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Cfr. Inf., XI, 97-111.
Adriana Diomedi 2
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Un concetto molto comune, giunto alla scolastica medievale tramite il
neoplatonismo e spesso discusso da Aristotele nell'Etica, nella Metafisica, nella
Fisica e da Proclo nel Liber de Causìs; cfr. San Tommaso, Summa Theologiae,
I, q. VI, artt. 1-3; Contra Gentiles, I, 37-38; Cfr. Conv., III, ii, 7.
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Cfr. Aristotele, Ethica, I, 5, 1097 a, 25 - b, 6.
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Cfr. Aristotele, Ethica, I, 5, 1097 b, 20-21; Ibid,, 1097 a, 25-b, I e all'Exp.
Tomista, I, lect. IX, 107, 111, citt. a vi, 7.
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Cfr. Conv. III, XV, 3; cfr. Bonaventura da Bagnoregio, (itinerarium mentis in
Deum) Itinerario della mente verso Dio, trad, dal latino all'italiano da M.
Parodi e M. Rossini, Milano: R. C. S. & Grandi Opere, 1994, pp. 56-57.
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deriva dalla convinzione dantesca (Conv., III, ii, 5-7) che la natura
divina, non si proietta sugli esseri automaticamente, ο meglio, non è
"divisa e comunicata" da Dio a ciascuna forma esistente ma è da esse
"partecipata per lo modo quasi che la natura del sole è partecipata ne
l'altre stelle" e quanto più nobile è la forma tanto più grande è la sua
capacità di ricevere in sè un qualche aspetto della natura divina. Per
cui l'anima umana, "forma mobilissima...più riceve de la (sua) natura
che alcun altre" .
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Il concetto è tratto da Dante dal libro De causis (di Proclo) come egli stesso fa
notare nel Convivio, III, ii, 4-7.
"Scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum, hoc autem est perfecte
apprehendere veritatem ipsius...scientia est etiam certa cognitio rei" (S.
Tommaso, in Poster. I, 2, 71 b 9, lect. 4, 32). Cfr. S. Tommaso, in Meta. IV, 4,
100 4 b 20, lect. 4, 574.
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È importante notare tuttavia, che non tutti gli uomini, a causa di limitazioni
naturali, possono raggiungere lo stesso livello di perfezione appunto perchè
essa è strettamente legata all'elevatezza di individuali capacità psico-morali.
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Per quanto riguarda le diverse capacità di ricevere la bontà divina si veda la
spiegazione sulla procreazione e individualità dell'anima in Conv. IV, xx, 9-10;
IV, xxi, 4-10; III, vii, 2-5; cfr. B. Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari:
Laterza, 1983, pp. 50, 260-283; cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q.
LIX, art. I: dove egli fa notare che tutto ciò che prende essere ο deriva dalla
bontà divina è istintivamente teso verso il bene anche se in modo diverso, a
seconda della forma: ("Cum omnia procédant ex voluntade divina, omnia suo
modo per appetitum inclinatur in bonorum, sed diversi mode").
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seconda della forma: ("Cum omnia procédant ex voluntade divina, omnia suo
modo per appetitum inclinato in bonorum, sed diversi mode").
L'universo è a Dio somigliante in quanto rispecchia in qualche modo il suo
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Per quanto riguarda lo sviluppo generativo e l'infusione dell'anima razionale,
si veda B. Nardi, "Canto XXV", in Letture Dantesche, Purgatorio, vol. 2, a
cura di G. Getto, Firenze: Sansoni, 1966, pp. 1182-84; Dante e la cultura
medievale, Bari: Laterza, 1983, [1942], pp. 260-83.
"Homo potest per rationem operari", San Tommaso, Summa Theologiae,
2a.2ae, 95, 5; cfr. Par., V, 19-24; Mon., 1, XII, 6.
La Divina Commedia di Dante Alighieri, a cura di S. A. Chimenz, Torino:
UTET, 1983 [1962].
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Diagramma No. 1
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Cfr. San Tommaso, Summa Theologiae, 1, q. XLIV, a. 4 : "Omnia appetunt
deum ut finem" ("Tutte le cose tendono a Dio come fine"). Cfr. La divina
commedia, "Paradiso", a cura di U. Bosco e G. Reggio canto I, note 107-108.
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Si veda la spiegazione sulla generazione in P. Boyde, "The Making of a
Man" in Dante Philomythes and Philosopher, Man in Cosmos, cit., pp. 273-81.
Cfr. Conv., II, 3-5: "È da sapere che le cose deono essere denominate da
l'ultima nobilitade de la loro forma; sì come l'uomo da la ragione, e non dal
senso nè d'altro che sia meno nobile. Onde, quando si dice l'uomo vivere, si dee
intendere l'uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua nobile
parte. E però chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitiva, non vive
uomo, ma vive bestia; sì come dice quello eccellentissimo Boezio, 'Asino
vive"'.
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In quanto alla somiglianza umana col Creatore, cfr. P. Boyde, "The Making
of a Man", Dante Philomytes and Philisopher, cit., pp. 283-290.
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Diagramma No. 2
che ciò che scocca drizza in segno lieto" (Par., I, 125-26), creando uno
stato di armonia fra l'anima e Dio, fra la memoria, l'intelligenza e la
volontà umana (Purg., XXV, 83) e la potenza, la sapienza e l'amore
(ibid., I, 106) della perfezione divina . 20
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Per metafore di questo tipo, cfr. Par., VIII, 103-105; XVII, 56-57; Purg.,
XXXI, 55-57.
Una dimostrazione più esauriente sull'analogia fra le facoltà della mente
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umana e la Trinità ci viene data da B. Nardi, "Dietro la memoria non può ire",
in Lecturae e altri studi danteschi, a cura di R. Abardo con saggi introduttivi di
F. Mazzoni e A. Vallone, Firenze: Le Lettere, 1990, soprattutto pp. 268-69.
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Necessità filosofica
bene, suo principio "dove può lo suo essere fortificare" (Conv., III, ii,
8) . Facendo notare peraltro che alla base di ogni conoscenza ο
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veda Conv., II, xv, 3-4, dove l'autore fa notare che la nobiltà di questa donna
(filosofia) sarà messa in evidenza nel terzo trattato del Convivio, "là dove dice:
chi veder vuol la salute, faccia che li occhi d'esta donna miri, li occhi di questa
donna sono le sue demonstrazioni le quali, dritte ne li occhi de lo 'ntelletto,
innamorarono l'anima, liberata de le con[tra]dizioni".
Cfr. San Tommaso, Contra Gent., II, 79: "Impossibile est appetitum
naturalem esse frusta. Sed homo naturaliter appétit perpetuo manere; quod
patet ex hoc esse, est quod ab omnibus appetitur; homo autem per intellectum
apprehendit esse, non solum ut nunc, sicut bruta animalia, sed simpliciter".
Un concetto comune a tutta la scolastica medievale a partire da Aristotele,
Boezio, lo Pseudo Dionigi ecc. : Cfr. Boethius, The Consolation of Phil., trad.
inglese di V. E. Watt, Middlesex, Harmondsworth, [etc]: Penguin Books, 1976,
[1969], II, ii, p. 79: "The desire for true good is planted by nature in the mind
of men, only error leads them astray toward false good"; cfr. B. Nardi, Dante e
la cultura medievale, Bari: Laterza, 1983, pp. 50-51; di particolare interesse è
la spiegazione dello stesso Pseudo Dionigi, De divinis nominibus, c. IV, 1 (Lez.
1 del commento tomistico) su cui B. Nardi, (ibid., p. 51), basa il suo discorso;
cfr. A. Magno, De Causis, II, tr. 5. 24; "...Manifestatum est...quod ens
generatum cadens per substantiam suam sub tempore, non habet esse a seipso:
sed esse substantiae suae dependet per ens purum quod est causa durabilitalis
omnium, et est causa rerum sempiternarum omnium, et etiam causa
durabilitatis esse rerum destructibilium: necessarium ergo est in ordine rerum,
quod sit unum purum primium, quod sit primium faciens adipisci unitates et
bonitates et entitates omnium quae sunt". ( Si veda Conv., III, ii, 8).
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Ibid.
Boethius, The Consolation of Phil., cit., III, iii, p. 82: "You earthly creatures,
you also dream of your origin, however faint the vision. You do have some
sort of notion, unclear as it is, of the true goal of happiness, and so an
instinctive sense of direction actually guides you towards the true good".
Per quanto riguarda le origini dell'anima, a partire dal concepimento alla
completa formazione dell'essere umano, si veda la spiegazione di Stazio in
Purg., XXV, 37-78; Conv., IV, 4-10.
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" Metaph., I, c, 2, 983 a 6 (testo premesso alla lez. 3 del commento tomistico);
Conv., III, xii, 12: "Filosofia è un amoroso uso di sapienza, lo quale
massimamente è in Dio, però che in lui è somma sapienza e sommo amore e
sommo atto; che non può essere altrove, se non in quanto da esso procede"; cfr.
B. Nardi, Dante e la cultura medievale, cit., p. 58.
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È ad Aristotele che la cultura occidentale, soprattutto dei secoli XII, XIII,
nonché quella di Dante, devono la loro ricchezza. È questa convinzione del
resto che porta l'autore a lodare ripetutamente il suo senno in molte delle sue
opere; si veda Conv., III, ν, 7; IV, viii, 15; IV, xxiii, 8, ecc.; Mon., III, 13;
Epist., XI, ii. A riguardo delle ragioni poetiche ο artistiche di tale incontro, si
veda lo studio di Amilcare A. Iannucci, "Dante e la 'bella scola' della poesia
(Inf. IV, 64-105)", in AA. W. Dante e la 'bella scola ' della poesia. Autorità e
sfida poetica, a cura dello stesso autore, Ravenna: Longo, 1993, pp. 19-37. In
quanto ad altri influssi filosofici sul pensiero dantesco, si veda Amilcare A.
Iannucci, "Dante's Philosophical Canon (Inferno 4. 130-44)", in Quaderni
d'italianistica, Canadian Society for Italian Studies, XVIII, η. 2, autunno 1997,
pp. 251-60, soprattutto la parte in relazione a Cicerone e Seneca, pp. 256-58.
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Tale giudizio dantesco è comune a tutta la scolastica medievale a partire da
Averroé; cfr. Commento Physica, proem. ; De Caelo, III, comm. 68; De
Generatione et corruptions I, comm. 38; Commento De Anima, III, 4, t. c. 14;
cfr. Alberto Magno, Ethica, I, tr. I, 7.
Metaphysica, I, i, 1.
De Finibus, 1, xiii, 43. Per un'interpretazione più esauriente sul tema della
"paura" nella Commedia, si veda P. Boyde, Perception and Passion in Dante 's
Comedy, Cambridge: Cambridge University Press, 1993, pp. 217-44.
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la rivelazione, ossia il vero "di fuor dal qual nessun vero si spazia"
(Par., IV, 124-26), può appagare la mente che avida di tale conoscenza
si è spinta sino al vertice delle sue capacità naturali . 35
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De Officis, I, iv, 15.
Virtù intellettuali: intelligenza, scienza e sapienza; Virtù morali: prudenza,
giustizia, fortezza e temperanza.
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Cfr. Purg., III, 37; Cfr. Qaestio de aqua et terra, V, 77.
In quanto alla situazione delle anime del Limbo dantesco, si vedano le
riflessioni di Marino A. Balducci (Dante and the Ancient World: Classical
Myths in the "Divine Comedy". La fruizione del mito classico nella
"Comedia" di Dante, (Ph.D thesis), Η. University of Connecticut, U. M. I.,
1994, pp. 13-14) : La "lumera' (Inf. IV, 103) del castello vince l"emisperio di
tenebre' (IV, 69), si staglia come unico luogo chiaro entro l'oscurità della notte
infernale; eppure la sua luce non appaga gli spiriti degli artisti, dei sapienti,
degli eroi che qui si radunano: è una luce che giunge dal passato ('L'onrata
nominanza / che di lor suona su nella tua vita, / grazia acquista nel ciel che sì li
avanza'; IV, 76-78), come dai frutti di questo, dalle opere, dalle imprese
immortali, è una luce di fama, di gloria, che illumina il 'verde smalto' (IV,
118), 'il prato di fresca verdura' (IV, 69), la 'grande autorità' dei 'sembianti'
(IV, 69), ma che, in fondo, sembra non potere nascondere l'irredimibile morte
dell'anima, la nostalgia di un compimento dei tempi che rimane sconosciuto.
La bellezza esteriore del luogo, il sublime decor della scena...cela una
sostanza dolorosa: è una splendida costruzione dello spirito che non ha esito
nella pace dell'unione con Dio".
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Per una spiegazione più approfondita sulla problematica relativa alla
autonomia della ragione dalla fede e sul concetto della "philosophia ancilla
theologiae" che si evidenzia sempre più nella Commedia, si rimanda il lettore a
B. Nardi, "La conoscenza umana", Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza:
1983, [1942], pp. 162-66. Cfr. È. Gilson, Dante et la philosophie, Paris : J.
Vrin, 1939, capitoli III-IV.
Sacramento che è simbolo della rinascita spirituale dell'individuo; cfr.
l'epistola di Paolo a Tito 3:5; cfr. B. F. Byron, "Baptism as Re-Birth Through
Water and the Spirit", in Sacrifice and Symbol, Catholic Institute of Sydney,
1991. Per quanto riguarda la spiegazione sul Battesimo si veda "Bible
Dictionary-Concordance", The Holy Bible, transl. out of the original tongues
by T. Nelson, New York-Nashville, 1977, p. 3: 'Baptism': A ceremony in
which one enters the church family. It is a way of showing that you have been
washed free of sins by the death and rising from the dead of Jesus Christ. Cfr.
John the Baptist in Matthew, 3: 6-7; 21:25; 3: 13-17; Cfr. John 4:1-2. Una
interessante interpretazione sul tema del Battesimo, ci viene data da Simona
Borghetto, "Il 'battesimo di fuoco': memorie liturgiche nel XXVII canto del
Purgatorio", in Lettere italiane XLIX, n. 2, aprile-giugno 1997, pp. 185-247.
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32) finché non si congiunge con la cosa amata ο l'oggetto della sua
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passione.
Il "disio", ο πόθος pagano, è appunto un "moto spirituale" (Purg.,
XVIII, 32) che, come il fuoco, segue uno sviluppo molto istintivo verso
l'alto nel senso che cresce sempre più per appagare l'innata necessità di
perfezione ma, non essendo alimentato dalla virtù della speranza,
rimane una forza cieca e inappagabile. Esso è quindi, in questo senso,
una passione imperfetta e allo stato primitivo che preclude una
qualsiasi possibilità di sviluppo metafisico. La speranza invece, in
quanto virtù teologale, rappresenta una forma di desiderio più positiva
e anche più completa in quanto non deve necessariamente arrivare
all'oggetto desiderato per appagare lo spirito.
Cicerone (De Finibus, III, χ, 35) delineando le quattro passioni
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fondamentali della dottrina epicurea quali "la paura, l'afflizione, la
libidine e la voluttà" , ("aegritudo, formido, libido...et voluptas")
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38
Cfr. Conv., III, ii, 3. Si veda la spiegazione di Patrick Boyde sulla filosofia
del desiderio, quale seconda fase dell'amore, in Perception and Passion in
Dante's Comedy, cit., pp. 275-301, in particolare p. 276: "...It will be
remembered that all rectilinear movement must be from a principium through
a medium to a finis, and that every such movement begins and ends in
'stillness' (quies). It is these three aspects or 'phases' (for want of a better
word) that make it necessary to distinguish three possible meanings within the
single word amor: inclinatio, desiderium, and fruitio. 'Inclinatio' relates to the
principium. It is the innate capacity for loving certain kinds of 'good', which is
an inalienable property of every living form. 'Desire' is the fase in which this
potential for love is actualised by the perception of a good; and it refers to a
particular 'movement of the soul' towards that particular good. 'Desire' is not,
or should not be, permanent (the souls in Limbo suffer because they must 'live
in desire without hope'). It ceases in the fase called 'fruition', when the
movement has come to its 'end'. 'Fruitio' is a state of stillness, characterised
by a feeling of delight or pleasure, in which the 'amante' is united with and
lovingly enjoys the 'cosa amata'. It is the 'final cause' of love. When it is
long lasting and only slightly disturbed, it is known as 'happiness' (felicitas).
When it is eternal and complete in every way, it is called 'blessedness'
(Beatitudo)".
39
Cicero, De Finibus Bonorum et Malorum, trad. inglese di H. Rockham,
London, W. Heinemann, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press.
1961 [1914], III, x, 35; Cfr. ibid., I, xiii, 43 f.
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Sempre in relazione alla dottrina epicurea (ibid., II, ix, 26), Cicerone denota
due tipi di desideri che distingue in naturale e immaginario. Il naturale viene
poi suddiviso in due categorie: necessario e non necessario. Fra questi a
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quindi di essere conscio del fatto che il desiderio, essendo una passione
smodata, può trasmettere un senso di soddisfazione solo se moderato
dalla virtù della temperanza.
La descrizione ciceroniana in proposito, non può dunque non
richiamare alla memoria l'essenza della speranza cristiana, in quanto è
anch'essa evocata da un passione non eccessiva ma moderata appunto
dalla virtù della temperanza, anche se in effetti la possibilità di
realizzazione (felicità) individuale attraverso una virtù teologale era
cosa impensabile per il filosofo latino.
Ritornando ora all'ideale di perfezione che Dante sulla scorta di
Aristotele, Boezio, Cicerone, per citare solo alcuni dei maggiori,
individua come istinto naturale verso il bene e che Kant, qualche
secolo dopo, descriverà come "l'imperativo categorico": il tu devi,
dettato dalla voce della coscienza , è importante notare che esso, in
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