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Sbobinatore: G.P.

Revisore: G.F.
Materia: Urologia
Docente: Mentassi.
Data: 29/04/2020
Lezione n°: 2
Argomenti: Infezioni delle vie urinarie, calcolosi
urinaria.
Comunicazioni: nessuna.
Riassunto/Integrazione della lezione precedente: si prosegue con la trattazione delle infezioni delle vie
urinarie.

IVU

1.1 Eziologia
I microorganismi più frequentemente implicati nelle
infezioni delle vie urinarie, perlomeno in quelle
comunitarie, sono E.Coli ed Enterobacter; S.
Saprophyticus (gram +) ammonta al 5-10% dei casi.
Candida è un altro patogeno da segnalare, non tanto
per la frequenza (6% di casi), ma perché, soprattutto nei
soggetti immunocompromessi, può determinare dei
quadri severi, anche sepsi gravi.
Nelle infezioni nosocomiali invece si isolano perlopiù
batteri gram- quindi E.Coli (50%) ed altri (ndr: Klebsiella,
Proteus, Enterobacter, Pseudomonas, Serratia), i gram+
sono solo il 10% ed E. faecalis è probabilmente il più
comune.

1.2 Diagnosi
Per la diagnosi ci si basa sulla clinica (fondamentale!), sugli esami di laboratorio, sulla microbiologia e
sugli esami strumentali.

Dal punto di vista laboratoristico si valuta l’esame chimico-fisico delle urine e gli esami ematici quindi:
 Esterasi leucocitaria: dà un’idea della presenza di globuli bianchi nelle urine;
 Nitriti: sono un prodotto del catabolismo batterico;
 Leucocituria: osservazione diretta di globuli bianchi in urine centrifugate in campo ad alto
ingrandimento;
 Batteriura: visualizzazione di batteri nelle urine;
 Piuria: osservazione diretta di globuli bianchi in urine non centrifugate
 Formula leucocitaria: per individuare una leucocitosi neutrofila;
 Proteina C reattiva: è una proteina di fase acuta prodotta dal fegato in risposta all’infiammazione
aspecifica ma anche a seguito di infezioni;
 Procalcitonina: è un’altra proteina che indica un’infezione di tipo batterico, ma bisogna fare
attenzione al fatto che a volte i gram- non ne determinano un rialzo;
 Creatinina: riflette il danno renale diretto o ostruttivo.

Dal punto di vista microbiologico l’esame cardine è quello colturale che si fa o su urine o su tampone.
(immagine)
Un isolato con una carica superiore a 10^5 UCF/mL viene considerato positivo e indicativo di infezione
sostenuta da quel dato batterio, tra 10^3 e 10^5 UCF/mL si è in un range dubbio, sotto 10^3 UCF/mL
viene considerato negativo o con dei contaminanti. (UCF: unità formante colonia)
C’è un’eccezione: i cateteri vescicali vengono considerati colonizzati da patogeni effettivi con valori
sopra i 10^2/10^3 UCF/mL in presenza di una clinica o anche con flore plurimicrobiche (che in genere
vengono considerate contaminanti).
Nelle donne servirebbero almeno due campioni positivi per fare diagnosi di infezione delle vie urinarie,
soprattutto in assenza di clinica.
Bisogna far attenzione alla piuria sterile, che presenta la clinica tipica delle infezioni delle vie urinarie,
ma in assenza di un isolato. Essa può essere causata dall’infezione di Clamidia o di Micobatteri (sia

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perché questi sono più difficili da isolare, sia perché hanno un tempo di duplicazione superiore agli altri
batteri), può essere dovuta ad una batteriuria intermittente o al fatto che il paziente sia stato già messo
in antibioticoterapia (ciò impedisce al clinico ogni tipo di isolamento), può trattarsi di anaerobi per un
limite del laboratorio di microbiologia, oppure può essere una piuria non infettiva litiasica o di tipo
neoplastico.

Dal punto di vista strumentale si fanno TAC ed ecografia in caso di pielonefriti per escludere ascessi peri
e pararenali, oppure ci sono manovre più invasive come:
 Esame colturale dopo sterilizzazione vescicale: si sterilizza la vescica con l’antibiotico e poi, dopo
aver raccolto diversi campioni, si cerca di isolare qualcosa;
 Cateterismo ureterale: è ancora più invasivo;
 Prova dei quattro bicchieri (test di Meares-Stamey): si raccolgono tre campioni di urina per
determinare se l’infezione è a carico dell’uretra, della vescica o della prostata. Il primo (VB1)
comprende i primi 10 mL di urina e i
batteri, se presenti, saranno quelli
tipici della flora uretrale, oppure si
tratterà di un patogeno con
localizzazione uretrale. Il secondo
campione (VB2) comprende le urine
dopo i 10 mL fino allo svuotamento
vescicale completo ed è
considerabile quasi come se fosse
un mitto intermedio (ndr: se risulta
positivo vuol dire che l’infezione è a
livello vescicale). Il terzo campione
(VB3) si ottiene dopo un massaggio
prostatico ed è comunque un
campione di urina, se si hanno i
primi due campioni negativi ed il
terzo positivo con una carica di
almeno dieci volte superiore agli altri
due vuol dire che l’infezione viene
dalla prostata (prostatite).

Per quanto riguarda la clinica è possibile fare una distinzione tra le basse e le alte vie urinarie.
Nelle basse vie urinarie avremo:
• Assenza di dolore lombare;
• Dolore pelvico;
• Assenza di febbre;
• Pollachiuria;
• Urgenza minzionale;
• Stranguria/disuria: bruciore, fastidio;
• Buone condizioni generali dei pazienti.

Nelle alte vie urinarie ci si trova in una situazione opposta poiché i sintomi visti nelle basse vie non sono
presenti, avremo invece:
• Dolore lombare con manovra di Giordano che può essere positiva (e spesso lo è);
• Assenza di dolore pelvico;
• Febbre: >37.5°C, ma può essere anche ben al di sopra di tale soglia;
• Condizioni generali compromesse (proprio perché l’infezione è ad un altro livello).

1.3 Uretrite
Definizione: infezione determinata dalla colonizzazione acuta o cronica delle ghiandole periuretrali che si
trovano nell’uretra bulbare e peniena nell’uomo e per tutta la lunghezza uretrale nella donna.

È un’infezione generalmente determinata da patogeni a trasmissione sessuale quali Chlamydia


trachomatis, N. gonorrhoeae, Trichomonas vaginalis (è un parassita) ed anche l’Herpes simplex può
dare uretrite.
Clinicamente si presenta come le altre infezioni delle basse vie con stranguria, disuria, pollachiuria,
urgenza minzionale. Talvolta sono presenti secrezioni (in particolare nel caso del gonococco sono

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patognomoniche: giallo-verdastre abbastanza dense) in genere più abbondanti al mattino poiché non
urinando non si ha il lavaggio dell’uretra durante la notte.
La diagnosi è quasi sempre clinica, eventualmente può essere supportata dal dato microbiologico con
un tampone uretrale, ma in genere è sufficiente e piuttosto efficace mettere in atto una terapia empirica.
Per gli uomini, in caso di uretrite e soprattutto in caso di rapporti a rischio, è consigliata la ricerca di HIV
e sifilide.
La terapia è diversificata per i diversi patogeni:
• Chlamydia: azitromicina o doxiciclina;
• Herpes: aciclovir;
• Gonococco: ceftriaxone+azitromicina;
• Trichomonas: metronidazolo in monosomministrazione per bocca.
Le complicanze di un’uretrite non trattata sono: stenosi, ascessi periuretrali (nel caso di un’infezioni che
si protrae da molto tempo) e formazione di fistole.

1.4 Sindrome uretrale acuta


Definizione: sindrome clinica, tipica del sesso femminile, che si caratterizza per disuria, pollachiuria e
piuria.

Ha presentazione clinica sovrapponibile alla cistite dalla quale si differenzia per la negatività/bassa
carica (< 10^2 UCF/mL) agli esami colturali, infatti prima avevamo detto che il campione con <10^3
UCF/mL viene considerato come negativo o contaminante.
Può essere causata da uretrite (quindi con eziologia infettiva) e gli isolati più frequenti sono E. coli P-
fimbriati (è il principale di tutte le IVU), C. trachomatis e N. gonorrhoeae.
Sono state proposte ipotesi alternative a quella infettiva che, ad oggi, non trovano forti evidenze in
letteratura.

1.5 Batteriuria asintomatica


Definizione: evidenza colturale di un patogeno compatibile con un’infezione delle vie urinarie, sia per
specie, che per carica, in assenza di una qualsiasi manifestazione clinica.

È una condizione decisamente frequente: si stima che sia presente nel 5% delle donne in generale e
fino al 50% delle donne anziane ricoverate in regime di lungodegenza o RSA. Negli uomini over80 si
riscontra nel 5-21% dei pazienti.
Non è generalmente consigliato lo screening, a meno che si tratti di pazienti a rischio come:
• Donne in stato gestazionale tra la 12° e 16° settimana;
• Trapianto renale nei 6 mesi precedenti al momento in cui è insorto il sospetto di batteriuria;
• Pazienti pediatrici con reflusso vescico-ureterale, perché è un fattore predisponente alle infezioni
nelle alte vie;
• Pazienti con programma d’intervento chirurgico in cui si sa già che si andrà a cruentare la
mucosa uroteliale.
Di fronte ad un isolamento si è propensi a trattare, ma in realtà non andrebbe fatto perché aumenta
l’antibiotico-resistenza della collettività ed in moltissimi casi non si riesce nemmeno ad eradicare la
colonizzazione.
Quindi il trattamento non è richiesto, ad eccezione dei pazienti a rischio di complicanze sopra elencati e
dei pazienti che devono essere sottoposti a manovre chirurgiche invasive.

1.6 Cistite
Definizione: sindrome clinica sostenuta dall’infezione della parete vescicale che da sola rappresenta
l’80% circa delle infezioni delle vie urinarie.

È molto più frequente nelle donne: circa la metà delle donne ha almeno un’infezione delle vie urinarie nel
corso della vita, poiché la brevità dell’uretra femminile è il principale fattore favorente.
Nelle donne si distinguono forme complicate e non complicate. Per definire queste ultime, la paziente:
• Non deve essere in menopausa;
• Non deve avere anomalie anatomiche o funzionali;
• Non devono essere gravide;
• Non devono avere patologie di base (diabete, immunosoppressione..) che possano peggiorare
l’evoluzione dell’infezione.
Le forme non complicate nel sesso maschile si verificano in pazienti tra i 15 e i 50 anni che contraggono
rapporti anali non protetti o che non sono circoncisi. In questa fascia di età le infezioni sono
particolarmente rare e necessitano di approfondimenti.
Tutti i restanti casi sono considerati come complicati.

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I fattori di rischio specifico sono i rapporti sessuali (infatti si parla di “cistite da luna di miele”).
La diagnosi è clinica e/o supportata da esami laboratoristici e/o microbiologici.
Si manifesta clinicamente con un esordio brusco, pollachiuria, disuria, stranguria e nicturia. Può essere
presente dolore in ipogastrio più o meno accentuato e generalmente non c’è febbre. Nel 30% dei casi
può essere presente ematuria macroscopica.
Le complicanze comprendono sepsi e prostatite acuta o cronica, ma esse non sono frequenti. In realtà è
da considerare il fatto che anche la prostatite può dare cistite, quindi si può avere una sequenza
temporale opposta.
La cistite si definisce “ricorrente” (ma in generale tutte le IVU tra cui anche la pielonefrite possono
esserlo) con un numero di 2 o più infezioni in 6 mesi o con almeno 3 episodi in un anno.
Il trattamento della cistite non complicata comprende:
• Cotrimoxazolo: è una buona prima linea se il tasso di resistenza a E. coli è inferiore al 10%
(p.o.);
• Nitrofurantoina: è una buona alternativa (dalle slides: 100mg p.o. bid per 5 giorni);
• Fosfomicina: è un’altra buona alternativa (3g p.o. in monosomministrazione);
• Fluorochinoloni: meglio utilizzarli come seconda terapia (p.o., ciprofloxacina o levofloxacina).
In caso di cistiti ricorrenti/recidivanti, soprattutto se nella donna, si può fare profilassi in tre diversi modi:
antibioticoterapia ciclica, estratto di mirtillo rosso (cranberry) limita la lesività e la virulenza batterica ed
antibiotico in mono-somministrazione dopo il coito.
Diagnosi differenziale: entra in diagnosi differenziale con la sindrome uretrale, cistite interstiziale, cistite
neoplastica e cistite post-attinica.

1.7 Pielonefrite acuta


Definizione: Infezione del bacinetto renale e del parenchima renale, quando rimane limitata al bacinetto
si definisce invece cistopielite.
Il principale patogeno è E. coli (fino al 70% dei casi) e in particolare i ceppi uropatogeni (UPEC) che
esprimono le adesine (fimbrie mannosio-resistenti).
Le forme ematogene sono meno frequenti e in genere sostenute da Gram positivi, come S. aureus,
provenienti da fonti esterne (es. tossicodipendenza, endocardite infettiva).

Abbiamo ancora una volta la distinzione in forme complicate (più frequenti) e non complicate
Le forme complicate sono così definite per:
 Ostruzione al flusso urinario, che può essere ad esempio stenosi o calcolosi
 Patologia renale sottostante
 Sesso maschile
 Immunosoppressione
Esordisce in modo brusco con febbre elevata che può accompagnarsi a brivido (indicativo di sepsi). Di
comune riscontro sono il dolore lombare con Giordano positivo, nausea e vomito; mancano invece tutti i
sintomi tipici delle infezioni del tratto inferiore.
É opportuno sottoporre i pazienti a esami strumentali per escludere ascessi intra/pararenali o ostruzione
delle vie urinarie dovuta a calcoli.
La pielonefrite acuta può essere trattata per via “domicilare”, oppure tramite ospedalizzazione,
quest’ultima opzione richiede però dei precisi criteri:
 Quadro settico
 Impossibilità nel somministrare terapia orale
 Aumento della creatinina sierica
 Dolore non tollerabile
Va tenuta in considerazione anche la volontà del paziente di voler rimanere a casa, da questo scaturisce
che la maggior parte delle volte questo venga ospedalizzato.
La terapia per la gestione da casa consiste in un fluorochinolonico per bocca per 7 giorni o ceftriaxone in
muscolo per 10 giorni.

1.8 Ascessi renali e perirenali


Possono insorgere come conseguenza di una pielonefrite acuta oppure ex novo.
Si distinguono in:
 Corticali: secondari a disseminazione ematogena.

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 Cortico-midollari: più frequenti in soggetti anziani con anomalie delle vie urinarie di tipo ostruttivo
o funzionali. In questo caso l’infezione è ascendente.

Gli ascessi perirenali arrivano fino alla fascia di Gerota, ma possono estendersi al retroperitoneo.
Clinicamente mimano la pielonefrite a tal punto che è difficile distinguerli, per la diagnosi sono quindi
necessari l’ecografia e/o la TC oltre agli esami di laboratorio e colturali che non sempre sono affidabili.
Di norma richiedono il drenaggio chirurgico percutaneo.

1.9 Pielonefriti croniche


Sono essenzialmente due:

 Nefrite tubulo-interstiziale infettiva


Si associa tipicamente a uropatia ostruttiva e a reflusso vescico-ureterale, è da sospettare nei
pazienti con IVU ricorrenti con particolare attenzione per l’età pediatrica, nella quale è più
comune il reflusso vescico-ureterale.
È una condizione generalmente bilaterale, a progressione lenta e si ha insufficienza renale
terminale nel 2-3% dei pazienti, è caratterizzata da esiti cicatriziali che retraggono le papille
renali.
La diagnosi si effettua con urografia, cisto-ureterografia minzionale e cistoscopia ed è
differenziale con la tubercolosi genito-urinaria.
La terapia è mirata alla eliminazione del reflusso, tendenzialmente chirurgica.

 Pielonefrite xantogranulomatosa
È poco comune e si caratterizza per la reazione infiammatoria suppurativa granulomatosa a
livello renale o fino al grasso e agli organi retroperitoneali.
Il patogeno più frequentemente implicato è Proteus spp., è un produttore di ureasi quindi può
anche favorire la formazione di calcoli.
È tipicamente monolaterale ed entra in diagnosi differenziale con i processi neoplastici a carico
del rene e del retroperitoneo, richiede pertanto esame istologico.
Clinicamente si ha astenia (secondaria allo stato anemico) e IVU ricorrenti con risposta parziale
all’antibioticoterapia, la diagnosi si basa sulla presenza di piuria, proteinuria e macroematuria,
oltre alla fondamentale evidenza strumentale della massa all’ecografia o TAC.
La terapia prevede la nefrectomia o la “pulizia” di tutto il retroperitoneo dopo un lungo ciclo di
terapia antibiotica.

1.10 Infezioni associate a catetere vescicale


Infezioni in paziente con catetere urinario a permanenza o posizionato almeno 48 ore prima dell’esordio
clinico. Si stima che il rischio di batteriuria aumenti del 3-10% per ogni giorno di cateterizzazione.
Il 10-25% dei pazienti con batteriuria asintomatica svilupperà infezione. Non richiede profilassi

1.11 Trattamento delle IVU complicate


Sostenute da patogeni con maggiore virulenza e antibioticoresistenza su pazienti più fragili, necessitano
quindi di un’antibioticoterapia di maggiore durata (7-21 giorni).
Cistite: fluorochinolone o cefalosporina di III generazione (ceftriaxone), amminopenicilline. Si prosegue
la terapia per almeno 3-5 giorni dopo la risoluzione del quadro clinico.
Pielonefrite: carbapenemico +/- amminoglicoside. Il carbapenemico è attivo sui batteri ESBL+ e
l’amminoglicosidico ha alta attività battericida, ma anche controindicazioni sulla funzionalità renale.
La terapia dovrebbe proseguire per 10-15 giorni dopo la risoluzione del quadro clinico, dopo una prima
fase di somministrazione in vena si può passare a quella per os, con il fine di mandare a casa il
paziente.
IVU nosocomiali: definite complicate per via del maggior tasso di resistenze in ambiente ospedaliero;
come per la pielonefrite la terapia empirica dovrebbe basarsi su un carbapenemico associato o meno a
un amminoglicoside.

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Sia per la pielonefrite, che per le infezioni nosocomiali è possibile sostituire il carbapenemico con
l’associazione piperacillina/tazobactam.

1.12 Prostatite
Definizione: infiammazione della prostata
Ne esistono 4 categorie:
 Batterica acuta
 Batterica cronica
 Prostatite cronica abatterica (sindrome dolorosa pelvica cronica, CPPS)
 Prostatite asintomatica
Tratteremo solo le prime due
La prostatite batterica acuta è più spesso causata da E. coli (65-80%); i ceppi ESBL+ sono implicati
con una maggiore frequenza nella prostatite cronica.
Gli enterococchi rappresentano il 5-10% del totale. Il ruolo di Chlamydia è in discussione.
I fattori di rischio principali sono il reflusso intraprostatico di urina, la fimosi, il sesso anale non protetto,
cateterismo cronico.
Clinicamente la forma acuta si manifesta con dolore importante perineale, febbre con possibile brivido,
lombalgia, pollachiuria, stranguria, nicturia. È possibile anche che il paziente ci riferisca un episodio di
ritenzione completa di urina, incapacità di svuotare la vescica.
La forma cronica è molto meno comune e la sintomatologia molto più sfumata o assente.

Per la diagnosi della prostatite batterica acuta (I categoria) basta il colturale su mitto intermedio, per la
diagnosi della forma cronica (II categoria) si impiega il test di Meares-Stamey o in alternativa la prova dei
due bicchieri proposta da Weidner e Ebner, con valutazione di un primo campione di urina normale e un
secondo raccolto in seguito a massaggio prostatico; con questa metodica non si scremano i casi BB1 e
BB2 del Measers-Stamey.
L’ecografia permette di valutare la presenza di ascessi.
Trattamento:
 Cefalosporina+amminoglicoside, che penetrano bene in prostata e sono attivi sui Gram-;
 Fluorochinolone, prima scelta per gli over 35;
 Carbapenemico (se ipotizzo la presenza di batteri ESBL+ per precedente terapia con
fluorochinolonico);
 Alfa-litici e antiinfiammatori, migliorano l’output urinario e alleviano il dolore.
Il trattamento dura 2-4 settimane per la forma acuta e 4-6 settimane per la cronica, anche in questo caso
si può cominciare in vena per poi finire per bocca.

1.13 Orchite
Definizione: infiammazione del testicolo, generalmente virale e causata dal virus della parotite.
Si ha orchite nel 20-25% dei casi di maschi con parotite, la stragrande maggioranza dei casi si manifesta
in età inferiore a 10 anni.
Più spesso è monolaterale, inficia la fertilità in un quarto dei casi; se dovesse essere bilaterale si sale a
due terzi.
Clinicamente si presenta con dolore, gonfiore testicolare, idrocele reattivo, edema e eritema della cute
scrotale, sintomi molto simili a quelli della torsione testicolare con cui entra in diagnosi differenziale.
Possono essere presenti segni sistemici come astenia, febbre, mialgie che aiutano ad indirizzarci, così
come un’ecografia con Doppler che mostra la vascolarizzazione del testicolo.
Trattamento di supporto per le forme virali e antibiotico per le forme batteriche.

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1.14 Epididimite e orchiepididimite
Generalmente sostenute da batteri:
 <35 anni: batteri a trasmissione sessuale
 >35 anni: bacilli Gram-.
Clinicamente è presente dolore, gonfiore, indurimento e ingrossamento dell’epididimo e/o del testicolo.
Può essere presente idrocele reattivo e può coesistere un’uretrite (o delle secrezioni), che in questo
caso depone per un patogeno a trasmissione sessuale.
Trattamento:
 Riposo a letto con scroto sollevato per evitare traumatismi
 Fluorochinolonico +/- doxiciclina, copre gli intracellulari come la Clamidia
 Cotrimoxazolo
 Amminoglicoside o ceftriaxone e.v.
 Gestione chirurgica degli eventuali ascessi

CALCOLOSI URINARIA

2.1 Definizione e fisiopatologia


I calcoli renali sono depositi di consistenza dura che si formano per precipitazioni di costituenti insolubili
nell’urina, essi variano per composizione, dimensioni e sede. In condizioni fisiologiche l’equilibrio tra
soluto e solvente impedisce la formazione di depositi e quindi di calcoli, inoltre sostanze come il citrato, il
magnesio, lo zinco e altri costituenti svolgono a loro volta un ruolo di inibizione della cristallizzazione. Il
citrato, per esempio, forma un complesso con il calcio e riduce lo stato di saturazione del sistema, in
modo analogo il magnesio con l’ossalato.
Anche la nefrocalcina (glicoproteina acida di origine renale) inibisce la nucleazione, la crescita e
l’aggregazione dell’ossalato di calcio.

La formazione dei calcoli è un processo multifattoriale, che dipende dall’aumentata concentrazione del
soluto ossia delle sostanze che tendono a precipitare e a depositarsi aggregandosi, dalla riduzione del
liquido che tiene i sali in soluzione, come nel caso di disidratazione o di squilibri dietetici e dalla riduzione
di fattori protettivi che fungono da inibitori della precipitazione come quelli descritti precedentemente.

2.2 Epidemiologia
La litiasi renale è molto diffusa nel mondo occidentale, ne è colpito circa il 5-10% della popolazione
(dalle slides: l’etnia più interessata è quella caucasica), l’incidenza è stimata essere di circa 100 000
nuovi casi/anno in Italia, variabile per aree geografiche.
Gli uomini risultano più colpiti delle donne, con un picco di incidenza intorno ai 40-60 anni (rapporto
M:F>3:1, mentre picco nelle donne è a 20-30 anni).
Le recidive sono molto frequenti.

2.2 Eziopatogenesi
I fattori di rischio sono:
 Fattori dietetici e abitudini alimentari: aumentato introito di sostanze precipitanti come calcio,
acido ossalico, purine e scarso apporto idrico come nella disidratazione;
 Alterazioni anatomiche a carico dell’apparato urinario: diverticoli caliceali, ureteroceli, rene a ferro
di cavallo o sindrome del giunto pielo-ureterale possono favorire il deposito di sali e quindi la
formazione di calcoli;
 Alterazioni endocrine come l’iperparatiroidismo o l’iperossaluria primitiva;
 Farmaci: l’indinavir utilizzato nella terapia dell’HIV può raramente favorire la calcolosi;
 Infezioni delle vie urinarie, poiché batteri come Proteus e Klebsiella aumentano la produzione di
sostanze della matrice urinaria;
 Forme ereditarie di calcolosi:
- cistinuria: presenta un’alterazione del trasporto degli aminoacidi nel tubulo renale e
conseguente formazione di calcoli di cistina;

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- acidosi tubulare renale di tipo I;
- iperossaluria primitiva;
- altre: xantinuria, fibrosi cistica, sindrome di Lesch-Nyhan..
I calcoli possono essere classificati in base a:
 eziopatogenesi;
 caratteristiche radiologiche: distingueremo calcoli radio-opachi da calcoli radio-trasparenti;
 composizione chimica: i calcoli di calcio (con ossalato e fosfato) sono i più frequenti, ma anche di
acido urico, struvite, cistina, xantina ed altri più rari.

Nel dettaglio:
I calcoli di calcio, ossalato e fosfato sono i più frequenti, rappresentano circa l’80-85% della calcolosi
totale e sono più frequenti nei maschi.
Essi sono causati da tre condizioni di base: ipercalciuria, iperossaluria e ipocitraturia.
La causa più frequente di ipercalciuria è l’iperparatiroidismo, altre cause più rare sono gli squilibri
dietetici o condizioni ereditarie come l’acidosi tubulare di tipo I.
Le cause di iperossaluria sono le IBD (come la malattia di Chron), gli esiti della chirurgia bariatrica e
condizioni ereditarie come l’iperossaluria primitiva.
L’ipocitraturia, ovvero la diminuita escrezione di citrato con le urine, si verifica invece nelle condizioni di
ipokaliemia e di ipomagnesemia, nell’acidosi tubulare di tipo I e nelle IVU.

I calcoli di acido urico sono circa il 5% del totale, sono più frequenti negli uomini.
Un eccessivo introito e turnover di purine è alla base della loro formazione, condizione che si verifica per
esempio nella gotta, nelle sindromi mieloproliferative o negli squilibri dietetici.
Il pH acido li fa precipitare, mentre si ha la loro dissoluzione con pH alcalino.
Sono calcoli tipicamente radio-trasparenti.

I calcoli di struvite sono circa il 5-15% del totale e sono più frequenti nelle donne.
La loro formazione è favorita da infezioni urinarie croniche da parte di batteri ureasi+ come Proteus,
Pseudomonas e Klebsiella che modificano la matrice urinaria e favoriscono la precipitazione.
Si formano anche nei pazienti portatori di catetere vescicale a dimora ed in caso di vescica neurologica.
(Sono debolmente radio-opachi, c’è un elevato rischio di recidiva)

I calcoli di cistina sono più rari e si verificano a causa di una condizione ereditaria autosomica
recessiva che comporta un deficit di trasportatori di aminoacidi nei tubuli renali ed intestinali. Sono più
frequenti nei maschi in età pediatrica/infantile. Precipitano a pH acido e sono debolmente radio-opachi.

I calcoli di xantina sono ancora più rari, sono radio-trasparenti e sono causati da una condizione
genetica definita xantinuria (ovvero deficit dell’enzima xantina deidrogenasi: ipoxantina>>xantina>>acido
urico, per la diagnosi si riscontrano alti livelli di ipoxantina e bassi livelli di acido urico ematici ed urinari).

Molto rari sono i calcoli di indinavir (inibitore delle proteasi), si verificano nel 6% dei pazienti che
assumono tale terapia (unico calcolo radio-trasparente alla TC).

2.3 Sintomatologia
I calcoli che rimangono confinati nei calici renali non danno sintomi e vengono riscontrati incidentalmente
in corso di imaging per altro motivo. È la migrazione del calcolo lungo l’uretere, il suo incunearsi,
l’ostruzione e la dilatazione delle cavità calicopieliche (definita idroureteronefrosi) a dare la
sintomatologia di tipo colico.
Il dolore è quindi acuto ed improvviso, localizzato a livello del fianco posteriormente o irradiato
anteriormente fino al testicolo nell’uomo e alle grandi labbra nella donna. Caratteristico del dolore colico
è che non ci siano posizioni antalgiche che possano alleviare la sintomatologia dolorosa.
La colica renale si può accompagnare a disturbi neurovegetativi come nausea, vomito e sudorazione
algida. Possono manifestarsi anche disturbi irritativi minzionali se il calcolo si localizza a livello
dell’uretere distale; febbre se si associa ad IVU e macroematuria.

2.4 Iter diagnostico


Per arrivare ad una corretta diagnosi bisogna procedere per step e bisogna far attenzione alla diagnosi
differenziale della colica renale con altre patologie che vanno escluse:
 patologia ginecologica: gravidanza extrauterina, patologia ovarica..

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 appendicite
 ulcera peptica
 colica biliare
 diverticolite
 rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale

Partendo dall’anamnesi è importante considerare l’età del paziente e la familiarità per calcolosi
(cistinuria, ossaluria..), valutare le caratteristiche del dolore e quindi sapere quando è insorto, dove si
irradia, se si accompagna a nausea, vomito o macroematuria e capire la relazione temporale tra il dolore
e la macroematuria: nella colica renale il dolore è antecedente alla macroematuria; al contrario nella
neoplasia renale abbiamo prima la macroematuria e successivamente il dolore, dato dalla presenza di
coaguli lungo la via escretrice.
Bisogna chiedere se sono note alterazioni anatomiche (come la sindrome del giunto pielo-ureterale), se
ci sono precedenti urologici, se sono già stati effettuati interventi precedenti in questo campo ed è
importante indagare le abitudini alimentari e i farmaci assunti dal paziente.

L’esame obiettivo deve essere accurato, in fase acuta il dolore colico entra in diagnosi differenziale con
la peritonite, il segno di Giordano (percussione con il taglio della mano in regione lombare) risulterà
positivo, mentre invece quello di Blumberg (patognomonico per peritonite) negativo.

All’esame ematochimico risulterà una spiccata leucocitosi e concomitante aumento della PCR in caso di
infezione.

All’esame chimico-fisico delle urine si valutano il Ph, microematuria, leucocituria e aumento delle
esterasi leucocitarie e dei nitriti in caso di infezione.

Il primo esame che si conduce è l’ecografia, in cui si nota la tipica area iperecogena con cono d’ombra
posteriore,con gli ultrasuoni si valuta anche l’idronefrosi ovvero l’eventuale dilatazione della via
escretoria a monte data dal calcolo incuneato.
Tuttavia l’ecografia ha dei limiti in quanto non visualizza calcoli di diametro inferiore a 5mm e non
permette di valutare l’uretere nella sua interezza, se non nel suo tratto prossimale e in quello prossimo
alla vescica.

L’RX permette di valutare numero, sede e dimensioni del calcolo, ma visualizza solo quelli radiopachi.

La TAC dell’addome senza contrasto rappresenta il gold standard, perché permette di individuare tutti i
calcoli e fornisce eventuali informazioni sulla morfologia e lo stato di salute del rene; permette inoltre di
calcolare la densità del calcolo e quindi la sua composizione:
 Acido urico: radiotrasparenti, hanno densità < 500 HU (unità Hansfield)
 Ossalato di calcio: radiopachi, hanno densità >1000 HU

L’utilizzo del mdc permette inoltre di studiare la funzione escretoria renale in vista di un futuro intervento
chirurgico.

In passato si utilizzava anche l’urografia, ormai in disuso, che sfruttava un mdc iodato radiopaco iniettato
per via endovenosa per ottenere una radiografia delle vie urinarie in seguito alla filtrazione del sangue e
concentrazione delle urine.

2.5 Trattamento
Per placare la sintomatologia dolorosa si utilizzano i FANS e, in caso di dolore incoercibile, anche gli
oppiacei; per la soluzione della calcolosi invece abbiamo diverse strategie che dipendono dalle
caratteristiche del calcolo e in particolare modo dalla sua posizione.
 Terapia espulsiva (calcoli dell’uretere distale diametro < 4mm)
Si basa sull’utilizzo della Tamsulosina e dell’Edevexin, la prima con effetto alfa-litico e
miorilassante della muscolatura liscia ureterale, mentre il secondo è un anti-edemigeno.

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 Terapia litolitica
Si basa sulla distruzione del calcolo e inibizione di una nuova genesi, insieme all’idratazione
(almeno 2L/die) si somministra una terapia specifica in base alla composizione del calcolo.

 Litotripsia extracorporea (ESWL)


Si basa sulla frammentazione meccanica dei calcoli tramite onde d’urto, con successiva
espulsione spontanea dei frammenti, il calcolo è individuato tramite RX e fluoroscopia (con la
cosiddetta centratura).
É indicata per calcoli radiopachi con dimensioni inferiori ai 2cm.
É controindicata in caso di alterazioni della coagulazione, alterazioni scheletriche, stato di
gravidanza e obesità grave.
Le complicanze possono essere legate alla colica, che può insorgere durante l’eliminazione dei
frammenti, alla mancata frammentazione o alla formazione di un ematoma renale.
 Bonifica endoscopica
Per via endoscopica si risale lungo l’uretere in modo da individuare il calcolo e frammentarlo
tramite l’utilizzo del laser. Le due tecniche endoscopiche sono la RIRS (retrograde intrarenal
surgery) e la ULL (ureterolitotrissia).
A protezione della via escretrice è possibile posizionare dopo il trattamento uno stent ureterale.
Le complicanze sono principalmente emorragiche e settiche, in casi davvero rari si può avere
stenosi e avulsione dell’uretere.
 Nefrolitomia percutanea (PCNL)
Si usa per calcoli di grandi dimensioni, a stampo o in seguito a fallimento delle tecniche
precedenti.
Si accede per via renale tramite puntura percutanea a livello dei calici sotto guida ecografica o
fluoroscopica e, una volta individuato il calcolo, avviene la frammentazione ed estrazione per
ottenere una bonifica completa.
Sono controindicazioni le alterazioni della coagulazione, alterazioni scheletriche e la presenza o il
sospetto di tumore del rene perché si provocherebbe tumor seeding, ovvero lo spandimento di
cellule neoplastiche.
 Chirurgia
In caso di difficoltà delle tecniche endoscopiche o di calcolosi associata ad altra patologia renale,
come nel caso di sindrome del giunto o di rene a ferro di cavallo, si procede con la chirurgia
tramite approccio laparoscopico, robotico o open.
Le complicanze sono di tipo emorragico e settico.

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CALCOLOSI VESCICALE
Situazione rara favorita dalla stasi urinaria, quindi da ipertrofia prostatica benigna, diverticoli vescicali,
vescica neurologica o cateterismo a dimora.
Provoca disturbi irritativi menzionali (stranguria, pollachiuria ed urgenza minzionale).
La diagnosi viene fatta tramite ecografia, che individua un calcolo iperecogeno la cui sede in vescica
varia a seconda del decubito del paziente, il trattamento è di tipo endoscopico.

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