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A fondare il movimento futurista, fu Filippo Tommaso Marinetti, scrittore,

poeta e drammaturgo italiano, nato ad Alessandria D’Egitto il 22 dicembre


1876, e morto a Bellagio il 2 dicembre 1944.

Marinetti, come traspare dal “Manifesto dei pittori futuristi”, ripudia tutto ciò
che è antico e passato, dice di voler chiudere i ponti col passato, e si professa
“sicuro della radiosa magnificenza del futuro”.

Il movimento pone tra i suoi obiettivi un totale rinnovamento delle arti e della
vita, in netta contrapposizione alla cultura tradizionale, considerando tale
mutamento indispensabile per supportare il progresso delle tecnologie che
costituisce, secondo questi artisti, il “segno distintivo” del nuovo secolo; per
questo i futuristi operano in diversi campi: letteratura, teatro, arte e architettura.

L’arte futurista

Il movimento artistico futurista definisce, quale proprio ultimo fine, la


rappresentazione del mondo moderno a partire dal contesto locale, l’Italia.

Agli inizi del Novecento lo Stato italiano stava subendo forti mutamenti, il
paese, sostanzialmente agricolo, si stava evolvendo andando a formare le
strutture di un’economia più modernamente europea. L’inurbamento e lo
sviluppo davano vita a diversi flussi migratori interni, stava nascendo il
proletariato cittadino. Ciò determinò il rifiuto dei valori borghesi considerati
meschini e spregevoli e l’affermazione del culto dell’eroismo e della forza, oltre
all’esaltazione del progresso e della tecnica che si trasformava in una
propaganda a favore della guerra. Oltre ai cambiamenti sociali, vi furono delle
importanti innovazioni tecnologiche e scientifiche, quali il telegrafo senza fili, la
radio, gli aeroplani (il primo spiccò il volo nel 1901 con a bordo i suoi creatori, i
fratelli Wright) e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare
completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i
continenti.

In questo contesto nascevano i “valori moderni” fondati su: attivismo,


dinamismo e velocità. Il mondo moderno aveva quindi come unico simbolo
“un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia” come afferma
Marini; in tal senso la questione centrale che i futuristi dovevano affrontare era
la rappresentazione del movimento collegata all’espressione della dimensione
temporale. Per fare ciò ricorrono all’adozione di soluzioni come l’iterazione (la
ripetizione di un elemento o di un movimento), o la rappresentazione del
soggetto in visioni simultanee. Importante è anche la scelta dei soggetti:
volendosi discostare dai movimenti precedenti, rappresentano sempre soggetti
contemporanei, e spesso legati alla città, luogo della modernità per eccellenza.

I maggiori esponenti

Il Futurismo trova il proprio centro nevralgico in una Milano in piena


espansione urbanistica e industriale, ma si
diffonde rapidamente anche grazie
all’abilità con cui i suoi esponenti
organizzano mostre e incontri (le famose
serate futuriste) durante i quali il pubblico
viene provocato irridendo i valori e le
convenzioni borghesi. Per questo ebbe
influenza su movimenti affini che si
svilupparono in altri paesi, tra cui la
Francia ( la fotografia affianco mostra Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e
Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra del 1912).
Il Futurismo si divide in Primo e Secondo Futurismo, questo a causa della Prima
Guerra Mondiale che segna cesure indelebili, quale le morti di Boccioni e
Sant’Elia, due esponenti fondamentali. A seguito del conflitto, il movimento
vede come esponente principale Balla e il suo centro si sposta a Roma. Esso
cessa di esistere solo con la morte di Marinetti.

Umberto Boccioni

Umberto Boccioni nasce a Reggio Calabria, ma trascorre infanzia e adolescenza


in diverse città a causa del lavoro del padre. Questo suo spostarsi influenzerà la
sua vita e la sua arte ( come nel dipinto
affianco “La città sale”), infatti egli non
riuscirà mai a trovare un luogo dove
stabilirsi, basti pensare agli intensi viaggi
in Europa che gli permettevano di
conoscere le Avanguardie europee. Sarà
proprio questo suo intenso girovagare ad

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aiutarlo a sviluppare quell’apertura mentale che renderà
rivoluzionaria la sua ricerca artistica. All’inizio del
Novecento conosce Gino Severini, con il quale frequenta
lo studio di Giacomo Balla a Roma. Dopo aver
conosciuto Marinetti si avvicinerà al movimento e nel
1910 scriverà con Carlo Carrà e Luigi Russolo il
“Movimento dei pittori futuristi”. Allo scoppio della
Prima Guerra Mondiale, è favorevole all’entrata
dell’Italia in guerra, e si arruola volontariamente, muore
nel 1916 a causa di una caduta da cavallo.

Dal punto di vista artistico, Boccioni viene


considerato il più autorevole esponente del
Futurismo, per quanto riguarda le arti visive.
Gli è attribuita la paternità del “dinamismo
plastico”, tecnica basata sulla rappresentazione
della simultaneità del movimento nelle arti
figurative. Ne sono un magnifico esempio
l’opera scultorea “Forme uniche della continuità nello spazio” e il dipinto “La
risata”.

Carlo Dalmazzo Carrà

Carlo Dalmazzo Carrà nasce a Quargnento, in provincia di Alessandria, da una


famiglia di artigiani. Si trasferisce a Milano, dove si guadagna da vivere come
stuccatore e decoratore. Nel periodo tra il 1904 e il 1905, frequenta i corsi della
Scuola serale d’arte applicata di Milano, e nel 1906, grazie a due premi artistici,
e un piccolo contributo da parte di uno zio paterno, si iscrive all'Accademia di
Brera. Nel 1910, firma il “Manifesto dei pittori futuristi”.
La sua collaborazione con il movimento futurista, si concluse però nel 1915.
Dopo esser stato chiamato alle armi, verrà ricoverato all’ospedale militare di
Ferrara, dove incontra i pittori metafisici Savinio, Govoni, De Pisis e De
Chirico, con i quali darrà poi vita alla loro Scuola della pittura metafisica.

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Carrà offre una declinazione differente della
poetica futurista. Nelle sue opere lo spazio
viene scandito da ritmi lineari accentuati e lo
spettatore viene proiettato dentro l’azione, un
esempio è “I Funerali dell’anarchico Angelo
Galli”.

Memore delle ricerche di Cézanne, Carrà crea nel


dipinto un equilibrio, benché non più statico, di forme e
colori, soffermandosi soprattutto sulla struttura
compositiva. Tutto ciò, era volto a esprimere, attraverso
le opere, i suoni, i rumori e gli odori, come afferma nel
manifesto: “la pittura di suoni, rumori, odori”. A queste
idee corrisponde nella sua ricerca una sempre più
approfondita astrazione delle forme in senso dinamico,
come mostra “Manifestazione interventista” (dipinto a
lato).

Giacomo Balla

Giacomo Balla nasce a Torino ed è tra i primi protagonisti del divisionismo


italiano (fenomeno nato alla fine dell'800, tecnicamente derivato dal
neoimpressionismo e caratterizzato dalla separazione dei colori in singoli punti
o linee che interagiscono fra di loro in senso ottico).

Nei primi anni del novecento comincia a dipingere quadri


di matrice puntinista , senza tuttavia seguire rigorosamente
il programma scientifico di Seurat e Signac. Si trasferisce a
Roma dove si dedica allo studio della luce,
sperimentandone gli effetti dipinti sulla tela. Tra il 1909 e il
1911 Balla compone una delle sue opere più famose,
“Lampada ad arco” (dipinto sulla destra), dove sono
evidenti gli influssi sia del Divisionismo sia del Futurismo.

Nel 1903, conosce alla Scuola libera del nudo Umberto Boccioni e Gino
Severini. Nasce un legame tra lui e Boccioni che li condurrà verso strade diverse

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di ricerca sulla via futurista. Quando nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti
pubblica il primo Manifesto futurista, si unisce al movimento. Successivamente
pubblica il "Manifesto del colore", dove analizza il ruolo del colore nella pittura
d’avanguardia. Nel 1937 attraverso una lettera al giornale “Perseo” si allontana
dal movimento.

Dal punto di vista pittorico, Balla, durante il futurismo, abbandona il


figurativismo e propone immagini sempre
più astratte, in cui è evidente la volontà di
rendere il moto in maniera sintetica, come se
spazio e tempo si fondessero in un istante
fotografato dal quadro. Uno dei primi dipinti
in cui sperimenta tale soluzione è
“Dinamismo di un cane al guinzaglio” (opera
sulla destra) in cui l’artista fissa nel quadro la
serie di sequenze che compongono il
movimento del cane, del guinzaglio e della padrona, di cui si vedono solo i
piedi.

Gino Severini

Gino Severini, pittore italiano del primo Novecento, nasce a Cortona. Sempre in
cerca di nuovi stimoli, Severini non si è mai omologato ad uno stile definito ma
ha interpretato i movimenti e le avanguardie, che nascevano in quegli anni, da
una prospettiva assolutamente personale.

Severini conosce Balla a Roma ed entra in contatto con un


altro giovane pittore di talento: Umberto Boccioni. Non
trovando a Roma il successo sperato si trasferisce a
Parigi, avvicinandosi alla tecnica puntinista di Seurat,
come attesta il paesaggio parigino Printemps à
Montmartre ( sulla destra).

Dalla capitale francese l’artista svolge un importante


ruolo di collegamento tra l’ambiente parigino e il gruppo futurista italiano.
Nonostante aderisca al futurismo, pare non essere molto interessato alle
tematiche. Frequenta i locali notturni parigini e preferisce, a macchine, velocità

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e movimento, un’altra fonte di ispirazione per le sue tele: la danza. Oltre quattro
quinti della sua produzione infatti sono basati su questo tema. Il pittore infatti
considerava le movenze di una ballerina uno specchio del movimento
universale. È di questi anni uno dei suoi
dipinti più famosi: “La danza del pan pan al
Monico” (immagine a lato). L’opera
realizzata nel 1909 verrà distrutta durante la
Seconda Guerra Mondiale, così l’artista ne
realizzerà una replica nel 1960. L’effetto del
quadro, dato dalla scomposizione in tasselli
colorati, rende l’idea di movimento e
modernità in un clima di spensieratezza che
rievoca l’atmosfera dei locali parigini
frequentati dall’artista nei suoi anni parigini.

Nel 1916 Severini supera l’esperienza dell’avanguardia futurista e si avvicina al


cubismo. Accantona anche il tema della danza a lui caro per dedicarsi alle
nature morte. Il suo stile muterà ancora e nel 1950 l’artista riceverà il Gran
Premio della Biennale di Venezia. Nell’ultimo periodo della sua vita Severini
compie un percorso che lo riporta alle sue radici, con opere di matrice futurista e
pointilliste. Questo ritorno alle origini nasce da una valutazione critica dell’arte
del suo tempo. All’età di ottantaquattro anni, Gino Severini muore nella sua
casa a Parigi. Le sue spoglie vengono trasferite nello stesso anno a Cortona.

Luigi Russolo

Nato a Portogruaro (Veneto), la sua figura di pittore, musicista e inventore,


rimane tra i protagonisti del futurismo e il debito che tutta la musica del
Novecento ha per la sua intuizione di un nuovo mondo sonoro nel quale il
rumore si fa musica non è ancora stato riconosciuto fino in fondo. Da ragazzo
studiò per diventare violinista, ma poi si avvicinò alla
pittura. Stabilitosi a Milano frequentò l'Accademia di
Belle Arti di Brera, partecipando in quel periodo al
restauro del Cenacolo di Leonardo in Santa Maria delle
Grazie. Dipinse l'opera “Dinamismo di un'Automobile”
( dipinto sulla destra).

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I suoi manifesti ed il volume “L'arte dei rumori”, uniti all'invenzione degli
"Intonarumori", strumenti capaci di generare un rumore modulato in altezza,
percorrono tutta l'esperienza della musique concrète e della musica elettronica.
Russolo inventò tra l'altro l'arco enarmonico e il piano enarmonico, ma
soprattutto il rumonarmonio, che riuniva vari intonarumori insieme, pilotati da
tastiere e pedaliere simili ad armonium.

Durante gli ultimi anni della sua vita si dedicò ad esperimenti di metapsichica.
Riprese a dipingere nel 1941-42, in uno stile vagamente naïf che egli stesso
definì "classico moderno".

Dal punto di vista pittorico i suoi orientamenti stilistici si fondarono su una


tecnica divisionista e si caratterizzarono per la scelta di soggetti legati alla città
e alla civiltà industriale, interpretate in chiave fantastico-simbolista. Esempi di
questa sua tematico sono ( partendo da sinistra): “La Musica", "La rivolta" e
"Solidità della nebbia".

Sant’Elia

Antonio Sant'Elia nasce a Como. Scopre sin da quando era bambino una
predisposizione naturale all'architettura e al disegno. Dopo aver completato gli
studi tecnici frequenta la scuola di Arti e Mestieri “G. Castellini”, per poi
trovare subito impiego tra gli addetti al completamento del Canale Villoresi a
Milano, a questo incarico ne seguirono altri di altrettanto prestigio.

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Frequenta anche l'Accademia di Brera nel corso comune di Architettura. Lì oltre
a subire l'influenza dell'insegnante di prospettiva Angelo Cattaneo, diviene
amico dello scultore Girolamo Fontana e di Carlo Carrà. Frequentando ambienti
culturali come il Caffè Cova e il Caffè Campari, incontra Umberto Boccioni.
Dopo la rinuncia allo studio di Brera, inizia per Sant'Elia un fruttuoso periodo di
concorsi.

Realizza la tomba del padre nel Cimitero Maggiore di


Como (schizzo sulla destra) e, accettando l'invito
dell'Associazione degli Architetti Lombardi, espone in una
sala della Permanente di Milano
alcuni schizzi, ottenendo diverse
segnalazioni su riviste
specializzate. Negli ultimi giorni
della mostra, Sant'Elia presenta le tavole della Città
Nuova, intitolate "Stazione di aeroplani e treni”, "Sei
particolari di spazi urbani”, "La casa nuova" (sulla
sinistra) e "La centrale elettrica in tre disegni e cinque
schizzi d'architettura".

Nel maggio del 1915 l'Italia decide il proprio intervento nel conflitto mondiale e
Sant'Elia, condividendo le idee degli altri esponenti futuristi, si arruola come
volontario. Fece parte della Brigata "Arezzo" sul fronte vicentino, per poi essere
trasferito sul fronte carsico. Fu incaricato della costruzione
di un cimitero per i caduti italiani della Brigata Arezzo, con
tombe disposte in fila e allineate secondo la gerarchia
militare, nello stesso anno (1916) Sant'Elia guidò un assalto
ad una trincea nemica proprio nei pressi di questa quota.
Durante l'azione, venne colpito mortalmente alla testa da
una pallottola di mitragliatrice. Inizialmente verrà
seppellito nel cimitero da lui stesso progettato ed ancora in
corso di realizzazione (studio del progetto sulla destra).
Sino a pochissimi anni prima Sant’Elia tracciava profili
svettanti e veloci di grattacieli, centrali idroelettriche, aeroporti e fabbriche,

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sognando una metropoli vertiginosa. In questo cimitero il giovane
architetto-soldato concepisce invece un’architettura raccolta e meditativa,
tutt’altro che futurista, questo è un chiaro segno di una maturazione spirituale,
causata dallo scontro armato.

La morte prematura impedì a Sant’Elia sia di concretizzare le idee esposte nei


suoi manifesti (tra cui il “Manifesto dell’architettura futurista”) sia di tradurre in
costruzioni i suoi disegni. Le uniche opere realizzate sono la villa Elisi a San
Maurizio sopra Como (in collaborazione con lo scultore Girolamo Fontana,
sulla sinistra) e il monumento ai caduti realizzato postumo da Giuseppe e Attilio
Terragni sempre a Como (sulla base di un suo disegno del 1914, sulla destra).

Sant’Elia, per le sue dichiarazioni teoriche e i disegni prodotti, rimane tra le


figure di rilievo dell’Architettura futurista.

Riporto di seguito una sintesi del “Manifesto dell’architettura futurista”, che


sintetizza le idee di Sant’Elia nei seguenti otto punti.

“PROCLAMO:

1. Che l’architettura futurista è l’architettura del calcolo,


dell’audacia temeraria e della semplicità; l’architettura del cemento
armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti

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quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di
ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza;

2. Che l’architettura futurista non è per questo un’arida


combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi,
espressione;

3. Che le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro


stessa natura, hanno una potenza emotiva superiore a quelle delle
perpendicolare e delle orizzontali, e che non vi può essere
un’architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse;

4. Che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto


all’architettura, è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla
disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente
colorato, dipende il valore decorativo dell’architettura futurista;

5. Che, come gli antichi trassero ispirazione dell’arte dagli elementi


della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali –
dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo
mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’architettura deve
essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione
artistica più efficace;

6. L’architettura come arte delle forme degli edifici secondo criteri


prestabiliti è finita;

7. Per architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con


libertà e con grande audacia, l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il
mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito;

8. Da un’architettura così concepita non può nascere nessuna


abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali
dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le
case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la
sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico
contribuirà alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con le
Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la Musica senza quadratura

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e l’Arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la
vigliaccheria passatista.”

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