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Daniel Lumera

I 7 PASSI
DEL
PERDONO

La scienza della
Felicità

UN METODO
RIVOLUZIONARIO PER
GUARIRE E
REALIZZARSI
coordinamento
Romina Rossi
editoriale
impaginazione Danila Ganzerla
copertina Matteo Venturi
collana “Spiritualità”
I edizione eBook dicembre 2014
ISBN 9788862282697
eBook ePubMATIC.com

© 2014 BIS Edizioni


un marchio del Gruppo Editoriale Macro
via Giardino 30 - 47522 Cesena (FC)
www.gruppomacro.com
ebook@gruppomacro.com
Indice

Prefazione - L’importanza del perdono


del My Life Design
Premessa - La scienza della felicità
Introduzione - La dimensione olistica
del perdono
Capitolo 1 - Guarire perdonando
Capitolo 2 - Le 14 principali emozioni
legate al processo del perdono
Capitolo 3 - Un nuovo modello olistico
di perdono
1° passo. La tecnica delle tre lettere
Capitolo 4 - Settanta volte sette
Capitolo 5 - La curva sigmoidea:
l’evoluzione ciclica applicata al
perdono
2° passo. Trasforma i problemi in
risorse
Capitolo 6 - Il dono
Capitolo 7 - Il perdono e il
discernimento
Esercizio di autoconsapevolezza
per aumentare la capacità di
defocalizzazione
Capitolo 8 - Le regole del perdono
3° passo. Libera l’energia bloccata
4° passo. Libera il potere della
gratitudine
Capitolo 9 - La tecnica del perdono nel
My Life Design
5° passo. Recupera il potere di
trasformare la sofferenza in Amore
6° passo. Integrare la polarità: la
tecnica dello specchio
7° passo. Il perdono con il Sole
Conclusioni
Ringraziamenti
Bibliografia
Nota dell’Autore
La Scuola Internazionale del Perdono
L’autore
Prefazione

L’importanza del perdono


del My Life Design
l My Life Design (il disegno
I consapevole della vita) è una
disciplina evolutiva creata da Daniel
Lumera il cui scopo è quello di
diffondere una cultura olistica capace di
migliorare la qualità della vita, il
benessere, l’evoluzione e la crescita
individuale e collettiva. È il frutto di una
ricerca sull’evoluzione armonica
dell’essere umano sotto tutti gli aspetti,
dall’equilibrio fisico, emozionale e
mentale fino alla sfera della coscienza.
Nella mia esperienza come psicologa
e psicoterapeuta non ho mai incontrato
uno strumento con un potere di
trasformazione così grande ed efficace
come il perdono utilizzato nel My Life
Design. Questa è una tecnica che, se
applicata nel giusto momento, è capace,
in un solo fine settimana o in qualche
seduta, di far risparmiare mesi di lavoro
psicoterapeutico. In psicoterapia si
constata che la maggior parte dei
disturbi trova la sua radice negli abusi
subiti nell’infanzia, siano essi fisici,
psicologici e/o sessuali. Il lavoro
terapeutico si basa sull’assimilazione di
quello che è successo, accettarlo,
integrarlo e, in conclusione, perdonarlo
per poter guarire e vivere liberi senza
essere vittime del danno subito.
Possiamo avere traumi isolati o disturbi
di personalità completi, però
l’approccio è lo stesso: sbloccare
ricordi dolorosi, contattare l’emozione
repressa relativa al trauma, accettarlo e
perdonarlo. La conseguenza di aver
potuto trasformare questo dolore in
pace, gioia, liberazione, guarigione,
consapevolezza è ciò che chiamiamo
perdono e, normalmente, in psicoterapia
questo processo arriva dopo mesi di
lavori psicoemozionali.
Conoscere il perdono seguendo la
metodologia proposta da Daniel Lumera
è stata una grande evoluzione per le mie
terapie e per me come psicologa; mai
avrei potuto immaginare che quattro
passi così semplici potessero ridurre il
lavoro terapeutico in maniera davvero
sorprendente così come fa questa
tecnica. Senza dubbio la chiave non è
esclusivamente nella tecnica poiché, per
poter ottenere il massimo risultato, è
necessario utilizzarla con un’attitudine
corretta, ossia con umiltà. Senza la
giusta attitudine questo strumento rimane
incompleto e posso testimoniare che, per
la mia esperienza personale e per quella
con i miei pazienti, questa è una tecnica
realmente capace di trasformare il
dolore più radicato in una gratitudine
infinita, oltre la dualità e oltre il
conflitto subito. Il perdono è capace di
mostrarti qual è l’insegnamento più
profondo che esiste dietro ogni conflitto
vissuto, è capace di farti comprendere,
trascendere e liberare i pesi più grandi;
è capace di farti cogliere il vero senso
dell’amare e ti permette di conoscere
realmente l’amore incondizionato. È
impressionante constatare come
attraverso la pratica di questa tecnica,
una persona impara a vedere nel
conflitto un’opportunità per crescere ed
evolvere e arriva a concepire la vita in
modo differente, con più leggerezza:
improvvisamente comincia a
comprendere come funziona realmente la
vita e che, anche dietro il dolore più
insopportabile, c’è un amore che va
oltre quanto la nostra mente limitata
riesca a immaginare. Il perdono è un atto
di cuore e il cuore può portare fino
all’infinito, dove quanto di più divino e
sublime è presente in te. È questo il
modo in cui impari che dietro ogni
conflitto c’è un risveglio, una presa di
coscienza che ti porta sempre di più a un
vero senso dell’esistenza e a un contatto
più profondo con la tua parte
consapevole.

FANNY MASJORDANA SÁNCHEZ


Psicologa e psicoterapeuta
Premessa

La scienza della felicità


«Perdonare è liberare un prigioniero e
scoprire che quel prigioniero eri tu».
SACRE SCRITTURE

l perdono è una pratica antichissima,


I conosciuta fin dalle civiltà più remote,
anche se comunemente lo si associa alla
tradizione religiosa giudaico-cristiana o
ad alcune correnti filosofiche. Fino a
pochi decenni fa il perdono era oggetto
di riflessione solo da parte di teologi,
religiosi e consulenti spirituali, mentre
oggi anche la scienza ne studia i benefici
fisici e psicologici. Alcuni scienziati
sostengono che è «la chiave per
diminuire il rischio dello sviluppo di
malattie cardiache e disturbi mentali
scatenati dal ricordo ossessivo di che
cosa ci ha fatto male», mentre in
psicologia lo si reputa uno dei mezzi più
efficaci a disposizione dell’individuo
per superare il senso di colpa, il
risentimento, il senso del peccato e
garantire l’equilibrio e il benessere
psichico. A religiosi, teologi e
ricercatori spirituali si è aggiunta una
lunga lista di psichiatri, psicoterapeuti e
consulenti psicologici, tutti concordi nel
considerare il perdono uno strumento
terapeutico di straordinario contributo
(efficacia, validità) in moltissimi casi
tra i quali abusi sessuali, aborti, malattie
terminali, relazioni in crisi, dipendenza
dalle droghe. Persino in alcuni ambiti
delle neuroscienze sono state
evidenziate le aree celebrali attraverso
cui il perdono agisce, mostrando gli
effetti positivi che ha sul comportamento
umano. Sembra dunque che perdonare
faccia bene: la scienza lo raccomanda
per il benessere e l’equilibrio, la
religione per purificarsi dal peccato e
liberarsi dal male. Ma è questo il senso
autentico del perdono? Perché
perdonare? Per stare meglio, per fare
terapia, per liberarsi dal dolore e
purificarsi dal peccato, per recuperare
una relazione o per liberarsi dalle
paure? Oppure c’è qualcosa di più
profondo, qualcosa d’infinitamente più
importante in questa pratica che
accompagna l’essere umano da
millenni? Certo è che nel corso del
tempo il senso del perdono autentico e
la sua praticità quotidiana sono andate
quasi perdute e, in molti contesti,
stravolte. Spesso si riduce a una terapia
o a un atto di penitenza, mentre quello
che emerge chiaramente dalla sua
comprensione profonda è che il perdono
conduce all’esperienza dell’unità
originaria del nostro essere, oltre la
percezione illusoria dell’esistenza di
una realtà separata.
Il perdono ci porta al di là di questa
frattura, in un piano di sperimentazione
assolutamente nuovo. Non si può perciò
definire il perdono semplicemente come
una tecnica o un atto puntuale, perché è
un vero e proprio processo interiore in
cui si attraversano diverse fasi, per
raggiungere, o meglio ristabilire, uno
stato di unione, dove interiore ed
esteriore diventano una cosa sola. San
Tommaso ha scritto: «Il perdono
ristabilisce il legame perduto, la
comunione turbata».
E se quel legame di cui parla non
fosse con un’altra persona ma fra l’uomo
e l’universo?
Se ci osserviamo bene possiamo
scoprire che l’origine di tutti i conflitti
risiede nella percezione di essere degli
individui separati dal resto e il perdono
è il processo mediante il quale avviene
l’integrazione di questa frattura
interiore. Le varie fasi conducono la
persona attraverso un percorso intimo,
nel corso del quale diviene consapevole
dei propri conflitti e impara a
riconoscerli come opportunità per
evolversi, come mezzi e non come
ostacoli. Man mano che questo avviene
tutto ciò che era proiettato verso
l’esterno, sia esso un avvenimento,
un’emozione o un pensiero, viene
spontaneamente ricondotto all’origine
interiore e l’individuo riesce ad
assumersi la piena responsabilità di ciò
che sente, che prova e che fa. Ecco,
questi sono i presupposti per accedere a
un’esperienza che va al di là
dell’aspetto di benessere o di terapia.
Infatti una volta che l’essere umano è
centrato in se stesso scopre di essere
capace di trasformare il dolore, l’odio e
il rancore in amore e diventa un
alchimista, consapevole che le ombre
sono solo il testimone della presenza
della luce. Durante le esperienze di
perdono sono emersi cambiamenti
straordinari nelle persone, ma
soprattutto si è manifestata in ognuna di
esse una consapevolezza superiore, tanto
che la risoluzione del conflitto o di un
problema è diventata solo un effetto
collaterale di un’apertura di coscienza
molto più ampia.
In questo libro sono descritte alcune
tra le più importanti tecniche che
esistono su questo processo e le leggi
che le governano, per raccontare e
testimoniare un nuovo significato del
perdono. Alcune di esse hanno oltre
4000 anni, altre invece fanno parte della
metodologia del My Life Design e le ho
elaborate personalmente dopo un
profondo cammino di autocoscienza e
sperimentazione diretta. Questo potente
strumento di realizzazione permette, se
utilizzato correttamente, di liberarsi
dalla sofferenza, dall’odio, dalla rabbia,
dal dolore e da tutti i pesi che non
consentono alla felicità naturale
dell’essere umano di esprimersi. Il
significato di perdonare è “dare per
eccellenza, dare al massimo” ed è
quindi il superlativo di donazione.
Questo dare può avvenire solo come
vero atto d’amore, capace di creare
dentro la persona lo spazio necessario
affinché si manifesti un’esperienza di
profonda pace, felicità e realizzazione.
Dunque per donare, e per cos’altro se
no?
Introduzione

La dimensione olistica del


perdono
er secoli il perdono è stato
P considerato una pratica circoscritta
quasi esclusivamente in ambito religioso
e spirituale (Rye et al., 2000). In
particolare per la religione cristiana il
perdono è uno dei precetti fondamentali,
uno dei punti fermi e imprescindibili
dell’insegnamento del Cristo. Nel
Nuovo Testamento il concetto del
perdono è espresso mediante due parole
greche differenti: aphiemi e hilaskomai.
La prima esprime un significato
assoluto: perdono da ogni cosa, dagli
errori, dai peccati, dalle trasgressioni.
Tuttavia il termine aphiemi si riferisce
anche, nel suo significato originario,
all’atto di lasciare andare, di liberare, o
di dimenticare, inteso nel senso di
lasciare cadere o di rimettere i debiti
(come nell’interpretazione della
preghiera del Padre Nostro). Solo nel
Vangelo di Matteo questa parola viene
utilizzata e ripetuta per ben 47 volte. Il
secondo termine con il quale il Nuovo
Testamento si riferisce al perdono è
hilaskomai che invece indica
un’espiazione, l’atto di placare e
conciliare un Dio arrabbiato. In questo
contesto lo troviamo proprio nelle
ultime parole pronunciate dal Cristo in
croce: «Padre perdona loro perché non
sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).
Sono due i tratti che caratterizzano
principalmente il perdono nelle
religioni, in particolare nelle religioni
monoteistiche: il primo considera
l’esistenza del perdono solo in relazione
al divino e il secondo è strettamente
connesso con il concetto di male o
peccato e con la pratica della penitenza.
Nel primo caso, in un contesto religioso
e teologico, il perdono non appartiene
alla dimensione umana, psicologica e
attitudinale; non è dunque un aspetto
della personalità ma un riflesso della
presenza divina in noi. In tutte le
religioni monoteiste il perdono è una
prerogativa di Dio; ad esempio
nell’ebraismo o nell’islamismo. Per i
musulmani il perdono ha un enorme
valore e viene concepito in relazione
alla sottomissione alla volontà di Dio:
Al-Gafoor (Colui che perdona) è uno
dei 99 nomi di Allah. Dunque nell’ottica
di queste religioni il perdono umano
esiste solo in relazione con quello
divino e diventa un atto motivato dalla
necessità di essere perdonati da Dio
stesso. «Il credente perdona affinché
Dio lo perdoni» (Giulianini, 2005;
Regalia & Paleari, 2008). L’altro
aspetto del perdono religioso è quello
legato alla penitenza, al peccato e alla
malvagità (Sobrino, 1986). La sua
funzione è quella di liberare dal male e
consentire l’accesso all’amore
incondizionato. La penitenza inoltre è
connessa al concetto di peccato
originale: il perdono diventa il mezzo
per riparare a questa colpa primordiale.
È interessante vedere come nella
tradizione ebraica la vittima è obbligata
a perdonare a patto che l’offensore
ritorni sui propri passi e abbracci
nuovamente la strada del bene attraverso
un pentimento personale e pubblico,
ammettendo il proprio errore,
confessando l’atto e dimostrando di
essere cambiato (Regalia & Peleari,
2008). In questo contesto il perdono
diventa una modalità per riaggiustare il
rapporto con Dio: l’uomo ha bisogno di
perdonare per essere perdonato.
L’animo umano si eleva e riconquista la
dignità divina solo quando è capace di
manifestare la sua natura incondizionata
e nobile (Giusti e Corte, 2009). Il
buddhismo sviluppa invece il senso
della compassione come elemento
fondamentale del perdono. La
compassione buddista è legata e a volte
coincide con l’amore universale e
incondizionato, anzi ne è un’espressione.
Alla radice della compassione esiste
una concezione unitaria dell’esistenza,
dove tutto è collegato e unito e niente ha
un’esistenza separata e intrinseca. Ogni
avvenimento è quindi connesso agli altri
ed esiste in relazione agli altri,
rappresentando una delle infinite
manifestazioni fenomeniche di un’unica
realtà essenziale. In questo contesto il
perdono può essere il mezzo per
divenire consapevoli di una realtà
essenziale olistica. In relazione al
concetto di perdono è fondamentale
anche quello di Karma, ovvero la legge
di azione e reazione secondo cui le
azioni (origine) compiute in questa o in
esistenze passate determinerebbero
delle reazioni uguali e contrarie che
sarebbero la causa della sofferenza o
del piacere che viviamo in questo
momento o in esistenze future. Il
concetto di Karma è un forte agente
motivante al perdono e un potente
inibitore nei confronti sia delle azioni
negative da compiere nei confronti degli
altri (offese) e sia per quanto riguarda
una ipotetica vendetta nei confronti del
carnefice. Certo è che le persone che
ritengono importanti i valori spirituali
tendono a collocare il perdono tra quelle
virtù fondamentali alla comprensione
dell’esistenza e investono di più sulla
scelta di perdonare. Tutte le grandi
religioni monoteiste hanno utilizzato il
concetto di perdono in una posizione
fondamentale. L’attitudine a perdonare è
indubbiamente legata e stimolata dalle
credenze e da un contesto religioso o
spirituale, sia per la realizzazione
dell’armonia dell’essere umano e sia
per la realizzazione e la comunione con
l’aspetto divino. L’Antico Testamento,
legato alla figura di un Dio onnipotente e
a volte terribile e funesto, sviluppa il
concetto e la necessità di un perdono
divino, mentre nel Nuovo Testamento,
basato sulla figura del Dio
misericordioso, si pone l’accento sulla
necessità del perdono umano come
riflesso e porta di accesso al livello
divino. Nell’ebraismo invece il perdono
è positivo solo quando c’è il completo
pentimento di chi ha arrecato offesa e
danno e il processo segue delle regole
ferree e prestabilite: il persecutore deve
scusarsi; se le scuse sono rifiutate vanno
ripresentate in presenza di testimoni; se
il perdono non viene ancora concesso,
l’offeso dovrà proporre un indennizzo;
se infine l’offeso persiste nella sua
posizione di negazione allora potrebbe
addirittura passare dalla parte del torto.
La propensione al perdono sarà dunque
inibita dal mancato pentimento finale, da
entrambe le parti. Tutte le credenze
legate al proprio credo e al contesto
sociale, o almeno quelle accettate
dall’individuo in maniera più o meno
consapevole, possono influenzare il
processo e l’esperienza del perdono. Un
interessante studio sul legame esistente
tra perdono e religione è quello di
Rokeach (1969), che evidenzia le
differenze nel valore attribuito al
perdono nei vari orientamenti religiosi.
In una scala da 0 a 18 i cattolici e i
protestanti lo collocano al quarto posto,
gli ebrei al quindicesimo e gli atei al
sedicesimo. In generale tutti gli studi
compiuti su questo legame evidenziano
che i cristiani valutano il perdono ai
primi posti nella loro scala di valori.
È interessante osservare come le
persone che più praticano spiritualità o
sono ispirate da un credo religioso
mostrano una maggiore attitudine e
motivazione al perdono, utilizzandolo
come reazione alle offese e presentando
valori nettamente inferiori di ostilità
(Gorush & Hao, 1993). Tanto più è
elevato il valore che si attribuisce al
perdono e tanto più gli individui saranno
propensi a concederlo. Tuttavia, come
vedremo più avanti, le ragioni per
perdonare non sono solo connesse al
proprio credo religioso o alla propria
attitudine spirituale, ma sono anche
relative alla propria salute psicofisica e
al proprio benessere personale.
Da un ambito esclusivamente
religioso e filosofico il perdono è
gradualmente entrato nella dimensione
della psicologia e della psicoterapia,
spoglio delle sue implicazioni spirituali
e morali, ma incentrato sul benessere ed
equilibrio della persona. L’interesse
scientifico per il perdono si sviluppa
negli anni Ottanta, grazie al teologo
Lewis Smedes, che nel suo libro
Forgive and Forget: healing the hurts
we don’t deserve sostiene la tesi
secondo cui il perdono indurrebbe dei
benefici psicofisici. La ricerca viene
colta soprattutto dalla psicoterapia che
elabora e applica i suoi modelli ai
traumi irrisolti, alla depressione e alla
gestione di emozioni come rabbia,
collera e desiderio di vendetta. Dai
primi studi ai giorni d’oggi il perdono
ha assunto un ruolo sempre più
importante e centrale nella psicologia
perché permette di riequilibrare al
contempo i due aspetti principali
dell’individuo: i processi interni, o
aspetti intrapsichici legati alla
personalità (ristrutturare la realtà,
immagine di sé, ridefinire se stessi,
liberarsi dalla sofferenza ecc.) e i
processi esterni: interpersonali,
situazionali, sociali, culturali, religiosi e
spirituali (ridefinire l’altro e le
relazioni, cercare una riconciliazione
con l’offensore, cercare la relazione con
il divino o con se stessi). Il perdono
diviene quindi il «luogo della
ridefinizione dell’identità personale»
(Aletti, 2005, p. 7) e delle dinamiche
interpersonali. In questo percorso
evolutivo diviene significativa la
capacità del processo del perdono di far
cambiare gradualmente contesto e
passare da un vissuto cui è stato
attribuito un significato drammatico a
una nuova dimensione, in cui
l’accadimento assume un carattere
formativo, costruttivo e funzionale alla
crescita personale e al benessere
individuale. La funzione fortemente
liberatoria del perdono, quando il suo
processo è compreso a fondo, è capace
di cambiare profondamente la
personalità, rinnovando le relazioni e
portando la persona oltre il giudizio, in
un contesto dove avviene l’accettazione
reale della possibilità di sbagliare,
propria e degli altri. Molti psicologi si
sono resi conto che il perdono può
essere compreso profondamente solo in
un’ottica olistica e una sua definizione
completa dovrebbe comprendere le
componenti emotive, affettive,
comportamentali, decisionali,
motivazionali, ma anche quelle
spirituali, religiose ed esistenziali
(Gorsush e Hao, 1993). Vi sono
molteplici definizioni del perdono,
messe a punto soprattutto a partire dagli
anni Novanta:
«Il perdono è il superamento degli
affetti e dei giudizi negativi verso
l’offensore, non perché la vittima si nega
il diritto a tali sentimenti o giudizi,
quanto piuttosto perché si sforza di
considerare l’offensore con
benevolenza, compassione e persino
amore, pur riconoscendo che
quest’ultimo non ne ha più diritto»
(Enright & The Human Development
Study Group, 1991, p. 126).
«Il perdono è una scelta interna della
vittima (inconscia o deliberata) di
rinunciare al rancore e, se è possibile e
prudente, cercare una riconciliazione
con l’offensore» (Worthington e Wade,
1999, p. 386).
«Un processo interno, centrale per la
psicoterapia, in cui la persona
ingiuriata, senza la richiesta dell’altro
abbandona i sentimenti negativi e smette
di desiderare di restituire il danno;
questo processo comporta benefici
fisici, psicologici ed emotivi» (Denton e
Martin, 1998, p. 290).
«Il riaquistare padronanza su una
situazione pericolosa, che ha generato
una ferita» (Flanigan, 1992).
«Un atto volontario, una decisione,
una scelta» (Hope, 1987).
«Un intervento terapeutico potente e
un’esercitazione intellettuale dove il
paziente prende la decisione di
perdonare» (Fitzgibbons, 1986).
«Luogo della ridefinizione
dell’identità individuale» (Aletti, 2005,
p. 7).
I vari modelli teorici sul perdono che
sono stati sviluppati finora derivano per
la maggior parte dalla considerazione di
questo o quell’aspetto del processo, a
seconda di dove gli studiosi hanno
ritenuto opportuno mettere l’accento.

Il modello di Enright mette


l’accento sul sistema affettivo,
cognitivo e comportamentale
(Enright e Fitzgibbons, 2000),
definendo il perdono come un
faticoso processo che avviene
mediante uno sforzo volontario
e presuppone un tempo più o
meno lungo e l’elaborazione di
tutta una serie di strategia
emotive, cognitive e
comportamentali per
intraprendere questo percorso
terapeutico (Enright & The
Human Development Study
Group, 1991).

Il modello DiBlasio (1998) pone


invece l’accento sul Decision-
based forgiveness, ossia
sull’aspetto decisionale. In
quest’ottica il perdono appare
come una decisione volontaria
che produce un cambiamento
cognitivo che permette il
rilascio del risentimento e del
desiderio di vendetta. Secondo
il modello DiBlasio il perdono
sembra essere inteso come un
lasciar perdere, lasciare
cadere o dimenticare.

McCullough, Dandage e
Worthington (1997) invece si
focalizzano sull’empatia della
vittima nei confronti del
carnefice, che permetterebbe
all’offeso di comprendere il
punto di vista dell’offensore e i
suoi sentimenti.

Il modello di McCullough,
Fincham & Tsang (2003) si
basa sulla tolleranza
(forbearance) e sulla
temporalità, considerando il
differente tipo di reazione dei
soggetti allo stesso evento
offensivo. La tolleranza
dell’offesa diviene un
parametro di valutazione,
insieme alla velocità temporale
di decrescita delle motivazioni
negative generate dall’evento.

Malcom e Greenberg (2000)


pongono l’accento sulla sfera
emozionale e
sull’attaccamento. In questo
modello vengono evidenziati
cinque fattori necessari per
perdonare: accettare
consapevolmente le emozioni
perturbatrici quali rabbia e
tristezza, riconoscere i bisogni
relazionali non ammessi, un
cambio di prospettiva e di
considerazione rispetto
all’offensore, sviluppare
empatia verso l’offensore,
costruire una nuova narrazione
di sé e dell’altro.

Rusbult, Hannon, Stocker &


Finkel (2005) elaborano un
modello di perdono basato
sulla relazione vittima-
offensore, basandolo sulle
complesse risposte emotive
vittima-offensore quali potenti
trasformatori degli aspetti
interpersonali.

Worthington (2003) si focalizza


sull’emotional juxtaposition
hypothesis, cioè sull’aspetto
emotivo motivazionale,
distinguendo due tipologie di
perdono: quello decisionale
che prevede un cambiamento
nelle intenzioni
comportamentali e nelle
motivazioni e quello emozionale
che prevede un cambiamento
nella qualità delle emozioni, da
negative a positive.

Stickler (1995) pone l’accento


sul potere liberatore che
rompe le catene col passato,
spezzando la logica ripetitiva e
a volte ossessiva della
vendetta. Il concetto di
liberazione in questo contesto
è relativo sia a colui che è
perdonato, liberato dal peso
della sua azione, che a colui
che perdona, liberato dal
rancore.

Gordon & Baucon (1998)


basano il loro modello di
perdono sulla relazione di
coppia, evidenziando tre fasi
principali:
smarrimento/disorientamento,
ricerca del significato
dell’offesa e ridefinizione,
superamento e acquisizione di
una nuova visione di sé,
dell’altro e della relazione.

Hargrave & Sells sviluppano un


modello incentrato sulle
relazioni familiari basato sul
riconoscimento delle dinamiche
dell’offensore e la
comprensione del motivo
dell’offesa.
Il modello di Scobie & Scobie
(1998) considera le reazioni
sia dell’offeso che
dell’offensore e la natura e la
gravità del danno arrecato: le
offese più difficili da perdonare
risultano secondo la loro ottica
quelle percepite come
intenzionali e gravi e nelle quali
non c’è stato pentimento o
rammarico da parte di chi ha
offeso.

Il modello di McCullough,
Worthington & Rachal (1997) è
incentrato sul piano
psicosociale del perdono,
individuando quattro classi di
fattori determinanti: le
determinanti sociocognitive (le
emozioni e i sentimenti della
vittima in relazione all’offesa
subita, i processi attributivi, la
ruminazione); le determinanti
associate all’atto offensivo
(gravità e variabili temporali,
reazioni dell’offensore ed
eventuali scuse); determinanti
relazionali (contesto in cui è
avvenuta l’offesa, intimità,
soddisfazione nella relazione,
profondità e impegno);
determinanti connesse a tratti
personali (attitudine alla
vendetta, gestione delle
emozioni negative,
arrendevolezza, etica,
convinzioni religiose).

Tra i più recenti modelli


ricordiamo quello di
Worthington (2006) nel quale
l’ottica interdisciplinare inizia a
prendere corpo permettendo
l’interazione di più aspetti
appartenenti a livelli di azione
differenti. Il lavoro di
Worthington si basa infatti su
una teoria biopsicosociale che
mette in relazione gli aspetti
biologici, cognitivo decisionali,
emotivi, motivazionali, i fattori
della personalità e la
dimensione sociale. In questo
modello, forse il più vicino a
una concezione olistica
dell’essere umano, si pone
l’attenzione sulla percezione
dell’offesa ricevuta e sulla
valutazione della propria
capacità di affrontarla.
Considerare la molteplicità
delle dimensioni che
intervengono nel processo del
perdono permette di
comprendere che non esiste
un protocollo rigido di reazione,
ma che, a seconda
dell’elaborazione della vittima
sarà possibile focalizzarsi
direttamente sul problema o
sull’elaborazione delle emozioni
o sull’attribuzione di diversi
significati all’evento,
coinvolgendo le decisioni, le
emozioni e i comportamenti.
Infine Gilbert (2005) interfaccia
i tre sistemi biologico,
psicologico e sociale tra di loro
e con l’ambiente. In questa
ottica sempre più olistica
appare assai più chiara
l’esigenza di un modello
biopsicosociale del perdono,
che risulta essere «il risultato
dell’interazione complessa tra
le caratteristiche genetiche
dell’individuo, che guidano la
costruzione delle strutture
fisiologiche, e l’esperienza nei
contesti sociali, che modella
l’identità e l’espressione del
corredo genetico» (Giusti &
Corte 2009). Il modello di
Gilbert inserisce il perdono in
un contesto evoluzionistico e lo
reputa un comportamento
funzionale alla sopravvivenza
della specie, poiché influenza
la qualità e la durata delle
relazioni interpersonali,
aumentando la probabilità di
sviluppare cooperazione e
ricevere aiuto. Se relazioniamo
il modello biopsicosociale di
Gilbert nell’ottica del concetto
evoluzionistico darwiniano
allora possiamo considerare
che la selezione naturale abbia
favorito le caratteristiche
genetiche che inducono la
capacità di perdonare. La
visione di Gilbert evidenzia
l’interazione multidimensionale
tra il sistema fisiologico,
espressione dei geni, e quello
cognitivo, emotivo e
motivazionale, che influenzano
e orientano tutte le azioni e i
comportamenti, e infine la
relazione tra i suddetti sistemi
e l’ambiente esterno (Gilbert,
2005).

In questo panorama generale abbiamo


visto come molti modelli si focalizzano
e sviluppano un particolare aspetto o
area d’azione del perdono, senza
cogliere fino in fondo la dimensione
olistica del processo. Tuttavia nei vari
modelli si passa gradualmente
dall’analisi e studio di uno specifico
aspetto del processo, fino ad arrivare a
un concetto sempre più esplicitamente
vicino al nuovo paradigma olistico
emergente. Il perdono, come ci
ricordano Giusti e Corte (2009),
comprende gli aspetti biologici
(Worthington, 2006), cognitivi
(Flanigan, 1992), motivazionali
(McCullought, Worthington & Rachal,
1997), decisionali (DiBlasio, 1998),
affettivo-emotivi (Malcom & Greenberg,
2000), interpersonali (Baumeister,
Exline & Sommer, 1998) e
comportamentali (Gordon, Baucom &
Snyder, 2000) e non può prescindere da
nessuno di questi se il processo vuole
essere completo. In definitiva il perdono
diviene il mezzo per diventare
consapevoli che ognuno di questi aspetti
non è a se stante o disgiunto, ma fa parte
di un’unica coscienza e anzi ne
rappresenta le manifestazioni. Il perdono
è capace di ristabilire quel ponte tra i
differenti aspetti del nostro essere e ciò
che viene chiamato “disequilibrio” o
“offesa” altro non è che l’indicatore
della necessità di recuperare una visione
olistica della realtà, capace di garantire
l’accesso a una dimensione più
consapevole di se stessi, degli altri e del
mondo. Da queste definizioni si
evidenzia il fatto che l’unico approccio
che possa permettere una comprensione
globale e completa del perdono è quello
olistico, capace di relazionare e
collegare le varie componenti
multidimensionali e relazionarle con un
nucleo centrale, rappresentato dalla
coscienza. Olos in greco vuol dire
totalità, tutto, e l’olismo è un modo
globale di vedere la realtà, che
considera i fenomeni fisici, biologici,
psichici, linguistici, sociali, spirituali e
coscienziali in una dimensione di
interconnesione e interrelazione. Il
perdono interessa l’uomo nella sua
interezza e globalità e anzi risulta essere
un processo che relaziona tutte le sue
parti permettendo il ristabilirsi di una
condizione unitaria e non fratturata o
frammentata in una moltitudine di aspetti
apparentemente disgiunti. Questo
ristabilirsi di una consapevolezza
unitaria influenza la realtà personale e
relazionale e risulta, in definitiva, essere
il vero scopo del processo del perdono:
l’individuo, se il percorso è stato
corretto, arriva alla consapevolezza che
l’offensore e l’offesa sono dei mezzi per
accedere a una nuova e più elevata
consapevolezza di sé, degli altri e della
realtà, caratterizzata da un senso di
comunione e di visione d’insieme
assolutamente superiore. Per questo il
più efficace approccio al perdono
risulta essere quello olistico e non
quello di tipo meccanicistico-
riduzionistico, sul quale si fonda il
paradigma scientifico attuale; anche in
relazione alla scarsa capacità di
quest’ultimo sistema di comprendere i
processi a elevato grado di complessità,
come ad esempio il perdono, che
implica una moltitudine di aspetti
biologici, psicologici, sociologici,
spirituali e relativi alla coscienza.
Secondo l’ottica olistica del My Life
Design il perdono risulta essere il ponte
di connessione in un sistema
interdipendente, in cui il corpo non è
separato dalla mente, un organo non è
isolato dagli altri e dal sistema globale,
la coscienza e lo spirito si riflettono
sulla realtà emozionale, mentale e anche
materiale, capace di collegare e
riequilibrare, attraverso un processo di
autoconsapevolezza, una molteplicità di
aspetti interconnessi, considerandoli
sotto una visione globale. In una
dimensione olistica, il perdono permette
di considerare la molteplicità delle
manifestazioni ed elaborazioni
dell’offesa in relazione alla totalità
dell’essere umano (includendo sia la
sfera personale che quella relazionale),
senza cristallizzarsi su aspetti
particolari.
Nella tabella che segue sono riassunti
i benefici che il perdono attua sui vari
livelli della persona.

I 7 livelli di azione del


perdono
Piano di
Manifestazione
azione
- Influenza il sistema
immunitario.
- Influenza il sistema
cardiovascolare.
- Influenza il sistema nervoso
centrale.
Fisico - Influenza il benessere e
l’equilibrio.
- Influenza i processi
psicosomatici.
- Influenza positivamente lo
stress.

- Influenza lo stato di vitalità.


- Libera i blocchi energetici.
- Influenza i processi di
rigenerazione dell’energia
vitale.
Vitale - Influenza la creatività.
- Influenza la vitalità facilitando
la manifestazione di
un’energia vitale fluida, attiva
e capace di donare
leggerezza e forza.
- Regola la dieta emozionale
permettendo il manifestarsi di
emozioni superiori quali
compassione, amore,
Emozionale gratitudine, felicità, gioia
ecc.
- Permette la manifestazione di
uno stato di pace duraturo e
profondo.
- Sviluppa un’empatia matura.
- Influenza la salute mentale.
- Influenza la dieta mentale
permettendo il manifestarsi di
frequenze positive ed elevate
in pensieri, idee, impressioni
e credenze.
- Influenza e sviluppa
l’ottimismo.
Mentale - Trasforma le forme pensiero
generatrici di odio, rancore,
vendetta, violenza, dolore in
idee, pensieri, impressioni e
credenze generatrici di
pace, unione, liberazione,
equilibrio, compassione,
amore e realizzazione.
- Agisce sugli eventi del
passato che generano
conflitti e squilibri nel
presente.
- Agisce sulle situazioni.
- Agisce sulla qualità delle
relazioni.
- Agisce sulla capacità di
attrarre situazioni, relazioni
ed eventi armonici e
favorevoli.
- Agisce sulla capacità di
essere causa di
consapevolezza, armonia,
Causale pace e amore.
- Agisce sulla consapevolezza
individuale e collettiva.
- Permette un’autentica
espansione di coscienza.
- Agisce sul concetto di
responsabilità individuale e
collettiva.
- Trasforma in consapevolezza
le cause che generano
dolore.
- Annulla le cause che
generano effetti indesiderati
e disarmonici.

- Permette il contatto e la
manifestazione di una
dimensione spirituale
consapevole.
- Influenza e riequilibra la
tendenza all’esaltazione e
alla rigidità.
- Influenza la formazione di
un’identità spirituale
Spirituale autentica e profonda.
- Permette lo sviluppo di virtù
come la pazienza, l’umiltà,
l’amore incondizionato e il
coraggio.
- Permette il contatto e
l’esperienza del vero potere
spirituale.
- Guarisce le ferite più
profonde dell’anima.
- Influenza e permette il
manifestarsi di stati superiori
di coscienza.
- Conduce a una vera e
Coscienziale propria esperienza di auto-
realizzazione.
- Favorisce lo sviluppo di una
visione olistica della realtà e
di se stessi.

Non mi resta che augurarvi una buona


sperimentazione, poiché in questo
manuale, oltre alle basi filosofiche, sono
contenuti molti esercizi pratici,
rispettando la mia ferma convinzione
che l’esperienza diretta valga molto più
di mille teorie.
Capitolo 1

Guarire perdonando

erdono e vendetta. Si tratta di


P concetti in antitesi e qui non si vuole
ridurre il problema in termini di benefici
o utilità, perché sono evidenti gli effetti
psicologici e fisici che possono prodursi
quando si diviene capaci di trasformare
rabbia, odio e risentimento in benessere
e pace. Le tecniche del perdono
presentate in questo libro (e quelle
insegnate durante i corsi di formazione)
servono proprio a sviluppare questa
capacità. È possibile che arrivare ad
amare e augurarsi sinceramente il bene
di chi ci ha fatto soffrire sia una potente
medicina per l’anima e il corpo? Per
questo è nata una vera e propria scienza
del perdono, che ha dedicato una serie
di esperimenti e pubblicazioni sugli
effetti terapeutici di questa pratica.
I ricercatori dell’Università del
Wisconsin hanno verificato come
perdonare sia un’efficace medicina per
diminuire il rischio di sviluppare
malattie cardiache e gravi disturbi
mentali. Alla Luther University di
Decorah in Iowa spiegano che il
perdono si può imparare esercitandosi
con le giuste tecniche, attraverso le quali
si raggiunge un nuovo livello di
benessere anche dopo poche
applicazioni. La scienza del perdono
viene applicata ai traumi più estremi,
come la violenza sessuale, gli abusi,
l’elaborazione di un lutto o di una
malattia terminale, l’aborto, i casi di
traumi di guerra fino alle problematiche
più comuni relative alla fine di una
relazione, a un divorzio, a un conflitto o
a un fallimento. La scienza si è
appropriata di uno strumento finora
considerato una virtù insegnata solo in
contesti religiosi e comunque legata alla
spiritualità.
È noto che i sentimenti di odio,
rabbia, ira e risentimento aumentano il
rischio di attacchi cardiaci, causando un
aumento della pressione sanguigna ed
esponendo il soggetto al rischio di
aritmie: il dottor Douglas Russell, in un
articolo pubblicato sul «Los Angeles
Times», illustra uno studio effettuato nel
2003, nel quale viene dimostrato che
anche solo dopo 10 ore di corso sul
perdono le attività coronariche dei
pazienti presentavano un sensibile
miglioramento. «Le aritmie cardiache
associate alla rabbia sono più instabili e
per questo più letali» affermano gli studi
dell’Università di Yale: secondo
l’equipe di scienziati guidata dal dottor
Stopper le esplosioni d’ira rilasciano
una quantità di adrenalina che aumenta
notevolmente i rischi di arresti cardiaci
nei pazienti che presentano irregolarità
nel battito. È emersa dunque una
connessione tra stress, adrenalina e
aritmia: in pratica un notevole rilascio
di adrenalina (ormone associato allo
stress) dovuto alla rabbia potrebbe
scatenare un arresto cardiaco o
comunque alterare l’attività elettrica del
cuore. La rabbia e gli attacchi d’ira
provocano delle aritmie particolari (si
verifica infatti almeno un extra battito,
ossia una contrazione ventricolare
prematura, nel 100% dei casi) che,
rispetto a quelle di altra natura,
sarebbero più “disorganizzate” e meno
stabili, perciò più pericolose. Anche il
dottor Hunter C. Champion di Baltimora
sottolinea quanto sia importante portare
avanti gli studi e le teorie che
evidenziano la connessione esistente tra
mente, emozione e corpo, vedendo nel
perdono una delle pratiche più efficaci
per rilasciare e liberarsi delle cariche
energetiche pesanti che si somatizzano a
livello fisico.
Le tecniche presentate in questo libro
(e i relativi esercizi) sono 7 delle 14 che
vengono utilizzate nei corsi di
formazione. Le tecniche mancanti sono
state omesse volontariamente perché
necessitano di una guida esperta che
possa condurre una sperimentazione
equilibrata. Il perdono produce una
condizione di liberazione, di leggerezza,
di gioia e di felicità molto intense. In
quasi tutti i casi le persone riacquistano
la capacità di essere ottimiste e di
ridere, anche in relazione a vissuti molto
intensi e pesanti. Vari studi scientifici
hanno dimostrato che il riso e
l’ottimismo causano la dilatazione
dell’endotelio (lo strato di tessuto
protettivo che riveste interamente i vasi
sanguigni e linfatici e le cavità
cardiache), accrescendo in tal modo il
flusso sanguigno che influenza
positivamente il sistema
cardiovascolare. Quando il praticante
entra nel processo del perdono, si
manifestano delle intense sensazioni di
piacere e felicità, causate
fisiologicamente dal rilascio di
endorfine nel sangue, e anche in questo
caso vengono attivati i recettori presenti
nell’endotelio, causandone la
dilatazione. In una situazione di forte
stress negativo o di rabbia si producono
invece ormoni come il cortisolo, che
riducono il rilascio da parte delle
cellule endoteliali di ossido di azoto nel
sangue, che funge da vasodilatatore.
Quindi tutti gli stati d’animo carichi di
queste emozioni possono essere causa di
malattie cardiache. Il perdono dunque è
un vero e proprio balsamo: crea le
condizioni per un approccio positivo
alla vita e permette di recuperare e
conservare una buona salute.

Il perdono e la sindrome da
cuore infranto
La sindrome da cuore infranto (broken
heart syndrome) colpisce soprattutto le
donne e può portare a una temporanea
debolezza del muscolo cardiaco. «Mi ha
spezzato il cuore» non è solo un modo di
dire, ma una vera e propria sindrome
che può manifestarsi anche in chi vive o
ha vissuto una situazione sentimentale
straziante. I sintomi di chi soffre di
questa sindrome sono gli stessi di un
infarto, ma si tratta di un’alterazione
temporanea causata dal rilascio
improvviso di una quantità massiccia di
ormoni catecolaminici, detti “ormoni
dello stress”. Questo repentino
cambiamento fisiologico produce come
uno stordimento temporaneo del
muscolo cardiaco e si manifesta
attraverso sintomi quali dolori al petto,
ridotta abilità del cuore di pompare
sangue, respiro corto e liquido nei
polmoni. Esiste quindi una connessione
tra una vita coniugale stressante e
l’aumento del rischio cardiovascolare.
Attraverso le relazioni si costituiscono
legami molto forti fra le persone e
quando questi sono alimentati da
emozioni forti (forte rabbia, risentimento
o rancore logorante) si hanno
conseguenze sulla salute e
sull’equilibrio psicofisico. La relazione
tra pensieri, emozioni e corpo della
persona è un aspetto fondamentale, di
cui bisogna essere consapevoli. La
sindrome del cuore infranto può
manifestarsi quando il dolore interiore
della persona diventa talmente
insopportabile da essere somatizzato
potentemente a livello fisico. Quante
volte in un litigio uno dei due partner
decide di “subire la situazione in
silenzio” portandosi dentro il dolore e la
rabbia che prova per paura di perdere il
proprio compagno? Certe volte le paure
sono talmente forti da compromettere la
propria salute. Il perdono, compreso e
applicato correttamente, è uno
straordinario mezzo per imparare, oltre
che a gestire le proprie emozioni, a
comprendere come rilasciare ciò che
provoca sofferenza e sperimentare un
nuovo livello di felicità e leggerezza. Le
emozioni perturbatrici come odio,
rancore, risentimento, desiderio di
vendetta, vergogna ecc. rafforzano il
legame con l’altra persona, che diventa
sempre di più l’oggetto della nostra
attenzione. Queste dinamiche emozionali
sono capaci, pian piano, di togliere
serenità, felicità e gioia di vivere, oltre
che minare la salute fisica. Il perdono
libera da questo legame e lo guarisce
dalle emozioni perturbatrici,
permettendo di riconquistare benessere
e felicità. Così come esiste una dieta
alimentare, ne esiste anche una
emozionale e mentale: ci nutriamo di
pensieri ed emozioni che sono
“alimenti” capaci di influenzare e
cambiare anche il nostro corpo. L’odio e
la paura dunque alterano le percezioni
sensoriali e psichiche in misura
evidente, con effetti non dissimili da
quelli causati da sostanze stupefacenti.
Il perdono viene considerato uno
strumento terapeutico di eccezionale
efficacia, perché se usato correttamente
disintossica corpo, mente e spirito,
permettendo di riconquistare fiducia in
se stessi e, se si vuole, ristabilire le
relazioni interrotte.
Tutte le persone che hanno subito un
tradimento, una violenza, un sopruso, un
crimine o un qualsiasi altro abuso, si
trovano, prima o poi ad affrontare il
tema del perdono. Devono interrogarsi
se concederlo o meno; se entrare o meno
nella dinamica attraverso la quale
acquisiranno coscienza di se stessi e
smetteranno di provare risentimento e
odio. Molto spesso ci si rifiuta di
assumersi questa responsabilità, ossia
della responsabilità che ha il potere di
cambiare ciò che si vive. Se si vuole
una buona motivazione per considerare
seriamente questa possibilità si deve
provare a ragionare in questo modo: non
solo se si è subito un sopruso, ma ci si
rovina la vita perché si rimane legati a
ciò che quella violenza ha provocato. Il
perdono può essere concesso a patto che
si dia a se stessi il permesso di tornare a
essere felici e liberi dall’odio.
La psicologia clinica moderna ha
potuto apprezzare nella pratica il potere
terapeutico del perdono: diminuzione di
sentimenti negativi, potente effetto
liberatorio, capacità di trasformare le
emozioni perturbatrici in allegria,
felicità e gioia. Tuttavia sono esistite
delle correnti di pensiero che non hanno
considerato queste potenzialità. Lo
stesso Freud aveva mostrato le sue
riserve e contrarietà quando, ne Il
disagio della civiltà, parla del perdono
come di una pretesa incomprensibile e
dannosa per la salute psichica
dell’individuo, che, in relazione alle
pressioni pulsionali interiori, avrebbe
portato a una rivolta o alla nevrosi1. Il
perdono, secondo certe persone, può
essere efficace e avere senso solo come
prova di sottomissione al più forte, per
calmare la sua aggressività (chiedere
perdono) o come atto di superiorità (ti
perdono perché sono superiore a te e
all’accaduto). In entrambi i casi si tratta
di un ego impaurito o esaltato,
condizione che è lontana dalla
comprensione del perdono che si vuole
esporre in questo libro, nella quale
viene coinvolta tutta la persona: i
sistemi emotivo, cognitivo,
comportamentale, biologico, oltre alla
sfera vitale e all’area più profonda della
coscienza.

La guarigione attraverso il
perdono. Le ragioni
fisiologiche e psicologiche
Quali sono le profonde ragioni
fisiologiche e psicologiche che
dovrebbero spingere una persona a
perdonare? Perché dovremmo scegliere
il perdono anziché la vendetta? C’è un
vantaggio? Un beneficio? Una qualche
convenienza?
Partiamo innanzitutto dall’analisi dei
benefici fisiologici e psicologici che il
perdono induce, per poter convincerci
realmente che la vendetta, anche se
“dolce”, è incapace di procurarci gli
effetti benevoli su salute fisica e mentale
che, invece, produce il perdono. Se
dovessimo considerare un perdono in
relazione a una violenza fisica, a un
assassinio, a una mutilazione o a un
grave trauma subiti, suona difficile e
improbabile cercare di smettere di
provare rabbia, rancore, odio,
risentimento e sostituirli con amore,
pace, gioia e felicità. Addirittura
potrebbe apparire come una
provocazione. Tuttavia, come una parte
della scienza dimostra, il perdono è una
chiave fondamentale per la nostra salute,
sia fisica che mentale.
Vediamo di chiarire in pochi punti
come viene scientificamente accreditato
il perdono.

1. Influenza il sistema
immunitario e quello
cardiovascolare. Lo stress che
deriva dalle emozioni negative
scaturite dall’offesa, agisce sul
sistema immunitario, in
particolar modo sulle citochine,
che sono sostanze simili alle
proteine prodotte in caso di
stress o infezione (Kei-colt-
Glaser et al., 2002). Il perdono
agirebbe sull’attività dell’HPA
(Hypotalamic-Pituitary-
Adrenal) e sulla produzione di
cortisolo, migliorando il sistema
immunitario, sia a livello
cellulare che neuroendocrino, e
quello cardiovascolare
(Sapolsky, 1994; McEwen,
2002). Il perdono riduce lo
stress prodotto dal rancore e
influenza il sistema immunitario
mediante il rilascio di anticorpi,
la cui produzione diminuisce in
caso di stress cronico. Se da un
lato le emozioni negative come
rabbia, rancore, vendetta, odio,
colpa, abbassano il livello delle
nostre difese immunitarie,
dall’altro il perdono, riducendo
l’intensità di queste emozioni e
inducendo impulsi emotivi
positivi, favorisce buoni livelli
di anticorpi. L’ostilità inoltre
agisce negativamente sul sistema
cardiovascolare (Kaplan, 1992;
Williams & Williams, 1993)
mentre il perdono abbassa il
livello di ostilità, influenzando
in modo favorevole la salute,
riducendo i rischi di infarto e
ipertensione.
2. Influenza il sistema nervoso
centrale. Il perdono potrebbe
inibire il testosterone, che
influenza l’aggressività e
stimolare la produzione di
serotonina (il 5-HT è un
neurotrasmettitore che svolge un
ruolo importante nella
regolazione dell’umore, del
sonno, della temperatura
corporea, della sessualità e
dell’appetito) (Mc-Cullough,
2000; McCullough et al., 2001).
3. L’importanza del perdono per
la salute mentale. Gli effetti del
perdono sulla salute mentale si
evidenziano attraverso la
diminuzione del rancore e la
stimolazione di emozioni
positive. Per contro le emozioni
negative attivate e sostenute
mediante la “ruminazione”
mentale (odio, vendetta, rabbia,
paura, colpa, ostilità) incidono
sfavorevolmente sulla salute
mentale. Molto interessanti
risultano gli esperimenti e i
risultati di:
Al-Mabuk et al. (1995) su
un gruppo di studenti che
hanno perdonato i genitori
per la carenza di affetto.
Tutti i partecipanti, alla
fine dell’esperimento,
presentavano un
incremento di autostima e
una diminuzione di ansia e
depressione.
Freedman & Enright
(1996) sulle donne vittime
di incesto. Lo scopo
dell’esperimento era
anche quello di arrivare a
perdonare il carnefice.
Dopo la sperimentazione
durata 14 mesi i risultati
hanno evidenziato come il
perdono sia stato in grado
di abbassare i livelli di
ansia e depressione e
aumentare i livelli di
speranza ed emozioni
positive.
Spiers (2004) ha
applicato gli studi relativi
al perdono-rancore e alla
malattia mentale su 134
vittime di violazioni ai
diritti umani, per conto
della Commissione
Sudafricana per la Verità
e la Riconciliazione.
Della totalità delle
persone il 63%
presentava una diagnosi
psichiatrica e il 42% il
disturbo post-traumatico
da stress. Nella
sperimentazione si arriva
alla conclusione che i
pazienti con i più bassi
punteggi di perdono sono
soggetti a un livello più
alto di problemi
psichiatrici.

In relazione a queste evidenze


empiriche possiamo affermare che il
perdono porta a una riduzione dell’ansia
e della depressione e a un
miglioramento della salute fisica e
mentale, agendo sulla qualità delle
emozioni: produce effetti benefici
attraverso lo sviluppo di sentimenti
positivi che influenzano lo stato di
salute.
Esistono ragioni razionali,
emozionali, religiose, spirituali ed
esistenziali per scegliere e decidere di
perdonare. Worthington (2006) distingue
due tipologie principali: il perdono
decisionale e quello emozionale.

Le caratteristiche principali del


perdono decisionale sono:
è una decisione basata su una
analisi razionale;
è frutto della volontà;
fornisce un nuovo significato alla
situazione;
modifica il comportamento;
promuove la riconciliazione;
contribuisce a regolare l’aspetto
emozionale;
è finalizzato a controllare il
comportamento.

Le caratteristiche principali del


perdono emozionale sono:
sostituzione di emozioni negative
con emozioni positive;
comporta un cambiamento nello
stato emotivo mentale e
motivazionale;
promuove la riconciliazione;
modifica la percezione
dell’ingiustizia subita e il bisogno
di giustizia.

Sia il perdono decisionale che quello


emozionale potrebbero verificarsi
indipendentemente l’uno dall’altro. In
entrambi i casi però l’aspetto
emozionale entra in gioco e viene
coinvolto direttamente o indirettamente.
Perché il perdono è così strettamente
interconnesso con le emozioni? La
parola emozione deriva dal latino
emotio, che a sua volte trova radice nel
verbo movere, mettere in movimento. Le
emozioni sono delle cariche energetiche
che producono movimento in molti piani
di azione, tra cui quello fisiologico
(metabolismo, modificazioni
fisiologiche, respirazione, battito
cardiaco, pressione, circolazione,
secrezione ecc.); quello cognitivo
(modificazione di pensieri, impressioni,
valutazioni ecc.); quello psicologico
(controllo di sé, abilità personali,
sensazione soggettiva ecc.); quello
comportamentale (espressioni, tono
della voce, postura, reazioni ecc.). A
questo proposito è importante riferirsi al
concetto di intelligenza emotiva,
elaborato nel 1990 ad opera di Peter
Salovey e John Mayer. Questi studiosi
definirono l’intelligenza emotiva come
«la capacità di monitorare e dominare le
emozioni proprie e altrui e di usarle per
guidare il pensiero e l’azione». In questo
contesto le emozioni sono considerate
come qualcosa di intelligente. Nel 1996
Goleman sviluppa il concetto di
intelligenza emotiva e la definisce
attraverso cinque aspetti:

a. Consapevolezza emotiva: è la
capacità di riconoscere le
proprie emozioni attraverso una
forma di attenzione non reattiva
e non critica verso i propri stati
interiori, che permette un
innalzamento nel livello di
autoconsapevolezza e di dialogo
interiore. Questo aumento di
autoconsapevolezza permette di
non reprimere i propri vissuti
emotivi ma di gestirli
efficacemente. La
consapevolezza emotiva si basa
su:
capacità di riconoscere e
identificare le proprie
emozioni nelle situazioni;
capacità di comprendere
le cause delle proprie
emozioni;
capacità di riconoscere i
segnali fisiologici che
indicano il manifestarsi di
un’emozione.

b. Controllo emotivo: è la
capacità di manifestare e
regolare le proprie emozioni sia
internamente che esternamente,
sia nella durata che
nell’intensità. Questo permette
di non lasciarsi fagocitare dai
vissuti, ma di essere capaci di
distinguere consapevolmente le
emozioni dalle azioni e di non
lasciare che le prime possano
influenzare compulsivamente le
seconde. Questo permette più
concentrazione, riflessione,
analisi delle risorse, visione
d’insieme, capacità di
pianificazione ecc. Il controllo
emotivo si basa su:
controllo delle emozioni;
controllo degli impulsi e
delle compulsioni derivati
dalle emozioni;
controllo delle reazioni
aggressive e compulsive
verso gli altri e verso se
stessi.

c. Capacità motivazionale: è la
capacità di orientare
positivamente le proprie
emozioni, sviluppando
ottimismo e spirito di iniziativa.
La capacità di sapersi motivare
attraverso la gestione
consapevole delle proprie
emozioni risulta fondamentale
per reagire alle difficoltà e
sviluppare perseveranza e
atteggiamento ottimistico. La
capacità motivazionale si
manifesta attraverso:
saper dirigere le proprie
emozioni positive verso il
conseguimento di un
obiettivo;
saper armonizzare e
rivitalizzare le proprie
emozioni;
capacità di reagire
positivamente, attraverso
l’ottimismo e lo spirito di
iniziativa, ai fallimenti e
alla frustrazione.

d. Gestione efficace delle


relazioni: questo aspetto
comprende l’abilità di gestire
efficacemente i conflitti, la
capacità di comunicare
efficacemente e di rimuovere gli
ostacoli, di negoziare e di
conciliare. La gestione efficace
delle relazioni interpersonali
diviene fondamentale per
armonizzare la vita di coppia e
quella con gli altri e si manifesta
attraverso:
la capacità di saper
comunicare efficacemente
con se stessi e con gli
altri;
la capacità di gestire i
conflitti;
la capacità di arrivare
alla risoluzione delle
situazioni.

e. Empatia: ossia la capacità di


immedesimarsi e di entrare in
assonanza con gli stati d’animo,
con i pensieri e con i vissuti
delle altre persone. Questo
contatto così profondo avviene
mediante l’ascolto e la
comprensione dei segnali
emozionali, la capacità di
cambiare punto di vista e
assumere la prospettiva
dell’altro e riuscire a
condividere ed esplorare i
sentimenti altrui, possibilmente
senza giudizio. L’empatia
diviene fondamentale nei
processi avanzati di perdono,
quando il cambio di prospettiva
diventa essenziale per cambiare
contesto, andare oltre la
cristallizzazione del proprio
punto di vista e comprendere le
motivazioni altrui. L’empatia è
strettamente collegata con
l’assertività, cioè con la
capacità di essere sicuri di sé,
fermi nelle proprie decisioni ma
al contempo aperti al confronto.
L’empatia permette
all’individuo assertivo di
comprendere anche le posizioni
altrui e di abbassare il livello di
conflittualità. L’empatia si basa
su:
l’abilità di riconoscere gli
stati emozionali altrui;
la capacità di assumere la
prospettiva altrui;
una grande sensibilità
emozionale;
la capacità di
comprendere le dinamiche
emozionali, mentali e
comportamentali altrui.

L’intelligenza emotiva gioca un ruolo


fondamentale nella concezione olistica
del perdono, perché permette di ottenere
una prospettiva più distaccata dalle forti
dinamiche emozionali che si possono
presentare, non rimanendo coinvolti
compulsivamente, ma riuscendo a
mantenere il giusto distacco e livello di
autoconsapevolezza. Più è sviluppata
l’intelligenza emotiva più la persona è
capace di sperimentare livelli profondi
di perdono, riuscendo ad accedere a
esperienze di compassione e a livelli di
consapevolezze sempre più elevati.
D’altro canto è vero anche il contrario,
ossia che la pratica del perdono
sviluppa e potenzia l’intelligenza
emotiva.
È importante considerare anche
l’altro aspetto nel processo del perdono,
che non coinvolge chi deve perdonare,
ma chi dovrebbe chiedere perdono.
Nella tecnica avanzata del perdono
proposta in questo libro, si trova infatti,
nello stesso processo, sia l’atto di
perdonare che quello di chiedere
perdono per le proprie mancanze,
accedendo a una visione più ampia dei
processi personali e interrelazionali.
Quali sono dunque i benefici e
l’importanza di chiedere il perdono?
Seguendo gli studi di Monbourquette
& D’Aspremont (2008) tra i principali
benefìci connessi al perdono troviamo:

l’effetto liberatorio. Tale effetto


si ottiene anche quando si concede
realmente il perdono. Riconoscere
i propri errori influenza
profondamente tutti gli aspetti del
nostro essere (fisico, vitale,
emozionale, mentale e spirituale).
Il peso dell’errore può infatti
causare stress, colpa, chiusura,
rigidità e altre emozioni negative
capaci di indebolire il sistema
immunitario.
La crescita personale e
spirituale. Chiedere sinceramente
perdono sviluppa l’umiltà,
l’apertura, la pace, l’armonia, la
compassione, la gratitudine, la
riconciliazione e per questo è una
forte spinta per l’evoluzione
psicologica e spirituale
dell’individuo.
Il miglioramento delle relazioni.
Il perdono incrementa la capacità
di comunicazione, l’empatia,
accorcia la distanza affettiva,
elimina i risentimenti accumulati,
permette di gestire la conflittualità
e lo stress generato dalla tensione
e dalla chiusura. Le relazioni
interpersonali che più traggono
benefici dal perdono sono quelle
intime relative alla coppia e alla
famiglia, soprattutto quando è un
genitore a chiedere il perdono, ad
esempio per eccessiva severità o
rigidità. La richiesta di perdono in
quest’ultimo esempio migliora la
tendenza alla riconciliazione,
all’accettazione dei limiti altrui e
al rispetto.
Effetto sociale. Perdonare
migliora la società soprattutto se
ad aver metabolizzato il processo
e le dinamiche del perdono sono
gli educatori e le figure di potere.
Queste persone, essendo modelli
di riferimento e insegnanti (da
“in-segnare”, segnare dentro),
possono essere efficaci veicoli di
trasmissione di valori positivi,
quali: il rispetto per gli altri e per
se stessi, la compassione,
l’empatia, la gestione dello stress,
la gestione e la risoluzione dei
conflitti, la pace e l’armonia
sociale.
Per chiedere perdono è necessario
che coesistano molteplici dimensioni
nell’individuo; le principali sono:

l’empatia con la vittima;


la capacità di cambiare
prospettiva e mettersi nei panni
della vittima;
un senso etico e morale;
il senso di colpa o il pentimento;
le azioni riparatrici: la
confessione, l’offerta di
indennizzo e le scuse.

Nel chiedere perdono però è


necessario usare il buonsenso sia nelle
scelte delle modalità e che nella
tempistica. Un perdono affrettato, non
sempre può avere effetti benefici.
A questo proposito, Monbourquette &
d’Aspremont (2008) indicano un elenco
di false richieste di perdono:

la richiesta di perdono non


genuina: la richiesta è
superficiale, senza una intenzione
di fondo reale, motivata dalla
fretta di chiudere il conflitto. In
questo caso si chiede perdono o
per l’incapacità di gestire il
conflitto o perché non si vuole
affrontare l’argomento.
La richiesta di perdono
insidiosa: nasconde un’accusa
velata e ha intenzioni punitive e
non formative e autentiche.
Normalmente genera rabbia
nell’offeso perché si sente
accusato: «Perdonami, ma se tu
non ti fossi comportato così...».
La richiesta di perdono come
falsa cortesia: le formule di
cortesia e di buone maniere a
volte utilizzano la richiesta di
perdono superficialmente,
privandolo della sua profondità e
importanza. «Mi perdoni, non
volevo...».
La richiesta di perdono per
danni non intenzionali: si
verifica nei casi in cui venga
chiesto perdono per mancanze
involontarie o per aver suscitato
emozioni negative non
intenzionalmente. Assumersi
falsamente la responsabilità
dell’accaduto può essere
superfluo.
La richiesta di perdono come
ricatto: il perdono diventa una
pretesa che il carnefice attua sulla
vittima, esigendo di essere
liberato dal suo senso di colpa. In
realtà l’offeso dovrebbe essere
lasciato completamente libero di
offrire o meno il proprio perdono.
La richiesta di perdono
compulsiva: ripetuta più volte, è
sorretta dalla credenza che
l’umiliazione personale porti alla
risoluzione del conflitto. Oppure,
nel caso opposto, è addirittura
l’offeso che chiede
compulsivamente perdono al
carnefice essendo incapace di
esprimere la propria rabbia e
quindi indirizzandola verso se
stesso.
La richiesta di perdono
attraverso la denigrazione di se
stessi: con questo genere di
richiesta di perdono il carnefice
perde la propria dignità e cerca di
impietosire la vittima,
manipolandola e facendola sentire
in colpa nel caso non concedesse
il perdono.
La richiesta di perdono per
conto terzi: il perdono viene
chiesto da un ambasciatore o da
un sostituto, senza che il diretto
interessato si assuma fino in fondo
la responsabilità di ciò che ha
compiuto.

L’assunzione della responsabilità è un


fattore fondamentale sia nella richiesta
di perdono che nella concessione di
perdono: la vittima e il persecutore
devono prendere coscienza del fatto che
entrambi sono causa di ciò hanno vissuto
e delle azioni che hanno commesso. La
responsabilità è un concetto chiave nel
processo del perdono, perché permette
alla persona di dare un nuovo significato
alla situazione vissuta e consente di
ridefinire l’identità individuale. In
questo senso, nelle tecniche proposte in
questo volume è stato necessariamente
messo l’accento sul concetto di locus of
control, ossia il luogo di controllo dal
quale si gestisce il processo di perdono,
sia che esso sia vissuto dalla vittima che
dall’offensore. Il locus of control, così
come lo definisce Rotter (1954), illustra
in che modo le persone rappresentano il
modo di controllare la situazione che
vivono. Le persone definite “interne”
(con un locus of control interno)
pensano che ciò che succede loro
dipende dal loro impegno e dalla loro
responsabilità, mentre le persone con un
locus of control esterno attribuiscono la
responsabilità a elementi esterni.
Dunque gli “interni” risultano più
facilmente motivati e necessitano di
minori controlli esterni poiché sono
convinti che la loro azione influenzi il
risultato finale (Rotter, 1954). Un locus
of control interno è fondamentale così
come è decisiva la percezione che la
risoluzione degli avvenimenti avvenga e
dipenda da se stessi, dalle proprie
capacità di comunicazione, di gestione
del conflitto e delle emozioni, dalla
capacità di rilasciare emozioni negative,
dall’intelligenza emotiva ecc.
Le persone che possiedono uno stile
di coping2 efficace rispetto al perdono e
si adoperano per dominare il proprio
ambiente non attribuiscono ad altri la
colpa dei propri fallimenti e perciò sono
caratterizzati da un locus of control
interno; mentre coloro che si ritengono
incapaci di reagire spesso attribuiscono
ad altri la colpa dei propri fallimenti
nella vita (locus of control esterno). Il
primo passo fondamentale consiste
nell’interiorizzazione del locus of
control, ossia nello spostarlo al proprio
interno, focalizzandosi su ciò che si
sente, si prova e si fa. Se la vittima o
l’aggressore vive un senso di impotenza
per non poter cambiare la situazione
esternamente, focalizzando la propria
attenzione sui processi interni
(percezioni, emozioni, sensazioni,
pensieri, impulsi, compulsioni) si
renderà conto che il potere di cambiare
il proprio sistema percettivo e cognitivo
è molto più incisivo rispetto al tentativo
di cambiare l’esterno. Il lavoro su se
stessi diviene il punto focale per poter
ottenere un profondo stato di centratura e
poter poi affrontare la situazione esterna
con più chiarezza, visione d’insieme,
capacità di analizzare le risorse e
serenità. Il processo del perdono in una
concezione olistica non è limitato
all’aspetto terapeutico e nemmeno solo a
quello spirituale, ma arriva, nelle sue
forme più raffinate, a toccare gli aspetti
della coscienza relativi alle
consapevolezze più elevate concesse
alla coscienza umana. Se l’esigenza di
perdono inizia con la necessità di
liberarsi dalla sofferenza, in qualunque
forma essa si espliciti, durante il
processo permette la manifestazione
della guarigione (a livello fisico, vitale,
emozionale, mentale e spirituale) in
maniera più o meno profonda, secondo i
casi. Tuttavia il significato più autentico
e profondo del perdono trascende la
dimensione terapeutica e spirituale, e si
esprime a un livello superiore, dove
l’individuo, attraverso una
consapevolezza più profonda, arriva a
realizzare se stesso come coscienza, al
di là della polarità vittima-carnefice e
della necessità di guarire. Per questo
possiamo definire il perdono come un
vero e proprio processo di
autorealizzazione che parte da necessità
egoiche per arrivare a produrre una
reale espansione della coscienza, e che
crea i presupposti per maturare una
visione olistica di ciò che viene definito
e percepito come realtà.
Capitolo 2

Le 14 principali
emozioni legate al
processo del perdono

sistono 14 principali stati


E emozionali legati al perdono; 7 di
essi vengono definiti negativi e 7
positivi. La moltitudine di emozioni che
possono essere generate nella
percezione di un’offesa possono dare
vita a una serie infinita di
comportamenti. Nella sua fase iniziale il
processo del perdono serve per
trasformare le emozioni negative in
positive, attraverso l’elaborazione e il
rilascio. Tuttavia nella fase più evoluta
il senso del perdono è trascendere il
piano emozionale e portare la persona in
una dimensione più elevata di unione. Le
emozioni, essendo a volte delle forti
cariche energetiche, hanno una profonda
ripercussione su molti aspetti del nostro
essere. Diviene necessario, soprattutto
per chi si avventura per la prima volta
nel percorso del perdono, essere sempre
più consapevoli di ciò che si prova e di
come lo si prova. Le cariche emozionali,
se utilizzate consapevolmente, diventano
delle preziose alleate, capaci di
permettere l’accesso ad aree sempre più
elevate della nostra coscienza.
Il processo del perdono, rispetto alla
sfera emozionale, produce degli effetti
che può essere utile identificare per
comprendere al meglio la propria “dieta
emozionale”. Di seguito vediamo i
principali:

permette di assumere
consapevolezza della qualità e
quantità di emozioni perturbatrici
presenti rispetto all’evento o alla
persona che si vuole perdonare.
Permette il distacco da tali
emozioni.
Libera dai vissuti traumatici e
carichi di dolore.
Consente la trasformazione delle
emozioni perturbatrici in emozioni
più armoniose come empatia,
simpatia, compassione, fino ad
arrivare alla gratitudine e
all’amore incondizionato.
Sviluppa intelligenza emotiva.
Rende consapevoli le dinamiche
emozionali personali e
relazionali.
Rende consapevoli della propria
responsabilità nella qualità delle
personali emozioni.
Permette infine di trascendere il
piano emozionale e di
identificarsi con la coscienza che
origina le emozioni ed è
responsabile della loro qualità e
della loro trasformazione.

Nello schema sottostante sono


sintetizzate le 7 emozioni negative e le 7
emozioni positive. Passeremo poi a
descrivere brevemente ognuna di esse.

Negative Positive
Rancore Speranza
Rabbia Umiltà
Odio Empatia
Risentimento Simpatia
Amarezza Compassione
Ostilità Amore
Paura Gratutidine

Rancore
Il termine rancore deriva dal latino
rancor, che indica una richiesta
lamentosa, e dal verbo rancere, riferito
al cibo avariato con un odore
caratteristico e un sapore disgustoso. È
definito come «risentimento, avversione
profonda, tenacemente covata
nell’animo in seguito a un’offesa
ricevuta» (Devoto & Oli, 2002).
L’origine del rancore è da ricercare
nella percezione soggettiva di aver
subito un’offesa o un’ingiustizia, che
produrrà emozioni come paura,
depressione o ansia se prevale la
percezione dolorosa dell’evento, mentre
si manifesteranno rabbia e odio nel caso
prevalga la percezione del torto. Se
queste emozioni si intensificano nel
tempo, creando pensieri ossessivi e
ruminazione mentale (cioè la riflessione
continua e ossessiva su un episodio
particolare, anche lontano nel tempo, sul
proprio stato e sulla possibilità di
rivalersi) fino ad arrivare al
manifestarsi di un aspetto patologico,
allora prende forma il rancore. Il
rancore risulta essere la somma di più
emozioni primarie mescolate fra loro,
come risentimento, odio, paura, rabbia,
colpa inespressa, umiliazione, vergogna.
Queste emozioni sono permanenti nel
tempo e frutto di una riflessione continua
rispetto all’accadimento che le ha
generate. Una delle due parole chiave
che definiscono il rancore è proprio la
sua durata nel tempo, perché rispetto ad
altre emozioni come la rabbia o il
risentimento, esso “cova” nella mente
della persona e si alimenta
costantemente. La seconda parola chiave
è ruminazione mentale che provoca il
riaffiorare involontario di pensieri,
ricordi, emozioni, sentimenti,
impressioni legati all’accadimento che
le ha generate. L’origine della
ruminazione può essere ricercata nella
necessità dell’individuo di riorganizzare
il vissuto per poterlo metabolizzare
correttamente.

Rabbia
È un’emozione che si esprime su livelli
di intensità differenti e incide
profondamente su di sé e sulle relazioni.
La rabbia ha origine da un innato istinto
e dalla tendenza biologica a difendersi
quando si è attaccati o quando si
percepisce un’offesa. Normalmente
scaturisce dal senso di costrizione o
dalla frustrazione. Possiamo anche
distinguere una rabbia primaria, che
sorge per rimuovere rapidamente la
causa della frustrazione o della
costrizione che si prova, rispetto alla
rabbia secondaria, che viene invece
utilizzata per rimuovere altre emozioni
spiacevoli che sono sorte, come la paura
o il senso di impotenza: in questo caso,
in seguito a uno spavento subito, la
persona si arrabbia con la persona che
l’ha spaventata per rimuovere dalla
consapevolezza il senso di vulnerabilità.
Quando si prova rabbia, dal punto di
vista psicofisiologico si verifica una
forte attivazione del sistema nervoso
autonomo simpatico con conseguente
aumento della pressione arteriosa, della
tensione muscolare, della sudorazione,
l’accelerazione del battito cardiaco,
accompagnate da emozioni quali la
paura di perdere il controllo, l’ansia,
maggiore calore, irrigidimento ecc.

Odio
Allport (1954) lo descrive come
un’emozione di estrema avversione che
presenta impulsi aggressivi. L’odio può
essere legato a fattori razionali, ad
esempio sorge contro qualcuno che ci ha
offeso, o a fattori irrazionali, come il
pregiudizio. Secondo Beck (1999)
l’odio viene definito dalla credenza che
esista una fonte stabile di minaccia in
una persona o in un avvenimento: «La
persistenza di un senso di minaccia e
l’immagine fissa di una persona che
agisce con malizia porta al sentimento
dell’odio». Stemberg (2005) concepisce
l’odio come il risultato di tre fattori: la
negazione dell’intimità (che crea
emozioni come disgusto, desiderio di
distanza e repulsione), il fattore
passionale (caratterizzato da attacco o
fuga e da emozioni come rabbia e
paura), il fattore cognitivo-decisionale
(svalutazione dell’oggetto che causa
odio attraverso giudizi negativi o
denigrazione). Stemberg definisce sette
tipi differenti di odio, che si manifesta
quando sono presenti questi stati
d’animo:
disgusto;
rabbia o paura;
svalutazione;
rabbia-paura e disgusto;
ricerca di distanza e svalutazione;
paura-rabbia e svalutazione, e
genera l’ingiuria;
rabbia-paura, disgusto e
svalutazione.

Risentimento
È definito come: «Un atteggiamento di
avversione o animosità verso qualcuno
per un’offesa o un affronto ricevuto»
(Devoto & Oli, 2002). A differenza del
rancore non presenta né la stessa durata
né la stessa profondità. Il risentimento è
una rabbia sorda associata al senso di
impotenza (Worthington, 2002) che può
anche essere reiterata a livello mentale
senza trovare una soluzione.

Amarezza
È un senso di asprezza negativa
associato al cinismo. Originata dal
giudizio negativo rispetto a qualcosa o
qualcuno o dalla delusione
(disillusione) di aspettative che creano
sofferenza e dolore. La radice di questa
emozione va ricercata nella delusione di
un’aspettativa o di un desiderio
profondo che non corrisponde agli
accadimenti esterni. L’amarezza
richiama il canale sensoriale del gusto
proprio perché indica un “sapore
emozionale” amaro e inaspettato: è il
prodotto del giudizio negativo rispetto a
qualcosa o qualcuno che crea un misto
di dispiacere, tristezza, disapprovazione
e contrarietà.

Ostilità
È un atteggiamento negativo verso
qualcosa o qualcuno che combina
rabbia, risentimento, disprezzo e
disgusto. Normalmente una persona
ostile si aspetta un’aggressione esterna o
quantomeno una frustrazione
dall’esterno. Se un’offesa viene recepita
e percepita dalla persona che la riceve
come un avvenimento che può ripetersi
altre volte, allora la tendenza sarà quella
di creare un atteggiamento ostile verso
l’offensore, che verrà considerato una
minaccia.

Paura
Esistono due tipologie di paura: quella
immotivata e quella motivata. Provare
paura per un pericolo reale, come ad
esempio attraversare col semaforo
rosso, è una paura motivata; mentre aver
paura che un elefante entri nella mia
casa – se mi trovo a Milano – è una
paura immotivata. La paura motivata è
funzionale alla sopravvivenza, è una
risposta attiva legata all’istinto di
sopravvivenza, dalla quale scaturiscono
reazioni di fuga, evitamento (cioè la
strategia difensiva che permette alla
persona di non entrare in contatto con
ciò che le induce ansia), allarme o
immobilità. La paura si può distinguere
anche in innata e appresa. La paura
innata è quella che deriva da forti
stimoli fisici, come un grande rumore o
un dolore, o da un qualcosa di
sconosciuto, da situazioni di pericolo
per la sopravvivenza, da altezza, buio,
abbandono, estranei, animali particolari
ecc. Le paure apprese sono invece
quelle che derivano dall’esperienza
diretta di situazioni, persone o cose che
si sono rivelate spiacevoli o dolorose.
La paura intensa può portare fino al
panico o alla fobia, mentre le forme più
leggere possono essere associate alla
preoccupazione o all’ansia. Una paura
violenta può attivare il sistema nervoso
autonomo parasimpatico e produrre
abbassamento della pressione,
abbassamento della temperatura,
diminuzione del battito cardiaco,
sudorazione, dilatazione della pupilla e
paralisi. Probabilmente questa reazione
è atta a proteggere l’individuo da
eventuali aggressioni dovute al suo
movimento o al suo tentativo di fuga e
perciò l’organismo tenta di
immobilizzarsi. Attacchi di paura più
leggeri possono invece attivare il
sistema nervoso simpatico, producendo
una reazione opposta alla precedente:
aumento dell’afflusso sanguigno, del
battito cardiaco e della tensione
muscolare, per preparare il corso
all’azione, sia che si tratti di fuga che di
aggressione.

Empatia
Il termine empatia deriva da greco ed è
composto da en e pàthos, ossia “in
affetto”. Era la parola usata (empatheia)
per indicare il legame emozionale tra il
cantore e il suo pubblico. L’empatia
consiste in un sentire profondo in cui si
riesce a percepire ciò che l’altro sta
provando, avendone una comprensione
completa. La percezione legata a questo
“sentire profondamente e intimamente”
l’altro implica, nel senso comune,
compartecipazione emozionale. Husserl
(1932) la definisce «una comunicazione
intensa e non verbale tra due individui
che riescono a comprendersi perché
riescono a sentirsi emotivamente»; per
Giusti e Locatelli (2000) consiste nello
«sperimentare attivamente il modo in cui
un’altra persona vive un’esperienza».
C’é anche chi la contestualizza in una
cornice terapeutica come Rogers (1951)
e Kohut (1959), considerandola una
fondamentale modalità per entrare
intimamente a contatto con il mondo del
paziente senza giudizio e creare così le
condizioni adatte per il suo processo di
analisi e realizzazione. L’empatia è la
capacità che permette di comprendere
gli stati emozionali e psicologici degli
altri e che può anche coinvolgere aspetti
come la comunicazione non verbale,
l’imitazione di gesti, della postura, delle
espressioni facciali, oltre all’esperienza
affettiva di condivisione: sintonizzarsi e
comprendere il mondo interiore
dell’altro, come estensione di se stessi e
dare un senso a ciò che sente e alla sua
prospettiva. L’empatia diviene dunque di
fondamentale importanza nel processo
del perdono perché facilita il cambio di
prospettiva e l’assunzione del punto di
vista dell’altro, e induce a
comprenderne più a fondo le
motivazioni, fino a giungere alla
consapevolezza che l’altro è
semplicemente un riflesso di sé. Se si
volesse stabilire un ponte tra scienza e
coscienza allora potremmo considerare
l’essere umano come una coscienza che
sperimenta i vari aspetti dell’esistenza
attraverso un corpo fisico, un’energia
vitale, la sfera emozionale, quella
mentale e quella spirituale; allora
l’empatia diver-rebbe l’espressione
della capacità di espansione di questa
coscienza, che supera i limiti apparenti
di divisione con il mondo esterno e lo
compenetra, sperimentandolo come un
riflesso di sé. L’empatia sarebbe dunque
un precursore dei raffinati stati di unione
descritti dalle principali correnti
filosofiche e spirituali, tra cui la cultura
indovedica: il samadhi ad esempio
viene descritto come uno stato di
coscienza dove colui che percepisce e
l’oggetto di percezione si fondono in
un’unica realtà percettiva e cognitiva.
Questo fenomeno percettivo, a cui viene
attribuito un significato mistico, altro
non è che la prosecuzione e l’evoluzione
dell’esperienza intuitiva e sottile
dell’empatia. Il perdono diventa in
questo contesto un ponte tra le due
polarità opposte vittima-carnefice,
portando nella sua fase più elevata al
superamento della frattura percettiva
polare e riunificando l’esperienza
cognitiva al di là di un percettore e un
percepito, in un campo di
sperimentazione impersonale,
trascendentale e unitario. Una volta fatta
questa esperienza colui che perdona
accede alla consapevolezza che la
coscienza esiste al di là del piano in cui
si svolge il conflitto.
Simpatia
Consiste nel provare emozioni positive
verso l’altra persona. È un “sentirsi
insieme all’altro”, coinvolti direttamente
nel desiderio e nella preoccupazione per
il suo benessere.
In questo trasporto verso l’altro
consiste proprio la differenza con
l’empatia, dove invece il sentire le
emozioni dell’altro potrebbe essere fatto
con distacco o addirittura con intenzioni
manipolative.

Speranza
La speranza è un’emozione legata alle
aspettative personali di successo o di un
risultato positivo. È un elemento
importante nel processo del perdono
perché offre una motivazione, anche se a
volte non manifesta, al miglioramento
della relazione tra vittima e carnefice.
Una persona può essere spinta al
perdono dalla speranza di risolvere un
conflitto, di migliorare la relazione, di
liberarsi dal dolore, di guarire da ciò
che viene percepito come uno squilibrio
fisico, vitale, emozionale, mentale o
spirituale, e quindi risulta essere un
potente agente motivazionale. La
speranza può essere rivolta anche a se
stessi e alle proprie capacità di superare
i conflitti e il dolore.

Umiltà
L’umiltà consiste nel considerare se
stessi in relazione a una scala di
grandezza infinitamente superiore, come
ad esempio l’universo. Questa
prospettiva è capace di collocarci in una
dimensione ridefinita e più sobria. In
tale dimensione equilibrata è possibile
riconoscere i propri limiti e quelli
altrui. L’umiltà non dev’essere confusa
con l’umiliazione di se stessi o con la
bassa autostima, al contrario è una virtù
che permette di esprimere in maniera
integra il proprio ruolo. L’umiltà facilita
il processo del perdono perché permette
di affrontare il proprio cambiamento e
non avere la presunzione di non dover
cambiare, tralasciando di contattare i
propri limiti, le incertezze e le
debolezze. L’umiltà è utile soprattutto
per verificare se anche noi, nel passato,
ci siamo comportati da carnefici, magari
in una situazione simile, causando
sofferenza e offesa a terze persone.
Riconoscere questo comportamento, può
aiutarci ad abbandonare la presunzione
di superiorità, orgoglio e giudizio nei
confronti di chi ci ha offeso. L’umiltà
avvicina agli altri e agisce da livella
alla vanagloria e alle pretese egoiche.

Compassione
Dal latino cum patior ossia essere con
l’altro nel sentire. È senza ombra di
dubbio una emozione che si manifesta
nell’individuo evoluto, capace di
affrontare e superare i conflitti e
relazionarsi attraverso un piano
superiore di consapevolezza. Vivere
con-passione il sentire altrui permette un
incontro intimo focalizzato non tanto in
ciò che si sente ma nel sentirlo insieme.
È infatti in questa intima comunione il
senso della compassione, che permette
di sviluppare ancora più profondamente
la propria identità. Se svincoliamo il
concetto di compassione da logiche di
sofferenza, di pena e dal “patire con” e
lo sviluppiamo invece in un contesto
privo di sofferenza e consapevole,
allora questo ci apparirà come una
espressione dell’amore incondizionato,
non vincolata a dinamiche di
convenienza né di dolore. Emozioni
positive e superiori, come la
compassione, facilitano il processo del
perdono (Gilbert, 2005) e possono
essere una sua conseguenza.

Amore incondizionato
È un’emozione superiore, espressa da
individui evoluti, che sono capaci di
manifestare le relazioni con se stessi e
con gli altri in un contesto privo di
logiche di convenienza, ma incentrato
sul benessere supremo e incondizionato
dell’altra persona. Un sentimento di
questo tipo non ha una funzione
secondaria o nascosta, come ad esempio
garantirsi la presenza, la protezione e la
vicinanza dell’altro o evitare
l’abbandono e il rifiuto, come altre
forme di amore più egoistiche. Il
perdono è essenzialmente un cammino
altruistico, perché porta alla
consapevolezza che non vi è separazione
né differenza tra la natura propria e
quella dell’altro; il perdono, quando
vissuto fino in fondo, permette di
concepire e sperimentare l’altro come
un riflesso di sé. Più la coscienza si
espande, inglobando in sé gli altri e il
mondo intero, e più l’individuo
comprende che le necessità, i bisogni e
il benessere altrui sono le sue necessità,
il suo benessere e i suoi bisogni. Questa
espansione della coscienza consente di
superare la percezione limitata di un sé
relegato e costretto nei limiti fisici del
corpo. Il perdono è una scelta di non
violenza e un cammino di pace prima di
tutto verso se stessi, poi verso gli altri e
il mondo.
Gratitudine
Al di là di essere un sentimento di
affetto e di riconoscenza per qualcosa
che abbiamo ricevuto, la gratitudine è, in
ultima analisi, riconoscere
consapevolmente di esistere, e
riconoscere che essere consapevoli di
esistere provoca felicità.
Come sentimento complesso richiede
sensibilità, empatia e consapevolezza da
parte di chi riceve o ha qualcosa. Si può
infatti essere grati per qualcosa che già è
in nostro possesso, riconoscendo il
privilegio di cui si gode. La gratitudine
normalmente si sviluppa quando colui
che ha ricevuto riconosce il fatto che il
dono è stato dato senza finalità
egoistiche, logiche di convenienza né
motivazioni utilitaristiche. Nelle
dinamiche del processo del perdono la
gratitudine ha un ruolo fondamentale e
può manifestarsi in diversi livelli:
la vittima prova gratitudine verso
il carnefice se questo cerca di
riparare il torto e ammette
l’errore;
il carnefice prova gratitudine per
la vittima se questa si dimostra
disposta alla comprensione;
la vittima riesce ad assumere la
prospettiva del carnefice e
ammette di aver provato
gratitudine quando ha a sua volta
ricevuto perdono;
la vittima prova gratitudine per il
carnefice in quanto riesce a
trasformare l’offesa in una sfida o
in una opportunità per sviluppare
maggiori virtù, autocontrollo e
centratura;
la vittima prova gratitudine verso
il carnefice perché diviene
consapevole che l’esperienza che
sta vivendo è un mezzo per
evolversi, conoscere e realizzare
se stessa.

Nei vari livelli, gradualmente, si


ascende a un grado maggiore di
consapevolezza e si entra in un’area
nella quale si manifestano virtù
incondizionate: a prescindere
dall’avvenimento esteriore l’individuo
riesce a provare gratitudine e a rimanere
in una condizione di felicità e pienezza.
Così metabolizzata la gratitudine, ci si
avvicina molto al concetto di “letizia”
espresso e praticato da San Francesco:
«E così andando per diversi chilometri
quando, con grande ammirazione frate
Leone domandò: “Padre ti prego per
l’amor di Dio, dimmi dov’è la perfetta
letizia”. E san Francesco rispose:
“Quando saremo arrivati a Santa Maria
degli Angeli e saremo bagnati per la
pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi
per il fango e affamati per il lungo
viaggio, busseremo alla porta del
convento. E il frate portinaio chiederà:
‘Chi siete voi?’ E noi risponderemo:
‘Siamo due dei vostri frati’. E lui non
riconoscendoci, dirà che siamo due
impostori, gente che ruba l’elemosina ai
poveri; non ci aprirà lasciandoci fuori al
freddo della neve, alla pioggia e alla
fame mentre si fa notte. Allora se noi a
tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo
con pazienza e umiltà senza parlar male
del nostro confratello, anzi penseremo
che egli ci conosca ma che il Signore
vuole tutto questo per metterci alla
prova, allora frate Leone scrivi che
questa è perfetta letizia. E se noi perché
afflitti, continueremo a bussare e il frate
portinaio adirato uscirà e ci tratterà
come dei gaglioffi importuni, vili e
ladri, ci spingerà e ci sgriderà
dicendoci: ‘Andate via, fatevi ospitare
da altri perché qui non mangerete né vi
faremo dormire’. Se a tutto questo noi
sopporteremo con pazienza, allegria e
buon umore, allora caro frate Leone
scrivi che questa è perfetta letizia”».
(San Francesco, Fioretti). Con l’amore
incondizionato e la gratitudine entriamo
nell’aspetto più elevato del processo del
perdono, in cui la persona accede a un
livello evolutivo superiore,
impersonale, realizzando attraverso
questo atto di donare la natura
incondizionata del suo sé.

Dopo avervi presentato le ragioni


fisiologiche, emozionali e mentali del
perdono, inizia ora un’altra fase di
comprensione; una nuova area di
esperienza, infinitamente più appagante
e completa: la dimensione olistica e
coscienziale. Nelle pagine che verranno
recupereremo il senso perduto del
perdono, che conduce alla via della
realizzazione. Tracce di questa
conoscenza sono presenti nell’eco delle
remote civiltà che popolarono questo
pianeta e che conoscevano la profondità
della natura umana e i suoi segreti. Buon
cammino dunque nel viaggio che unisce
scienza e coscienza, materia e spirito,
umano e divino.
Capitolo 3

Un nuovo modello
olistico di perdono

Il perdono nel My Life


Design.
Il disegno consapevole della
tua vita

Il coraggio di perdonare
erdonare richiede coraggio, anche se
P in una società competitiva basata
sulla colpa e sulla punizione come la
nostra, è spesso considerato un atto di
debolezza e d’inferiorità. Il più forte non
perdona mai! Ma è proprio qui che si
commette un errore perché, come diceva
Ghandi, «solo chi è forte è capace di
perdonare». D’altronde la stessa parola
coraggio deriva da cor habeo, che vuol
dire “ho cuore” e non è riferita
solamente al fatto d’essere sfrontati
davanti al pericolo, ma sopratutto alla
capacità di amare. Per questo il perdono
è una provocazione contro la freddezza
di chi ha dimenticato che cosa voglia
dire avere veramente cuore. Alcune
persone si vergognano di perdonare:
provano vergogna a parlare di perdono e
a far vedere di aver perdonato perché
pensano che sia tempo sprecato. In tutti
questi casi c’è una forte paura del
giudizio altrui e il terrore di guardare
veramente dentro se stessi e incontrare
uno sconosciuto. La vita è troppo breve
per farsi limitare dalle considerazioni
altrui, soprattutto se queste precludono
un’esperienza così bella, semplice e
potente come quella del perdono. Il vero
coraggio consiste a volte nell’andare al
di là di questi giudizi e comprendere che
si tratta solo delle nostre resistenze
interiori. Nel contesto patriarcale nel
quale viviamo il perdono è
subconsciamente ritenuto una debolezza,
quando invece è tutto il contrario.
Perdonare è un atto di coraggio perché
si deve affrontare il maestro più astuto
che possiamo avere: noi stessi. In una
società che insegna che a vincere è il
più forte, che si deve competere e se
necessario barare per poter
sopravvivere, che gli altri pensano solo
a se stessi e se possono schiacciarti lo
faranno, che l’amore è solo un’emozione
i cui confini spesso si mescolano con
quelli del sesso, il perdono è veramente
un atto di coraggio e una virtù da
coltivare, affinché possa spazzare via la
vergogna, che non è altro che
l’incapacità di amare liberamente.

Le quattro fasi
Secondo il modello olistico esposto in
questo libro e proposto nel percorso
formativo My Life Design vengono
evidenziate quattro fasi che si
attraversano per arrivare al perdono:

ACCUSA • RESPONSABILITÀ
GRATITUDINE • AMORE

Sono fasi cicliche e solo l’ultima


permette un’integrazione totale del
processo. Se anche una sola di esse
restasse parzialmente inespressa, allora
rimarrebbe qualcosa in sospeso e il
perdono non sarebbe completo.

Accusa
In questa fase è necessario aprirsi e
manifestare tutto quello che
rimproveriamo all’altra persona:
mancanze, tradimenti, rabbia, impotenza,
disperazione, colpa ecc. Senza questa
fase non si può prendere coscienza
veramente di ciò che si prova e delle
proprie ombre. Le ombre sono potenti
opportunità per evolvere e crescere.

Responsabilità
In questa fase si prende coscienza di
tutte le mancanze che abbiamo avuto
verso la persona che vogliamo
perdonare e ci si rende conto della
propria responsabilità di quanto è
accaduto. Questa è la fase in cui si
cambia prospettiva rispetto a ciò che si
vuole perdonare: la persona arriva alla
consapevolezza che è lei stessa causa di
ciò che prova e recupera il proprio
potere.

Gratitudine
Si manifesta quando ci liberiamo dalla
sofferenza e dal dolore e diveniamo
grati all’esperienza perché ci ha
permesso di crescere, maturare e
conoscerci. È la fase in cui siamo grati
per quello che abbiamo vissuto e per gli
insegnamenti che abbiamo ricevuto. Ci è
chiaro che la persona ha agito così
perché non poteva fare diversamente e
che le sue azioni erano guidate dalla
mancanza di consapevolezza. Siamo
grati per l’opportunità di crescita che
abbiamo avuto e per quanto abbiamo
appreso.

Amore
L’integrazione nell’amore è la fase
finale. È la fase del cuore, in cui si
esprime il “Ti amo così come sei”, e si
sperimenta uno stato di unione, al di là
dei conflitti e della sofferenza. Chi
arriva a questa esperienza comprende
veramente il dono che si nasconde dietro
il conflitto e accede al senso più
profondo del perdono.

1° PASSO
LA TECNICA DELLE
TRE LETTERE
Comprendi le 4 fasi del
perdono e verifica se le
hai integrate

Esploriamo le fasi
precedentemente descritte
attraverso la tecnica delle tre
lettere.

La lettera di accusa. In un
foglio bianco inizia a scrivere il
nome della persona seguito
dalla formula «Ti perdono
per…» e prosegui facendo un
elenco di tutte le cose che vuoi
perdonarle. Scrivi proprio tutto,
accusala apertamente e
manifesta tutto quello che hai
dentro, cercando di non
tralasciare niente, con
l’intenzione di liberarti. In
questa lettera rendi manifesto
e consapevole tutto ciò che
senti e che pensi. Evidenziarlo
è di fondamentale importanza
per tutto il processo, perché
ammetti a te stesso di provare
certe cose e prendi contatto
con le tue ombre. Scoprirai
che sono delle risorse
straordinarie per la tua
crescita. Dopo aver scritto
questa prima lettera rimani in
silenzio e ascolta senza
giudicare ciò che senti.
Respira alcuni minuti
attraverso le tue sensazioni
permettendo a ciò che è
affiorato di essere
metabolizzato.

La lettera della
responsabilità. Adesso scrivi
una seconda lettera in cui
ammetti tutte le tue mancanze
verso questa persona. La
formula che userai è: «Io…
(scrivi il tuo nome) ti chiedo
perdono per…». Questa
lettera inizia a farti cambiare
prospettiva rispetto ai ruoli di
colpevole e vittima; ti permette
di assumerti la responsabilità
su ciò che provi, che pensi e
che fai e di smettere di
proiettare sull’altra persona il
tuo potere. Se la lettera della
responsabilità è scritta
onestamente ti permetterà di
andare al di là del giudizio: ad
esempio comprendi che la
persona ha agito
inconsapevolmente perché non
era in grado di fare
diversamente o non si trovava
in una condizione di chiarezza
e pace. Dopo aver scritto
questa lettera rimani in silenzio
e ascolta le tue sensazioni
senza giudizio. Lascia che ciò
che è emerso possa lavorare
spon- taneamente dentro di te.

La lettera della gratitudine. È


la prima lettera che permette
veramente di andare al di là
della dualità colpevole e
vittima. In questa fase la colpa,
il risentimento e la rabbia si
trasformano in gratitudine. La
formula che userai è: «…
(nome della persona) grazie
per…».
In questa lettera potremo
scrivere tutte le cose per cui
siamo grati. La lettera termina
con una dichiarazione di
amore: “Ti amo così come
sei”. Delle tre lettere questa è
quella che permette capire se
abbiamo veramente integrato il
processo di perdono
riconquistando uno stato di
benessere e centratura:
facciamo molta attenzione nel
momento in cui la scriviamo
perché non deve contenere
accuse, neanche velate. Se ti
trovassi a scrivere: «Ti
perdono per quello che mi hai
fatto» oppure: «Grazie per
avermi insultato» e sentissi
ancora emozioni negative
nascoste, allora staresti
manifestando un’accusa velata
e probabilmente un desiderio
di vendetta. Se ti rendi conto
che queste emozioni sono
ancora dentro di te vuol dire
che il perdono non è completo.
Nella lettera di gratitudine devi
sen-tire solo gratitudine e
nient’altro. Torna alle fasi
precedenti fino a che questo
non succede. Dopo aver scritto
quest’ultima lettera rimani in
silenzio e ascolta senza
giudicare ciò che senti.
Respira alcuni minuti
attraverso le tue sensazioni
permettendo a ciò che è
affiorato di essere
metabolizzato.
La lettera della gratitudine,
quando è autentica, dovrebbe
essere spedita alla persona.
Nel caso non fosse più in vita
potrebbe essere bruciata con
l’intenzione che arrivi al
destinatario, ovunque egli sia.
Se senti delle resistenze o ti
rifiuti di spedirla è perché il
perdono non è completo e stai
nascondendo qualcosa.

Se ti rendi conto che stai compiendo


uno sforzo o che non hai perdonato
completamente allora potrebbe aiutarti
rispondere onestamente alle seguenti
domande:

Sono sincero nel voler perdonare?


Voglio perdonare per compiere un
gesto di superiorità?
Voglio perdonare per sentirmi
buono?
Voglio perdonare per sentirmi
superiore all’altro?
Voglio perdonare per non dare
all’altra persona la soddisfazione
di farmi stare male?
Quali sono le motivazioni per le
quali voglio perdonare l’altra
persona?
Sii onesto con te stesso. Ripeti la
tecnica del perdono con pazienza fino a
che non avrai compreso. Ricorda che
l’unico motivo reale per perdonare è
donare se stessi.

Un esempio pratico
Carla torna a casa dopo una giornata di
lavoro intenso. È stanca e ha solo voglia
di andare a dormire, ma in cucina
incontra suo marito, che inizia a urlare,
dicendole che torna sempre come uno
straccio e non pensa mai a cucinare, che
il lavoro la assorbe troppo e che non è
una buona moglie. Carla tracolla e inizia
anche lei a gridare. Quando gridiamo, lo
facciamo perché non riusciamo a sentire
noi stessi, ma, invece di ascoltare in
silenzio il nostro cuore, alziamo la voce.
Infuriata Carla se ne va dalla madre,
sbattendo la porta di casa, ma mentre si
trova in viaggio è presa dai sensi di
colpa per aver lasciato il marito da solo
e rivive l’accaduto osservandolo
un’altra prospettiva. Vediamo alcune
fasi fondamentali del perdono:

ACCUSA: mio marito mi ha


sgridato, ha urlato, è insensibile,
non mi rispetta, mi odia, è freddo,
pensa solo a se stesso, non mi
capisce, non comprende le mie
esigenze… ecc.

RESPONSABILITÀ: non torno


mai a casa per cena, non cucino
mai, sono sempre stanca, non
parliamo più, non dico quello che
sento, non gli dedico tempo, non
ho capito la sua necessità di
parlare, non sono stata capace di
comprendere il suo bisogno di
amore, di attenzioni, di calore…
In questa seconda fase Carla si
rende conto che suo marito è stato
uno specchio che le ha permesso
di vedere le sue responsabilità.
Non c’è più un colpevole e una
colpa, ma l’incapacità di capirsi.
In realtà il marito di Carla stava
manifestando solo l’esigenza di
essere amato: si sentiva solo e
abbandonato. Essendo incapace di
utilizzare il giusto linguaggio, ha
manifestato la sua necessità
attraverso la rabbia. Il vero
significato del dialogo era questo:
«Amore ho bisogno della tua
presenza, del tuo calore. Ho
bisogno di essere accudito come
un bambino perché mi sento solo e
abbandonato. Ho bisogno di
parlarti e di essere compreso».

Quando un bambino piccolo non sa


parlare, piange. In quel pianto ci sono
un’infinità di richieste che la madre
deve saper interpretare: “Perché piange?
Ha fame, gli fa male qualcosa, sente
fastidio, ha fatto i bisogni e bisogna
cambiare il pannolino?”. Il bambino non
conosce il linguaggio delle parole, così
come il marito di Carla non ricorda il
linguaggio del cuore. Uno piange e
l’altro grida e si arrabbia: entrambi
urlano perché non riescono a sentirsi e
quindi hanno bisogno di qualcosa di
forte per poter ritornare ad ascoltarsi. Ci
sono molti modi di esprimere quello che
sentiamo. Sta a noi riuscire a vedere
oltre l’apparenza delle cose. Una rabbia
apparente potrebbe essere una richiesta
di aiuto, di amore, di attenzione. Se si
risponde a questa rabbia con la rabbia,
si crea un conflitto che nasce per
ignoranza e mancanza di comprensione.
Dietro al pianto di un bambino in fasce
ci sono molte emozioni: il senso di
impotenza, la richiesta di aiuto, il
bisogno di attenzione e di amore. Per
molte persone è qualcosa di fastidioso,
mentre per altre è una chiara richiesta di
attenzione. Ognuno interpreta ciò che ha
davanti secondo i propri mezzi, le
proprie possibilità e la propria
coscienza. Nel processo del perdono
emergono le vere richieste e necessità,
permettendo di an-dare oltre la dualità
colpevole e vittima.
Capitolo 4

Settanta volte sette

Il perdono e la legge
dell’ottava
er comprendere come funziona
P l’evoluzione è necessario osservare
le dinamiche dei fenomeni che ci
circondano. Sette sono i colori
dell’arcobaleno, sette le principali
ghiandole del nostro corpo, sette i centri
di energia nella tradizione indovedica e
tibetana, sette le note musicali. Questo
numero ricorrente mostra come la natura
e l’energia siano regolate da proporzioni
particolari. Queste proporzioni si
ripetono, seguendo degli schemi ciclici.
Le sette note della scala musicale (DO,
RE, MI, FA, SOL, LA, SI) si ripetono in
un altro ciclo, con una vibrazione
superiore doppia. Il secondo DO
presente nella tastiera musicale sarà
sempre la stessa nota, ma con una
vibrazione doppia.
Figura 1
Il secondo DO rappresenta l’ottava
superiore: la medesima nota secondo
una frequenza più alta. L’ottava permette
che lo stesso sistema (schema) di sette
note possa ripetersi in un piano più
elevato. Mentre ci evolviamo siamo
sempre gli stessi, ma ci esprimiamo
mediante vibrazioni sempre più elevate,
a mano a mano che si fa esperienza e si
è in grado, crescendo, di aumentare la
nostra frequenza. Per far comprendere
meglio che cosa sia un’ottava, farò
alcuni esempi:
– Il bambino, l’adulto e l’anziano
sono tre ottave dell’essere umano.
– Il ghiaccio e il vapore sono l’ottava
inferiore e superiore dell’acqua.
– Il seme, l’alberello e l’albero sono
tre ottave differenti della stessa pianta.
– Avventura, fidanzamento e
matrimonio sono tre ottave possibili di
una stessa relazione.
– Ossa, muscoli e pelle sono tre
ottave della mano.

Anche sul piano mentale ed


emozionale è possibile applicare la
frequenza dell’ottava:
– Impressione, pensiero e idea sono
tre ottave mentali differenti.
– Colpa, pietà e compassione sono la
stessa emozione espressa in tre ottave
differenti.
– Piacere e gioia sono due ottave
della stessa energia.

Man mano che saliamo di ottava sale


anche l’energia legata all’emozione. Un
uomo può provare pena, ma il suo
spirito è capace di sentire qualcosa di
più elevato: la compassione. Così anche
il piacere dei sensi è sostituito con la
gioia dello spirito intanto che l’essere si
evolve in ottave superiori. Mentre la
frequenza del suono sale, si ha la
sensazione che ci siano alti e bassi (i
tasti neri e bianchi), ma la percezione è
solo apparente, perché in realtà la
tonalità continua a salire. Così è la
nostra evoluzione: anche quando ci
evolviamo e percorriamo la giusta
strada, a volte abbiamo la sensazione di
avere dei picchi di alti e bassi.
Comprendendo questo schema durante
un picco verso il basso si potrebbe
avere la sensazione di non stare
avanzando o addirittura di retrocedere
nella propria evoluzione, ma non è così.
In realtà si tratta semplicemente di
un’oscillazione durante l’ascesa.
Riconoscere ed essere consapevoli di
questi movimenti dell’essere può essere
di notevole utilità durante le fasi della
nostra vita, in qualsiasi relazione e nei
processi di evoluzione e comprensione.
Figura 2
Quando si lavora con il perdono
l’evoluzione si accelera e il grafico
cambia come nella figura qui sotto.
Gli alti e i bassi aumentano la
frequenza e riducono l’ampiezza: quello
che succedeva in un mese succede in
un’ora e noi ne abbiamo piena
consapevolezza; aumenta anche la nostra
capacità di cambiarlo, permettendoci di
vivere più armoniosamente. Procedendo
nella nostra evoluzione ci avviciniamo
all’unità, riducendo le oscillazioni alte e
basse. È importante prendere in
considerazione anche un altro fenomeno
presente nelle note musicali: se
osserviamo la tastiera e le note vediamo
che tra il DO e il RE esiste un tono, così
come tra il RE e il MI. Per passare dal
DO al RE e dal RE al MI sono necessari
due toni. Ma tra il MI e il FA manca il
tasto nero e passa solo un semitono.
Abbiamo quindi un “calo” di energia
rispetto agli altri passaggi. La stessa
cosa si verifica tra il SI e il DO
successivo (l’ottava superiore).

Figura 3
Figura 4
Questo schema evidenzia che in un
ciclo evolutivo (ottava) ci sono due
momenti con un calo di energia: uno
dopo l’inizio e uno alla fine. Il primo
calo di energia si verifica dopo le prime
tre note e il secondo prima che un nuovo
ciclo si manifesti. L’andamento
dell’energia in questo schema può
essere applicato a qualunque situazione:
per esempio in una relazione
sentimentale, dopo l’inizio, la nuova
coppia si trova a decidere se fare le
cose seriamente o no. Se supera questo
momento la relazione va avanti,
altrimenti il ciclo si interrompe. La
legge dell’ottava mostra l’andamento
dell’energia. Anche in una qualsiasi
nuova attività si sa che dopo l’avvio ci
saranno alcune difficoltà, superate le
quali si vedrà se l’iniziativa avrà
successo. Conoscere la legge dell’ottava
permette di prevedere questi momenti e
di affrontarli con consapevolezza. Per
superare il primo “calo energetico” è
necessario che si manifesti ciò che viene
chiamato uno “shock addizionale” e cioè
un impulso di energia più alto, capace di
fare continuare il processo evolutivo. In
qualsiasi cosa, affinché si possa
procedere in questo schema evolutivo,
sono necessari due shock addizionali
per ciclo: un primo affinché la cosa
decolli e un secondo affinché possa
rinnovarsi e passare all’ottava
superiore.
Come fare per riconoscere questi due
momenti? Bisogna essere attenti,
presenti in se stessi, capaci di
ascoltarsi, essere dei bravi auto
osservatori e avere un buon livello di
consapevolezza. Possiamo essere capaci
di generare consapevolmente lo shock
addizionale necessario per l’evoluzione.
Che cosa succede se non si manifesta lo
shock addizionale? Potrebbe
manifestarsi un cambio di direzione
capace di interrompere il processo.
Questo cambio di direzione può
segnalare due cose: la prima è che non
ho l’energia sufficiente per portare
avanti quel cammino e la seconda è che
in quel momento non devo compiere
quel cammino. È necessario però
prestare molta attenzione al cambio di
direzione che si verifica quando non
avviene lo shock addizionale. Se questo
cambio è inconsapevole, potrebbe
determinare una inversione di direzione,
riportandomi alla condizione di partenza
o addirittura più indietro. Possiamo fare
diversi esempi di come ripetuti cambi di
direzione abbiano causato profondi
mutamenti:
Un grande amore che si trasforma
in una relazione morbosa e
possessiva.
Il messaggio di Cristo che viene
preso a pretesto per scatenare
Crociate e Inquisizione.
La scissione dell’atomo che viene
usata per uccidere milioni di
persone.
Un benefattore che si trasforma in
dittatore.
Capitolo 5

La curva sigmoidea:
l’evoluzione ciclica
applicata al perdono

Scritto in collaborazione con


Manel Armengol
Prof. associato Esade e Prof. universitario

a curva sigmoidea traccia un


L andamento che riflette perfettamente
la legge dell’ottava e per questo è
possibile applicarla agli avvenimenti
della nostra vita e soprattutto alla
tecnica del perdono dell’ottava. Ogni
percorso o situazione che affrontiamo
nella vita può essere relazionato e
studiato attraverso questa curva. Se si
guarda la Figura 5 potremo vedere,
riassunta, la storia di un impero, di una
relazione, l’impresa di un’azienda o la
nostra storia personale. Questo grafico
traccia l’andamento dell’energia: un
flusso energetico che si traduce in fatti,
accadimenti e situazioni.
Figura 5
Se analizziamo i vari tratti del grafico
possiamo notare che esistono varie fasi.

L’inizio: è una fase di avviamento


durante la quale è necessario
trovare un equilibrio e gli sforzi
sono sempre maggiori perché
frutto dell’inesperienza. In questa
fase si procede per tentativi e
spesso si possono commettere
errori. Nel processo del perdono
l’inizio corrisponde al momento
in cui è necessario fare un viaggio
introspettivo, entrare dentro se
stessi e avere il coraggio di
contattare le proprie ombre. In
questa fase è necessaria una
profonda umiltà e allo stesso
tempo una ferma volontà e
disponibilità a cambiare e
liberarsi.
Il punto morto: questa fase
corrisponde al tempo di
adattamento, nel quale si impiega
tutta la forza e l’energia che
abbiamo a disposizione. In questa
fase le cose sembrano essersi
fermate, in stallo, bloccate. La
sensazione è quella di non stare
crescendo. In tale situazione è
anche facile desistere e
arrendersi, se non si hanno le
risorse e la determinazione per
progredire. Nel processo del
perdono il punto morto
corrisponde al momento in cui la
persona può perdersi nel labirinto
della mente, girare sempre intorno
alle stesse cose, alle stesse
immagini, senza mai scendere
davvero in profondità a livello
emozionale, per riuscire a trovare
e vedere i pesi e le ombre di cui
deve liberarsi.
L’ascesa: in questa fase le cose
iniziano a funzionare, superiamo
lo stallo precedente, e inizia
l’ascesa. La sensazione è di stare
crescendo, di evolversi, di
migliorare, di stare meglio e di
comprendere. L’ascesa
corrisponde al periodo in cui
iniziamo a ottenere risultati o,
nell’esempio di un impero, al
periodo di espansione. Nel
processo del perdono corrisponde
al momento in cui la persona è
stata in grado di contattare, vedere
e liberarsi delle ombre e dei pesi
che la facevano soffrire e quindi
entra in uno stato di amore
profondo, comprensione,
compassione e consapevolezza.
Non ha più paura delle proprie
emozioni e delle sofferenze e
vede nell’ombra un semplice
testimone della presenza della
luce.
Il plateau: la così detta “collina”.
Questa è la fase in cui si ha
un’espansione: non c’è più forte
crescita come prima, ma
comunque conduce al picco
d’ascesa. Può essere definita
come una transizione o un
momento di maturità in cui si
godono i frutti dell’energia
liberata durante la fase
precedente. Nel perdono
corrisponde alla fase in cui la
persona può godersi la felicità e
la leggerezza generata dalla
liberazione vissuta in precedenza.
La discesa o declino: è la fase di
declino. Questo processo segna
l’inizio della fine di qualcosa, sia
essa una relazione, una vita, una
storia o un prodotto. Nel perdono
corrisponde alla fase in cui, se si
rimane attaccati alla felicità e alla
gioia che si stanno vivendo,
queste, paradossalmente si
convertono in un attaccamento e
generano pesantezza o una
sensazione di tristezza.

L’intensità e la velocità delle


esperienze che viviamo possono
modificare la durata e l’ampiezza della
curva sigmoidea. Ogni curva può
completarsi in pochi secondi o durare
anni. Tuttavia il segreto della crescita e
dell’espansione costante consiste
nell’avere consapevolezza di come si
muove l’energia nel suo andamento
ciclico e saper creare un nuovo ciclo
prima del declino del precedente. Come
possiamo generare una nuova curva
prima della fine della prima?
Il segreto dell’evoluzione a un
livello di coscienza superiore consiste
nel generare una nuova curva con una
frequenza superiore: iniziare un nuovo
processo di ricerca e realizzazione che
abbia un’ottava superiore al precedente.
In questo modo il processo di crescita
individuale si accelera notevolmente,
permettendoci di vivere con
consapevolezza un livello evolutivo
sempre maggiore. La domanda chiave a
questo punto è: qual è la fase della curva
sigmoidea in cui dobbiamo generare
questo cambio e accedere all’ottava
superiore? Secondo il modello della
Figura 6 il momento migliore per
iniziare un nuovo ciclo è alla fine
dell’ascesa, prima del plateau (punto
A). In questo momento infatti si hanno a
disposizione l’energia, le risorse e i
mezzi per poter effettuare questo salto di
frequenza.
Figura 6
Tuttavia quando tutto va bene le
persone non vogliono cambiare, perché
sembra che la formula attuale sia
efficace e porti al successo. Perché
allora cercare e produrre un
cambiamento? Sembrerebbe una follia,
ma non lo è. Le persone sono abituate a
cercare un cambiamento solo quando le
cose vanno male o quando c’è
sofferenza e malessere, e tendono invece
a cristallizzarsi in una determinata
situazione quando le cose vanno bene,
dimenticandosi la fluidità e
l’impermanenza delle cose.
Normalmente è una crisi che porta al
cambio, perché offre una forte spinta a
superare l’evento che volge alla fine. La
modalità abituale di vedere le cose ci
porta a cambiare quando si manifestano
sofferenza o declino; quando cioè
iniziamo a vedere la fine ineluttabile
(punto B: la fine di una relazione o di un
progetto). Tuttavia quando arriviamo al
punto B le nostre risorse ed energie non
sono più quelle di prima.
Durante il processo del perdono
questo salto vibrazionale avviene
quando nel momento di ascesa, in cui si
libera energia e si sperimenta la
liberazione e un profondo amore, non ci
si ferma a questa esperienza positiva,
ma si dona anch’essa, creando lo spazio
necessario affinché possano manifestarsi
consapevolezze sempre più profonde. La
capacità di salire di ottava durante un
perdono permette di accedere al vero
senso del perdono, ciò che chiamo
“dono” e che descriverò nel capitolo
successivo.
Esiste anche un altro modo di
applicare questo schema al perdono
usandolo quando siamo felici e gioiosi
per stare ancora meglio (salire di
un’ottava), piuttosto che aspettare il
momento di sofferenza per utilizzarlo
come terapia.
Abbiamo mai pensato che quando
stiamo veramente bene, potremmo stare
benissimo? E quando stiamo benissimo
abbiamo mai pensato che potremmo
sperimentare la beatitudine? E se
abbiamo sperimentato la beatitudine
abbiamo mai pensato che potremmo
donare anch’essa e vedere che cosa c’è
oltre?
Immagina ora di essere stato capace
di cambiare nel punto X, come mostrato
nella Figura 7 (p. 113). Tra il punto X e
Y esisterà una zona in cui coesisteranno
la vecchia modalità di operare con la
nuova. Questo sarà un periodo di
cambiamento molto particolare e
delicato. In questa fase dobbiamo
utilizzare il meglio del vecchio modo
applicandolo in un nuovo contesto.
L’evoluzione è dunque ciclica.
Riuscire a essere fluidi e non attaccarsi
alle cose e ai propri vissuti è un’abilità
che richiede attenzione, passione e
consapevolezza. Se applicassimo
all’andamento sigmoideo dell’energia il
salto di ottava, la nostra evoluzione
avrebbe un andamento come mostrato
nella Figura 8 riportata alla pagina
seguente.
Per essere fluidi è necessario
imparare a superare le proprie paure,
l’egoismo, gli attaccamenti e il rifiuto
del cambiamento. Il perdono è il
maestro che può insegnarci come fare
tutto questo per amore e solo per amore.

La tecnica
Questa tecnica di perdono è
antichissima, viene utilizzata in molte
parti del mondo. Alcune fonti la citano
come «il Perdono Cristico» perché
rispecchia la proporzione citata nel
Vangelo di Matteo: «“Signore, quante
volte dovrò perdonare a mio fratello, se
pecca contro di me? Fino a sette volte?”.
E Gesù: “Non ti dico fino a sette, ma
fino a settanta volte sette”».
(Mt 18, 22)

Figura 7
Figura 8

2° PASSO
TRASFORMA I
PROBLEMI IN RISORSE

Vai al di là della polarità


“Io e Tu” Riconosci
nell’altro un aspetto di
te stesso necessario per
la tua realizzazione.
1. Dividi un foglio a metà con
una linea verticale e sulla
colonna sinistra scrivi il
nome della persona che
vuoi perdonare e su quella
destra il tuo nome.
2. Poi scrivi di seguito
settanta motivi per cui vuoi
perdonarlo e settanta
motivi per cui vuoi
perdonarti. Prima scriverai
di seguito quelli rivolti alla
persona e poi i tuoi
settanta.
3. Nella prima colonna
scriverai:
«Perdono tizio
perché mi ha
fatto...».
«Perdono tizio
perché è stato...».
«Perdono tizio
perché...».
E così via fino a
settanta.
Durante tutto il processo
ricordati di respirare
profondamente e di
lasciare emergere
qualsiasi emozione si
evidenzi. Potrai scrivere la
stessa cosa anche più
volte se lo senti necessario
o se non ti viene nient’altro
per cui perdonare l’altro.
L’importante è non fermarti
nel processo fino a che
non avrai raggiunto le
settanta volte.
4. Nella seconda colonna
scriverai. «Perdono me
stesso perché…» e
procederai allo stesso
modo del punto 3 per altre
settanta cose, questa volta
rivolte a te stesso. Non
preoccuparti se, nel punto
3 e 4, alcune cose si
ripetono. Durante tutto il
processo respira senza
fare pause tra l’espirazione
e l’inspirazione,
permettendo a tutte le
emozioni di manifestarsi.
Alla fine del processo avrai
scritto centoquaranta frasi
di perdono, settanta per la
persona e settanta per te,
e ti sarai reso conto di
molte cose. Sopratutto del
fatto che molti punti e
aspetti coincidono in
entrambe le colonne. A
questo punto conserva il
foglio in un cassetto e
ripeti l’operazione per sette
giorni di seguito. Il terzo
giorno arriverà la prima
crisi: ricordati della legge
dell’ottava e vai avanti! Ti
consiglio di stabilire un’ora
al giorno in cui praticare
questo particolare perdono
e di rispettarla per tutti e
sette i giorni. Il settimo
giorno, dopo aver
concesso l’ultimo perdono,
prendi tutti i fogli e bruciali.
Mentre accendi il
fiammifero ripeti
semplicemente: «Offro
tutto questo alla luce. Ecco
il mio dono» e resta a
contemplare la fiamma e la
sua luce dei fogli che
bruciano.

La tecnica del perdono dell’ottava è


molto efficace per capire che cosa sia la
proiezione e di come ci specchiamo
nell’altra persona. Man mano che andrai
avanti con i giorni, soprattutto se superi
il terzo giorno, ti sentirai più leggero,
distaccato e in pace rispetto alla persona
che stai perdonando e anche nei
confronti di te stesso. A volte però
potrebbe manifestarsi un tema profondo
anche negli ultimi giorni: non mollare e
persevera fino al settimo giorno. Questa
particolare tecnica di perdono può
essere applicata a qualsiasi cosa: si può
perdonare una situazione, una malattia,
una persona, un animale, un lavoro, una
cosa astratta, la vita, la morte, la
sofferenza ecc. Si può perdonare anche
se stessi: in questo caso nel lato sinistro
del foglio si scrive il proprio nome e sul
lato destro “Io”; poi si procede come
descritto in precedenza.

Visione geocentrica e
visione eliocentrica del
perdono
Il modello di perdono del My Life
Design non è legato alla colpa, alla
sofferenza, a un carnefice, né tantomeno
a una vittima. Non si perdona qualcuno
per le sue colpe, per salvarlo, per
salvarsi o per timore di Dio. Si perdona
per donarsi. Perdonando vado oltre quel
piano duale in cui esistono gli opposti
che generano il conflitto.

Immagina di osservare
l’universo con gli occhi del
sole...
Osservando le cose dalla prospettiva
del pianeta Terra (visione geocentrica)
esisteranno giorno e notte, gioia e
dolore, vita e morte. Il Sole invece non
conosce alba né tramonto. Il punto di
vista del Sole (visione eliocentrica) ci
permette di vedere le cose da una
prospettiva assolutamente nuova, dove
non esiste conflitto tra opposti, ma una
comprensione che proviene da una
visione molto più ampia e superiore: la
visione unitaria e non polare. Anche
l’ombra, dal punto di vista del Sole è
solo la testimonianza della presenza
della luce. Tutto ciò che si osserva con
gli occhi del Sole risulta illuminato. Con
questa nuova prospettiva il perdono
appare come uno straordinario mezzo
per andare oltre la colpa e l’espiazione,
il colpevole e il carnefice; oltre ogni
conflitto polare per sperimentare una
nuova dimensione di pace e
realizzazione. La necessità di perdonare
può derivare dal senso di colpa, cioè
dalla considerazione che esista qualcosa
di sbagliato che si è compiuto e che ha
danneggiato se stessi o un’altra persona.
Quando qualcuno compie un errore si
può ricorrere alla punizione per
correggerlo (nel caso si ritenga che ci
sia una colpa, cioè che la persona che ha
commesso l’errore sia colpevole),
oppure si può considerare che ha
sbagliato per ignoranza (mancanza di
conoscenza) e fornire i mezzi alla
persona per correggere l’errore. La
nostra società è basata sulla punizione:
chi sbaglia paga. Spesso ci
dimentichiamo però che chi ha sbagliato
probabilmente non ha capito qualcosa e
ha necessità di comprendere che cosa
non funziona: ha necessità di essere
consapevole del proprio errore. Se si
considera la persona colpevole allora si
avrà l’esigenza di punirla per correggere
il suo errore; ma se si considera la
persona inconsapevole, allora si
cercherà di fornirle i mezzi per essere
consapevole.
Colpevolezza-Punizione.
Inconsapevolezza-Consapevolezza.
Il perdono, seguendo una visione
geocentrica e polare, prevede una colpa,
mentre secondo la visione eliocentrica è
un principio trasformatore che permette
di utilizzare le energie pesanti come
mezzi per arrivare allo stato di unione e
amore. Utilizzando il perdono come
principio trasformatore e strumento di
consapevolezza si arriva alla
comprensione che si può solo, in
definitiva, perdonare se stessi. La
propria coscienza si espande e trascende
l’apparente conflitto duale, per tornare a
essere consapevole che tutto è
semplicemente un mezzo per realizzare
se stessi. Esiste un gioco di ruoli in cui
sono presenti una vittima e un carnefice.
Il carnefice esiste solo se c’è una vittima
da sacrificare. La vittima avrà bisogno
di espiare, di soffrire, di lamentarsi, di
piangere e il carnefice di farla soffrire,
di punirla, di sgridarla ecc. Esiste un
modo per uscire da questo schema:
perdonare e perdonarsi. Accettare e
accettarsi. Perdonarsi per la vergogna,
per i sensi di colpa, per il fallimento,
per sentirsi incapaci; perdonarsi per
essersi ingannati, per mancanza di
consapevolezza, per aver sofferto, per
non aver capito, per aver perso tempo…
perdonarsi per amare e essere amati,
perdonarsi per amore.

Il perdono reale è rivolto a


se stessi
Il perdono reale avviene quando si
comprende di essere stati la vera causa
della condizione che si sta vivendo,
qualsiasi condizione essa sia. Possiamo
perdonarci per aver dimenticato il
nostro potere, per averlo dato a un’altra
persona. Possiamo perdonarci per aver
giudicato gli altri e per aver scelto di
essere vittime. Se il perdono è autentico
riusciremo a recuperare il nostro potere
e la nostra consapevolezza. Il perdono
autentico permette di recuperare la
consapevolezza di essere artefici della
propria vita. Perdonarsi vuol dire
accettarsi. Accettarsi vuol dire lasciare
andare le energie bloccate (risentimenti,
odio, rancore, vendetta, collera,
giudizio). Lasciare andare vuol dire
aprire uno spazio per accogliere la
consapevolezza, che ci permette di
avere accesso al nostro mondo interiore
e di accettare gli altri
incondizionatamente. Questo è l’inizio.
L’inizio del processo attraverso cui
riconosciamo noi stessi. A tutte le
persone che entrano veramente nel
processo del perdono sono chiare alcune
cose: che il perdono è una forma per
collegarsi profondamente con se stessi e
con energie che altrimenti rimarrebbero
inaccessibili; che attraverso il perdono
si recupera il proprio potere; che
attraverso il perdono si comprende
veramente che cosa sia la responsabilità
e la proiezione. Queste consapevolezze
non sono mentali (ragionamenti o
deduzioni), bensì frutto di un’esperienza
diretta, che deriva dal coraggio di
aprirsi e di vivere certe esperienze. In
questi anni di esperienza, avendo
guidato laboratori e formazioni sul
perdono con migliaia di persone, gli
individui apparentemente più forti (con
un carattere forte) sono invece risultate
quelle più fragili, incapaci di piangere,
di commuoversi, di abbracciare e
lasciarsi andare alle emozioni senza per
questo farsi travolgere da esse. Il
perdono ha cambiato molte di queste
persone, insegnando loro un nuovo senso
delle cose e della vita.

Perdona e agisci
«Amate i vostri nemici, benedite coloro
che vi maledicono, beneficate quelli che
vi odiano e pregate per coloro che vi
usano torti e vi perseguitano».
Gesù Cristo

«Una persona mi sta picchiando. Che


cosa faccio: la perdono mentre mi
bastona e non reagisco?». Questa è stata
una domanda che mi hanno rivolto
durante un seminario. Ho chiarito subito
che il senso del perdono nella filosofia
del My Life Design non consiste nel
subire un danno senza agire. Perdonare
non vuol dire essere incapaci di reagire.
Significa che dopo il perdono la nostra
reazione non è più motivata da collera,
rabbia, frustrazione, ignoranza e
giudizio. Se il perdono è stato autentico
le nostre parole e le nostre azioni
saranno piene di determinazione,
chiarezza e comprensione. A muoverci
non sarà più il senso di ingiustizia o di
sopruso, né tanto meno l’ira o il
desiderio di vendetta. In noi non sarà
più presente nessuna di queste emozioni,
neanche la confusione. Agiremo
determinati e non più coinvolti
emotivamente in quella dinamica. A
spingerci sarà la chiarezza, la
gratitudine per aver compreso ed essere
andati al di là dell’apparenza. Agiremo
consapevolmente e non più motivati
dall’ignoranza, quindi le nostre azioni
avranno un peso e un obiettivo
differente. Il frutto del perdono non sarà
una reazione, ma un differente modo di
azione, frutto di una evoluzione
interiore. Sarà un agire con coraggio. A
volte, quando reagiamo in preda all’ira
o alla rabbia o al risentimento, il
prodotto delle nostre azioni crea
lacerazioni, fratture e ferite profonde,
sia in noi che nell’altra persona. Se
invece, attraverso il vero perdono,
riusciamo ad andare oltre l’accaduto,
allora saremo in grado di affrontare
meglio la situazione. Se una persona ci
altera, è necessario che riusciamo a
trascendere il piano conflittuale. Quando
la nostra rabbia sarà trasformata in
determinazione, la nostra reazione sarà
capace di trasformare il conflitto in
qualcosa di produttivo. Se riusciremo ad
andare veramente e con onestà al di là
del piano duale dove gli opposti sono in
contrasto, avremo anche le risorse
necessarie per cambiare la situazione.

Una storia...
Ogni volta che Sara incontra la ex del
suo fidanzato si trova a disagio, non sa
come comportarsi e spesso inizia a
litigare col suo partner. Sara decide così
di entrare nel processo del perdono.
All’inizio trova serie difficoltà: non sa
se vuole veramente perdonare questa
persona, prova odio e impotenza, ma
alla fine cede e si abbandona, lasciando
veramente emergere e integrando ciò che
sente. «Non è più importante come mi
comporterò davanti a questa persona,
per me è sufficiente come mi sento
adesso: più leggera, più libera e
sicuramente più grata alla vita. Mi
sembra di capire meglio la ragione dei
suoi comportamenti. Vedo chiaramente il
suo disagio dietro a questi atteggiamenti.
Vedo una persona umana, con dei
conflitti». Quando incontra nuovamente
questa ragazza – che, come al solito,
inizia a intavolare una discussione col
proposito di metterla in difficoltà – Sara
la guarda fissa negli occhi e le dice con
calma: «Scusa, ma non ho voglia di
parlare con te in questo momento», si
gira e porta il suo ragazzo poco più in
là. «Mi sono sentita determinata e dentro
di me c’era una grande chiarezza. I
conflitti che normalmente mi
sembravano insormontabili erano
spariti. Non mi sentivo più costretta e
impotente. Non sentivo neanche rabbia o
fastidio, semplicemente le ho detto
quello che pensavo senza farmi
problemi. Ho visto che lei ha capito». Il
giorno dopo a Sara arriva un messaggio
al cellulare. È la ex del suo fidanzato
che scrive: «Scusa, mi sono accorta che
agivo per metterti in difficoltà. Non
accadrà più». Il perdono autentico
permette di andare oltre il conflitto e di
vedere le cose da un altro punto di vista.
A questo punto potremo decidere se
agire o astenerci: la nostra decisione
non sarà più il prodotto di confusione o
ignoranza, ma il risultato di un lavoro su
noi stessi e di una nuova
consapevolezza. Perdonate e poi agite,
se riterrete opportuno farlo. Non importa
che cosa farete, in quel momento saprete
esattamente che cosa fare e come farlo e
sarete motivati non dalla rabbia, o da
emozioni perturbatrici, ma dalla
gratitudine e dalla determinazione.
Capitolo 6

Il dono

La felicità dell’essere
odio non cessa mai per l’odio;
«L’ l’odio cessa per amore».
Buddha

Perdona per-donarti e per


nessun’altra ragione. Questo è il
segreto per comprendere il vero
perdono. Siete mai stati innamorati
follemente di qualcuno? Se è successo,
sapete che l’unica cosa che si desidera
veramente è donarsi a questa persona. A
chi è folle d’amore non interessa
ricevere alcunché in cambio, vuole solo
che la persona possa godere al massimo
e raggiungere la felicità e l’estasi.
Questo donarsi, questo voler dare
all’altra persona tutto se stesso permette
di esprimere e sperimentare la felicità.
Una felicità che può essere presente
grazie al fatto che dandosi
completamente, si crea dentro se stessi
il posto per accoglierla. Senza questo
spazio non si sarebbe potuti essere così
felici. «L’amore è l’unica cosa che si
moltiplica dividendolo». Durante il
processo del perdono si arriva a un
punto in cui si vuole solo donare, aprire,
esprimere liberamente. Allora si è
capaci di svuotarsi per darsi
completamente e creare il posto perché
una nuova esperienza possa
manifestarsi. Questo darsi autentico crea
lo spazio per poter ricevere
autenticamente. Nel dare autentico e
sincero è presente la felicità. Questo è
ciò che si riceve dando in questo modo.
Dunque dare e ricevere corrispondono:
ciò che si riceve è la felicità del dare.
Donare ciò che teniamo stretto:
sofferenza, paura, odio, risentimento, ma
anche gioia, felicità, amore. Sembra
paradossale ma saper donare queste
cose vuol dire essere capaci di amare.
Durante l’esperienza del perdono
autentico la propria coscienza si
espande e perde quei limiti che
normalmente ci accompagnano.
L’energia del perdono è capace di
modificare profondamente la struttura
della materia, della vita, delle emozioni
e dei pensieri, sia per noi stessi che per
le persone che ci circondano. Si può
perdonare anche per un’altra persona o
per un defunto. In entrambi i casi,
ovunque siano queste persone,
riceveranno l’amore che si libera
durante il processo. Quando si perdona
un’altra persona, lo si deve fare senza
dirle niente e senza voler niente in
cambio. Si perdona nel silenzio. Il
potere del perdono è tale che è stato
capace, finora, di cambiare radicalmente
molte situazioni a livello personale e di
gruppo. Mi sono sempre domandato con
quale meccanica il perdono potesse
essere così incisivo da determinare il
cambio di molte situazioni e relazioni
bloccate. Molte persone raccontano di
aver nuovamente incontrato la persona
con la quale avevano interrotto
bruscamente il rapporto. Questa storia
l’ho sentita ripetere tante volte. Tutti
quelli che si sono aperti realmente al
processo del perdono hanno
sperimentato una sensazione di gioia e
leggerezza profonde e un cambio
radicale anche nel corpo fisico. Il
perdono è conoscenza. L’essere umano
vive costantemente con una percezione
polare della realtà: io e gli altri, io e il
mondo, io e Dio, io e il mio partner, io e
il lavoro, io e questo problema, io e la
malattia, io e la vita, io e la morte. Alla
radice di questa percezione c’è una
frattura. Per questo si ha la sensazione
che esistano due entità separate: un
soggetto che percepisce e un oggetto
percepito. Anche quando parliamo del
nostro partner o di un gruppo e
utilizziamo il “noi” persiste tuttavia,
anche se a un livello più sottile, il seme
di questa percezione polare. Questa
polarità fa parte della condizione di
partenza dalla quale inizia il percorso di
ricerca individuale, verso la riconquista
di quell’unità originaria dove sono
presenti tutte le risposte e si esauriscono
tutte le domande, per far posto alla piena
felicità dell’essere. Che si aneli a questa
esperienza chiamandola realizzazione,
illuminazione, essenza o altro, non fa
alcuna differenza. In definitiva è quel
pieno senso di unità al di là di questa
frattura percettiva duale. La ricerca, fino
a quando esiste una meta, è polare, crea
cioè una distanza dall’obiettivo che si
vuole raggiungere: darà vita a un’idea
che tenterà di sostituirsi all’esperienza
diretta. L’esperienza dell’unione a cui
porta il perdono non è una meta, né
tantomeno una stazione su cui fermarsi; è
piuttosto un modo di essere. In questa
realizzazione consiste il vero scopo del
perdono. Qual è il senso della frattura
percettiva che viviamo? Se ci
fermassimo un istante a percepire la
realtà, di qualunque realtà si tratti,
subito si evidenzierebbe una polarità.
Cerchiamo di provare a pensare
sinceramente come utilizzare questa
polarità per crescere ed evolverci. Non
è forse il nostro parametro di misura, di
giudizio e di valutazione? Attraverso
essa ci si muove e si fa esperienza, ci
motiviamo e troviamo nuovi stimoli.
Non è forse per raggiungere la
conoscenza che milioni di persone
intraprendono un percorso interiore?
Ecco che la polarità
conoscenza/ignoranza viene utilizzata
come espediente e mezzo evolutivo. Non
c’è niente di sbagliato nella polarità o
nella frattura in se stessa. Il segreto
dipende da come noi la percepiamo e
utilizziamo. Siamo assolutamente liberi
di fare e di essere ciò che più ci piace.
Come punto di partenza ci troveremo
sempre davanti a questa polarità
percettiva. Quali sono dunque il senso e
lo scopo di questa frattura? Il senso
della polarità consiste nell’andare al di
là di essa per sperimentare la felicità
dell’essere. Dall’ignoranza ci muoviamo
verso la conoscenza, per ricercare la
piena realizzazione di noi stessi.
Ricerchiamo la purificazione stando
attenti che il nostro essere non sia
contaminato e resti puro, è per questo
che ci preoccupiamo di fare buone
azioni e di evitare quelle cattive,
scegliendo la co-stanza all’incostanza e
la pazienza all’impazienza. Nell’ottica
del perdono avviene invece una
rivoluzione. Tutto quello che si deve
desiderare è semplicemente donare,
donare ogni cosa, ogni polarità, sia essa
gioia o dolore, odio o amore. Quando
questo dono diviene assoluto porta al di
là degli opposti, poiché esiste oltre gli
opposti. Perdonare è questo.
Conoscenza e ignoranza, impuro e puro,
purificazione e contaminazione. Se si
vuole comprendere il senso profondo
del perdono deve nascere un autentico
desiderio di liberarsi di entrambe queste
polarità. Ma donarle a chi o a cosa? A
qualsiasi cosa: all’infinito, alla luce,
alla vita, a Dio, alla Fonte o al nulla.
Che una persona sia atea o credente
poco importa, perché il senso di questo
dono trascende ciò che pensiamo,
crediamo e facciamo. Nel processo ti
sarà tutto assolutamente chiaro. Il fatto
che esista una divinità o non esista
niente appartiene alla polarità e perciò
anche questo va donato. Bisogna donare
tutto finché non si incontra la gioia del
donare, del dare. E questa gioia è il
senso. Questa gioia è il vero dono,
capace di guarire questa frattura.
Sperimentando questo si diviene
coscienti che al di là del problema e
della soluzione esiste la felicità
dell’essere: è questa felicità il senso
dell’esistenza del problema e della
soluzione. In essa si trova la vera
soluzione, la vera realizzazione. Questa
è la vera guarigione per come la intendo
e trasmetto. Il perdono è uno strumento
per viverla pienamente. Bisogna dunque
comprendere come si fa a donare in
questo modo.

Conoscenza Ignoranza
Buone azioni Cattive azioni
Costanza Incostanza
Pazienza Impazienza
Purificazione dello Inquinamento dello
spirito spirito
Felicità Tristezza
Risveglio Oblìo

Spostarsi nel lato sinistro dello


schema permette di avere una struttura
cristallina, di migliorare il nostro stato,
di elevarsi, di stare bene, di migliorare
come esseri umani, di acquisire virtù e
di rendere l’animo nobile. Il lato sinistro
dovrebbe essere una libera scelta,
compiuta con consapevolezza e non per
imposizione o buonismo, ma
riconoscendone i reali benefici. Tuttavia
entrambi i lati dello schema vanno
donati per comprendere il senso più
profondo del perdono e raggiungere un
livello di felicità completamente nuovo
e inesplorato. Qual è la giusta attitudine
interiore, al di là dei dubbi, delle
aspettative nascoste, dei desideri
occulti? Se si vuole perdonare qualcuno
per liberarsi dalla sofferenza, o per
stare meglio, o per il troppo dolore, o
per qualsiasi altro motivo che non sia un
donare disinteressato e assoluto, allora
non si potrà accedere all’esperienza
della felicità di cui si parla in questo
libro. Certo che liberarsi dalla
sofferenza, dal conflitto e dalla tristezza
rappresenta un buon inizio e un buon
motivo per accedere a questo percorso
evolutivo. Ma per chi vuole penetrare il
senso ultimo del perdono è necessario
osare ed entrare in un’area di esperienza
completamente nuova. Bisognerà, alla
fine, liberarsi da tutte le motivazioni
parziali. Per farlo è necessario
sperimentare la gioia nel donare. Questa
è la vera e definitiva liberazione. Si
diviene liberi dalla polarità e si accede
a un piano evolutivo unitario superiore:
la manifestazione di una coscienza
solare.
Capitolo 7

Il perdono e il
discernimento

e per perdonare fosse necessario


S bere molta acqua, probabilmente
qualcuno comincerebbe a bere. Ma
dovrebbe compiere una scelta poiché
non tutta l’acqua si può bere. Se bevesse
l’acqua di una pozzanghera o quella del
secchio usato per lavare in terra
starebbe male. Dunque è necessario
discernere. Il discernimento è una virtù
fondamentale per comprendere il senso
autentico del perdono.
Sapere riconoscere e percepire dietro
al fenomeno ottico dell’arcobaleno la
luce, come unica realtà essenziale, è una
forma di discernimento. I colori e le
loro tonalità sono realmente
meravigliosi, tuttavia è un fenomeno
illusorio e transitorio, poiché si tratta
sempre della medesima realtà essenziale
di luce, al di là di come ci appare e si
manifesta. Lo stesso discernimento è
necessario nel perdono, poiché oltre
tutte le forme, le motivazioni, i problemi
e le polarità che si manifestano durante
il processo, è necessario discernere
l’unica realtà essenziale che esiste
dietro questi fenomeni. Tutti gli esseri
umani adulti hanno provato almeno una
volta attrazione sessuale per un’altra
persona. L’oggetto del desiderio
appassiona e svela la sua bellezza. Ma
che cosa c’è veramente dietro a un
corpo attraente? Quel corpo può essere
visto anche come un ammasso di carne,
con sangue, bile, odori nauseabondi di
interiora, ossa, grasso, urina e feci.
Ognuno è libero di percepire quel corpo
attraente o repulsivo; libero di vedere un
ammasso di carne destinato a diventare
polvere o un corpo attraente e sensuale.
Tuttavia esiste un piano di percezione
che permette di andare oltre la polarità
attrazione / repulsione ed entrare in uno
stato percettivo superiore: si potrebbe
vedere e percepire quel corpo come una
manifestazione della vita e come vita
stessa e provare felicità in questa
percezione, senza la presenza di
attrazione né di rifiuto. Proviamo a
riflettere più in profondità: l’uomo e la
donna appartengono alla macro
categoria degli esseri umani; e prima
ancora a quella degli esseri; e prima
ancora a quella dell’esistenza. Prima
ancora di essere vivo, ognuno di noi è
vita. Apparteniamo cioè a un ordine di
grandezza superiore e impersonale e
possiamo avere piena coscienza ed
esperienza di questo aspetto del nostro
essere. In questa consapevolezza si
dissolve la frattura percettiva polare; in
questa esperienza si comprende
veramente ciò che chiamo coscienza
solare; in questa straordinaria area di
percezione si diviene capaci di guardare
l’esistenza attraverso la prospettiva e gli
occhi del sole.

Esercizio di
autoconsapevolezza per
aumentare la capacità di
defocalizzazione
Ripeti a voce alta ognuna di
queste affermazioni fino a che non
ne diventi pienamente
consapevole: è possibile che per
alcune sia necessario più tempo.
1. Io sono...(ripeti il tuo
nome).
2. Io sono un/a
uomo/donna.
3. Io sono un essere
umano.
4. Io sono vivo/a.
5. Io sono vita.
Rimani focalizzato sulla percezione
che ogni affermazione provoca in
te e insisti fino a che non
percepisci ciò che ripeti come
qualcosa di assolutamente vero e
reale e riesci a sostenere questa
percezione. Alcune volte saranno
sufficienti pochi minuti (3 per
esempio), mentre altre volte non
basteranno 15 minuti. Il consiglio è
di iniziare con almeno 3 minuti
consecutivi per ogni punto e di
arrivare fino a 15 minuti
consecutivi per ogni punto, per
una pratica totale di circa un’ora e
mezza. Durante l’esecuzione,
soprattutto nelle prime fasi,
potranno manifestarsi molte
distrazioni: pensieri, pruriti,
bruciori, resistenze. Si dovrebbe
persistere e andare oltre tutte
queste manifestazioni transitorie,
rimanendo fermamente
determinati nella percezione di
quello che si dice fino a che non si
manifesta chiarezza assoluta. La
condizione ottimale è quella in cui
si è completamente a proprio
agio, senza più distrazioni che
infastidiscono e si è totalmente
focalizzati nella percezione di
quello che si sta ripetendo.
Quando viene eseguita
correttamente questa pratica
produce una espansione nelle
percezioni, lucidità mentale,
autoconsapevolezza, una intensa
presenza e permette al campo
mentale ed emozionale di
diventare cristallino e pulito. La
postura da mantenere durante la
pratica è quella eretta, con la
spina dorsale perpendicolare al
suolo, gli occhi aperti e il corpo
rilassato.

Questo esercizio, man mano che si


realizzano le affermazioni più elevate,
permette di sperimentare un processo di
defocalizzazione, fino ad arrivare
all’esperienza di piani di percezione
sempre più ampi e impersonali. Questa
pratica ha come scopo ultimo quello di
far superare una percezione polare e
individuale della realtà e far accedere
all’esperienza della percezione unitaria
e impersonale dell’esistenza. Nel corso
della sperimentazione si possono
verificare molti effetti collaterali
interessanti e utili alla comprensione del
perdono:
la capacità di defocalizzare e
avere una visione più ampia delle
cose. Significa essere capaci di
vedere nelle ombre della nostra
esistenza la testimonianza della
presenza della luce. Dietro ai
periodi apparentemente oscuri e
sofferenti c’è sempre un
insegnamento e la creazione di un
nuovo equilibrio.
La capacità di disidentificarsi da
ciò che si crede di essere e dai
vissuti, sia dolorosi che
piacevoli. Con la pratica costante
si accresce notevolmente la
capacità di gestire le emozioni, le
situazioni che hanno forte carico
emozionale e le compulsioni.
La capacità di espandere la
percezione di se stessi e
sperimentare nuove aree della
coscienza.
Capitolo 8

Le regole del perdono

La regola della proiezione


utti proiettiamo delle immagini di
T noi stessi a seconda del contesto in
cui ci troviamo. Queste immagini ci
permettono di interagire con la realtà
utilizzando il lato di noi che riteniamo
più appropriato. Nella Figura 9 (p. 140)
il parallelepipedo tridimensionale
rappresenta noi stessi. Nel piano A
viene proiettata un’immagine di ciò che
siamo, che appare come un rettangolo.
Nel piano B invece ciò che appare è un
quadrato. A seconda del punto di
osservazione appariamo differenti.
Sarebbe limitante e illusorio definire la
figura geometrica tridimensionale come
un quadrato solo perché si osserva da
una prospettiva che falsa la realtà delle
cose. Molte persone si convincono che
ciò che vedono e percepiscono sia
l’unica possibilità e per questo si
fissano su quell’idea e la difendono con
forza. Conosco un avvocato che, a
seconda del contesto in cui si trova,
mostra una prospettiva diversa di sé: in
famiglia apprezzano la sua intimità e
disponibilità, lo vedono come un padre
benevolo, permissivo e premuroso,
incapace di essere severo con i propri
figli. Con gli amici quest’uomo proietta
il suo lato comico e si trasforma in un
simpatico trascinatore, capace di far
ridere le persone per un’intera serata.
Nel lavoro invece è addirittura temuto,
rinomato per la sua freddezza. Quando
persone diverse si incontrano e parlano
di lui si chiedono spesso: «Ma stiamo
parlando della stessa persona?». Chi è
quest’uomo? Quale di queste prospettive
è quella giusta? Tutte e nessuna, per il
fatto che sono solo delle proiezioni di
una forma tridimensionale più
complessa.
Figura 9
Il concetto di proiezione va al di là di
questo semplice esempio: tutti
proiettiamo all’esterno per poterci
specchiare, conoscere e migliorare.
Sempre, in tutti i casi, proiettiamo sulle
altre persone e sulle situazioni una parte
di noi, perché in questo modo ci è
possibile sperimentare differenti
espressioni del nostro essere. Lo
facciamo costantemente, fino al punto in
cui dimentichiamo che ciò che vediamo
è solo uno specchio. A volte questo
specchio ci irrita terribilmente, perché
non vogliamo vedere quella parte di noi.
Allora rifiutiamo quello che ci appare e
lo attribuiamo all’altra persona o alla
situazione che viviamo. Scaricare questa
responsabilità all’esterno ci permette di
rimandare il cambiamento, la crescita e
soprattutto di dover affrontare parti sco-
mode e oscure di noi stessi.
Comprendere che proiettiamo
costantemente all’esterno per conoscerci
vuol dire iniziare a prendere coscienza
di essere totalmente responsabili di ciò
che vediamo, sentiamo, facciamo e
proviamo. Il mondo, da questo punto di
vista, inizia ad apparire come un mezzo
per poterci conoscere realmente, per
poter migliorare costantemente e si
trasforma in una potente opportunità di
crescita. Seguendo queste riflessioni
risulta più facile interiorizzarsi e
scoprire che l’origine di ogni cosa è
interiore.

Da bambino giocavo…
Ricordo una volta, da bambino, in cui
giocavo con una piccola roulette insieme
a mio cugino e a un amico. L’effetto che
io e mio cugino facevamo a questo
bambino era radicalmente diverso.
Mentre lui risultava simpatico e
piacevole, io gli risultavo
insopportabile. Questo fatto mi
dispiaceva molto e quindi mi impegnavo
ogni volta di più per essere accettato. I
bambini vivono intensamente il dramma
del rifiuto. Ricordo che iniziando il
gioco mi proposi per fare il croupier. La
reazione di Paolo (così si chiamava il
bambino) fu brutale: si oppose
spietatamente alla mia proposta, dicendo
che se avessi avuto quel ruolo, lui non
avrebbe giocato e che sarebbe rimasto
solo se lo avesse fatto lui. A quel punto
fu mio cugino a proporsi come croupier.
Paolo, con mio assoluto stupore, accettò
di buon grado. Manifestai apertamente
lo sconcerto che provavo obiettando:
«Ma come, hai appena detto che se non
lo facevi tu te ne saresti andato? Perché
se lo fa lui va bene e se lo faccio io
no?». Non mi seppe rispondere,
rimanendo quasi imbarazzato di fronte
alla paradossale evidenza delle mie
considerazioni. La stessa identica
affermazione fatta da due individui
diversi causa una reazione differente
nelle persone e nelle situazioni. Da che
cosa dipende? Ciò che vediamo e
percepiamo all’esterno, nelle persone e
nelle cose, è sempre una nostra
proiezione, una parte di noi stessi. Ciò
che vediamo e percepiamo all’esterno
può essere cambiato lavorando dentro di
noi. Noi creiamo la nostra realtà sulla
base di ciò che proiettiamo all’esterno e
di come questa proiezione viene
interpretata dagli altri, a seconda delle
situazioni. Come possiamo fare per
iniziare a diventare consapevoli di
essere totalmente responsabili di ciò che
viviamo? Prendiamo in considerazione
la sofferenza nel mondo. Chiediti: come
faccio a esserne responsabile? E di un
bambino che soffre in Africa? Adesso
chiudi gli occhi e percepisci, in questo
momento, dov’è nel tuo corpo la
sofferenza del mondo. Percepisci dove
la senti dentro di te, come si muove, se ti
chiude lo stomaco o se appesantisce
un’altra parte del tuo corpo; e respira,
profondamente, ascoltando senza
giudizio e restando con quella
percezione fino a che quella carica di
energia cessa di essere così pesante e
smette di esercitare su di te una
pressione così grande. Mentre respiri,
lascia che la tua attenzione resti
concentrata su questa carica di energia.
Dopo qualche momento dovresti notare
che la tua percezione è cambiata. La
sofferenza del mondo si è trasformata in
una occasione per ascoltarti. Ti stai
interiorizzando, stai portando dentro di
te quel vissuto: se prima l’oggetto di
attenzione della tua mente era la
sofferenza del mondo, adesso è
diventato la tua percezione della
sofferenza del mondo. Il focus è centrato
nel come percepisci e non più nel fatto
in se stesso. A questo punto puoi iniziare
a trasformare questa percezione in
consapevolezza. Inizia a respirare
profondamente, immaginando che a ogni
inspirazione il calore e la luce possano
raggiungere quella forma dentro di te,
nel tuo corpo e gradualmente, a ogni
espirazione fai in modo che quella luce
si espanda fino a che non avrà
trasformato la forma in luce stessa. In
quella luce, mentre si espande, potrai
percepire delle qualità specifiche come
perdono, amore, gioia e prosperità. A
questo punto il processo di
trasformazione sarà effettuato. Che cosa
è cambiato rispetto a prima? Tutto e
niente, ma la cosa più importante è che
tu sei diverso, gradualmente più vicino a
un sole, capace di portare luce, amore e
vita dentro e fuori da te stesso.
Ciò che cambia è la tua attitudine
rispetto al problema: lo vivi
diversamente, con più pace e
consapevolezza, perché un sistema
solare con la luce al centro si è
sviluppato dentro di te. Questo ti
permette di affrontare diversamente le
situazioni esterne: per esempio avrai più
lucidità per decidere di compiere
un’iniziativa umanitaria, per aiutare il
tuo vicino di casa o un amico. In
definitiva sarai più centrato e questa
nuova prospettiva ti offrirà la possibilità
di cambiare il tuo modo di essere e di
agire. È plausibile che sia più adatto ad
affrontare la sofferenza del mondo chi è
capace di trovare pace dentro se stesso
rispetto a chi vive una colpa e un peso
profondo. Se vuoi ripulire il mondo
inizia dalla tua camera da letto. Le
persone amano maggiormente stare con
chi è capace di trovare la luce dentro se
stesso e di portarla all’esterno, per
illuminare il mondo attraverso un
sorriso, un abbraccio e una profonda e
reale disponibilità. Che cosa muove
realmente le persone? Perché le persone
fanno ciò che fanno? Che cosa le
spinge? Ci sono tante persone che danno
l’elemosina per non sentire il proprio
senso di colpa profondo. A motivarle
non è realmente l’amore o la
compassione: pagano per non sentirsi in
colpa. Sanno che dando quei soldi
l’immagine di povertà e di disagio che
le molesta scomparirà dalla loro vista.
Sono poche invece le persone che danno
per amore. Ti sei mai chiesto che cosa
stai realmente facendo dando quei soldi
a un mendicante? Lo stai pagando per
esercitare quella professione! In realtà
tu stai alimentando quella condizione,
perché sai che lui continuerà a fare
l’elemosina se scopre che è un modo per
guadagnare denaro. Se vuoi aiutarlo
veramente chiediti di che cosa ha
veramente bisogno per uscire da quella
situazione. Offrigli la tua disponibilità
reale. Non pagarlo solo perché vuoi che
si tolga di mezzo e sparisca dalla tua
visuale. Ha bisogno di cibo? Allora
dagli cibo. Ha bisogno di un lavoro?
Allora procuragli un lavoro. Molti
mendicanti non hanno intenzione di
cambiare il proprio stato. È
sconvolgente constatare personalmente
come alcune persone si affezionino alle
condizioni di sofferenza a cui si legano.
Ma ancora più assurdo è vedere come si
comporta chi fa l’elemosina. Molto
spesso si sente dire: «Poverino, guarda
questo pezzente, gli do qualche
spicciolo». Poverino? Pezzente? Di chi
stiamo parlando? Prendiamo
nuovamente in considerazione la
proiezione e la responsabilità. Centrati e
comincia a percepire ciò che senti
dentro di te e trasforma la colpa e la
sofferenza in consapevolezza. Il mondo
inizia a cambiare dentro di te; ciò che
vedi fuori è il riflesso della luce che
porti dentro. Se consideri che tutto è una
proiezione di ciò che hai dentro allora
può accadere qualcosa di straordinario
nella tua coscienza: il mondo che vedi
diventerà una modalità per essere
sempre più consapevole. Perché
consideri quella persona un poverino?
Dove e quando senti di essere poverino?
Senti che cosa ti dice lo straordinario
strumento che hai a disposizione: il tuo
corpo. Il tuo corpo dà una collocazione
concreta a ciò che senti. Questa
chiarezza ti dà il potere di individuare e
trasformare le tue percezioni, divenendo
sempre più consapevole di te stesso.
L’esterno dipende dall’interno. Se senti
dolore porterai, in qualche livello,
dolore. Se senti rabbia, è rabbia che
porterai. Bisognerebbe divenire capaci
di essere sempre interiormente presenti
nell’esterno.
La prima responsabilità che ha un
essere umano è quella di trovare la
felicità dentro se stesso, per poi poter
essere in grado di donarla all’esterno.
Non possiamo dare ciò che non
abbiamo. Il secondo passo consiste
nell’osservare dal punto di vista del
sole le persone che stanno vivendo un
grande disagio. Non sto scherzando, ho
proprio detto “punto di vista del sole”.
Il punto di vista del sole è una
prospettiva rivoluzionaria, capace di
darci una nuova e più appagante visione
dell’esistenza. Da questa prospettiva
non esiste un superiore e un inferiore,
una persona che sta meglio e una che sta
peggio. Dal sole tutto cambia. Inizio a
considerare l’individuo come un essere
straordinario che ha deciso di evolversi
attraverso quell’esperienza, per mezzo
del dolore. Non penso più a una persona
come a “poverino”, ma mi sento vicino a
lei, perché, se considero che è
totalmente responsabile di ciò che le
accade, nasce in me un grande rispetto.
Guardo un essere spirituale, una parte
della creazione, un raggio di luce che ha
deciso di apprendere in questo modo.
Quando da questa considerazione nasce
l’esigenza spontanea di aiutarlo, si
manifesta la vera compassione, che non
vuol dire “patire con”, cioè vivere la
sofferenza dell’altra persona, ma vivere
“con passione” insieme all’altra
persona; quella passione che viene da
una consapevolezza elevata, e capace di
dare reale conforto alle persone.
Smetterò quindi di considerare la
persona inferiore o incapace o
disadattata, e la vedrò come un essere in
evoluzione, che sta passando attraverso
una determinata esperienza per
comprendere qualcosa di importante.
Questo è un livello di rispetto superiore,
che si esprime attraverso una dignità
svincolata dal concetto di sofferenza.
Anche vivere con sofferenza la propria
condizione è una responsabilità
individuale. Ci sono diversi mendicanti
che vivono bene la propria condizione e
sono capaci di apprezzare la vita meglio
di alcuni ricchi che sono perennemente
depressi, impasticcati e arrabbiati col
mondo.
Il peso della propria condizione a
volte spaventa, viene rifiutata per il fatto
che sembra più comodo scaricare la
responsabilità della propria vita
all’esterno: al governo, alle tasse, alle
persone e alle situazioni.
Considera l’affermazione: «Quello mi
ha fatto arrabbiare». Che cosa contiene
questa frase e quale punto di vista
esprime? Esiste un tizio che ha fatto
qualcosa che mi ha fatto arrabbiare. La
mia rabbia dipende dunque da un fattore
esterno, da qualcuno che pare abbia il
potere di farmi arrabbiare.
Riassumendo: là fuori nel mondo c’è
qualcuno che ha potere su ciò che provi,
capace di determinare una tua emozione.
Se così realmente fosse, il primo
impulso coerente con ciò che provi
sarebbe quello di picchiarlo o
addirittura di ucciderlo, perché potrebbe
spaventarti l’idea che esista qualcuno
che abbia potere sulle tue emozioni.
Ecco il seme del conflitto. Adesso
proviamo a vedere la stessa cosa da un
differente punto di vista, applicando il
principio della responsabilità e della
proiezione. Che cosa cambia? Cambi tu,
la consapevolezza che hai di te e il
potere che hai sulla realtà che crei. Se
consideri che sei assolutamente
responsabile di ciò che senti allora per
un istante smetti di concentrare la tua
attenzione sull’altra persona e
focalizzati dentro di te, iniziando a
percepire il punto nel corpo in cui senti
la rabbia. In quel preciso istante togli
all’altra persona il potere sulle tue
emozioni e, cercando questa origine in
te, la cambi e la trasformi, in modo da
poter affrontare nella maniera migliore
la situazione esterna. Se applichi
profondamente questo processo, la
persona che hai davanti probabilmente
reagirà in maniera differente. Ecco il
seme della pace.
Ho vividamente impresso il ricordo
di un viaggio in auto con un’amica,
durante il quale, a causa di una
discussione, ci siamo arrabbiati
ferocemente. Ero talmente alterato che
stavo per fermarmi e lasciarla a piedi.
Mi sentivo insultato, non rispettato e per
di più deriso. Ero su tutte le furie. Ho
provato a tacere ma la situazione era
insostenibile. Più tacevo e più ribollivo,
per poi esplodere nuovamente. In quel
momento ho dovuto decidere quale
impulso assecondare: sfogarmi e
travolgere tutto o reprimere
quell’impulso e tenermi tutto dentro? Ho
scelto la terza possibilità: applicare il
modello solare. Ho cominciato a
respirare e ad ascoltare il mio corpo,
mentre lei urlava. Più urlava e più mi
concentravo in me stesso, riconducendo
tutto a una percezione interiore. Ho
continuato imperterrito, fino a che
l’emozione / rabbia non ha lasciato
definitivamente la presa. Solo in
quell’istante ho cominciato a
visualizzare una luce interiore che si
espandeva nella zona dove sentivo il
blocco emozionale. Più la luce si
espandeva e più sentivo la realtà
armonizzarsi profondamente. Mentre
succedeva ciò, la mia amica si calmava
gradualmente, fino a entrare in un
silenzio pacifico. Quando (dopo circa
dieci minuti) ho terminato il processo,
mi sono girato e guardandola le ho
rivolto un sorriso. Lei mi ha abbracciato
serena senza la necessità di dire,
commentare o giustificare alcunché.
Attraverso il principio della
proiezione riconosco che la persona che
mi sta facendo arrabbiare è solo uno
specchio, una parte di me che mi sta
offrendo la possibilità di conoscermi e
migliorarmi. Che grande opportunità.
Questo non vuol dire che non devo
assolutamente arrabbiarmi, ma che ho
una nuova possibilità di vivere le cose.
A volte arrabbiarsi fa bene, perché
permette di sfogare un’energia altrimenti
repressa. Ma arrabbiarsi
consapevolmente è meglio, per il
semplice fatto che in questo modo
ammetto la piena responsabilità di ciò
che provo; vedo con chiarezza nell’altra
persona solo uno specchio,
un’opportunità per migliorarmi e decido
liberamente di arrabbiarmi.
Nell’espressione di questa rabbia non ci
sarà niente di personale, al contrario
sarà un mezzo per stabilire maggiore
equilibrio. Quando parlo di
responsabilità durante i seminari o i
laboratori qualcuno a volte si risente.
Mi obiettano: «Ma il bambino del terzo
mondo che responsabilità ha di ciò che
gli accade?». Sembra quasi che il fatto
di considerarsi totalmente responsabili
di ciò che si vive sia inumano e
provocatorio. Sinceramente non è mia
intenzione vendere una verità; voglio
semplicemente offrire un punto di vista,
una delle infinite possibilità che si
hanno a disposizione.
Questa è solo una prospettiva. Guarda
il mondo da questo punto di vista e senti
che cosa succede e che cosa cambia.
Verifica se questo enorme puzzle che
chiamiamo esistenza si sistema meglio,
secondo un senso più autentico. Non
voglio entrare nel merito della storia di
quel bambino, né tanto meno, pur
considerandolo responsabile di ciò che
vive, ometto di aiutarlo o di fare
qualcosa per lui. Semplicemente lo
lascio libero di manifestare ciò che è,
considerandolo degno di esistere come
una coscienza illimitata che crea la
propria realtà. Prendo atto che sta
passando attraverso quell’esperienza
per comprendere qualcosa che
probabilmente mi sfugge. Se decido di
aiutarlo lo faccio non perché provo pena
per lui, ma perché lo amo e decido di
mettermi a sua disposizione, allo scopo
di fargli vivere questo momento nel
migliore dei modi. Quel bambino è
prima di tutto un’anima che sta vivendo
quell’esperienza per comprendere
qualcosa. Ciò non toglie che io possa
fare di tutto per alleviare la sua
sofferenza. Che cos’è cambiato rispetto
a come vedevo il mondo prima? La mia
consapevolezza.
Da che cosa sono spinte le persone a
fare ciò che fanno? Quanta gente compie
azioni per paura e non per amore. In
realtà, scavando nel profondo del tuo
animo, quante cose fai per paura?
Quando cammino per la strada a volte
guardo le persone e mi domando perché
fanno ciò che fanno. Quante persone
fanno sport per paura di invecchiare o di
ammalarsi, quante donne si truccano per
paura di essere brutte, quanti stanno in
coppia per paura di stare soli e non per
vero amore. Quante persone lavorano
per paura di non poter mangiare e quante
lavorano per paura di perdere il lavoro.
È libertà questa? Trovatemi una persona
che fa qualsiasi cosa solo per amore.
Questa persona è libera e non è
possibile manipolarla in alcun modo. Le
sue azioni dipendono dall’amore che
sente e non dalla paura di perdere
qualcosa, o di essere rifiutata, o
abbandonata e così via.

Prendiamo come modello il sole


Il sole illumina senza un perché, senza
aspettarsi niente in cambio dalle cose e
dalle persone. Dona la sua natura a tutti
indistintamente, senza condizione. Per
comprendere meglio le cose abbiamo
bisogno di esempi e modelli semplici,
come il sole. Anche il sole è una tua
proiezione, uno specchio nel quale
poterti guardare per ritrovare la tua
natura di luce e di centro. La regola
della proiezione ti spinge a trovare in te
ciò che senti mancare all’esterno: se tu
non senti amore è perché non ne stai
dando, se non senti gioia è perché non
porti gioia. In effetti questo modo di
vivere le cose ti sospinge a cercare
profondamente dentro di te senza
scaricare la responsabilità all’esterno;
cercando dentro puoi scoprire una cosa
molto importante: che l’origine vera di
ogni cosa è interiore.
Se vuoi pace cercala prima di tutto
dentro di te. Se cerchi amore trovalo
dentro per poterlo donare. In questa
ricerca prima o poi, se ti applichi con
sincerità, trovi l’origine interiore delle
cose. Se vuoi veramente dissetarti devi
necessariamente trovare la fonte
interiore. Colui che ricerca trova la sua
dimensione autentica quando scopre
come trovare costantemente. Questo è un
paradosso apparente: il ricercatore
autentico è colui che trova
costantemente.
Prendi in considerazione un’emozione
o un pensiero come una carica
energetica capace di modificare la
materia. Questo è ciò che in realtà
avviene sempre. Pensa alla postura delle
persone: è per buona parte il prodotto di
ciò che pensano e sentono. Un timido
cronico avrà un atteggiamento corporale
chiuso. Camminerà con le spalle basse,
le braccia saranno spesso conserte e
anche le ossa tenderanno a chiudersi per
proteggersi. Questo è un esempio di
come il corpo si modifichi a seconda di
ciò che pensiamo. Alla base della
timidezza ci può essere un pensiero,
come ad esempio: “Sono sbagliato”, o
un’emozione come: “Ho paura di essere
ferito”. Pensa adesso a una persona che
ha radicato in sé il pensiero: “Non sono
all’altezza”. Questo pensiero potrebbe
influenzare fortemente le sue scelte,
come per esempio quella lavorativa.
Questa persona, credendo di non valere,
avrà la tendenza a non cercare un lavoro
competitivo che sia pienamente
appagante, ma tenderà ad accettare la
prima cosa che le verrà offerta perché
magari farà la riflessione: “Meglio che
mi accontenti subito piuttosto che
rischiare di fallire”. Anche questa
considerazione sarà influenzata dai
pensieri in lui radicati. Continuiamo
nella storia: questo signore accetta un
lavoro in banca, dove però si sente
frustrato, ma non osa cambiarlo o farsi
valere perché tanto “non è all’altezza di
farlo” e così facendo accumula
ripetutamente rabbia dentro di sé.
Questa rabbia col tempo lo fa
deprimere, perché non riesce a dare
sfogo alla sua creatività e alle sue
aspirazioni e dunque la sua energia
vitale si riduce e iniziano a manifestarsi
nel suo corpo i sintomi del disagio, sotto
forma di gastriti. Secondo la visione
psicosomatica questa persona sta
semplicemente manifestando una
condizione stressante a livello fisico.
Supponiamo che il nostro amico
perseveri in questa situazione. È
possibile che il suo problema peggiori
in un’ulcera. Questo disagio finale è il
prodotto dei suoi pensieri, che hanno
influenzato le sue scelte e la sua energia
vitale, fino ad arrivare al corpo fisico. Il
suo corpo gli aveva segnalato dapprima
il disagio che stava vivendo, attraverso
una gastrite, ma lui non aveva gli
strumenti né la consapevolezza per
comprendere come una sua struttura
mentale potesse determinare la sua
realtà. Avere consapevolezza vuol dire
anche essere in grado di cambiare la
struttura mentale, emozionale, vitale e
fisica. Consideriamo quindi le emozioni
e i pensieri come cariche energetiche
capaci di modificare la materia, e
utilizziamo il nostro corpo come
segnalatore per individuare il luogo e la
forma in cui si manifestano. Se
adottiamo per un momento il punto di
vista del sole e osserviamo
un’emozione, smetteremo di
considerarla positiva o negativa, ma
apparirà semplicemente come un mezzo
per avere più cognizione di se stessi. In
quel momento potremo applicare un
processo interno di trasformazione.
Questo è ciò che dovrebbe fare un
alchimista: usare il suo corpo come
forno alchemico (Athanor), per
trasformare i metalli pesanti (emozioni,
pensieri ed energia vitale) in oro
(consapevolezza). Quando vivi
un’emozione pesante (rabbia, odio ecc.)
o una compulsione, ricordati di questo
esempio e fermati: inizia a respirare,
localizzando in quale parte del tuo corpo
si manifesta questa carica di energia che
ti sta dominando. Individuala e senti
com’è, senza assecondarla, ma
semplicemente respira coscientemente
mentre la osservi. Non importa quanto
tempo ti occorre per fare questo;
potrebbero bastare pochi secondi o
molti minuti. Continua fino a quando non
riesci a osservarla in modo distaccato:
in quel momento la carica di energia
avrà lasciato la presa su di te e tu potrai
iniziare a trasformarla mediante la
respirazione. Non importa se ti sembrerà
di immaginare tutto, rimane il fatto che
tu sai perfettamente come cambiare una
forma di energia in un’altra
semplicemente perché lo fai
costantemente, anche se probabilmente
non sei cosciente: trasformi il pensiero
in azione, il desiderio in reazioni
chimiche, le emozioni in un
atteggiamento.
Ognuno di noi modifica la materia
costantemente ed è capace di cambiare
il mondo esterno in tutti i suoi aspetti.
Immagina di essere arrabbiato con una
persona al punto da odiarla. Se ti ascolti
e inizi a trasformare ciò che senti, man
mano che l’energia bloccata nelle
emozioni e nei pensieri di rabbia si
libera, si produce in te benessere e
leggerezza. Diventi leggero fino al punto
di essere grato a quel problema, perché
è stato un mezzo attraverso cui sei
riuscito a stare così bene. Così facendo
il tuo punto di vista cambia: non vedi
più il problema, ma un’opportunità che
ti ha permesso di comprendere qualcosa.
Il problema si è trasformato in mezzo: la
tua attitudine è cambiata. Questa
trasformazione nella tua coscienza
influenzerà inesorabilmente anche il
mondo che ti circonda e le situazioni che
vivi troveranno un nuovo equilibrio, che
nascerà da dentro di te.

3° PASSO
LIBERA L’ENERGIA
BLOCCATA

Il corpo: la Mappa del


Perdono Diventa
consapevole che
l’energia ha un
andamento ciclico e che
ogni fase ha un dono
per te
Tecnica
Questo approccio rappresenta
un’introduzione alla tecnica vera e
propria, a cui ho dato il nome di
“Perdono Ciclico” e che viene
insegnata durante le formazioni e i
laboratori di Life Designer sul
perdono. La chiave di questo
approccio al perdono è quella
energetica. Il metodo consiste
nell’utilizzare il proprio corpo come
mappa del perdono, tracciando un
percorso attraverso il quale
liberare la propria energia e il
proprio potere. Questo approccio
risulta molto efficace nel caso di
tensioni, posture squilibrate,
irrigidimenti e somatizzazioni. La
sua facile applicazione la rende
ideale per essere utilizzata in ogni
momento e in ogni situazione.

1. Senti cosa vuoi perdonare


(una persona, una
situazione, un’emozione
che stai provando, un
conflitto ecc.).
2. Senti dov’è localizzato nel
tuo corpo ciò che provi (ci
sarà una parte del corpo
che ti invia un segnale).
3. Appoggia una mano in
quella parte del corpo.
4. Inspirando profondamente
pronuncia la parola:
PERDONO.
5. Mentre espiri
profondamente e
naturalmente rilassa la
mano e lascia andare
(libera attraverso il dono)
la sensazione che sentivi.
6. Rilassati e ascoltati mentre
esegui alcuni respiri e senti
se sono rimaste altre
sensazioni o la stessa.
7. Ripeti il procedimento fino
a quando non avverti un
cambiamento (liberazione,
leggerezza, distacco,
pace, più tranquillità,
centratura ecc.).

Utilizzando questa tecnica si segue


l’andamento dell’energia nel corpo. Le
emozioni, i pensieri e le energie che
viviamo vengono somatizzati nel corpo,
che li registra attraverso la memoria
cellulare. Diventare consapevole di
questi percorsi e utilizzare il perdono
per purificare queste aree è di grande
beneficio per l’equilibrio generale e per
liberarsi dai pesi che non ci permettono
di vivere con leggerezza. Tutte le
energie distorte che sono state generate
inconsapevolemente e che incatenano
alla sofferenza verranno trasformate
profondamente e integralmente. Durante
questo perdono ciclico è necessario
aprirsi al significato intimo del
ringraziamento e della volontà di
liberarsi e di perdonare. Nella tecnica si
ringrazia per gli insegnamenti ricevuti e
per tutto ciò che è stato, si da il
permesso affinché ogni cosa accaduta
venga liberata e infine si compie il dono
(per-dono) vero e proprio.

L’origine del conflitto


Le regole della proiezione e della
responsabilità offrono nuove prospettive
e molti vantaggi. Uno di questi risiede
nel fatto che attraverso esse è possibile
dare una spiegazione completamente
differente all’origine dei conflitti,
esterni e interni. Se si considera il
mondo esterno responsabile di ciò che
viviamo e che sentiamo, allora si
cercherà di cambiarlo per poter vivere
meglio. Niente di più complicato. Se
invece si considera “l’interno”
responsabile di ciò che ci accade e di
ciò che si vive, inizieremo a cambiare
noi stessi e di conseguenza l’esterno
cambierà. Il conflitto si crea quando
coesistono due immagini, una interna e
l’altra esterna, che sono in
contrapposizione tra loro. Da una parte
ci sono ciò che pensiamo e che
crediamo, dall’altra c’è ciò che
crediamo di vedere davanti a noi. Se
queste due cose sono in antitesi,
potrebbe originarsi un conflitto. Per
risolverlo si hanno diverse opzioni:
cambiare gli altri, rinunciare o cambiare
noi stessi.
Molte persone hanno un’immagine
interiore di come dovrebbe essere la
coppia ideale: innamorata, fedele,
prospera, ricca e felice. Esternamente
però non si è in grado di riprodurre o
concretizzare questa immagine e allora
si inizia a vivere un conflitto
determinato da questo contrasto. A
questo punto si potrebbe scaricare
all’esterno la responsabilità di ciò che
viviamo, proiettando l’impotenza e la
frustrazione sul partner: è colpa sua, non
ci soddisfa, è addormentato, non è
intraprendente, non è capace di sentire
le nostre esigenze. Queste
considerazioni potrebbero portarci a
rompere il rapporto e anche ad
arrabbiarci con l’altro sesso, che
pensiamo ci abbia deluso. Se si scarica
la responsabilità della nostra vita sugli
altri, allora non si avrà la possibilità di
vedere ciò che andrebbe migliorato in
noi. C’è però anche un secondo modo
per affrontare le cose: assumerci la
totale responsabilità di ciò che viviamo,
che sentiamo e che proviamo. L’altra
persona diventa così un mezzo per
comprendere come migliorarci dentro ed
essere in grado di creare una realtà
migliore. Dove sentiamo quei disagi nel
nostro corpo? Dove si originano? Che
cosa pensiamo realmente e perché
abbiamo scelto proprio quella persona?
Che cosa ci ha spinto veramente a
iniziare quella relazione? L’amore?
L’innamoramento? La paura di restare da
soli? Se iniziamo a lavorare su di noi,
vedremo l’esterno che cambia. O la
persona che abbiamo scelto si adatterà
alla nuova vibrazione o si allontanerà
naturalmente. Noi comunque inizieremo
a creare una realtà più prospera.
Assumersi la totale responsabilità non
vuol dire che gli altri non siano
responsabili delle loro azioni o che non
sia necessario agire all’esterno. Alcune
persone cadono nell’errore di
interpretare il principio della
responsabilità come una fuga dalle
proprie responsabilità. Iniziano dunque
a lavorare per cambiare se stesse e si
dimenticano completamente del mondo
esterno, non facendo nulla per mettere in
pratica le realizzazioni interiori.
Questa è una fuga dalle proprie
responsabilità. Ogni realizzazione e
presa di coscienza deve tradursi in un
atteggiamento equilibrato, capace di
cambiare le cose e dev’essere
spontaneamente messo a disposizione
degli altri. La mancanza di coerenza tra
realizzazioni interiori e comportamento
è uno squilibrio che è importante
riconoscere ed evitare. Comprendere di
essere completamente responsabili è un
passo importante per essere coscienti di
creare i pensieri, le emozioni e le
situazioni. Se sono gli altri i
responsabili di ciò che proviamo, che
sentiamo e facciamo, sarà difficile
cambiare perché per farlo dovremo
cambiare gli altri. Questo è lo stato in
cui si trova buona parte delle persone,
convinta che per cambiare il mondo si
debbano cambiare gli altri. Cambiare gli
altri per stare meglio è una strada
pericolosa. L’alternativa è ammettere la
totale responsabilità individuale e
cambiare se stessi. Un detto taoista
recita: «Il saggio lavora su di sé e il
mondo cambia. Si conosce e le persone
si illuminano, si eleva e vede tutto il
mondo illuminato». Ognuno di noi, che
lo ammetta o no, non può fare
assolutamente nulla per gli altri se questi
non vogliono. Quindi non resta che
iniziare a lavorare su se stessi per
migliorarsi, crescere e comprendersi.
Quando questo avviene con sincerità
tutti migliorano. Molte persone sfogano
le proprie frustrazioni convinte in questo
modo di aiutare il mondo a diventare un
posto migliore: adottano un bambino a
distanza per poi picchiarsi col vicino di
casa per problemi di condominio. Se si
vogliono produrre mutamenti importanti
e sensibili è necessario iniziare da
dentro se stessi. Non si dovrebbe
cominciare avendo la pretesa di
cambiare gli altri. Il primo passo è
cambiare il nostro stato. Esistono molti
casi in cui lavorando dentro se stessi si
è stati in grado di determinare un
profondo riequilibrio su un’altra
persona, anche a livello fisico.
Alcuni anni fa feci un esperimento con
un amico che soffriva di insonnia. Gli
chiesi di parlarmi del suo problema e
mentre lo descriveva iniziai ad ascoltare
me stesso e le mie sensazioni. Poco
dopo sentii pesantezza nella zona della
cervicale, in quel punto visualizzai una
massa grigia e pesante, che
rappresentava la sua insonnia. Avvertivo
la sua insofferenza e rassegnazione,
l’impotenza e il fastidio per la sua
condizione. Mentre avvertivo questo
fastidio, focalizzai l’attenzione sulla
consapevolezza di me stesso: percepii
attentamente la mia presenza in ogni
emozione, sensazione, suono e
cambiamento di stato, fino a che ogni
cosa diventò semplicemente un mezzo
per farmi divenire più cosciente. In quel
momento scomparve la percezione di
una realtà separata da me: io e il mio
amico, il suo problema e la mia
percezione di esso, si fusero nella pura
coscienza di essere. In questo stato
lasciai fissa la mia attenzione sulla parte
del corpo che prima sentivo appesantita,
visualizzando una luce che ogni volta
che inspiravo si proiettava in quella
zona e ogni volta che espiravo si
espandeva in tutto il volume di
quell’area. Quando ebbi la certezza di
aver illuminato ogni sensazione,
terminai il processo chiedendo: «Come
stai?». L’amico rispose che stava bene e
che non aveva avvertito nessun
cambiamento rilevante. Dopo alcuni
giorni mi chiamò per dirmi che la sua
insonnia se n’era andata; non sapeva
come ciò fosse stato possibile, ma
quello che importava era che riusciva a
dormire bene. Che cosa avvenne? La
coscienza dell’essere umano può
espandere la percezione di se stessa fino
a divenire impersonale ed essere in
grado di produrre dei cambiamenti
laddove prima era impensabile: io sono
Daniel – ma prima di essere Daniel,
sono un uomo – ma prima di essere un
uomo, sono un essere umano – ma prima
di essere un essere umano, sono un
essere, cioè sono vivo – ma prima di
essere vivo, sono vita.
Consapevolezza di essere esistenza
Consapevolezza di essere vivo
Consapevolezza di essere umano
Consapevolezza di essere un uomo /
donna
Consapevolezza di essere Daniel.

A partire dalla piena realizzazione di


essere esistenza tutto diventa
assolutamente impersonale. La
coscienza non si identifica più con
qualcosa di limitato, ma assume
dimensioni infinite. Quando questa
consapevolezza diviene reale, nella
persona si sviluppano delle nuove
abilità e un nuovo modo di vedere e
sentire. Non c’è bisogno di convincersi
e non è un processo legato al dover
credere o alla fede, ma appartiene alle
nostre capacità percettive e cognitive.
Noi siamo vita, stiamo solamente
prendendo coscienza di una cosa che già
è. Se la tua coscienza si identifica
completamente con l’essere vita,
assumendo tutte le conseguenze di questa
nuova prospettiva, è in grado di operare
al di là dei limiti che prima credeva di
avere, divenendo capace di fare cose
prima ritenute impossibili.

Una questione di prospettiva


Ciò che è assolutamente giusto per te,
potrebbe invece risultare completamente
sbagliato per un’altra persona. Ogni
cosa dipende dal punto di vista
attraverso il quale interpretiamo il
mondo.

Prendi in considerazione un Paese in


cui l’adulterio viene punito con la
lapidazione e un altro in cui invece
questo atto non ha alcun tipo di
conseguenze. Negli USA, il Paese
considerato da molti tra i più civili ed
evoluti, in alcuni stati è ancora in vigore
la pena di morte. Alcune tribù del
Brasile, quando catturano un nemico di
un villaggio vicino, prima lo integrano
nella comunità, nutrendolo e facendolo
accoppiare con le proprie donne, e poi,
dopo un anno, se lo mangiano vivo.
Alcune comunità eschimesi
abbandonano i vecchi da soli sopra un
iceberg quando non sono più
autosufficienti.
Che cosa è giusto o sbagliato? Tutte
queste cose dipendono da punti di vista
differenti, che tuttavia, secondo le
rispettive ottiche, fanno apparire queste
usanze assolutamente normali. Il
conflitto fra le persone nasce quando si
pretende che il proprio punto di vista sia
l’unico corretto. Si può avere ragione
senza la pretesa di avere ragione. Nella
pretesa di avere ragione è contenuto il
seme del conflitto. Nel processo del
perdono è necessario che l’individuo
smetta di focalizzarsi sulla pretesa di
avere ragione e sulla necessità di
trovare un giusto e uno sbagliato. Questa
attitudine è la condizione necessaria per
iniziare correttamente. Bisogna smettere
di focalizzare la propria attenzione sui
fatti esterni, su cui si tornerà alla fine
del processo, e concentrarsi su ciò su
cui possiamo avere un effetto immediato
e duraturo, e cioè il nostro interiore:
pensieri, emozioni, sensazioni,
impressioni, stati d’animo,
comportamenti, energie, convinzioni,
credenze, codici ecc.

Per entrare realmente nel processo


del perdono è necessario sospendere
completamente il giudizio su se stessi e
sul mondo. Bisogna adottare una
prospettiva che vada al di là
dell’interpretazione delle cose secondo
una visione geocentrica (duale e basata
sugli opposti giusto / sbagliato), e
permette di vedere con chiarezza le
cause reali che hanno determinato quella
condizione. Conoscendo queste cause si
ha consapevolezza di come si originano
le cose e si può, volendo, cambiarle
senza necessità di creare un conflitto.
Se ti hanno fatto un torto e ti arrabbi,
ti stai danneggiando due volte. Avendo
potere sulle tue emozioni è più
conveniente restare in una condizione in
cui non si producono emozioni
perturbatrici, per poter affrontare la
situazione con più centratura e
chiarezza. È per questo che il perdono è
considerato la miglior vendetta.
Il conflitto nasce quando si osservano
le cose da un punto di vista geocentrico
(polare), cioè quando ci sono in noi due
parti opposte che lottano tra loro per
affermare la propria ragione. Molte
tradizioni trasmettono un concetto di
realizzazione personale che contrappone
un ego a un Io; luce e ombra. Questa è
una tipica visione geocentrica della
conoscenza: la lotta tra bene e male.
L’ego, secondo queste correnti di
pensiero, è qualcosa da combattere, da
rifiutare: qualcosa che si oppone alla
propria realizzazione. Si origina quindi
nella persona una lotta tra ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato, o fra ciò che
è vero e ciò che è falso. Questa
attitudine crea una frattura interiore
profonda: l’individuo inizia a lottare
contro una parte di se stesso. Potrebbe
scegliere di amare e comprendere questa
parte, ma sceglie di farle la guerra, per
affermare il proprio potere. È il cane
che si morde la coda!
Dal punto di vista del sole
(eliocentrico) non esiste alba né
tramonto: non c’è niente da combattere o
rifiutare perché anche l’ego e gli impulsi
che lo dominano sono dei mezzi per
conoscere la propria natura. Non c’è
alcunché da combattere ma solo delle
opportunità per crescere e migliorarsi.
Durante un seminario una persona mi
chiese: «Durante una guerra un soldato
stupra una bambina e un operatore tv
continua a fil-mare senza intervenire. È
giusto non intervenire e continuare a
filmare?». Ho risposto: «Dipende dai
punti di vista. Magari in quel momento,
secondo l’operatore tv quella è la cosa
giusta da fare, mentre secondo te, in
questo momento è sbagliata. Secondo la
prospettiva della responsabilità la
bambina è responsabile completamente
di ciò che gli sta accadendo e ne
risponderà integralmente prima di tutto
con la propria coscienza, così come il
soldato e l’operatore tv. Noi non
sappiamo quale causa sta originando in
quella bambina quella situazione,
comunque, secondo l’ottica della
responsabilità, dobbiamo considerare
che ognuno è responsabile di ciò che gli
accade». La persona allora mi ha posto
un altro quesito: «Se la bambina fosse
tua figlia mi daresti la stessa risposta?».
Ho replicato così: «Dovrei vivere
quello che tu mi dici per poterti
rispondere. Questa è una prospettiva
molto personale. Se la bambina fosse
mia figlia probabilmente sparerei al
sodato e all’operatore tv, ma ragionando
con i “se” continueremo a parlare di
come cambiare punto di vista per
l’intero seminario. Il fatto di poter
vedere le cose dal punto di vista del
sole non vuol dire che diveniamo
impassibili a ciò che ci succede o che
camminiamo in questo mondo senza
provare emozioni. Siamo divinamente
umani. Però posso scegliere di vivere
gioie e dolori essendo consapevole di
essere vita. L’esperienza che deriva da
questa prospettiva dona profondità e
pace. Tutte le nozioni e le
consapevolezze che abbiamo acquisito
sono costantemente messe alla prova
nella vita quotidiana. È più importante
essere in grado di raggiungere una verità
o saperla vivere costantemente? Chi può
dire veramente come reagirei in una
situazione così forte? Una parte di me
prenderebbe sicuramente il sopravvento.
Un vero cattolico mi direbbe “perdona”,
un indù autentico mi direbbe che ciò che
vedo è un’illusione, un musulmano
integralista probabilmente impugnerebbe
la spada.
Quale di queste cose sarebbe quella
giusta? Dovrei vivere questa condizione
per dirti che cosa sentirei giusto in quel
momento. Io non so quello che farei, ma
posso dirti che cosa faccio adesso.
Adesso guardo la cosa dal punto di vista
del sole e cerco di essere il più
autentico possibile nel risponderti. Il
problema non è sapere come reagiresti,
o se sia giusto o sbagliato ciò che
accade; qui stiamo analizzando la cosa
da un punto di vista esterno ai fatti.
Posso dirti che sarei straziato dal dolore
se quella bambina fosse mia figlia, e che
probabilmente cercherei di gestire
questo dolore in qualche modo,
mettendo in conto di fallire. Ma mi piace
considerare quella bambina come un
essere infinito che si sta evolvendo
mediante un’esperienza che potrebbe
apparire brutale e inumana. Magari quel
soldato vede quella piccola creatura
come un nemico, simbolo di un popolo
che potrebbe sterminare la sua famiglia,
e dunque considerare giusto ciò che
compie. Tutto ciò potrebbe sembrare
assurdo, ma per lui è la cosa giusta. Noi
non siamo qui per decidere che cosa sia
giusto o sbagliato. Come reagire lo
sapremo nel momento del bisogno,
cercando, ognuno al meglio di sé, di
essere più centrato e autentico possibile.
Noi siamo qui oggi per andare al di là di
questa prospettiva e per comprendere
che oltre una visione duale esiste una
prospettiva differente, che contiene i
semi della nostra evoluzione. Il punto di
vista del sole ci offre semplicemente una
prospettiva. Sta a noi decidere come
utilizzare questo insegnamento, come
applicarlo e come viverlo. Se io ti do un
coltello forse me lo pianti nella pancia,
o forse tagli una torta e me la offri.
Come ognuno di noi utilizzerà gli
strumenti che ha a disposizione dipende
solo da lui e dalla sua coscienza. Con la
scoperta della scissione dell’atomo
hanno realizzato fonti di energia
inesauribile come la bomba nucleare.
Che cosa delle due è giusta o sbagliata?
Dipende da come si utilizzano le cose.
Per alcuni la bomba nucleare è stato un
mezzo per difendersi ed evitare
invasione e morte, per altri è uno
strumento di distruzione. Se ci perdiamo
nelle infinite prospettive, se continuiamo
a fare funzionare la nostra mente
utilizzando solo il punto di vista
geocentrico, allora non riusciremo mai a
godere degli spazi infiniti che ci dona il
punto di vista del sole. Sono qui per
offrirti una nuova prospettiva che,
probabilmente, come è stato finora per
molte le persone, ti permetterà di avere
più prosperità, pace, amore, equilibrio e
consapevolezza nella vita quotidiana.
Non credere che sia qui per venderti una
verità. Io ti dico semplicemente che
esiste una possibilità di vedere le cose;
fai ciò che credi di quest’informazione,
liberamente. Qui, in questo momento,
sono presenti tutte le risposte che cerchi.
Cerchiamo di restare nel presente».
Ricordo un episodio particolare a
proposito dello stare nel tempo
presente: durante una conferenza in
Spagna mi si è avvicinato uno sciamano
che, fissandomi profondamente negli
occhi, mi ha detto: «La profezia degli
esseri di luce mi ha confidato che tu sei
un messaggero del sole. Io leggo il
futuro. Tu sai leggere il futuro?». I suoi
occhi erano penetranti e tutta la sua
persona ostentava consapevolezza. Gli
ho risposto: «No, io leggo il presente, e
tu hai la cerniera dei pantaloni aperta».
Era vero. Non l’ho più rivisto. L’unica
cosa che può realmente darti
consapevolezza è vivere totalmente il
momento presente. Il potere del perdono
esiste solo nel presente e tu puoi avervi
accesso solo nel presente. Una domanda
interessante potrebbe essere: da che
cosa dipende il fatto che la bambina
dell’esempio precedente stia vivendo
quella situazione? Dal destino? Da Dio?
Dalla legge azione / reazione?

La regola dell’azione
Per capire il processo del perdono è
necessario chiarire la regola
dell’azione. Solo quando siamo pronti
ad assumerci la totale responsabilità
delle cose e siamo completamente
sinceri nel farlo, diveniamo capaci di
creare una nuova realtà e di perdonare.
Ad ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria. Questa è una legge
della fisica applicabile su ogni livello
del nostro essere. Ogni cosa che
facciamo, pensiamo o proviamo genera
una reazione uguale e contraria. I
pensieri, le emozioni e le azioni sono
energia che produce un effetto. Se si
pensa a una catastrofe imminente, questo
pensiero verrà tradotto in un’emozione
di ansia, la nostra forza vitale sarà
ridotta e il corpo cambierà il
metabolismo. Se questo pensiero
persiste e diventa ossessivo, l’ansia
diverrà uno stato permanente, o quasi, la
nostra forza vitale verrà drasticamente
ridotta e il corpo somatizzerà con altri
segnali di allarme. Come vedi i pensieri
sono azioni che generano reazioni uguali
e contrarie. Diviene dunque importante
essere consapevoli della qualità
dell’energia presente in noi per poterla
trasformare.
Questa regola è valida anche per ciò
di cui siamo inconsapevoli, anzi spesso
è quello di cui non siamo consapevoli a
determinare la qualità della nostra
energia. Ciò che si compie, su qualsiasi
piano di esistenza, ha una conseguenza,
perché è come se si lanciasse un sasso
in uno stagno: esso produrrà delle onde
che prima o poi raggiungeranno la
posizione in cui ci troviamo. Spesso non
ricordiamo che siamo stati noi ad aver
lanciato quel sasso. Secondo questa
considerazione le “onde” continueranno
ad arrivare fino a quando le reazioni a
tutte queste azioni compiute non si
saranno esaurite.
La buona notizia è che se
comprendiamo come ascoltarci e
trasformare le energie dentro di noi,
saremo anche capaci di generare azioni
in grado di risolvere le reazioni che
stiamo vivendo, a loro volta generate da
azioni precedenti, spesso inconsapevoli.
Le nostre azioni vengono compiute
secondo due modalità: consapevolmente
(cioè pienamente coscienti di che cosa
produrranno e di chi veramente le sta
compiendo e spinto da che cosa) e
inconsapevolmente (a guidarci sono
motivazioni che non ci sono veramente
chiare e che sono spinte da esigenze
squilibranti). È molto importante
sviluppare una consapevolezza
sufficiente per avere chiarezza di ciò
che si fa, perché lo si fa e chi e che cosa
motiva quell’azione, per il fatto che essa
produrrà delle conseguenze su tutti i
piani della nostra esistenza. Il nostro
comportamento inconsapevole può
generare una quantità innumerevole di
reazioni, uguali e contrarie. Essere
consapevoli di se stessi è utile per
creare benessere, gioia e prosperità
nella propria vita, ma anche per esaurire
e correggere quegli effetti che
producono squilibri. La regola
dell’azione ci esorta e ci ricorda di
essere coscienti per produrre effetti
consapevoli e vivere intenzionalmente
una vita equilibrata e piena di emozioni,
pensieri e comportamenti positivi,
capaci di generare prosperità, amore e
gioia.
Quando agiamo sarebbe opportuno
chiedersi perché lo facciamo, quali
impulsi ci motivano ad agire in quel
modo, che cosa ci spinge a farlo e
soprattutto “chi” sta compiendo
quell’azione. Tu come corpo? Come
mente o emozione? Come spirito? Se
vuoi puoi anche agire pienamente
consapevole di essere vita. Ad agire
sarà la vita stessa, nella piena
autoconsapevolezza. Non esisterà niente
di personale, né profitto, né desiderio.
Cosa cambia se agiamo in questo modo?
Cosa cambia nell’azione se a cambiare è
la consapevolezza del soggetto che la
compie?
Che cosa sappiamo dunque della
bambina dell’esempio precedente? Se la
consideriamo completamente
responsabile di ciò che le sta
succedendo, anche se questa prospettiva
potrebbe sembrare forte e di impatto,
come possiamo giustificare il fatto che è
causa di ciò che vive? È necessario
innanzitutto chiarire che considerare la
bambina responsabile non toglie la mia
responsabilità nel decidere di
intervenire in una situazione simile. La
situazione rimane immutata, cambia solo
il mio punto di vista, che mi offre un
differente modo di vedere le cose. Dalla
nuova prospettiva considero ciò che la
bambina sta vivendo come la reazione a
qualche azione da lei compiuta in
precedenza (lei stessa può divenire
consapevole di quale) e smetto di
vederla come una disgraziata, ma la
considero come un essere in evoluzione
che ha deciso di imparare attraverso
quell’esperienza. Non so perché vive
ciò che vive, ma la considero
responsabile di ciò che le sta
accadendo. Se decido di aiutarla lo farò
liberamente, perché voglio darle tutto
me stesso affinché smetta di soffrire e
possa superare al meglio questa
situazione. Se mi muove la compassione,
proverò vera compassione e amore, non
paura, ipocrisia o pena.
Quando tengo un corso, cerco di
vedere l’esperienza secondo il punto di
vista del sole. Allora non penso: “Ah,
che bello adesso farò un seminario,
guadagnerò, potrò esercitare il mio
carisma”. Prevale in me la necessità di
condividere ed essere utile alle persone
che sono lì, di portare consapevolezza e
chiarezza attraverso questo punto di
vista; di condividere la passione,
l’entusiasmo, la felicità che vivo e che
sento. Cerco di mettermi a totale
disposizione, togliendomi di mezzo il
più possibile. La modalità occidentale
di vivere è principalmente costruita sul
concetto di individuo e di esigenze
individuali. “Prima penso a me e poi, se
avanza qualcosa, penso agli altri”.
Considerate quante persone ragionano e
si comportano così. La nostra società è
incentrata sulla competizione, sulla
prestazione e sullo spirito di
sopraffazione e competizione. Ci
raccontiamo che sopravvive chi emerge
e che bisogna fare di tutto per emergere.
È una società basata sul giudizio, sulla
critica. Chi non si adegua ad alcuni
standard viene emarginato, isolato, gli
vengono precluse possibilità e diritti.
Gli uomini quindi agiscono per
sopravvivere, e se questo comporta
mettere i piedi in testa agli altri,
qualcuno lo farà, perché pensa che non
si possa fare diversamente. Che cosa
viene trasmesso, attraverso i giornali, le
radio, i mezzi di comunicazione e
l’insegnamento per l’istruzione? Qual è
il modello proposto? Quanto siamo
influenzati e condizionati, tanto da non
riconoscere quasi più alcuni valori
universali di base? Il messaggio con cui
vieni bombardato contiene spesso paura:
“Aggrappati a ciò che hai, poco o molto,
e prendi quanto più puoi da tutto e tutti.
Accaparrati tutto ciò che c’è e creati il
più in fretta possibile un tuo spazio
privato con il maggiore benessere
materiale possibile. Lotta per questo
benessere materiale, sgomita e fai carte
false per averlo, e non guardare in
faccia nessuno. E soprattutto difendi ciò
che ti conquisti, perché il mondo è pieno
di insidie. E infine spera e prega che
tutto questo non crolli o che peggio
ancora non ti capiti qualcosa di brutto,
come una malattia, un tumore o un
incidente. Prega e spera...”. Questo è il
modo di pensare di milioni di persone,
un pensiero collettivo che ti ha
influenzato e che continua a influenzarti.
Il messaggio che spesso ti arriva è:
“Inizia a correre, corri, corri in fretta”.
E più corri, più devi correre per stare a
galla. E quando non ce la fai più a
correre e a stare a galla allora ecco che
subentrano la depressione, l’ansia e la
paura. Pensi che questa sia la vita? Che
vita è questa? Tutta questa competizione,
questa sovrapproduzione, questa isteria
collettiva, questo vortice di fare, fare,
fare non ha alcun senso. Il senso della
vita potrebbe essere un altro. Più
profondo, più in pace, più luminoso e
felice. Ciò che conta veramente è come
vedi la vita, da quale punto la osservi e
se sei veramente consapevole di che
cosa stai facendo e del perché lo fai.
Quel vortice gira velocemente, in
maniera pazza, tanto da poterti
risucchiare. Quanti film hai visto in cui i
protagonisti si sono resi conto di tutto
questo solo davanti a un dramma o a una
malattia; hanno lasciato questo modo di
vivere e hanno ritrovato un senso
diverso nelle cose? Ad ogni azione che
compiamo corrisponde una reazione
uguale e contraria. Molte volte la
sofferenza che proviamo è il frutto di
azioni che abbiamo compiuto
inconsapevolmente e che quindi non
riconosciamo e non siamo in grado di
correggere. Il perdono autentico è
capace di annullare l’effetto delle azioni
che determinano sofferenza nella nostra
esistenza e quindi la sofferenza stessa.
Questo avviene perché quando si
perdona veramente si esce
completamente dal piano duale, dove
esistono gli opposti che originano la
sofferenza. Ciò che si manifesta nel
processo del perdono è amore
incondizionato, una resa totale senza
condizioni. Chi è capace di attuarlo
comprende che il perdono ci eleva oltre
il piano in cui si manifesta un conflitto,
oltre le parti, oltre il giusto e lo
sbagliato. Il contatto con questo piano, a
patto che sia sincero, è capace di
annullare sia l’azione che la reazione.

Oltre il giudizio
Domande e riflessioni
Manel mi chiede: «Come faccio a dire a
due bambine di perdonare l’assassino
del loro padre?». Le domande di Manel
riguardano sempre situazioni limite.
Decidere di perdonare e di entrare in
questo processo è una scelta personale.
Non bisogna costringere nessuno e
nemmeno pretendere di sapere che cosa
sia bene per gli altri. La necessità di
perdonare viene spontaneamente quando
c’è la maturità necessaria per farlo. Non
si perdona per gli altri, ma perché c’è
un’esigenza interiore di liberarsi da quel
peso, da quell’odio, da quel
risentimento. Molte persone non sanno
nemmeno che cosa devono perdonare.
Questo avviene perché non hanno deciso
veramente di farlo. A volte il perdono
viene nei momenti più difficili e più
tragici. Viene per dare un senso a questo
dolore e per permetterci di elevare il
nostro spirito veramente, andando oltre
il conflitto che viviamo interiormente.
Voler perdonare è un fatto personale, una
necessità dell’anima. Quando una
persona è pronta per lasciare andare il
fardello che si tiene dentro, allora è
pronta per perdonare. Non gli interessa
più che cosa abbia fatto l’altro, sa solo
che vuole liberarsi da quel peso e
aprirsi alla gratitudine e all’amore. Ma
questa è una decisione personale:
l’individuo sceglie se restare legato alla
sofferenza o liberarsene. Se decide di
farlo veramente, il perdono lo aiuterà a
comprendere come. L’essere umano è
dotato del libero arbitrio. Il senso di
questo dono è qualcosa di straordinario.
L’Energia Creatrice di ogni cosa (o
comunque la si voglia chiamare: Vita,
Esistenza, Nulla, Dio, Krishna, Fonte,
Creatore, Dea ecc.) ci ama talmente
tanto da averci dato anche la libertà di
rifiutarla e di non sentire la sua
presenza. Siamo noi, nonostante tutto,
che decidiamo di non sentire questa
presenza costantemente nella nostra vita;
siamo noi che rifiutiamo e non lasciamo
andare questo rifiuto. Dipende da noi
sintonizzarci o meno, ma sembra più
semplice dire che è Lui/Lei che non
risponde. A questo proposito, c’è una
storiella che aiuta a spiegare questo
concetto. «Due pesci dentro l’acqua
parlano tra loro: “Ma tu ci credi a
questo mare? Si dice sia ovunque, fuori
e dentro noi; che lo respiriamo e ci
siamo immersi dentro, eppure non lo
possiamo vedere”. E l’altro risponde:
“Io non credo che esista. Secondo me è
un’invenzione di chi vuole credere che
esista qualcosa al di là di quello che
vediamo e sentiamo. Una semplice
credenza”. Il primo pesce continua:
“Pensa che c’è chi dice di sentirlo
ovunque, persino se chiude gli occhi”.
Proprio in quel momento l’altro pesce
vede un verme e d’istinto se lo mangia.
Ahimè! Era un’esca che lo porta dritto
dritto sulla barca del pescatore. Mentre
agonizza il pesce pensa: “Adesso che
sto morendo capisco cos’è il mare”».
Il perdono autentico porta la persona
che lo vive oltre il giudizio: l’attenzione
non è più rivolta a come l’altro
dovrebbe essere o a che cosa dovrebbe
fare, né tanto meno alle nostre mancanze
e ai sensi di colpa, ma alla gratitudine e
all’amore. Il perdono sincero eleva su
un altro piano di coscienza, dove
troviamo nuove e inaspettate risposte.
Fino a che non ci sarà in noi l’esigenza
di fare questa esperienza, allora queste
rimarranno solo parole.

Il potere della gratitudine


«Ma guarda intorno a te, che doni ti
hanno fatto: ti hanno inventato il mare!
Tu dici non ho niente, ti sembra niente il
sole! La vita, l’amore! Meraviglioso».
(Domenico Modugno, Meraviglioso).
C’è sempre un motivo per cui essere
grati a qualcuno, a qualcosa o
semplicemente sentire gratitudine per il
fatto di esistere. Di norma l’essere
umano comune non trova il tempo per
essere grato all’esistenza perché è
troppo occupato a preoccuparsi per
l’esistenza. Tanto preoccupato che
mentre si preoccupa, l’esistenza scorre
via senza che lui se ne accorga
nemmeno. Un giorno mi sono alzato e ho
iniziato a ringraziare. Mi è venuto
spontaneo. L’ho fatto appena ho aperto
gli occhi, mentre guardavo la luce che
entrava dalla finestra. Ho continuato per
ogni cosa che facevo e che mi
succedeva. Grazie. Ho ringraziato di
riuscire a camminare, di potermi lavare
i denti, di avere un bagno e una casa, di
pensare, di respirare, di poter vedere i
miei genitori, di essere vivo. Ho
continuato così per tutte le dodici ore
della giornata. Ho ringraziato per ogni
passo, perché potevo mangiare, per
avere un’auto, per gli amici che ho
incontrato. Ho ringraziato la rabbia e
l’impazienza quando sono arrivate.
Ricordo di aver ringraziato un
automobilista mentre mi malediceva
perché non gli avevo dato la precedenza.
Più andavo avanti e più quel grazie
aveva un senso. Mi sono stancato e ho
ringraziato la stanchezza. Mi sono
arrabbiato perché trovavo monotono
dire sempre e solo grazie, ma non ho
avuto il tempo di smettere perché ho
ringraziato anche quella monotonia. Più
ringraziavo tutto e tutti e più la
gratitudine si faceva autentica. Alcune
volte la sentivo e altre scompariva, ma
per me non aveva importanza perché
ringraziavo anche quella scomparsa. Mi
sono accorto di quante cose abbiamo di
cui non ci rendiamo conto. Sentivo il
cuore che si apriva e scopriva di essere
vivo e colmo di gratitudine per questa
opportunità. Che spreco di tempo ogni
qualvolta non si ama. Con gratitudine,
prova a ringraziare per un giorno intero
ogni cosa che fai. Forse il senso di quel
grazie cambierà qualcosa.

4° PASSO
LIBERA IL POTERE
DELLA GRATITUDINE
Esercizio 1

Per ogni cosa piacevole che


succede durante la giornata
appoggia una mano sul cuore,
ringrazia pronunciando la parola
“grazie” e fermati qualche istante
per sentire gratitudine.

Esercizio 2

A - Ricorda un evento piacevole,


appoggia una mano nel cuore
e pronuncia “grazie”, rilassa la
mano.

B - Ricorda un evento neutro,


appoggia una mano nel cuore
e pronuncia “grazie”, rilassa la
mano.

C - Ricorda un evento poco


piacevole, appoggia una
mano nel cuore e pronuncia
“grazie”, rilassa la mano.
Ripeti ciclicamente la sequenza A-
B-C per 10 minuti o fino a quando
non senti gratitudine in tutti gli
eventi.
Esercizio 3

Per ogni cosa piacevole e


spiacevole che succede durante la
giornata appoggia una mano nel
cuore, ringrazia pronunciando la
parola “grazie” e fermati qualche
istante per sentire gratitudine.

Esercizio 4

Occhi negli occhi con un’altra


persona si ripete “grazie” una
volta a testa per 7 minuti, senza
mai distogliere lo sguardo. Poi si
chiudono gli occhi e si rimane 3
minuti in silenzio, in ascolto, con le
mani appoggiate nel cuore. Alla
fine dell’esercizio si riposa distesi
per alcuni minuti e poi si condivide.
Variante A: si ripete l’esercizio
precedente per 3 volte
consecutive senza pause tra l’una
e l’altra, alternando 7 minuti di
ringraziamento a 3 minuti di
silenzio e ascolto. Alla fine
dell’esercizio si riposa distesi per
alcuni minuti e poi si condivide.
Variante B: si ringrazia per 30
minuti consecutivi guardandosi
negli occhi, senza mai distogliere
lo sguardo. Poi, in silenzio e a
occhi chiusi, si rimane in ascolto
per 7 minuti. Alla fine dell’esercizio
si riposa distesi per alcuni minuti e
poi si condivide.

Esercizio 5

Uno di fronte all’altro. A dice a B


“Una cosa che penso di te è...” e
manifesta i propri pensieri e
sensazioni, sia positivi che
negativi. B ringrazia pronunciando
semplicemente la parola “grazie”,
indipendentemente da cosa A
abbia detto. In questo esercizio è
fondamentale concentrarsi
gradualmente e sempre più
intensamente sul senso della
gratitudine e non su ciò che l’altro
dice. Affinché ciò accada prima di
ringraziare si ascoltano le proprie
sensazioni senza giudicarle e
senza rimanere agganciati ad
esse. Una volta prestata
attenzione a ciò che si prova si
contatta la gratitudine per tre
motivi principali: perché ciò che si
sta provando è un’occasione di
crescita e comprensione; perché
mi permetto di amare e accettare
tutto ciò che sento e tutto me
stesso al di là del giudizio; per lo
sforzo che sta compiendo l’altra
persona nel mettersi in
discussione e dare voce a ciò che
prova e che sente per aiutarti a
contattare la gratitudine
incondizionata.
Questo esercizio presuppone una
certa sensibilità sia da parte di chi
condivide sinceramente ciò che
pensa e che prova e sia da parte
di chi ringrazia. Chi manifesta ciò
che pensa, dovrà osare senza
voler ferire, consapevole del fatto
che stà semplicemente
condividendo una sua percezione,
e determinato nel volersi mettere
al servizio dell’altro per la sua
crescita e la sua realizzazione.
Dovrebbe sentirsi come un
allenatore che sta preparando un
atleta alla gratitudine
incondizionata. Chi ringrazia invece
dovrà focalizzarsi sempre di più su
se stesso e non sull’altro e su ciò
che dice: gradualmente il focus
dell’attenzione sarà rivolto verso le
proprie sensazioni e sulla capacità
di sintonizzarsi sulla gratitudine.
Sia che l’altra persona dica cose
positive e piacevoli sia che
manifesti cose negative e irritanti,
sarà necessario interiorizzarsi
sempre di più tralasciando ogni
giudizio e identificazione con ciò
che viene detto. Si ascolta da una
posizione neutrale ogni opinione e
si focalizza la propria attenzione
su ciò che si sente internamente,
senza giudicare le percezioni e i
propri vissuti interiori. Dopo
questa prima fase di ascolto
interno, la persona che ringrazia
dovrà contattare la gratitudine
incondizionata e manifestarla
pronunciando la parola “grazie”,
mentre guarda negli occhi
l’interlocutore. Se l’esercizio è
fatto correttamente il senso di
quel “grazie” sarà sempre più
profondo, autentico e
incondizionato.

Esercizio 6

Consiste nel contattare la


gratitudine incondizionata per il
solo fatto di esistere. Questa
esperienza e abilità si sviluppa
gradualmente nel praticante.
Ripeti la parola “grazie” ad alta
voce o mentalmente (a seconda
della preferenza e del momento)
per 3 minuti a occhi chiusi e 3
minuti a occhi aperti. Ringrazia per
il fatto di esistere, di essere e
così facendo contatti sempre più
profondamente questo tipo di
consapevolezza. La gratitudine
esistenziale è un’emozione
superiore e un alimento molto
prezioso per la nostra crescita e
realizzazione. La pratica di questa
forma di gratitudine sviluppa la
consapevolezza di essere e di
esistere. Se l’esercizio è svolto
correttamente si ottengono enormi
benefici su tutti i livelli: fisico,
vitale, emozionale, mentale,
spirituale e coscienziale.

Esercizio 7

Inizia con due ore: ringrazia


mentalmente qualsiasi cosa
accada, dentro te stesso e
nell’ambiente circostante. Sii grato
per ciò che senti, per le emozioni
che verranno, per i tuoi pensieri,
per le cose che accadono
nell’ambiente e per le persone che
incontrerai.
Estendi l’esercizio e sperimenta le
12 ore di gratitudine: da quando
apri gli occhi la mattina fino
all’ultimo pensiero prima di
dormire. Che nella tua mente sia
presente solo il pensiero “Grazie”.
Quando si ringrazia per 12 ore
consecutive, a volte succede che
la persona diviene capace di
ringraziare anche durante i propri
sogni.
Capitolo 9

La tecnica del perdono


nel My Life Design

n questa tecnica di perdono si libera


I l’energia che teniamo bloccata perché
non vogliamo lasciare andare le
vibrazioni pesanti (emozionali, vitali e
mentali). Si può eseguire questo perdono
in coppia, guidati dall’altra persona o da
soli. Ogni punto della tecnica va
affrontato ed esplorato totalmente; solo
quando si ha la sensazione di aver
risolto il punto attuale si può proseguire
con il successivo.

Vediamo in cosa consistono i punti.

5° PASSO
RECUPERA IL POTERE
DI TRASFORMARE LA
SOFFERENZA IN
AMORE
1. Chiudi gli occhi.
2. Percepisci il senso del
perdono che stai per
concedere.
3. Ripeti: «Che io abbia
chiarezza e amore per
poter perdonare».
4. Abbandonati a questo
perdono.
5. Ripeti: «Ricevo perdono e
mi perdono per la mia
condizione».
6. Chi o che cosa vuoi
perdonare?
7. Appoggia le mani
all’altezza del cuore.
8. Perdono… perché…
9. ... Perdonami perché...
10. Perdono me stesso perché
ho permesso a… di…
11. Esistenza (Dio, vita o come
ti piace chiamare il
principio di creazione)
perdonami perché sento…
12. Accetto e amo me stesso
anche quando sento…
13. Apri le mani e permetti al
perdono di entrare nel tuo
cuore.
14. Ringrazio…per…

Questa tecnica di perdono si può


applicare a una persona, a una
situazione, a un gruppo, a una malattia, a
se stessi e anche a ciò che per ognuno di
noi rappresenta la divinità.
Perché si vorrebbe perdonare Dio?
Che necessità si ha di farlo? Molte
persone sentono il bisogno di perdonare
Dio per una serie di motivi che creano
in loro conflitti: «Perché non mi ascolta,
perché è lontano, perché non mi vuole
bene, perché non fa niente per la
sofferenza nel mondo» e così via. Quali
che siano i motivi di ognuno, se il
processo di perdono si applica con
sincerità, con volontà e onestà, allora
quei pesi che prima erano presenti si
dissolvono e la persona si rende conto
che proiettava sulla divinità una
mancanza propria: essere lontano,
essere insensibile alla sofferenza altrui.
Questa tecnica di perdono porta
sempre alla comprensione della propria
responsabilità e all’integrazione nella
gratitudine finale.
I punti dal 9 al 13 devono essere
ripetuti fino a che la persona non entra
correttamente nel processo di perdono e
non accede al significato autentico di
quello che fa. Un buon modo per iniziare
può essere quello di andare avanti per
almeno sette minuti su ogni punto (dal 9
al 13), ripetendo ogni frase con cose
diverse: «Perdono Luigi perché mi ha
ferito, perdono Luigi perché non mi ha
dato attenzione, perdono Luigi perché si
è arrabbiato con me…» (si continua per
sette minuti o fino a quando si ha
bisogno di perdonare. A voce alta o
sottovoce); «Perdono me stesso perché
ho permesso a Luigi di farmi arrabbiare,
perdono me stesso perché ho permesso a
Luigi di farmi stare male, perdono me
stesso perché ho permesso a Luigi di
umiliarmi…» (anche in questo caso si
continua così per sette minuti o fino a
quando non si esauriscono le
motivazioni). E così via per tutti gli altri
punti. Se si è in coppia uno guida l’altro
che, per tutto il processo, tiene le mani
sul cuore. Il processo di perdono può
durare anche un’ora e coinvolgere
persone o cose differenti anche nella
stessa seduta. Questa semplice tecnica,
se utilizzata bene, è capace di provocare
una profonda trasformazione nella
persona che la applica e nella persona o
situazione che si perdona.
In essa sono contenute tutte le fasi del
perdono:

ACCUSA • RESPONSABILITÀ
GRATITUDINE • AMORE

Se una di queste fasi non viene


completata totalmente o se ci sono
omissioni, diviene impossibile accedere
all’esperienza profonda del perdono.
Nel punto 6 è importante assumersi la
totale responsabilità di ciò che si sente,
che si prova e che si è vissuto.
Dev’essere un atto di responsabilità
totale. In questo punto si dovrebbe
considerare se stessi come pura
coscienza capace di creare la propria
realtà e perciò causa di ciò che vive.
Nel punto 12, nel caso la persona sia
atea potrà rivolgersi alla vita,
all’esistenza, a se stessa o anche al
nulla. Non ha alcuna importanza la
condizione mentale di partenza, ma ciò
che emerge durante il processo.

6° PASSO
INTEGRARE LA
POLARITÀ: LA
TECNICA DELLO
SPECCHIO

Espandi la tua coscienza


e supera i limiti che
credi di avere. Diventa
consapevole che tutto è
interconnesso e che la
felicità e la realizzazione
degli altri sono anche la
tua felicità e la tua
realizzazione
Il vero potere liberatore e
terapeutico del 5° PASSO (tecnica
del perdono del My Life Design) si
sperimenta quando, dopo aver
perdonato l’altra persona
attraverso tutti i punti indicati, si
ripercorre il processo mettendosi
al posto dell’altro e si perdona se
stessi: «Sentendomi l’altra
persona perdono me stesso».
Questo processo potrebbe sembrare
strano, sopratutto se dalla persona in
questione si è subito un torto pesante o
ci siano delle resistenze a perdonare.
Tuttavia quando lo sperimentatore riesce
a immedesimarsi nell’altro e perdonare
se stesso, avviene un cambiamento
straordinario: il punto di vista personale
vive l’altra prospettiva e riesce a
integrare la polarità che genera il
conflitto. La coscienza umana non ha
forma e in virtù di questo può
espandersi, comprendere, integrare e
trascendere qualsiasi conflitto
semplicemente cambiando punto di vista
e sperimentando l’opposto. Consiglio
sempre di eseguire la tecnica dello
specchio guidati da una persona che
abbia completato l’iter di formazione
del perdono del My Life Design,
affinché tutto il processo avvenga in
maniera armonica e si arrivi a una vera
e propria “liberazione”. Ho ricevuto
molte testimonianze di riconciliazioni e
di ripresa di contatti anche dopo molti
anni. Dal 2009, in collaborazione con
una equipe di formatori, tra cui
psicologi clinici e medici, ho applicato
queste metodiche a moltissimi casi di
elaborazione del lutto, del dolore e della
sofferenza. Il perdono ha condotto me e
il gruppo di ricerca ad andare oltre,
avventurandoci in un campo di
sperimentazione assolutamente nuovo e
inaspettato. Durante la prima formazione
degli insegnanti, avvenuta in Spagna, una
partecipante ha accusato un forte dolore
al petto, nella parte opposta al cuore.
Erano presenti diversi terapeuti ma
nessuno riusciva ad aiutarla. Il dolore
non si placava, la respirazione iniziava
a essere affannosa, al punto che aveva
contribuito a creare una forte ansia.
Provarono con massaggi, trattamenti di
diverso tipo, respirazioni, rilascio di
tensione e altre tecniche, ma senza
ottenere risultati, anzi, il dolore
continuava a crescere. Qualcuno
propose di portarla al pronto soccorso.
Ero consapevole del fatto che se quel
dolore era emerso durante la formazione
non era un caso, perché gli insegnanti si
immergono profondamente nella
sperimentazione delle varie fasi del
processo del perdono. Chiesi alla
persona di poter fare un tentativo
esercitando la tecnica dello specchio al
dolore e la donna accettò. L’esperienza
consistette nel perdonare il dolore e,
successivamente, immedesimandosi nel
dolore, perdonare se stessa. Nella prima
fase della sperimentazione la donna
incontrò molte resistenze, ma non
appena cominciò a perdonare se stessa
(immedesimandosi nel dolore), iniziò a
dire cose inaspettate. «Perdono Patrizia
perché non mi accetta, perdono Patrizia
perché è insistente; perdono Patrizia
perché è sadica e insensibile; perdono
Patrizia perché non le importa se morirà
a causa mia...». La donna entrò in un
processo molto profondo e non passò
neanche un minuto che il dolore
scomparve. Le malattie, da questa
prospettiva, appaiono come programmi
evolutivi che vogliono comunicarci
qualcosa di importante. Comprenderne il
linguaggio diviene fondamentale per la
propria crescita. La relazione con le
proprie malattie è qualcosa che
coinvolge la persona sotto tutti i piani e
aspetti: fisico, vitale, emozionale,
mentale, causale e spirituale. Il senso
del perdono di una malattia non va
ricercato nella guarigione, che può
manifestarsi come effetto collaterale, ma
nella consapevolezza che si manifesta
nella persona. Cambia il proprio stato,
la capacità di agire e reagire, la
modalità di affrontare la propria
condizione e la considerazione di se
stessi. Il processo che si verifica
permette di espandere la propria
consapevolezza, recuperare il proprio
potere, trasformare le energie pesanti in
gratitudine e percepire un profondo
amore. La tecnica di perdono dello
specchio lavora principalmente su tre
centri: il cuore, la gola e la corona
(sommità del capo). Permette di aver
accesso al proprio cuore e alla sua
conoscenza, a patto che ci sia la
predisposizione a essere onesti e aperti
con se stessi. Libera e purifica la
capacità di espressione in relazione a
ciò che si sente veramente. Permette il
contatto con la parte più elevata di se
stessi e la sperimentazione
dell’esperienza dell’unione.

Il labirinto della mente


Durante il processo del perdono
possono verificarsi diversi tentativi di
fuga. A volte il cuore delle persone è
così pietrificato che prima di
permettersi di sentire amore è
necessario un gran lavoro interiore, e
perché arrivi questo permesso da noi
stessi bisogna vincere l’ostacolo più
grande: la paura. Perché si ha paura di
amare e amarsi? Può questo amore
ucciderci? Sì. L’amore è capace di
uccidere il nostro egoismo, i nostri
attaccamenti e il nostro dolore. Mi
crederesti se ti dicessi che siamo
profondamente attaccati a queste cose
tanto da scegliere di non sentire amore?
Il dolore che molte persone sentono
dentro, la loro rabbia, l’odio e la
rigidità, non sono che amore represso e
costretto. Come si fugge da questo
amore? La prima modalità è il sonno:
«Ero stanco, non riuscivo a
concentrarmi, mi sono addormentato, mi
sentivo pesante». La seconda modalità è
l’isteria: si verificano eccessive
manifestazioni emozionali, gesti teatrali
che servono solo a mascherare la paura
e il disagio nell’aprirsi realmente. Poi ci
sono l’indifferenza o falsa dimenticanza:
«Non sento, non c’è niente da perdonare,
commuoversi non è da me». Si fa finta
che il problema, e ciò che si sente
rispetto ad esso, siano superati o non
esistano. Chi perdona non va confuso
con chi non vuole assumersi la
responsabilità di correggere e di
cambiare; non è chi vuole fuggire dalla
realtà senza reagire, lasciando correre e
facendo finta che niente sia accaduto.
Perdonare non è neanche cercare di
dimenticare un’offesa subita, ma
liberarsi del dolore, donare l’offesa e
realizzarsi in questo atto. Molte volte il
perdono non richiede di rivedere il
presunto autore dell’offesa (che
potrebbe non essere più in vita o
potrebbe trattarsi di qualcosa di astratto
o di una malattia o di una situazione), ma
semplicemente liberarsi dalla
sofferenza. La fuga può avvenire anche
nel labirinto mentale. Questa, tra le vie
di fuga, è forse la peggiore perché la
persona è convinta di aver perdonato,
ma di fatto, è solo succube di una
elucubrazione mentale. La mente crea
una realtà che tuttavia non ha coinvolto
tutti i piani (fisico, emozionale, mentale
e spirituale) e per questo il processo è
parziale e non completo. Un’altra
modalità consiste nella vergogna: si ha
vergogna di amare, di emozionarsi, di
contattare e vivere l’aspetto emozionale
più profondo. Quando il processo del
perdono avviene autenticamente, tutti
piani sono coinvolti armonicamente:
fisico, vitale, emozionale, mentale e
spirituale. Il cuore si apre e il vissuto è
inconfondibile. L’esperienza di
liberazione, comprensione e amore si
manifestano profondamente.

Il perdono come strumento


di trasformazione
Attraverso l’esperienza del perdono si
può vivere un nuovo senso di
responsabilità, nel quale si comprende
chiaramente come si proietta all’esterno
il mondo interiore, senza poi
riconoscere che è qualcosa di nostro. Il
perdono porta oltre il livello del
conflitto, che avviene su un piano duale
(dove esistono un colpevole e una
vittima), permettendo alla coscienza di
espandersi e di vedere le cose secondo
una prospettiva assolutamente nuova,
quella unitaria. Non siamo forse noi a
permettere alle altre persone di farci
arrabbiare? Noi siamo i responsabili di
ciò che proviamo e viviamo. Perdonare
significa anche recuperare la capacità di
utilizzare questo potere. Il perdono è un
processo di autoguarigione che tocca e
coinvolge tutti i nostri livelli: eleva i
pensieri e le emozioni, riequilibra il
corpo, trasforma la vitalità e permette
allo spirito di evolversi e maturare. Il
vero perdono permette un profondo
contatto con l’aspetto unitario
dell’esistenza. Al di là del credo
personale o della propria fede, il
perdono è uno strumento universale di
evoluzione e pace.

7° PASSO
IL PERDONO CON IL
SOLE

Realizza te stesso
attraverso il perdono
L’alba o il tramonto sono i
momenti migliori per poter
compiere questa tecnica di
perdono.
Davanti al Sole interiorizzati.
Poggia le tue mani nel cuore
e sentiti vivo e parte
dell’esistenza.
Chiedi supporto alla vita e
chiedile di aiutarti in questo
perdono, di darti la forza e la
consapevolezza per poter
perdonare. A questo punto
percepisci la presenza del
Sole davanti a te, nel
momento magico del
tramonto o dell’alba. Tu sai
che il Sole è sempre
presente, ma dal punto di
vista in cui vivi, ti sembra che
scompaia per poi ritornare il
giorno successivo. Sai anche
che questa è un’illusione
dovuta alla tua prospettiva e
che il Sole è sempre lì, nel
centro, che continua a
illuminare incessantemente.
L’ombra e la notte
dipendono esclusivamente
dalla prospettiva attraverso
la quale tu vedi e vivi le
cose. Considera che il Sole
dona la sua luce
costantemente, senza
chiedere niente in cambio.
Dona incondizionatamente
ciò che è. Lascia che possa
ispirarti.
Considera adesso ciò che
vuoi perdonare e inizia:
inspirando prendi ciò che
vuoi perdonare ed espirando
donalo al Sole aprendo le
mani.
Ripeti questa operazione
fino a che non senti una
sensazione di liberazione e
apertura. A questo punto
inspira lentamente la luce del
Sole e visualizzala mentre
arriva fino al tuo cuore.
Continua fino a che non ti
senti totalmente a tuo agio.
Ripeti questo ciclo di
perdono fino a quando non ti
senti alleggerito e allo
stesso tempo pieno di una
nuova energia.
Conclusioni

n questo libro vengono affrontate 3


I tappe fondamentali necessarie a
recuperare il “senso perduto del
perdono” (scusate il gioco di parole):
liberarsi, guarire e realizzarsi
perdonando. Il senso della guarigione
presentato in questo libro non ha niente a
che vedere con l’azione terapeutica che
permette la scomparsa di un sintomo
(che può verificarsi come semplice
effetto collaterale non ricercato), ma è
relativo alla conquista dell’esperienza
unitaria dell’esistenza, al di là della
frattura percettiva polare che esiste alla
base del nostro sistema percettivo. Sono
arrivato a sviluppare questo lavoro sul
perdono per un’esigenza personale di
integrazione del femminile: passare da
un sistema patriarcale di conoscenza,
basato sulla competizione,
sull’individualismo, sulla spietatezza,
sull’impeccabilità, sul potere e sulla
ricerca della realizzazione a ogni costo,
a una visione femminile della
realizzazione, basata sull’apertura, sulla
fede, sulla disponibilità, sulla dolcezza,
sull’abbandono e sulla devozione.
Tuttavia il perdono mi ha proiettato al di
là anche di questo secondo aspetto; al di
là della polarità maschile/femminile,
elettrico/magnetico, in un campo di
esperienza unitario. In questi anni di
ricerca ho avuto la fortuna di
collaborare con medici, psicologi,
filosofi, mistici e autentici ricercatori
della coscienza, che hanno arricchito
questo lavoro attraverso le loro
esperienze e prospettive. La richiesta
sempre crescente di approfondimento e
di formazione mi ha spinto a creare una
scuola internazionale sul perdono e
sviluppare diverse collaborazioni con
Università e professionisti del
benessere: un percorso di
apprendimento per diventare Life
Designer sul perdono. Grazie alla
formazione di un comitato etico e
scientifico costituito da medici e
psicologi questo sogno è diventato una
realtà: chiunque lo voglia e lo richieda
può approfondire e imparare a
trasmettere il perdono secondo il My
Life Design. Le tematiche che si
affrontano nella scuola di formazione
riguardano 3 principali aree di ricerca:
le relazioni, la felicità e la
realizzazione.
Il perdono, così come viene trasmesso
nel My Life Design, appartiene alle
nuove scienze del benessere, della
felicità e della qualità della vita ed è
oggetto di studio da parte di tutte quelle
persone che credo appartengano a un
nuovo modo di essere umani; a quella
rivoluzione delle coscienze che,
attraverso la felicità, cambierà il modo
di vivere e vedere l’esistenza.
Tutte le informazioni relative ai
laboratori e alle formazioni sono
contenute nel sito
www.mylifedesign.info.
Ringraziamenti

razie a mio padre e a mia madre:


G due maestri di vita a cui va la mia
più profonda gratitudine e amore. Grazie
a Lisa, mia moglie e compagna di vita,
per l’amore e la saggezza con cui mi
accompagna e mi sostiene; grazie a
Padre Anthony Elenjimittan per la sua
guida nell’approfondimento della
tradizione indovedica e nella
comprensione di una visione olistica e
unitaria dell’esistenza; ringrazio tutta
l’équipe di ricerca del My Life Design;
grazie a tutti i ricercatori del Filo d’Oro;
grazie alla saggezza femmi-nile delle
nonne dell’Isola di Sardegna, attraverso
cui ho potuto recuperare un approccio
intuitivo con Madre Natura. Grazie alla
dottoressa Helen Williams e a Maria
Luisa De Pace per avere ispirato questo
lavoro. Grazie infine a tutte le persone
che hanno partecipato e parteciperanno
ai laboratori e alle formazioni sul
perdono, grazie per il loro amore e per
la passione con cui sono capaci di
amare. Grazie... grazie... grazie...
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Worthington, E.L., Jr. (2006). Forgiveness
and Reconciliation. Theory and
Apllication. New York: Routledge.
Nota dell’Autore

uesta esperienza nasce per tutte le


Q persone che sono passate, stanno
passando e passeranno attraverso la
comprensione di che cosa sia il senso
del perdono secondo l’ottica e la
filosofia esposte in questo libro e
trasmesse nei corsi e nella scuola di
formazione.
Ho potuto vedere molte facce, vite,
situazioni e malattie cambiare
radicalmente. Il vero perdono ha un
potere guaritore. Il senso del perdono
autentico risiede nel dare, nell’offrire
ciò che appesantisce il cuore. I princìpi
che regolano il perdono sono dei veri e
propri strumenti di crescita, riequilibrio
e autoguarigione. Attraverso di essi si
diviene consapevoli di una natura
insospettata, di un potere illimitato e di
una grande capacità di amare. Una volta
compreso il potere del perdono è
necessario donare anch’esso, affinché
tutto venga trasformato in amore,
nient’altro che amore. Perdonare è una
libera scelta e in quanto tale diviene
espressione della propria libertà. Il
perdono si esprime mediante la volontà
di lasciare andare ciò che appesantisce
il cuore. Senza volontà non c’è perdono.
Attraverso il vissuto personale e
l’esperienza di molte persone è stato
possibile sperimentare come il perdono
sia una sorgente di guarigione capace di
sanare oltre alle ferite del risentimento,
dell’odio, del rancore, della vendetta e
dell’ignoranza, anche ferite ben più
profonde, quelle dell’anima. Ho
assistito a trasformazioni straordinarie
durante ogni esperienza in cui questo
insegnamento è stato trasmesso. Una
sorta di botox di felicità, capace di
spianare le rughe del dolore che
aggrinziscono il cuore. Ho avuto la
fortuna di vedere come l’energia del
perdono sia stata capace di compiere
profondi cambiamenti in molte persone,
tra i loro amici e nelle loro famiglie.
Queste esperienze e le numerose
richieste mi hanno spinto a fondare una
vera e propria scuola internazionale sul
perdono, in cui si percorrono, seguendo
la metodologia del My Life Design, 3
livelli di comprensione: liberarsi,
guarire e realizzarsi.
Buon viaggio nel perdono.
DANIEL LUMERA
I.S.F.
International School of
Forgiveness La Scuola
Internazionale del Perdono

La International School of Forgiveness è


stata fondata da Daniel Lumera e da una
equipe di professionisti tra cui filosofi,
psicologi, medici e riconosciuti docenti di
fama internazionale. L’intenzione è
trasmettere informazioni che permettano
di sperimentare l’impatto profondo del
perdono sugli individui, nelle relazioni, nei
gruppi, nelle organizzazioni e nella
società, al fine di favorire una
comprensione olistica e globale di questo
processo, e poter beneficiare
integralmente dei suoi effetti positivi, che
è capace di produrre su molteplici livelli di
esperienza.
Per chi vuole approfondire le
conoscenze, le teorie e gli strumenti già
acquisiti e il proprio percorso attraverso
un approccio olistico al perdono, alla
realtà e all’essere umano.
Per chi desidera intraprendere un
percorso di auto-consapevolezza,
autorealizzazione e sviluppo individuale
che integri in modo olistico scienza,
coscienza, psiche e spiritualità.
Per chi vuole sperimentare e studiare gli
effetti riequilibranti e liberatori del
perdono nelle sfere di azione personale,
relazionale, lavorativa e sociale.
Per chi vuole formarsi come Life
Designer sul perdono o come insegnante
abilitato a rappresentare la I.S.F. sul
territorio nazionale o internazionale.

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L’autore
Daniel Lumera è un riconosciuto
formatore internazionale, scrittore,
conferenziere e ricercatore
indipendente.

Collabora con varie Università come


ricercatore e docente in Master,
Postgrado e corsi di specializzazione.
Ha sviluppato progetti internazionali con
tematiche fortemente innovatrici
nell’ambito dellescienze del benessere e
della qualità della vita, approfondendo
temi come la felicità, la natura della
coscienza e la meditazione. Promuove
una cultura basata sulla consapevolezza.
È responsabile della Ricerca e Sviluppo
nel Club Internazionale UNESCO
Heritage, per la valorizzazione del
patrimonio culturale dell’umanità.

È il fondatore del “My Life Design: il


disegno consapevole della propria vita”,
un percorso formativo che trasmette una
visione integrata della realtà, favorendo
uno sviluppo individuale e collettivo più
cosciente, pacifico ed ecosostenibile.
Qual è il senso autentico del perdono?
Perché perdonare? Per stare meglio, per
far terapia, per liberarsi dalle paure, dal
dolore e dal peccato, per purificarsi, per
recuperare una relazione? Oppure c è
qualcosa di più profondo, di
infinitamente più importante in questo
atto che accompagna l essere umano da
millenni?

Il perdono è in grado di modificare


profondamente la struttura della materia,
della vita, delle emozioni e dei pensieri,
sia nostri che delle persone che ci
circondano.

Un vero e proprio balsamo che crea le


condizioni per un approccio positivo
alla vita e permette di recuperare e
conservare una buona salute. Il perdono
viene considerato uno strumento
terapeutico di eccezionale efficacia,
perché, se usato correttamente,
disintossica corpo, mente e spirito,
permettendo di riconquistare fiducia in
se stessi e, se si vuole, ristabilire le
relazioni interrotte.

Grazie alla lettura di questo libro puoi


imparare a trasformare il dolore, l odio
e il rancore in amore, quindi ad
ampliare la tua coscienza. Perdonando si
verificano cambiamenti straordinari
nella tua vita e, allo stesso tempo,
diventi una persona migliore. In questo
libro vengono descritti i 7 passi del
perdono, ossia 7 livelli di comprensione
e realizzazione del perdono supportati
da sette potenti tecniche, i relativi
esercizi di preparazione e la filosofia
che costituiscono il rivoluzionario
metodo utilizzato nella Scuola
Internazionale del Perdono fondata dall
autore.

Si tratta di potenti strumenti di


realizzazione che permettono, se
utilizzati correttamente, di liberarsi
dalla sofferenza, dall’odio, dalla rabbia,
dal dolore e da tutti i pesi che non
consentono alla felicità naturale
dell’essere umano di esprimersi
liberamente.
Questo è un libro utile per tutte le
persone che vogliono affrontare il tema
del perdono per se stessi o per gli altri,
apprendendo veri e propri strumenti di
crescita, riequilibrio e autoguarigione.
NOTE

Capitolo 1: Guarire perdonando


1. Freud, Sigmund, Il disagio della civiltà,
Torino, Giulio Einaudi Editore, 2010.
2. Per coping o “capacità di affrontare i
problemi” si intende l’insieme delle strategie
mentali e comportamentali che sono messe
in atto per fronteggiare una certa situazione
[N.d.R.].

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