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Sbobinatore: F.R.

Revisore: R.P.
Materia: Urologia
Docente: A. Gheza, F. Mondini
Data: 13/05/20
Lezione n°: 4
Argomenti: neoplasie della vescica, disfunzione
erettile, ematuria

Riassunto/Integrazione della lezione precedente: Il professore riprende la spiegazione delle neoplasie della
vescica, analizzando in particolare la diagnosi e la terapia di queste ultime.

NEOPLASIE DELLA VESCICA

DIAGNOSI

1.1 Sintomi
Per la diagnosi delle neoplasie della vescica è essenziale lo studio della sintomatologia. I vari sintomi
osservabili sono:
 Ematuria (85%): presenza di sangue nelle urine, tipicamente Macroematuria (75%), di solito non
associata ad altri sintomi, come febbre o disturbi della minzione, oppure Microematuria (10-15%).
Rappresenta una spia importante soprattutto nella fascia di età critica, ossia tra i 50-75 anni.
 Disturbi irritativi minzionali (35%): Pollachiuria (19%), urgenza minzionale (10%), bruciore
minzionale (2%). Sono tipicamente associati alla presenza di un carcinoma in situ.
 Idroureteronefrosi (5%): dilatazione delle alte vie urinarie. Si osserva tipicamente in malattie avanzate
o malattie che interessano gli osti ureterali.
 Ritenzione acuta d’urina (2-3%).
 Sintomi generali: anemia, febbricola, decadimento fisico.

1.2 Esami diagnostici


Un paziente con un sospetto di tumore della vescica viene sottoposto a diversi esami diagnostici, quali:
 Ecografia addominale: permette di esplorare l’intera vescica e di osservare l’eventuale presenza di
difetti di riempimento. Risulta diagnostica se la neoformazione ha un aspetto peduncolato o
arboriforme, mentre non è diagnostica se la neoformazione ha un aspetto sessile o piatto. Viene
considerato un esame di primo livello, poiché semplice, ripetibile e poco costoso.
 TC: consente di osservare difetti di riempimento nel lume della vescica. Una TC addome con o senza
mezzo di contrasto rappresenta il gold standard per la diagnosi di tumore della vescica.
 Urografia: attualmente in disuso. Sostituita dall’utilizzo di TC con mezzo di contrasto, con ricostruzione
tridimensionale delle strutture osservate.
 Citologie urinarie: l’urotelio, epitelio che riveste la vescica, va incontro ad un turnover periodico con
desquamazione delle cellule superficiali, che poi vengono perse nelle urine. Analizzando al
microscopio il sedimento urinario è possibile individuare la presenza di atipie sospette per neoplasia.
 Cistoscopia: esame importante per confermare un sospetto di tumore della vescica. Osservazione
diretta della parete vescicale grazie all’ausilio di strumenti chiamati cistoscopi, sia rigidi che flessibili,
che consentono, grazie ad una sorgente luminosa ed una telecamera, di entrare attraverso l‘uretra e di
valutare la parte vescicale.

1.3 Aspetto delle neoformazioni


All’interno della vescica le neoformazioni possono avere aspetti diversi:
 Classiche papille
 Papille più tozze
 Formazioni solide
 Aree iperemiche: tipicamente osservabili a livello di un carcinoma in situ

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TRATTAMENTO

2.1 Trattamento endoscopico


Le forme neoplastiche limitate alla mucosa o alla sottomucosa vescicale sono trattate con la tecnica
endoscopica T.U.R.B (trans uretral resection of the bladder), che consiste nell’inserimento di un resettore in
uretra e da qui in vescica, che permette l’eliminazione delle neoformazioni tramite un’ansa diatermica a forma
semicircolare. Per una maggiore sicurezza di una totale resezione della massa è consigliato prelevare tessuto
fino al raggiungimento dello strato muscolare. Il materiale prelevato verrà inviato all’anatomopatologo che
effettuerà una diagnosi di certezza; tipicamente si tratta di carcinoma uroteliale papillare di alto/basso grado,
meno frequentemente si tratta di un papilloma uroteliale o di un papilloma invertito.
In base all’istologia è possibile valutare la necessità di ulteriori trattamenti in aggiunta a quello endoscopico,
infatti, in caso di invasione dello strato muscolare avremo un tipo di trattamento diverso da quello effettuato
per un tumore limitato a mucosa o sottomucosa, nel quale, dal punto di vista chirurgico, il trattamento
endoscopico risulta sufficiente.

2.2 Trattamento chemioterapico e immunoterapico adiuvante


Se la forma neoplastica è di alto grado o se oltre al tumore si associa un carcinoma in situ, è possibile attuare
una chemioterapia endovescicale o un’immunoterapia endovescicale. Si parla di terapia neoadiuvante o
adiuvante se viene svolta, rispettivamente, prima dell’intervento chirurgico, per ridurre il volume della massa,
oppure dopo l’intervento, per aumentare la radicalità dello stesso.
I farmaci più utilizzati per queste terapie sono:
 Mitomicina C ed Epirubicina: sono dei chemioterapici antiplastici. Entrambi erano utilizzati per il
trattamento dei tumori del polmone, della mammella e dello stomaco, ma per gli effetti collaterali
pesanti (nausea, vomito e perdita di capelli) e per lo scarso profilo di tollerabilità non sono più utilizzati
per via sistemica. In urologia, vengono utilizzati con un’iniezione, tramite un catetere sottile,
direttamente in vescica. Il farmaco viene mantenuto all’interno della vescia per circa due ore, in modo
da avere l’effetto anti-neoplastico, mentre la somministrazione della terapia segue un protocollo
standard che prevede un trattamento ogni settimana nel primo periodo, poi ogni mese.
 BCG (bacillo di Calmette-Guérin): un Micobacteruim Bovis vivo attenuato, non patogeno, agisce
stimolando l’immunità di tipo specifico; è l’immunoterapico più utilizzato.
I tumori della vescica non rispondono bene alla radioterapia, infatti viene attuata raramente.

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2.3 Trattamento chirurgico
Trattamento tipico delle forme muscolo-invasive o infiltranti. L’operazione maggiormente effettuata è la
cistectomia radicale, che consiste nell’asportazione in toto della vescica, con annesse prostata e vescicole
seminali (nell’uomo). Nonostante l’asportazione totale della vescica, la capacità di urinare deve essere
mantenuta, per fare in modo che i reni continuino ad essere drenati. Questo viene permesso da tecniche di
derivazione urinaria. Le derivazioni urinarie sono interventi il cui obiettivo è consentire e mantenere il
drenaggio delle urine, quando le vie urinarie non sono più in grado di assolvere alle loro funzioni. Avendo
asportato la vescica, restano gli ureteri, sezionati nel tratto terminale, e l’uretra, sezionata nel tratto
prossimale, che devono essere ricongiunti. Sono presenti numerose tipologie di derivazione urinaria:
 Ureterocutaneostomia: derivazione urinaria più semplice, svolta tipicamente sui pazienti più anziani
con particolari comorbilità. Generalmente, l’uretra viene lasciata in sede, a meno che non sia
interessata dalla neoplasia, ed in tal caso si procede con una uretrectomia. Il paziente necessita di una
stomia con sacchetto permanente.
 Ureteroileocutaneostomia: è la derivazione urinaria più diffusa, consiste nel sezionare un tratto di
ileo, calcolando dalla valvola ileo-cecale almeno 20-30 cm, per evitare di resecare la porzione di ileo
con cellule di assorbimento della Vitamina B12 e ferro. A monte, si seziona un’altra porzione di ileo,
ottenendo così una porzione di ileo separata dal resto dell’intestino, che viene utilizzata come sacca
che conterrà le urine, una volta anastomizzata agli ureteri. Questo tratto, a sua volta, viene
anastomizzato alla cute. Il paziente necessita di una stomia con sacchetto permanente. Riduce di
molto il rischio di infezioni per la risalita di germi dalla cute agli ureteri ed è meglio tollerato.

2.4 Neovescica
Negli ultimi 20-25 anni è stata introdotta una nuova tecnica chirurgica, quella della neovescica. Essa consiste
in un’ansa ileale confezionata a formare una sorta di serbatoio, che, oltre ad essere anastomizzata agli ureteri,
in modo da raccogliere le urine, viene anche anastomizzata all’uretra, per fare in modo che le urine vengano
drenate per via naturale. Tra i primi centri al mondo a descrivere questo tipo di tecnica ci sono centri padovani,
infatti si parla di vescica ileale padovana: oggi a Brescia è la più utilizzata. Le anse vengono ritagliate in
modo da ottenere un serbatoio abbastanza capiente, quindi vengono anastomizzate agli ureteri e questa
nuova vescica viene rabboccata all’uretra. Il paziente urinerà effettuando un torchio addominale (spingendo
con la pancia), non essendo più presente il muscolo detrusore della vescica.

DISFUNZIONE ERETTILE

3.1 Caratteristiche
La disfunzione erettile è l’incapacità di raggiungere e mantenere un'erezione peniena sufficiente a consentire
un rapporto sessuale. Può manifestarsi in diverse forme:
 Totale assenza di erezioni, anche notturne
 Erezione parziale, insufficiente a consentire una corretta penetrazione
 Impossibilità a mantenere l'erezione per tutta la durata del rapporto

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3.2 Epidemiologia
La disfunzione erettile è riscontrabile in tutte le fasce d'età, tipicamente:
 20-40 anni (6%)
 40-50 anni (6%)
 50-59 anni (18%)
 60-69 anni (26%)
 >70 anni (44%)

Questo disturbo può essere ricorrente oppure occasionale.

3.3 Fisiologia della disfunzione erettile


La disfunzione erettile è il risultato finale del rilassamento della muscolatura liscia dei corpi cavernosi, in
risposta ad un riflesso spinale che può essere attivato da diversi stimoli. Questo riflesso coinvolge vie efferenti
autonomiche e somatiche ed è modulato da influssi sopra-spinali per l'attivazione di centri e vie del sistema
nervoso centrale.
Si distinguono tre tipologie di erezione:
 Erezione riflessogena: generata da stimoli tattili sui genitali, che raggiungono il centro erettivo spinale
a livello di S2-S4, da cui partono le fibre vasodilatatrici parasimpatiche dirette al pene, a livello dei
“nervi erigendi”.
 Erezione psicogena: attivata da stimoli audio-visivi, olfattivi o fantasie erotiche. Questi segnali
provengono dalla corteccia visiva, uditiva, olfattiva e dalle aree associative e discendono a livello dei
centri spinali T10 - L2 per attivare l'erezione.
 Erezioni notturne: attivate dal centro erettogeno, posto nel SNC, e avvengono prevalentemente
durante la fase R.E.M. del sonno.

3.4 Regolazione centrale


A livello centrale esiste un complesso sistema di regolazione dell’erezione che coinvolge:
Neuromediatori:
 Attivanti: Dopamina, Noradrenalina, NO, Acetilcolina.
 Inibenti: Serotonina.
Neuropeptidi:
 Attivanti: Melatonina, Ossitocina
 Inibenti: Peptidi Oppioidi

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Lo stimolo dell'erezione determina un’iniziazione neuronale, che porta alla produzione di stimoli erettivi a livello
del midollo sacrale, da parte di neuroni sensitivi eccitatori. A questo consegue un’attivazione cellulare, la
formazione della guanosina monofosfato ciclico (cGMP6), che determina un rilassamento della
muscolatura liscia stimolando il riempimento dei sinusoidi. Questo processo determina la compressione dei
plessi di venule sub-tunicali, impedendo l’efflusso venoso dai corpi cavernosi verso il sistema circolatorio,
causando l’erezione.

3.5 Classificazione del deficit erettile


La classificazione del deficit rettile può essere di tre tipi:
 Psicogena: tipicamente nella popolazione giovane;
 Organica: maggiormente nella popolazione anziana, spesso associato ad una patologia di base
vascolare, tipicamente trattabile;
 Mista

Deficit erettile di tipo psicogeno può essere derivato da:


 Ansia da prestazione
 Stile di vita non corretto
 Conflitti familiari
 Conflitti relazionali
 Infedeltà

Deficit erettile di tipo organico si suddivide a sua volta in varie categorie:


 Problematiche di tipo vascolare (vasculopatie), che possono derivare da un ipoafflusso arterioso o da
un iperdeflusso venoso;
 Cause neurogene, sia centrali che periferiche;
 Alterazioni anatomiche del pene, acquisite o congenite;
 Malattie endocrine, acquisite o congenite;
 Forme iatrogene, come utilizzo di antidepressivi, antipertensivi, antipsicotici.

Sopra sono riportate le varie cause vascolari e periferiche, che portano alla modificazione dell'endotelio e della
fisiologia erettile. Principalmente si possono osservare ipertensione, diabete mellito, dislipidemia, fumo e
interventi di chirurgia maggiore (prostatectomia radicale, cistectomia), che possono andare a colpire le
componenti nervose necessarie per l'erezione. Le cause centrali neurologiche più comuni sono traumi,

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malattie del midollo spinale, tumori del sistema nervoso centrale, malattie degenerative (la sclerosi multipla,
nel maschio, può esordire con un deficit erettile).

Tra le cause anatomiche o strutturali, acquisite o congenite, abbiamo: ipospadia, curvatura congenita del
pene, malattia di La Peyronie. Tra le cause ormonali soprattutto iperprolattinemia, determinata spesso da un
adenoma a livello centrale. Anche subire traumi che determinano una frattura peniena può causare deficit
erettile.

3.6 Fattori di rischio


I fattori di rischio del deficit erettile sono:
 Età
 Fumo
 Depressione
 Ansia
 Diabete
 Malattie cardiovascolari

3.7 Tipologie di danno


 Danno acuto: vasospasmo, inibizione della sintesi del NO;
 Danno cronico: disfunzione endoteliale e aterosclerosi.

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Tutto ciò che causa una modifica e una perdita di elasticità dell’endotelio a livello dei vasi periferici può
determinare insufficienza arteriosa e riduzione della vasodilatazione, che, a loro volta, determinano una
perdita di elasticità dei sinusoidi, quindi una diminuzione dell’occlusione nei corpi cavernosi e quindi una
perdita di rigidità del pene durante l’erezione (deficit erettile).

3.7.1 Opzioni terapeutiche


È importante il colloquio medico-paziente, in cui si andranno a valutare i fattori di rischio sui quali è possibile
intervenire. Sono presenti più approcci:
 Terapia con farmaci orali;
 Terapia locale: terapia ad onde d'urto, vacuum devices, puntura con sostanze esterne direttamente a
livello dei corpi cavernosi (Alprostadil);
 Terapia chirurgica, con impianto di protesi mono-componente o tri-componente.

Importante anche l’educazione sessuale di coppia nei pazienti con un partner stabile.

La modifica dello stile di vita è fondamentale soprattutto nei pazienti più giovani, per i quali si è osservato un
miglioramento netto nel quadro di deficit erettile, in seguito a:
 Riduzione del peso
 Abolizione del fumo
 Riduzione del consumo di alcol
 Controllo della pressione arteriosa
 Attività fisica regolare
 Astensione dall'uso di stupefacenti

3.7.2 Terapia farmacologica


I farmaci più utilizzati per la terapia della disfunzione erettile sono gli Inibitori della fosfodiesterasi V (PDE5),
che inibiscono la fosfodiesterasi, la quale fisiologicamente disattiva l'azione della guanosina monofosfato
ciclico cGMP. Questo permette il mantenimento del rilassamento della muscolatura liscia per più tempo e
quindi un allungamento dell’erezione.
Questi farmaci non sono efficaci in condizioni di un pene denervato e sono antagonizzati da sostanze che
inibiscono la NOsintasi. Sono dipendenti dalla presenza di uno stimolo erogeno, non agiscono in assenza di
un sistema vascolare sensibile ad NO. Tipicamente non vengono prescritti a pazienti giovani, che non hanno
problematiche funzionali.
L'effetto indesiderato più temibile di questi farmaci è il rischio di ipotensione, in quanto non sono selettivi e
vanno ad agire non solo nei vasi penieni, ma anche in vasi a livello polmonare, causando una riduzione della
pressione sistemica.

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I principali farmaci di questa famiglia sono:
 Sildenafil: è stato il primo scoperto, Viagra;
 Avanafil
 Vardenafil
 Tadalafil: il più utilizzato. Caratterizzato da una ridotta comparsa di effetti collaterali ed un’emivita
maggiore. Viene somministrato per via orale tramite tre compresse settimanali, che permettono una
concentrazione plasmatica di farmaco sufficiente ad avere un rapporto sessuale al bisogno.

3.7.3 Protesi peniena


Spesso proposta al paziente come ultima scelta terapeutica, quando il paziente si è dimostrato non responsivo
alle altre terapie. Si parla di protesi mono-componente rigida, oppure tri-componente. La seconda è la più
utilizzata e consiste nell'utilizzare due cilindri, che vengono posizionati chirurgicamente all'interno dei corpi
cavernosi, un reservoir, che viene posto al di sotto della vescica (dove era presente la prostata di un paziente
che ad esempio ha subito una prostatectomia radicale) o al di sotto della prostata e una pompetta a livello del
sacco scrotale. Si forma così un circuito chiuso che funziona in base al desiderio del paziente, permettendogli
di avere una erezione, non spontanea, ma duratura per quanto desideri.

EMATURIA

4.1 Caratteristiche
L’ematuria consiste nella presenza di sangue nelle urine, definibile come la presenza di almeno 3 globuli
rossi per campo microscopico all'ingrandimento di 40X.
È importante distinguere tra:
 Ematuria macroscopica: è un sintomo, il paziente giunge dal medico dopo aver visto sangue nelle
urine ad occhio nudo.
 Ematuria microscopica: è un segno clinico, che si rileva all'esame chimico fisico delle urine.

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4.2 Diagnosi differenziale
In presenza di urine rossastre è necessario escludere:
 Urine concentrate: causate da disidratazione;
 Uretrorragia: sanguinamento uretrale non correlato con la minzione, ad esempio conseguente ad un
cateterismo difficile;
 Pseudoematuria: le urine si colorano di rosso per la presenza di diverse sostanze, quali farmaci
(rifampicina), alimenti (rape rosse), coloranti (anilina), pigmenti urinari;
 L'ematuria di causa medica: coagulopatia, trombocitopenia, assunzione di anticoagulanti,
antiaggreganti, cause nefrologiche (glomerulonefriti).

4.3.1 Iter diagnostico per ematuria: anamnesi


Per porre diagnosi di ematuria compiere un’anamnesi corretta è essenziale, poiché questa andrà a dettare le
scelte successive nell'ambito di esami strumentali o chimico-fisici.
Il primo test da porre al paziente è la prova di Guyon: consiste nel fare urinare il paziente in tre campioni di
urina e vedere dove si concentra l'ematuria.

Se l’ematuria si concentra nel primo campione, si parla di ematuria iniziale, la sede del sanguinamento sarà
a livello del collo vescicale o uretrale. Se si osserva ematuria terminale, questa sarà verosimilmente di
origine vescicale, a livello delle parti più declivi della vescica. Se invece si osserva ematuria totale, il
sanguinamento sarà a livello delle alte vie urinarie (rene o uretere), oppure un sanguinamento profuso della
vescica, con rischio di anemizzazione del paziente.

Altre domande da porre al paziente durante l'anamnesi sono:


 Durata e frequenza dell’ematuria;
 Sintomi associati: dolore (associato a calcolosi), stranguria e pollachiuria (associate a infezioni delle vie
urinarie);
 Presenza di coaguli: possono andare ad ostruire il collo vescicale, determinando ritenzione e quindi
necessità di un cateterismo;
 Recente trauma che possa giustificare il cateterismo;
 Terapia anticoagulante, antiaggregante, coagulopatia;
 Assunzione di sostanze che colorano le urine.

Se l’ematuria non è associata a nessun altro sintomo o segno viene definita monosintomatica ed è spesso
indice di neoplasie uroteliali. In presenza di ematuria, bisogna sempre escludere che non ci sia una
patologia tumorale sottostante.

4.3.2 Iter diagnostico per ematuria: esame obiettivo


Per la diagnosi di ematuria è fondamentale compiere un esame obiettivo esaustivo, analizzando:
 Ispezione e palpazione dell'addome: valutando l’eventuale presenza di cicatrici, che possono essere
indicative della causa di ematuria;
 Valutazione della presenza di un globo vescicale;
 Palpazione renale: tramite manovra di Giordano (se positiva si ha sospetto di colica renale);
 Valutazione dei genitali esterni;
 Esplorazione rettale: per una valutazione della prostata;
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 Esplorazione vaginale: per escludere che il sanguinamento non sia di origine vaginale;
 Visione delle urine: per vedere se effettivamente sia ematuria e che tipo di ematuria sia. Ematuria
recente si presenta con sangue rosso vivo, mentre ematuria passata si presenta con sangue più verso
il marrone. Inoltre posso distinguere se il sanguinamento sia blando o importante.

4.3.3 Iter diagnostico per ematuria: diagnostica strumentale


L’anamnesi e l’esame obiettivo guidano il medico verso gli esami strumentali più adatti alla condizione del
paziente. Si distinguono:
Esami di primo livello
 Esame delle urine: mostrerà la presenza di sangue nelle urine, ma anche la presenza di nitriti ed
esterasi leucocitaria (segni di infezione delle vie urinarie), emoglobinuria, urobilinuria e proteinuria
(segno più di una glomerulonefrite);
 Esami ematochimici: emocromo, creatinina (valuta se c’è insufficienza renale), assetto coagulativo;
 Urinocoltura: quando sospetto IVU;
 Citologia urinaria su tre campioni: raccolta delle urine, al mattino, per tre giornate consecutive, dove si
vanno a ricercare le atipie cellulari. Molto importante nell'iter diagnostico per escludere una neoplasia
uroteliale;
 Ecografia dell’apparato urinario: permette di osservare i reni e la vescica, l’uretere prossimale e
distale, ma non permette di vedere l’uretere intermedio, per l’interposizione dell'intestino. Mostra
eventuali dilatazioni renali, calcolosi vescicali, neoplasie vescicali, coaguli, idroureteronefrosi. Non è
indicativa per IVU;
 RX addome: viene richiesta nel sospetto di una calcolosi, mostra la presenza di calcoli radiopachi.

Esami di secondo livello


 TC addome con e senza mezzo di contrasto: richiesta nel sospetto di una neoplasia o calcolosi;
 Risonanza magnetica addome (RMN);
 Uretrocistoscopia;
 Ureteropielografia ascendente;
 Ureterorenoscopia;
 Urografia.

4.4 Ematuria ed età dei pazienti


Le patologie più frequenti che provocano ematuria variano in base all'età del paziente:
 0-20 anni: causa nefrologica, traumi, infezioni, calcolosi, patologie malformative;
 20-40 anni: calcolosi, infezioni;
 > 40 anni: tumore, ipertrofia prostatica benigna (IPB), calcolosi.

Quindi in base all'età vado anche a impostare la ricerca diagnostica della causa di ematuria verso determinate
ipotesi, infatti in un paziente sopra i 40 anni è mandatorio escludere in prima ipotesi la causa tumorale.

4.5 Cause di ematuria


Cause più frequenti di ematuria a livello renale:
 Glomerulonefriti: da calcolosi;
 Tumori benigni;
 Tumori maligni;
 Traumi;
 Anomalie vascolari;
 Rene policistico: rottura spontanea delle cisti e conseguente sanguinamento;
 Manovre: puntura bioptica.

Cause ureterali:
 Calcolosi;
 Stenosi (complicanza di chirurgia, compressione ab estrinseco, danno da radiazione);
 Processi flogistici;
 Neoplasie;
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 Lesioni iatrogene dell’uretere.

Cause vescicali:
 Neoplasia vescicale;
 Calcolosi;
 Cistite;
 Traumi;
 Diverticoli;
 Corpi estranei;

Cause uretrali:
 Uretriti;
 Stenosi;
 Calcolosi.

Cause prostatiche:
 Prostatite;
 Ipertrofia: può portare alla rottura di varici prostatiche a livello del collo vescicale;
 Neoplasie: rare, infatti tipicamente la neoplasia prostatica si sviluppa nella zona più periferica, lontano
dall’uretra.

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