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CAPITOLO QUARTO: Gli inizi del XIX secolo

4.1. Il brigantaggio al tempo della Rivoluzione


Analizzato nella prima parte il fenomeno del brigantaggio e la sua
particolare connotazione, si affronterà ora un secondo ed altrettanto
importante periodo storico segnato indelebilmente dalle azioni di un
folto numero di criminali che, approfittando dell’instabilità politica
dell’Italia e, in particolare, ai primi dell’Ottocento, nell’Appennino,
gettavano nel disordine i paesi del Frignano1. Questo avvenne in con-
seguenza dell’arrivo in Italia delle truppe francesi inizialmente accolte
con entusiasmo credendo che queste portassero gli ideali rivoluzionari
e che poi, invece, aggiunsero ulteriori drammi alla popolazione mon-
tanara.
Il malcontento che la gente del Frignano aveva nei confronti degli
invasori d’oltralpe fu certamente generato dalla prepotenza, dai sopru-
si e dalle ruberie che questi compivano insistentemente ad ogni pas-
saggio sul territorio montanaro. Un altro fattore determinante è da in-
dividuare nella coscrizione obbligatoria che i francesi imposero ai loro
sudditi, in questo modo si andava a privare della mano d’opera neces-
saria alla sopravvivenza non solo delle campagne ma anche della gen-
te stessa che, come abbiamo visto in precedenza, aveva nel raccolto
agricolo una delle uniche fonti di sostentamento2.
Molti giovani coscritti preferivano disertare piuttosto che assogget-
tarsi ad autorità identificate come ostili ed estranee; dall’unione di
queste persone si formavano gruppi più o meno numerosi di banditi
che avrebbero turbato i già delicati equilibri nell’Appennino. Nel 1808
e soprattutto nel 1809 questi “briganti” furono affiancati da numerosi
insorti che caldeggiavano il ritorno degli austriaci in Italia.
L’introduzione della gravosa ed estremamente impopolare “tassa sul
macinato” spinse i meno abbienti ad appoggiare e ad entrare loro stes-
si nelle bande dei briganti: nel Dipartimento del Panaro e nei vicini del

1
V. Santi, Vicende politiche e civili, L’Appennino Modenese, L. Cappelli Ed.
1895.
2
A. Fontana, Insorgenza e brigantaggio nell’alto Frignano tra il 1809 e il 1810.

65
Crostolo e del Reno, queste divennero sempre meglio organizzate e
numerose, dando inizio a sommosse clamorose3.
Né valse a sedare gli animi dei frignanesi l'avviso a stampa che la
Prefettura del Dipartimento del Panaro diffuse il 7 luglio 1809, che
annunciava di aver ottenuto dal Governo, a cui si era rivolta per "otte-
nere nelle circostanze attuali a favore della classe dei rustici una qual-
che modifica al nuovo Piano pe' Dazi di Consumo", la sospensione
della esazione del dazio della macina sul frumento imposto nei territo-
ri aperti. Se si pensa che è proprio la classe dei rustici quella più gra-
vata dalle continue leve ed è proprio quella che da un ulteriore contri-
buto agli abbienti, permettendo loro di sottrarsi al servizio militare, si
spiega il motivo per cui le liste dei renitenti, degli insorgenti e dei bri-
ganti comprendano, nella maggior parte dei casi, i rustici stessi e i
meno abbienti.
Precedentemente, nel 1804, la gendarmeria del distretto dei Sestola
fu la prima a dare la caccia ai facinorosi, riuscendo ad arrestare il capo
locale, Mare’ Antonio Lenzini di Fiumalbo detto il Baffo. La stessa
gendarmeria tentò di estirpare sul nascere il fenomeno con
l’assegnazione di premi speciali a chiunque fosse riuscito a fermarli,
ma ogni tentativo risultò inutile.
Il cancelliere del censo di Sestola tentò di avvertire il prefetto di
Modena con una lettera che spiegava il malcontento dei cittadini verso
la coscrizione obbligatoria: “A farci conoscere quale sia il ribrezzo
che hanno questi abitanti al mestiere delle armi, devo parteciparvi che
oggi un coscritto requisito, che da pochi giorni si trovava in questo
forte, è fuggito precipitandosi dalla mura e dal luogo il più erto e sco-
sceso avventurando così la propria esistenza”4.
Nella seconda metà del 1809 il brigantaggio, fomentato dalle solle-
vazioni contro i francesi nel Tirolo, nel Veneto, nella Valtellina ed in-
coraggiato dall’Austria e dal partito legittimista, arrivò nella montagna
modenese all’apice del suo sviluppo. Ne accertava l'esistenza il sinda-
co di Palagano che, in una lettera del 28 luglio 1809, riferiva al prefet-

3
Varni: L’Emilia Romagna nell’età napoleonica, Storia dell’Emilia Romagna, Bo-
logna, 1980.
4
Avviso prefettizio, a stampa, del 7 luglio 1809 A.S.Mo. Nap. Arch. Segr. Di Pref.
6645/17.

66
to di Modena: "Molti disertori e molti refrattari di questo comune po-
co fa venuti dalle maremme toscane, nelle attuali circostanze si lascia-
no vedere quasi pubblicamente ed attendono di continuo agli interes-
sati delle loro famiglie, mostrando così di vivere tranquillamente in
dispregio, direi quasi, delle leggi e degli amministratori" chiedendo
infine l'intervento della forza pubblica5.
Uno dei primi episodi che rivelò l’entità del fenomeno fu riportato
dal sindaco di Sestola, testimone quel giorno dell'invasione degli in-
sorti nel paese di Porretta: “Un gran numero di malintenzionati dai
quali furono fatti gli evviva a Francesco II, fu ribassato il prezzo del
sale, del tabacco e di tutt’altro soggetto a dazio consumo, assaltò i
magazzini e la sede del comune e minacciò di attaccare Sestola e Fa-
nano”6.
Poco dopo a Zocca i rivoluzionari, guidati da un certo Colombarini,
beccaio di Iola, si impadronirono del magazzino del sale e dei tabac-
chi, distribuendo gratuitamente la merce confiscata alla popolazione
mentre il capobanda gridava: "Voi altri non pagherete più alcun gra-
vame e sarete tutti esenti da questi aggravi. Ora è terminato questo in-
fame Governo ed io sarò il primo ad andare alla testa e farvi corag-
gio”7.
Il 12 luglio 1809 una banda di briganti, composta da oltre 60 arma-
ti, invase la rocca di Trentino di Fanano, bruciando libri e mappe della
municipalità; il sindaco e il segretario riuscirono a fuggire e la banda
uscì dal paese con nuovi alleati: alcuni cittadini di Sestola si erano in-
fatti uniti a loro e questo rituale si ripeterà in molte altre invasioni di
comuni8.
Il giorno seguente la stessa banda, guidata da un certo Franzaroli di
Rocca Corneta, che si faceva chiamare sig. Capitano Capo Insorgente,
alla quale si aggiunsero altri numerosi insorti (in due giorni passò da
60 a 160 componenti), attaccò la rocca di Sestola. Entrarono nel paese
5
Archivio di stato di Modena: dipartimento del Panaro, tit. XVII, Rub. 8.
6
Lettera del Giudice di Pace di Sestola al Proc.re Gen.le, in data 11 luglio 1809.
A.S.Mo.,cit..
7
Comunicazione in data 12/07/1809, del capitano Longhena al Prefetto. A.S.Mo.,
cit.
8
Comunicazione in data 13/07/1809, del Sindaco di Trentino al Prefetto. A.S.Mo.,
cit.

67
alle 10 del mattino "a tamburo battente e fucile montato", impadro-
nendosi prima della Rocca, poi del forte ed infine, con sentinelle poste
alle uscite del paese, delle carceri liberando un refrattario. Successi-
vamente la banda si diresse verso gli uffici del Cancelliere del Censo,
prelevò e portò nella piazza i registri della cancelleria e quelli
dell’ufficio di leva (furono risparmiati dalle fiamme solo i recapiti del
dazio), incendiandoli davanti alla folla. Il parroco del luogo fu obbli-
gato a convocare l’intera popolazione in chiesa "facendo esporre il
Santissimo Sacramento, e cantando il Te Deum, al quale assistette la
ciurma d'insorgenti al di fuori della chiesa, col solito schiamazzo, a
colpi di fucile"9.
Le bande si andarono ad organizzare lungo tutta la zona del Fri-
gnano. Nel dipartimento del Panaro le rivolte si intensificarono e cre-
sceva la preoccupazione dei funzionari di Sestola e Montefiorino:
“siamo infestati da una o più compagnie di disertori e refrattari!”.
Il 23 luglio a Palagano un renitente alla leva lacerò pubblicamente
i decreti governativi: ha inizio in questo modo la carriera di brigante di
Paolo Reggi che, insieme al padre Luigi, organizzò una delle più te-
mute bande dell’Appennino che in poco tempo riuscì a raccogliere in-
torno a Susano e Palagano una folta cerchia di disertori e insorgenti. Il
sentimento di terrore provato dai funzionari non deve meravigliare,
come nel caso del Giudice di Pace di Sestola che non volle fare ritorno
nel suo ufficio, nonostante la presenza a Fanano di un centinaio di
soldati dopo che a Vesale, paese distante pochissimi chilometri, i bri-
ganti osarono invadere gli uffici comunali, bruciando carte municipali
e maltrattando il segretario10.

9
Relazioni della Commissione di leva e del Canc. Del Censo di Sestola al Prefetto.
A.S.Mo.,cit..
10
Risposta (del 9/08/1809) del Giud. di Pace di Sestola al R. Proc.re Gen.le che gli
aveva ordinato di fare ritorno al suo ufficio. A.S.Mo.,cit..

68
A lato un elenco contenente
i nomi dei briganti che risie-
devano a Boccassuolo reso
noto dagli organi di giustizia
del tempo.

(Archivio comunale di Fras-


sinoro)

69
Lo stesso sentimento di paura invase ben presto anche la vallata tra
Montefiorino e Palagano dove Paolo e Luigi Reggi reclutano refratta-
ri, disertori e altri malintenzionati delle vicinanze. La zona venne ben
presto etichettata come "terra di briganti"11 e la popolazione non si
prestò né per servizi di guardia né per somministrare i viveri al piccolo
drappello di soldati giunto a Palagano.
Le bande rinsaldarono la loro presenza nel territorio ed iniziarono
ad attuare azioni dimostrative bruciando carte ed atti municipali in
numerosi paesi (Benedello, Montecucculo, Gaiato, Castagneto, Festà)
e intorno alla fine del 1809 si trovavano a minacciare quasi tutto l'alto
Frignano12.

4.2. I fatti di Palagano e Pieve

Il giorno 8 settembre a Palagano, in occasione della fiera paesana,


venne invitato un contingente militare da Pavullo per prevenire disor-
dini e catturare alcuni briganti della banda del Reggi: le forze dell'or-
dine si divisero in due unità per accerchiare e bloccare le uscite del
paese. Il clima, già incandescente, degenerò in una sparatoria e i pala-
ganesi, compresi le donne e gli anziani, si unirono ai refrattari costrin-
gendo alla ritirata i militari che, ritornati a Pavullo, dovettero contare
perdite e feriti. La figura preminente di questo moto d'opposizione fu
senz'altro Luigi Reggi che aizzò la folla e la indirizzò minacciosa ver-
so la Guardia Nazionale. Al fianco di Luigi stavano il figlio Paolo e
Micheluccini, il Tosco. Il tenente Ferrani, artefice dell'azione militare
contro i briganti di Palagano, informò le autorità dipartimentali che
"senza una forza di oltre cento uomini non è prudente ad andare ad at-
taccare Palagano perché colà il brigantaggio è molto più imponente".
Il comandante della Guardia Nazionale di Pavullo contò oltre 50 per-
sone che quel giorno, a Palagano, attaccarono i militari13.

11
Comunicazione del dott. Fontani, Sindaco di Palagano, al Prefetto, in data
11/08/1809. A.S.Mo.,cit.
12
Comunicazione del Canc. Del Censo di Sestola al Prefetto, in data 7 e 8 settem-
bre 1809. A.S.Mo.,cit.
13
Relazione al Prefetto sui fatti di Palagano, 9/09/1809. A.S.Mo., A. S. Pref.
6645/27.

70
Luigi Reggi, nelle dichiarazioni ufficiali rese al Giudice di Pace di
Montefiorino, dopo l’arresto, il 2 giugno 1810, riferì, riguardo ai fatti
di Palagano, che lui fu soltanto uno spettatore estraneo alla sommossa.
Tra i rivoltosi riconobbe il Tosco, il Bastardello di Palagano e tre di
Boccassuolo, tra cui Luigi Lenzotti. Il Reggì testimoniò anche a pro-
posito di una banda guidata dal Ballerini, che entrò a Palagano nei
giorni successivi all’8 settembre, composta da refrattari del Cantone di
Montefiorino e Piandelagotti14.
Grazie anche alle affermazioni del Reggi, si delineano sempre più
chiaramente i ruoli di alcuni personaggi che ritroveremo più volte
nelle cronache delinquenziali che andremo a riportare: il lucchese Mi-
cheluccini, detto il Tosco, Giovanni Castellini, detto il Bastardello, e
tre di Boccassuolo tra i quali Luigi Lenzotti (di cui parleremo in segui-
to) e Ballerini che divenne il capo incontrastato dei briganti del Fri-
gnano. L'idea di questi individui era quella di formare una vera e pro-
pria organizzazione gerarchica che aveva come vertici il "capitano"
Ballerini e il "caporale" Lenzotti. Secondo questa ferrea organizzazio-
ne, il caporale era l’esecutore dell’azione che ora il Ballerini ora il
Reggi intendevano attuare. Questi individui venivano giudicati dai lo-
ro stessi compagni “persone torbide, mal intenzionate, che gli piace
fare da bravi”15.
Le autorità cercarono di prendere qualche sporadico provvedimen-
to, tuttavia il fenomeno era ancora poco chiaro ed estremamente sot-
tovalutato. La banda Ballerini-Reggi-Lenzotti acquistò sempre mag-
gior credito e, visti i successi accumulati, molti renitenti e insurrezio-
nalisti si aggregarono; si andava a delineare una organizzazione estesa
e molto temibile. Un altro fattore che le autorità avrebbero dovuto te-
nere in considerazione era l'appoggio riconosciuto ai briganti dalla
popolazione: i montanari spesso li nascondevano nelle loro abitazioni,
salvandoli dalla cattura. Questo comportamento è da spiegarsi con
quel sentimento di esasperazione che la gente del Frignano aveva ac-
cumulato nei confronti del governo francese a causa di sempre nuovi
provvedimenti tutt'altro che bene accetti.

14
Verbale dell’interrogatorio di Luigi Reggi. B. E. Fondo Sorbelli, 1083.
15
Vedasi interrogatorio Ranucci del 19/05/1910. B. E. F.S., 1083.

71
Se l'8 settembre era stato il giorno in cui gli insorti, inaspettatamen-
te, si erano misurati con i militari del Governo con esito a loro favore-
vole, il 10 settembre fu senz'altro il giorno in cui imposero la loro pre-
senza in tutti i territori vicini.
“Alle ore 7 antimeridiane comparve improvvisamente a Pieve
quell’orda di briganti che prima avea percorse le montagne di Palaga-
no e… allontanate le Guardie di Finanza con archibugiate, aperte le
porte e gli usci della Ricettoria e della Dispensa, fece man bassa sopra
tutto ciò che vi era… ma lasciando illesi i libri tanto della Ricettoria,
che degli altri Uffizi, come pure lo stemma”16. Le autorità locali solle-
citarono il prefetto ad inviare la Guardia Nazionale, lamentandosi i-
noltre della inadeguatezza dei propri mezzi di fronte ai più numerosi e
meglio armati "briganti"17. Il Prefetto, etichettando ancora gli insorti
come gruppetti isolati di malviventi, rispose al sindaco: "Quando trat-
tisi di assicurare la pubblica quiete non possono incontrarsi difficoltà
che ad Autorità zelanti riescano insuperabili: le armi? non mancheran-
no particolari che vi faranno un impegno di prestarle; le munizioni? vi
provvederà ad inviarle; la sicurezza del Comune di Pieve? non occorre
una forza imponente per difendersi da pochi assassini; la Guardia Na-
zionale? deve essere attivata ovunque."
La colpa venne attribuita quasi esclusivamente alle autorità locali,
in particolar modo al sindaco18, lo stesso che informò il Prefetto che il
21 piombarono di nuovo in Pieve una novantina di briganti del Canto-
ne di Montefiorino, asportando commestibili, vino, somme di denaro
ed oggetti di valore. Casualmente nella zona si trovava un gruppo di
14 finanziari (préposés) della Toscana che, con una sparatoria durata
quasi un ora, riuscirono a respingere i briganti che, esaurite le muni-
zioni, si ritirarono in disordine verso le montagne. Questo episodio
rafforzò le convinzioni del Prefetto che pensava di dover avere a che
fare con bande disorganizzate, pronte a fuggire alla minima reazione,
16
Relazioni varie, in A.S.Mo., Arch. Segr. di Pref. 6337/27, Napol. 6050/27, e B.
E. F. S., 1083-1086.
17
Relazione del Sindaco Vicini al Prefetto, in A.S.Mo., Napol. Arch. S. di Pref.
6337/27.
18
Risposta del Prefetto al Sindaco di Pieve, in data 22/09/1809. A.S.Mo., Arch. S.
di Pref. 6645/27.

72
mentre il sindaco di Pieve restava convinto che una Guardia Nazionale
senza "direzione, armi e munizione" non avrebbe certamente avuto la
meglio.
Contro le previsioni ottimistiche del Prefetto, le bande si fecero
sempre più numerose: il 6 ottobre Luigi Reggi con 160 briganti entrò
nuovamente a Pievepelago minacciando la popolazione colpevole, a
loro dire, di "essere tutti giacobini" e di avere fatto fuoco dalle finestre
contro gli invasori la sera del 21 settembre. Questi presero a colpi di
fucile le insegne e gli stemmi della Dogana, atterrarono le porte degli
uffici, entrarono nella gendarmeria incendiando mobili e registri, apri-
rono le carceri liberando dei detenuti, rubarono generi alimentari e
imposero agli abitanti il pagamento di 5000 lire modenesi, pena il sac-
cheggio del paese. Intanto il Ballerini con un'altra banda di briganti si
unì a quella di Lenzotti per partecipare alle rapine. La sera dello stesso
giorno i banditi si ritirarono verso Barigazzo con carri carichi di refur-
tiva lasciando il paese nella desolazione e nell'orrore.
Sempre in ottobre venne attaccato Riolunato ad opera di una banda
capitanata dal Lenzotti di Boccassuolo ed il giorno dopo il paese di
Castellino, dove anche il parroco, don Contri, si vide costretto a con-
segnare del denaro ed il Segretario comunale Ferrari venne inseguito
nottetempo sfuggendo miracolosamente alla cattura. Ballerini e Len-
zotti fecero ritorno nel borgo il giorno seguente pretendendo un ulte-
riore sacrificio economico: di fronte alla solita minaccia di saccheggio
del paese, la popolazione consegnò ai malviventi 50 zecchini d'oro 19.
Secondo le valutazioni di un alto funzionario francese, Damarzit, fa-
cendo un resoconto al Ministro degli Interni, i briganti nel dipartimen-
to del Panaro erano in totale 375: 120 al comando di Luigi e Paolo
Reggi, 60 di Ballerini, 80 del Tosco, 70 di Baschieri, 30 di Domenico
della Morte e 15 di Giuseppe Muzzarelli detto Cemini.

19
Relazioni varie sui fatti di Riolunato in A.S.Mo., Arch. S. di P. 4649/27,
6654/27, 6651/27, e B. E. F. S., 1083.

73
Lettera inviata dal prefetto del Panaro ad un sacerdote affinché
quest’ultimo convinca i coscritti a non ribellarsi contro gli occupanti
francesi.

(A.S.Mo).

74
Alcuni erano favorevoli ad un intervento massiccio delle truppe
(che potevano contare su un migliaio di uomini), altri, vista la natura
del terreno e l’omertà della popolazione del Frignano, pensavano che
fosse da evitare una guerra certamente sanguinosa e propendevano per
offrire agli insorti un'amnistia generale che avrebbe favorito la di-
minuzione del numero dei briganti.
A questo punto i francesi pensarono di attirare dalla loro parte uno
dei capi più carismatici di tutte le bande: Luigi Reggi. Già prima delle
invasioni napoleoniche, Reggi era stato nominato dal Duca Ercole III
"capitano militare della montagna" e si era distinto aiutando le autorità
ducali nella cattura dei disertori o di persone che avevano favorito l'in-
surrezione delle popolazioni dell'Appennino. Il Damarzit20 scrisse
che Luigi Reggi aveva scelto la strada del brigantaggio solamente do-
po l'ingiusta coscrizione del figlio Paolo e dopo il tentativo da parte
della Guardia Civica di assassinarlo durante la fiera di Palagano. So-
lamente dopo queste ingiustizie il padre, Luigi, entrò, adirato, nella ri-
volta. Damarzit arrivò ad asserire che il Reggi avesse un "fondo di vir-
tù" e suggerì al Ministro di "concedere la grazia a lui e lui e a suo fi-
glio se giungessero a cacciare gli altri briganti dai Cantoni del D.p.to o
a richiamarli al dovere". In base alle informazioni che possedeva, Da-
marzit credeva di poter affermare che i due ribelli sarebbero diventati
"sudditi devoti al sovrano" (Napoleone). L'idea del francese era di tra-
sformare il nemico giurato in un prezioso alleato con la convinzione
che, assieme al Reggi, ben presto anche gli altri grandi capi avrebbero
ceduto alle lusinghe del nuovo padrone21.
Il 28 ottobre un gruppo di 33 briganti capitanati da Lenzotti torna-
rono a Pievepelago e, dopo aver sparato al sindaco e malmenato il Se-
gretario, si fecero consegnare una contribuzione di mille lire modene-
si. Si recarono quindi a Fiumalbo e successivamente a Riolunato arre-

20
Jean Joseph François Damarzit de Laroche (1756-1802) fu un generale dell’ e-
sercito francese. Nel 1789 era capitano di cavalleria alla vigilia della Rivoluzione;
nel ’73 fu arrestato come nobile e verrà reintegrato nelle sue funzioni col grado di
generale soltanto dopo il 9 termidoro.
Nel 1802 fu nominato capitano generale a Tabago nelle Antille dove morì di febbre
gialla. Cfr. Enciclopedia Grolier.
21
Esposto di Damarzit al Min. dell’Interno, in data 29/10/1809. A.S.Mo.,cit.
6649/27.

75
cando numerosi danni ad entrambi i paesi e pretendendo ingenti som-
me di denaro22. Nel frattempo Luigi Reggi si unì ad altre bande del
Dipartimento del Reno ed attaccò vari presidi ai confini tra Modena e
Bologna.
Accanto alle bande che abbiamo ricordato e che in linea di massi-
ma ebbero sempre un “codice di comportamento” ben definito, opera-
rono anche purtroppo molti malfattori e facinorosi che approfittavano
del disordine generato dai briganti per compiere i loro misfatti e per
depredare impunemente le famiglie più abbienti. I Sindaci delle varie
comunità, per non favorire l’aumento di renitenti, si rifiutarono di ese-
guire gli ordini di “coscrizione” e le autorità francesi poterono contare
solo sulla persuasione attuata dai parroci per indurre la popolazione
all’ubbidienza ed alla quiete. Molti sacerdoti in realtà non esercitarono
questa opera di obbedienza verso i Francesi in conseguenza delle per-
secuzioni che essi avevano attuate e soprattutto perché avevano inca-
merato numerosi beni ecclesiastici. Alcuni parroci del Frignano pre-
sentarono al Vescovo le loro rimostranze “onde essere disobbligati
dall'invitare intra sollemnia Missae i giovani delle rispettive parroc-
chie a farsi iscrivere sui registri coscrizionari e dal pubblicare ordini
relativi alla coscrizione, per non esporsi al pericolo di essere ammaz-
zati dai briganti, che armati concorrono alle loro Chiese, anteponendo
piuttosto la perdita del benefizio”.
Accanto all’opposizione dei clericali si registrava la totale mancan-
za della Guardia Nazionale che, a metà novembre, risultava operante
solamente a Sestola e Pavullo23.
Visto che la popolazione montanara non collaborava all’ individua-
zione dei briganti24, le autorità francesi decisero di ricorrere ad
un’altra strategia: fornivano particolari salvacondotti a tutti coloro che
si costituivano ottenendo una completa amnistia e dei lasciapassare
per le Maremme. Di questa opportunità usufruirono anche i Reggi e
Lenzotti, mentre alcuni briganti si andarono ad unire a bande come
quella del Cemini che operavano nella zona pedemontana di Vignola;
soltanto il Ballerini continuò nellla lotta, ma il 22 novembre, in un

22
Relazione del Sindaco Vicini al Prefetto. B. E. F. S. 1083-1056.
23
Il delegato di Pref.ra Haittinger al Prefetto il 15/11/1809. A.S.Mo.,cit. 6648/27.
24
Il Gen. Dazemar al Prefetto, in data 16/11/1809. A.S.Mo.,cit. 6648/27.

76
combattimento con la gendarmeria di Lucca, avvenuto in Garfagnana
poco oltre il Passo delle Radici, rimase ucciso e la sua banda fu di-
spersa.

Una circolare di Tiburzio Cortese, vescovo di Modena, indirizzata ai suoi


parrocchiani.
(Archivio parrocchiale di Frassinoro).

77
Nel 1810 erano ormai pochi i briganti che resistevano; verso marzo
furono compiute consistenti azioni militari che portarono alla cattura
ed alla fucilazione di alcuni insorti nella zona di Pavullo25. Anche
Paolo Reggi il 13 maggio fu arrestato nei pressi di Montecreto poiché
si pensava che, dopo l'iniziale sottomissione, avesse preso di nuovo le
armi col figlio e che avrebbe preso parte ad azioni di brigantaggio. A
San Pellegrino fu catturato il Tosco che venne giustiziato sul posto
senza processo e verso la fine di maggio venne incarcerato, assieme ad
altri briganti, anche Luigi Lenzotti.
Il primo giugno, con la cattura di Luigi Reggi, il Procuratore Gene-
rale annunciò che il fenomeno del brigantaggio nel Frignano poteva
finalmente ritenersi concluso26. Rimaneva in piedi ancora qualche pic-
cola banda, come quella del Cemini, nel vignolese e nei pressi di Sas-
suolo: si trattava ormai degli ultimi sussulti.
“Preoccupati di tali e tanti fatti incresciosi accaduti in così breve
periodo, la popolazione e le autorità decisero di prendere posizione
contro i briganti. La Guardia Nazionale prese le armi coadiuvata dalle
truppe spedite da Modena. Ma anche la neve e il freddo furono dei
formidabili alleati costringendo molti di questi malandrini a cadere
nella rete loro tesa dalla polizia. Il governo francese ordinò una gene-
rale e minuziosa perlustrazione della montagna invitando altresì i par-
roci a predicare il rispetto e l’osservanza delle leggi, l’onestà e il ri-
spetto delle proprietà altrui. Promise altresì premi in denaro a coloro
che avessero collaborato alla cattura di qualche malandrino.
A seguito di queste decisioni, ad uno, a due, o a gruppi i briganti
vennero arrestati. Fra gli uccisi vi furono Luigi e Paolo Reggi di Pala-
gano e la loro banda, che era una delle più numerose, si disperse.
L’ultimo fu Gio. Michelucchini di Castiglione Garfagnana che si scon-
trò con una pattuglia presso San Pellegrino. Sopraffatto dal numero
degli avversari e ferito a morte venne caricato a sacco su di un somaro
e morì durante il viaggio verso Pievepelago per le perdite di sangue. A

25
Il Giudice di Pace di Montecuccolo al R. Proc.re Gen.le, in data 8/05/1810.
A.S.Mo., Nap. R. Proc. G. F. X.
26
Il Proc.re Gen.le al Min. di Giust., in data 13/06/1810. A.S.Mo., Nap. R. Proc.
G., F.XI.

78
Pieve, il popolo soddisfatto e incuriosito, lo appese senza pietà alla fi-
nestra della prigione e ve lo lasciò per tre giorni perché servisse da
monito ad eventuali suoi compagni”27.
Il Frignano ritornava dunque ad uno stato di apparente tranquillità,
turbata dalle paure postume al brigantaggio, dal malcontento prodotto
nei danneggiati dal ritorno di molti amnistiati e dal consolidamento di
quelle correnti di opposizione che erano state all'origine del brigan-
taggio.

4.3. Uno sguardo da vicino

Estremamente interessanti risultano le descrizioni delle varie im-


prese dei briganti del Frignano attuate dallo studioso Bonaldi nella sua
opera Insorti e briganti dall’Appennino modenese alla Garfagnana.
Il primo delitto vero e proprio avviene nelle vicinanze di Fiumalbo:
un certo Piacentini, di professione segantino, originario di Piandela-
gotti, viene affrontato lungo la strada da una guardia che gli spara in
pieno petto ritenendolo un bandito. In questa situazione di disordine,
normali ladruncoli e malviventi ne approfittano: un fattaccio accade a
Castellaro di Vesale quando un certo Zuccherini accoltella Vincenzo
Lenzini di Fiumalbo per derubarlo di una piccola somma di denaro,
mentre a Susano di Palagano, Bernardo Fontana (di 18 anni), garzone
di pecore, ruba in casa di Giuseppe Santi “sette francesconi, tre anelli
d’oro (due con le luci ed uno massiccio), due paia di calze nuove di
lana, due fazzoletti da donna, una camicia, un paio di braghe…”.
Qualcuno viene anche accusato ingiustamente di essersi aggregato
ai briganti: si narra di un certo Domenico Berri di Sestola “di anni 33
compiti di professione contadino, di capelli castani, ciglia simili, occhi
simili, bocca giusta, mento rotondo, barba castana, statura grande”
mentre si reca a vedere un suo castagneto viene sorpreso da una tren-
tina di briganti bolognesi che lo costringono a seguirli a Sestola ove è
notato in mezzo ai briganti che incendiano gli archivi municipali e le

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V. Santi, Vicende politiche e civili, L’Appennino Modenese, Rocca San Casciano,
L. Cappelli Ed. 1895.

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carte del censo; per questo viene denunciato ed incarcerato per parec-
chio tempo prima di essere completamente scagionato.
A Frassinoro, su invito del parroco ormai stanco dei furti e rapine
subiti da parte dei banditi di Piandelagotti e Boccassuolo, i Francesi
inviano una colonna per ristabilire l’ordine; questi iniziano una specie
di rappresaglia in tutta la vallata e incendiano le abitazioni di molti so-
spetti (anche la casa di Reggi a Palagano viene data alle fiamme). Il
rimedio risulta peggiore del male: nonostante le proteste del parroco i
600 soldati francesi bivaccano nella vecchia abbazia bruciando i ban-
chi e deturpando quel celebre monumento. Nell’autunno del 1809 ac-
cadono altri fatti gravi nel comune di Riolunato dove i Reggi, Balleri-
ni e Lenzotti bruciano tutti gli incartamenti comunali, depredano le
case del paese e minacciano di morte gli abitanti che essi chiamano
“giacobini”, accusati di essere simpatizzanti dei Francesi. È a questo
punto che le autorità francesi decidono di infliggere un colpo mortale
ai briganti ed inviano numerosi battaglioni della Guardia Nazionale;
anche in conseguenza delle condizioni climatiche particolarmente av-
verse, molti briganti cadono nelle mani della giustizia.

Riporto qui di seguito una parte del libro Insorti e briganti,


dall’Appennino modenese alla Garfagnana di Luigi Bonaldi e Annali-
sa Antonioni, riguardante i fatti avvenuti nel paese di Pievepelago nel
terribile settembre 1809.
Questa parte faciliterà al lettore una comprensione maggiore del
fenomeno grazie alla minuziosa descrizione degli avvenimenti e del
terrore che i briganti incutevano alla popolazione locale.

“Era la sera del 10 settembre 1809, nel tiepido e tranquillo crepu-


scolo settembrino l’aria conservava ancora gli ultimi tepori
dell’estate e il vento recava, a tratti, dalla pianura lontana odore di
nebbia imminente. Gli abitanti del paese si erano da poco ritirati nelle
loro case ed ogni famiglia attendeva alle operazioni consuete prima
del riposo. D’un tratto giunsero dalla strada voci concitate, urla, be-
stemmie, mentre venivano sferrati colpi alle porte e si udivano spari di
fucile. La sorpresa fu tale che la popolazione rimase sbigottita mentre
assisteva alla prima visita dei briganti. I pievaroli ne avevano parlato,

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a volte come di un fatto lontano ed invece erano lì, più terrificanti di
ogni leggenda. I bambini, prossimi ad andare a dormire, si nasconde-
vano dietro le sottane delle madri che, mute, nell’angolo più lontano
della stanza, non trovavano in quel momento nemmeno la forza di re-
citare una preghiera.
Erano circa trenta, ma la sorpresa e lo spavento furono tali che la
popolazione non oppose alcuna resistenza. Provenivano dal Cantone
di Montefiorino ed erano capitanati da Luigi Lenzotti di Boccassuolo
e Paolo Reggi di Palagano. Dopo aver saccheggiato la dispensa dei
generi di privativa e della dogana, si recarono in casa del fabbro Do-
menico Crovetti al quale estorsero trenta lire modenesi; poi passarono
in canonica imponendo al parroco don Giuseppe Venturi di consegna-
re loro tutto il denaro che aveva nella borsa: consegna che egli eseguì
senza indugio per una somma di altre trenta lire circa. Infine, entrati
con la forza nella residenza del segretario comunale senza però tro-
varlo, ne uscirono senza arrecarvi alcun danno e abbandonarono per
il momento il paese.
L’audacia di questo assalto e la debolezza dimostrata dalla popo-
lazione, impressionarono le autorità del dipartimento che impartirono
ordini affinché fosse immediatamente riorganizzata la Guardia Nazio-
nale a difesa della vita e delle proprietà degli abitanti di Pieve. Ma, al
tempo stesso, incoraggiarono i malandrini a ripetere scorrerie e sac-
cheggi certi di non incontrare resistenza.
La sera del 21 settembre, infatti, circa novanta briganti comandati
da Luigi e Paolo Reggi, sorpresero di nuovo il paese, ma questa volta
ebbero la sgradita sorpresa di essere accolti dalle guardie di finanza
francesi per cui furono costretti a ritirarsi senza commettere atti di vi-
olenza. Tuttavia, ritornando a Sant’Anna, da dove erano venuti, prese-
ro d’assalto la casa del notaio Francesco Pierazzi delle Borracce, che
era allora esattore di finanza. Mentre la maggior parte di loro circon-
dava la casa, sette entrarono a forza, perquisirono ovunque e rubaro-
no tutto ciò che trovarono.
La povera famiglia e il vicinato erano stati svegliati nel bel mezzo
della notte da urla selvagge, spari e crudeli minacce; i briganti, en-
trati in casa, aprirono ogni armadio, ogni cassapanca e rubarono del-
la stoffa di panno, quattro fazzoletti di seta, tre camicie di lino, un
orologio d’argento, due paia di stivali, quattro rasoi da barba e de-
nari per ammontare complessivo di 35 francesconi e mezzo.
Avuta notizia di questo ulteriore assalto il Prefetto del Dipartimen-
to del Panaro inviò senza indugio sul luogo venti uomini di truppa di

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linea imponendo contemporaneamente al Sindaco del comune di ar-
mare a difesa la Guardia Nazionale.
“Ove altre volte – egli scriveva il 23 settembre – i Briganti tentas-
sero di sorprendere il Comune, senza che questi vi si opponesse in al-
cun modo, io saprò dare delle determinazioni che forse riusciranno
disgustose al Comune stesso, che mal mio grado colla sua inerzia le
avrà provocate. Il di Lei rapporto n. 205 mi fa vedere che i 14 préposé
Francesi sono stati sufficienti a fugare novanta circa assassini, che
nel giorno 21 tentavano di sorprendere codesto Comune e porlo a
sacco; il solo dovere ha animato i detti préposé e questo stesso dovere
avrebbe dovuto egualmente animare codesta Guardia Nazionale,
d’altronde interessata a garantire le proprie sostanze. E pure il di Lei
rapporto non mi presenta, che pur uno di codesti comunali sia entrato
nella mischia ed abbia coadiuvato la forza…”.
I richiami e le minacce dell’autorità non riuscirono però a scuote-
re, per il momento, il Sindaco dall’apatia; fu trascuratezza, non co-
scienza della gravità della situazione o deliberato proposito? Egli
dunque non eseguì gli ordini dei superiori e per il momento nemmeno
la popolazione sentì la necessità di organizzarsi in modo tale da resi-
stere a successive violenze. Me ben presto raccolsero i frutti amari
della loro scarsa sollecitudine di fronte a fatti di tale gravità.
Alle sette del mattino del giorno 6 ottobre, giunsero a Pievepelago
centottanta briganti provenienti dalla parte di Barigazzo. La maggior
parte erano del Cantone di Montefiorino, con qualche bolognese, al
comando del vecchio Reggi di Palagano e Domenico Tazzioli, detto
Pielaccia.
Entrarono in paese minacciando gli abitanti di metterlo a ferro e
fuoco in quanto accusati di aver sparato loro addosso la sera del 21
settembre. Colpirono poi gli stemmi del Regno della Posta e della Do-
gana e li bruciarono. Sfondarono le porte della residenza municipale,
ruppero ed incendiarono tutte le carte e i mobili che trovarono, com-
presi gli infissi. Stessa sorte subirono le porte, le finestre e parte dei
mobili del quartiere della gendarmeria. Aprirono le carceri mettendo
in libertà due detenuti poi entrarono nella dispensa dove fecero man
bassa dei pochi generi, carte, mobili ed infissi in essa esistenti. Nella
stanza superiore alla dogana abitata dall’esattore non lasciarono che
le pareti. Smantellarono e derubarono il quartiere della Guardia di
Finanza. Spogliarono interamente l’ufficio dell’usciere e bruciarono
tutte le carte e i libri della giudicatura di pace nonché diverse carte
d’ufficio e altre ritrovate nella casa del Sindaco. Estorsero a diverse

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famiglie generi e denaro, si fecero fornire di viveri e costrinsero gli
abitanti a dar loro una somma di denaro pari a cinquemila lire di
Modena, poi ridotta a tremila, che per due terzi fu pagata immediata-
mente e per il resto con un pagherò. Senza tale contribuzione non si
sarebbe potuto salvare il paese già predisposto per essere totalmente
incendiato.
I briganti erano accompagnati da più di settanta persone disarma-
te che avrebbero dovuto aiutarli nel trasporto dei materiali requisiti.
La situazione era aggravata anche dal fatto che i malandrini erano
quasi tutti ubriachi per cui nemmeno i loro comandanti riuscivano a
tenerli a freno. Finalmente verso le sette di sera partirono verso Bari-
gazzo con un carico di effetti derubati lasciando nel paese lo spavento
e la desolazione. Quella fu senz’altro la giornata peggiore di quel tri-
ste periodo per Pievepelago e il povero Sindaco ricercato ovunque per
essere ammazzato riuscì a nascondersi portando in salvo alcuni im-
portanti documenti, i primi che gli capitarono fra le mani.
I briganti giunti poi a Barigazzo derubarono anche un carro che
portava alla dispensa di Pieve sale e tabacco e, unitisi ad altri sessan-
ta reggiani, si diressero a Pavullo. Un piccolo gruppo di essi, guidato
da Reggi figlio, ritornò indietro e per il crinale dell’Appennino si recò
nuovamente a Sant’Anna. Qui, dopo aver mangiato, bevuto e dormito
a spese dei contadini del luogo, si presentarono il giorno nove
all’esattore Pierazzi imponendogli il pagamento immediato di dicias-
sette francescani. Dopo averli ottenuti, si allontanarono dal paese per
ritornarvi la sera del giorno venti.
Circondarono nuovamente la casa e, dopo aver percosso lui e i
suoi familiari ed aver minacciato di incendiare ogni cosa, rubarono
trenta francesconi. Ma non soddisfatti svegliarono, a mezzanotte, un
certo Gio. Battista Piacenza, al quale chiesero di sborsare venti filip-
pi. Al suo rifiuto, motivato dal fatto, vero in parte, che non ne aveva,
si prepararono a fucilarlo, ma desistettero quando Piacenza consegnò
loro tutto il denaro che possedeva ammontante ad appena sei filippi e
in più offrì loro pane, vino e formaggio.
Usciti, si recarono anche dal capitano Stefano Bondioli la cui casa
misero sottosopra all’una dopo mezzanotte esigendo con violenza
quaranta filippi. Ma Bondioli gliene diede solo cinque oltre a parecchi
generi alimentari e vino. Non ancora soddisfatti, costrinsero Pellegri-
no Manfredi a far loro da guida e, passati da Sant’Anna a Rocca, pre-
sero d’assalto alle sei del mattino la casa dell’esattore Giovanni Gi-
morri il quale riuscì a nascondersi nel fienile prima del loro arrivo,

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scavandosi un nascondiglio in mezzo al foraggio. I briganti irruppero
nell’abitazione e lo cercarono invano; chiesero allora alla famiglia
denaro e vettovaglie e, avendo ricevuto un rifiuto, si accinsero ad ap-
piccare il fuoco alla stalla ed al fienile soprastante gettando nella co-
sternazione chi vi era nascosto e tutti i suoi congiunti. Rinunciarono
alfine al loro proposito non tanto per i pianti e le suppliche di quella
gente, quanto a seguito della consegna di un buono di circa settanta-
cinque lire da riscuotersi all’esattore di Sant’Anna Gio. Battista Pia-
cenza.
Per un po’ di tempo sembrò che i briganti avessero preso di mira
altri paesi, ma la tregua fu di breve durata; infatti ricomparvero il
giorno 29 alle tre pomeridiane, condotti da Celeste Ballerini. Erano
una trentina e, vedendo il Sindaco unitamente ad alcuni cittadini, non
esitarono ad inseguirli sparando. Fortunatamente non vi furono morti
o feriti anche se una pallottola perforò il cappello del primo cittadino
che si arrese. A poca distanza arrestarono anche il segretario comu-
nale che nel vano tentativo di scappare rischiò di annegare nel fiume.
Quest’ultimo fu derubato di alcuni oggetti preziosi e rilasciato poco
dopo mentre il povero Sindaco fu tenuto in ostaggio finché il comune
non pagò la somma richiesta. Ma la giornata non era ancora finita
per il pover’uomo che alla sera ricevette la visita di un altro gruppo
di furfanti guidati dall’audacissimo e oltremodo strano Lenzotti di
Boccassuolo. Lascio immaginare lo strazio di quella povera famiglia
che ancora risentiva delle angherie cui era stata sottoposta durante il
giorno! Dopo essere stato a lungo supplicato, quel cattivo soggetto se
ne andò accontentandosi di soli sei filippi, ma poco dopo ne ricapita-
rono altri e successivamente lo stesso Lenzotti con Ballerini che get-
tando per terra con disprezzo i sei filippi disse di voler condurre il
Sindaco con sé. Fortunatamente nel periodo intercorso tra una visita
e l’altra egli si era nascosto in casa di Luigi Venturi e i briganti dopo
inutili ricerche si ripresero i sei filippi e ne estorsero altri cinque alla
povera famiglia incamminandosi alla volta di Fiumalbo all’una dopo
mezzanotte.
Durante il mese di ottobre ritornarono diverse volte nella frazione
di Sant’Annapelago; infatti, il giorno 20, poco dopo mezzanotte, il ca-
pitano Stefano Bondioli sentendo battere dei colpi all’ingresso si af-
facciò alla finestra e si sentì apostrofare: “Apri subito la porta o la
gettiamo a terra!”.
Entrarono in tre e, puntandogli il fucile al petto, gli chiesero le ar-
mi della Guardia Nazionale e quaranta filippi. Dopo lunga contratta-

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zione ne ricevettero solo cinque. Quella stessa notte visitarono altre
famiglie, li guidava il già tristemente famoso Lenzotti. Non contenti,
l’otto novembre ritornarono a casa Bondioli pretendendone il doppio
dopo aver maltrattato il malcapitato padrone di casa; questi promise
di farglieli avere e così se ne andarono a Piandelagotti. Ma appena
partiti Bondioli si recò a Pieve a denunciare i fatti e il comandante
delle truppe spedì due distaccamenti di trentasei uomini a Piandela-
gotti e di trenta a Boccassuolo, mentre l’interessato, temendo la ven-
detta dei briganti, si ritirò in Toscana dove sostò per quaranta gior-
ni.”

Da tutte queste testimonianze trapela la figura del brigante come


quella di un aguzzino piuttosto che di un assassino. Sia le azioni com-
piute a Pievepelago sia gli attacchi perpetrati nel vasto territorio del
Frignano non si contraddistinguono certamente per la sete di sangue
dei criminali. Piuttosto la loro ferocia emerge alla vista dei francesconi
una volta o dei filippi l’altra; raramente si accaniscono contro la gente
comune: soltanto il Lenzotti, che era certamente il più crudele ma an-
che il meno colto, con la sua banda approfittava, in caso di bisogno,
dei beni della popolazione frignanese. Sia i Reggi sia il Ballerini indi-
rizzavano le proprie azioni contro quelle figure che più apertamente
rappresentavano l’alleanza francese e l’opposizione alla resistenza. I
sindaci, i segretari e i più alti funzionari dei comuni erano il bersaglio
che ogni occhio dei briganti puntava e seguiva. In quasi tutti i paesi
della provincia del Frignano, tra il 1809 e il 1810, i rispettivi municipi
vennero spogliati delle carte e dei fogli inerenti alla coscrizione. I capi
delle bande diventavano furenti qualora non venivano esaudite le loro
richieste economiche: in queste occasioni il paese intero poteva essere
minacciato, assieme all’incolumità dei suoi abitanti e delle loro pro-
prietà. Il sacco del paese si registrò raramente, così come gli incendi
provocati alle abitazioni; più spesso, invece, in seguito alle minacce, i
briganti, si accontentavano di ciò che le vittime erano disposte a con-
cedere loro.
Per contrastare il fenomeno i sindaci si appellavano ai Prefetti op-
pure alla Guardia Nazionale. La richiesta a gran voce di quest’ultima
non venne quasi mai accontentata e i paesi erano costretti ad attendere
le visite dei briganti senza scorte o difese. I francesi, con la coscrizio-

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ne obbligatoria successiva, usata per far fronte al fenomeno del bri-
gantaggio, assistettero inermi alle ferree opposizioni di nuovi ed ina-
spettati nemici: i sacerdoti. Questi non nascondevano affatto l’astio
nei confronti degli invasori stranieri, rilanciando, durante ogni sermo-
ne domenicale, l’idea che i propri fedeli non avrebbero dovuto prende-
re in mano le armi rischiando la vita per questioni tutt’altro che giusti-
ficabili.
Ora, il fenomeno del brigantaggio qui analizzato sembra appartene-
re ad epoche lontane in cui si fa fatica coglierne radici o fili condutto-
ri. Per fare un po’ più di chiarezza ho cercato di contestualizzare
l’evento in termini sia storici sia geografico-sociali. Il disegno che
emerge appare ai miei occhi come uno specchio del mondo contadino
piuttosto fedele ed interessante. Perché la gente dell’Appennino mo-
denese, da sempre calma e remissiva, che non avrebbe mai reagito in
maniera tanto lampante se non per uno di quei rarissimi smacchi che
all’orgoglio del montanaro proprio non vanno giù, si macchiò di tali
eccessi?
La storia di questa zolla di terra è stata esaminata a larghe linee nel-
la prima parte di questo studio e si contraddistingue per i suoi grandi
mutamenti e per lunghi periodi di sofferenza. Il termine stesso: perio-
do, fa subito pensare al corso naturale degli eventi, solitamente circo-
scritti ad un medio-lungo arco temporale. Le più importanti piaghe
medievali: pestilenze e carestie, venivano superate solamente in segui-
to ad una lunga convalescenza. I fatti relativi ai primi dell’Ottocento
avvenuti nel territorio del Frignano, sembrano essere di tutt’altra spe-
cie e, soprattutto, non appaiono susseguenti ad avvenimenti spontanei
o a cambiamenti di media-lunga durata. Il mutamento arrivò in manie-
ra del tutto nuova ed inaspettata, enunciato da storici e gente comune
con la lettera maiuscola per meglio comprenderne la rilevanza.
La Rivoluzione partita dalla Francia varcava le Alpi, superava la
pianura Padana ed entrava nei boschi e nei borghi dell’Appennino,
sconvolgendo definitivamente l’armonia di questi popoli.

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