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interpretazione teologica?
7 Ottobre 1985 - Autore: Massimo Introvigne
1. Le interpretazioni
a. «Fenomeno divino»
b. «Meccanismo sociale»
c. «Complotto»
Esistono prove oggi sufficienti per affermare che il piano o progetto della
Rivoluzione francese nasce come complotto in una serie di circoli settari,
illuministici e massonici, che operano in parte autonomamente e in parte
in modo coordinato. In modo più vago il progetto rivoluzionario era
probabilmente già stato concepito dagli ambienti più estremistici del
giansenismo; ma è soltanto con l’illuminismo — e particolarmente con
Voltaire — che nasce un arsenale ideologico adeguato al servizio del
progetto rivoluzionario, come ha mostrato in particolare Bernard
Groethuysen (22). Una volta avviato, il fenomeno rivoluzionario — che si
serve come suo strumento principale, anche se non unico, del dinamismo
delle «società di pensiero» studiato da Augustin Cochin — presenta tutta
una serie di aspetti meccanici e può essere descritto anche come una
«macchina». Tuttavia, si tratta di una meccanica che ha un orientamento
e un significato: un orientamento «filosofico», per cui occorre rifarsi ai
progetti e ai complotti illuministici, e un significato che non può essere
compreso nella sua profondità senza fare riferimento a categorie
teologiche, che sole — secondo la lezione di Joseph de Maistre —
possono rendere ragione di molti aspetti del fenomeno.
D’altro canto, di una interpretazione «teologica» della Rivoluzione
francese si può parlare anche con un significato parzialmente diverso
rispetto alle categorie di Joseph de Maistre. Il pensatore savoiardo
applicava, in un certo senso «dall’esterno», categorie teologiche alla
Rivoluzione francese, per indagarne il significato profondo; partendo dalla
fenomenologia del complotto e del meccanismo sociale può essere
invece possibile mostrare una teologia — o meglio una anti-teologia —
come movente dei protagonisti più consapevoli della Rivoluzione, nel
senso che il movimento rivoluzionario viene pensato e articolato come
attacco contro la Chiesa e, in ultimo, contro Dio. È questa la tesi di
un’opera recente dello storico Jean Dumont, La Révolution française ou
les prodiges du sacrilège, che merita la massima attenzione (23). Con un
metodo già applicato in altre opere su problemi controversi come
l’Inquisizione o il ruolo storico della Chiesa (24), Jean Dumont parte
dai miti relativi alla Rivoluzione francese diffusi nella cultura popolare; ne
mette in luce gli errori e le contraddizioni, sulla base delle acquisizioni più
serie della scienza storica; infine, indaga le ragioni e la genesi del mito,
ed è proprio attraverso questa indagine che una interpretazione coerente
con il reale storico emerge come per diametrum.
2. I miti
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Anche nel volume di Jean Dumont non mancano punti che potrebbero
essere suscettibili di un ulteriore approfondimento, e anche di qualche
riserva, come una certa sottovalutazione della tesi del complotto e del
ruolo della massoneria, e una certa simpatia — del resto non infrequente
fra gli storici cattolici ostili alla Rivoluzione francese — per lo scisma
contro il Concordato napoleonico della Petite Eglise, che costituisce
invece esempio di confusione tra scelte storico-politiche e carattere
divino-umano della Chiesa (35). Tuttavia, a prescindere da questi rilievi
che riguardano aspetti settoriali, il volume di Jean Dumont merita di
essere segnalato anche per gli accenni al modo in cui il mito
rivoluzionario è stato fabbricato, che non mancheranno di suscitare
qualche sorpresa. Se è vero infatti, secondo Jean Dumont, che la
macchina che ha prodotto il mito è stata originariamente e
prevalentemente costruita dal laicismo liberale; se è vero che il suo
funzionamento è stato alimentato — e in parte lo è tuttora — da un certo
populismo di impronta marxistica — dove il mito rivoluzionario è evocato
in funzione della propaganda politica immediata —, non è tuttavia meno
importante sottolineare il contributo decisivo che alla mitopoiesi
rivoluzionaria è stato dato, almeno a partire dagli anni Trenta del nostro
secolo, dalla storiografia cattolica di scuola democratico-cristiana. Dai
numerosi riferimenti contenuti nell’opera di Jean Dumont sembra
emergere, anzi, la tesi che la diffusione di una serie di miti storici intorno
alla Rivoluzione francese sia stata la principale operazione culturale del
democratismo cristiano in Francia, un paese dove la sua influenza in
campo politico non ha avuto lunghissima durata. Sono stati autori
democratico-cristiani come Henri Daniel-Rops, Adrien Dansette, André
Latreille, Maurice Vaussard a insistere sul carattere soltanto secondario
della lotta antireligiosa nella Rivoluzione francese e ad affermare che la
Chiesa sarebbe stata colpita soltanto in quanto si era legata a filo doppio
ai nobili e alla monarchia; l’operazione che tenta di «riabilitare» la
«Chiesa» costituzionale è tutta e solo di marca democratico-cristiana,
mentre i «costituzionali» sono in genere disprezzati per la loro debolezza
umana e politica dagli storici liberali e marxisti; è ancora la scuola
democratico-cristiana ad attardarsi sul mito della partecipazione
«popolare» alla Rivoluzione e a tenersi in disparte dalla rivalutazione,
oggi quasi unanime, delle guerre di Vandea.
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Massimo Introvigne
Note:
(3) Sulle figure nelle cosiddette «scienze sociali» in genere cfr. Enrico de
Robilant, La configurazione delle teorie nella scienza giuridica, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 1976, pp. 478 ss.; Idem, Libertà reale
e figure di giustizia, in Libertà, giustizia e persona nella società
tecnologica, Atti del Convegno organizzato dal CIDAS, Centro Italiano
Documentazione Azione Studi, a Torino nei giorni 11-12-13 aprile 1984, a
cura di Sergio Ricossa ed Enrico di Robilant, Giuffré, Milano 1985, pp. 71
ss.
(12) Cfr. Augustin Cochin, Meccanica della Rivoluzione, trad. it., Rusconi,
Milano 1971. Cfr. pure, Idem, Lo spirito del giacobinismo. Le società di
pensiero e la democrazia: una interpretazione sociologica della
Rivoluzione francese, trad. it., Bompiani, Milano 1981.
(13) Cfr. Pierre Gaxotte, La Rivoluzione francese, trad. it., Rizzoli, Milano
1949.
(16) Cfr. François Lefranc, Oeuvres, Duvivier, Liegi 1826, Una notizia bio-
bibliografica sul beato è riportata alla voce Le Franc, Francesco, di
Charles Berthelot du Chesnay, in Biblioteca Sanctorum, Città Nuova,
Roma 1966, vol. VII, coll. 1172-73.
(20) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale della
Pace, dell’8-12-1984, n. 6.
(28) P. Gaxotte, Le siècle de Louis XV, 2a ed., Club des Amis du Livre,
Parigi 1963, vol. II, p. 160.
(44) Cfr. sul punto Hans Urs von Balthasar, Teologia della storia, 2a ed.
it., Morcelliana, Brescia 1969. Contro ogni deviazione in senso
progressistico sul tema della recapitulatio mundi cfr. pure Roger-Thomas
Calmel O. P., Per una teologia della storia, trad. it., Borla, Torino 1967.
(46) Idem, Discorso ai giovani dei Paesi Bassi ad Amersfoort, del 14-5-
1985, in L’Osservatore Romano, 16-5-1985.
(48) Giovanni Paolo II, Discorso alla XVIII Assemblea Generale dei
vescovi italiani, del 29-5-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol.
III, I, p. 1506. Più in dettaglio, sullo stesso tema, cfr. Idem, Discorso ai
partecipanti al secondo convegno della Chiesa italiana su Riconciliazione
cristiana e comunità degli uomini, dell’11-4-1985, in Idem, Per iscrivere la
verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Loreto 11
aprile 1985, Cristianità, Piacenza 1985.