. pp. 7-8; cfr. anche in U.
Saba, Il canzoniere (Letteratura italiana Einaudi), in Tutte le poesie, a cura di A. Stara, Milano, Monda-
dori, 1988, pp. 23-24. 61
26. Ferroni, La scuola impossibile cit., p. 55.
INSEGNARE LETTERATURA

ogni possibile mediazione»27. E la necessità della mediazione non è solo de-


terminata dalla distanza storica che separa i contesti e i codici di produzione
da quelli di ricezione, dal mutare degli orizzonti di attesa, ma dalla polisemia
stessa del testo letterario, dalla domanda di senso che esso di per sé implica,
e che va di volta in volta rinnovata, esplicitata. La mediazione, per i testi let-
terari, va esercitata in una costante, dialogica, operazione di “traduzione” dal
passato al presente, e nello stesso presente, tra destinatari (lettori, studenti),
di volta in volta diversi. Lo studioso e l’insegnante di letteratura devono at-
tuare sempre un duplice dialogo: con il testo e con gli altri lettori del testo. In
ambiti diversi di socialità, certamente, perché diversi sono di volta in volta
i destinatari. Per tentare, ai nostri giorni, di ridare senso all’insegnamento
della letteratura, per reintegrarne la vitalità, si tratta, per usare un’espres-
sione di Machiavelli, di ridursi ai princìpi, di recuperare «la prima riputazione
ed il primo augumento»28, riscoprendone i fondamenti, ritornando, al di là
della limitatezza del ruolo burocratico imposto dalle istituzioni, alla sua fun-
zione originaria: di mediazione, di «transduzione»29, di continua tensione dia-
logica, conoscitiva, ed etica.
Come è stato possibile sperimentare nella ricerca-azione condotta all’in-
terno del progetto Compìta (con l’obiettivo di «integrare il modello didattico
delle competenze, centrato sull’apprendimento attivo, con quello della nar-
razione storica e lineare della storia letteraria, centrato invece sulla didat-
tica trasmissiva»)30, anche sulla scorta di alcune riflessioni di Citton31, la ri-
flessione e l’attività didattica sulla competenza letteraria hanno consentito
di superare l’idea che essa si esaurisca in una dimensione tecnica, rientrante
nella «categoria dei saperi». La competenza letteraria si caratterizza come at-
tività interpretativa, cioè «nel saper far giocare la parola di un testo per rica-
varne interpretazioni di un certo interesse – interpretazioni che possono de-
rivare da una vasta gamma di metodologie e di schieramenti epistemologici
a volte del tutto incompatibili tra loro»32.

27. M. Lavagetto, Eutanasia della critica, Torino, Einaudi, 2005, pp. 81-82.
28. Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Libro III, 1, in Id., Opere, a cura di M. Bonfanti-
ni, Napoli, Ricciardi, 1974 («I classici del pensiero italiano», edizione speciale per la Biblioteca Treccani,
2006), pp. 309-314; e cfr. Luperini, Tramonto e resistenza della critica cit., 2013, p. 50.
29. Y. Citton, La compétence littéraire: apprendre à (dé)jouer la maîtrise, in «Il Verri», 45, 2011, pp. 32-41, cita-
zione alle pp. 32-33.
30. Dal Protocollo d’intesa tra il Miur e l’Università di Bari (ateneo capofila), per la realizzazione del
progetto denominato Le competenze d’italiano nel secondo biennio e nell’ultimo anno delle scuole superiori di
secondo grado.
31. Citton, La compétence littéraire cit.; Id., Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, trad. it. di
62 I. Mattazzi, Palermo, Duepunti, 2012.
32. Citton, La compétence littéraire cit., p. 32.
4. COME FORMARE I FUTURI INSEGNANTI? ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DALLE RIFLESSIONI DI ANTONIO GRAMSCI

Il timore, nei confronti della «sperimentazione di interpretazione», in cui


è stato indicato il comune denominatore della “competenza letteraria”, come
pure nei confronti della «comunità ermeneutica» della classe, è che si possa
ricadere negli eccessi della neoermeneutica, di legittimare, anche nel nostro
ambito, il dilagante dilettantismo, il pressapochismo, diffusosi ben oltre le
mura scolastiche, nel nostro Paese, e divenuto quasi, ormai, costume nazio-
nale. Ma è appunto di fronte al pericolo del soggettivismo, dell’impressio-
nismo, dell’arbitrio interpretativo, del giudizio oracolare, del discorso apodit-
tico, che invece la ricerca scientifica (storico-critica, filologica) e la specifica
competenza disciplinare devono esercitare un ruolo ineludibile nell’intera-
zione col mondo della scuola e in primo luogo nella formazione dei futuri
insegnanti. Non un compito di retroguardia (di semplice difesa della tradi-
zione), ma attivamente educativo. E non solo relativamente alle specifiche
competenze letterarie, ma anche riguardo alle più ampie e imprescindibili
competenze di cittadinanza.
L’interpretazione, si sa, è infinita, e storicamente processuale, dialogica,
ma non certo illimitata. Insegnare il limite dell’interpretazione ha uno scopo
educativo, etico, di responsabilità. È preliminare, fondamentale far appren-
dere il rispetto per il testo e per i suoi interpreti passati. Non si può separare
l’interpretazione dalla comprensione letterale e storica, l’ermeneutica dalla
semantica storica. L’attribuzione di senso non può essere disgiunta dalla da-
tità materiale e specifica del testo, dal rispetto dei fondamenti storico-filolo-
gici: «Disprezzando il “contenuto di fatto” di un’opera, i suoi significati lette-
rari e storici, si disprezza in realtà la possibilità di colloquio non solo con essa,
ma anche con quanti altri […] a essa si rifanno per interpretarla»33.
In questa educazione alla consapevolezza del limite dell’interpretazione,
l’esperienza scientifica degli italianisti universitari, con le competenze spe-
cifiche acquisite nella ricerca, deve esercitare una funzione ineliminabile
nel processo di formazione degli insegnanti: sostenendo, con la stessa prassi
della ricerca, e con l’esperienza in essa acquisita, la relatività storica delle in-
terpretazioni, e la conoscenza dialogica propria del sapere umanistico, frutto
della dialettica tra passato e presente, del confronto tra prospettive e letture
diverse. L’esperienza della ricerca potrà contribuire ad arginare il pericolo di
solipsismo impressionistico, l’interpretazione senza limiti e senza regole, ri-
dotta a puro arbitrio34.
Per la competenza letteraria, per la “sperimentazione interpretativa”, si
tratterà, limitando ogni arbitrio, di dimostrare con quanta maggiore espe-

33. Cfr. Luperini, Insegnare la letteratura oggi cit., pp. 80-84. 63


34. Cfr. U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1995, in part. pp. 34, 38, 110.
INSEGNARE LETTERATURA

rienza possibile (quella esemplificata dalla ricerca) quella «delicata empiria»


(per usare il sintagma goethiano più volte richiamato da Ezio Raimondi)35
che è propria dell’ermeneutica letteraria.
Ma per ottenere questo, anche considerando la disomogenea provenienza
degli studenti negli stessi corsi di Lettere, bisognerà puntare a un propedeu-
tico, preliminare rafforzamento dei saperi disciplinari, istituzionali; an-
cora di più rispetto al passato, bisognerà cioè garantire, consolidare, le cono-
scenze, con il necessario, insostituibile «bagaglio» di «nozioni concrete». Solo
su questa base si potrà, nei corsi biennali magistrali, approfondire la compe-
tenza disciplinare, ma anche attivare proficuamente corsi di Didattica della
letteratura, che puntino, «lontano dal pedagogismo», soprattutto al raccordo
tra teoria letteraria e insegnamento della letteratura. Chi un giorno dovrà
andare a insegnare la materia, nei vari ordini di scuola, e nelle più diverse
situazioni, non potrà non padroneggiare preliminarmente i contenuti, i «sa-
peri» disciplinari. Chi dovrà, nelle più diverse condizioni, rinnovare l’attività
interpretativa, suscitare le domande di senso dei giovani, potrà farlo seria-
mente e fruttuosamente solo partendo da un sicuro possesso del «bagaglio»
di «nozioni», di «corposità materiale del certo». E muovendo da questo, potrà
educare le future generazioni al limite dell’interpretazione.

35. P. Ferratini, L’uomo dei libri, in E. Raimondi, Le voci dei libri, a cura di P. Ferratini, Bologna, il Mulino,
64 2012, pp. 101-113: 109. Cfr. J.W. Goethe, Massime e riflessioni, a cura di S. Seidel, introduzione di P. Chia-
rini, Roma-Napoli, Theoria, 1983, p. 152, n. 565.
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Insegnare letteratura
Teorie e pratiche di una disciplina
Il mutato scenario culturale, sociale e legislativo, e l’impatto massiccio delle
tecnologie nella vita quotidiana impongono a università e scuola un radicale
ripensamento di modelli teorico-epistemologici e di pratiche didattiche.
Le recenti acquisizioni scientifiche offrono a chi si occupa di ricerca
umanistica e di formazione una straordinaria occasione per tracciare nuovi
percorsi di indagine e sperimentare nuovi approcci metodologici.Le voci che
compongono variamente questo volume si confrontano, pertanto, su alcune
delle questioni più urgenti degli studi letterari, e provano a ridisegnare un
orizzonte epistemologico condiviso e di ampio respiro, capace di individuare
linee programmatiche di intervento, azioni, modelli e paradigmi teorici. Gli
autori, che da tempo si occupano di teoria letteraria, di ricerca umanistica e
di formazione, si misurano sul terreno delle scienze del bios, in un rinnovato
dialogo tra cultura umanistica e cultura scientifica – dalla neuroestetica
alla biologia della letteratura – per offrire risposte adeguate alle sfide educative
e formative contemporanee.

Ambra Carta è Ricercatrice in Letteratura italiana presso il Dipartimento


di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo, dove insegna
Letteratura italiana e Didattica della letteratura italiana. Ha pubblicato monografie
su Giuseppe Bonaviri, Stefano D’Arrigo, Borgese, sul teatro tragico del Cinquecento
(La morte tragica nel Cinquecento. Poetiche a confronto in Trissino e
Tasso, ETS, Pisa 2018), e diversi articoli su riviste scientifiche. Tra i suoi argomenti
di studio ricordiamo la letteratura fantastica e il romanzo italiano tra Ottocento
e Novecento.

ISSN 2385-0914

9 77 2 38 5 09 1 003

€ 10,00 ISBN 978-88-201-3864-6


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3864
CARTA
INSEGNARE LETTERATURA
TEORIE E PRATICHE 9 788820 1 38646
DI UNA DISCIPLINA

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