Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
I 7 PASSI
DEL
PERDONO
La scienza della
Felicità
UN METODO
RIVOLUZIONARIO PER
GUARIRE E
REALIZZARSI
coordinamento
Romina Rossi
editoriale
impaginazione Danila Ganzerla
copertina Matteo Venturi
collana “Spiritualità”
I edizione eBook dicembre 2014
ISBN 9788862282697
eBook ePubMATIC.com
McCullough, Dandage e
Worthington (1997) invece si
focalizzano sull’empatia della
vittima nei confronti del
carnefice, che permetterebbe
all’offeso di comprendere il
punto di vista dell’offensore e i
suoi sentimenti.
Il modello di McCullough,
Fincham & Tsang (2003) si
basa sulla tolleranza
(forbearance) e sulla
temporalità, considerando il
differente tipo di reazione dei
soggetti allo stesso evento
offensivo. La tolleranza
dell’offesa diviene un
parametro di valutazione,
insieme alla velocità temporale
di decrescita delle motivazioni
negative generate dall’evento.
Il modello di McCullough,
Worthington & Rachal (1997) è
incentrato sul piano
psicosociale del perdono,
individuando quattro classi di
fattori determinanti: le
determinanti sociocognitive (le
emozioni e i sentimenti della
vittima in relazione all’offesa
subita, i processi attributivi, la
ruminazione); le determinanti
associate all’atto offensivo
(gravità e variabili temporali,
reazioni dell’offensore ed
eventuali scuse); determinanti
relazionali (contesto in cui è
avvenuta l’offesa, intimità,
soddisfazione nella relazione,
profondità e impegno);
determinanti connesse a tratti
personali (attitudine alla
vendetta, gestione delle
emozioni negative,
arrendevolezza, etica,
convinzioni religiose).
- Permette il contatto e la
manifestazione di una
dimensione spirituale
consapevole.
- Influenza e riequilibra la
tendenza all’esaltazione e
alla rigidità.
- Influenza la formazione di
un’identità spirituale
Spirituale autentica e profonda.
- Permette lo sviluppo di virtù
come la pazienza, l’umiltà,
l’amore incondizionato e il
coraggio.
- Permette il contatto e
l’esperienza del vero potere
spirituale.
- Guarisce le ferite più
profonde dell’anima.
- Influenza e permette il
manifestarsi di stati superiori
di coscienza.
- Conduce a una vera e
Coscienziale propria esperienza di auto-
realizzazione.
- Favorisce lo sviluppo di una
visione olistica della realtà e
di se stessi.
Guarire perdonando
Il perdono e la sindrome da
cuore infranto
La sindrome da cuore infranto (broken
heart syndrome) colpisce soprattutto le
donne e può portare a una temporanea
debolezza del muscolo cardiaco. «Mi ha
spezzato il cuore» non è solo un modo di
dire, ma una vera e propria sindrome
che può manifestarsi anche in chi vive o
ha vissuto una situazione sentimentale
straziante. I sintomi di chi soffre di
questa sindrome sono gli stessi di un
infarto, ma si tratta di un’alterazione
temporanea causata dal rilascio
improvviso di una quantità massiccia di
ormoni catecolaminici, detti “ormoni
dello stress”. Questo repentino
cambiamento fisiologico produce come
uno stordimento temporaneo del
muscolo cardiaco e si manifesta
attraverso sintomi quali dolori al petto,
ridotta abilità del cuore di pompare
sangue, respiro corto e liquido nei
polmoni. Esiste quindi una connessione
tra una vita coniugale stressante e
l’aumento del rischio cardiovascolare.
Attraverso le relazioni si costituiscono
legami molto forti fra le persone e
quando questi sono alimentati da
emozioni forti (forte rabbia, risentimento
o rancore logorante) si hanno
conseguenze sulla salute e
sull’equilibrio psicofisico. La relazione
tra pensieri, emozioni e corpo della
persona è un aspetto fondamentale, di
cui bisogna essere consapevoli. La
sindrome del cuore infranto può
manifestarsi quando il dolore interiore
della persona diventa talmente
insopportabile da essere somatizzato
potentemente a livello fisico. Quante
volte in un litigio uno dei due partner
decide di “subire la situazione in
silenzio” portandosi dentro il dolore e la
rabbia che prova per paura di perdere il
proprio compagno? Certe volte le paure
sono talmente forti da compromettere la
propria salute. Il perdono, compreso e
applicato correttamente, è uno
straordinario mezzo per imparare, oltre
che a gestire le proprie emozioni, a
comprendere come rilasciare ciò che
provoca sofferenza e sperimentare un
nuovo livello di felicità e leggerezza. Le
emozioni perturbatrici come odio,
rancore, risentimento, desiderio di
vendetta, vergogna ecc. rafforzano il
legame con l’altra persona, che diventa
sempre di più l’oggetto della nostra
attenzione. Queste dinamiche emozionali
sono capaci, pian piano, di togliere
serenità, felicità e gioia di vivere, oltre
che minare la salute fisica. Il perdono
libera da questo legame e lo guarisce
dalle emozioni perturbatrici,
permettendo di riconquistare benessere
e felicità. Così come esiste una dieta
alimentare, ne esiste anche una
emozionale e mentale: ci nutriamo di
pensieri ed emozioni che sono
“alimenti” capaci di influenzare e
cambiare anche il nostro corpo. L’odio e
la paura dunque alterano le percezioni
sensoriali e psichiche in misura
evidente, con effetti non dissimili da
quelli causati da sostanze stupefacenti.
Il perdono viene considerato uno
strumento terapeutico di eccezionale
efficacia, perché se usato correttamente
disintossica corpo, mente e spirito,
permettendo di riconquistare fiducia in
se stessi e, se si vuole, ristabilire le
relazioni interrotte.
Tutte le persone che hanno subito un
tradimento, una violenza, un sopruso, un
crimine o un qualsiasi altro abuso, si
trovano, prima o poi ad affrontare il
tema del perdono. Devono interrogarsi
se concederlo o meno; se entrare o meno
nella dinamica attraverso la quale
acquisiranno coscienza di se stessi e
smetteranno di provare risentimento e
odio. Molto spesso ci si rifiuta di
assumersi questa responsabilità, ossia
della responsabilità che ha il potere di
cambiare ciò che si vive. Se si vuole
una buona motivazione per considerare
seriamente questa possibilità si deve
provare a ragionare in questo modo: non
solo se si è subito un sopruso, ma ci si
rovina la vita perché si rimane legati a
ciò che quella violenza ha provocato. Il
perdono può essere concesso a patto che
si dia a se stessi il permesso di tornare a
essere felici e liberi dall’odio.
La psicologia clinica moderna ha
potuto apprezzare nella pratica il potere
terapeutico del perdono: diminuzione di
sentimenti negativi, potente effetto
liberatorio, capacità di trasformare le
emozioni perturbatrici in allegria,
felicità e gioia. Tuttavia sono esistite
delle correnti di pensiero che non hanno
considerato queste potenzialità. Lo
stesso Freud aveva mostrato le sue
riserve e contrarietà quando, ne Il
disagio della civiltà, parla del perdono
come di una pretesa incomprensibile e
dannosa per la salute psichica
dell’individuo, che, in relazione alle
pressioni pulsionali interiori, avrebbe
portato a una rivolta o alla nevrosi1. Il
perdono, secondo certe persone, può
essere efficace e avere senso solo come
prova di sottomissione al più forte, per
calmare la sua aggressività (chiedere
perdono) o come atto di superiorità (ti
perdono perché sono superiore a te e
all’accaduto). In entrambi i casi si tratta
di un ego impaurito o esaltato,
condizione che è lontana dalla
comprensione del perdono che si vuole
esporre in questo libro, nella quale
viene coinvolta tutta la persona: i
sistemi emotivo, cognitivo,
comportamentale, biologico, oltre alla
sfera vitale e all’area più profonda della
coscienza.
La guarigione attraverso il
perdono. Le ragioni
fisiologiche e psicologiche
Quali sono le profonde ragioni
fisiologiche e psicologiche che
dovrebbero spingere una persona a
perdonare? Perché dovremmo scegliere
il perdono anziché la vendetta? C’è un
vantaggio? Un beneficio? Una qualche
convenienza?
Partiamo innanzitutto dall’analisi dei
benefici fisiologici e psicologici che il
perdono induce, per poter convincerci
realmente che la vendetta, anche se
“dolce”, è incapace di procurarci gli
effetti benevoli su salute fisica e mentale
che, invece, produce il perdono. Se
dovessimo considerare un perdono in
relazione a una violenza fisica, a un
assassinio, a una mutilazione o a un
grave trauma subiti, suona difficile e
improbabile cercare di smettere di
provare rabbia, rancore, odio,
risentimento e sostituirli con amore,
pace, gioia e felicità. Addirittura
potrebbe apparire come una
provocazione. Tuttavia, come una parte
della scienza dimostra, il perdono è una
chiave fondamentale per la nostra salute,
sia fisica che mentale.
Vediamo di chiarire in pochi punti
come viene scientificamente accreditato
il perdono.
1. Influenza il sistema
immunitario e quello
cardiovascolare. Lo stress che
deriva dalle emozioni negative
scaturite dall’offesa, agisce sul
sistema immunitario, in
particolar modo sulle citochine,
che sono sostanze simili alle
proteine prodotte in caso di
stress o infezione (Kei-colt-
Glaser et al., 2002). Il perdono
agirebbe sull’attività dell’HPA
(Hypotalamic-Pituitary-
Adrenal) e sulla produzione di
cortisolo, migliorando il sistema
immunitario, sia a livello
cellulare che neuroendocrino, e
quello cardiovascolare
(Sapolsky, 1994; McEwen,
2002). Il perdono riduce lo
stress prodotto dal rancore e
influenza il sistema immunitario
mediante il rilascio di anticorpi,
la cui produzione diminuisce in
caso di stress cronico. Se da un
lato le emozioni negative come
rabbia, rancore, vendetta, odio,
colpa, abbassano il livello delle
nostre difese immunitarie,
dall’altro il perdono, riducendo
l’intensità di queste emozioni e
inducendo impulsi emotivi
positivi, favorisce buoni livelli
di anticorpi. L’ostilità inoltre
agisce negativamente sul sistema
cardiovascolare (Kaplan, 1992;
Williams & Williams, 1993)
mentre il perdono abbassa il
livello di ostilità, influenzando
in modo favorevole la salute,
riducendo i rischi di infarto e
ipertensione.
2. Influenza il sistema nervoso
centrale. Il perdono potrebbe
inibire il testosterone, che
influenza l’aggressività e
stimolare la produzione di
serotonina (il 5-HT è un
neurotrasmettitore che svolge un
ruolo importante nella
regolazione dell’umore, del
sonno, della temperatura
corporea, della sessualità e
dell’appetito) (Mc-Cullough,
2000; McCullough et al., 2001).
3. L’importanza del perdono per
la salute mentale. Gli effetti del
perdono sulla salute mentale si
evidenziano attraverso la
diminuzione del rancore e la
stimolazione di emozioni
positive. Per contro le emozioni
negative attivate e sostenute
mediante la “ruminazione”
mentale (odio, vendetta, rabbia,
paura, colpa, ostilità) incidono
sfavorevolmente sulla salute
mentale. Molto interessanti
risultano gli esperimenti e i
risultati di:
Al-Mabuk et al. (1995) su
un gruppo di studenti che
hanno perdonato i genitori
per la carenza di affetto.
Tutti i partecipanti, alla
fine dell’esperimento,
presentavano un
incremento di autostima e
una diminuzione di ansia e
depressione.
Freedman & Enright
(1996) sulle donne vittime
di incesto. Lo scopo
dell’esperimento era
anche quello di arrivare a
perdonare il carnefice.
Dopo la sperimentazione
durata 14 mesi i risultati
hanno evidenziato come il
perdono sia stato in grado
di abbassare i livelli di
ansia e depressione e
aumentare i livelli di
speranza ed emozioni
positive.
Spiers (2004) ha
applicato gli studi relativi
al perdono-rancore e alla
malattia mentale su 134
vittime di violazioni ai
diritti umani, per conto
della Commissione
Sudafricana per la Verità
e la Riconciliazione.
Della totalità delle
persone il 63%
presentava una diagnosi
psichiatrica e il 42% il
disturbo post-traumatico
da stress. Nella
sperimentazione si arriva
alla conclusione che i
pazienti con i più bassi
punteggi di perdono sono
soggetti a un livello più
alto di problemi
psichiatrici.
a. Consapevolezza emotiva: è la
capacità di riconoscere le
proprie emozioni attraverso una
forma di attenzione non reattiva
e non critica verso i propri stati
interiori, che permette un
innalzamento nel livello di
autoconsapevolezza e di dialogo
interiore. Questo aumento di
autoconsapevolezza permette di
non reprimere i propri vissuti
emotivi ma di gestirli
efficacemente. La
consapevolezza emotiva si basa
su:
capacità di riconoscere e
identificare le proprie
emozioni nelle situazioni;
capacità di comprendere
le cause delle proprie
emozioni;
capacità di riconoscere i
segnali fisiologici che
indicano il manifestarsi di
un’emozione.
b. Controllo emotivo: è la
capacità di manifestare e
regolare le proprie emozioni sia
internamente che esternamente,
sia nella durata che
nell’intensità. Questo permette
di non lasciarsi fagocitare dai
vissuti, ma di essere capaci di
distinguere consapevolmente le
emozioni dalle azioni e di non
lasciare che le prime possano
influenzare compulsivamente le
seconde. Questo permette più
concentrazione, riflessione,
analisi delle risorse, visione
d’insieme, capacità di
pianificazione ecc. Il controllo
emotivo si basa su:
controllo delle emozioni;
controllo degli impulsi e
delle compulsioni derivati
dalle emozioni;
controllo delle reazioni
aggressive e compulsive
verso gli altri e verso se
stessi.
c. Capacità motivazionale: è la
capacità di orientare
positivamente le proprie
emozioni, sviluppando
ottimismo e spirito di iniziativa.
La capacità di sapersi motivare
attraverso la gestione
consapevole delle proprie
emozioni risulta fondamentale
per reagire alle difficoltà e
sviluppare perseveranza e
atteggiamento ottimistico. La
capacità motivazionale si
manifesta attraverso:
saper dirigere le proprie
emozioni positive verso il
conseguimento di un
obiettivo;
saper armonizzare e
rivitalizzare le proprie
emozioni;
capacità di reagire
positivamente, attraverso
l’ottimismo e lo spirito di
iniziativa, ai fallimenti e
alla frustrazione.
Le 14 principali
emozioni legate al
processo del perdono
permette di assumere
consapevolezza della qualità e
quantità di emozioni perturbatrici
presenti rispetto all’evento o alla
persona che si vuole perdonare.
Permette il distacco da tali
emozioni.
Libera dai vissuti traumatici e
carichi di dolore.
Consente la trasformazione delle
emozioni perturbatrici in emozioni
più armoniose come empatia,
simpatia, compassione, fino ad
arrivare alla gratitudine e
all’amore incondizionato.
Sviluppa intelligenza emotiva.
Rende consapevoli le dinamiche
emozionali personali e
relazionali.
Rende consapevoli della propria
responsabilità nella qualità delle
personali emozioni.
Permette infine di trascendere il
piano emozionale e di
identificarsi con la coscienza che
origina le emozioni ed è
responsabile della loro qualità e
della loro trasformazione.
Negative Positive
Rancore Speranza
Rabbia Umiltà
Odio Empatia
Risentimento Simpatia
Amarezza Compassione
Ostilità Amore
Paura Gratutidine
Rancore
Il termine rancore deriva dal latino
rancor, che indica una richiesta
lamentosa, e dal verbo rancere, riferito
al cibo avariato con un odore
caratteristico e un sapore disgustoso. È
definito come «risentimento, avversione
profonda, tenacemente covata
nell’animo in seguito a un’offesa
ricevuta» (Devoto & Oli, 2002).
L’origine del rancore è da ricercare
nella percezione soggettiva di aver
subito un’offesa o un’ingiustizia, che
produrrà emozioni come paura,
depressione o ansia se prevale la
percezione dolorosa dell’evento, mentre
si manifesteranno rabbia e odio nel caso
prevalga la percezione del torto. Se
queste emozioni si intensificano nel
tempo, creando pensieri ossessivi e
ruminazione mentale (cioè la riflessione
continua e ossessiva su un episodio
particolare, anche lontano nel tempo, sul
proprio stato e sulla possibilità di
rivalersi) fino ad arrivare al
manifestarsi di un aspetto patologico,
allora prende forma il rancore. Il
rancore risulta essere la somma di più
emozioni primarie mescolate fra loro,
come risentimento, odio, paura, rabbia,
colpa inespressa, umiliazione, vergogna.
Queste emozioni sono permanenti nel
tempo e frutto di una riflessione continua
rispetto all’accadimento che le ha
generate. Una delle due parole chiave
che definiscono il rancore è proprio la
sua durata nel tempo, perché rispetto ad
altre emozioni come la rabbia o il
risentimento, esso “cova” nella mente
della persona e si alimenta
costantemente. La seconda parola chiave
è ruminazione mentale che provoca il
riaffiorare involontario di pensieri,
ricordi, emozioni, sentimenti,
impressioni legati all’accadimento che
le ha generate. L’origine della
ruminazione può essere ricercata nella
necessità dell’individuo di riorganizzare
il vissuto per poterlo metabolizzare
correttamente.
Rabbia
È un’emozione che si esprime su livelli
di intensità differenti e incide
profondamente su di sé e sulle relazioni.
La rabbia ha origine da un innato istinto
e dalla tendenza biologica a difendersi
quando si è attaccati o quando si
percepisce un’offesa. Normalmente
scaturisce dal senso di costrizione o
dalla frustrazione. Possiamo anche
distinguere una rabbia primaria, che
sorge per rimuovere rapidamente la
causa della frustrazione o della
costrizione che si prova, rispetto alla
rabbia secondaria, che viene invece
utilizzata per rimuovere altre emozioni
spiacevoli che sono sorte, come la paura
o il senso di impotenza: in questo caso,
in seguito a uno spavento subito, la
persona si arrabbia con la persona che
l’ha spaventata per rimuovere dalla
consapevolezza il senso di vulnerabilità.
Quando si prova rabbia, dal punto di
vista psicofisiologico si verifica una
forte attivazione del sistema nervoso
autonomo simpatico con conseguente
aumento della pressione arteriosa, della
tensione muscolare, della sudorazione,
l’accelerazione del battito cardiaco,
accompagnate da emozioni quali la
paura di perdere il controllo, l’ansia,
maggiore calore, irrigidimento ecc.
Odio
Allport (1954) lo descrive come
un’emozione di estrema avversione che
presenta impulsi aggressivi. L’odio può
essere legato a fattori razionali, ad
esempio sorge contro qualcuno che ci ha
offeso, o a fattori irrazionali, come il
pregiudizio. Secondo Beck (1999)
l’odio viene definito dalla credenza che
esista una fonte stabile di minaccia in
una persona o in un avvenimento: «La
persistenza di un senso di minaccia e
l’immagine fissa di una persona che
agisce con malizia porta al sentimento
dell’odio». Stemberg (2005) concepisce
l’odio come il risultato di tre fattori: la
negazione dell’intimità (che crea
emozioni come disgusto, desiderio di
distanza e repulsione), il fattore
passionale (caratterizzato da attacco o
fuga e da emozioni come rabbia e
paura), il fattore cognitivo-decisionale
(svalutazione dell’oggetto che causa
odio attraverso giudizi negativi o
denigrazione). Stemberg definisce sette
tipi differenti di odio, che si manifesta
quando sono presenti questi stati
d’animo:
disgusto;
rabbia o paura;
svalutazione;
rabbia-paura e disgusto;
ricerca di distanza e svalutazione;
paura-rabbia e svalutazione, e
genera l’ingiuria;
rabbia-paura, disgusto e
svalutazione.
Risentimento
È definito come: «Un atteggiamento di
avversione o animosità verso qualcuno
per un’offesa o un affronto ricevuto»
(Devoto & Oli, 2002). A differenza del
rancore non presenta né la stessa durata
né la stessa profondità. Il risentimento è
una rabbia sorda associata al senso di
impotenza (Worthington, 2002) che può
anche essere reiterata a livello mentale
senza trovare una soluzione.
Amarezza
È un senso di asprezza negativa
associato al cinismo. Originata dal
giudizio negativo rispetto a qualcosa o
qualcuno o dalla delusione
(disillusione) di aspettative che creano
sofferenza e dolore. La radice di questa
emozione va ricercata nella delusione di
un’aspettativa o di un desiderio
profondo che non corrisponde agli
accadimenti esterni. L’amarezza
richiama il canale sensoriale del gusto
proprio perché indica un “sapore
emozionale” amaro e inaspettato: è il
prodotto del giudizio negativo rispetto a
qualcosa o qualcuno che crea un misto
di dispiacere, tristezza, disapprovazione
e contrarietà.
Ostilità
È un atteggiamento negativo verso
qualcosa o qualcuno che combina
rabbia, risentimento, disprezzo e
disgusto. Normalmente una persona
ostile si aspetta un’aggressione esterna o
quantomeno una frustrazione
dall’esterno. Se un’offesa viene recepita
e percepita dalla persona che la riceve
come un avvenimento che può ripetersi
altre volte, allora la tendenza sarà quella
di creare un atteggiamento ostile verso
l’offensore, che verrà considerato una
minaccia.
Paura
Esistono due tipologie di paura: quella
immotivata e quella motivata. Provare
paura per un pericolo reale, come ad
esempio attraversare col semaforo
rosso, è una paura motivata; mentre aver
paura che un elefante entri nella mia
casa – se mi trovo a Milano – è una
paura immotivata. La paura motivata è
funzionale alla sopravvivenza, è una
risposta attiva legata all’istinto di
sopravvivenza, dalla quale scaturiscono
reazioni di fuga, evitamento (cioè la
strategia difensiva che permette alla
persona di non entrare in contatto con
ciò che le induce ansia), allarme o
immobilità. La paura si può distinguere
anche in innata e appresa. La paura
innata è quella che deriva da forti
stimoli fisici, come un grande rumore o
un dolore, o da un qualcosa di
sconosciuto, da situazioni di pericolo
per la sopravvivenza, da altezza, buio,
abbandono, estranei, animali particolari
ecc. Le paure apprese sono invece
quelle che derivano dall’esperienza
diretta di situazioni, persone o cose che
si sono rivelate spiacevoli o dolorose.
La paura intensa può portare fino al
panico o alla fobia, mentre le forme più
leggere possono essere associate alla
preoccupazione o all’ansia. Una paura
violenta può attivare il sistema nervoso
autonomo parasimpatico e produrre
abbassamento della pressione,
abbassamento della temperatura,
diminuzione del battito cardiaco,
sudorazione, dilatazione della pupilla e
paralisi. Probabilmente questa reazione
è atta a proteggere l’individuo da
eventuali aggressioni dovute al suo
movimento o al suo tentativo di fuga e
perciò l’organismo tenta di
immobilizzarsi. Attacchi di paura più
leggeri possono invece attivare il
sistema nervoso simpatico, producendo
una reazione opposta alla precedente:
aumento dell’afflusso sanguigno, del
battito cardiaco e della tensione
muscolare, per preparare il corso
all’azione, sia che si tratti di fuga che di
aggressione.
Empatia
Il termine empatia deriva da greco ed è
composto da en e pàthos, ossia “in
affetto”. Era la parola usata (empatheia)
per indicare il legame emozionale tra il
cantore e il suo pubblico. L’empatia
consiste in un sentire profondo in cui si
riesce a percepire ciò che l’altro sta
provando, avendone una comprensione
completa. La percezione legata a questo
“sentire profondamente e intimamente”
l’altro implica, nel senso comune,
compartecipazione emozionale. Husserl
(1932) la definisce «una comunicazione
intensa e non verbale tra due individui
che riescono a comprendersi perché
riescono a sentirsi emotivamente»; per
Giusti e Locatelli (2000) consiste nello
«sperimentare attivamente il modo in cui
un’altra persona vive un’esperienza».
C’é anche chi la contestualizza in una
cornice terapeutica come Rogers (1951)
e Kohut (1959), considerandola una
fondamentale modalità per entrare
intimamente a contatto con il mondo del
paziente senza giudizio e creare così le
condizioni adatte per il suo processo di
analisi e realizzazione. L’empatia è la
capacità che permette di comprendere
gli stati emozionali e psicologici degli
altri e che può anche coinvolgere aspetti
come la comunicazione non verbale,
l’imitazione di gesti, della postura, delle
espressioni facciali, oltre all’esperienza
affettiva di condivisione: sintonizzarsi e
comprendere il mondo interiore
dell’altro, come estensione di se stessi e
dare un senso a ciò che sente e alla sua
prospettiva. L’empatia diviene dunque di
fondamentale importanza nel processo
del perdono perché facilita il cambio di
prospettiva e l’assunzione del punto di
vista dell’altro, e induce a
comprenderne più a fondo le
motivazioni, fino a giungere alla
consapevolezza che l’altro è
semplicemente un riflesso di sé. Se si
volesse stabilire un ponte tra scienza e
coscienza allora potremmo considerare
l’essere umano come una coscienza che
sperimenta i vari aspetti dell’esistenza
attraverso un corpo fisico, un’energia
vitale, la sfera emozionale, quella
mentale e quella spirituale; allora
l’empatia diver-rebbe l’espressione
della capacità di espansione di questa
coscienza, che supera i limiti apparenti
di divisione con il mondo esterno e lo
compenetra, sperimentandolo come un
riflesso di sé. L’empatia sarebbe dunque
un precursore dei raffinati stati di unione
descritti dalle principali correnti
filosofiche e spirituali, tra cui la cultura
indovedica: il samadhi ad esempio
viene descritto come uno stato di
coscienza dove colui che percepisce e
l’oggetto di percezione si fondono in
un’unica realtà percettiva e cognitiva.
Questo fenomeno percettivo, a cui viene
attribuito un significato mistico, altro
non è che la prosecuzione e l’evoluzione
dell’esperienza intuitiva e sottile
dell’empatia. Il perdono diventa in
questo contesto un ponte tra le due
polarità opposte vittima-carnefice,
portando nella sua fase più elevata al
superamento della frattura percettiva
polare e riunificando l’esperienza
cognitiva al di là di un percettore e un
percepito, in un campo di
sperimentazione impersonale,
trascendentale e unitario. Una volta fatta
questa esperienza colui che perdona
accede alla consapevolezza che la
coscienza esiste al di là del piano in cui
si svolge il conflitto.
Simpatia
Consiste nel provare emozioni positive
verso l’altra persona. È un “sentirsi
insieme all’altro”, coinvolti direttamente
nel desiderio e nella preoccupazione per
il suo benessere.
In questo trasporto verso l’altro
consiste proprio la differenza con
l’empatia, dove invece il sentire le
emozioni dell’altro potrebbe essere fatto
con distacco o addirittura con intenzioni
manipolative.
Speranza
La speranza è un’emozione legata alle
aspettative personali di successo o di un
risultato positivo. È un elemento
importante nel processo del perdono
perché offre una motivazione, anche se a
volte non manifesta, al miglioramento
della relazione tra vittima e carnefice.
Una persona può essere spinta al
perdono dalla speranza di risolvere un
conflitto, di migliorare la relazione, di
liberarsi dal dolore, di guarire da ciò
che viene percepito come uno squilibrio
fisico, vitale, emozionale, mentale o
spirituale, e quindi risulta essere un
potente agente motivazionale. La
speranza può essere rivolta anche a se
stessi e alle proprie capacità di superare
i conflitti e il dolore.
Umiltà
L’umiltà consiste nel considerare se
stessi in relazione a una scala di
grandezza infinitamente superiore, come
ad esempio l’universo. Questa
prospettiva è capace di collocarci in una
dimensione ridefinita e più sobria. In
tale dimensione equilibrata è possibile
riconoscere i propri limiti e quelli
altrui. L’umiltà non dev’essere confusa
con l’umiliazione di se stessi o con la
bassa autostima, al contrario è una virtù
che permette di esprimere in maniera
integra il proprio ruolo. L’umiltà facilita
il processo del perdono perché permette
di affrontare il proprio cambiamento e
non avere la presunzione di non dover
cambiare, tralasciando di contattare i
propri limiti, le incertezze e le
debolezze. L’umiltà è utile soprattutto
per verificare se anche noi, nel passato,
ci siamo comportati da carnefici, magari
in una situazione simile, causando
sofferenza e offesa a terze persone.
Riconoscere questo comportamento, può
aiutarci ad abbandonare la presunzione
di superiorità, orgoglio e giudizio nei
confronti di chi ci ha offeso. L’umiltà
avvicina agli altri e agisce da livella
alla vanagloria e alle pretese egoiche.
Compassione
Dal latino cum patior ossia essere con
l’altro nel sentire. È senza ombra di
dubbio una emozione che si manifesta
nell’individuo evoluto, capace di
affrontare e superare i conflitti e
relazionarsi attraverso un piano
superiore di consapevolezza. Vivere
con-passione il sentire altrui permette un
incontro intimo focalizzato non tanto in
ciò che si sente ma nel sentirlo insieme.
È infatti in questa intima comunione il
senso della compassione, che permette
di sviluppare ancora più profondamente
la propria identità. Se svincoliamo il
concetto di compassione da logiche di
sofferenza, di pena e dal “patire con” e
lo sviluppiamo invece in un contesto
privo di sofferenza e consapevole,
allora questo ci apparirà come una
espressione dell’amore incondizionato,
non vincolata a dinamiche di
convenienza né di dolore. Emozioni
positive e superiori, come la
compassione, facilitano il processo del
perdono (Gilbert, 2005) e possono
essere una sua conseguenza.
Amore incondizionato
È un’emozione superiore, espressa da
individui evoluti, che sono capaci di
manifestare le relazioni con se stessi e
con gli altri in un contesto privo di
logiche di convenienza, ma incentrato
sul benessere supremo e incondizionato
dell’altra persona. Un sentimento di
questo tipo non ha una funzione
secondaria o nascosta, come ad esempio
garantirsi la presenza, la protezione e la
vicinanza dell’altro o evitare
l’abbandono e il rifiuto, come altre
forme di amore più egoistiche. Il
perdono è essenzialmente un cammino
altruistico, perché porta alla
consapevolezza che non vi è separazione
né differenza tra la natura propria e
quella dell’altro; il perdono, quando
vissuto fino in fondo, permette di
concepire e sperimentare l’altro come
un riflesso di sé. Più la coscienza si
espande, inglobando in sé gli altri e il
mondo intero, e più l’individuo
comprende che le necessità, i bisogni e
il benessere altrui sono le sue necessità,
il suo benessere e i suoi bisogni. Questa
espansione della coscienza consente di
superare la percezione limitata di un sé
relegato e costretto nei limiti fisici del
corpo. Il perdono è una scelta di non
violenza e un cammino di pace prima di
tutto verso se stessi, poi verso gli altri e
il mondo.
Gratitudine
Al di là di essere un sentimento di
affetto e di riconoscenza per qualcosa
che abbiamo ricevuto, la gratitudine è, in
ultima analisi, riconoscere
consapevolmente di esistere, e
riconoscere che essere consapevoli di
esistere provoca felicità.
Come sentimento complesso richiede
sensibilità, empatia e consapevolezza da
parte di chi riceve o ha qualcosa. Si può
infatti essere grati per qualcosa che già è
in nostro possesso, riconoscendo il
privilegio di cui si gode. La gratitudine
normalmente si sviluppa quando colui
che ha ricevuto riconosce il fatto che il
dono è stato dato senza finalità
egoistiche, logiche di convenienza né
motivazioni utilitaristiche. Nelle
dinamiche del processo del perdono la
gratitudine ha un ruolo fondamentale e
può manifestarsi in diversi livelli:
la vittima prova gratitudine verso
il carnefice se questo cerca di
riparare il torto e ammette
l’errore;
il carnefice prova gratitudine per
la vittima se questa si dimostra
disposta alla comprensione;
la vittima riesce ad assumere la
prospettiva del carnefice e
ammette di aver provato
gratitudine quando ha a sua volta
ricevuto perdono;
la vittima prova gratitudine per il
carnefice in quanto riesce a
trasformare l’offesa in una sfida o
in una opportunità per sviluppare
maggiori virtù, autocontrollo e
centratura;
la vittima prova gratitudine verso
il carnefice perché diviene
consapevole che l’esperienza che
sta vivendo è un mezzo per
evolversi, conoscere e realizzare
se stessa.
Un nuovo modello
olistico di perdono
Il coraggio di perdonare
erdonare richiede coraggio, anche se
P in una società competitiva basata
sulla colpa e sulla punizione come la
nostra, è spesso considerato un atto di
debolezza e d’inferiorità. Il più forte non
perdona mai! Ma è proprio qui che si
commette un errore perché, come diceva
Ghandi, «solo chi è forte è capace di
perdonare». D’altronde la stessa parola
coraggio deriva da cor habeo, che vuol
dire “ho cuore” e non è riferita
solamente al fatto d’essere sfrontati
davanti al pericolo, ma sopratutto alla
capacità di amare. Per questo il perdono
è una provocazione contro la freddezza
di chi ha dimenticato che cosa voglia
dire avere veramente cuore. Alcune
persone si vergognano di perdonare:
provano vergogna a parlare di perdono e
a far vedere di aver perdonato perché
pensano che sia tempo sprecato. In tutti
questi casi c’è una forte paura del
giudizio altrui e il terrore di guardare
veramente dentro se stessi e incontrare
uno sconosciuto. La vita è troppo breve
per farsi limitare dalle considerazioni
altrui, soprattutto se queste precludono
un’esperienza così bella, semplice e
potente come quella del perdono. Il vero
coraggio consiste a volte nell’andare al
di là di questi giudizi e comprendere che
si tratta solo delle nostre resistenze
interiori. Nel contesto patriarcale nel
quale viviamo il perdono è
subconsciamente ritenuto una debolezza,
quando invece è tutto il contrario.
Perdonare è un atto di coraggio perché
si deve affrontare il maestro più astuto
che possiamo avere: noi stessi. In una
società che insegna che a vincere è il
più forte, che si deve competere e se
necessario barare per poter
sopravvivere, che gli altri pensano solo
a se stessi e se possono schiacciarti lo
faranno, che l’amore è solo un’emozione
i cui confini spesso si mescolano con
quelli del sesso, il perdono è veramente
un atto di coraggio e una virtù da
coltivare, affinché possa spazzare via la
vergogna, che non è altro che
l’incapacità di amare liberamente.
Le quattro fasi
Secondo il modello olistico esposto in
questo libro e proposto nel percorso
formativo My Life Design vengono
evidenziate quattro fasi che si
attraversano per arrivare al perdono:
ACCUSA • RESPONSABILITÀ
GRATITUDINE • AMORE
Accusa
In questa fase è necessario aprirsi e
manifestare tutto quello che
rimproveriamo all’altra persona:
mancanze, tradimenti, rabbia, impotenza,
disperazione, colpa ecc. Senza questa
fase non si può prendere coscienza
veramente di ciò che si prova e delle
proprie ombre. Le ombre sono potenti
opportunità per evolvere e crescere.
Responsabilità
In questa fase si prende coscienza di
tutte le mancanze che abbiamo avuto
verso la persona che vogliamo
perdonare e ci si rende conto della
propria responsabilità di quanto è
accaduto. Questa è la fase in cui si
cambia prospettiva rispetto a ciò che si
vuole perdonare: la persona arriva alla
consapevolezza che è lei stessa causa di
ciò che prova e recupera il proprio
potere.
Gratitudine
Si manifesta quando ci liberiamo dalla
sofferenza e dal dolore e diveniamo
grati all’esperienza perché ci ha
permesso di crescere, maturare e
conoscerci. È la fase in cui siamo grati
per quello che abbiamo vissuto e per gli
insegnamenti che abbiamo ricevuto. Ci è
chiaro che la persona ha agito così
perché non poteva fare diversamente e
che le sue azioni erano guidate dalla
mancanza di consapevolezza. Siamo
grati per l’opportunità di crescita che
abbiamo avuto e per quanto abbiamo
appreso.
Amore
L’integrazione nell’amore è la fase
finale. È la fase del cuore, in cui si
esprime il “Ti amo così come sei”, e si
sperimenta uno stato di unione, al di là
dei conflitti e della sofferenza. Chi
arriva a questa esperienza comprende
veramente il dono che si nasconde dietro
il conflitto e accede al senso più
profondo del perdono.
1° PASSO
LA TECNICA DELLE
TRE LETTERE
Comprendi le 4 fasi del
perdono e verifica se le
hai integrate
Esploriamo le fasi
precedentemente descritte
attraverso la tecnica delle tre
lettere.
La lettera di accusa. In un
foglio bianco inizia a scrivere il
nome della persona seguito
dalla formula «Ti perdono
per…» e prosegui facendo un
elenco di tutte le cose che vuoi
perdonarle. Scrivi proprio tutto,
accusala apertamente e
manifesta tutto quello che hai
dentro, cercando di non
tralasciare niente, con
l’intenzione di liberarti. In
questa lettera rendi manifesto
e consapevole tutto ciò che
senti e che pensi. Evidenziarlo
è di fondamentale importanza
per tutto il processo, perché
ammetti a te stesso di provare
certe cose e prendi contatto
con le tue ombre. Scoprirai
che sono delle risorse
straordinarie per la tua
crescita. Dopo aver scritto
questa prima lettera rimani in
silenzio e ascolta senza
giudicare ciò che senti.
Respira alcuni minuti
attraverso le tue sensazioni
permettendo a ciò che è
affiorato di essere
metabolizzato.
La lettera della
responsabilità. Adesso scrivi
una seconda lettera in cui
ammetti tutte le tue mancanze
verso questa persona. La
formula che userai è: «Io…
(scrivi il tuo nome) ti chiedo
perdono per…». Questa
lettera inizia a farti cambiare
prospettiva rispetto ai ruoli di
colpevole e vittima; ti permette
di assumerti la responsabilità
su ciò che provi, che pensi e
che fai e di smettere di
proiettare sull’altra persona il
tuo potere. Se la lettera della
responsabilità è scritta
onestamente ti permetterà di
andare al di là del giudizio: ad
esempio comprendi che la
persona ha agito
inconsapevolmente perché non
era in grado di fare
diversamente o non si trovava
in una condizione di chiarezza
e pace. Dopo aver scritto
questa lettera rimani in silenzio
e ascolta le tue sensazioni
senza giudizio. Lascia che ciò
che è emerso possa lavorare
spon- taneamente dentro di te.
Un esempio pratico
Carla torna a casa dopo una giornata di
lavoro intenso. È stanca e ha solo voglia
di andare a dormire, ma in cucina
incontra suo marito, che inizia a urlare,
dicendole che torna sempre come uno
straccio e non pensa mai a cucinare, che
il lavoro la assorbe troppo e che non è
una buona moglie. Carla tracolla e inizia
anche lei a gridare. Quando gridiamo, lo
facciamo perché non riusciamo a sentire
noi stessi, ma, invece di ascoltare in
silenzio il nostro cuore, alziamo la voce.
Infuriata Carla se ne va dalla madre,
sbattendo la porta di casa, ma mentre si
trova in viaggio è presa dai sensi di
colpa per aver lasciato il marito da solo
e rivive l’accaduto osservandolo
un’altra prospettiva. Vediamo alcune
fasi fondamentali del perdono:
Il perdono e la legge
dell’ottava
er comprendere come funziona
P l’evoluzione è necessario osservare
le dinamiche dei fenomeni che ci
circondano. Sette sono i colori
dell’arcobaleno, sette le principali
ghiandole del nostro corpo, sette i centri
di energia nella tradizione indovedica e
tibetana, sette le note musicali. Questo
numero ricorrente mostra come la natura
e l’energia siano regolate da proporzioni
particolari. Queste proporzioni si
ripetono, seguendo degli schemi ciclici.
Le sette note della scala musicale (DO,
RE, MI, FA, SOL, LA, SI) si ripetono in
un altro ciclo, con una vibrazione
superiore doppia. Il secondo DO
presente nella tastiera musicale sarà
sempre la stessa nota, ma con una
vibrazione doppia.
Figura 1
Il secondo DO rappresenta l’ottava
superiore: la medesima nota secondo
una frequenza più alta. L’ottava permette
che lo stesso sistema (schema) di sette
note possa ripetersi in un piano più
elevato. Mentre ci evolviamo siamo
sempre gli stessi, ma ci esprimiamo
mediante vibrazioni sempre più elevate,
a mano a mano che si fa esperienza e si
è in grado, crescendo, di aumentare la
nostra frequenza. Per far comprendere
meglio che cosa sia un’ottava, farò
alcuni esempi:
– Il bambino, l’adulto e l’anziano
sono tre ottave dell’essere umano.
– Il ghiaccio e il vapore sono l’ottava
inferiore e superiore dell’acqua.
– Il seme, l’alberello e l’albero sono
tre ottave differenti della stessa pianta.
– Avventura, fidanzamento e
matrimonio sono tre ottave possibili di
una stessa relazione.
– Ossa, muscoli e pelle sono tre
ottave della mano.
Figura 3
Figura 4
Questo schema evidenzia che in un
ciclo evolutivo (ottava) ci sono due
momenti con un calo di energia: uno
dopo l’inizio e uno alla fine. Il primo
calo di energia si verifica dopo le prime
tre note e il secondo prima che un nuovo
ciclo si manifesti. L’andamento
dell’energia in questo schema può
essere applicato a qualunque situazione:
per esempio in una relazione
sentimentale, dopo l’inizio, la nuova
coppia si trova a decidere se fare le
cose seriamente o no. Se supera questo
momento la relazione va avanti,
altrimenti il ciclo si interrompe. La
legge dell’ottava mostra l’andamento
dell’energia. Anche in una qualsiasi
nuova attività si sa che dopo l’avvio ci
saranno alcune difficoltà, superate le
quali si vedrà se l’iniziativa avrà
successo. Conoscere la legge dell’ottava
permette di prevedere questi momenti e
di affrontarli con consapevolezza. Per
superare il primo “calo energetico” è
necessario che si manifesti ciò che viene
chiamato uno “shock addizionale” e cioè
un impulso di energia più alto, capace di
fare continuare il processo evolutivo. In
qualsiasi cosa, affinché si possa
procedere in questo schema evolutivo,
sono necessari due shock addizionali
per ciclo: un primo affinché la cosa
decolli e un secondo affinché possa
rinnovarsi e passare all’ottava
superiore.
Come fare per riconoscere questi due
momenti? Bisogna essere attenti,
presenti in se stessi, capaci di
ascoltarsi, essere dei bravi auto
osservatori e avere un buon livello di
consapevolezza. Possiamo essere capaci
di generare consapevolmente lo shock
addizionale necessario per l’evoluzione.
Che cosa succede se non si manifesta lo
shock addizionale? Potrebbe
manifestarsi un cambio di direzione
capace di interrompere il processo.
Questo cambio di direzione può
segnalare due cose: la prima è che non
ho l’energia sufficiente per portare
avanti quel cammino e la seconda è che
in quel momento non devo compiere
quel cammino. È necessario però
prestare molta attenzione al cambio di
direzione che si verifica quando non
avviene lo shock addizionale. Se questo
cambio è inconsapevole, potrebbe
determinare una inversione di direzione,
riportandomi alla condizione di partenza
o addirittura più indietro. Possiamo fare
diversi esempi di come ripetuti cambi di
direzione abbiano causato profondi
mutamenti:
Un grande amore che si trasforma
in una relazione morbosa e
possessiva.
Il messaggio di Cristo che viene
preso a pretesto per scatenare
Crociate e Inquisizione.
La scissione dell’atomo che viene
usata per uccidere milioni di
persone.
Un benefattore che si trasforma in
dittatore.
Capitolo 5
La curva sigmoidea:
l’evoluzione ciclica
applicata al perdono
La tecnica
Questa tecnica di perdono è
antichissima, viene utilizzata in molte
parti del mondo. Alcune fonti la citano
come «il Perdono Cristico» perché
rispecchia la proporzione citata nel
Vangelo di Matteo: «“Signore, quante
volte dovrò perdonare a mio fratello, se
pecca contro di me? Fino a sette volte?”.
E Gesù: “Non ti dico fino a sette, ma
fino a settanta volte sette”».
(Mt 18, 22)
Figura 7
Figura 8
2° PASSO
TRASFORMA I
PROBLEMI IN RISORSE
Visione geocentrica e
visione eliocentrica del
perdono
Il modello di perdono del My Life
Design non è legato alla colpa, alla
sofferenza, a un carnefice, né tantomeno
a una vittima. Non si perdona qualcuno
per le sue colpe, per salvarlo, per
salvarsi o per timore di Dio. Si perdona
per donarsi. Perdonando vado oltre quel
piano duale in cui esistono gli opposti
che generano il conflitto.
Immagina di osservare
l’universo con gli occhi del
sole...
Osservando le cose dalla prospettiva
del pianeta Terra (visione geocentrica)
esisteranno giorno e notte, gioia e
dolore, vita e morte. Il Sole invece non
conosce alba né tramonto. Il punto di
vista del Sole (visione eliocentrica) ci
permette di vedere le cose da una
prospettiva assolutamente nuova, dove
non esiste conflitto tra opposti, ma una
comprensione che proviene da una
visione molto più ampia e superiore: la
visione unitaria e non polare. Anche
l’ombra, dal punto di vista del Sole è
solo la testimonianza della presenza
della luce. Tutto ciò che si osserva con
gli occhi del Sole risulta illuminato. Con
questa nuova prospettiva il perdono
appare come uno straordinario mezzo
per andare oltre la colpa e l’espiazione,
il colpevole e il carnefice; oltre ogni
conflitto polare per sperimentare una
nuova dimensione di pace e
realizzazione. La necessità di perdonare
può derivare dal senso di colpa, cioè
dalla considerazione che esista qualcosa
di sbagliato che si è compiuto e che ha
danneggiato se stessi o un’altra persona.
Quando qualcuno compie un errore si
può ricorrere alla punizione per
correggerlo (nel caso si ritenga che ci
sia una colpa, cioè che la persona che ha
commesso l’errore sia colpevole),
oppure si può considerare che ha
sbagliato per ignoranza (mancanza di
conoscenza) e fornire i mezzi alla
persona per correggere l’errore. La
nostra società è basata sulla punizione:
chi sbaglia paga. Spesso ci
dimentichiamo però che chi ha sbagliato
probabilmente non ha capito qualcosa e
ha necessità di comprendere che cosa
non funziona: ha necessità di essere
consapevole del proprio errore. Se si
considera la persona colpevole allora si
avrà l’esigenza di punirla per correggere
il suo errore; ma se si considera la
persona inconsapevole, allora si
cercherà di fornirle i mezzi per essere
consapevole.
Colpevolezza-Punizione.
Inconsapevolezza-Consapevolezza.
Il perdono, seguendo una visione
geocentrica e polare, prevede una colpa,
mentre secondo la visione eliocentrica è
un principio trasformatore che permette
di utilizzare le energie pesanti come
mezzi per arrivare allo stato di unione e
amore. Utilizzando il perdono come
principio trasformatore e strumento di
consapevolezza si arriva alla
comprensione che si può solo, in
definitiva, perdonare se stessi. La
propria coscienza si espande e trascende
l’apparente conflitto duale, per tornare a
essere consapevole che tutto è
semplicemente un mezzo per realizzare
se stessi. Esiste un gioco di ruoli in cui
sono presenti una vittima e un carnefice.
Il carnefice esiste solo se c’è una vittima
da sacrificare. La vittima avrà bisogno
di espiare, di soffrire, di lamentarsi, di
piangere e il carnefice di farla soffrire,
di punirla, di sgridarla ecc. Esiste un
modo per uscire da questo schema:
perdonare e perdonarsi. Accettare e
accettarsi. Perdonarsi per la vergogna,
per i sensi di colpa, per il fallimento,
per sentirsi incapaci; perdonarsi per
essersi ingannati, per mancanza di
consapevolezza, per aver sofferto, per
non aver capito, per aver perso tempo…
perdonarsi per amare e essere amati,
perdonarsi per amore.
Perdona e agisci
«Amate i vostri nemici, benedite coloro
che vi maledicono, beneficate quelli che
vi odiano e pregate per coloro che vi
usano torti e vi perseguitano».
Gesù Cristo
Una storia...
Ogni volta che Sara incontra la ex del
suo fidanzato si trova a disagio, non sa
come comportarsi e spesso inizia a
litigare col suo partner. Sara decide così
di entrare nel processo del perdono.
All’inizio trova serie difficoltà: non sa
se vuole veramente perdonare questa
persona, prova odio e impotenza, ma
alla fine cede e si abbandona, lasciando
veramente emergere e integrando ciò che
sente. «Non è più importante come mi
comporterò davanti a questa persona,
per me è sufficiente come mi sento
adesso: più leggera, più libera e
sicuramente più grata alla vita. Mi
sembra di capire meglio la ragione dei
suoi comportamenti. Vedo chiaramente il
suo disagio dietro a questi atteggiamenti.
Vedo una persona umana, con dei
conflitti». Quando incontra nuovamente
questa ragazza – che, come al solito,
inizia a intavolare una discussione col
proposito di metterla in difficoltà – Sara
la guarda fissa negli occhi e le dice con
calma: «Scusa, ma non ho voglia di
parlare con te in questo momento», si
gira e porta il suo ragazzo poco più in
là. «Mi sono sentita determinata e dentro
di me c’era una grande chiarezza. I
conflitti che normalmente mi
sembravano insormontabili erano
spariti. Non mi sentivo più costretta e
impotente. Non sentivo neanche rabbia o
fastidio, semplicemente le ho detto
quello che pensavo senza farmi
problemi. Ho visto che lei ha capito». Il
giorno dopo a Sara arriva un messaggio
al cellulare. È la ex del suo fidanzato
che scrive: «Scusa, mi sono accorta che
agivo per metterti in difficoltà. Non
accadrà più». Il perdono autentico
permette di andare oltre il conflitto e di
vedere le cose da un altro punto di vista.
A questo punto potremo decidere se
agire o astenerci: la nostra decisione
non sarà più il prodotto di confusione o
ignoranza, ma il risultato di un lavoro su
noi stessi e di una nuova
consapevolezza. Perdonate e poi agite,
se riterrete opportuno farlo. Non importa
che cosa farete, in quel momento saprete
esattamente che cosa fare e come farlo e
sarete motivati non dalla rabbia, o da
emozioni perturbatrici, ma dalla
gratitudine e dalla determinazione.
Capitolo 6
Il dono
La felicità dell’essere
odio non cessa mai per l’odio;
«L’ l’odio cessa per amore».
Buddha
Conoscenza Ignoranza
Buone azioni Cattive azioni
Costanza Incostanza
Pazienza Impazienza
Purificazione dello Inquinamento dello
spirito spirito
Felicità Tristezza
Risveglio Oblìo
Il perdono e il
discernimento
Esercizio di
autoconsapevolezza per
aumentare la capacità di
defocalizzazione
Ripeti a voce alta ognuna di
queste affermazioni fino a che non
ne diventi pienamente
consapevole: è possibile che per
alcune sia necessario più tempo.
1. Io sono...(ripeti il tuo
nome).
2. Io sono un/a
uomo/donna.
3. Io sono un essere
umano.
4. Io sono vivo/a.
5. Io sono vita.
Rimani focalizzato sulla percezione
che ogni affermazione provoca in
te e insisti fino a che non
percepisci ciò che ripeti come
qualcosa di assolutamente vero e
reale e riesci a sostenere questa
percezione. Alcune volte saranno
sufficienti pochi minuti (3 per
esempio), mentre altre volte non
basteranno 15 minuti. Il consiglio è
di iniziare con almeno 3 minuti
consecutivi per ogni punto e di
arrivare fino a 15 minuti
consecutivi per ogni punto, per
una pratica totale di circa un’ora e
mezza. Durante l’esecuzione,
soprattutto nelle prime fasi,
potranno manifestarsi molte
distrazioni: pensieri, pruriti,
bruciori, resistenze. Si dovrebbe
persistere e andare oltre tutte
queste manifestazioni transitorie,
rimanendo fermamente
determinati nella percezione di
quello che si dice fino a che non si
manifesta chiarezza assoluta. La
condizione ottimale è quella in cui
si è completamente a proprio
agio, senza più distrazioni che
infastidiscono e si è totalmente
focalizzati nella percezione di
quello che si sta ripetendo.
Quando viene eseguita
correttamente questa pratica
produce una espansione nelle
percezioni, lucidità mentale,
autoconsapevolezza, una intensa
presenza e permette al campo
mentale ed emozionale di
diventare cristallino e pulito. La
postura da mantenere durante la
pratica è quella eretta, con la
spina dorsale perpendicolare al
suolo, gli occhi aperti e il corpo
rilassato.
Da bambino giocavo…
Ricordo una volta, da bambino, in cui
giocavo con una piccola roulette insieme
a mio cugino e a un amico. L’effetto che
io e mio cugino facevamo a questo
bambino era radicalmente diverso.
Mentre lui risultava simpatico e
piacevole, io gli risultavo
insopportabile. Questo fatto mi
dispiaceva molto e quindi mi impegnavo
ogni volta di più per essere accettato. I
bambini vivono intensamente il dramma
del rifiuto. Ricordo che iniziando il
gioco mi proposi per fare il croupier. La
reazione di Paolo (così si chiamava il
bambino) fu brutale: si oppose
spietatamente alla mia proposta, dicendo
che se avessi avuto quel ruolo, lui non
avrebbe giocato e che sarebbe rimasto
solo se lo avesse fatto lui. A quel punto
fu mio cugino a proporsi come croupier.
Paolo, con mio assoluto stupore, accettò
di buon grado. Manifestai apertamente
lo sconcerto che provavo obiettando:
«Ma come, hai appena detto che se non
lo facevi tu te ne saresti andato? Perché
se lo fa lui va bene e se lo faccio io
no?». Non mi seppe rispondere,
rimanendo quasi imbarazzato di fronte
alla paradossale evidenza delle mie
considerazioni. La stessa identica
affermazione fatta da due individui
diversi causa una reazione differente
nelle persone e nelle situazioni. Da che
cosa dipende? Ciò che vediamo e
percepiamo all’esterno, nelle persone e
nelle cose, è sempre una nostra
proiezione, una parte di noi stessi. Ciò
che vediamo e percepiamo all’esterno
può essere cambiato lavorando dentro di
noi. Noi creiamo la nostra realtà sulla
base di ciò che proiettiamo all’esterno e
di come questa proiezione viene
interpretata dagli altri, a seconda delle
situazioni. Come possiamo fare per
iniziare a diventare consapevoli di
essere totalmente responsabili di ciò che
viviamo? Prendiamo in considerazione
la sofferenza nel mondo. Chiediti: come
faccio a esserne responsabile? E di un
bambino che soffre in Africa? Adesso
chiudi gli occhi e percepisci, in questo
momento, dov’è nel tuo corpo la
sofferenza del mondo. Percepisci dove
la senti dentro di te, come si muove, se ti
chiude lo stomaco o se appesantisce
un’altra parte del tuo corpo; e respira,
profondamente, ascoltando senza
giudizio e restando con quella
percezione fino a che quella carica di
energia cessa di essere così pesante e
smette di esercitare su di te una
pressione così grande. Mentre respiri,
lascia che la tua attenzione resti
concentrata su questa carica di energia.
Dopo qualche momento dovresti notare
che la tua percezione è cambiata. La
sofferenza del mondo si è trasformata in
una occasione per ascoltarti. Ti stai
interiorizzando, stai portando dentro di
te quel vissuto: se prima l’oggetto di
attenzione della tua mente era la
sofferenza del mondo, adesso è
diventato la tua percezione della
sofferenza del mondo. Il focus è centrato
nel come percepisci e non più nel fatto
in se stesso. A questo punto puoi iniziare
a trasformare questa percezione in
consapevolezza. Inizia a respirare
profondamente, immaginando che a ogni
inspirazione il calore e la luce possano
raggiungere quella forma dentro di te,
nel tuo corpo e gradualmente, a ogni
espirazione fai in modo che quella luce
si espanda fino a che non avrà
trasformato la forma in luce stessa. In
quella luce, mentre si espande, potrai
percepire delle qualità specifiche come
perdono, amore, gioia e prosperità. A
questo punto il processo di
trasformazione sarà effettuato. Che cosa
è cambiato rispetto a prima? Tutto e
niente, ma la cosa più importante è che
tu sei diverso, gradualmente più vicino a
un sole, capace di portare luce, amore e
vita dentro e fuori da te stesso.
Ciò che cambia è la tua attitudine
rispetto al problema: lo vivi
diversamente, con più pace e
consapevolezza, perché un sistema
solare con la luce al centro si è
sviluppato dentro di te. Questo ti
permette di affrontare diversamente le
situazioni esterne: per esempio avrai più
lucidità per decidere di compiere
un’iniziativa umanitaria, per aiutare il
tuo vicino di casa o un amico. In
definitiva sarai più centrato e questa
nuova prospettiva ti offrirà la possibilità
di cambiare il tuo modo di essere e di
agire. È plausibile che sia più adatto ad
affrontare la sofferenza del mondo chi è
capace di trovare pace dentro se stesso
rispetto a chi vive una colpa e un peso
profondo. Se vuoi ripulire il mondo
inizia dalla tua camera da letto. Le
persone amano maggiormente stare con
chi è capace di trovare la luce dentro se
stesso e di portarla all’esterno, per
illuminare il mondo attraverso un
sorriso, un abbraccio e una profonda e
reale disponibilità. Che cosa muove
realmente le persone? Perché le persone
fanno ciò che fanno? Che cosa le
spinge? Ci sono tante persone che danno
l’elemosina per non sentire il proprio
senso di colpa profondo. A motivarle
non è realmente l’amore o la
compassione: pagano per non sentirsi in
colpa. Sanno che dando quei soldi
l’immagine di povertà e di disagio che
le molesta scomparirà dalla loro vista.
Sono poche invece le persone che danno
per amore. Ti sei mai chiesto che cosa
stai realmente facendo dando quei soldi
a un mendicante? Lo stai pagando per
esercitare quella professione! In realtà
tu stai alimentando quella condizione,
perché sai che lui continuerà a fare
l’elemosina se scopre che è un modo per
guadagnare denaro. Se vuoi aiutarlo
veramente chiediti di che cosa ha
veramente bisogno per uscire da quella
situazione. Offrigli la tua disponibilità
reale. Non pagarlo solo perché vuoi che
si tolga di mezzo e sparisca dalla tua
visuale. Ha bisogno di cibo? Allora
dagli cibo. Ha bisogno di un lavoro?
Allora procuragli un lavoro. Molti
mendicanti non hanno intenzione di
cambiare il proprio stato. È
sconvolgente constatare personalmente
come alcune persone si affezionino alle
condizioni di sofferenza a cui si legano.
Ma ancora più assurdo è vedere come si
comporta chi fa l’elemosina. Molto
spesso si sente dire: «Poverino, guarda
questo pezzente, gli do qualche
spicciolo». Poverino? Pezzente? Di chi
stiamo parlando? Prendiamo
nuovamente in considerazione la
proiezione e la responsabilità. Centrati e
comincia a percepire ciò che senti
dentro di te e trasforma la colpa e la
sofferenza in consapevolezza. Il mondo
inizia a cambiare dentro di te; ciò che
vedi fuori è il riflesso della luce che
porti dentro. Se consideri che tutto è una
proiezione di ciò che hai dentro allora
può accadere qualcosa di straordinario
nella tua coscienza: il mondo che vedi
diventerà una modalità per essere
sempre più consapevole. Perché
consideri quella persona un poverino?
Dove e quando senti di essere poverino?
Senti che cosa ti dice lo straordinario
strumento che hai a disposizione: il tuo
corpo. Il tuo corpo dà una collocazione
concreta a ciò che senti. Questa
chiarezza ti dà il potere di individuare e
trasformare le tue percezioni, divenendo
sempre più consapevole di te stesso.
L’esterno dipende dall’interno. Se senti
dolore porterai, in qualche livello,
dolore. Se senti rabbia, è rabbia che
porterai. Bisognerebbe divenire capaci
di essere sempre interiormente presenti
nell’esterno.
La prima responsabilità che ha un
essere umano è quella di trovare la
felicità dentro se stesso, per poi poter
essere in grado di donarla all’esterno.
Non possiamo dare ciò che non
abbiamo. Il secondo passo consiste
nell’osservare dal punto di vista del
sole le persone che stanno vivendo un
grande disagio. Non sto scherzando, ho
proprio detto “punto di vista del sole”.
Il punto di vista del sole è una
prospettiva rivoluzionaria, capace di
darci una nuova e più appagante visione
dell’esistenza. Da questa prospettiva
non esiste un superiore e un inferiore,
una persona che sta meglio e una che sta
peggio. Dal sole tutto cambia. Inizio a
considerare l’individuo come un essere
straordinario che ha deciso di evolversi
attraverso quell’esperienza, per mezzo
del dolore. Non penso più a una persona
come a “poverino”, ma mi sento vicino a
lei, perché, se considero che è
totalmente responsabile di ciò che le
accade, nasce in me un grande rispetto.
Guardo un essere spirituale, una parte
della creazione, un raggio di luce che ha
deciso di apprendere in questo modo.
Quando da questa considerazione nasce
l’esigenza spontanea di aiutarlo, si
manifesta la vera compassione, che non
vuol dire “patire con”, cioè vivere la
sofferenza dell’altra persona, ma vivere
“con passione” insieme all’altra
persona; quella passione che viene da
una consapevolezza elevata, e capace di
dare reale conforto alle persone.
Smetterò quindi di considerare la
persona inferiore o incapace o
disadattata, e la vedrò come un essere in
evoluzione, che sta passando attraverso
una determinata esperienza per
comprendere qualcosa di importante.
Questo è un livello di rispetto superiore,
che si esprime attraverso una dignità
svincolata dal concetto di sofferenza.
Anche vivere con sofferenza la propria
condizione è una responsabilità
individuale. Ci sono diversi mendicanti
che vivono bene la propria condizione e
sono capaci di apprezzare la vita meglio
di alcuni ricchi che sono perennemente
depressi, impasticcati e arrabbiati col
mondo.
Il peso della propria condizione a
volte spaventa, viene rifiutata per il fatto
che sembra più comodo scaricare la
responsabilità della propria vita
all’esterno: al governo, alle tasse, alle
persone e alle situazioni.
Considera l’affermazione: «Quello mi
ha fatto arrabbiare». Che cosa contiene
questa frase e quale punto di vista
esprime? Esiste un tizio che ha fatto
qualcosa che mi ha fatto arrabbiare. La
mia rabbia dipende dunque da un fattore
esterno, da qualcuno che pare abbia il
potere di farmi arrabbiare.
Riassumendo: là fuori nel mondo c’è
qualcuno che ha potere su ciò che provi,
capace di determinare una tua emozione.
Se così realmente fosse, il primo
impulso coerente con ciò che provi
sarebbe quello di picchiarlo o
addirittura di ucciderlo, perché potrebbe
spaventarti l’idea che esista qualcuno
che abbia potere sulle tue emozioni.
Ecco il seme del conflitto. Adesso
proviamo a vedere la stessa cosa da un
differente punto di vista, applicando il
principio della responsabilità e della
proiezione. Che cosa cambia? Cambi tu,
la consapevolezza che hai di te e il
potere che hai sulla realtà che crei. Se
consideri che sei assolutamente
responsabile di ciò che senti allora per
un istante smetti di concentrare la tua
attenzione sull’altra persona e
focalizzati dentro di te, iniziando a
percepire il punto nel corpo in cui senti
la rabbia. In quel preciso istante togli
all’altra persona il potere sulle tue
emozioni e, cercando questa origine in
te, la cambi e la trasformi, in modo da
poter affrontare nella maniera migliore
la situazione esterna. Se applichi
profondamente questo processo, la
persona che hai davanti probabilmente
reagirà in maniera differente. Ecco il
seme della pace.
Ho vividamente impresso il ricordo
di un viaggio in auto con un’amica,
durante il quale, a causa di una
discussione, ci siamo arrabbiati
ferocemente. Ero talmente alterato che
stavo per fermarmi e lasciarla a piedi.
Mi sentivo insultato, non rispettato e per
di più deriso. Ero su tutte le furie. Ho
provato a tacere ma la situazione era
insostenibile. Più tacevo e più ribollivo,
per poi esplodere nuovamente. In quel
momento ho dovuto decidere quale
impulso assecondare: sfogarmi e
travolgere tutto o reprimere
quell’impulso e tenermi tutto dentro? Ho
scelto la terza possibilità: applicare il
modello solare. Ho cominciato a
respirare e ad ascoltare il mio corpo,
mentre lei urlava. Più urlava e più mi
concentravo in me stesso, riconducendo
tutto a una percezione interiore. Ho
continuato imperterrito, fino a che
l’emozione / rabbia non ha lasciato
definitivamente la presa. Solo in
quell’istante ho cominciato a
visualizzare una luce interiore che si
espandeva nella zona dove sentivo il
blocco emozionale. Più la luce si
espandeva e più sentivo la realtà
armonizzarsi profondamente. Mentre
succedeva ciò, la mia amica si calmava
gradualmente, fino a entrare in un
silenzio pacifico. Quando (dopo circa
dieci minuti) ho terminato il processo,
mi sono girato e guardandola le ho
rivolto un sorriso. Lei mi ha abbracciato
serena senza la necessità di dire,
commentare o giustificare alcunché.
Attraverso il principio della
proiezione riconosco che la persona che
mi sta facendo arrabbiare è solo uno
specchio, una parte di me che mi sta
offrendo la possibilità di conoscermi e
migliorarmi. Che grande opportunità.
Questo non vuol dire che non devo
assolutamente arrabbiarmi, ma che ho
una nuova possibilità di vivere le cose.
A volte arrabbiarsi fa bene, perché
permette di sfogare un’energia altrimenti
repressa. Ma arrabbiarsi
consapevolmente è meglio, per il
semplice fatto che in questo modo
ammetto la piena responsabilità di ciò
che provo; vedo con chiarezza nell’altra
persona solo uno specchio,
un’opportunità per migliorarmi e decido
liberamente di arrabbiarmi.
Nell’espressione di questa rabbia non ci
sarà niente di personale, al contrario
sarà un mezzo per stabilire maggiore
equilibrio. Quando parlo di
responsabilità durante i seminari o i
laboratori qualcuno a volte si risente.
Mi obiettano: «Ma il bambino del terzo
mondo che responsabilità ha di ciò che
gli accade?». Sembra quasi che il fatto
di considerarsi totalmente responsabili
di ciò che si vive sia inumano e
provocatorio. Sinceramente non è mia
intenzione vendere una verità; voglio
semplicemente offrire un punto di vista,
una delle infinite possibilità che si
hanno a disposizione.
Questa è solo una prospettiva. Guarda
il mondo da questo punto di vista e senti
che cosa succede e che cosa cambia.
Verifica se questo enorme puzzle che
chiamiamo esistenza si sistema meglio,
secondo un senso più autentico. Non
voglio entrare nel merito della storia di
quel bambino, né tanto meno, pur
considerandolo responsabile di ciò che
vive, ometto di aiutarlo o di fare
qualcosa per lui. Semplicemente lo
lascio libero di manifestare ciò che è,
considerandolo degno di esistere come
una coscienza illimitata che crea la
propria realtà. Prendo atto che sta
passando attraverso quell’esperienza
per comprendere qualcosa che
probabilmente mi sfugge. Se decido di
aiutarlo lo faccio non perché provo pena
per lui, ma perché lo amo e decido di
mettermi a sua disposizione, allo scopo
di fargli vivere questo momento nel
migliore dei modi. Quel bambino è
prima di tutto un’anima che sta vivendo
quell’esperienza per comprendere
qualcosa. Ciò non toglie che io possa
fare di tutto per alleviare la sua
sofferenza. Che cos’è cambiato rispetto
a come vedevo il mondo prima? La mia
consapevolezza.
Da che cosa sono spinte le persone a
fare ciò che fanno? Quanta gente compie
azioni per paura e non per amore. In
realtà, scavando nel profondo del tuo
animo, quante cose fai per paura?
Quando cammino per la strada a volte
guardo le persone e mi domando perché
fanno ciò che fanno. Quante persone
fanno sport per paura di invecchiare o di
ammalarsi, quante donne si truccano per
paura di essere brutte, quanti stanno in
coppia per paura di stare soli e non per
vero amore. Quante persone lavorano
per paura di non poter mangiare e quante
lavorano per paura di perdere il lavoro.
È libertà questa? Trovatemi una persona
che fa qualsiasi cosa solo per amore.
Questa persona è libera e non è
possibile manipolarla in alcun modo. Le
sue azioni dipendono dall’amore che
sente e non dalla paura di perdere
qualcosa, o di essere rifiutata, o
abbandonata e così via.
3° PASSO
LIBERA L’ENERGIA
BLOCCATA
La regola dell’azione
Per capire il processo del perdono è
necessario chiarire la regola
dell’azione. Solo quando siamo pronti
ad assumerci la totale responsabilità
delle cose e siamo completamente
sinceri nel farlo, diveniamo capaci di
creare una nuova realtà e di perdonare.
Ad ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria. Questa è una legge
della fisica applicabile su ogni livello
del nostro essere. Ogni cosa che
facciamo, pensiamo o proviamo genera
una reazione uguale e contraria. I
pensieri, le emozioni e le azioni sono
energia che produce un effetto. Se si
pensa a una catastrofe imminente, questo
pensiero verrà tradotto in un’emozione
di ansia, la nostra forza vitale sarà
ridotta e il corpo cambierà il
metabolismo. Se questo pensiero
persiste e diventa ossessivo, l’ansia
diverrà uno stato permanente, o quasi, la
nostra forza vitale verrà drasticamente
ridotta e il corpo somatizzerà con altri
segnali di allarme. Come vedi i pensieri
sono azioni che generano reazioni uguali
e contrarie. Diviene dunque importante
essere consapevoli della qualità
dell’energia presente in noi per poterla
trasformare.
Questa regola è valida anche per ciò
di cui siamo inconsapevoli, anzi spesso
è quello di cui non siamo consapevoli a
determinare la qualità della nostra
energia. Ciò che si compie, su qualsiasi
piano di esistenza, ha una conseguenza,
perché è come se si lanciasse un sasso
in uno stagno: esso produrrà delle onde
che prima o poi raggiungeranno la
posizione in cui ci troviamo. Spesso non
ricordiamo che siamo stati noi ad aver
lanciato quel sasso. Secondo questa
considerazione le “onde” continueranno
ad arrivare fino a quando le reazioni a
tutte queste azioni compiute non si
saranno esaurite.
La buona notizia è che se
comprendiamo come ascoltarci e
trasformare le energie dentro di noi,
saremo anche capaci di generare azioni
in grado di risolvere le reazioni che
stiamo vivendo, a loro volta generate da
azioni precedenti, spesso inconsapevoli.
Le nostre azioni vengono compiute
secondo due modalità: consapevolmente
(cioè pienamente coscienti di che cosa
produrranno e di chi veramente le sta
compiendo e spinto da che cosa) e
inconsapevolmente (a guidarci sono
motivazioni che non ci sono veramente
chiare e che sono spinte da esigenze
squilibranti). È molto importante
sviluppare una consapevolezza
sufficiente per avere chiarezza di ciò
che si fa, perché lo si fa e chi e che cosa
motiva quell’azione, per il fatto che essa
produrrà delle conseguenze su tutti i
piani della nostra esistenza. Il nostro
comportamento inconsapevole può
generare una quantità innumerevole di
reazioni, uguali e contrarie. Essere
consapevoli di se stessi è utile per
creare benessere, gioia e prosperità
nella propria vita, ma anche per esaurire
e correggere quegli effetti che
producono squilibri. La regola
dell’azione ci esorta e ci ricorda di
essere coscienti per produrre effetti
consapevoli e vivere intenzionalmente
una vita equilibrata e piena di emozioni,
pensieri e comportamenti positivi,
capaci di generare prosperità, amore e
gioia.
Quando agiamo sarebbe opportuno
chiedersi perché lo facciamo, quali
impulsi ci motivano ad agire in quel
modo, che cosa ci spinge a farlo e
soprattutto “chi” sta compiendo
quell’azione. Tu come corpo? Come
mente o emozione? Come spirito? Se
vuoi puoi anche agire pienamente
consapevole di essere vita. Ad agire
sarà la vita stessa, nella piena
autoconsapevolezza. Non esisterà niente
di personale, né profitto, né desiderio.
Cosa cambia se agiamo in questo modo?
Cosa cambia nell’azione se a cambiare è
la consapevolezza del soggetto che la
compie?
Che cosa sappiamo dunque della
bambina dell’esempio precedente? Se la
consideriamo completamente
responsabile di ciò che le sta
succedendo, anche se questa prospettiva
potrebbe sembrare forte e di impatto,
come possiamo giustificare il fatto che è
causa di ciò che vive? È necessario
innanzitutto chiarire che considerare la
bambina responsabile non toglie la mia
responsabilità nel decidere di
intervenire in una situazione simile. La
situazione rimane immutata, cambia solo
il mio punto di vista, che mi offre un
differente modo di vedere le cose. Dalla
nuova prospettiva considero ciò che la
bambina sta vivendo come la reazione a
qualche azione da lei compiuta in
precedenza (lei stessa può divenire
consapevole di quale) e smetto di
vederla come una disgraziata, ma la
considero come un essere in evoluzione
che ha deciso di imparare attraverso
quell’esperienza. Non so perché vive
ciò che vive, ma la considero
responsabile di ciò che le sta
accadendo. Se decido di aiutarla lo farò
liberamente, perché voglio darle tutto
me stesso affinché smetta di soffrire e
possa superare al meglio questa
situazione. Se mi muove la compassione,
proverò vera compassione e amore, non
paura, ipocrisia o pena.
Quando tengo un corso, cerco di
vedere l’esperienza secondo il punto di
vista del sole. Allora non penso: “Ah,
che bello adesso farò un seminario,
guadagnerò, potrò esercitare il mio
carisma”. Prevale in me la necessità di
condividere ed essere utile alle persone
che sono lì, di portare consapevolezza e
chiarezza attraverso questo punto di
vista; di condividere la passione,
l’entusiasmo, la felicità che vivo e che
sento. Cerco di mettermi a totale
disposizione, togliendomi di mezzo il
più possibile. La modalità occidentale
di vivere è principalmente costruita sul
concetto di individuo e di esigenze
individuali. “Prima penso a me e poi, se
avanza qualcosa, penso agli altri”.
Considerate quante persone ragionano e
si comportano così. La nostra società è
incentrata sulla competizione, sulla
prestazione e sullo spirito di
sopraffazione e competizione. Ci
raccontiamo che sopravvive chi emerge
e che bisogna fare di tutto per emergere.
È una società basata sul giudizio, sulla
critica. Chi non si adegua ad alcuni
standard viene emarginato, isolato, gli
vengono precluse possibilità e diritti.
Gli uomini quindi agiscono per
sopravvivere, e se questo comporta
mettere i piedi in testa agli altri,
qualcuno lo farà, perché pensa che non
si possa fare diversamente. Che cosa
viene trasmesso, attraverso i giornali, le
radio, i mezzi di comunicazione e
l’insegnamento per l’istruzione? Qual è
il modello proposto? Quanto siamo
influenzati e condizionati, tanto da non
riconoscere quasi più alcuni valori
universali di base? Il messaggio con cui
vieni bombardato contiene spesso paura:
“Aggrappati a ciò che hai, poco o molto,
e prendi quanto più puoi da tutto e tutti.
Accaparrati tutto ciò che c’è e creati il
più in fretta possibile un tuo spazio
privato con il maggiore benessere
materiale possibile. Lotta per questo
benessere materiale, sgomita e fai carte
false per averlo, e non guardare in
faccia nessuno. E soprattutto difendi ciò
che ti conquisti, perché il mondo è pieno
di insidie. E infine spera e prega che
tutto questo non crolli o che peggio
ancora non ti capiti qualcosa di brutto,
come una malattia, un tumore o un
incidente. Prega e spera...”. Questo è il
modo di pensare di milioni di persone,
un pensiero collettivo che ti ha
influenzato e che continua a influenzarti.
Il messaggio che spesso ti arriva è:
“Inizia a correre, corri, corri in fretta”.
E più corri, più devi correre per stare a
galla. E quando non ce la fai più a
correre e a stare a galla allora ecco che
subentrano la depressione, l’ansia e la
paura. Pensi che questa sia la vita? Che
vita è questa? Tutta questa competizione,
questa sovrapproduzione, questa isteria
collettiva, questo vortice di fare, fare,
fare non ha alcun senso. Il senso della
vita potrebbe essere un altro. Più
profondo, più in pace, più luminoso e
felice. Ciò che conta veramente è come
vedi la vita, da quale punto la osservi e
se sei veramente consapevole di che
cosa stai facendo e del perché lo fai.
Quel vortice gira velocemente, in
maniera pazza, tanto da poterti
risucchiare. Quanti film hai visto in cui i
protagonisti si sono resi conto di tutto
questo solo davanti a un dramma o a una
malattia; hanno lasciato questo modo di
vivere e hanno ritrovato un senso
diverso nelle cose? Ad ogni azione che
compiamo corrisponde una reazione
uguale e contraria. Molte volte la
sofferenza che proviamo è il frutto di
azioni che abbiamo compiuto
inconsapevolmente e che quindi non
riconosciamo e non siamo in grado di
correggere. Il perdono autentico è
capace di annullare l’effetto delle azioni
che determinano sofferenza nella nostra
esistenza e quindi la sofferenza stessa.
Questo avviene perché quando si
perdona veramente si esce
completamente dal piano duale, dove
esistono gli opposti che originano la
sofferenza. Ciò che si manifesta nel
processo del perdono è amore
incondizionato, una resa totale senza
condizioni. Chi è capace di attuarlo
comprende che il perdono ci eleva oltre
il piano in cui si manifesta un conflitto,
oltre le parti, oltre il giusto e lo
sbagliato. Il contatto con questo piano, a
patto che sia sincero, è capace di
annullare sia l’azione che la reazione.
Oltre il giudizio
Domande e riflessioni
Manel mi chiede: «Come faccio a dire a
due bambine di perdonare l’assassino
del loro padre?». Le domande di Manel
riguardano sempre situazioni limite.
Decidere di perdonare e di entrare in
questo processo è una scelta personale.
Non bisogna costringere nessuno e
nemmeno pretendere di sapere che cosa
sia bene per gli altri. La necessità di
perdonare viene spontaneamente quando
c’è la maturità necessaria per farlo. Non
si perdona per gli altri, ma perché c’è
un’esigenza interiore di liberarsi da quel
peso, da quell’odio, da quel
risentimento. Molte persone non sanno
nemmeno che cosa devono perdonare.
Questo avviene perché non hanno deciso
veramente di farlo. A volte il perdono
viene nei momenti più difficili e più
tragici. Viene per dare un senso a questo
dolore e per permetterci di elevare il
nostro spirito veramente, andando oltre
il conflitto che viviamo interiormente.
Voler perdonare è un fatto personale, una
necessità dell’anima. Quando una
persona è pronta per lasciare andare il
fardello che si tiene dentro, allora è
pronta per perdonare. Non gli interessa
più che cosa abbia fatto l’altro, sa solo
che vuole liberarsi da quel peso e
aprirsi alla gratitudine e all’amore. Ma
questa è una decisione personale:
l’individuo sceglie se restare legato alla
sofferenza o liberarsene. Se decide di
farlo veramente, il perdono lo aiuterà a
comprendere come. L’essere umano è
dotato del libero arbitrio. Il senso di
questo dono è qualcosa di straordinario.
L’Energia Creatrice di ogni cosa (o
comunque la si voglia chiamare: Vita,
Esistenza, Nulla, Dio, Krishna, Fonte,
Creatore, Dea ecc.) ci ama talmente
tanto da averci dato anche la libertà di
rifiutarla e di non sentire la sua
presenza. Siamo noi, nonostante tutto,
che decidiamo di non sentire questa
presenza costantemente nella nostra vita;
siamo noi che rifiutiamo e non lasciamo
andare questo rifiuto. Dipende da noi
sintonizzarci o meno, ma sembra più
semplice dire che è Lui/Lei che non
risponde. A questo proposito, c’è una
storiella che aiuta a spiegare questo
concetto. «Due pesci dentro l’acqua
parlano tra loro: “Ma tu ci credi a
questo mare? Si dice sia ovunque, fuori
e dentro noi; che lo respiriamo e ci
siamo immersi dentro, eppure non lo
possiamo vedere”. E l’altro risponde:
“Io non credo che esista. Secondo me è
un’invenzione di chi vuole credere che
esista qualcosa al di là di quello che
vediamo e sentiamo. Una semplice
credenza”. Il primo pesce continua:
“Pensa che c’è chi dice di sentirlo
ovunque, persino se chiude gli occhi”.
Proprio in quel momento l’altro pesce
vede un verme e d’istinto se lo mangia.
Ahimè! Era un’esca che lo porta dritto
dritto sulla barca del pescatore. Mentre
agonizza il pesce pensa: “Adesso che
sto morendo capisco cos’è il mare”».
Il perdono autentico porta la persona
che lo vive oltre il giudizio: l’attenzione
non è più rivolta a come l’altro
dovrebbe essere o a che cosa dovrebbe
fare, né tanto meno alle nostre mancanze
e ai sensi di colpa, ma alla gratitudine e
all’amore. Il perdono sincero eleva su
un altro piano di coscienza, dove
troviamo nuove e inaspettate risposte.
Fino a che non ci sarà in noi l’esigenza
di fare questa esperienza, allora queste
rimarranno solo parole.
4° PASSO
LIBERA IL POTERE
DELLA GRATITUDINE
Esercizio 1
Esercizio 2
Esercizio 4
Esercizio 5
Esercizio 6
Esercizio 7
5° PASSO
RECUPERA IL POTERE
DI TRASFORMARE LA
SOFFERENZA IN
AMORE
1. Chiudi gli occhi.
2. Percepisci il senso del
perdono che stai per
concedere.
3. Ripeti: «Che io abbia
chiarezza e amore per
poter perdonare».
4. Abbandonati a questo
perdono.
5. Ripeti: «Ricevo perdono e
mi perdono per la mia
condizione».
6. Chi o che cosa vuoi
perdonare?
7. Appoggia le mani
all’altezza del cuore.
8. Perdono… perché…
9. ... Perdonami perché...
10. Perdono me stesso perché
ho permesso a… di…
11. Esistenza (Dio, vita o come
ti piace chiamare il
principio di creazione)
perdonami perché sento…
12. Accetto e amo me stesso
anche quando sento…
13. Apri le mani e permetti al
perdono di entrare nel tuo
cuore.
14. Ringrazio…per…
ACCUSA • RESPONSABILITÀ
GRATITUDINE • AMORE
6° PASSO
INTEGRARE LA
POLARITÀ: LA
TECNICA DELLO
SPECCHIO
7° PASSO
IL PERDONO CON IL
SOLE
Realizza te stesso
attraverso il perdono
L’alba o il tramonto sono i
momenti migliori per poter
compiere questa tecnica di
perdono.
Davanti al Sole interiorizzati.
Poggia le tue mani nel cuore
e sentiti vivo e parte
dell’esistenza.
Chiedi supporto alla vita e
chiedile di aiutarti in questo
perdono, di darti la forza e la
consapevolezza per poter
perdonare. A questo punto
percepisci la presenza del
Sole davanti a te, nel
momento magico del
tramonto o dell’alba. Tu sai
che il Sole è sempre
presente, ma dal punto di
vista in cui vivi, ti sembra che
scompaia per poi ritornare il
giorno successivo. Sai anche
che questa è un’illusione
dovuta alla tua prospettiva e
che il Sole è sempre lì, nel
centro, che continua a
illuminare incessantemente.
L’ombra e la notte
dipendono esclusivamente
dalla prospettiva attraverso
la quale tu vedi e vivi le
cose. Considera che il Sole
dona la sua luce
costantemente, senza
chiedere niente in cambio.
Dona incondizionatamente
ciò che è. Lascia che possa
ispirarti.
Considera adesso ciò che
vuoi perdonare e inizia:
inspirando prendi ciò che
vuoi perdonare ed espirando
donalo al Sole aprendo le
mani.
Ripeti questa operazione
fino a che non senti una
sensazione di liberazione e
apertura. A questo punto
inspira lentamente la luce del
Sole e visualizzala mentre
arriva fino al tuo cuore.
Continua fino a che non ti
senti totalmente a tuo agio.
Ripeti questo ciclo di
perdono fino a quando non ti
senti alleggerito e allo
stesso tempo pieno di una
nuova energia.
Conclusioni
CORSO BASE
I 7 Passi del Perdono. Durata 2
giorni.
F.T.P. - FORGIVENESS
TEACHER PROGRAMME
IL MASTER SUL PERDONO.
Per chi vuole diventare un
insegnate riconosciuto a livello
internazionale. Durata 1 anno.